MSOI thePost Numero 80

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

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N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Efrem Moiso, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole AUSTRIA 15 ottobre. Le elezioni nazionali per il rinnovo del Parlamento vedono vincitore Sebastian Kurz, trentunenne leader dell’OVP (centrodestra) ed ex ministro degli esteri, con il 31% dei voti. Seconda posizione per il cancelliere uscente dell’SPO (centrosinistra) Christian Kern, che si attesta al 29,6% dei voti mentre l’FPO (estrema destra) di Heinz Christian Strache arriva al 26%. Brusco calo dei verdi. Probabile che il risultato porti ad un governo di coalizione OVPFPO. GERMANIA 15 ottobre. A meno di un mese del rinnovo del Bundestag, le elezioni regionali del land della Bassa Sassonia si sono risolte un’importante affermazione di Stephan Weil che con l’SPD (centrosinistra) supera il 37% dei voti mentre la CDU (centrodestra) si attesta intorno al 34%. Difficile dire se la coalizione di governo sarà una Große Koalition tra questi due partiti oppure un’alleanza tra SPD-verdi e liberali.

AUSTRIAN ELECTIONS

Austrian legislative elections see the rise of the rights amidst a general shift in European governments

By Lola Ferrand Austrian legislative elections, held on Sunday October 15th, unsurprisingly saw 30-year-old Sebastian Kurz’s party, the Austrian People’s Party (OVP), gather the largest share of votes (31.5%). This sets him to become the youngest European leader. Many Austrians give him credit for quenching the arrival of refugees into Austria by “closing” the Balkan route.

GRAN BRETAGNA 17 ottobre. Circola una proposta di legge per riformare la camera dei Lord, trasfomando i seggi da vitalizi alla durata di 15 anni per tutti coloro che vengono nominati al suo interno, riforma che nelle intenzioni “sarebbe utile a diminuire i membri di un’istituzione che raggiunge gli 800 membri”.

On Wednesday, the Social Democratic Party of Austria (SPO) was slightly ahead of its rival, the Freedom Party of Austria (FPO), with 26.9 per cent of votes against 26 per cent for the FPO. The final vote is expected on Thursday. However, the question of second place is unlikely to change the fact that Austria will probably end up with a right-leaning coalition, because the ÖVP and FPÖ would still have enough support to form a government. A deal between the SPO and OVP seems unlikely, as a previous government formed between the two parties collapsed in the spring. A junior coalition between the FPO and the SPO is also highly doubtable, as the SPO would have to drop a four-decade ban on dealing with the far right.

BRUXELLES 19 ottobre. La commissione libertà civili del PE ha deciso

Therefore this conservative victory should sign the entrance of the far right popu-

list FPO into government. Indeed this result seems to open the door to a right leaning coalition, a shift in the country’s politicsafter more than a decade under a centrist coalition. This shift also comes less than a month after the AfD historic surge in German federal elections, highlighting once again the importance of the immigration crisis backdrop on European politics. The last time the FPO entered government and other EU States briefly imposed diplomatic sanctions on Austria with the aim of forcing the extremists from government. Another key figure of this election is the Green parties collapse, months after supporting the current President into office. Indeed, the Green party recorded 12.4% of votes in the last elections in 2013, against 3.9% of votes in Sundays elections, officially pushing the party out of Parliament (the minimum threshold for entering parliament being 4%). Liste Pilz scored 4.3 per cent and the liberal Neos party finished with 5.1 per cent. If the result holds, Austria’s Parliament will have five parties. The outcome of this election has raised concern in other European member states, which fear the return of the far right and its impact on the Union. MSOI the Post • 3


EUROPA di approvare le modifiche al regolamento di Dublino, abolendo il principio secondo il quale sarebbe dovuto essere il primo Paese d’ingresso ad occuparsi della gestione dei migranti e stabilendo un sistema di ricollocazione per quota sul territorio europeo. Positiva la reazione del premier italiano, Paolo Gentiloni, che ha parlato di “rivendicare anche i risultati molto incoraggianti che l’azione dell’Italia ha raggiunto per quanto riguarda il contrasto al traffico di migranti clandestini nella rotta del Mediterraneo centrale”. SPAGNA 18 ottobre. Le varie anime del fronte indipendentista catalano, sia governative che appartenenti alla società civile, si dicono pronte a formare una “Repubblica Catalana” se il governo centrale di Madrid dovesse applicare l’art.155 della Costituzione il 19 ottobre. Questo prevede la revoca dello statuto d’autonomia della regione sancito dall’art. 2 della stessa Costituzione, nel caso in cui la regione in oggetto “non ottemperi agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, o si comporti in modo da attentare gravemente agli interessi generali della Spagna”. UCRAINA 17 ottobre. Numerosi scontri di fronte al Parlamento ucraino tra i sostenitori del presidente Poroshenko e quelli dell’opposizione. Le richieste di quest’ultimi riguardano i caratteri delle istituzione democratiche, chiedendo una nuova legge elettorale di tipo proporzionale, la creazione di una commissione contro la corruzione e l’abrogazione del sistema d’immunità parlmentare. A cura di Daniele Reano 4 • MSOI the Post

UN ACCORDO INTOCCABILE

UE ferma sul Piano d’azione congiunto globale

Di Giulia Ficuciello Il 14 luglio 2015 è stato stipulato a Ginevra il cosiddetto “Piano d’azione congiunto globale”. Il testo, approvato all’unanimità dalle Nazioni Unite, consiste in un accordo con l’Iran riguardante l’energia nucleare. Da un lato l’Iran si è impegnato a non arricchire uranio con le sue centrifughe per i successivi 10 anni e a consentire l’accesso a ispettori internazionali all’intera supplychain del programma nucleare. In cambio, la comunità internazionale si è impegnata a ritirare gradualmente le sanzioni imposte dal Consiglio di sicurezza delle NU contro lo Stato. Il Patto, controverso, è tornato di recente al centro del dibattito internazionale. Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato di voler recedere da tale accordo, sostenendo una presunta violazione dello stesso. Al contrario, Unione Europea, Cina e Russia rimangono favorevoli ai termini dell’accordo, con cui l’Iran ha sospeso la costruzione della bomba atomica. Il rischio è quindi quello di una rottura diplomatica tra grandi potenze internazionali.

L’alto rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha tenuto a precisare che non si tratta di un accordo bilaterale, quindi non è possibile per alcun Presidente chiudere unilateralmente un accordo di questo tipo. Ha affermato, inoltre, che l’Unione Europea continuerà a sostenere l’intesa raggiunta due anni fa con l’Iran controllando il suo continuo rispetto. La Mogherini ha dichiarato che si recherà a Washington all’inizio di novembre per discutere con il Presidente americano in favore del mantenimento dell’accordo nucleare. Secondo il ministro francese degli Affari Esteri, Jean-Yves le Drian, l’accordo deve essere inquadrato nel contesto della lotta internazionale alla proliferazione nucleare, pertanto a suo avviso è necessario impedire che il Congresso statunitense non rimetta in questione l’accordo raggiunto con tanta fatica. Il Ministro precisa che, in realtà, non si tratta solo della questione nucleare ma dello stesso ruolo di stabilità che gioca l’Iran in Medio-Oriente e delle ripercussioni che tale recesso provocherebbe nei confronti degli sforzi per controllare le ambizioni nucleari della Corea del Nord.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 15 ottobre. Rex Tillerson, durante un’intervista rilasciata alla CNN, tenta di arginare le pesanti dichiarazioni di Trump riguardo l’accordo sul nucleare ratificato con l’Iran. A differenza di quanto affermato dal Presidente, il Segretario di Stato americano ha definito l’intesa del 2015 come “primario interesse degli Stati Uniti”. 17 ottobre. Donald Trump ha ricevuto alla Casa Bianca il premier greco Alexis Tsipras. I due leader hanno discusso di cooperazione energetica e reciproche possibilità di investimento. “La Grecia è un’immensa opportunità per il commercio americano”, ha dichiarato il Presidente. 17 ottobre. Derrick Watson, giudice federale di Honolulu, ha bloccato l’ultima versione del Travel Ban elaborata da Donald Trump ed entrata in vigore il 18 ottobre, invocando ad una violazione delle leggi sull’immigrazione. “Si tratta di una decisone pericolosamente sbagliata”, ha dichiarato l’amministrazione Trump. 18 ottobre. Il segretario di Stato americano Tillerson, durante una conferenza stampa, ha reso noto l’impegno dei prossimi giorni, che lo vedrà impiegato nel suo primo viaggio in India. “Crediamo profondamente nella costruzione di una collaborazione fra India e Stati Uniti”. 18 ottobre. Catturato in Delaware Radee Labeeb Prince, 37 anni, accusato di essere l’autore della sparatoria avvenuta presso l’Emmorton Business Park, Maryland. Durante l’attacco

TILLERSON CONTRO TRUMP

Ancora una volta il Segretario di Stato USA ha smentito il Presidente

Di Lorenzo Bazzano Donald Trump ha recentemente assunto una posizione molto critica nei confronti dell’Iran, accusando il governo di Rouhani di aver contravvenuto all’accordo di non proliferazione nucleare stipulato nel 2015, sotto l’amministrazione Obama. Secondo il Presidente, il trattato, essendo stato violato, non ha più alcun valore giuridico e devono essere prese le misure necessarie per affrontare l’Iran, che il tycoon reputa una minaccia. I capi di governo di Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia (gli altri Stati firmatari, oltre alla Cina) hanno ribadito che per loro, invece, l’Iran sta tenendo fede agli impegni. Ma la posizione contraria più significativa è quella del Segretario di Stato USA Rex Tillerson, il quale ha dichiarato che preservare l’accordo con l’Iran è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti. Non è la prima volta che le posizioni del tycoon e del Segretario di Stato collidono. Un precedente molto rilevante, nell’ambito della politica estera, risale alla delicata questione delle tensioni fra Stati Uniti e Corea del Nord. Lo scorso agosto, Trump dichiarò: “Tutte le opzioni sono sul tavolo”, lasciando intendere che l’opzione militare fosse stata pre-

sa in considerazione dalla Casa Bianca. Eppure, pochi giorni dopo arrivò una forte presa di distanza da parte dello staff di Trump, incarnato proprio da Tillerson, che, pur riconoscendo la Corea del Nord come una minaccia, escluse che gli Stati Uniti fossero intenzionati ad iniziare una guerra con il regime di Pyongyang. E c’è un un altro episodio che dimostra come i rapporti fra Trump e Tillerson non siano idilliaci. Recentemente, infatti, è emersa un’indiscrezione secondo cui il Segretario di Stato, in una riunione tenutasi al Pentagono nel mese di luglio, avrebbe definito Trump “un idiota”. Indiscrezione a cui Trump ha risposto sarcastico, proponendo a Tillerson di effettuare un test del QI per misurare chi dei due sia più intelligente. Al di là di quest’ultimo aspetto, le divergenze fra Trump e Tillerson appaiono molto rilevanti nell’ottica della politica estera. È ormai noto il carattere impulsivo e vulcanico del Presidente, che lo porta spesso a dichiarazioni unilaterali in materia di politica internazionale. Ma occorre sempre tenere presente che la politica estera degli Stati Uniti non è nelle mani del solo Presidente, e uno staff a lui ostile può ostacolarne le decisioni e temperarne le intenzioni. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA hanno perso la vita 3 persone ed altre 3 sono rimaste ferite. CANADA 13 ottobre. Si è conclusa la prima visita ufficiale in Messico del primo ministro Justin Trudeau. Durante il loro meeting, il leader canadese e il presidente messicano Enrique Peña Nieto hanno affrontato il tema del NAFTA sottolineando l’importanza di raggiungere nuove intese a vantaggio di un rafforzamento dei reciproci rapporti commerciali. “Siamo uniti nel desiderio di un futuro migliore”, ha dichiarato Trudeau. 14 ottobre. Il canadese Joshua Boyle, la moglie americana Caitlan Coleman ed i loro tre figli, sono atterrati all’aeroporto di Toronto dopo 5 anni di prigionia in Afghanistan. I coniugi, rapiti nel 2012 dal gruppo estremista di Haqqani, sono stati liberati mercoledì 11 ottobre insieme ai figli nati durante il sequestro. “Caitlan è stata vittima di ripetute violenze sessuali e la nostra quarta figlia neonata è stata assassinata”, ha dichiarato Boyle al suo rientro.

17 ottobre. Il primo ministro Justin Trudeau ha annunciato la nomina di Mary T. Moreau a Presidente della Court of Queen’s Bench in Alberta. “Quale prima donna nominata per questa posizione, le auguro molto successo”, ha dichiarato Trudeau. A cura di Erica Ambroggio. 6 • MSOI the Post

UN NUOVO LEADER PER UN NUOVO CANADA L’elezione di Singh come leader del NDP

Di Alessandro Dalpasso Il Nuovo Partito Democratico canadese è stato fondato nel 1961 e da allora le sue fortune sono state a dir poco alterne. È stato spesso la terza forza politica nel Parlamento, riuscendo però a contare, nel 2011, un numero di eletti tale da diventare il secondo partito del Paese. Al miglior risultato di sempre è però seguito, solo 4 anni dopo, quello peggiore. Il partito, allora guidato da Thomas Mulcair, perse ben 51 seggi e risultò solamente la quarta forza politica dell’emiciclo. In un clima di totale sfiducia nei confronti della leadership, il 1° ottobre si sono tenute le votazioni per eleggere il nuovo front man della formazione politica democratica. A risultare vincitore è stato Jagmeet Singh (con il 53.8% dei voti contro il 19.4% di Charlie Angus, suo principale avversario). Sigh è un avvocato ed è membro del Parlamento Provinciale per la circoscrizione Bramalea-Gore-Malton e dal 2011 è membro dell’Assemblea legislativa dell’Ontario. Il nuovo leader del NDP è un sikh quindi, è il primo appartenente ad uno di quelli che il governo canadese definisce “visible minority group” a guidare un partito con una estensione federale. Il suo partito è stato, nel corso

delle legislature, uno dei principali alleati di quello dell’attuale primo ministro Justin Trudeau, il Partito Liberale Canadese. Ma ora, sia per una vicinanza di idee dei due gruppi politici, sia per il carisma dei rispettivi leader, il NDP sta provando ad emanciparsi dal suo ruolo di “spalla” del governo. E il suo neo-eletto leader sta facendo altrettanto. In questa ottica va, infatti, visto il tour che ha iniziato Singh e che lo porterà a girare ogni provincia del Canada. Le sue idee, incentrate su una tassazione progressiva, il suo battersi per i diritti LGBT+, la sua volontà di decriminalizzare il possesso di tutte le droghe leggere e, infine, le sue forti convinzioni ambientaliste delineano un profilo interessante per quell’elettorato democratico che guarda al 2019 con desiderio di rinnovamento. Ma non solo, poiché secondo alcuni recenti sondaggi di fonte governativa, anche la leadership canadese attuale sta perdendo consenso tra i suoi elettori. Essi ritengono Trudeau un ottimo “uomo-immagine” per il Canada a livello globale ma pensano altresì che le sue politiche per il Paese siano state imolto poco efficac . In questo contesto, un uomo di rottura come Sigh e il NDP potrebbero riuscire in un risultato insperato per un partito abituato a non essere mai veramente protagonista.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 16 ottobre. Muoiono 6 soldati e più di 24 terroristi in una serie di ripetuti attacchi contro posti di blocco dell’esercito nel Sinai. IRAN 13 ottobre. La risposta alle minacce del presidente americano Trump in merito all’accordo nucleare non si fanno attendere. Il presidente Rohani taccia le parole dell’omologo americano come “le solite accuse prive di fondamento“. IRAQ 13 ottobre. Il governo regionale curdo dichiara lo stato di allerta a seguito del raggruppamento di ingenti forze dell’esercito regolare iracheno ai confini della provincia autonoma curda. 16 ottobre. Il governo federale, con il supporto delle milizie sciite inizia una vasta offensiva con l’obiettivo di prendere il controllo di Kirkuk, sede e capitale del governo locale curdo. 17 ottobre. Le forze governative prendono il controllo della città di Kirkuk senza che un colpo sia stato sparato dai Peshmerga. Questi hanno seguito con attenzione l’avanzare delle truppe federali senza però reagire. ISRAELE 18 ottobre. Il governo autorizza per la prima volta in 15 anni la costruzione di nuovi insediamenti nella città di Hebron. LIBIA 14 ottobre. Le fazioni che si contendono il controllo dello Stato si incontreranno in Tunisia per tentare di formulare i termini di un nuovo accordo.

ULTIME NOVITÀ SULL’IRAN DEAL… DALL’IRAN La reazione persiana e le possibili conseguenze

Di Lucky Dalena Le ultime dichiarazioni del presidente Trump in merito al celebrato accordo sul nucleare iraniano hanno mosso gli animi di tutti i leader mondiali coinvolti in questa storica iniziativa: numerose le dichiarazioni da parte dell’Europa, ma anche da Cina e Russia. La posizione di Trump è certamente molto ferma. Il Presidente ha infatti sostenuto di voler imporre delle sanzioni anche sul pasdaran, il corpo dei guardiani della rivoluzione islamica, ovvero il ramo più elitario dell’esercito iraniano. Ciò, secondo molti critici, equivale a definire l’organizzazione un gruppo terroristico, iniziativa che molti oppositori delle politiche iraniane auspicavano da tempo. Secondo il segretario di Stato Tillerson, però, non si taglieranno completamente i ponti con l’antico impero persiano. Ci sono infatti le basi, sostiene, per un “accordo complementare sulla loro attività regionale e un programma di missili balistici”, suggerendo che Teheran è d’accordo con l’inizio delle trattative, e generando molta confusione in merito alle relazioni tra i due Paesi. Molti opinionisti osservano, però, quanto le ultime dichiarazioni del Presidente americano siano potenzialmente danno-

se per la stabilità del Medio Oriente. La decisione di Trump di imporre sanzioni sul pasdaran fa sì che i moderati iraniani, come lo stesso presidente Rohani e il ministro degli Affari Esteri Zarif, prendano posizione in difesa dell’esercito, anche se si tratta di difendere un corpo la cui attività è spesso controversa. La cooperazione con l’Iran si era dimostrata essere la chiave per garantire la stabilità geopolitica e garantire accordi economici con un Paese che risulta essere tra i primi 20 del mondo in termini di PIL – accordi che, dopo la distensione post-accordo, erano già stati portati avanti da aziende come Boeing, Siemens e Total. Le conseguenze di dissapori fra l’Iran e l’Occidente potrebbero anche portare a conseguenze su scala globale, visto che il 20% del petrolio del mondo passa da vari condotti attraverso lo stretto di Hormuz, controllato dalle autorità iraniane. In un simile panorama, non è da ignorare nemmeno il potere finanziario della Guardia pasdaran, che possiede grandi capitali e imprese nel settore delle costruzioni. Perdere il favore del governo iraniano significherebbe, dunque, perdere il favore economico della Guardia, qualora dovessero venire imposte delle sanzioni. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE PALESTINA 12 ottobre. Il leader di Hamas Ismail Haniyeh annuncia di aver raggiunto un accordo con lo storico rivale Fatah.

PERCHÉ ISRAELE LASCIA L’UNESCO? Il ritiro di USA e Israele e le tensioni sulla Palestina

20 ottobre. L’esercito israeliano chiude numerose agenzie di stampa nella striscia di Gaza nottetempo. SIRIA 12 ottobre. Un attentato causa 2 vittime e 6 feriti nei pressi di una centrale della polizia a Damasco. 13 ottobre. Un attentato rivendicato dal Daesh miete decine di vittime fra rifugiati siriani e personale di sicurezza curdo nei pressi Abu Fas. 13 ottobre. Un convoglio di 12 veicoli blindati Turchi fa il suo ingresso nella provincia siriana del nord di Idlib. L’operazione rientra negli accordi stipulati fra Russia, Siria e Turchia. 15 ottobre. Si è concluso un accordo fra gli ultimi combattenti del Daesh a Raqqa e la coalizione che circonda ormai da mesi la città. I combattenti del Califfato potranno lasciare la città insieme alle loro famiglie senza ripercussioni. 17 ottobre. La coalizione antiISIS libera definitivamente Raqqa dal Daesh, prendendo il controllo di tutta la città, ormai deserta. TURCHIA 12 ottobre. La collaboratrice del Wall Street Journal Ayla Albayrak è stata condannata a due anni e un mese di reclusione per aver “supportato” il PKK nel 2015. L’accusa è di propaganda terrorista. A cura di Jean-Marie Reure 8 • MSOI the Post

Di Sofia Ercolessi Giovedì 12 ottobre gli Stati Uniti hanno notificato il loro ritiro dall’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. L’esempio è stato seguito dopo qualche ora da Israele. La decisione sarebbe motivata dal “continuo pregiudizio antiisraeliano” dell’Agenzia, la quale si è spesso scontrata con i due Stati sulla questione della Palestina. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato: “È una decisione coraggiosa e virtuosa, perché l’UNESCO è diventata un teatro dell’assurdo. Al posto di preservare la storia, la distorce.” Le parole del Primo Ministro israeliano racchiudono anni di confronto politico con il ramo culturale delle Nazioni Unite. I contrasti si erano esacerbati nel 2011, quando l’UNESCO aveva ammesso la Palestina come Stato membro, riconoscendone di fatto l’esistenza. Per protesta, Israele e Stati Uniti avevano cessato i pagamenti, decisione che era costata loro il diritto di voto nel 2013. Negli ultimi tre anni, a intervalli regolari, l’UNESCO ha approvato delle risoluzioni che hanno punto sul vivo Israele, suscitando commenti aspri e accuse di unilateralità da parte di Netanyahu.

Nelle risoluzioni, l’UNESCO chiedeva alla “Potenza Occupante” israeliana di fermare il blocco di Gaza, la costruzione di colonie e le “escalation di aggressioni e misure illegali contro la libertà di culto e l’accesso dei musulmani al loro luogo sacro” nella città antica di Gerusalemme, conquistata da Israele nel 1967. Questa parte della città, che include luoghi di culto cari a entrambe le religioni, è chiamata “Al-Haram AshSharif” dai musulmani e “Monte del Tempio” dagli ebrei. La mancanza del nome ebraico in una delle risoluzioni UNESCO del 2016 era stata percepita da Israele come una grave mancanza di rispetto, tanto da sospendere ogni attività all’interno dell’agenzia. L’ultimo motivo di tensione era stato il riconoscimento di Hebron, nella West Bank, come Patrimonio dell’Umanità palestinese. Se il ritiro dall’agenzia non è che la logica conseguenza di un rapporto già logorato, il tempismo sembra non essere casuale: proprio giovedì 12, il giorno in cui è stato annunciato il ritiro, Hamas e Al-Fatah firmavano ad El Cairo un accordo che dovrebbe diventare la base di un’imminente e storica riconciliazione tra le due forze politiche palestinesi. Una mossa che potrebbe rendere la Palestina politicamente più forte nel prossimo futuro.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole AZERBAIJAN 16 ottobre. Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižniesk ha chiesto al Ministro degli Interni azero delle verifiche riguardo i recenti arresti avvenuti tra la comunità LGBT+ nel Paese, paventando possibili violazioni della CEDU (Convenzione Europea sui Diritti Umani). Nel mese di settembre un centinaio di persone erano state arrestate per motivazioni legate alla morale pubblica e alla necessità di isolare individui affetti da malattie sessualmente trasmissibili. KYRGHIZISTAN 15 ottobre. Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Sooronbai Jeenbekov, ex Primo Ministro e delfino dell’uscente Presidente filorusso. Il voto, secondo gli osservatori internazionali, è stato caratterizzato da alcuni problemi procedurali e da compravendite di voti, ma l’imposta transizione di potere avrebbe comunque contribuito a rafforzare la democrazia. Il neo-Presidente appare intenzionato a proseguire la politica del suo predecessore nei confronti della Russia, di cui il Paese ospita una base militare. MACEDONIA 15 ottobre. Le elezioni locali per eleggere 81 fra sindaci e consiglieri comunali sono state vinte dai Social-Democratici (SDSM), il partito al governo da maggio. La tornata elettorale rappresentava un importante test per il nuovo esecutivo pro-Unione europea e pro-NATO, formatosi dopo che una lunga crisi politica aveva bloccato il Paese.

LA VERA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN TAGIKISTAN

La dichiarazione dell’UE a margine del Dialogo sui Diritti Umani con il Paese fa discutere

Di Davide Bonapersona A Dushanbe, il 12 ottobre scorso, si è tenuto il IX Dialogo sui Diritti Umani tra UE e Tagikistan, un’occasione importante per discutere in maniera aperta e onesta sulla situazione dei diritti umani del Paese. Nella dichiarazione finale, l’UE riconosce i significanti sforzi fatti dal governo tagika in materia di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, e sottolinea inoltre che: “tutti i partecipanti hanno riconosciuto i buoni progressi dei diritti delle donne, specie nella prevenzione delle violenze domestiche”. Tuttavia, l’UE rileva che persistono alcune problematiche. Si registra un aumento dei casi di torture nell’ambito dei processi militari e dei casi di detenzione prima di una sentenza. Inoltre, viene sollecitato un intervento immediato delle autorità Tagike su alcune questioni urgenti, tra le quali vengono annoverate: la libertà religiosa, la libertà di espressione e di pensiero, la tutela dell’indipendenza dei media e dei giornalisti e la protezione dei parenti delle persone appartenenti alle forze politiche di opposizione. Malgrado l’opinione dell’UE, molte persone hanno espres-

so preoccupazione sulla situazione del Tagikistan e accusano le autorità europee di avere un atteggiamento troppo indulgente. L’attacco più diretto è arrivato da Steve Swerdlow, ricercatore in Asia Centrale di Human Rights Watch, il quale ha twittato: “Dichiarazione molto debole da parte dell’UE sulla situazione dei diritti umani in Tagikistan…”. Il tweet continua: “il Tagikistan sta vivendo il suo peggior momento in tema di diritti umani, ma dalla sola lettura di questa dichiarazione non ne avrei alcuna idea”. Negli ultimi anni, in Tagikistan si sono susseguiti numerosi e gravi episodi di violazione dei diritti umani. Il più significativo è avvenuto nel corso del 2016, quando i leader del principale partito di opposizione, Islamic Renaissance Party of Tajikistan, sono stati incarcerati senza valide giustificazioni e con loro anche l’avvocato Buzurgmehr Yorov. Quest’ultimo aveva più volte denunciato la situazione dei diritti umani del Paese e aveva preso le difese del partito d’opposizione. Questi episodi, comunque, non sembrano essere tenuti in considerazione dalle autorità europee. Come se non bastasse, ad esacerbare la tensione, vi è un provvedimento di qualche giorno fa del governo tagiko, che identifica 319 gay e 48 lesbiche che dovranno sottoporsi a dei controlli sanitari al fine di evitare la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili nella società.

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RUSSIA E BALCANI “BENVENUTO SULTANO”

La visita di Erdogan in Serbia e gli accordi commerciali

RUSSIA 17 ottobre. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo, la condanna per frode al leader dell’opposizione Alexei Navalny del 2014 è stata “arbitraria e manifestamente irragionevole”. La Corte ha imposto alla Russia di pagare un risarcimento a Navalny e a suo fratello. Secondo il leader politico, l’azione giudiziaria era stata organizzata per bloccare le sue attività politiche contro la corruzione.

Di Adna Camdzic “Osmana Osmana Osman - Aga, jala jala, Osman - Aga” ha intonato Ivica Dacic, attuale ministro degli Esteri in Serbia, in onore della visita di Erdogan a Belgrado.

18 ottobre. La star televisiva Ksenia Sobchak (figlia di Anatoly Sobchak, padrino politico di Putin ed ex sindaco di San Pietroburgo) ha annunciato di voler candidarsi per le elezioni presidenziali del marzo prossimo, offrendosi come alternativa per i liberali scontenti del Presidente. Le sue possibilità di vittoria rimangono tuttavia molto esigue.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è atterrato a Belgrado martedì 10 ottobre per una visita ufficiale, con l’intenzione di promuovere la cooperazione bilaterale tra i due Paesi. La visita ha avuto inizio con l’incontro della controparte serba, Aleksandar Vucic. Il confronto si è poi concluso con la firma di una Dichiarazione comune sull’istituzione di un Consiglio di cooperazione tra Serbia e Turchia. Parallelamente i due governi hanno firmato 12 accordi per favorire le relazioni in campo economico, commerciale, oltre che energetico, sociale e culturale.

SERBIA 18 ottobre. Vladimir Lazarevic, ex comandante dell’esercito jugoslavo condannato per crimini di guerra commessi durante la guerra in Kosovo, insegnerà all’Accademia Militare Serba. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Aleksandar Vulin, sottolineando che quei generali serbi “che hanno dato prova di sé nei momenti più tragici” devono essere d’esempio per i cadetti.

Erdogan ha sottolineato la necessità di aumentare l’interscambio commerciale tra i due Paesi, proponendo un’espansione dello stesso dagli attuali 800 milioni di dollari fino a raggiungere il miliardo di dollari entro la fine dell’anno. Inoltre, durante la conferenza stampa, ha menzionato il desiderio di arrivare, nel corso dei prossimi anni, ad un valore di interscambio compreso tra i 3 ed i 5 miliardi.

A cura di Vladimiro Labate

Da parte sua, Vucic ha eviden-

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ziato il rapporto di amicizia che intercorre tra i due Stati. L’ANSA riporta le sue parole: “La Serbia vede nella Turchia un grande amico, noi siamo amici del popolo turco. [...] Non siamo più nel 1389 ma nel 2017”, ha detto il Presidente serbo, con riferimento al periodo di occupazione ottomana nella regione. I riferimenti all’Impero Ottomano non sono mancati nemmeno il giorno successivo, in occasione della visita alla città serba di Novi Pazar, capitale del Sangiaccato, a maggioranza musulmana. In una regione in cui è noto il legame della popolazione musulmana con la Turchia, Erdogan è stato accolto con la scritta “Benvenuto sultano”. Tuttavia, nonostante la profonda influenza turca sul Sangiaccato, la quale alimenta il discorso sul Neo-ottomanesimo, Belgrado è lungi dall’essere un alleato storico e sicuramente non guarda con nostalgia al passato di dominazione da parte dei Sultani ottomani. In aggiunta, le ambizioni di Ankara sembrano essere più pragmatiche, essendo la Serbia il mercato più importante di tutta l’area ex jugoslava. In concreto, si è parlato di investimenti in campo infrastrutturale e dei trasporti nell’area Balcanica, a cominciare dall’avvio del progetto di autostrada fra la regione del Sangiaccato e la capitale bosniaca, Sarajevo.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 19 ottobre. Il discusso disegno di legge, voluto dal governo di Malcom Turnbull, che prevedeva una legislazione più severa e requisiti più rigidi per l’ottenimento della cittadinanza, è stato bloccato al Senato dai partiti di opposizione. Il Primo Ministro con un passo indietro ha dichiarato che farà modificare il testo della legge.

CAMBOGIA 15 ottobre. Nuove pressioni contro il partito di opposizione. Dopo che il partito di maggioranza aveva richiesto alla Corte Suprema lo scioglimento del principale partito di opposizione (CNRP), il cui leader è stato arrestato con l’accusa di tradimento, la situazione è precipitata. Il CNRP ha ottenuto ottimi risultati alle elezioni comunali, il Presidente Hun Sen ha inasprito i toni verso l’opposizione e ha accusato il partito di voler rovesciare il suo governo. È attesa nei prossimi giorni la decisione della Corte.

CINA 18 ottobre. Inaugurato il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese, il presidente Xi Jinping ha aperto i lavori del congresso con un discorso

INDIA E CINA: DUE GIGANTI AL CONFINE Le due potenze nucleari, il Bhutan e in confini contesi

Di Emanuele Chieppa

himalayano.

La disputa territoriale tra India e Cina ha avuto inizio verso la metà di giugno, quando il governo cinese ha dato il via alla costruzione di una strada in una regione chiamata Doklam, territorio appartenente al Bhutan, un piccolo stato incastonato tra le due potenze. In risposta alla Cina e in sostegno al Bhutan, l’India ha deciso di inviare le sue truppe ai confini allo scopo di impedire il proseguimento dei lavori per la costruzione della strada. Pechino avrebbe dunque schierato le sue truppe, ma per fortuna il confronto non si è tramutato in conflitto. Nessun colpo è stato sparato dalle forze convenute: secondo gli analisti, una guerra tra i due giganti è improbabile.

Dopo il summit dei BRICS del 5 settembre e dopo l’incontro tra Xi Jinping e Modi, le truppe indiane hanno fatto ritorno alle loro basi nel Doklam. La situazione, però, è più complessa di quel che può apparire. La Cina è consapevole di potere mantenere una posizione di vantaggio in questa disputa; l’India e il piccolo Stato himalayano temono invece un controllo diretto da parte di Pechino nella zona, ma, allo stesso tempo, sono consapevoli che un atteggiamento troppo intransigente potrebbe condurre a gravi ripercussioni economiche.

Le due grandi e popolose nazioni, però, hanno incrociato le armi nel 1962, proprio per una contesa riguardante il territorio dell’Aksai Chin e dell’Arunachal Pradesh. Dopo continue violazioni territoriali reciproche ed un’escalation durata quasi due anni, le armate sui due fronti si sono scambiate colpi di artiglieria in campo aperto, per poi passare a uno scontro diretto durato 32 giorni. La Cina uscì vincitrice e poté quindi appropriarsi di zone strategicamente importanti, tra cui un’ampia porzione di territorio

Il Bhutan è in piena crescita: quest’anno il suo PIL dovrebbe aumentare dell’8,2 % secondo il FMI e il governo di Thimphu non vuole rinunciare un importante partner commerciale come la Cina. Anche Nuova Delhi deve gestire interessi configgenti: negli ultimi anni ha seguito con attenzione l’apertura della nuova via della seta, vista come un tentativo di controllo regionale cinese, ma anche come un’opportunità di sviluppo economico. L’esclusione dal progetto rappresenterebbe una somma sconfitta per l’India, soprattutto alla luce dello sviluppo di piani comuni tra la Repubblica Popolare Cinese ed il Pakistan, nemico di vecchia data.

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ORIENTE incentrato su difficoltà e minacce che incombono sul pianeta. Per Xi Jinping il congresso inaugura una “nuova era” cinese, il Presidente in un discorso di oltre tre ore ha illustrato gli obbiettivi che la Cina dovrà perseguire sino al 1949, 100° anniversario della nascita della Repubblica Popolare. Attenzione particolare dei media di tutto il mondo sulla possibile nomina di un successore di Jinping. COREA DEL SUD 16 ottobre. Al via nuove esercitazioni militari congiunte con le forze armate di Washington. Seul ha inoltre dato il via a massicce operazioni militari nelle acque marittime limitrofe alla Corea del Nord, a fianco dei militari sudcoreani anche la portaerei nucleare USS Ronald Reagan, tra le navi da guerra più grandi e potenti in servizio. FILIPPINE 16 ottobre. La città di Marawi, nel sud delle Filippine, è stata liberata dal commando di estremisti jihadisti che dal maggio scorso teneva la città sotto scacco. L’operazione è stata attuata dall’esercito regolare filippino, che il presidente Duterte ha ringraziato pubblicamente. Resta da chiarire quale sarà la posizione del Presidente nei confronti delle fazioni estremiste dello jihadismo ancora presenti nelle Filippine. PAKISTAN 17 ottobre. Nuovo attentato da parte dei talebani, colpita la citta di Quetta nell’ovest del Paese. La bomba lanciata contro un veicolo della polizia ha causato almeno 7 morti e 20 feriti tra civili e militari. L’attentato è stato subito rivendicato dai talebani. A cura di Tiziano Traversa 12 • MSOI the Post

Il GIAPPONE A ELEZIONI ANTICIPATE Abe e suoi frammentati avversari

Di Alessandro Fornaroli Il 10 ottobre è iniziata ufficialmente la campagna per le elezioni anticipate in Giappone. Le votazioni per il rinnovo della Camera di Rappresentanti, ramo principale della Dieta, si terrà il 22 dello stesso mese. In occasione del primo dibattito pubblico al Nippon Press Center tra gli esponenti degli otto principali partiti, è diventato chiaro come il Paese del Sol levante stia assistendo a un decisivo riallineamento politico. Per la rischiosa strategia dell’attuale premier Shinzo Abe di correre alle urne con un anno di anticipo e nonostante il recente rimpasto di governo, sono state addotte diverse ragioni. Una è sfruttare la ripresa non solo economica, ma anche in termini di popolarità del Primo Ministro, che a luglio ha toccato i minimi storici. Un’altra: ottenere un vantaggio sulle opposizioni. La governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, aveva in effetti annunciato la fondazione del suo Partito della Speranza con poche ore di anticipo sulla inattesa chiamata al voto. Il principale partito di opposizione, il Partito Democratico di Seiji Maehara si è presto spezzato. I suoi membri hanno rinforzato le file del neonato partito, salvo per i meno conservatori, che, di fronte al rifiuto, han formato il Partito Democratico Costituzionale, sotto la guida di Yukio Edano.

Ma Abe ha addotto una terza ragione, di carattere geopolitico. L’arcipelago nipponico, ospitando ancora una larga presenza militare americana, rappresenta un bersaglio d’eccezione per Pyongyang. Secondo Harumi Arima, analista indipendente: “La Corea del Nord ha permesso ad Abe di aumentare i propri indici di consenso, dando l’impressione ai cittadini di essere l’unico uomo in grado di gestire la minaccia nordcoreana”. Così come il Partito Liberal Democratico (LPD) di Abe, i summenzionati novelli avversari sono favorevoli a una revisione costituzionale. La Koike punta però anche a innovazioni nel campo dell’energia pulita non nucleare, mentre Edano promuove un intervento più orientato a sinistra, enfatizzando i valori pacifisti presenti nella Costituzione riformata durante l’occupazione americana. L’LPD detiene attualmente 287 seggi, i quali, con i 35 del partito alleato Komeito, gli permettono di ottenere una maggioranza dei due terzi. Se all’esito delle elezioni Abe non avrà saputo mantenere questo vantaggio, dovrà dimettersi. Yuriko Koike vorrà probabilmente rimanere governatrice della capitale e non candidarsi come Primo Ministro. Qualora conquistasse le preferenze degli elettori, dovrà indicare un candidato, ma al momento ha deciso di lasciare la questione in sospeso.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

LIBERIA 13 ottobre. Sono stati diffusi i risultati parziali delle elezioni presidenziali in Liberia. L’ex calciatore George Weah, candidato del partito d’opposizione Congresso per il Cambiamento Democratico (CDC), sarebbe in testa con il 39% delle preferenze. È necessaria una maggioranza assoluta dei voti per evitare il ballottaggio. I candidati si sfidano per prendere il posto della dipartente Ellen Johnson Sirleaf, la prima donna africana ad essere eletta democraticamente. NIGERIA 13 ottobre. Secondo un funzionario di polizia locale, 4 missionari britannici sarebbero stati sequestrati lo scorso venerdì in Nigeria, nello Stato meridionale di Delta, da un gruppo armato non ancora identificato. Si indaga per sequestro a scopo di estorsione, problematica diffusa in diverse aree del Paese. SOMALIA 16 ottobre. È salito a oltre 300 morti il bilancio della strage con un camion-bomba in centro a Mogadiscio. Le autorità somale attribuiscono la responsabilità al gruppo terroristico al-Shabaab, che non ha ancora rivendicato l’attentato. Si teme che il numero delle vittime possa salire, a causa dei numerosi feriti ancora in pericolo di vita.

PESTE POLMONARE IN MADAGASCA

OMS invia 1,2 milioni di dosi di antibiotico e stanzia $1,5 milioni

Di Barbara Polin Il Madagascar fronteggia un aggravamento della situazione sanitaria interna a causa della comparsa della peste polmonare. I dati ufficiali del 16 ottobre indicano 57 morti e 580 nuovi infetti e di una mortalità pari al 100% nei casi di contagio. La diffusione della peste polmonare si sovrappone all’epidemia di peste bubbonica, la variante più frequente del batterio Yirsinia Pestis che affligge il Paese dalla fine di agosto. La peste, in realtà, è una malattia storicamente presente in Madagascar. Il batterio viene trasmesso dalle pulci a un veicolo animale, spesso i roditori. Poiché i topi sono abitualmente consumati come alimento nelle zone rurali dell’isola, la malattia miete circa 400 vittime l’anno, soprattutto da settembre ad aprile, durante la stagione delle piogge, durante la quale i roditori escono dalle tane. Oltre che nel numero di contagi, l’eccezionalità della nuova ondata di epidemia risiede nella propagazione del morbo nei centri urbani, come la capitale Tana, e nella frequenza dei casi di peste polmonare, la cui rapida diffusione dipende dalla possibilità di trasmissione uomo-uomo, assente nella variante bubbonica. La risposta della comunità internazionale è stata consi-

stente: sull’isola, infatti, oggi lavorano congiuntamente lo UK Public Health Rapid Support Team, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive e MSF. Dal punto di vista delle risorse, inoltre, l’OMS ha dichiarato di aver spedito sull’isola 1,2 milioni di dosi di antibiotico e di aver stanziato 1,5 milioni di fondi d’emergenza, al fine di alleviare la pressione che grava sulle strutture sanitarie del Paese, presenti in maniera frammentaria. La somministrazione di antibiotici è fondamentale per il contenimento dell’epidemia. Ma la diffusione del batterio della peste può essere fermata anche con un trattamento sanitario per la disinfestazione degli ambienti dalle pulci infette e, soprattutto, tramite una campagna di informazione. Queste soluzioni, però, si scontrano con problematiche di carattere pratico: il Madagascar è un’isola estesa e le sue autorità non hanno saputo reagire con la dovuta prontezza alla diffusione dell’epidemia. A questo si sommano le carenze del sistema sanitario dell’isola e la povertà endemica, un insieme di fragilità che ha contribuito a provocare la recrudescenza dell’epidemia. MSOI the Post • 13


AFRICA SUDAFRICA 17 ottobre. Il presidente sudafricano Jacob Zuma ha annunciato una nuova riorganizzazione del governo, in cui sei ministeri cambieranno titolare. La nomina del suo associato David Mahlobo alla guida del Ministero dell’Energia accresce il sospetto che Zuma voglia far approvare entro breve tempo il suo programma di potenziamento nucleare. Il programma è stato criticato dall’opposizione e dalla società civile per mancanza di trasparenza. TOGO 18 ottobre. 4 persone sono rimaste uccise negli scontri occorsi tra forze di sicurezza e manifestanti. Questi ultimi chiedevano la fine della dittatura della famiglia Gnassingbé, che dura da più di mezzo secolo. I leader dell’opposizione protestano da mesi contro l’amministrazione del presidente Faure Gnassingbé, e in particolare contro un progetto di riforma costituzionale che gli permetterebbe di governare fino al 2030. ZIMBABWE 17 ottobre. Dopo lo stop alle importazioni di riso dello scorso giugno, il governo dello Zimbabwe ha annunciato la decisione di vietare anche le importazioni di frutta e verdura, con l’obiettivo di risparmiare valuta straniera e promuovere la crescita della produzione locale. Lo scorso anno, lo Zimbabwe avrebbe importato circa 80 milioni di dollari di prodotti agricoli, soprattutto dal Sudafrica, e questo avrebbe prosciugato le già scarse riserve di valuta straniera nel Paese. A cura di Simone Esposito 14 • MSOI the Post

L’OMBRA DI AL-SHABAAB

Un camion è esploso nella capitale della Somalia: oltre 300 le vittime

Di Jessica Prieto

trollo sulla Somalia.

Nella giornata di sabato 14 ottobre la capitale della Somalia, Mogadiscio, è stata colpita da un gravissimo attentato che ha causato oltre 300 vittime.

Tale attacco è stato definito dalla Associated Press come l’attentato che ha fatto più morti nella storia della Somalia. Secondo un contatto intervistato da Le Monde Afrique, a seguito dell’esplosione sono stati ritrovati due camion con due tonnellate di esplosivi militari e materiali chimici infiammabili, un dato rilevante poiché testimonierebbe la crescita dell’organizzazione, che solo un anno fa si limitava ad attacchi minori.

L’attacco non è stato ancora rivendicato, ma le forze di sicurezza credono che dietro ad esso si celino i terroristi estremisti jihadisti di al-Shabaab, cellula somala di al-Qaeda. Tale organizzazione è nata nel 2006 dalla dissoluzione dell’Unione delle Corti Islamiche, gruppo che raggruppava le varie correnti islamiche della capitale contrapposte al governo di transizione somalo (governo costituitosi all’indomani della guerra civile somala e la caduta di Siad Barre, dittatore somalo dal 1969 al 1991). Nel dicembre dello stesso anno, il governo provvisorio cercò di scacciare le corti islamiche da Mogadiscio, iniziando una guerriglia urbana che provocò numerose vittime, sfollati e la dissoluzione dell’Unione, dalle cui ceneri nacque appunto al-Shabaab. Uno degli obiettivi principali di questa organizzazione è quindi l’imposizione della sharia come legge del Paese e la ricreazione di uno Stato islamico sulle orme delle Corti, che fino al 2006 avevano avuto pieno con-

Nonostante il gruppo sia meno conosciuto mediaticamente rispetto ad altre cellule terroristiche come Boko-Haram o al-Qaeda, secondo una recente ricerca condotta dal Centro Strategico d’Africa, oggi al-Shabaab risulta essere il gruppo più “mortale” del Continente. Esso, nel 2016, avrebbe causato più di 4200 vittime contro le 3500 di Boko-Haram. Di fronte alla minaccia crescente la Comunità Internazionale sembra essere incapace di azioni concrete: l’AMISOM (African Union Mission in Somalia) e l’esercito nazionale somalo mancano di uomini e risorse. Di questo passo quest’evento potrebbe essere solo l’inizio di numerose stragi che potrebbero insanguinare ancora il Paese.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 18 ottobre. É stato trovato nel fiume Chubut il cadavere di Santiago Maldonado, un giovane attivista sparito lo scorso 1° agosto, durante la repressione di una protesta indigena da parte della Gendarmeria. La sparizione di Maldonado è diventato, nelle ultime settimane, un caso di rilevanza politica nazionale.

BRASILE 14 ottobre. Avanzano le trattative tra l’Italia e il Brasile relative al caso di Cesare Battisti; la dichiarazione del ministro della giustizia brasiliano Torquato Jardim, nella quale sostiene che il terrorista abbia “rotto il rapporto di fiducia” instaurato con il governo brasiliano, confermerebbe l’idea della riconsiderazione dell’estradizione da parte del presidente Temer. Il 24 di ottobre è la data in cui la Corte Suprema brasiliana pronuncerà il parere definitivo sulla richiesta di habeas corpus domandata dagli avvocati di Battisti. HAITI 15 ottobre. Naufragio di un’imbarcazione clandestina proveniente dall’isola di Tortuga e diretta verso un’isola dell’arcipelago di Turks e Caicos, nei Caraibi. Secondo i sopravvissuti, sulla barca si trovavano almeno una cinquantina di persone. Tali tentativi di immigrazione sono

VENEZUELA: NETTA VITTORIA DI MADURO ALLE ELEZIONI REGIONALI L’opposizione, data in netto vantaggio alla vigilia, denuncia brogli elettorali

Di Tommaso Ellena

le”.

Il Consejo Nacional Electoral (CNE) venezuelano ha annunciato il trionfo dei candidati del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), che alle elezioni di domenica 15 ottobre hanno vinto in 17 dei 23 Stati federati. L’insieme dei politici venezuelani legati al PSUV ha perso solamente 3 Stati, perdita che in un clima di sfiducia e tensione nei confronti del Governo resta un successo. Maduro ha accolto il risultato con grande soddisfazione, dichiarando che “il Chavismo è vivo e ha trionfato” e definendo la vittoria “netta, perentoria”. Il leader chavista ha poi augurato un buon lavoro ai Governatori eletti, ricordando: “non abbiamo vinto per distruggere, ma per lavorare”.

Anche dall’estero sono arrivate le prime reazioni ai risultati elettorali. Evo Morales ha accolto con felicità la vittoria di Maduro, sostenendo che ha vinto la democrazia e che il popolo venezuelano ha difeso la propria sovranità e dignità. Dall’altro lato, l’ex presidente della Costa Rica Laura Chinchilla, ha espresso la sua delusione per una “frode annunciata”, concludendo con una amara riflessione: “le dittature non perdono mai”.

L’opposizione, riunita nella Mesa de la Unidad Democrática (MUD), ha ottenuto la maggioranza solamente in 5 Stati. Prima dell’uscita dei risultati, il direttore della campagna elettorale Gerardo Blyde aveva annunciato che il suo staff nutriva forti sospetti riguardanti brogli elettorali. I vertici del CNE, sotto accusa dall’opposizione hanno cercato di placare le proteste: il 61% degli aventi diritto si è recato alle urne, e per la presidente Tibisay Lucena la vittoria è “irreversibi-

L’UE ha seguito con attenzione le elezioni di domenica, e i rappresentanti diplomatici dei 28 Paesi membri hanno deciso all’unanimità di attuare le prime sanzioni nei confronti del Venezuela. Queste misure, tra cui il congelamento dei beni europei (fisici e bancari), puntano a sanzionare direttamente i dirigenti del PSUV, accusati di aver alimentato le violenze prima e durante la tornata elettorale. Questa mossa sarà sufficiente a placare il clima post-elettorale e favorire un ritorno della democrazia nel Paese latinoamericano? Probabilmente no, ma Bruxelles potrebbe ampliare le sanzioni se il Venezuela non dovesse ricominciare un dialogo democratico con i propri cittadini e con l’opposizione.

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SUD AMERICA ricorrenti: migliaia di giovani haitiani fuggono dalla povertà estrema per raggiungere gli Stati Uniti o i Caraibi. MESSICO 17 ottobre. Gli Stati Uniti hanno annunciato che le trattative tra Canada, USA e Messico per la ritrattazione dell’Accordo NordAmericano per il Libero Scambio (NAFTA) continueranno nel 2018, non terminando come invece era previsto nel 2017. La rinegoziazione del trattato è da inserirsi nella più vasta politica del presidente Trump di revisione degli impegni relativi al commercio internazionale. PERÙ 17 ottobre. L’avvocato Martha Huatay, considerata dalle autorità peruviane come una dei leader del gruppo terroristico Sendero Luminoso, è tornata libera dopo aver scontato una pena di 25 anni di carcere. Era stata condannata, oltre che per l’organizzazione di attentati terroristici, in quanto leader del gruppo Socorro Popular, creato per raccogliere fondi, dare supporto logistico e curare i feriti di Sendero Luminoso. VENEZUELA 18 ottobre. Il presidente Maduro ha afferma,to durante un’intervista con la stampa straniera, che le istituzioni europee si lascerebbero “possedere da una visione parziale” e che avrebbero “rotto tutti i meccanismi di consultazione” bilaterali. Questo il motivio per cui ne ignorerà le sanzioni. Egli ha inoltre richiesto un incontro con l’alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri Federica Mogherini, che secondo lui finora avrebbe ascoltato solo la destra venezuelana. A cura di Anna Filippucci

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MESSICO E LA PREOCCUPAZIONE PER IL FUTURO DEL NAFTA I rinvii degli Stati Uniti complicano la prospettiva messicana per il libero scambio

Di Daniele Pennavaria Dopo 23 anni dalla sua entrata in vigore, l’Accordo Nordamericano per il Libero Scambio (TLC nei Paesi ispanofoni, ma più conosciuto come NAFTA) è arrivato ad uno stallo, specialmente in funzione delle politiche adottate nei confronti del libero scambio dalla presidenza Trump. Lo scetticismo da parte degli Stati Uniti è aumentato, anche in seguito alla presentazione di un documento da parte di Peter Navarro, consigliere commerciale della Casa Bianca e detrattore dichiarato del NAFTA, che collega al libero scambio intrapreso dagli USA una fase recessiva del settore manifatturiero e il peggioramento di alcune problematiche sociali diffuse nel Paese. The Washington Post ha spiegato che il documento ,benché di sole due pagine e senza prove empiriche, supporta la politica isolazionista che vorrebbe gli USA fuori dalle partnership commerciali. Una simile misura sarebbe, però, con le parole di Jan Martínez Ahrens de El País, un “terremoto economico per il Messico”, la più piccola delle economie coinvolte nel Trattato. I negoziatori messicani, con il sostegno del Canada, sono impegnati da mesi per arrivare a una forma condivisa delle “mode-

razioni” che l’amministrazione statunitense vuole imporre al NAFTA. Tra i punti principali delle contrattazioni la provenienza delle componenti del settore automobilistico, la cui produzione in Messico era risultata finora vantaggiosa; l’abolizione del sistema di risoluzione delle controversie; e, soprattutto, l’aggiunta di una clausola che preveda una nuova ratifica ogni 5 anni, per il rinnovo del Trattato. Ildefonso Guajardo Villareal, segretario dell’economia del governo messicano, ha commentato che l’aggiunta di quest’ultima clausola significherebbe la “morte certa” del Trattato. Per il Messico, interessato in particolare a chiarire il quadro legale dei lavori stagionali che attraversano il confine a nord, e a progredire nell’integrazione dei mercati delle telecomunicazioni, i risultati delle trattative non sono stati finora positivi. Lo stallo ha portato all’estensione dei cosiddetti NAFTA Talks fino al 2018, con una possibile sovrapposizione con le presidenziali messicane che si terranno il prossimo luglio. In un clima di tensione, il ministro degli Esteri Luis Videgaray ha dichiarato, anche come reazione all’apertura di negoziato esclusivo tra USA e Canada, che la fine del trattato regionale danneggerebbe tutte le altre relazioni di cooperazione tra Messico e Stati Uniti.


ECONOMIA IMMIGRANTS AND REFUGEES: ECONOMIC RESPONSE POLICIES AND DIFFERENT IMPACTS ON LOCAL ECONOMIES Are the receiving countries missing an opportunity?

Di Francesca Maria De Matteis Everyday thousands of people are crossing the Mediterranean to reach the Southern Europe coasts, endangering their own life and the ones of their children. Moreover, thousands of refugees coming from Asia, mainly from Syria, Afghanistan, and Iraq - but also from Philippines and India -, land in the Eastern countries of our continent, such as Bulgaria and Hungary, while Latin Americans move towards U.S., Canada, and Australia. Most of the migrant inflow is seen as a problem, whereas in developing countries migration can be considered as an investment and a way of diversifying risk. But “refugee” is not a synonym of “migrant”. A research conducted by OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development) in 2012 highlighted that, in the past ten years, immigrants represented a 70-percentincrease in the European workforce, “filling labour needs by taking up jobs regarded by domestic workers as unattractive or lacking career prospects”, “playing a significant role in the most dynamic sectors of

the economy” and “contributing more in taxes and social contributions than they receive individual benefits”. In every European country a very tough discussion is being led. Different political parties from each European Union nations argue that their presence harms our economy. However, it is not often true: most of the times immigrants lower, in average, the age of the population. In Italy, for instance, over-75 native-born represent the 10%, while less than the 1% of the foreign-born people is 75 years old or over. They also do pay taxes, contributing to the national balance and GDP. A research led by the International Monetary Fund highlighted the relation between the implications of migration and its macroeconomic impact. In the short term, the aggregate demand increases, potentially making long-run investments spur, but also the public spending and the fiscal costs rise are sizable. But in the middle and long term, the refugee supply shock impact on the receiving economy changes depending on how long it will take for them

to be integrated in the labour market. In the long run, the evidence suggests that lower migration barriers raise wages, redistribute national employment, and expand national output and income. Every single country has its own integration policy: times needed by reception procedures are different and affect consistently the speed in the absorption process. Eurostat data reported that in 2016 only 14,205 immigrants have been officiallyrecognizedasresettledrefugees Europewide. Once they receive the regular documentation requested, all the ex-asylum seekers need some more time to enter permanently the recipient country’s labour market. Facilitating their access to the local economy is the next step, with active labour market policies: introducing temporary higher minimum wages for refugees, tailored introductory programmes and fiscal reforms will help removing barriers to employment. In this situation, the Governments’ assistance is fundamental for the immigrant integration in both public and private sectors. MSOI the Post • 17


ECONOMIA SIEMENS-ALSTOM

Un colosso europeo contro la concorrenza cinese

Di Ivana Pesic A fine settembre, l’asse tra Emmanuel Macron e Angela Merkel per creare dei “campioni industriali europei” ha portato i primi frutti. Da un lato, Siemens Mobility, la controllata del colosso industriale tedesco che si occupa di mobilità e attività ferroviarie. Dall’altro, Alstom, società francese che, tra gli altri, realizza il TGV, il treno ad alta velocità che ha rivoluzionato la mobilità transalpina. Due gruppi quasi equivalenti: un giro d’affari di 7,3 miliardi e 32.000 dipendenti per Alstom e per Siemens, rispettivamente, 7,8 miliardi e 27.000 lavoratori. In totale, oltre 15 miliardi di euro di fatturato all’anno in treni, infrastrutture ferroviarie, sistemi di segnaletica e servizi ferroviari.

il 20% del capitale di Alstom, non eserciterà l’opzione di acquisto di un ulteriore 20% che detiene dal 2014 come prestito dal gruppo di telecomunicazioni Bouygues, primo azionista di Alstom con il 28,3% del capitale. La nuova società manterrà la sede a Parigi, così come la quotazione; il presidente sarà nominato dal gruppo Siemens, mentre l’AD della newco sarà quello attualmente in carica presso Alstom, Henri Poupart-Lafarge. Siemens, inoltre, nominerà 6 degli 11 componenti del consiglio di amministrazione.

Un progetto di fusione tra le due società era già studiato nel 2014, ma non era andato in porto allora perché Alstom aveva preferito cedere le sue attività del settore energia a General Electric per concentrarsi sul settore ferroviario.

Dalla fusione multi-miliardaria tra le due società è nato un gigante europeo nel settore ferroviario in grado di resistere alla concorrenza dei cinesi. Il colosso appena nato, infatti, è il secondo gruppo mondiale nel settore, dopo la holding statale cinese CRRC nata il primo giugno 2015 dall’unione di due imprese statali e che, ormai da tempo, propone la sua offerta low-cost in tutto il mondo, generando un fatturato di 30 miliardi di euro.

Siemens trasferirà la sua divisione di treni, trazione e segnalamento ferroviario alla nuova società, SiemensAlstom, di cui controllerà il 50% delle azioni. Mentre il governo francese, che detiene

Il gigante europeo potrebbe, potenzialmente, rafforzarsi ulteriormente nei confronti della rivale cinese. Questo considerando i negoziati in corso da mesi tra Siemens e Bombardier per un’alleanza

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con la società canadese o, più probabilmente, a questo punto, per un’acquisizione. Il presidente Emmanuel Macron, che su Fincantieri-Stx si è messo fortemente di traverso, in questo caso ha supportato l’avanzata tedesca dopo aver ricevuto rassicurazioni sulla salvaguardia dei posti di lavoro. Fa infatti parte dell’accordo un patto per garantire la protezione dei lavoratori tedeschi e francesi nei prossimi quattro anni. Fattore non di poco conto considerando che lo scorso anno Alstom aveva annunciato un piano per dimezzare la produzione di TGV e, di conseguenza, il numero di occupati nei suoi stabilimenti. Per il momento, non sono previste, tuttavia, particolari clausole per i dipendenti italiani. È importante ricordare, infatti, che Alstom vanta una forte presenza industriale anche in Italia, con i siti di Savigliano (Cuneo), Sesto San Giovanni (Milano) e Bologna, per un totale di 2.700 operai, di cui 1.100 occupati presso il primo polo. È per questo che diversi deputati cuneesi hanno presentato un’interrogazione al Ministro delle Infrastrutture per avere rassicurazioni sulle ricadute occupazionali dell’intesa.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO DOPPI STANDARD DI QUALITÀ NEI PRODOTTI ALIMENTARI Il no dell’Europa ai “consumatori di serie B”

Di Chiara Montano Durante il discorso pronunciato sullo stato dell’Unione lo scorso 13 settembre, il presidente della Commissione europea, JeanClaude Junker, ha sottolineato la problematica della “doppia qualità” dei prodotti alimentari in alcuni Stati membri. In particolare, la questione riguarda l’accusa mossa da alcuni Paesi dell’Europa orientale secondo i quali certe imprese immetterebbero sul mercato dei prodotti esattamente identici a quelli compravenduti nel resto d’Europa, con medesime confezioni e identico aspetto esteriore, ma di qualità differente. La denuncia dell’esistenza di un doppio standard di qualità degli alimenti era stata fatta inizialmente da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, a cui poi si sono aggiunti altri Paesi dell’Est Europa. Nel giugno 2016, la Commissione aveva negato che ci fossero anomalie di mercato. Tuttavia, uno studio condotto recentemente in Slovacchia ha rivelato la presenza di una quantità inferiore di carne nelle versioni locali degli stessi prodotti. Nel suo discorso, il presidente Juncker ha affermato: “In un’Unione delle uguaglianze non

possono esserci consumatori di seconda classe. Non accetterò che in alcune parti d’Europa vengano venduti ai consumatori prodotti alimentari di qualità inferiore rispetto a quella di altri paesi”. Food Drink Europe, che rappresenta l’industria alimentare europea, ha rilasciato un comunicato in cui mostra piena condivisione con quanto affermato dal presidente Juncker; dall’altra parte, però, afferma che differenti composizioni dei prodotti, non necessariamente fra est e ovest, rispondono all’esigenza di accontentare tutti i consumatori, che a livello locale, potrebbero avere preferenze di gusto differenti. Non si tratterebbe quindi di una qualità “doppia” o “inferiore”, bensì di un’esigenza di mercato. Questo tema è attualmente al vaglio del Parlamento europeo e della Commissione europea, che stanno discutendo le leggi a tutela dei consumatori. Nel frattempo, la Commissione ha pubblicato alcune linee guida al fine di aiutare le autorità nazionali a presentare eventuali reclami, laddove ritengano che i prodotti commercializzati sul loro territorio siano di qualità inferiore. Nello specifico, gli orientamenti pubblicati dalla Commissione

europea hanno il fine di aiutare le autorità nazionali competenti a stabilire se un’impresa sta infrangendo o meno le norme dell’UE quando vende prodotti alimentari con differenze di qualità in paesi diversi. Infatti, le linee guida predispongono un approccio fase per fase che può essere seguito dalle autorità nazionali preposte al controllo degli alimenti e alla tutela dei consumatori. In particolare, vengono elencati i pertinenti obblighi imposti dalla normativa UE, come il regolamento relativo alle informazioni sugli alimenti e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Dal punto di vista finanziario, l’Unione europea ha dimostrato il suo impegno stanziando un milione di euro per contribuire al finanziamento di studi o di misure volte a garantire il rispetto e l’applicazione delle norme. Infine, la Commissione sta lavorando a una metodologia per migliorare condivisa l’analisi e la comparazione dei prodotti alimentari e ha dato avvio a un dialogo con le associazioni di produttori e di marchi, che da parte loro si sono impegnate a elaborare un codice di condotta nel breve termine. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL TIMORE DEL NUCLEARE: DAL PREMIO NOBEL PER LA PACE ALLA TENUTA DELL’ACCORDO CON L’IRAN A pochi giorni dall’assegnazione del Premio Nobel all’ICAN, Trump minaccia il futuro dell’accordo nucleare con l’Iran

Di Federica Sanna Il 6 ottobre, il Comitato per il Nobel ha assegnato il premio per la pace all’ICAN, la Campagna Internazionale contro le Armi Nucleari. La decisione ha una forte valenza politica in un momento in cui la tensione a causa della minaccia del nucleare è alta. Da un lato, la scelta svedese sembra voler dare un segnale agli stati che hanno deciso di non aderire al Nuclear Ban Treaty, premiando l’impegno della Campagna internazionale nella fase di negoziazione dell’accordo. Il trattato, firmato a luglio, vede infatti tra i grandi assenti le potenze della NATO e, tra queste, gli Stati Uniti hanno ripetutamente dichiarato la loro contrarietà nel firmare il testo che mette al bando l’utilizzo delle armi nucleari. D’altra parte, l’assegnazione del Nobel è avvenuta pochi giorni prima di un nuovo momento di crisi nella lotta internazionale al nucleare: Donald Trump si è rifiutato di “certificare” il rispetto da parte dell’Iran dell’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA). Il testo è stato firmato nel 2015 da Iran, USA, Cina, Russia e il cosiddetto EU3 (Unione Europea, Regno Unito, Germania e Francia), con l’obiettivo di ridurre le riserve di uranio iraniane e di conseguenza abolire

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le sanzioni economiche applicate nei confronti del paese. Basandosi sul meccanismo del controllo e della verifica, il Presidente americano è tenuto a verificare la conformità delle azioni dell’Iran con le previsioni dell’accordo ogni 90 giorni. Entro il 15 ottobre Trump avrebbe dovuto, come già fatto in precedenza, “certificare” il rispetto degli obblighi. Al contrario, il Presidente ha sostenuto che il paese stia violando “lo spirito dell’accordo”, a causa della mancata collaborazione con gli Stati Uniti in diversi ambiti, quali lo sviluppo dei diritti umani e la questione del sostegno ad Assad in Siria. La giustificazione americana, quindi, non si basa sui criteri oggettivi di violazione stabiliti dal trattato, come la mancata implementazione dell’accordo in maniera trasparente e verificabile o la ripresa clandestina dell’attività di arricchimento nucleare, ma su un giudizio soggettivo di incompatibilità con gli interessi nazionali degli USA. Le conseguenze della dichiarazione di Trump possono essere diverse. Tocca adesso al Congresso americano stabilire la necessità o meno di reintrodurre le sanzioni nei confronti dell’Iran, così come previsto dal trattato in caso di violazione degli obblighi. Lo scenario più probabile è che i parlamentari chiedano una revisione del JCPOA che permetta di continuare nell’im-

plementazione del trattato senza che il Presidente sia tenuto a certificarne periodicamente la tenuta. Tale soluzione sarebbe conveniente per Trump dal punto di vista della credibilità politica, dal momento che in campagna elettorale aveva più volte denunciato la scelleratezza dell’accordo. D’altra parte, ne uscirebbero vincitori anche gli altri Stati coinvolti, ottenendo di fatto un rafforzamento del trattato, che non necessiterebbe più della certificazione americana. Sebbene l’Iran si sia dichiarato contrario a una revisione dei termini dell’accordo, le diverse posizioni politiche interne convergono su un punto: la necessità primaria di evitare la reintroduzione delle sanzioni economiche. Di conseguenza, la via d’uscita che il Congresso americano potrebbe presentare nei prossimi giorni si rivelerebbe forse la migliore soluzione nel contesto internazionale attuale. Tra le più influenti voci in materia, l’ICAN ha sottolineato come la strategia politica di Trump stia innescando nuovi conflitti, invece di ridurre il rischio di una guerra nucleare. L’assegnazione del Nobel al movimento, come riconoscimento del ruolo avuto nei negoziati ONU, evidenzia l’importanza di dichiarare inequivocabilmente l’opposizione internazionale all’utilizzo delle armi nucleari.


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