MSOI thePost Numero 81

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Efrem Moiso, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BRUXELLES 25 ottobre. Semi-deserta l’aula del Parlamento Europeo durante la discussione di una serie di mozioni, presentate dai vari gruppi in vista del voto del 26 ottobre, riguardanti una risoluzione sulla lotte alle molestie nell’Unione Europea. Molto dura la reazione di alcune eurodeputate, che hanno lasciato intendere come sia difficile affrontare il tema anche all’interno delle istituzioni europee. Antonio Tajani, presidente del PE, ha dichiarato: “Il Parlamento continuerà a praticare una politica di tolleranza zero nei confronti di ogni forma di abuso”.

GERMANIA 24 ottobre. L’ex ministro delle Finanze del governo di Angela Merkel, Wolfgang Schaeuble, è eletto presidente del Bundestag. I collaboratori del Ministero hanno deciso di salutare Schaeuble dalla finestra del suo ufficio formando uno zero indicante il raggiunto pareggio di bilancio, lo Schwarze Null, da sempre suo obiettivo primario. SPAGNA 26 ottobre. Non accenna a diminuire lo scontro tra Madrid e il governo della Catalogna. Dopo un’intera notte di trattative serrate, Carles Puigdemont annuncia l’intenzione di convocare

THE END OF THE SPANISH CRISIS

Spanish Senate decides on the application of Article 155 of the Spanish Constitution

By Ann-Marlen Hoolt Today’s Senate-Meeting in Spain might determine the fate of Catalonia, the autonomous Spanish community that has recently declared its independence. In a referendum held on October 1st, the people of Catalonia voted for their independence from their mother state, even though the Spanish court of law had called the vote “illegal”. Since then weeks of discussion and protests have dominated Spanish politics. The Catalonian and Spanish government have stopped communicating directly, only passing information through the media. Carles Puigdemont, President of Catalonia since January 2016, leads the Catalonian independence movement. He has so far avoided making a concrete announcement concerning the independence, not wanting to risk a break with either Madrid or his own cabinet. After weeks of public demonstrations and political dispute, it now seems the Spanish government and their president Mariano Rajoy are no longer willing to endure the crisis. They activated Article 155 of the Spanish Constitution stating that every regional Government in the country is obliged to

honour the Constitution or “by necessary means, that will force them to perform their duties” will follow. Still, Catalonia is not willing to collapse under the pressure from Madrid. Puigdemont called Rajoy’s political move a putsch, comparing it to the dictatorship of Francisco Franco. He is already considering a lawsuit against Rajoy and his government. Today the Spanish Senate, in which Rajoy’s party has most of the seats, must approve of the actions against Catalonia. Should they do so the Cabinet of Catalonia, will be degraded and new elections will be scheduled. Catalonia is only one example for calls for independence all over Europe. Others are Scotland, Northern Ireland or Bavaria. Regional proud, stronger that the nationals one, fuels these regions efforts at independence and it is an extremely legit move. Still, separatism as shown in Spain causes anger and resentment, weakening the country in question as whole. The people of Catalonia seem ready to hazard the consequences and other communities might follow. No matter how the Spanish senate will decide today: the Spanish crisis has already weakened the European sense of community.

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EUROPA nuove elezioni regionali per il 20 dicembre, impedendo de facto il commissariamento e l’applicazione dell’art.155 della Costituzione spagnola, che revocherebbe le autonomie concesse dal governo centrale. FINLANDIA 26 ottobre. Sono almeno 4 i morti in un grave incidente nei pressi di Raseborg, a 85 km a sud dalla capitale Helsinki, tra un treno e un veicolo militare. Jussi Niinisto, il ministro della Difesa finlandese, ha espresso la sua preoccupazione per l’accaduto: “La giornata è iniziata con delle notizie pessime, sono addolorato”. Altre 4 persone, tutte militari, risultano gravemente ferite. OLANDA 23 ottobre. Dopo svariati mesi di trattative viene varato il nuovo governo olandese guidato da Mark Rutte e costituito dal VVD (liberal-conservatore), dal CDA (cristiano-democratici), dai D66 (socio-liberale) e dalla CU (unione cristiano-conservatrice). Per soddisfare le richieste dei vari partiti sono stati nominati tre vicepremier e creati una serie di nuovi Ministeri assegnati alle varie compagini che compongono il governo. SLOVENIA 22 ottobre. Borut Pahor, espressione del partito socialdemocratico (SD), ha raccolto il 47% delle preferenze durante l’elezione per la Presidenza della Repubblica Slovena. Il 12 novembre dovrà affrontare al ballottaggio Marjan Sareć, ex attore comico e sindaco di Kamnik, arrivato al 25% dei voti espressi. Fuori dai giochi gli altri sette candidati. A cura di Daniele Reano

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LOMBARDIA E VENETO: PIÙ AUTONOMIA PER LE AMMINISTRAZIONI Gestione autonoma istruzione, giustizia di pace e tutela dei beni culturali

Di Simone Massarenti Domenica 22 ottobre i cittadini di Veneto e Lombardia sono stati chiamati alle urne per una consultazione, promossa dalla Lega Nord, sul tema dell’autonomia regionale. Il Referendum, da molti criticato per gli eccessivi costi di gestione (la Lombardia ha speso quasi 50 milioni di euro), è stato indetto dai due governatori del Carroccio al fine di porre le basi per l’apertura di un tavolo di trattative con Roma circa una maggiore autonomia per le amministrazioni regionali delle suddette regioni. Essendo consultivo, naturalmente, tale referendum ha solo valore politico, ma i dati fanno riflettere. Qui, infatti, la consultazione sarebbe stata ritenuta valida solo con il raggiungimento del quorum; non solo è stato raggiunto (con la partecipazione del 57,2% degli aventi diritto), ma ben il 98,1% dei votanti si è espresso a favore dell’autonomia della Regione. Più difficoltosa la raccolta dei dati ufficiali in Lombardia, dove è stato utilizzato, in via sperimentale, il voto elettronico. Luca De Vecchi, avvocato milanese e Presidente presso un seggio della città meneghina, ha affermato come “gli addetti

ai seggi sono stati costretti ad attendere oltre 3 ore prima della ricezione dei dati sull’affluenza”. Le reazioni politiche non si sono fatte attendere e grande soddisfazione è stata espressa dai governatori Zaia e Maroni. Emblematica è stata la frase del governatore del Veneto, il quale ha definito questo referendum “il Big Bang delle riforme istituzionali”, alludendo all’inizio di un percorso più ampio di federalismo. Obiettivo dei due Presidenti sarebbe ora quello di ottenere la gestione esclusiva di tutte e 23 le materie attualmente divise, per competenza, fra lo Stato e le Regioni stesse. Particolare risalto acquisiscono 3 materie: istruzione, giustizia di pace e tutela dei beni culturali, fino ad ora di competenza esclusiva dello Stato. È proprio sul tema delle materie però che si fonda il problema principale: il referendum è stato posto, a livello propagandistico, su materie di carattere fiscale: le due maxi-regioni hanno infatti richiesto, alla base del referendum, il recupero di una parte del residuo fiscale, il che, secondo gli articoli 116 e 117 della Costituzione, non comporterebbe l’obbligo da parte del governo centrale di aprire tavoli per le trattative.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 20 ottobre. È cominciato venerdì il viaggio istituzionale del segretario di Stato Rex Tillerson in Medio Oriente. L’itinerario prevede come prima tappa Riad, in Arabia Saudita, dove si discuterà l’influenza iraniana nel Golfo. 21 ottobre. Il Presidente americano ha annunciato la liberazione di Raqqa, in Siria, ormai roccaforte dell’ISIL dal 2014. Trump ha colto l’occasione per elogiare i risultati ottenuti in pochi mesi di amministrazione, paragonandoli a quelli conseguiti in 8 anni di presidenza Obama.

23 ottobre. Fonti del Pentagono riportano che, a seguito dell’escalation delle tensioni fra Washington e Pyongyang, l’aviazione militare USA ha allertato i bombardieri nucleari americani, affinché siano preparati ad un potenziale attacco contro la capitale nordcoreana. 24 ottobre. Mentre continuano i contrasti fra Trump e alcuni esponenti del GOP, il tycoon americano partecipa alla sua prima colazione di lavoro al Senato. La questione in agenda è il piano di riforma fiscale, la cui approvazione potrebbe incontrare qualche ritardo, di fronte alle crescenti divisioni interne al partito repubblicano.

TRUMP PRONTO A RIVELARE I DETTAGLI SULLA MORTE DI JFK

Il JFK Records Act consente al Presidente di declassificare migliaia di pagine sull’inchiesta

Di Federico Sarri Nei prossimi mesi, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, potrebbe provvedere alla declassificazione di migliaia di documenti relativi all’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. A renderlo noto è lo stesso Presidente repubblicano, che in un tweet ha dichiarato: “A meno di non ricevere ulteriori informazioni, consentirò, in qualità Presidente, la pubblicazione dei file classificati di J.F. Kennedy a lungo nascosti”. A garantire questa facoltà al Presidente degli Stati Uniti è una legge del 1992, il J.F.K Records Act. La norma, tra il 1994 e il 1998, ha già permesso di declassificare numerosi documenti, comprendenti circa 60 mila pagine. Altre 5 mila, invece, sono ancora coperte dal segreto di Stato e conservate alla Nara, la National Archives and Records Administration. La norma del 1992 permette al Presidente in carica di posticipare la loro rivelazione all’infinito nel caso questa possa incrinare la posizione degli Stati Uniti nei confronti di altri Paesi o nel caso in cui questa possa incidere su questioni di sicurezza nazionale e internazionale. Ma, in assenza di rischi, Trump potrà renderle pubbliche a partire dal 26 ottobre di quest’anno.

Il Presidente, ad oggi, non ha fatto marcia indietro, confermando l’intenzione di declassificare i file. Tuttavia, le agenzie per la sicurezza – FBI e CIA – hanno già espresso alcuni dubbi circa la pubblicazione di documenti riservati riguardanti uno degli episodi chiave della storia americana moderna. Secondo il Washington Post, il direttore della CIA, Mike Pompeo, sarebbe “furiosamente” contrario a questa operazione, dal momento che egli teme che possano venire compromesse alcune fonti primarie, che hanno collaborato con il governo negli anni Novanta e sono ancora in attività. Altri, invece, sostengono a spada tratta l’operazione trasparenza. Tre essi, i cospirazionisti giocano un ruolo importante. L’assassino di JFK, avvenuto il 22 novembre di 54 anni fa per mano di Lee Harvey Oswald, ha dato adito a numerose teorie del complotto. E non è certo che ulteriori documenti possano smentire le numerose dicerie circolanti, in rete e non. Essi, tuttavia, potrebbero svelare alcuni dettagli fondamentali riguardanti la figura di Oswald, che in questi anni è stato spesso associato a spie sovietiche e cubane e che, pochi giorni prima dell’attentato, si era recato in Messico. Per quale motivo, ancora, non si sa. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA 24 ottobre. POTUS ha emesso un nuovo ordine esecutivo che pone fine al “Travel Ban” e stabilisce la generale ripresa del U.S. Refugee Admissions Program. Nel nuovo decreto è tuttavia previsto un inaridimento delle misure di ammissione, specie per i cittadini di 11 Paesi identificati come “higher-risk nationalities”, le cui domande verranno esaminate caso per caso. 26 ottobre. Sono stati resi pubblici i documenti classificati riguardanti l’omicidio del presidente Kennedy. Non è ancora chiaro se Trump deciderà di bloccare la pubblicazione di alcuni file. CANADA 23 ottobre. Il Primo Ministro canadese ha incontrato la presidente italiana della Camera, Laura Boldrini, in visita istituzionale. Fake News e trattati commerciali fra Canada e Unione Europea sono stati al centro del colloquio. 23 ottobre. I Liberals ottengono la vittoria alle elezioni federali, nella provincia di Lac-Saint-Jean, in Québec. Con questo successo, il partito liberale ora può puntare alle elezioni federali 2019; la provincia, infatti, rappresenta un nodo chiave nella ricandidatura di Trudeau. 24 ottobre. Nella giornata di martedì, Ottawa ha annunciato che, a seguito di una crescita economica inaspettata, circa 45 miliardi di dollari finiranno nei fondi statali, nel corso di 5 anni. Parte di questa somma sarà utilizzata per ridurre il deficit del Paese, mentre un ammontare di 15 miliardi verrà impiegato nella spesa pubblica. A cura di Martina Santi 6 • MSOI the Post

LA RIFORMA IMPOSSIBILE

Trump e la maggioranza repubblicana tentano di riformare il regime fiscale americano

Di Leonardo Veneziani Il 27 settembre, il presidente americano Donald Trump ha annunciato una nuova riforma del sistema fiscale statunitense. Secondo le ottimistiche stime del leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, la riforma verrà approvata entro la fine del 2018. Il Partito Repubblicano e la stessa Casa Bianca hanno annunciato che l’Unified Tax Reform Framework comporterebbe numerosi benefici per i cittadini statunitensi. In primo luogo, la riforma mira a diminuire l’aliquota per le famiglie e le fasce più povere, oltre a permettere di raddoppiare la deducibilità consentita alle famiglie di classe media. Tuttavia, l’innovazione più significativa è la riduzione delle fasce di aliquota fiscale da sette a tre. Ciononostante, lo stesso Speaker Paul Ryan ha dichiarato che si provvederà anche ad inserire una quarta fascia per i più ricchi. Tramite tale riorganizzazione, secondo le stime, ci sarebbe un taglio di circa il 4% su tutte le aliquote e i prelievi fiscali. Inoltre, al fine di promuovere lo sviluppo economico e le nuove assunzioni, la riforma prevede anche la diminuzione del tasso d’imposta sui prelievi fiscali delle società dal 35% al 20%. Le analisi condotte sul nuovo piano di riforma fiscale da

parte del Congressional Budget e Offic e di altri centri di studi specializzati in materia fiscale, come il Tax Policy Center, sono state raccolte da Bloomberg Businessweek, che illustra come dalla ristrutturazione del sistema tributario americano beneficeranno principalmente le più alte fasce di reddito. Secondo tali studi, infatti, non vi sarebbe alcun evidente collegamento fra taglio delle imposte per le società e aumento dell’occupazione. Inoltre, la netta diminuzione dei prelievi fiscali sui profitti delle società causerebbe una riduzione delle entrate federali di 2,4 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni, e di 3,2 miliardi nei successivi 20, causando così un aumento di 7 miliardi di dollari al già alto debito statunitense, che supererebbe la soglia del 100% in rapporto al PIL, limite entro il quale gli investitori rimangono fiduciosi circa la solvibilità del debito di un Paese. Un’ultima importante considerazione che emerge dai suddetti studi attesta che l’eliminazione delle esenzioni personali potrebbe causare, al contrario, l’ulteriore l’impoverimento di diverse famiglie americane, tutte appartenenti al ceto medio e medio-basso. Il piano di riforma fiscale ora dovrà essere approvato prima dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, e poi dalle rispettive plenarie.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

IL KURDISTAN IRACHENO UN MESE DOPO Il referendum ha portato isolamento, contrasti interni e una seria crisi politico-economica

Di Lorenzo Gilardetti ARABIA SAUDITA 25 ottobre. Il principe ereditario Bin Salman ha detto durante un evento a Riyadh che il Paese vuole un “Islam tollerante e moderato”, che permetta di “convivere con il mondo”. EGITTO 23 ottobre. L’app di incontri per omosessuali Grindr dà agli utenti egiziani dei consigli su come mantenersi in sicurezza di fronte all’ondata di repressione del governo, che ha portato all’arresto di quasi 70 egiziani. 24 ottobre. Il presidente Abdel Fattah Al-Sissi incontra il presidente francese Emmanuel Macron a Parigi per discutere di cooperazione nella difesa, la sicurezza e l’economia. Macron ha dichiarato che l’Egitto è un partner chiave contro l’estremismo islamico e per la stabilizzazione di Libia e Siria.

ISRAELE 21 ottobre. Scontri lungo il la linea d’armistizio delle alture del Golan occupate: l’esercito israeliano ha attaccato l’artiglieria siriana in risposta

Le promesse del presidente Barzani legate al referendum tenutosi il 25 settembre scorso nel Kurdistan iracheno sembrano non poter essere mantenute: la regione è stata isolata dai Paesi vicini e di fatto mai sostenuta da Israele (unico Paese favorevole al referendum) e dagli USA (alleati dei peshmerga nella lotta a Daesh in Medio Oriente). Inoltre, i partiti curdi opposti al PDK accusano l’avventatezza di Barzani e intanto l’esercito iracheno ha ripreso Kirkuk (abbandonata dai cittadini curdi) evitando il conflitto armato. Quanto sia possibile un sostegno concreto da parte dell’Arabia Saudita, che ha mandato il ministro as-Sabhan a Raqqa nella prospettiva di una divisione della Siria settentrionale favorevole ai Curdi (i quali auspicano una nuova Siria federale), è invece ancora tutto da verificare. Gli scontri tra Erbil e Baghdad continuano, con l’esercito iracheno che ha costretto dapprima i peshmerga a cedere Sinjar e la diga di Mosul e, infine, ad abbandonare Kirkuk (importante area petrolifera e città sulla quale il Kurdistan iracheno rivendicava una sovranità mai storicamente riconosciuta, ma legata all’azione dei peshmerga contro Daesh). La procura di Rusafa,

inoltre, ha emesso un mandato d’arresto per il vicesegretario Patriottica del dell’Unione Kurdistan Kosrat Rasul per istigazione alla violenza contro lo stesso esercito governativo, definito «una forza occupante». Mentre i peshmerga resistono a Prde, centro di scontri con l’esercito iracheno a metà tra Kirkuk ed Erbil, il parlamento del Kurdistan iracheno ha dovuto rimandare a data da destinarsi le elezioni presidenziali e parlamentari programmate per i princìpi di novembre. Barzani, in carica dal 2005, aveva fatto leva sul sentimento nazionalista della popolazione convinto che il referendum potesse rinsaldare la propria posizione e allargare così il consenso dei curdi poco prima delle nuove elezioni. Il Presidente, però, ha probabilmente trascurato le conseguenze di un mancato appoggio internazionale. Senza il sostegno di Paesi stranieri (Riyad potrebbe sfruttare la situazione per indebolire un nemico politico come l’Iran, ma per il momento resta in disparte), la regione curda ha già perso post referendum il 40% del petrolio di cui disponeva ed è andata incontro a una grave battuta d’arresto nell’esportazione, frutto di blocchi dei traffici da parte di Ankara, Teheran e Baghdad.

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MEDIO ORIENTE ad alcuni colpi. Non è ancora emerso se i primi colpi siano stati sparati davvero dalla Siria o da gruppi ribelli. IRAN 23 ottobre. Ahmadreza Djalali, il medico e ricercatore iraniano arrestato a Teheran lo scorso anno con l’accusa di “collaborazione con governi nemici”, è stato condannato a morte. Negli ultimi mesi una mobilitazione internazionale a suo favore aveva raccolto più di 220.000 firme.

SIRIA 24 ottobre. La Russia mette il veto al rinnovo della missione per investigare l’uso di armi chimiche nel conflitto, creata dal Consiglio di Sicurezza ONU nel 2015. Il mandato della missione scadrà a novembre. Nel frattempo, dopo la liberazione di Raqqa dal gruppo ISIS, migliaia di foreign fighters tornano nei loro Paesi d’origine. YEMEN 20 ottobre. Tensioni tra il secessionista Consiglio di Transizione del Sud, supportato dagli Emirati Arabi Uniti, e il partito Islah, braccio dei Fratelli Musulmani, che auspica la riunificazione sotto l’expresidente Abdrabbuh Mansur Hadi. Il Consiglio ha arrestato 11 esponenti del partito; 8 sono stati poi rilasciati. A cura di Sofia Ercolessi 8 • MSOI the Post

IL FUTURO OSCURO DEL MEDIO ORIENTE Tra indipendentismi e guerre civili rimane il dubbio

Di Martina Terraglia Raqqa è stata riconquistata. La notizia delle scorse settimane ci ha fatto sentire tutti un po’ rincuorati, come se la bestia nera dei nostri tempi, il sedicente Stato Islamico, fosse un po’ meno temibile. In un certo senso, è così. Come ha sottolineato il giornalista Jason Burke sul The Guardian, la sconfitta di Daesh era inevitabile, soprattutto a causa di 3 fattori: l’impossibilità tecnica e logistica del gruppo IS di espandersi oltre Siria e Iraq; il supporto internazionale alle comunità e minoranze locali; l’attacco all’Occidente, scelta compiuta in passato da altri gruppi, sempre seguita da una perdita di territorio. C’è da chiedersi cosa accadrà dopo. Il giornalista libanese Rami Khouri offre un’ottima analisi della situazione della MENA Region (“Middle East and North Africa”) oggi. Scrive Khouri: “Sovranità, autorità, legittimità e potere militare in alcune terre non sono più nelle mani dei governi centrali arabi”. La verità, quindi, è che qualsiasi previsione sembra difficile. Pensiamo a come Daesh ha, nel corso di pochi anni, completamente rimodellato lo scenario della Regione, e come continuerà a farlo, anche solo indirettamente. Se non avessero combattuto e perso vite nella lotta

al sedicente Stato Islamico, i Curdi iracheni non avrebbero organizzato un referendum per chiedere l’indipendenza. E ancora, se non ci fossero state la guerra civile siriana e la lotta a Daesh, Turchia e Russia come avrebbero allungato la propria mano sulla regione? Si ha l’impressione di incastri in cui ogni azione corrisponda a una reazione inaspettata, sia essa la vittoria dell’assolutismo di Erdoğan, o la tregua tra Hamas e Fatah. Abbiamo persino iniziato a nutrire speranze per il futuro dei diritti umani in Arabia Saudita. Un’altalena di buone e cattive notizie, che non ci dà tregua, facendoci cambiare previsioni di continuo. Chi e come si aggiudicherà le aree di influenza sulla regione? Sicuramente i soliti sospetti – USA, Russia, Europa – ma dove e come non possiamo dirlo. Di certo, un ruolo importante sarà giocato dalle ONG e dai fondi internazionali per lo sviluppo, la ricostruzione, le emergenze, e qualsivoglia ragione. Elargiti dai governi direttamente o indirettamente (attraverso fondazioni o istituti), questi fondi sono dei potenti mezzi di influenza sul territorio, capaci di innalzare l’asticella della “bontà” di un Paese, laddove per bontà intendiamo la sua capacità di agire e cooperare per l’interesse mondiale. Perché se rispondi al requisito della “bontà” – o sei percepito come tale – sei anche influente.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole AZERBAIJAN. 19 ottobre. I membri della comunità LGBT sono stati vittime di una serie di arresti arbitrati. È intervenuto sulla vicenda il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, chiedendo al Ministro degli Interni verifiche sui recenti arresti. BULGARIA 25 ottobre. Avramopoulos e Jourova partecipano all’annuale incontro su giustizia e affari interni dei Balcani che si terrà a Sofia. Entrambi discuteranno sui temi della cooperazione giudiziaria e della sicura gestione delle frontiere. CROAZIA 25 ottobre. Incertezze sulla soluzione del gigante agroalimentare Agrokor. L’ipotesi più probabile sarebbe procedere con il c.d. debt-equity: scambiare i debiti con i creditori per quote di proprietà nella società, e poi ristrutturarla come unica entità. POLONIA 19 ottobre. Amnesty International denuncia le autorità polacche di usare la forza per contrastare dimostranti pacifici aventi posizioni antigovernative. REPUBBLICA CECA 22 ottobre. Il magnate Babis vince le elezioni parlamentari in una consultazione elettorale che documenta un flop della sinistra. Secondi, con un buon risultato, gli euroscettici antiislam. RUSSIA 23 ottobre. Felgenhauer, giornalista della radio Eco di Mosca è stata accoltellata da un cittadino israeliano, che avrebbe agito

IL TYCOON DI PRAGA

Il movimento anti-establishment ceco ottiene una netta vittoria alle parlamentari

Di Andrea Bertazzoni Sabato e domenica scorsi si sono tenute le elezioni parlamentari in Repubblica Ceca, durante le quali i cittadini sono stati chiamati ad eleggere i rappresentanti della Camera dei Deputati. Già all’inizio di domenica pomeriggio era stato comunicato che il vincitore assoluto sarebbe stato ANO (“sì” in ceco), partito fondato nel 2011 da Andrej Babiš. Il “Trump ceco”, come viene definito dalla stampa a lui invisa, si definisce un imprenditore contro il sistema, nonostante sia stato il Ministro delle Finanze nell’uscente governo socialdemocratico del dimissionario Bohuslav Sobotka. Gestire lo Stato come se fosse “un’azienda”, lasciare gli immigrati fuori dalla Repubblica Ceca, abolire il Senato e ridimensionare il numero dei deputati della Camera bassa del parlamento: questa è la ricetta elettorale del 63enne milionario populista che, con quasi il 30% dei voti, ha travolto le restanti le forze politiche. Solo lo storico partito di centrodestra è infatti riuscito a raggiungere l’11,2% piazzandosi al secondo posto, seguito dal partito dei pirati e da una formazione xenofoba e antieuropeista guidata da Tomio Okamura, esponente dalle origini nipponico-coreane.

L’esito elettorale è stato accolto con favore dal presidente ceco Miloš Zeman, il quale ha definito Babiš non un populista, ma un pragmatico, al quale affiderebbe l’esecutivo “anche qualora si trovasse in prigione”. Uno degli aspetti controversi del secondo uomo più ricco in Repubblica ceca è proprio il suo ruolo dirigenziale, nonostante affermi di essere incorruttibile a causa della sua ricchezza. Il leader di ANO, infatti, è indagato per evasione fiscale e frode nei confronti dell’Unione Europea, la quale ritiene che alcuni fondi per piccole e medie imprese, destinati all’azienda Stok Nest Farm nel 2008, siano in realtà stati gestiti dalla Agrofert. Il colosso agroalimentare è stato nelle mani di Babiš fino al febbraio 2017, data in cui è stata approvata la così detta ‘Lex Babis’, che ostacola il conflitto di interessi tra le istituzioni e il mondo imprenditoriale. Nonostante la sua campagna elettorale, Babiš ha rassicurato la stampa di volere una Repubblica Ceca capace di rivestire un ruolo importante in seno all’Unione Europea e di essere disposto a formare una coalizione. Tuttavia, secondo i principali canali di informazione cechi e slovacchi, un’alleanza con ANO non è possibile, sebbene il sistema proporzionale ceco porti verso un governo di larghe intese.

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RUSSIA E BALCANI per motivi personali. La giornalista sarebbe in condizioni critiche ma stabili. Il sindacato dei giornalisti punta il dito sul clima di tensione che circonda la stampa liberale in Russia. SLOVACCHIA 24 ottobre. Il primo ministro slovacco Fico commenta negativamente le elezioni ceche e dichiara: “Sono contento che la Slovacchia sia diventata un’isola europeista in questa regione”.

UNGHERIA 24 ottobre. Il premier Orban vede l’Europa centrale come una “zona senza migranti” che può fermare la migrazione di massa. Contrario all’accoglienza dei migranti, Orban ha invocato un’Europa “giusta, sicura e cristiana”. A cura di Ilaria Di Donato

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“HA ESPERIENZA IN CRIMINI DI GUERRA?!” Le nuove professioni dei criminali di Guerra dell’ex Jugoslavia

Di Elisa Todesco L’accademia militare serba di Belgrado ha appena assunto due nuovi professori che, a detta del ministro della Difesa serbo Vulin, “saranno eccezionali e ogni esercito del mondo desidererà poter usufruire della loro esperienza”. Come ammesso dal regolamento interno dell’Accademia stessa, infatti, è possibile in ogni momento assumere “scienziati prestigiosi” come guest lecturers. L’Accademia non si è fatta scappare l’opportunità di assumere il meglio del meglio, o, anzi, “il più coraggioso dei coraggiosi” (sempre parole di Vulin). L’illustre neo-professore è il generale serbo Vladimir Lazarevic. Il Generale è noto in patria per fatti non certamente onorevoli: in qualità di ex-comandante del battaglione Pristina dell’Armata Popolare Yugoslava, si è reso responsabile della deportazione di oltre 700.000 persone di etnia albanese durante la Guerra del Kosovo. A completare il profilo del nuovo docente, il “modello da seguire” (ancora parole di Vulin) per i nuovi cadetti, c’è una condanna da parte del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia delle Nazioni Unite del 2009 per crimini di guerra; 14 anni da scontare, ridotti poi in appello.

La decisione di assumere Lazarevic ha ovviamente scatenato reazioni molto dure. La preoccupazione principale risiede nel fatto che in questa scelta, esplicitamente politica, si nasconda il sempre meno latente nazionalismo serbo. Dal Kosovo, l’intellettuale Veton Surroi ha ricordato su Facebook uno dei crimini commessi nel 1999: l’uccisione di 24 giovani albanesi. Surroi scrive: “One lesson could be how one executes children to supposedly protect Serbian territorial integrity”. Tuttavia, Lazarevic non è il solo ex-criminale di guerra ad aver avuto una brillante carriera in uno stato della ex Jugoslavia. Nikola Sainovic, vicino a Milosevic, anch’egli ritenuto colpevole di crimini di guerra, una settimana dopo il rilascio nel 2015 sedeva al tavolo dirigenziale del Partito Socialista serbo. Veselin Sljivancanin, condannato per l’uccisione di 200 prigionieri di guerra croati, oggi prende spesso parte agli eventi organizzati dal Partito Progressista del Presidente Vucic. Anche il primo ministro del Kosovo, Ramush Haradinaj, con un passato da guerrigliero alle spalle, è già stato portato due volte davanti alla corte dell’Aja per crimini di guerra, ma a differenza dei generali serbi è stato sempre assolto entrambe.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 23 ottobre. L’Australia è stata eletta membro dello Human Rights Council a partire dal 2018. Il ministro degli Affari Esteri, Julie Bishop, ha riferito che il fatto che l’Australia abbia avuto 176 voti è un endorsement molto forte e indica che il Paese sia stato visto come una voce pragmatica e di principio quando si parla di diritti umani.

CINA 25 ottobre. Era una mossa già attesa, o quantomeno prevista da molti, quella del presidente Xi Jinping, che all’inizio del suo secondo mandato quinquennale ha rotto una tradizione che in Cina durava da anni e non ha nominato un suo successore durante il congresso del Partito Comunista Cinese. C’è un nuovo comitato permanente a Pechino, ma i membri che lo compongono sono tutti anziani e nessuno di loro sembra tra i papabili per prendere il posto dell’attuale presidente nel 2022. FILIPPINE 25 ottobre. Si è conclusa nel sud delle Filippine la battaglia ingaggiata da 5 mesi, e costata la vita a più di 1.000 persone, contro gli estremistijiahadisti affiliati al Daesh.

LE FILIPPINE ESTIRPANO ESTREMISMO ISLAMICO

Il governo di Duterte ora guarda alle concessioni di indipendenza

Di Alessandro Fornaroli I miliziani dei gruppi islamici Maute e Abu Sayyaf (AS), lo scorso 23 maggio, hanno iniziato la guerriglia nella Città Islamica di Marawi, con l’obiettivo di creare un Califfato nel sud-est asiatico. La capitale del Lanao del Sur, provincia nel sud delle Filippine, è stata a però ufficialmente liberat la settimana scorsa, dopo quasi 5 mesi di duri scontri e bombardamenti. Sebbene siano stati uccisi i principali esponenti delle organizzazioni affiliate a Daesh, tra cui il capo di AS Isnilon Hapilon, gli episodi di rappresaglia non sono ancora del tutto cessati. Tra le vittime si contano più di 1.000 morti e 1.400 feriti, a cui si possono aggiungere centinaia di migliaia di sfollati. Da diversi anni, la costa occidentale dell’isola di Mindanao, area a maggioranza cristiana, ospita una nutrita comunità musulmana. La minoranza, rappresentata istituzionalmente dal Fronte Moro Islamico di Liberazione, nel 2014 ha ottenuto dal governo filippino, in cambio dell’abbandono dei propri armamenti a un soggetto terzo, la promessa dell’istituzione della regione autonoma di Bangsamoro. L’accordo è quasi naufragato nel 2015, quando a Masapano diversi gruppi armati, tra cui il Fronte, han reagito violente-

mente ad una fallimentare operazione di polizia. Durante la battaglia di Marawi, tuttavia, i miliziani del Fronte hanno fatto di tutto per tornare nelle grazie della popolazione, promuovendo i negoziati, facendo da intermediari ed assistendo i locali coinvolti negli scontri. In contemporanea, il Parlamento ha discusso la bozza della Bangsamoro Basic Law. Attualmente nell’intera regione vige ancora la legge marziale, dichiarata dal presidente Duterte all’inizio degli scontri e presto estesa fino al 31 dicembre, con l’approvazione del Parlamento, per 261 voti contro 18. La National Union of People’s Lawyers ha avanzato una petizione direttamente alla Corte Suprema per opporsi al decreto presidenziale, ma senza successo. Alcune organizzazioni non governative, come Amnesty International, si sono unite alle proteste. A condividere il timore di una deriva autoritaria c’è anche il Partito Comunista Filippino, memore delle forte repressioni subite durante il ventennio dittatoriale di Marcos. Il segretario alla Difesa Delfin Lorenzana, invero in contraddizione con Duterte, ha però, affermato che l’intervento militare avrà durata limitata e che non c’è motivo di pensare che il passato possa ripetersi.

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ORIENTE Liberata finalmente Marawi, all’interno della regione autonoma del Mindanao musulmano, come ha confermato il presidente Rodrigo Duterte. In realtà, i combattimenti continuano, sia pure sempre più sporadici.

CINA, L’ERA DI XI

Xi Jinping trasformerà la Cina nella principale potenza del pianeta

Di Tiziano Traversa

GIAPPONE 23 ottobre. Shinzo Abe vince ancore in Giappone, spinto dalle paure per i missili di Kim. Il Premier liberal-democratico e nazionalista voleva un mandato per cambiare la costituzione pacifista e poter rispondere alla minaccia della Nord Corea. Anche la sua coalizione ha conquistato la maggioranza. MALAYSYA 21 ottobre. Nell’aula dell’Alta Corte di Kuala Lumpur, Doan Thi Huong, 28 anni, e Siti Aisyah, 25, rischiano la pena di morte. A febbraio le telecamere dell’aeroporto di Kuala Lumpur le hanno riprese mentre assalivano alle spalle Kim Jongnam, fratellastro di Kim Jongun, morto 20’ dopo. MONGOLIA 25 ottobre. Il sistema bilaterale di credito delle emissioni inquinanti, istituito da Mongolia e Giappone, ha emesso il suo secondo credito di emissione, connesso alla realizzazione e all’allacciamento alla rete di un parco fotovoltaico da 10 megawatt a Darkhan, in Mongolia. L’importo del credito emesso è di 8.947 tonnellate di CO2. A cura di Luca De Santis 12 • MSOI the Post

Tutte le personalità politiche cinesi si sono riunite nella Great Hall of People a Pechino, quando il presidente Xi Jinping, il 18 ottobre scorso, ha dato il là per il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese. Xi ha parlato per tre ore e mezza, esponendo il suo progetto per una “nuova era cinese”. La Cina, nelle parole del vertice del Partito, è riuscita ad emergere come grande potenza geopolitica e deve ora puntare a conquistare la vetta. Il “sogno cinese” deve prendere forma e compiersi nella realtà. Gli obiettivi politici e sociali, per come delineati dal Presidente, fanno riferimento a tre diverse fasi cronologiche. Nei prossimi 30 anni, la Cina dovrà acquistare in agiatezza e benessere, dovrà essere tecnologicamente più avanzata e competitiva, ma soprattutto, entro il 2050, dovrà puntare a diventare la più ricca e potente nazione socialista del mondo, così da assumere un ruolo di guida per gli altri Stati, sì che la possano prendere ad esempio per pianificare il proprio sviluppo militare, economico e ambientale. Il socialismo resta dunque la chiave di volta della politica cinese. Il discorso di Xi ha inoltre messo enfasi sul compito fondamenta-

le del Partito Comunista Cinese, che tramite il Politburo avrà l’onere di tradurre questo progetto politico di lungo periodo in realtà fattuale. Così come accadde per Den Xiaoping, seppur solo dopo la sua morte, e ovviamente per Mao Zedong, la visione ideologica di Xi godrà d’ora in avanti della formale celebrazione tra le righe della Costituzione del Partito stesso. La Cina getta così le basi per la propria ambizione e Xi Jinping si conferma sommo leader della nazione. Il suo modo di governare, verticalizzato e personalista, non sembra lasciar spazio ad altri. Il paladino del socialismo cinese amministra il potere con i modi e l’autorità di un autocrate. La stampa parla già della nascita dello “xiismo”, il pensiero di Xi, che nella Cina della “nuova era” si sostituirà al Maoismo. La riservatezza politica di Pechino non permette la definizione un pronostico accurato di quello che sarà in futuro il ruolo istituzionale di Xi Jinping. Durante il congresso sono circolate molte voci sulla nomina di un suo successore alla segreteria del Partito, così come su congiure volte a minarne il potere. Certo è che, al di là di ogni possibile sviluppo, “l’era di Xi”, iniziata solo nel 2012, ha già lasciato sul Paese un’orma indelebile.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole BURUNDI 23 ottobre. I due principali leader a capo della ribellione delle forze armate popolari del Burundi, composte principalmente da disertori, sono stati arrestati sabato 21 ottobre nell’est della Tanzania. Si tratta del generale Jéremie Nitranyibogira e del colonnello Edouard Nshimirimana. Il portavoce delle forze ribelli Manirakiza ha dichiarato di essersi messo in contatto con i due leader la sera del 21 e di aver poi perso le loro tracce. Le informazioni dei giornali locali avevano parlato di un arresto da parte della polizia tanzaniana, mentre altre fonti parlavano di un coinvolgimento del Burundi. La polizia tanzaniana ha poi dichiarato di non aver arrestato i due leader del FPB. Da parte del Burundi, invece, non sono state rilasciate dichiarazioni ufficiali. GABON 24 ottobre. In Gabon continuano a piovere critiche sul progetto di revisione della Costituzione approvato lo scorso 28 settembre dal Consiglio dei Ministri. Christophe Novéma, senatore dell’opposizione, ha accusato il governo vigente di voler instaurare una monarchia a tutti gli effetti nel Paese. In risposta a questa pesante accusa il porta parola del governo, Alain Claude Billie By Nze, ha dichiarato che nessun politico al potere in Gabon ha l’intenzione di instaurare una monarchia. Tuttavia il Presidente dell’Unione nazionale ha dichiarato di rimpiangere la fine di un regime semi-presidenziale in favore di un regime totalmente presidenziale. KENYA 24 ottobre. A due giorni dalla seconda presidenziale in Kenya

WORLD HEALTH ORGANIZATION ANTI-MUGABE

Revoca immediata della nomina di Robert Mugabe come ambasciatore OMS

Di Federica De Lollis Dopo soli due giorni dall’annuncio della nomina di Robert Mugabe, presidente 93-enne dello Zimbabwe, ad Ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le polemiche degli Stati chiave nell’organizzazione e dell’opposizione zimbabwese hanno portato il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesusad, ad un importante ripensamento. Il 20 ottobre è stato annunciato il nome di Mugabe, accompagnato da una dichiarazione del vertice dell’OMS che lodava lo Zimbabwe come “un Paese che mette la copertura sanitaria universale e la promozione della salute al centro delle proprie politiche per fornire assistenza sanitaria a tutti”. L’incarico del politico africano avrebbe dovuto incentrarsi sulle malattie cardiache croniche non contagiose. Teatro di polemiche e sfoghi è stato il social network Twitter, dove non sono mancati i commenti di numerosi esponenti, tra cui quelli del direttore esecutivo di Human Rights Watch, Kenneth Roth, e del primo ministro canadese Justin Trudeau, il quale ha definito la nomina di Mugabe un “pesce d’aprile di cattivo gusto”.

È dai media e dalla classe politica dello Zimbawe che giungono le maggiori manifestazioni di contrarietà all’incarico conferito al Presidente. Secondo Tendai Biti, ex Ministro delle Finanze, tale mossa mostra la percezione distorta che l’OMS ha della realtà politica dello Stato. Obert Gutu, del partito di opposizione Movement for Democratic Change, denuncia: “Il mondo intero sa cosa ha fatto Mugabe per il sistema sanitario di questo, un tempo, grande Paese”. Biti descrive una situazione interna in cui vi è un dottore ogni 100.000 pazienti, gli operatori sanitari tendono a trasferirsi all’estero in cerca di opportunità e uno dei principali ospedali del Paese non è fornito di acqua corrente. A fronte di un’opposizione così compatta, Ghebreyesusad ha deciso di revocare la nomina di Mugabe. In un comunicato del 22 ottobre ha dichiarato: “Ho ascoltato attentamente tutti coloro che hanno espresso le proprie preoccupazioni e sentito le diverse questioni che hanno sollevato. Ho anche consultato il Governo dello Zimbabwe e siamo giunti alla conclusione che questa decisione è presa nel miglior interesse della World Health Organization. […]”, ristabilendo gli equilibri all’interno dell’Organizzazione. MSOI the Post • 13


AFRICA (la prima è stata annullata per brogli elettorali), i sostenitori dall’opposizione manifestano nelle strade della capitale Nairobi. I manifestanti sono stati dispersi dalle forze di sicurezza attraverso l’uso di gas lacrimogeni; il clima nel Paese si fa sempre più teso.

SAHEL: CITTÀ DI FRONTIERA SOTTO ATTACCO

Nuovo attacco in Niger da parte degli estremisti jihadisti

Di Francesco Tosco Durante la mattinata del 21 ottobre il presidio della gendarmeria della città di Ayorou, a 180 km dalla capitale nigerina Niamey, è stata attaccato. 26 ottobre. Si sono aperte le elezioni presidenziali nel Paese. REPUBBLICA CENTRAFRICANA 24 ottobre. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, è atterrato in RCA per rinnovare la missione di pace dell’ONU denominata MINUSCA, oggi più che mai messa in discussione. La principale critica rivolta all’operazione dalle autorità centrafricane è l’ incapacità di arginare le numerose violenze avvenute nel Paese, hanno causato centinaia di morti in un anno. Antonio Guterres ha proposto di inviare altri 900 Caschi Blu a supporto dei 10.000 già presenti in RCA. SENEGAL 23 ottobre. La stampa locale ha comunicato l’arresto di un presunto jihadista in territorio senegalese alla frontiera con la Mauritania. La notizia non è stata smentita dalla polizia. In un comunicato stampa è stato dichiarato di non aver ancora proive sufficient per confermare il coinvolgimento dell’uomo, di cittadinanza malese, con il gruppo IS. A cura di Francesca Schellino 14 • MSOI the Post

Gli assalitori, circa una ventina, sono arrivati a bordo di 4 pick-up, erano armati con mitragliatrici e razzi ed avrebbero aperto il fuoco sulle forze di polizia per poi fuggire all’arrivo dei rinforzi. Nell’assalto sono rimasti uccisi 13 paramilitari nigerini, mentre 3 sono rimasti feriti. Alcune fonti riportano che, prima di fuggire, i miliziani siano riusciti a svuotare l’armeria del presidio e a rubare tre veicoli della polizia. La rivendicazione non è ancora arrivata da parte di nessuno dei molti gruppi di estremisti jihadisti che si muovono sul territorio. Il nuovo attacco arriva immediatamente il giorno dopo l’approvazione, da parte del parlamento, dell’estensione di altri 3 mesi dello stato di emergenza per l’ovest del Paese. Misura che era stata imposta a marzo 2017 in più località per diminuire gli attacchi nella regione. La regione interessata è quella di Tillaberi, nel nord-ovest del Paese, situata lungo il letto del fiume Niger; la città di Ayorou era una delle più importanti mete turistiche del Paese, ma allo stesso tempo è anche una delle località più prese di

mira. Soltanto a metà maggio scorso, lo stesso presidio era stato assalito nella notte, seppure senza causare vittime. Le Nazioni Unite afferma di aver respinto, dal 2016, ben 46 attacchi ad opera di gruppi jihadisti provenienti principalmente dal Mali e dalle zone di frontiera. Il 4 ottobre scorso, una squadra di berretti verdi statunitensi è caduta in un’imboscata vicino al confine maliano, 4 militari sono rimasti uccisi. Qualche mese fa, il 18 settembre scorso, in occasione della riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, aveva sottolineato l’importanza e la necessità di istituire al più presto la nuova forza internazionale per “la lotta contro i gruppi jihadisti” approvata nel corso del G5 Sahel. Tale contingente multiforze comprenderà circa 5.000 militari provenienti da Ciad, Niger, Mali, Burkina Faso e Mauretania. La forza di questo contingente risiederà principalmente nella possibilità di valicare le frontiere nel corso delle operazioni antiestremisti. Per il momento si è ancora lontani dal raggiungimento delle risorse necessarie per dar vita al dispiegamento di forze. Dei 400 milioni di dollari necessari, ne sono stati promessi 100, ma le trattative sono ancora in corso.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 23 ottobre. Le elezioni legislative per il rinnovo della metà della Camera dei Deputati e di un terzo del Senato hanno visto trionfare la coalizione di partiti Cambiemos, guidata dal presidente Mauricio Macri. Cambiemos ha infatti vinto in 13 province e nella capitale Buenos Aires. L’opposizione peronista, guidata da Cristina Kirchner, ha ottenuto, invece, un solo seggio.

BRASILE 24 ottobre. I giudici della Corte Suprema hanno rinviato alla prossima settimana la decisione definitiva sulla richiesta di habeus corpus, domandata dagli avvocati dell’ex terrorista Cesare Battisti. Il Presidente della Prima Sezione del Tribunale Supremo Federale ha infatti annullato l’audizione per un difetto procedurale. Battisti, preoccupato per l’eventuale estradizione, ha dichiarato di temere per la sua vita. 26 ottobre. Il Parlamento, riunito in sessione plenaria, ha negato alla Corte Suprema l’autorizzazione per aprire un processo sul presidente Michel Temer, accusato di corruzione e riciclaggio. Già ad agosto la Camera aveva respinto l’impeachment a seguito di una precedente denuncia. Il Presidente, durante le votazioni, era stato ricoverato per un malore.

RITROVATO IL CORPO DI SANTIAGO MALDONADO

La sparizione dell’attivista aveva risvegliato lo spettro delle sparizioni forzate in Argentina

Di Elena Amici È di Santiago Maldonado il cadavere rinvenuto lo scorso 17 ottobre nel fiume Chubut, in Patagonia. L’attivista argentino era scomparso il 1° agosto durante lo sgombero di una protesta in sostegno dei diritti degli indigeni Mapuche, e grazie alle testimonianze dei manifestati presenti sono subito sorti sospetti circa il coinvolgimento delle istituzioni nella sparizione dell’attivista. Muovendosi in direzione opposta ai primi riscontri, la ministra per la Sicurezza Patricia Bullrich ha prima ipotizzato che Maldonado potesse essere fuggito in Cile, e poi suggerito che fosse stato ucciso dagli stessi Mapuche, paragonati ai terroristi del sedicente Stato Islamico dal quotidiano Clarín, una delle tre principali testate del Paese. L’evento ha avuto un profondo effetto sulla popolazione argentina, che ancora ricorda gli anni del Proceso de Reorganizaciòn Nacional, nome ufficiale della dittatura militare che governò il Paese dal 1976 al 1983. La giunta si distinse per le pesanti violazioni di diritti umani, arrivando a far scomparire – e successivamente assassinare – circa 30.000 persone tra dissidenti o presunti tali: i desaparecidos. Il Presidente è stato aspra-

mente criticato dalla famiglia di Maldonado che, dopo il ritrovamento del corpo, ha chiesto una nuova autopsia e ulteriori indagini. Il referto della Morgue Judicial suggerisce che Maldonado sia affogato senza segni di lotta, nonostante sia stato trovato nella direzione opposta alla corrente e in un’area perlustrata da volontari tre giorni prima. Le Nazioni Unite, l’Organizzazione degli Stati Americani, Amnesty International sono solo alcune tra le tante ONG e Organizzazioni Internazionali che hanno chiesto chiarimenti al governo Macri. L’associazione delle famiglie delle vittime Madres de Plaza de Mayo è arrivata a portare in piazza 250.000 persone, ma senza risultati. La polemica sembra, inoltre, non aver avuto nessuna ripercussione sul Governo, che è uscito vincitore dalle elezionilegislative del 22 ottobre, avvenute a pochi giorni dal ritrovamento dei resti di Maldonado. Nel frattempo, Moira MillánWeichafe, referente della comunità Mapuche, ha rivelato che la situazione potrebbe essere molto più grave di quanto riportato: “Ci sono 135 mapuche scomparsi a Chubut, e la sparizione di Maldonado ha solamente messo in evidenza la situazione”. Come a dire: è possibile che Maldonado non sia il primo desaparecido dell’era Macri.

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SUD AMERICA COLOMBIA 25 ottobre. Il Presidente dell’agenzia governativa colombiana Defensoría del Pueblo, Carlos Alfonso Negret, ha dichiarato che, all’interno delle FARC, il numero di dissidenti alle operazioni di pace, sarebbe circa il doppio di quanto sostenuto dalle autorità. Secondo le stime dell’Agenzia sarebbero almeno 800 i guerriglieri a non avere ancor deposto le armi, i quali si troverebbero soprattutto al confine con l’Equador. CILE 25 ottobre. Un tribunale in Cile ha assolto 11 membri della comunità indigena Mapuche accusati di un incendio doloso, il quale ha portato alla morte di un proprietario terriero, Bernard Luchsinger, e sua moglie Vivianne McKay nel 2013 a sud della regione dell’Araucanía. Secondo i giudici, infatti le prove portate alla loro attenzione non erano sufficienti per condannare gli indigeni. VENEZUELA 26 ottobre. L’opposizione democratica ed i prigionieri politici venezuelani hanno vinto il premio Sakharov 2017 e ad annunciarlo è stato il presidente Antonio Tajani. Il premio è attribuito ogni anno dal Parlamento europeo a persone o organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e in particolare della libertà di pensiero; quest’anno gli altri candidati erano Aura Lolita Chavez Ixcaquic, attivista guatemalteca e Dawit Isaak, giornalista eritreo, simbolo di una stampa indipendente. A cura di Elisa Zamuner

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IL MESSICO IMPEDISCE LA VISITA DEL COMITATO ONU

La comunità internazionale chiede di rafforzare il regime di protezione internazionale

Di Sveva Morgigni 32.318 è il numero dei desaparecidos in Messico, persone scomparse dal 2006 a oggi. Il dato è stato pubblicato dal Sistema Nazionale di Sicurezza Pubblica della Segreteria di Governo ed è la prima volta che lo Stato riconosce il drammatico aumento nel conteggio ufficiale. Il Messico è un Paese democratico, ma per molti osservatori internazionali e locali non sono del tutto infondate le accuse di voler nascondere, per svariate ragioni politiche ed economiche, le sparizioni forzate, le pratiche di tortura e la complicità fra criminalità organizzata e istituzioni. In questo scenario non sorprende, quindi, che il Messico abbia ufficialmente negato la visita del Comitato Contro le Sparizioni Forzate dell’ONU, un gruppo di esperti indipendenti che da oltre quattro anni tenta di occuparsi del fenomeno indagando sul territorio messicano. Jan Jarab, rappresentante in Messico dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti dell’Uomo, ha ricordato che sono passati otto anni dal momento in cui il Paese ha ratificato la convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate. “È imperativo che il Messico apra una nuova via di giustizia per le vittime

scomparse e rafforzi il regime di protezione internazionale”, ha detto Jarab in una recente dichiarazione. L’approvazione, a maggio, della “legge generale” sulla scomparsa forzata, ordinanza richiesta dalle Nazioni Unite, aveva fatto sperare in un’apertura del Paese verso la comunità ONU, ma la rigida chiusura al Comitato, in ottobre, sembra indicare che il Messico non abbia intenzione di permettere interventi da parte delle autorità internazionali. Come dichiarato dalla presidente del Comitato, Suela Janina, “non è la fine della strada, solo l’inizio”: il gruppo di esperti non si è arreso e sta studiando nuovi modi per riuscire a collaborare con le autorità del Paese. Un decennio di violenza crescente, la sospetta complicità di istituzioni statali e governative, e la mancanza di collaborazione del governo di Peña Nieto rendono il sostegno internazionale un elemento necessario per la salvaguardia dei diritti umani in Messico. In questo senso, una visita da parte del Comitato aiuterebbe il Paese ad affrontare le sparizioni forzate, mentre il Governo, apparentemente disinteressato, dovrà essere traghettato verso un’idea di giustizia e garantismo da integrare nella realtà della sua gestione politica e legale.


ECONOMIA BARCELLONA CONTRO: LA LUNGA NOTTE IBERICA Nessun dialogo tra Madrid e Barcellona

Di Michelangelo Inverso A distanza di meno di un mese dal referendum per l’indipendenza catalano, molti sono i tasselli che si sono inseriti nel mosaico della politica iberica. Anzitutto, si è preso atto del tentativo del presidente catalano, Charles Puigdemont, di intavolare un dialogo con Mariano Rajoy, ufficialmente ‘congelando’ la dichiarazione di indipendenza e tracciando una deadline di 2 mesi per negoziare con Madrid una secessione controllata. Ma, più verosimilmente, nel tentativo di rinunciare all’indipendenza in cambio di un’ampia autonomia in materia economica e legislativa. D’altro canto, il premier Rajoy ha rifiutato categoricamente ogni offerta di dialogo, ponendone come precondizioni l’abiura all’indipendenza, le dimissioni del governo separatista e nuove elezioni in Catalogna. Tenuto conto del rifiuto opposto a tale condizione, il governo spagnolo, appoggiato in modo diverso dal partito Socialista e da Ciudadanos, ha attivato sabato 21 ottobre l’art. 155 della Costituzione spagnola. Tale strumento costituzionale, mai attivato nella storia

democratica spagnola, permette al governo centrale di esautorare i governi locali, convocare nuove elezioni e di assumere le loro prerogative in ambito fiscale, legislativo e di sicurezza (tra cui il controllo dei Mossos de Esquadra, la polizia catalana, i cui vertici sono indagati per sedizione). Frattanto, anche la situazione economica è andata deteriorandosi in questo mese. Madrid ha approvato una legge mirata a rendere più conveniente alle imprese con sede in Catalogna trasferire la propria sede legale altrove in Spagna, con grave danno per l’economia della regione. Già si contano un migliaio di imprese e alcune grandi banche nella lista degli ‘espatriati’ e questo non fa che radicalizzare lo scontro. Infatti, sono sempre più gli scontenti per la prova muscolare del Partito Popolare di Rajoy, che sta colpendo indiscriminatamente indipendentisti e unionisti, attraverso il sabotaggio dell’economia locale. Si è arenato, infine, anche l’ultimo tentativo di dialogo tra le due parti, che avrebbe dovuto concretizzarsi al Senato di Madrid, dove era atteso per il 26 ottobre l’intervento

del presidente catalano Puigdemont, all’ultimo saltato. Sullo sfondo rimane la richiesta, da parte della maggioranza parlamentare catalana, di dichiarare unilateralmente l’istituzione della Repubblica senza più di Catalogna discutere con Madrid. Se fosse confermata, significherebbe che il parlamento catalano ha deciso di dichiararsi indipendente dal resto della Spagna, e Madrid allora scioglierebbe di autorità il suo governo convocando nuove elezioni. Lo scontro si è invelenito a tal punto che le istituzioni catalane, tra cui la TV pubblica e forse persino i Mossos de Esquadra, potrebbero optare per la disobbedienza civile nei confronti degli ordini che verrebbero emanati da Madrid, aprendo scenari estremamente pericolosi. L’ultimo treno, per disinnescare lo scontro sembra passare questa settimana e, situazione attualmente, la resta fluida e passibile di radicali svolte. Presto sapremo se il treno avrà dei passeggeri o se sarà l’ennesima triste e solitaria partenza nel buio di una notte che potrebbe durare ancora a lungo sulla penisola iberica. MSOI the Post • 17


ECONOMIA L’ARABIA SAUDITA SOGNA L’INDIPENDENZA DAL PETROLIO Il piano prevede anche la costruzione di una nuova città da 500 miliardi di dollari

Di Giacomo Robasto Il progetto ‘Vision 2030’, che è stato lanciato con grande enfasi ad aprile scorso su iniziativa del principe ereditario, Mohammed Bin Salman Al-Saud, si propone di implementare nello Stato saudita importanti riforme economiche e sociali, necessarie a cambiare il volto dell’economia del Paese. Al momento attuale, infatti, gran parte dell’economia del Regno poggia sui processi di estrazione ed esportazione di idrocarburi, che garantiscono oltre l’80% delle entrate statali. Tale sostanzioso pacchetto di riforme mira essenzialmente al raggiungimento di una economia assai diversificata, innovativa, moderna e che coinvolga ogni settore della società, sia con politiche destinate alla crescita del settore privato interno, sia con la privatizzazione di società pubbliche di servizi come l’elettricità e l’acqua. Sono, inoltre, in programma misure a favore delle piccole e medie imprese, ma anche lo sviluppo delle energie rinnovabili, dei servizi finanziari, della tecnologia e del turismo, oltre alla riduzione del ruolo dello Stato nel mercato del lavoro, con un regime di tassazione minimo. 18 • MSOI the Post

Tuttavia, un grande progetto come questo non include solo un programma di adeguamento sul piano legislativo; infatti, come il principe Salman ha annunciato il 24 ottobre scorso nell’ambito della ‘Future investment initiative’, ospitata annualmente a Riyad, il progetto è stato rivisto e ampliato. Tra i nuovi provvedimenti spicca senz’altro un investimento da 500 miliardi di dollari per la costruzione di una nuova città, che sarà battezzata con il nome di ‘NEOM e sorgerà su un’area di circa 26.500 chilometri quadrati sulle rive del Mar Rosso, al confine tra Arabia Saudita, Egitto e Giordania, rappresentando il primo insediamento a estendersi nei pressi di tre Paesi. La città aspira ad essere “la più sicura, la più efficiente ed orientata al futuro, il miglior posto dove vivere e lavorare” dell’intero Regno, spiega una nota di presentazione del progetto. La città sarà, di fatto, un hub globale di attività industriali ed economiche, che per la sua posizione strategica unica può raccogliere il meglio di Europa, Asia e Africa. Secondo alcuni analisti, non è la prima volta che l’Arabia Saudita preannuncia un progetto faraonico che rischia

di non concretizzarsi a causa di problemi burocratici interni. Se, in effetti, si fa riferimento ad alcuni dati ufficiali, non è difficile rendersi conto di come lo Stato dovrà cambiare profondamente perché il progetto di NEOM possa veramente divenire realtà. Secondo la Banca Mondiale, l’Arabia Saudita risulta al 102º posto su 190 Paesi considerati per la qualità del contesto economico in cui gestire un’attività imprenditoriale, mentre si colloca alla 158ª posizione in quanto a volume di scambi internazionali, ai livelli della Birmania, ma molto lontana dagli Emirati Arabi Uniti, suo diretto concorrente. La vera sfida per l’Arabia Saudita sarà realizzare davvero quanto ora è solo sulla carta, per dare un futuro alla nazione, tenendo presente che oltre la metà della popolazione del Regno ha meno di 30 anni ed ha dunque un altissimo potenziale di sviluppo. Oltre agli investimenti previsti, andrebbero inclusi anche cospicui investimenti in istruzione, affinché NEOM possa diventare un polo di eccellenza tecnologico non solo per gli stranieri, ma soprattutto a vantaggio della popolazione locale.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO DIRITTO ALL’OBLIO E DIFFAMAZIONE SUL WEB CEDU e Senato: due opinioni contrastanti

Di Elena Carente Il diritto all’oblio è, come dice la parola stessa, il diritto ad essere dimenticati. In origine, nasce per tutelare un soggetto che, in seguito ad una condanna, richiede la cancellazione del proprio nome dalla cronaca quando la notizia non è più di pubblico interesse. La logica è quella di fare in modo che qualsiasi cittadino che abbia già scontato la pena non subisca ulteriori sofferenze e possa facilmente essere reinserito all’interno della società. Sulla carta stampata il problema è pressoché inesistente poiché, una volta pubblicata, la notizia non è più attuale e difficilmente viene ripubblicata. Lo stesso non vale per internet dove, al contrario, le notizie possono essere consultate per diversi anni se non addirittura per sempre. In Italia è il giudice a determinare, caso per caso, dopo quanto tempo una notizia non è più attuale. Non esiste, infatti, una legge che regolamenti questo

istituto, di qui la sua debolezza. Su un tema così delicato si è recentemente pronunciata anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che, in una decisione del 19 ottobre, ha ritenuto che tra il diritto alla libertà di stampa e il diritto alla reputazione, debba prevalere il primo. Il ricorso presentato alla Corte riguarda il Sig. Fuchsmann, cittadino ucraino residente in Germania, il quale sosteneva di esser stato diffamato da un articolo del New York Times nel quale venivano resi noti i suoi presunti legami con la criminalità organizzata russa e chiedeva la cancellazione della notizia. Tuttavia Strasburgo, in linea con i giudici tedeschi, ha ritenuto che gli archivi dei giornali (compresi quelli online) debbano essere protetti in virtù del loro valore educativo, soprattutto in sede di ricerca, e non vadano azzerati. La scelta delle autorità nazionali (in questo caso quelle tedesche) di tutelare gli archivi piuttosto che le istanze dei ricorrenti che si ritengono lesi nel diritto alla

reputazione e richiedono il ritiro di notizie pubblicate sul web, si è dunque rivelata conforme alla Convenzione. Il Senato italiano sembra invece andare nella direzione opposta. In Commissione Giustizia, mentre si discute il disegno di legge sulla diffamazione, è stato presentato un emendamento secondo il quale spetta al Garante della Privacy decidere sulle notizie diffamatorie da cancellare, anche in assenza di una condanna definitiva che confermi l’atto diffamatorio. Un provvedimento, questo, che sembra minacciare la libertà di stampa e la garanzia di poter fare ricerche storiche. Resta il fatto che la natura del crimine, il tempo trascorso, il pubblico interesse in gioco e la dimensione pubblica del soggetto interessato, sono tutti importanti parametri di riferimento che anche il Garante della Privacy dovrà tenere in considerazione per stabilire se una notizia possa/debba essere cancellata. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO LAVORO E UNIONE EUROPEA: QUANDO I CONFINI SONO ANCORA UN PROBLEMA Il caso Ryanair di fronte alla Corte europea di giustizia

Di Luca Imperatore Il processo di integrazione comunitaria ha portato con sé grandi e importanti trasformazioni nel modo di vedere, percepire e gestire le frontiere, tanto fisicamente quanto concettualmente. Moltissimi settori differenti sono stati coinvolti da questi rivoluzionari cambiamenti e hanno visto l’adozione di numerosi strumenti di diritto per regolare relazioni di varia natura che abbiano carattere transfrontaliero. Le quattro libertà fondamentali sancite dai trattati fondativi dell’Unione europea (libera circolazione degli individui, delle merci, dei servizi e dei capitali) muovono proprio in questa direzione. Un problema, però, che ancora presenta difficoltà, è quello rappresentato dall’identificazione della legge applicabile alle vertenze contrattuali. Ipotizziamo, infatti, di avere a che fare con un contenzioso che lega lavoratori marittimi di una data nazionalità “A” che operano temporaneamente nel territorio dello Stato “B”, a bordo di un’imbarcazione registrata presso lo Stato “C”, ma controllata da un’impresa dello Stato “D”. La situazione descritta, pur sembrando paradossale, non è affatto una rarità nel contesto europeo. La funzione nomofilattica è svolta dalla Corte di giustizia dell’Unione euro20 • MSOI the Post

pea, chiamata in più occasioni a dirimere questioni di attribuzione. La corretta identificazione del foro competente (e della legge applicabile) è una tematica di fondamentale rilevanza, recentemente trattata dalla Corte di Lussemburgo nel caso Ryanair (C-168/16 e C-169/16). Il caso riguardava un contrattato di lavoro stipulato da alcuni cittadini dell’Unione (di diversa nazionalità) e la nota compagnia aerea lowcost irlandese. Una clausola del contratto identificava nella normativa irlandese la legge applicabile allo stesso. A seguito della cessazione del rapporto, i lavoratori coinvoltipresentavano ricorso (per l’ottenimento di alcuni arretrati e rimborsi) dinnanzi al Tribunale di Charleroi (Belgio) che dichiarava di non essere competente a conoscere del caso. In sede di Appello, veniva sollevata questione pregiudiziale dalla CourduTravail di Mons (Belgio). La domanda chiedeva quale fosse, nel caso del trasporto internazionale di passeggeri, il foro competente a decidere di una vertenza contrattuale. La compagnia aerea, richiamando la Convenzione di Chicago sull’aviazione civile internazionale, sosteneva che la legge applicabile fosse quella della nazionalità degli aeromobili, sui quali i lavoratori operavano.

La Corte, valutando la necessità di evitare la moltiplicazione dei fori competenti nella tutela della parte debole del contratto – il lavoratore –, prende in considerazione la nozione di «luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività» (che emerge dal Reg. “Bruxelles I”), dichiarandolo però non assimilabile alla nozione di «base di servizio». Dalla pronuncia riemerge, dunque, una generale impostazione orientata verso la maggior tutela del lavoratore, che impedirebbe alla compagnia aerea di applicare la legge irlandese ad un lavoratore distaccato in altro Stato membro dell’Unione. È chiaro che, tale considerazione, potrà avere delle ricadute importanti in materia contrattuale, tanto per il vettore quanto per i dipendenti dello stesso ed imporrà una riconsiderazione futura delle logiche giuslavoristiche attualmente vigenti. La vicenda è, in fondo, una ulteriore dimostrazione di quanto i confini, intangibili, immateriali ed evanescenti penetrino i contratti ed i rapporti giuridici. L’erosione della tradizionale visione degli stessi, operata dall’integrazione europea non può che rafforzare un processo di trasformazione anche di queste relazioni, verso un orizzonte difficile da prevedere.


MSOI the Post • 21


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