MSOI thePost Numero 84

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino

Indian Pollution


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Jessica Prietto Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Efrem Moiso, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

UNIONE EUROPEA: FIRMATA LA PESCO Maggiore cooperazione nel sistema di difesa europeo

Di Giuliana Cristauro

ITALIA 13 novembre. Il GIP di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione chiedendo la formulazione di imputazione coatta contro gli indagati per omissione di soccorso nel naufragio di Lampedusa dell’11 ottobre 2013. In tale occasione persero la vita circa 300 persone. POLONIA 11 novembre. Nel Giorno dell’Indipendenza, i movimenti di estrema destra hanno “monopolizzato” le celebrazioni: più di 60.000 nazionalisti hanno invaso le strade di Varsavia, in quella che è stata definita dall’Indipendent una delle più “grandi marce fasciste d’Europa”. Alle commemorazioni ufficiali, invece, era presente anche il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ex Premier polacco, ritornato in patria su invito del presidente Duda. REGNO UNITO 14 novembre. Dopo aver comunicato la data ufficiale dellaBrexit(29Marzo2019),David Davis ha annunciato che spetterà ai membri del Parlamento votare ogni accordo negoziato con l’Unione Europea; si tratterà di un voto definito “prendere o lasciare” (take-it-or leave-it vote), che, in ogni caso, non cambierà il fatto che il Regno Unito lascerà l’UE. La votazione favorirà il

Il 13 novembre i Ministri della Difesa di 23 Stati membri dell’UE hanno firmato la “notifica congiunta” sulla Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), consegnandola poi all’alto rappresentante per gli Affari Esteri Federica Mogherini e al Consiglio dell’Unione, in ottemperanza delle norme procedurali. Lo scopo della PESCO in primis è quello di sviluppare le capacità di difesa dell’Unione Europea e renderla così un grande partner internazionale per la sicurezza, ma anche garantire una maggiore protezione dei cittadini europei. Il processo di integrazione europea per la sicurezza e la difesa è stato più volte ostacolato, soprattutto dalla mancanza di volontà politica degli Stati. Infatti, a differenza di altri settori, tali tematiche sono sempre state sinonimo di prerogative intergovernative. Il Trattato di Lisbona, però, aveva introdotto la possibilità di potenziare la cooperazione militare tra i Paesi UE attraverso la creazione di una Cooperazione Strutturata Permanente che consentisse l’adeguamento delle forza armate degli Stati membri ai piani di difesa dell’Unione. La base giuridica di tale apparato risiede negli articoli 42, paragrafo 6 e 46 del trattato sull’Unione Europea (TUE).

Il Protocollo n. 10, annesso al Trattato, indica che la PESCO è aperta ad ogni Stato membro che sappia potenziare le proprie difese attraverso i propri contributi nazionali, partecipando inoltre a forze multinazionali e all’attività dell’Agenzia europea per la Difesa (AED). I Paesi che intendano aderirvi devono quindi essere in grado di fornire unità di combattimento ed elementi di supporto, ma decidono volontariamente se aderirvi. Inoltre, a differenza di altre forme di cooperazione, gli impegni derivanti dalla PESCO hanno natura vincolante solo per gli Stati che intendano parteciparvi. Le nazioni che hanno firmato la notifica congiunta sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia. Altri Stati potrebbero aderire successivamente. Il Consiglio ha tre mesi di tempo dalla notifica per adottare una decisione che istituisca la Cooperazione Strutturata Permanente e fissi l’elenco dei Paesi partecipanti. Nell’ottica di un futuro potenziamento della cooperazione europea, la PESCO potrebbe essere la base sulla quale costruire una sempre maggiore integrazione in ambito di difesa e sicurezza. MSOI the Post • 3


EUROPA passaggio dalla legislazione europea a quella inglese: ogni atto giuridico europeo sarà “copiato” e trasposto nel sistema interno e i Parlamentari potranno emendare e migliorare le singole leggi, ove necessario. SPAGNA 12 novembre. Prima visita in Catalogna per Mariano Rajoy, dopo l’applicazione dell’art. 155 della Costituzione. Il Primo Ministro spagnolo ha visitato Barcellona in occasione della presentazione ufficiale di Xavier Albiol,candidatoallaGeneralitatdel Partito Popolare per le elezioni del 21 dicembre. UNIONE EUROPEA 13 novembre. 23 Paesi dell’Unione Europea - tra cui l’Italia, la Francia e la Germania - hanno firmato la richiesta di aderire alla Cooperazione strutturata permanente, ovvero un fronte di difesa comune europea. L’Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini, ha salutato con piacere questo passo in avanti dell’Unione Europea, ha parlato di una “una giornata storica per la difesa europea”. Si attende il voto dell’11 dicembre del Consiglio Affari Esteri. 15 novembre. L’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU, Zeid Raad Al Hussein, accusa la politica migratoria dell’Europa e dell’Italia e, in particolare, l’accordo con la Libia, che rischia di condannare molti migranti a restare nei centri di detenzione libici, definiti “orrori inimmaginabili”. La Commissione europea ha replicato ribadendo la necessità di chiudere tali centri perché “la situazione è inaccettabile”. A cura di Claudia Cantone

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BLACK AUTUMN IN A “WHITE EUROPE” Varsavia: oltre 60.000 manifestanti di estrema destra

Di Simone Massarenti Nel giorno delle celebrazioni per l’indipendenza polacca del 1918, circa 60.000 manifestanti di estrema destra, secondo le stime del corpo di polizia, hanno riempito le vie del centro città per una manifestazione dallo slogan “White Europe of Brotherly Nations”. Alla testa del corteo, i rappresentanti di 3 gruppi di estremisti polacchi: All Youth Poland, dal 2010 attiva con movimenti di protesta; National Movement, il movimento nazionalista polacco; National Radical Camp, meglio conosciuto come ONR. Nonostante la massiccia partecipazione al corteo, diversi testimoni hanno raccontato a Politico che gran parte dei partecipanti erano in realtà “ignari cittadini convinti di partecipare alle celebrazioni per l’indipendenza”. Il ministro degli Interni Mariusz Blaszczak ha infatti dichiarato che “la manifestazione era stata autorizzata e si è svolta regolarmente e senza scontri”, mostrando un tacito appoggio da parte del governo, da mesi in una contesa diplomatica con l’UE. Jaroslaw Kaczynski ha inoltre dichiarato, durante una manifestazione parallela, di non aver saputo di slogan antisemiti o anti-Islam.

L’atteggiamento della pubblica amministrazione ha innalzato il livello di attenzione a Bruxelles: come riportato dal Guardian, infatti, lo slogan “Pure Poland, White Poland” è un chiaro segnale di contrasto con i principi fondamentali dell’Unione. Nick Lawles, membro del gruppo antiestremista “Hope and Hate”, allo stesso quotidiano britannico ha infatti dichiarato come “la manifestazione abbia una valenza internazionale, data la partecipazione di personalità straniere”. Il corteo è stato infatti presenziato, ad esempio, da Roberto Fiore e dall’ex leader della English Defense League, Stephen Lennon (meglio conosciuto come Tommy Robinson). Altri osservatori si dicono preoccupati per le ripercussioni nel panorama europeo. Ad esempio, Andy Eddles, docente inglese in Polonia per oltre 27 anni, ha dichiarato al New York Times: “scioccante che un Paese che ha subito le peggiori torture permetta tutto ciò a degli hooligans politici”. Egli reputa perciò importante il sostegno all’anti-fascismo, anche se slogan cattolici del tipo “We Want God”, appoggiati anche da Trump durante il suo viaggio nel Paese, allargherebbero ulteriormente le zone in cui, grazie ad un incalzante sentimento di rivalsa, l’estremismo si può diffondere.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole CANADA 10 novembre. Il primo ministro Justin Trudeau ha preso parte al vertice dei leader dell’APEC presso la città di Da Nang, Vietnam. In questa occasione il rappresentante canadese ha ribadito il proprio impegno nella costante creazione di posti di lavoro accessibili per tutti i componenti della società. 11 novembre. Durante il suo ultimo giorno in Vietnam, Justin Trudeau, si è rivolto ai cittadini canadesi in occasione del Remembrance Day dichiarando: “Abbiamo un debito immisurabile verso i nostri veterani e le loro famiglie”. Sophie Grégoire, moglie del Primo Ministro, ha partecipato in prima linea ed in rappresentanza del marito alla tradizionale cerimonia di commemorazione svoltasi ad Ottawa. 13 novembre. Il primo ministro Trudeau si è recato nelle Filippine per prendere parte al Summit ASEAN (Association of Southeast Asian Nations), organizzato nella città di Manila. In questa occasione Trudeau ha dichiarato di attendere con impazienza l’inserimento del Canada tra i membri dell’Associazione e di continuare a sostenere le attività finalizzate al controllo e alla sicurezza della minoranza musulmana dei Rohingya in Myanmar. STATI UNITI 11 novembre. Donald Trump si è confrontato con il presidente Vladimir Putin a margine del vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation). I due, durante brevi conversazioni, si sono concentrati sui risultati ottenuti nella lotta contro le

YEMEN-USA, UN CONFLITTO NEI CONFLITTI La difficile situazione in cui potrebbe trovars l’amministrazione Trump

Di Alessandro Dalpasso

zione USA.

Da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca ha iniziato una guerra silenziosa, e soprattutto verbale, con alcuni Stati quali Nord Corea e Cina.

Il 17 ottobre, un attacco contro dei campi di addestramento del sedicente Stato Islamico, ha lasciato sul terreno numerosissimi combattenti, più di 50 secondo le fonti del Dipartimento di Stato. Stando alle fonti governative questi campi erano “fuori dal controllo governativo” e usati per “complottare, dirigere, istigare e finanziare attacchi contro l’America e i suoi alleati”. A stretto giro di ruota, però, la versione ufficiale del Pentagono è stata smentita da fonti locali, incrementando, dunque, quel clima di tensione che era già stato esacerbato precedentemente.

Dato il carattere fortemente mediatico delle esternazioni del 35º Presidente americano nei confronti di questo novello “asse del male”, è naturale che passino sotto traccia altre e più significative operazioni che pure vedono il dispiegamento di soldati statunitensi “boots on the ground”. In questa seconda linea d’azione si inseriscono, dunque, le vicende che hanno come protagonista lo Yemen. Il 29 gennaio, per la prima volta sotto la presidenza del tycoon newyorkese, ha avuto luce verde un raid che ha coinvolto le forze speciali in territorio yemenita e che ha portato alla morte di alcuni alti ufficiali di al Qaeda. Sono stati uccisi altresì, oltre ad un soldato statunitense, numerose donne e bambini che si trovavano nel compound. Un così alto numero di vittime collaterali ha provocato numerose polemiche e dato ragione, dunque, a chi aveva appoggiato la scelta dell’amministrazione Obama di attuare una moratoria su questo tipo di operazioni, ma soprattutto esacerbando il clima e le relazioni con le tribù locali, interlocutori principali e fondamentali per l’amministra-

Da gennaio ad oggi, poi, gli attacchi con i droni sono continuati (sarebbero circa un centinaio, contro i 44 dell’anno precedente) rivelandosi strategia poco e efficac dal punto di vista militare e disastroso nella lotta sia ad al Qaeda sia al gruppo IS, che hanno visto moltissime persone affiliarsi a queste sigle per un senso di ingiustizia e sentimento anti-americano crescente. In un teatro confuso e frammentato come quello del piccolo Stato della penisola arabica, in cui sono in corso numerosi conflitti, rischierebbe di intrappolare l’amministrazione Trump in un conflitto pluriennale senza concrete speranze di successo. A meno di numerose perdite e a costo di innumerevoli voti. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA forze estremiste radicate in Siria. 12 novembre. Si è conclusa la consultazione tra i Ministri degli Affari Esteri di India e Giappone e i funzionari dei dipartimenti degli Affari Esteri di Australia e Stati Uniti. L’incontro, svoltosi a Manila, si è concentrato sulla concreta attuazione delle strategie condivise per la realizzazione di uno spazio di libera circolazione nell’area Indo-Pacifica. 14 novembre. Sparatoria in California. Nel piccolo centro di Rancho Tehama, un uomo, Kevin Neal, munito di pistole e fucile ha provocato la morte della moglie e di altre 5 persone, seminando il panico per la cittadina. Il killer, prima di essere ucciso, ha terminato il suo folle gesto facendo irruzione all’interno di una scuola elementare. 15 novembre. Il segretario di Stato Rex Tillerson ha incontrato, in Myanmar, il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi. In riferimento alla profonda crisi umanitaria in atto e ai danni della minoranza Rohingya, il Segretario Tillerson ha annunciato di voler destinare ulteriori 47 milioni di dollari per fini di assistenza umanitaria. 16 novembre. Judith Garber, dell’OES (Bureau of Oceans and International Environmental and Scientific Affairs) ha guidato la delegazione americana alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP23) svoltasi a Bonn. Confermata la volontà di Donald Trump di ritirarsi dall’Accordo di Parigi. A cura di Erica Ambroggio 6 • MSOI the Post

MURDOCH PRONTO A COMPRARE LA CNN Dietro l’interesse del magnate australiano ci potrebbe essere la Casa Bianca

Di Federico Sarri Secondo quanto emerso dalle ultime indiscrezioni, Rupert Murdoch, il magnate australiano dei media, sarebbe interessato ad acquistare la CNN. Tuttavia, il sospetto è che dietro la business strategy dell’imprenditore di Melbourne ci siano le interferenze del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Stando a quanto riferito da alcuni quotidiani statunitensi, il businessman australiano, con un patrimonio di 13,9 miliardi di dollari, avrebbe contattato il presidente di AT&T Randall Stephenson, facendo trapelare il proprio interesse nell’acquisto della rete televisiva di Atlanta. I media riportano altre due telefonate nel corso di quest’anno: la prima, avvenuta il 16 maggio, e la seconda risalente all’8 agosto. I proprietari delle due maggiori televisioni statunitensi, FOX e CNN, hanno però smentito l’oggetto delle due telefonate. Pochi giorni fa, il Dipartimento di Giustizia aveva posto come condizione alla fusione di AT&T e Time Warner proprio la cessione della CNN, per evidenti ragioni di concorrenza. Il magnate dei media, proprietario della 21st Century FOX, avrebbe così approfittato di tali circostanze per inserirsi nella trattativa, nella speranza di acquistare l’emittente televisiva della Georgia e sventare una fusione che potrebbe rivelarsi dannosa per la FOX.

È in questo quadro che si inserisce l’amicizia che lega Rupert Murdoch e Donald Trump. Secondo alcune fonti, dietro l’interesse del magnate australiano naturalizzato statunitense ci sarebbe proprio il Presidente americano. Trump, dal canto suo, non ha mai nascosto le proprie simpatie per la Fox. Così come non ha fatto nulla per nascondere il suo rapporto conflittuale con la CNN, spesso chiamata “Fake News Network” e raffigurata, in un video fatto circolare su Facebook, come un wrestler messo al tappeto dallo stesso Trump. Se Murdoch riuscisse nell’impresa dell’acquisto della CNN si ritroverebbe in mano il monopolio dell’informazione televisiva statunitense e, di conseguenza, Trump perderebbe quello che, secondo lui, è un nemico giurato della sua amministrazione. Tuttavia, dal prospettato scenario emergerebbero non trascurabili problemi di antitrust. A nulla, comunque, sono servite le smentite degli interessati. Preoccupati dal conflitto di interessi del Presidente, otto senatori democratici hanno mandato una lettera al capo dell’Ufficio Antit rust , Makan Delrahim. A lui, i parlamentari Dem chiedono di opporsi con fermezza a qualsiasi interferenza della Casa Bianca nella questione.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole IRAQ 11 novembre. Annunciata missione per la riconquista della regione di Anbar, nella città di Rawa, ultima roccaforte del sedicente Stato Islamico. A riportarlo è la televisione locale Iraqiya, vicina al Governo, che cita quanto annunciato dal premier Haidar al Abadi. 12 novembre. Le regione di Sulaymaniayya è stata colpita da un violento sisma di magnitudo 7.2. La televisione curdoirachena Rudaw e gli ospedali in zona riferiscono che il numero delle vittime è maggiore in Iran, che conta più di duemila feriti e 214 morti, mentre in Iraq il bilancio delle vittime si è arrestato a 7.

ISRAELE 12 novembre. Il generale Yoav Mordechai, coordinatore israeliano per le attività nei Territori ha invitato le milizie palestinesi a non agire in ritorsione in relazione alla distruzione di alcuni tunnel, avvenuta due settimane fa. Nell’attacco erano rimasti uccisi 14 miliziani e soccorritori palestinesi. LIBIA 11 novembre. Le forze del generale Khalifa Haftar prendono possesso dell’edificio in cui è situata la sede del Ministero dell’Interno a Bengasi. La ragione del gesto, secondo i media locali, starebbe nella dichiarazione di sfida lanciata lo scorso venerdì a Haftar da

GAME OF MENA Le imprese di un leader...d’eccezione. Quando la casa Saud cambia strategia

Di Jean-Marie Reure La vita di un uomo all’insegna dell’eccezione. Mohammed bin Salman, noto anche come MBS, di comune ha ben poco. Il più giovane Ministro della Difesa al mondo, a 31 anni diviene vice Principe Ereditario dell’Arabia Saudita: re Salaman, suo padre, con un decreto toglie la carica al nipote. È il simbolo del progresso per un Paese che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, entro il 2020 rischia la bancarotta. È però solo la punta di un iceberg: altri 11 giovani leader (classe ‘85) hanno raggiunto insieme a lui posti apicali della petromonarchia. Hanno dei progetti per il futuro e MBS ne è l’emblema. Propone un piano, Vision2030, per diversificare l’economia e renderla più competitiva dopo aver proposto di privatizzare il petro-gioiello saudita ARAMCO. Coinvolge la polizia religiosa, impedendole di procedere ad arresti diretti, e propone la visione di un Islam più moderato, in un’Arabia Saudita-quasi-secolare. Consente alle donne di guidare e lancia campagne anti-corruzione unite ad una strenua lotta al terrorismo di matrice islamica. Davvero tante, quasi troppe, decisioni importanti in un lassi di tempo così ridotto. Senza sembrare cinici, conviene enumera-

re i fatti in ordine cronologico. Il nostro giovane MBS lancia, nel 2015, una guerra in Yemen e viene nominato da lì a poco vice Principe Ereditario. Nel 2017, con il supporto degli Emirati, congela i rapporti con Doha. Viene nominato Principe Ereditario. Si vocifera che l’ormai ex favorito al trono sia agli arresti domiciliari, salvo poi una smentita ufficiale. Il 3 novembre convoca il primo ministro libanese e suddito di Ryad, Hariri, il quale poi denuncia un tentato assassinio e si dimette, rifiutandosi di tornare in Libano per paura degli Hezbollah. Lancia, infine, una massiccia campagna anticorruzione che porta agli arresti più di 11 alti dignitari dello Stato. Il giovane Principe ha capito che, per accentrare il potere e rafforzarlo, si deve essere discreti. Per coprire il clamore degli avversari politici interni quale miglior rumore di quello delle bombe, specie quando colpiscono alleati dell’Iran? (Gli houthi, ndr). Le dimissioni di Hariri e la preannunciata visita di Abu Mazen in Arabia Saudita prima ancora che in Egitto, di rumore ne fanno tanto. È un giovane che piace in patria e all’Occidente, è fotogenico e sa parlare alle telecamere. Affascina Trump, che gli vende armi per un ammontare di 230 milioni di dollari.

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MEDIO ORIENTE Faraj Egayem, viceministro degli interni.

“LA SOVRANITA’ DEL QATAR È UNA LINEA ROSSA”

Il Bahrain riapre una storica disputa con il Qatar

15 novembre. Paese in crisi dopo le dimissioni del primo ministro libanese Saad Hariri, bloccato in Arabia Saudita dallo scorso 4 novembre. Il presidente Michel Aoun ha dichiarato di non voler accettare le sue dimissioni, se non con un incontro di persona. SIRIA 13 novembre. Tre raid hanno colpito in sequenza Aleppo, causando numerose vittime tra cui donne e bambini. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, il numero si fermerebbe a 21, mentre per la stampa locale le vittime sarebbero 43. YEMEN 11 novembre. Due missili lanciati contro Sana’a, capitale yemenita. I bombardamenti sarebbero stati causati dalla coalizione araba e avrebbero colpito il Ministero della Difesa e successivamente un’area residenziale poco distante, causando 8 feriti. 13 novembre. L’Arabia Saudita annuncia una missione per riaprire porti e aeroporti in Yemen. I primi interessati saranno i siti di Aden, Mokha e Mukalla, mentre altri saranno riaperti in una seconda fase, grazie anche al supporto delle Nazioni Unite. 14 novembre. Autobomba esplode contro un centro delle forze di sicurezza nel distretto di Al Mansoura ad Aden, Yemen meridionale, città capitale del Governo del presidente Abd Rabbo Mansur Hadi. L’esplosione avrebbe causato numerosi feriti e quattro vittime. A cura di Maria Francesca Bottura 8 • MSOI the Post

Di Martina Scarnato Sabato 4 novembre il Bahrain ha rilasciato una dichiarazione su una agenzia di stampa nazionale, la Bahrain News Agency, in cui affermava di avere “ogni diritto di pretendere ciò che era stato forzatamente amputato al suo territorio e di mettere in discussione la legittimità del governo del Qatar”, riaprendo di fatto una disputa storica. Nel marzo del 2001, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) aveva stabilito che al Bahrain spettava il controllo delle isole Hawar, mentre il Qatar era riconosciuto come legittimo sovrano nella regione di Zubara e delle isole Janan. Tuttavia, il Bahrain ha di recente affermato di aver subito un torto: nella nota pubblicata, infatti, si riporta che il regno avrebbe “sopportato l’intollerabile” e che l’avrebbe fatto soltanto per “assicurare l’unità” dei Paesi del Golfo. L’accusa al Qatar è di aver “usurpato i legittimi diritti del Bahrain”. Tali accuse arrivano nei giorni successivi ad una dichiarazione dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, in cui questi affermava che non si sarebbe fatto piegare dalle pressioni dei Paesi del GCC (Gulf Cooperation Council), un’alleanza di carattere politico-economico di cui lo stesso Qatar fa parte,

e che la sovranità del Qatar è “una linea rossa”, che non può essere messa in discussione. La disputa tra i due Paesi deve essere inquadrata all’interno di una crisi diplomatica di più ampia entità, cominciata all’inizio di giugno di quest’anno e che continua sino ad ora. Il 5 giugno, infatti, alcuni Paesi del Golfo e non (Arabia Saudita ed Egitto), hanno deciso di imporre un embargo sia per via aerea che marittima allo Stato qatariota, chiudendo le frontiere. Il Qatar viene accusato di contribuire all’instabilità della regione finanziando i gruppi di estremisti jihadisti considerati terroristici. Tuttavia, il vero motivo della crisi sembra essere il fatto che Doha stia conducendo una politica estera troppo vicina all’Iran. La scintilla sarebbe stata proprio una nota della Qatar News Agency che esaltava il ruolo dell’Iran nella Regione. Al momento la crisi non sembra avviarsi verso una soluzione, dato che nessuna delle parti è disposta a cedere: proprio il Bahrain avrebbe suggerito di “congelare” l’appartenenza del Qatar all’alleanza fino a quando non avesse adempiuto ad alcune richieste, tra cui l’interruzione dei rapporti con l’Iran. Richieste che, almeno per ora, il Qatar non ha intenzione di soddisfare.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

AMICIZIE PIU’ STRETTE TRA UE E ASIA CENTRALE?

L’UE si inserisce nel processo di rafforzamento dei rapporti tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica

Di Davide Bonapersona AZERBAIJAN 10 novembre. Il ministro degli Esteri, Elmar Mammadyarov, ha incontrato il commissario dell’Unione Africana per gli Affari Esteri, Viktor Harrison, e il commissario per gli Affari Sociali, Amira Elfadil, durante la sua visita in Etiopia. Il meeting ha sottolineato la necessità di portare avanti la cooperazione tra lo Stato caucasico e l’organizzazione internazionale puntando sui progetti umanitari condotti dall’Azerbaijan. MACEDONIA 13 novembre. 11 poliziotti sono stati licenziati per non aver evitato l’assalto al Parlamento di sostenitori del partito conservatore VMRO-DPMNE che, il 27 aprile, ha provocato il ferimento di 100 persone tra cui alcuni parlamentari e lo stesso primo ministro Zoran Zaev. La rivolta era scoppiata in seguito all’elezione di Talat Xhaferi come Presidente del Parlamento. ROMANIA 14 novembre. Madalina Dobrovolschi, il portavoce del presidente Iohannis, ha riportato che, il 24 novembre, la Romania parteciperà a un summit del Partenariato Orientale a Bruxelles. Tale incontro avrà l’obiettivo di evidenziare i progressi fatti finora dalla politica promossa dall’UE e perseguire un maggior avvicinamento con i Paesi inte-

Nel corso della settimana scorsa, a Samarcanda, è stato siglato l’accordo di cooperazione per il 2018-2019 tra i Ministri degli Esteri del Kazakhistan, Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Lo scopo primario di questo accordo è rinnovare e aumentare la cooperazione e gli sforzi comuni di questi Paesi in materia di sicurezza interna, scambi commerciali, turismo, energia e investimenti. In secondo luogo, l’accordo prevede un impegno più diretto e attivo nelle vicende internazionali, attraverso una maggiore collaborazione con le principali organizzazioni internazionali, come ad esempio le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’OCSE e l’OCI (Organizzazione della Cooperazione Islamica). Questo accordo è stato firmato a margine del XIII incontro annuale tra Unione Europea e Paesi dell’Asia Centrale che si è tenuto a Samarcanda. Questo appuntamento ha rappresentato la seconda, e finale, tappa del viaggio in Asia Centrale di Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Il suo viaggio è iniziato con l’incontro con il Presidente e il Primo Ministro kirghiso a

Biskek, al termine del quale le parti si sono impegnate ad iniziare la negoziazione di un accordo bilaterale “nuovo, ambizioso e completo” che rinnovi il precedente, risalente ormai al 1999. L’accordo in questione si collega a quello firmato l’anno scorso col Kazakhistan e mostra la volontà dell’UE di ampliare i rapporti con i Paesi dell’ex Unione Sovietica dell’Asia centrale. Il viaggio della ‘Signora PESC’ si è poi concluso, appunto, con l’incontro con i capi di Stato dei Paesi dell’Asia centrale, nel corso del quale la Mogherini ha ribadito la volontà e l’impegno dell’Unione Europea a collaborare e sostenere questi Paesi, affermando che, a suo avviso, nell’area vi sono “più opportunità da sfruttare che minacce da affrontare”. Federica Mogherini ha inoltre dichiarato che, per entrambe le parti, la cooperazione è fondamentale, non solo per la lotta alla radicalizzazione islamica e per la risoluzione della questione afghana e iraniana, ma anche in ambito commerciale, affermando che vi sono molte società europee pronte ad investire in Asia centrale. Infine, ha ricordato che l’UE è uno dei più grandi sostenitori dei Paesi in via di sviluppo nel mondo e in particolare dei paesi di questa zona, sottolineando ancora che, ad esempio, l’entrata del Kazakhistan, Kirghizistan e Tajikistan nel WTO è stata largamente appoggiata dall’Unione Europea. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI ressati.

ACCOGLIENZA E TRATTAMENTO DEI RICHIEDENTI ASILO NELL’EST EUROPA La Commissione europea punta il dito contro il mancato rispetto dei parametri di accoglienza

RUSSIA 13 novembre. Il presidente Vladimir Putin ha incontrato a Sochi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per discutere di questioni regionali e internazionali, come la lotta al terrorismo e l’impegno militare in Siria. L’incontro ha portato a una maggiore cooperazione sul piano economico e militare tale per cui Putin ha affermato che le relazioni tra i due Paesi sono da considerarsi completamente risanate. 14 novembre. In una conferenza stampa a Manila, il primo ministro Dmitry Medvedev ha dichiarato che le relazioni tra USA e Russia “sono nel loro punto più basso degli ultimi decenni”. Questa situazione è aggravata dalle sanzioni anti-russe che, secondo il Primo Ministro, promuovono il GNL statunitense in Europa. UCRAINA 10 novembre. Vari aeroporti dell’Ucraina sono stati bloccati per svariati allarmi-bomba. Alle 11:51 un anonimo ha informato la polizia di un esplosivo posto in una macchina vicino all’aeroporto di Zaporizhia. Poco dopo, un’altra chiamata anonima ha avvertito il personale dell’aeroporto di Kherson della presenza di un ordigno. Altre minacce hanno interessato Vinnytsia, Ivano-Frankivsk, Chernivtsi, e Rivne. Dopo l’evacuazione degli edifici, gli esperti non hanno trovato nessun esplosivo. A cura di Amedeo Amoretti 10 • MSOI the Post

Di Ilaria Di Donato Il tema dell’asilo anima le discussioni tra le istituzioni europee e i vari Stati membri fin da quando le migrazioni sono diventate un fenomeno strutturale nel nostro continente. Alcuni territori, sebbene meno sottoposti ai flussi di rifugiati in cerca di protezione, sono comunque i più restii a cedere all’UE porzioni della loro sovranità in materia. Tra questi, i Paesi del gruppo di Visegrad spiccano per la caparbietà con cui rifiuta di adeguarsi al sistema di quote imposte “dall’alto”. Avverso la decisione del Consiglio europeo del 2015, la quale prevedeva un ricollocamento dei migranti tra gli Stati membri nell’ottica di “condivisione degli oneri”, si sono schierate Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. I governi dei rispettivi Paesi, infatti, sostengono che le decisioni di Bruxelles li avrebbe esposti al rischio di subire attentati terroristici. Inoltre, le suddette nazioni sono responsabili altresì di applicare in maniera distorta le direttive europee in tema di trattamento dei rifugiati presenti sui loro territori. In particolare, sia la Polonia sia l’Ungheria hanno predisposto dei centri di trattenimento dei richiedenti asilo in attesa di definizione del loro status. La decisione, a giudizio delle autorità locali, sarebbe

giustificata dalla necessità di evitare spostamenti illegali verso altri Paesi europei. I governi di Varsavia e Budapest dispongono altresì di container per ospitare i migranti, sulla cui legittimità molte ONG hanno già espresso i propri dubbi. Il provvedimento, secondo le organizzazioni per la tutela dei diritti umani, sarebbe contrario alla Convenzione di Ginevra e alla legislazione europea sull’asilo. Anche il mondo culturale polacco si schiera contro i metodi di accoglienza messi in atto nel proprio Paese. Il regista Stasik, autore di un documentario sull’argomento, ha affermato che le autorità “hanno preso esempio dai metodi stalinisti, denigrano le persone. Kaczynski ha detto dei migranti che ‘sono sporchi e portano le pulci”. Per la reporter Surmiak-Domanska, invece, “i migranti sono il nuovo nemico immaginario, un po’ come lo erano gli ebrei alla fine degli anni ‘60”. Resta da vedere se l’Europa, attraverso la procedura di infrazione intrapresa nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, sarà in grado di frenare l’ondata nazionalista di quell’area del continente, la quale, alle richieste di accoglienza, contrappone muri di filo spinato.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA 15 novembre. Dopo più di anni, la Cina avrebbe espreso la volontà di inviare in Corea del Nord un diplomatico di alto livello. L’annuncio arriva una settimana dopo la visita del presidente Trump in Cina. Il responsabile del dipartimento affari esteri del partito, Song Tao , avrebbe programmato un incontro per questo venerdì. COREA DEL NORD 15 novembre. Dopo il Tweet polemico del Presidente degli Stati Uniti rilasciato durante il suo viaggio ad Hanoi, in cui erano state fatte considerazioni riguardanti l’aspetto fisico del dittatore nordcoreano, i media nordcoreani hanno criticato duramente il Presidente Trump, il quotidiano Rodong Sinmun ha focalizzato la sua critica sulla visita della scorsa settimana in corea del sud. 13 novembre. Un soldato nordcoreano è stato ucciso dai suoi commilitoni mentre cercava di attraversare il varco del villaggio di Panmunjom verso la Corea del Sud per disertare. Secondo fonti sudcoreane sarebbero stati sparati circa 40 colpi dalle forze di sicurezza nordcoreane.

GIAPPONE 14 novembre. Nell’incontro avvenuto lunedì con il premier cinese Li Keqiang, il primo ministro Shinzo Abe, avrebbe espresso la volontà da parte del Giappone di voler avviare una fase di miglioramento dei rapporti con

NEW DELHI: EMERGENZA SMOG

L’inquinamento atmosferico supera i limiti consentiti da due settimane

Di Virginia Orsili La presenza di smog tossico a New Delhi supera di 10 volte il limite ammesso. Durante la settimana del 6 novembre, una nuvola di sporcizia ha avvolto la capitale, rendendola una “camera a gas”, secondo le parole del primo ministro dello stato del Delhi Arvind Kejriwal. Da quando, il 9 novembre, l’indice che misura la qualità dell’aria ha toccato un massimo di 486 su 500, la situazione sembra leggermente migliorata, passando a 468 lunedì 13 novembre. Tuttavia, il Comitato Indiano dei Medici mantiene l’allerta salute: la particelle presenti nell’aria danneggiano diversi organi e in particolare i polmoni, causando asma e cancro. Il Comitato di Controllo dell’Inquinamento Atmosferico dell’India ha spiegato come la condizione attuale sia stata determinata da un alto tasso di umidità e dall’assenza di vento, che hanno permesso che le polveri rimanessero intrappolate nell’aria. La presenza di sostanze tossiche è causata dai gas emessi dalle auto, dalle industrie e dall’annuale combustione degli scarti del raccolto nelle fattorie del Punjab. Tuttavia, una chiara risposta del governo si fa attendere. La classe politica indiana ha mostrato delle resistenze rispetto

all’applicazione delle leggi che prevedono il divieto dell’incendio del raccolto. Una tale misura, infatti, inasprirebbe i rapporti con le potenti lobbies del Punjab legate all’agricoltura. Inoltre, agli occhi degli abitanti delle zone rurali, queste leggi farebbero gli interessi della popolazione urbana, mentre i contadini sarebbero costretti a ricorrere a meccanismi di riciclaggio del raccolto più costosi. In tutti i casi, la classe politica indiana non vuole rischiare la perdita di un consenso elettorale importante, nonostante il caro costo ambientale. Una situazione paradossale, visto il consenso indiano agli accordi di Parigi e si è detta favorevole alle energie rinnovabili. Il governo si è visto comunque costretto a prendere misure a livello locale, limitando la circolazione delle auto e ricorrendo alle targhe alterne. Inoltre, in occasione del Diwali, un festival hindu, il governo ha proibito la vendita di petardi. I risultati ottenuti risultano modesti. In seguito a un dibattito via Twitter tra i Primi Ministri di diversi stati indiani sulle responsabilità e le strategie da adottare, il primo ministro del Punjab Singh afferma: “Non si tratta di una discussione tra stati: essa non gioverebbe. È necessario l’intervento del governo centrale, il prima possibile.” MSOI the Post • 11


ORIENTE la Cina. Abe aveva già espresso questa volontà nell’incontro avvenuto lo scorso sabato in Vietnam con il presidente Xi Jinping. AUSTRALIA 14 novembre. Oltre 12,7 milioni di australiani hanno partecipato ad un sondaggio organizzato dal governo centrale a proposito della possibilità di introdurre il matrimonio per le persone dello stesso sesso. Il 61, 6 per cento dei votanti ha dato parere favorevole. La partecipazione è stata molto alta, il 79.5 percento degli aventi diritto ha preso parte al sondaggio. FILIPPINE 13 novembre. Durante la visita del presidente Trump in Manila, circa duemila persone hanno manifestato il loro dissenso per la visita del presidente americano. Molti i feriti tra i manifestanti durante gli scontri avvenuti con la polizia della capitale.

VIETNAM 11 novembre. Il vertice di Apec di Dang Nam, ha visto i paesi del patto Trans pacifico, raggiungere un accordo formale, anche senza gli Stati Uniti. Sembra comunque non essere immininte la firma del patto, i ministri degli esteri dei paesi coinvolti avrebbero raggiunto solo un intesa sui punti principali. Donald Trump poco dopo la sua elezione aveva deciso di abbandonare l’accordo commerciale deciso dal suo predecessore, preferendo la via degli acccordi bilaterali. A cura di Emanuele Chieppa 12 • MSOI the Post

TRUMP E JINPING NEL SUD-EST ASIATICO Egemonia o cooperazione economica?

Di Tiziano Traversa Molto è stato deciso, nell’ultima settimana, per quanto riguarda la competizione egemonica sino-statunitense nella regione indocinese e lo scontro, a livello globale, di due differenti visioni di come dovrebbe essere gestita la cooperazione economica. Infatti, il recente viaggio del presidente statunitense Donald Trump in Asia, il vertice della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) in Vietnam e il primo incontro del Partenariato Economico Regionale Globale (RCEP) a Manila potrebbero avere importanti ripercussioni. La potenza cinese è cresciuta nel nuovo millennio e l’influenza di Pechino si è estesa ai propri vicini orientali. Il sudest asiatico, in particolare, storicamente legato all’economia di Washington, è scivolato sempre più in seno a quella cinese. La visione di Trump riguardo agli accordi economici segue essenzialmente la logica nazionalistico-protezionista dell’“America first”. Gli USA, sotto il tycoon, sono passati a promuovere accordi bilaterali che non prevedano alcuna cessione di sovranità e che non vadano a disturbare gli interessi nazionali. Le economie più piccole e meno ricche guardano con un certo sfavore alle proposte di Washington, sapendo che la cooperazione bilaterale tende a favorire i Paesi più prosperi e temendo

quindi che simili accordi non farebbero che consolidare asimmetrie negli equilibri di potere, anziché scardinarle. In occasione del Vertice APEC, Trump ha criticato accordi multilaterali come il TPP e l’RCEP e ha annunciato di voler chiudere con il modello economico di cui l’America è stata campione, voltando le spalle all’economia della globalizzazione. Il testimone del “globalismo economico” passa quindi a Pechino, che si è proposto come alternativa già a gennaio, a Davos. È proprio una visione multilaterale dell’economia che Xi Jinping vorrebbe per i Paesi dell’area sud orientale. Il leader cinese ha un dettagliato progetto per il futuro della Cina e del mondo, e ha già iniziato a gettare le fondamenta. La nuova via della seta è un emblematico esempio di progetto di sviluppo improntato alla multilateralità, che tocca gli interessi di svariate nazioni, e che esclude, peraltro, gli Stati Uniti. La crescita economica e sociale nel sud-est asiatico e nel mondo dipenderà in ultima istanza dalle future scelte delle singole Nazioni. Per ora, i cinesi sembrano beneficiare dell’elezione di Trump e il presidente USA resta fedele alle promesse elettorali. La partita resta aperta, tra un Oriente in piena espansione e un Occidente che sembra chiudersi su sé stesso.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole ANGOLA 15 novembre. Joao Lourenço, salito alla presidenza in settembre, ha deciso di sollevare dall’incarico il Consiglio d’amministrazione della compagnia petrolifera nazionale (SONAGOL). Isabel Dos Santos, figlia dell’ex presidente Jose Eduardo Dos Santos e conosciuta come “La donna più ricca d’Africa”, sarà rimpiazzata alla testa della SONAGOL dall’ex segretario di Stato del Petrolio, Carlos Saturnino. La decisione si inserisce nel processo di ristrutturazione dell’apparato economico del Paese volta alla lotta alla corruzione ed il nepotismo dilaganti.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA 15 novembre. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato il mandato a MINUSCA per un altro anno. La missione multidimensionale in Centrafrica è stata ampliata per fronteggiare una situazione disastrosa. La protezione dei civili è al primo posto tra gli obiettivi di MINUSCA dal 2014. Nel 2017 si è calcolato che circa i tre quarti del Paese sono sotto il controllo di gruppi armati, mentre sono più di 1 milione le persone che han dovuto lasciare le proprie abitazioni. SOMALIA 13 novembre. Il Somaliland,

SUD SUDAN, LA FAME COME ARMA DI GUERRA Secondo l’ONU la situazione nel Paese costituisce terreno fertile per un genocidio

Di Simone Esposito Il governo del presidente del Sudan del Sud, Salva Kiir, avrebbe usato il blocco del cibo come arma di guerra, in una condotta atta a sottomettere i civili in alcune regioni. Riporta questo un dossier confidenziale del Comitato per le Sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel 2016 e nel 2017, una campagna militare da parte delle truppe governative nella provincia nordoccidentale di Wau e nelle aree circostanti il Bahr al-Ghazal Occidentale avrebbe preso di mira alcune etnie e costretto più di 100.000 persone alla fuga. “Per gran parte del 2017, il governo ha deliberatamente impedito che l’assistenza umanitaria raggiungesse una parte di popolazione” scrivono gli osservatori ONU. “La fameviene utilizzata come arma di guerra con lo scopo di infliggere sofferenze ai civili considerati nemici dal governo.” Le restrizioni all’assistenza umanitaria hanno già causato una grave insicurezza alimentare per gran parte della popolazione, risultata a livelli di malnutrizione critici, e diversi casi di morte per inedia nella zona di Greater Baggari. Almeno164 tra bambini e anziani sarebbero morti per malattie e denutrizione tra gennaio e set-

tembre 2017. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), pubblicato dal governo del Sudan del Sud con la collaborazione di partner umanitari, circa 4,8 milionidi persone soffrirebbero di insicurezza alimentare in Sud Sudan. Un portavoce del Presidente sud-sudanese ha criticato il report delle Nazioni Unite, definendolo “non obiettivo,” per aver ignorato l’attenzione del governo verso le aree più vulnerabili del Paese. Il Sud Sudan, quindi, è piombato nella guerra civile nel 2013, a soli 2 anni dall’indipendenza dal Sudan, portando più di un terzo dei suoi 12 milioni di abitanti a fuggire dalle proprie case. Il conflitto ha avuto origine a causa di una faida tra il presidente Salva Kiir e il suo vice, Riek Machar, accusato di aver organizzato un tentativo di colpo di Stato. A poco sono serviti gli sforzi di mediazione guidati dall’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD), culminati in un accordo di pace firmato nel 2015, ma violato dopo poche settimane. Si prevede che, in assenza di cambiamenti nelle attuali dinamiche conflittuali, la situazione deteriorerà ulteriormente nel 2018, quando al persistere del conflitto si aggiungerà l’arrivo della stagione secca.

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AFRICA autoproclamatosi indipendente nel 1991, è andato alle urne per eleggere il futuro nuovo Presidente. L’emergenza siccità aveva già rinviato le elezioni in precedenza. Lo spoglio elettorale si concluderà venerdì 17 quando uno dei tre candidati sarà eletto alla guida dello Stato per i prossimi 5 anni.

FUOCO AMICO E MANI INVSIBILI Emerge una nuova pista sull’uccisione del veterano americano a Bamako

Di Francesca Schellino

ZIMBABWE 13 novembre. Il capo delle forze militari del Paese, Costantino Chiwenga ha intimato al presidente in carica Mugabe di interrompere l’epurazione del partito che, nelle ultime settimane, ha portato alla defezione anche del vicepresidente Mnangagwa. 15 Novembre. Nella notte di martedì scorso, le forze armate hanno preso il controllo della capitale Harare. Il presidente Mugabe è tenuto in custodia dall’esercito e continuerà ad esercitare le sue funzioni di capo di Stato, mentre la moglie, Grace è fuggita in Namibia. La ragione del colpo di forza sembra ridursi alla dimensione di una pura lotta per la successione. La situazione nel Paese è in stallo. A cura di Francesco Tosco

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Il trentaquattrenne sergente dei servizi segreti americani Logan Melgar è morto per asfissia la notte del 4 giugno 2017, in un edificio adiacente all’ambasciata statunitense di Bamako, nel Mali. Il soldato, già veterano in Afghanistan, si trovava nel Paese da quattro mesi per una missione segreta antiterrorismo, volta a raccogliere informazioni sugli estremisti jihadisti in Mali e a proteggere i cittadini americani presenti. Secondo le prime indagini, richieste dai superiori di Melgar, lo strangolamento del veterano sarebbe avvenuto per mano di due soldati del commando della marina americana. I due indagati si trovavano nel Paese dell’Africa occidentale per una missione clandestina, con l’obiettivo di aiutare i corpi antiterrorismo francesi e maliani nel combattere gli estremisti jihadisti locali a affiliati ad al Qaed . I due soldati sarebbero stati scelti per questa missione in quanto appartenenti al SEAL team 6, United States Naval Special Warfare Development Group, équipe celebre per aver condotto l’operazione che portò

all’uccisione di Osama Bin Laden nel 2011. I due membri della Marina hanno dichiarato di aver accidentalmente provocato la morte di Melgar durante una lotta. In attesa del processo, sono stati entrambi sospesi dal servizio e richiamati negli Stati Uniti. Il 13 novembre 2017 sono però emersi ulteriori dettagli sulle circostanze dell’omicidio. Secondo testimoni rimasti anonimi, interrogati dal Naval Criminal Investigative Service, il veterano sarebbe stato ucciso per aver scoperto frequenti furti di denaro da un fondo utilizzato dalle forze speciali per pagare i propri informatori. Secondo le stesse fonti anonime, questo denaro sarebbe facilmente sottraibile in quanto gli informatori maliani delle forze segrete sarebbero in prevalenza analfabeti e dunque incapaci di firmare le ricevute di pagamento . Le indagini subiscono quindi una svolta inaspettata. Non è però la prima volta in cui vengono gettate ombre sulla trasparenza del SEAL team 6: nel 2009, un membro della squadra, il capitano Richard Phillips, fu indagato per la sparizione di $30.000, ma fu in seguito assolto per insufficienza di prove.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 9 novembre. Il viceministro della giustizia, Asterio Pereira dos Santos, si è dimesso in seguito a polemiche interne al Governo, collegate all’inchiesta Lava Jato. Pereira dos Santos ha deciso di rinunciare alla sua carica in seguito ai contrasti tra il presidente Temer ed il ministro della giustizia, Torquato Jardim. 11 novembre. Entra in vigore la riforma del lavoro proposta dal governo di Temer ed approvata quattro mesi fa. Il Presidente brasiliano si è espresso con ottimismo rispetto alla possibilità di assicurare così nuovi posti di lavoro senza contrarre i diritti di nessuno.

CILE 14 novembre. Ultime battute della campagna elettorale per le elezioni presidenziali che si terranno il 19 novembre. Gli 8 candidati, dopo un duro confronto nell’ultimo dibattito televisivo tenutosi la scorsa domenica, hanno partecipato agli ultimi eventi delle rispettive campagne elettorali nel corso della settimana. La deputata del partito comunista Camila Vallejo ha dichiarato che il popolo cileno ha “il dovere storico di non permettere un nuovo Governo Piñera”. L’ex-presidente Piñera, candidato come indipendente per queste presidenziali, risulta però il favorito negli ultimi sondaggi.

IL MERCOSUR PROPONE UNA SVOLTA NEI RAPPORTI CON L’UE Dopo anni di negoziazioni sembra vicina la firma di un accordo commerciale

Di Tommaso Ellena Venerdì 10 novembre, i Ministri degli Esteri dei Paesi appartenenti al MERCOSUR si sono riuniti a Brasilia. Presente anche il vicepresidente della Commissione Europea, Jyrki Katainen, il quale ha ricevuto una proposta da parte del blocco sud-americano: raggiungere un accordo commerciale entro la fine dell’anno che possa avvicinare ancora di più le due regioni. La decisione del MERCOSUR di abbreviare i tempi è stata accolta positivamente da Katainen, che ha affermato: “Mentre qualcuno vuole costruire muri, noi vogliamo costruire ponti. L’accordo di associazione proposto riafferma la nostra posizione contro il protezionismo. Un commercio giusto è basato su regole che possano portare benefici a tutti”. Per il ministro degli Esteri argentino Jorge Faurie “questo accordo sarà un segnale estremamente forte per il Mercosur stesso, per l’UE e per il mondo in generale”. Anche il ministro degli Esteri dell’Uruguay Novoa è consapevole della portata storica di questa riunione ed ha dichiarato: “Non siamo mai stati così vicini a firmare l’accordo”. Il presidente francese Macron nutre profondi dubbi sui benefici di un maggiore legame commerciale con il gruppo di Stati latinoamericani. Le perplessità riguardano soprattutto

le ricadute sul settore primario: si teme l’entrata in Europa della carne bovina e di altri prodotti a prezzi competitivi. La risposta del portavoce della Commissione Europea ai dubbi sollevati da Macron non si è fatta attendere, ricordando come lo scorso giugno i capi di Stato e di governo abbiano chiesto l’avanzamento in tutti i trattati commerciali aperti, incluso quello con il Mercosur, oltre al rinnovo di quello già presente con il Messico. Le due Regioni negoziano un’area di libero commercio dal 2000. L’UE investe da anni nell’economia del Mercosur: quest’ultimo riceve il 70% degli investimenti europei diretti in America Latina. Sempre l’UE ha investito ben 17 milioni di ecus (l’unità di conto europea) per favorire un trasferimento di competenze in ambiti come l’agricoltura e le norme doganali. Nonostante queste relazioni, l’opinione pubblica ha da sempre ignorato le riunioni tra i rappresentanti delle due istituzioni. Ciò è in parte comprensibile, visto che al momento l’unico accordo di una certa rilevanza firmato dalle due parti risale al 1999, anno dell’accordo interregionale di cooperazione. Vedremo se questa riunione di Brasilia sarà l’inizio di un nuovo corso per i rapporti tra UE e Mercosur o se l’opposizione da parte di Macron porterà ad un nuovo stallo.

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AMERICA LATINA COLOMBIA 13 novembre. L’Unione Europea ha cancellato le FARC dalla lista delle organizzazioni terroristiche in seguito alla conversione in partito politico. Il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha accolto con entusiasmo la decisione delle istituzioni europee e ha sottolineato come le FARC ora difendano “le loro idee all’interno della democrazia e non più con la violenza”. MESSICO 12 novembre. Il ministro degli esteri Videgaray ha ribadito, dal vertice dell’APEC in Vietnam, l’importanza dei negoziati per il futuro del NAFTA. Ha poi aggiunto che un risultato insoddisfacente per il Messico significherebbe un freno per tute le altre attività di cooperazione con gli Stati Uniti. L’importanza della rinegoziazione era stata sottolineata anche il 10 novembre da Augustín Carstens, nel suo discorso di dimissioni da Governatore della Banca centrale messicana. VENEZUELA 15 novembre. Il Governo venezuelano ha firmato questo mercoledì un accordo per la ristrutturazione del debito con la Russia, uno dei suoi principali creditori. Malgrado l’accordo con Mosca sia un ottimo risultato a livello diplomatico, Anton Tabakh, economista dell’agenzia di rating RAEX, sottolinea come “la questione del debito venezuelano non possa risolversi in nessuna maniera” e che il risultato ottenuto sia stato solo quello di guadagnare tempo. A cura di Daniele Pennavaria

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L’UNIONE EUROPEA SANZIONA IL VENEZUELA

Maduro, sempre più isolato, affronta uno dei periodi più critici della storia del Paese

Di Davide Mina Il 13 novembre il Consiglio UE ha concordato due sanzioni mirate contro il Venezuela: un embargo per le armi (così da evitare l’aumento della repressione interna - sono comprese anche quelle tecnologie capaci di minacciare la privacy dei cittadini) e l’adozione di “un quadro giuridico relativo a divieti di viaggio [sul territorio europeo] e congelamento dei beni” volto a colpire i diretti responsabili.

promulgata). Aveva anche destato l’attenzione del Consiglio dell’UE la revoca di Juan Pablo Guanipa, governatore federale destituito perché non aveva giurato davanti all’Asamblea Nacional Constituyente. Tale atto rappresenta un attentato alla carta costituzionale entrata in vigore alle soglie del 2000.

L’Unione, sottolineando l’intenzione di non danneggiare il popolo venezuelano, ha fatto sapere che rimarrà fuori dall’embargo il materiale utile a controllare le frontiere e il narcotraffico, nonché quello necessario a fini umanitari (purché non letale). Inoltre, non verranno adottate sanzioni economiche contro il Venezuela, a differenza di quanto deciso l’amministrazione Trump per gli USA.

Bruxelles dichiara inoltre di non riconoscere l’Assemblea Costituente venezuelana eletta il 30 luglio. Secondo i dati diffusi dal governo venezuelano, in tale data avrebbero votato 8 milioni di cittadini, il 41,53% degli aventi diritto. Per l’opposizione, invece, si tratterebbe di solo due milioni e mezzo di votanti (il 13% del totale). Smart Matic, la società che gestisce da 10 anni i sistemi elettronici di voto venezuelani, sostiene infine che vi sia stata una manomissione: i voti sarebbero un milione in meno rispetto a quelli dichiarati dal governo di Maduro.

L’Europa giustifica la causa ultima della sua decisione nelle elezioni governatoriali del 15 ottobre: sono stati denunciati brogli dalle opposizioni e non è stata rispettata a pieno la Costituzione venezuelana (facendo riferimento alla fonte approvata nel 1999, non a quella appena

L’UE concorda quindi con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, preoccupato sia per lo scarso rispetto dei diritti politici sia per altre problematiche dovute alla crisi, come ad esempio il continuo rischio di black out e il razionamento dell’energia elettrica.


ECONOMIA HUAWEI A MILANO CON UN NUOVO FORMAT Il gigante cinese apre il primo Experience Hub del mondo

Di Francesca Maria De Matteis Non sarà un semplice negozio di telefonia, ma un innovativo modello esperienziale. Quello che Huawei sta cercando di portare a termine in Italia - e, per la prima volta, nel mondo -, infatti, è la sperimentazione di un nuovo format di vendita. Con l’obiettivo di calare il cliente in un ambiente tecnologico e all’avanguardia, dove possa vivere in prima persona i progressi dell’innovazione, il progetto del nuovo Experience Hub si ripropone di creare un’atmosfera interattiva e coinvolgente. È il primo flagship store che la multinazionale delle telecomunicazioni apre in Europa e verrà inaugurato a Milano il 30 novembre prossimo nel CityLife Business e Shopping District. La scelta della città italiana, dimostra l’importanza strategica che il mercato del nostro Paese sta assumendo per la compagnia cinese. Sempre nel capoluogo lombardo, un anno fa, infatti, Huawei inaugurava il primo customer service europeo. Già dal 25 settembre scorso, la società ha dato il via al processo di assunzione dei primi otto giovani italiani

che saranno i protagonisti della nuova apertura. Già selezionati, sono stati impegnati in un programma di formazione della durata di un mese, la cui ultima tappa prevede un soggiorno di una settimana in Cina, per apprendere direttamente gli standard dell’azienda. Anche nel metodo di reclutamento la multinazionale ha voluto sperimentare un sistema rivoluzionario, basato sul contatto diretto tra aspiranti collaboratori e azienda: essa stessa si è rivolta, infatti, agli applicanti proponendo una serie di attività da svolgersi sul territorio. La prima sessione di recruitment si è svolta tra il 1 e l’8 ottobre scorsi, seguita da un TED talk e da un colloquio finale che ha portato alla nomina dei nuovi impiegati. Società cooperativa cinese fondata nel 1987, i cui prodotti vengono commercializzati e utilizzati in 140 paesi e da 45 dei principali operatori di telefonia mobile, Huawei vanta oggi 180.000 dipendenti nel mondo. Con un profitto netto di 4,7 miliardi di euro e un flusso di cassa di circa 6,3 miliardi, ha la sede principale a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, in Cina. In Italia è, ormai, diventata il secondo venditore di smartphone per quota di

mercato, traguardo raggiunto grazie ad uno straordinario aumento delle vendite registrato negli ultimi anni. Ha, infatti, attraversato una crescita del 413% negli ultimi due anni (giugno 2015-giugno 2017), sfidando le concorrenti, tra le quali si distinguono, per la consistente fetta di mercato che occupano, Samsung, Apple e Nokia. “The next technological revolution, the intelligence revolution, is upon us. It will be an age of ‘+Intelligence’, where every object, every person, and everything we do will be augmented with everpresent intelligence.” È quanto si legge sul resoconto annuale del 2016 della società cinese di telefonia, nella sezione dedicata all’intelligenza artificiale e alla trasformazione digitale. Nel documento si sostiene, inoltre, la centralità del problema della scelta: la garanzia del miglior servizio possibile venga fornito in breve tempo è il fattore determinante che influenza il comportamento del singolo consumatore. Incrementare la presenza di intelligenza artificiale nella vita quotidiana è, quindi, il fattore innovativo su cui Huawei sembra voler basare la propria politica.

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ECONOMIA VENEZUELA: ANNUNCIATO IL DEFAULT

A margine della riunione con i creditori viene confermato il collasso finanziario

Di Alberto Mirimin Il 14 novembre si è tenuta a Caracas un’importante riunione, convocata dal governo, con i detentori dei titoli del debito pubblico e della compagnia petrolifera statale PDVSA, per discutere della rinegoziazione del debito Venezuelano, pari a circa 60 miliardi di dollari. L’incontro è durato soltanto 30 minuti, durante i quali l’unico a parlare è stato il vice presidente Tareck El Aissami, il quale ha concentrato la maggior parte del suo discorso contro Donald Trump e i grandi finanziatori globali che, a suo dire, hanno cospirato con l’obiettivo di impedire al Venezuela di risanare i propri debiti nei tempi prefissati. Tuttavia, pur rinnovando l’impegno dello Stato verso i propri creditori, non si è giunti né ad accordi fra le parti né ad alcuna proposta concreta di ristrutturazione del debito estero. La mancata intesa ha peggiorato ulteriormente la situazione del Paese, con l’agenzia di rating Standard&Poor’s che ha annunciato il ‘default selettivo’ sul debito del Venezuela, a fronte dell’incapacità del Paese di rimborsare 200 milioni di dollari, anche dopo i 30 giorni di grazia concessi. Inoltre, l’agen-

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zia di rating Fitch ha dichiarato la compagnia petrolifera pubblica venezuelana Petroleos de Venezuela (PDVSA) in ‘default restrittivo’, a causa del ritardo nei pagamenti dei bond in scadenza al 27 ottobre e 2 novembre scorsi. La gravità della crisi interna venezuelana è fuori discussione: l’inflazione oscilla, a seconda delle rilevazioni, tra il 700% e il 1100% annuo, e il PIL è in caduta libera da molti anni. La situazione ha ormai assunto i contorni di una vera e propria crisi umanitaria, dato che, oltre alla carenza di generi alimentari e ai prezzi in continua ascesa, il Paese sta affrontando anche una crisi dettata dalla mancanza di medicinali. Dal luglio 2017, il salario minimo mensile in Venezuela è pari a 97.531 bolívar (poco più di 28 euro), ovvero il più basso in America Latina, nonostante i frequenti aumenti voluti dal presidente Maduro. Gli Stati Uniti sono intervenuti nella questione in modo deciso, mettendo pubblicamente in guardia i cittadini che possiedono titoli di Stato del Venezuela. Inoltre, dalla Casa Bianca sono arrivate a Caracas accuse di violazioni dei diritti umani, dalle quali sono conseguite forti san-

zioni che hanno reso ancora più complicato il rifinanziamento sui mercati internazionali. Non a caso, per Maduro, la colpa dei problemi del Venezuela va attribuita proprio alle sanzioni finanziarie imposte dagli Stati Uniti. Il governo venezuelano, ha precisato infatti il Presidente, “ha sempre pagato fino all’ultimo centesimo, con grandi sacrifici, ed è nostra intenzione continuare a farlo, ma per questo deve cessare la persecuzione finanziaria delle banche e degli organismi internazionali”. Entro il 2017, governo e PDVSA sono chiamati a rispettare scadenze per 1,6 miliardi di dollari, mentre altri 9 miliardi arriveranno a maturazione nel 2018. A fine 2018 vi saranno, inoltre, le elezioni presidenziali, alle quali Maduro si presenterà con varie problematiche oltre all’inflazione: nel 2017 il crollo del PIL dovrebbe attestarsi al 12%, mentre per l’anno prossimo è previsto un calo ulteriore del 6%. L’unico salvagente potrebbe essere il rialzo del prezzo del petrolio, unica preziosa risorsa che il Venezuela deve far fruttare, per poter garantire una sopravvivenza dignitosa ai suoi 31 milioni di abitanti.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL RAPPORTO TRA LINGUA E DIRITTO ALL’INTERNO DELL’UE Traduzione ed interpretazione degli atti legislativi

Di Elena Carente All’interno dell’Unione europea il rapporto tra lingua e diritto è un aspetto che riveste un ruolo fondamentale. Sebbene l’Unione europea si caratterizzi per la ricerca di politiche comuni, il particolare regime linguistico che contraddistingue l’ordinamento dell’Unione è tutto volto alla tutela delle diversità. L’importanza attribuita fin da subito alla questione linguistica dai Paesi fondatori è visibile fin dalla prima “legge” della Comunità economica europea, ovvero il Regolamento no1 del Consiglio del 15 aprile 1958, avente ad oggetto la parità delle lingue ufficiali degli Stati membri. Il Regolamento, nella sua versione originaria, stabiliva che le lingue ufficiali e di lavoro fossero quattro: il francese, l’italiano, l’olandese e il tedesco. Oggi, grazie alle modifiche apportate di volta in volta al Regolamento, le lingue ufficiali sono diventate ventiquattro. La ratio è che, poiché le decisioni prese all’interno dell’Unione incidono non soltanto sugli Stati ma anche sui cittadini, tutta la normativa UE deve essere disponibile nelle lingue ufficiali e deve avere lo stesso valore giuridico indipendentemente dalla lingua nella quale viene tradotta. Pertanto, eccezion fat-

ta per la Commissione che predilige l’uso di tre lingue ufficiali e della Corte di giustizia che, per prassi consolidata, utilizza come lingua di lavoro il francese, regolamenti, direttive e decisioni del Parlamento e del Consiglio devono essere formulati in itutte le lingue ufficial . Lo stesso art. 55 TUE dispone che il testo del Trattato sia redatto (e non “tradotto”) in tutte le lingue ufficiali e poi depositato presso l’Archivio del Governo della Repubblica Italiana in quanto Stato depositario. Tuttavia, la parità linguistica fin qui descritta non sfugge a concrete ed evidenti difficoltà di tipo interpretativo, soprattutto con riferimento agli atti legislativi. Per quanto il legislatore europeo, nella sua attività di produzione delle norme, si impegni a non utilizzare un linguaggio tecnico-giuridico complesso, la traduzione letterale non è sempre possibile. Così, non solo uno stesso concetto potrebbe essere tradotto in maniera errata, ma potrebbe anche essere interpretato in modo difforme all’interno dei singoli ordinamenti. Si pensi al trust, un istituto fondamentale del common law che, per quanto si avvicini al negozio fiduciario, non esiste nel nostro ordinamento. O ancora, il contratto, il principio di buona fede, di buon padre di famiglia e così via; tutti concetti che pos-

sono avere significati diversi all’interno dei singoli ordinamenti. I problemi di traduzione portano ad evidenziare differenze linguistiche e concettuali che, se non percepite, possono avere ripercussioni imprevedibili negli Stati membri. Questo si verifica sia perché una medesima lingua cambia nel tempo (la lingua italiana, ad esempio, è evoluta dai tempi di Dante), sia perché esistono più linguaggi giuridici in una medesima lingua (il francese giuridico usato in Francia non è lo stesso francese giuridico usato in Québec). In questi casi, il traduttore può sia rinunciare a tradurre (vedi trust), sia tradurre servendosi di una perifrasi in modo che il destinatario della norma capisca come debba essere intesa, o ancora, creare un neologismo (franchising – affiliazione commerciale). È indubbio che il multilinguismo europeo rappresenti un vantaggio rispetto al monolinguismo o al bilinguismo. Oggi, diverse banche dati terminologiche (IATE, REI) agevolano le traduzioni e la trasposizione delle normative europee negli ordinamenti interni nel modo più omogeneo possibile. Tuttavia, è opportuno essere consapevoli dei limiti e dei rischi cui si va incontro in fase di traduzione ed interpretazione affinché possano essere evitati.

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DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO PARADISE PAPERS

I documenti che svelano l’economia parallela dell’offshore

Di Chiara Montano Si definiscono generalmente “paradisi fiscali” quei Paesi che applicano a un soggetto (persone, imprese, società) un trattamento fiscalmente privilegiato rispetto a quello che gli verrebbe applicato dal Paese di residenza. In poche parole, si tratta di una forma di concorrenza fra gli Stati. Di solito, le ragioni che spingono le società a trasferire la propria sede altrove sono due: la riservatezza e i vantaggi fiscali. Le offshore rispondono perfettamente a queste esigenze, dal momento che sono società estere con sede in Paesi dove è possibile mantenere l’anonimato dei titolari e dove i profitti non vengono tassati. Di per sé, avere società offshore non è illegale, purché esse vengano dichiarate al fisco e alle autorità nazionali. Una data operazione finanziaria può essere definita illegale soltanto al termine di un procedimento giudiziario. Inoltre, affinché un’operazione finanziaria risulti illegale deve essere fraudolenta, cioè caratterizzata dalla coscienza e dalla volontà di commettere il delitto,

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ovvero rappresentare una situazione diversa dalla realtà. Un classico esempio si verifica quando certi redditi risultano percepiti da una società, quando in realtà vengono percepiti da una persona fisica. I cosiddetti Paradise Papers sono i 13,4 milioni di documenti riservati su società offshore trapelati in seguito ad una gigantesca fuga di notizie e ricevuti dalla testata tedesca Suddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ). Questo piccolo tesoro documentale proviene da due studi internazionali che forniscono e gestiscono società offshore: Appleby e Asiaciti Trust, entrambi con svariate filiali in paradisi fiscali. I documenti succitati rivelano come il sistema finanziario offshore sia capace di gestire enormi ricchezze, coinvolgendo, fra gli altri, politici, personaggi dello spettacolo e multinazionali. Ciò che accomuna tutti questi soggetti è la volontà di evitare di pagare le tasse: per farlo, si servono di sistemi contabili sempre più complessi e intricati, come il celebre metodo delle “scatole cinesi”. Le offsho-

re sono spesso scatole vuote, senza dipendenti, senza uffici e talvolta con un capitale sociale di un solo ed unico dollaro. Eppure queste società-schermo costituiscono un potentissimo strumento di elusione fiscale, che permette di drenare miliardi. L’elusione fiscale viene tradizionalmente definita dalla dottrina come un aggiramento del precetto fiscale, che permette di conseguire un risultato conforme alla lettera della legge, ma non alla sua ratio. A differenza dell’evasione fiscale, dunque, l’elusione non consiste in una vera e propria violazione delle norme impositive. L’elusione è piuttosto caratterizzata dalla anormalità della concatenazione degli atti appositamente escogitati al fine di ottenere lo stesso risultato economico di altri operatori che, versando nelle stesse esigenze, avrebbero adottato soluzioni differenti. Ma allora che ne è del principio sancito dall’articolo 53, comma 1, della Costituzione italiana secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”?


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