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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino
united states sale ‘’patriots’’ missiles to poland
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino
MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post
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N u m e r o
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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Jessica Prietto Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Efrem Moiso, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!
EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 22 novembre. Il presidente Emmanuel Macron riprende l’idea dell’emploi franc, progetto lanciato nel 2013 dal Governo di Jean-Marc Ayrault, che ha come obiettivo l’assunzione di giovani disoccupati in “quartieri sensibili” attraverso aiuti finanziari alle imprese. Non sono ancora chiare le modalità né la l’ammontare dell’aiuto finanziario che spetterà ai datori di lavoro, ma, per adesso, Macron ha annunciato di voler iniziare tale programma e estenderlo in tutta la Francia fino al 2020.
GERMANIA 21 novembre. Dopo dodici anni a capo della Germania, Angela Merkel risulta in difficoltà nella formazione del nuovo Governo: è saltata la nascita della coalizione “Giamaica” tra CDU, CSU, Liberali e Verdi per differenze troppo marcate sui temi. I socialdemocratici ribadiscono il rifiuto per formare una Gross Koalition e Martin Schulz si è espresso a favore per un ritorno alle urne. ITALIA 22 novembre. La Corte Costituzionale dichiara “non fondati” i ricorsi della regione Veneto sulla legge 119/2017 che prescrive l’obbligatorietà di una serie di vaccini per l’accesso a scuola. Secondo i giudici, la scelta del legislatore è
OLTRAGGIO ALLA COSCIENZA DELL’UMANITÀ
ONU: disumana politica UE sulla gestione delle migrazioni
Di Giuliana Cristauro ZeidRa’ad Al Hussein, alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, si è recato in Libia in visita ufficiale per far luce sulla situazione dei diritti umani all’indomani delle grandi speranze nutrite dopo la rivoluzione del 2011. In particolare, gli osservatori delle Nazioni Unite hanno visitato quattro centri di detenzione del Dipartimento libico di lotta contro la migrazione illegale, dove hanno riscontrato gravi abusi e violazioni dei diritti umani perpetrate con totale impunità. Zeid ha espresso forte sgomento per l’aumento del numero dei migranti detenuti in condizioni degradanti. Ha definito “disumana” la politica dell’UE di aiutare la Guardia costiera libica nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo, anche in acque internazionali, per poi mandarli indietro esponendoli a torture, stupri, lavoro forzato, sfruttamento ed estorsione. I detenuti, infatti, non hanno la possibilità di contestare la loro detenzione e non hanno accesso all’assistenza legale. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite ha sottolineato che “la sofferenza dei migranti detenuti
in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”, aggiungendo che “quella che era una situazione già terribile ora è diventata catastrofica”. Il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia sulla cooperazione nel contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani, sottoscritto a Roma il 2 febbraio, scorso, era stato sospeso il 22 marzo a seguito della pronuncia di un tribunale di Tripoli su un ricorso che contestava l’accordo sia nel merito sia nella forma. La sospensione dell’intesa aveva rilanciato in Italia il dibattito sulla nuova politica degli accordi mettendola radicalmente in discussione, ricordando la necessità di approvare politiche non lesive dei diritti umani. Il monitoraggio delle Nazioni Unite, però, ha rilevato non solo un mancato intervento dell’Unione europea nel contrastare gli abusi sofferti dai migranti, ma anche un rapido deterioramento della loro situazione in Libia. In risposta a tali accuse, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha definito “inaccettabili” le violazioni dei diritti fondamentali e ha annunciato che una delegazione ufficiale si recherà in Libia a dicembre per verificare la situazione. MSOI the Post • 3
EUROPA ragionevole alla luce di questioni legate alla tutela della salute individuale e collettiva e al prevenire il diffondersi di alcune malattie infettive.
UNABLE TO ACT
Formation of German government further delayed
PAESI BASSI 20 novembre. Amsterdam sarà la nuova sede per l’Agenzia europea per il farmaco (EMA), che dovrà spostarsi da Londra a causa della Brexit. La capitale europea vince su Milano a seguito di un sorteggio. 22 novembre. All’Aia, il Tribunale penale per l’ex-Jugoslavia ha emesso la sentenza con la quale ha condannato all’ergastolo per i reati di genocidio e crimini contro l’umanità Ratko Mladic, ex comandante serbo, definito il “il boia di Srebrenica”. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha definito la sentenza “un’importantissima vittoria per la giustizia”. REGNO UNITO 21 novembre. Per la prima volta dalla sua creazione, non siederà presso la Corte internazionale di Giustizia alcun giudice inglese. Il candidato del Regno unito, Christopher Greenwood, è stato superato dal candidato indiano. SPAGNA 19 novembre. In un’intervista rilasciata al El País il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha espresso la sua preoccupazione per la situazione in Catalogna e ha accusato gli indipendentisti di aver causato una frattura nella società spagnola e catalana. Puigdemont ha risposto, tramite un tweet, accusando Juncker di non aver alcuna considerazione del voto dei cittadini. A cura di Claudia Cantone
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By Ann-MarlenHoolt About two months after their general elections, Germany is still without government. So far the political parties have not been able to form a coalition that reaches the necessary majority of the votes. For the last month Angela Merkel’s CDU, the Christian-conservatives, the liberal FDP and the Greens have been leading exploratory talks to discuss the terms of a possible coalition after the social democrats, SPD, had dismissed the idea of being part of the government yet again. The talks came to a stop on Monday when the liberals pulled out talks saying the coalition was lacking a basis of trust and that it was “better not to rule than to rule badly”. A possible coalition of Greens, liberals and conservatives looked like a more than difficult task from begin on – and ultimately the parties failed to find consensus. Where does that leave German politics? Berlin can now decide whether they want to form a minority government or repeat the elections. While the former will make it
difficult for the government to make decisions the later will be costly. In Addition, re-elections will take their time and delay the formation of a new German government even further. Germany‘s inability to form a working government does not only have consequences for national politics but for the whole of Europe. French president Macron announced: “It is not in our interest that the situation becomes tense”, but it already is. With the European Council being one leader short they are unlikely to commit to any big decisions soon. The interim government, as long as it is going to last, will paralyse European politics – and the window in which the Council can act effectively is already closing, elections for the EU Parliament will be held in 2019. So far Germany has been the one country known for stability. Neither the economic crisis nor million of refuges or right-wing populists had them falter. The collapse of the exploratory talks demonstrates that even German cannot provide a solution to every problem. Europe needs a leader. But for now, Germany will have to find their own leader first.
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI D’AMERICA 21 novembre. La Commissione Federale per le Comunicazioni, agenzia governativa americana incaricata di vigilare sulle comunicazioni e telecomunicazioni, ha avanzato una proposta che de facto cancellerebbe il principio della neutralità della rete. Se tale proposta passasse, i provider di internet potrebbero così eventualmente tassare l’accesso degli utenti a taluni siti, e impedire l’accesso ad altri. Il principio, garantito da un provvedimento dell’amministrazione Obama, consentirebbe così ai provider di disciplinare chi può accedere a quale sito internet, e nel caso far pagare di più agli utenti che desiderano accedervi. La proposta è stata accolta da un dibattito pubblico molto acceso. 22 novembre. Il social network più famoso del mondo, Facebook, ha dichiarato che in dicembre pubblicherà uno strumento, accessibile a ogni utente regolarmente registrato, atto a sapere se gli utenti hanno visualizzato delle fake news collegate all’attività di disinformazione della Russia. Tale contromisura è una reazione alla sempre più verificata notizia del tentativo di influenzare le elezioni presidenziali americane dello scorso novembre da parte di siti web e account fake collegati alla propaganda russa.
23 novembre. Il procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions ha ordinato una
LA LOTTA DEL CANADA
Il ministro McKenna illustra le posizioni canadesi alla COP23
Di Erica Ambroggio Giunto alla sua 23° Conferenza, il Summit internazionale sul clima ha di nuovo rappresentato per il Canada una grande occasione per dimostrare il proprio costante impegno nella lotta all’inquinamento e al surriscaldamento globale. Protagonista canadese della COP23 è stata Catherine McKenna, ministra per l’Ambiente e i Cambiamenti Climatici, la quale ha preso parte al vertice svoltosi a Bonn dal 6 al 17 novembre scorso. Tra le principali novità emerse dalla COP23, nonché fonte di soddisfazione per il governo canadese, vi è la creazione della Powering Past Coal Alliance, che prevede la partecipazione di 25 Paesi e che mira ad accoglierne 50 entro il prossimo Summit sul clima che si terrà in Polonia per il 2018. La coalizione punta alla graduale eliminazione dell’energia a carbone entro il 2030 smantellando le fabbriche a tale alimentazione e impegnandosi a non crearne di ulteriori in futuro. L’effettivo raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi sembra, dunque, doversi basare su una collaborazione di portata mondiale. Sulla base di questa consapevolezza, le manovre canadesi si caratterizzano per uno sguardo ampio e globale ponendo tra le maggiori priorità la concretizzazione degli aiuti rivolti ai
Paesi in via di sviluppo. “Per raggiungere un’effettiva riduzione delle emissioni di CO2 a livello globale è necessario, con i dovuti investimenti, accompagnare tali Paesi in un processo di transizione verso l’utilizzo di fonti energetiche a basso impatto ambientale”, ha ribadito McKenna. Infatti, tra i principali investimenti riportati dalla ministra McKenna spiccano le collaborazioni con Senegal e Costa D’Avorio. Questi progetti hanno comportato un impegno economico di oltre 2 milioni di dollari a sostegno delle attività dirette alla riduzione delle emissioni di metano, le quali sono anche finalizzate alla redazione di regolamenti comuni applicabili alle attività industriali. Inoltre, il Canada si è confermato il principale protagonista del North American Climate Leaders Meeting. Canada, Stati Uniti e Messico si sono riuniti per rafforzare le proprie iniziative in tema di utilizzo di energia pulita nel settore dei trasporti. Ben chiari, dunque, gli obiettivi del Canada nel settore ambientale e salda la consapevolezza del problema. “Il carbone sta letteralmente distruggendo le nostre città e ogni anno uccide quasi un milione di persone”, ha ricordato McKenna. Tuttavia, rimangono ancora da verificare le concrete intenzioni del resto della comunità internazionale. MSOI the Post • 5
NORD AMERICA revisione del database dell’FBI usato per i controlli generali su coloro che vogliono comprare armi. L’annuncio segue l’ennesima sparatoria negli Stati Uniti, avvenuta il 6 novembre scorso in una chiesa nel Texas che ha causato 26 morti. 23 novembre. Un altro scandalo di molestie sessuali scuote gli Stati Uniti. Dopo la vicenda riguardante il produttore cinematografico Harvey Weinstein e diversi altri attori e registi di Hollywood, l’ex medico della squadra olimpionica di ginnastica americana Larry Nassar si è dichiarato colpevole delle accuse di molestie sessuali a lui rivolte da sette diverse ragazze, molte delle quali ginnaste, mentre lavorava per il team olimpico. Durante il suo processo mercoledì, si è dichiarato colpevole di tutte le accuse, dichiarandosi costernato per l’accaduto. CANADA 22 novembre. La Coalizione per l’Equità Fiscale delle Piccole Imprese, un’alleanza di piccole e medie imprese canadesi, ha criticato nuovamente il piano per la riforma del sistema fiscale canadese proposto dal Ministro delle Finanze del Canada, nonché uomo d’affari, Bill Morneau. Dopo alcune modifiche sostanziali alla riforma proposte al Ministro, la Coalizione ha dichiarato che tali modifiche non sono abbastanza, e che, se implementata così com’è, la riforma potrebbe penalizzare la classe media che il Governo Trudeau afferma di voler aiutare. A cura di Leonardo Veneziani
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UNITED STATES SALE ‘PATRIOT’ MISSILES TO POLAND
U.S. State Department approving $10.5 billion missile sale
By Kevin Ferri On Friday, the U.S. State Department found an agreement in selling $10.5 billion worth of ‘Patriot’ missiles to Poland. The sale itself comes in a package of 208 Patriot Advanced Capabilty-3 (PAC-3) Missile Segment Enhancement missiles, 16 type M903 launching stations, 4 AN/MPQ-65 radars, 4 control stations, spares, software, and associated equipment. Another important aspect is that Poland is authorized to buy U.S. Government and contractor technical, engineering, and logistics support services as well as range and test programs. This specific agreement provisions are of particular relevance taking into account that, currently, many military deals are stipulated without the possibility of accessing support services. Indeed, technological specifications are classified and reserved to the enterprise’s expertise, thus not shareable with third parties. However, with regard to this deal, what really matters are the reasons why Poland is establishing this defence system. Poland has been accelerating its ambition to update and overhaul its military forces since Russia occupied the Crimean Peninsula in neighbouring Ukraine in 2014. The ‘Rzeczpospolita Polska’
(the local name of the Republic of Poland) has been a member of the NATO since March 12th, 1999 and has agreed in spending 2% of its GDP on defence, and in September pledged to raise defence spending to 2.5% by 2030. U.S. State Department officials said that if a deal is finalized, it would allow Poland to conduct air and missile operations with NATO, most of which currently possess the Patriot System. Eventually, another outstanding aspect that should be underlined is that, although an agreement was reached between the two parties, the above-mentioned contract still needs the official approval from the U.S. Congress. Indeed, when a contract involves a purchase of advanced military technology, the U.S. law requires a special permission in order to make the agreement effective. If the permission were granted, this would represent a slap on the wrist for Russia and its expansionist aims. So, what is Russia’s point of view on this defence system programme? Vladimir Putin defined it as “great danger” and stated that Russia will improve its own missile strike capability. Warning of a new arms race, Putin vowed that Moscow would not be dragged in but would take responsive measures to any national security threat.
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole
EGITTO 19 novembre. Si è svolto nella capitale egiziana un summit straordinario della Lega Araba, a seguito della richiesta da parte dell’Arabia Saudita di discutere le violazioni commesse da Iran e alleati nella regione. Al centro dell’incontro, l’ultimo attacco missilistico a Riyadh da parte delle milizie Houthi in Yemen. Oltre al sostegno dei ribelli condannato dall’Arabia Saudita, l’Iran è anche accusato dal Bahrain di interferire con la stabilità della regione. GIORDANIA 22 novembre. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi, UNRWA, è stata accusata da oltre venti parlamentari giordani di aver rimosso la mappa della Palestina e immagini di Gerusalemme dai testi usati nei propri istituti. I deputati si sono rivolti al governo locale, accusando UNRWA di condotte diffamatorie nei confronti dell’identità della comunità palestinese. ISRAELE 19 novembre. Il governo israeliano ha approvato un decreto per la chiusura di un centro detentivo nel deserto del Negev, e la conseguente deportazione di oltre un migliaio di richiedenti asilo sudanesi ed eritrei in Rwanda. In alternativa alla relocation forzata, ai richiedenti asilo spetterebbe la detenzione in una prigione statale. La misura viola sia leggi
GAZA UN MESE DOPO L’ACCORDO Il 12 ottobre scorso al Cairo avveniva la riconciliazione tra Hamas e Fatah
Di Lorenzo Gilardetti È passato poco più di un mese dallo storico accordo che ha visto le due forze politiche palestinesi impegnarsi a rispettare e dunque applicare gli accordi del 2011. Il 1° novembre, dopo 10 anni di controllo, Hamas ha ceduto all’Autoritá Nazionale Palestinese la gestione finanziaria dei valichi di Gaza. Alcune questioni rimangono però in sospeso, e, soprattutto rimane chiuso il valico di Rafah, la porta per l’Egitto. Fatah, partito al governo dell’ANP guidato da Abu Mazen, non ha ancora un’autorità reale su Gaza: la otterrà con un passaggio graduale e, per questo motivo, l’Egitto, nonostante gli incontri tra le fazioni palestinesi si siano tenuti proprio al Cairo, si rifiuta di dare il via libera sul valico di Rafah che si affaccia sulla già problematica regione del Sinai. Nel Sinai, appunto, l’Egitto è ancora alle prese con milizie legate al Daesh. In aggiunta, lo Stato nordfricano si sente minacciato dalle forze armate di Hamas ancora presenti sul territorio. La deposizione delle armi costituisce infatti un punto centrale degli accordi, ma anche se l’ANP ha palesato a più riprese l’impossibilità di una coesistenza di forze militari a Gaza, Hamas non intende cedere
al disarmo. Infatti, all’indomani del bombardamento israeliano di un tunnel che ha ucciso a fine ottobre 9 militanti palestinesi, ha dichiarato il legittimo diritto di resistenza all’occupazione, proprio mentre Fatah predicava il dialogo tra le fazioni palestinesi. Intanto, a Gaza, dove dal 21 novembre non giungono aggiornamenti sull’apertura del valico di Rafah, vengono penalizzati i cittadini. Fatah non ha ancora sgravato la popolazione dalle tasse per pagare i risarcimenti dovuti da Hamas come aveva promesso. Il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 65% ed è tra i più alti al mondo. I tagli alle spese dell’ANP nella regione hanno portato al pensionamento anticipato di persone nella fascia 40-50 anni, che dovranno vivere con la metà degli shekel che percepivano in precedenza. Inoltre, continuano ad esserci poche ore di accesso alla corrente elettrica e l’acqua potabile scarseggia. Infine, non è possibile spostarsi verso l’Egitto per studiare, lavorare e curarsi, e servono ancora i duplici permessi (anche quello israeliano, difficile da ottenere) per lasciare la regione. Si attende nei prossimi giorni un nuovo incontro HamasFatah, il quale potrebbe essere di auspicio per la riapertura del valico di Rafah. MSOI the Post • 7
MEDIO ORIENTE nazionali che internazionali, nonché gli obblighi di Israele in quanto stato firmatario della Convenzione sui Rifugiati del 1951.
LIBANO. 19 novembre. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, si difende dalle accuse provenienti da vari membri della Lega Araba secondo le quali il gruppo libanese stia fornendo armamenti ai ribelli in Yemen. Nasrallah ha negato ogni coinvolgimento nelle operazioni degli sciiti Houthi, ribattendo con la condanna degli interventi sauditi in Yemen. 22 novembre. Il primo ministro Saad Hariri, oltre due settimane dopo l’annuncio delle sue dimissioni, ha sospeso il proprio ritiro dalla carica dopo la richiesta del presidente Michel Aoun di rivedere la sua posizione. Nel suo discorso alla nazione, Hariri ha parlato di rinnovare gli sforzi del governo verso il dialogo con tutte le forze politiche del Paese, nell’interesse della stabilità nazionale. SIRIA. 20 novembre. Ha annunciato le sue dimissioni Riyad Hijab, capo della principale coalizione opposta al regime di Bashar al-Assad, l’High Negotiations Committee. La decisione arriva all’indomani di una conferenza nel Golfo volta a creare un fronte comune tra i gruppi anti-regime, promosso dall’inviato speciale ONU Staffan de Mistura, per facilitare le negoziazioni. A cura di Clarissa Rossetti
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LA PALESTINA NON CEDE
Erekat risponde alle provocazioni degli USA. Ancora non nessun accordo per la pace
Di Martina Scarnato Saeb Erekat è stato chiaro: l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) non cederà alle minacce e taglierà i rapporti con gli Stati Uniti nel caso in cui questi ultimi attuino la decisione di sabato scorso: non rinnovare il permesso per la missione diplomatica a Washington. Erekat è il segretario generale dell’OLP, uno dei principali rappresentanti politici della nazione palestinese. La mossa di Washington è stata percepita dalle autorità palestinesi come una risposta al ricorso presentato nel settembre scorso alla Corte Penale Internazionale, la denuncia di diverse violazioni commesse da ufficiali israeliani (tra cui espropriazioni, deportazioni e saccheggi). Il Dipartimento di Stato statunitense ha motivato la sua decisione riferendosi ad una legge approvata dal Congresso nel 2015. Tale norma impedirebbe al governo di autorizzare la permanenza della missione dell’OLP qualora le autorità palestinesi decidessero di chiedere alla CPI di aprire un’inchiesta nei confronti dello Stato israeliano. La decisione potrebbe essere revocata entro 90 giorni se i Palestinesi decidessero di apri-
re “significative negoziazioni” con Israele. Erekat ha però dichiarato che tale mossa è “inaccettabile” e che “minerà l’intero processo per arrivare alla pace”. Fin dai primi mesi della sua presidenza, Donald Trump ha affermato di volere la pace tra i due Paesi, senza però sostenere la soluzione “a due Stati”, ovvero la creazione di uno Stato palestinese. Nel settembre scorso, il Presidente americano aveva incaricato il consigliere Jared Kushner di avviare dei colloqui di pace, ma finora sono stati compiuti pochi progressi. Le autorità palestinesi hanno denunciato, tra gli altri crimini, un’accelerazione della colonizzazione israeliana nei loro territori, che sarebbe arrivata sino alla West Bank. Secondo le stime, dal 1967 ad oggi, i coloni israeliani insediati nei territori palestinesi sarebbero transitati dai 600 ai 750.000. Nel frattempo, però, le relazioni tra USA e Israele appaiono più strette che mai, soprattutto dopo la decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo sul nucleare iraniano, mossa lodata dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. In questo contesto trovare una soluzione per il conflitto appare ancora difficile.
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BIELORUSSIA 17 novembre. Da Kiev arriva la comunicazione, secondo la quale un giornalista ucraino, Pavlo Sharoyko, sarebbe stato arrestato a Minsk a fine ottobre con l’accusa di spionaggio. Il Ministero degli Affari Esteri di Bielorussia si è finora rifiutato di commentare l’accaduto. Sharoyko fa parte della direzione principale dei servizi di intelligence del Ministero della Difesa ucraino.
I DISASTRI DEL DONBASS
La vita tra guerra e disastri ambientali ed umanitari
Di Lara Aurelie Kopp-Isaia BOSNIA 22 novembre. L’ex generale Ratko Mladić è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia dell’Aia. I giudici hanno ritenuto il cosiddetto “macellaio di Bosnia” colpevole di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Mladić, che durante il processo ha verbalmente attaccato i magistrati, è ritenuto il principale artefice del massacro di Srebrenica, dove persero la vita più di 8000 uomini e adolescenti.
Durante il Forum Internazionale sulla Sicurezza tenutosi in Canada, il ministro degli Esteri ucraino, Pavlo Klimkin, ha posto nuovamente l’attenzione della comunità internazionale sulla regione del Donbass. Durante l’incontro, il Ministro ha infatti accusato la Russia di aver generato nell’area un disastro ecologico ed umanitario. A gennaio, le azioni di guerra sono ricominciate e, effettivamente, le città maggiormente colpite sono quelle dell’Ucraina dell’est.
KOSOVO 19 novembre. Ballottaggio per le elezioni amministrative. Il principale partito di opposizione, Vetevendosje, di orientamento nazionalista, vince in 3 città importanti, compresa la capitale Priština. Colpo basso per il Partito Democratico del Kosovo e una débâcle per tutto il Paese in
Dalla seconda metà del Novecento, e fino alla caduta dell’Unione Sovietica, l’area del Donbass è stata una tra le più industrializzate e popolate del Paese. Negli anni ’90 ebbe però inizio il declino: sempre più industrie vennero privatizzate, la corruzione divenne una pratica abituale e diverse miniere chiusero. Infine, quando nel 2014 la Federazione Russa annetté la
Crimea, fomentò segretamente la ribellione nelle province di Donetsk e Lugansk. Ne nacque un conflitto che ha portato alla morte di oltre 10.000 persone, tra cui più di 3.000 civili. Attualmente, il Donbass offre uno scenario apocalittico. Dopo 4 anni di guerra, oggi quasi 4 milioni di civili necessitano di assistenza e vivono in condizioni precarie, senza acqua, elettricità, riscaldamento, sotto bombardamenti incessanti. Le problematiche che affliggono l’area, come ricordava Klimkin, toccano però anche l’ecologia. Le attività minerarie legate all’estrazione del carbone sono cessate troppo bruscamente, modificando i precedenti equilibri in maniera repentina. L’interruzione del pompaggio delle acque minerarie, altamente saline, ha fatto sì che queste contaminassero gran parte delle fonti di acqua potabile. Inoltre, per gli stessi motivi, la regione rischia di diventare una zona paludosa.
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RUSSIA E BALCANI quanto, oltre alla vittoria dei nazionalisti, si è registrato un forte astensionismo: poco meno del 40% degli elettori si è recato alle urne. RUSSIA 20 novembre. Il presidente russo Vladimir Putin si è incontrato a Mosca con il presidente Bashar Al-Assad per discutere assieme del futuro della Siria. Per molti, ciò simboleggia la fine della guerra siriana, dove sono rimasti pochi focolai di protesta contro il Capo di Stato siriano. Il giorno successivo Putin ha incontrato anche Erdogan e Rouhani per informarli del colloquio con Assad e dell’assetto ideale per la Siria a partire da dicembre, quando la Russia dovrebbe ritirare le sue truppe dalle zone di guerra. 22 novembre. Il primo ministro russo Dmitri Medvedev ha firmato il decreto legge che sancisce l’entrata in vigore di una nuova tipologia di visto, chiamato “visto di soggiorno temporaneo”. Questa nuova modalità permetterà ad un cittadino straniero di ottenere un permesso di entrata in Russia per non più di quattro mesi, in vista di quella che il Governo ha definito una “permanenza temporanea”. UCRAINA 21 novembre. Diversi militari in uniforme sono entrati nell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk, occupandone il centro e sbarrando l’ingresso al palazzo del Governo e del Parlamento. Sia le autorità russe che quelle ucraine smentiscono qualsiasi ingerenza. Le emittenti televisive locali filorusse parlano di una “azione anti-sabotaggio nei confronti delle forze filoucraine”. A cura di Andrea Bertazzoni 10 • MSOI the Post
LA RUSSIA TENDE UNA MANO AL VENEZUELA
Dilazionamento del pagamento dei debiti e interessi geopolitici
Di Elisa Todesco Dopo mesi di proteste, crisi alimentare, mercato nero allo sbaraglio e inflazione alle stelle, sembrava che la situazione in Venezuela non potesse peggiorare ancora di molto. Invece, Nicolas Maduro, attuale Presidente del Venezuela, ha dovuto fronteggiare negli scorsi giorni uno degli spauracchi dei Paesi economicamente fragili: le agenzie di rating. Con circa 140 miliardi di dollari di debito nei confronti di creditori stranieri, e il nuovo rating per la compagnia petrolifera statale PDVSA, che passa da “CC” a “default parziale”, lo Stato sudamericano era praticamente al collasso. Ad aiutare il Venezuela, tuttavia, è intervenuta la Russia. Il 15 novembre scorso, una delegazione guidata dal Ministro dell’Economia e delle Finanze venezuelano ha firmato un’intesa con il Cremlino, rappresentato dal Ministro delle Finanze. Grazie a questa intesa, il Venezuela può ristrutturare parte del proprio debito nei confronti di Mosca (circa 3 miliardi di dollari) dilazionando i pagamenti in 6 anni. Per quanto la cifra sia insufficiente rispetto al debito totale, l’intesa permetterà al Paese sudamericano di rassicurare gli altri creditori: ritardando il pagamento dovuto a Mosca, Maduro potrà iniziare a coprire gli altri debiti. Ma quale ragione si cela dietro questo aiuto?
Da tempo la Russia si è avvicinata al Venezuela, uno dei più importanti produttori di greggio al mondo. Negli scorsi anni, gli aiuti russi sono stati talmente ingenti da rendere Maduro quasi dipendente da Mosca. Oltre agli aiuti finanziari, infatti, sono giunti 6 miliardi di dollari di pagamenti anticipati alla Petroleos de Venezuela per la fornitura di greggio, sostituendosi quindi alla Cina come partner principale. Ma la gratitudine, e la lealtà, del Presidente venezuelano non sono il solo motore dell’azione russa e il coinvolgimento della Petroleos de Venezuela fa pensare ad un progetto più ampio. Ad esempio, nel momento stesso in cui gli USA e gli Stati europei imponevano sanzioni a Mosca, impendendole de facto di sfruttare i suoi giacimenti petroliferi, l’azienda petrolifera russa Rosfnet si stava assicurando un ruolo di primo piano nella gestione di alcuni tra i pozzi petroliferi più proficui al mondo, cercando nuovi sostenitori (e, soprattutto, bypassando le sanzioni). Grazie a questa strategia, lo scorso anno Rosfnet è riuscita ad assicurarsi il controllo del 49.9% delle azioni di Citgo, la succursale statunitense di PDSVA, una delle maggiori raffinerie operanti su suolo americano. Che cos’altro riuscirà ad ottenere il Cremlino è ancora da scoprire, ma sicuramente è una partita che Putin sta vincendo.
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CAMBOGIA 19 novembre. La Corte cambogiana ha accusato di spionaggio due giornalisti. Il fatto imputato, che prevede fino a 15 anni di reclusione, consiste nell’aver passato informazioni sensibili a Radio Free Asia, un’emittente con sede a Washington, chiusa ufficialmente in settembre. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che smetteranno di finanziare le elezioni del prossimo anno.
CINA 21 novembre. Il Ministro degli esteri cinese Wang Yi ha incontrato il corrispondente cambogiano Prak Sokhon durante un summit in Myanmar. Il delegato della Repubblica Popolare avrebbe espresso pieno appoggio politico ed economico in vista delle elezioni che la monarchia costituzionale attraverserà nel 2018. La scorsa settimana inoltre la Corte Suprema ha condannato il Cambodia National Rescue Party (CNRP) su richiesta del primo ministro Hun Sen. 17 novembre. Il capo dell’Ufficio centrale cinese Song Tao ha visitato ufficialmente la Corea del Nord per volontà del presidente Xi Jinping. La missione, oltre ad avere lo scopo di aggiornare gli interlocutori circa l’esito del 19° congresso del Partito Comunista, è un tentativo di dialogo per l’abbandono delle armi nucleari. L’inviato ha già incontrato l’ambasciatore nord-coreano Ji Jae
UN NUOVO LEADER PER GLI UIGURI IN ESILIO
Dolkun Isa sostituisce Kadeer alla guida degli indipendentisti
Di Micol Bertolini 12 novembre 2017: il Congresso Mondiale degli Uiguri (WUC), con sede a Monaco di Baviera, dopo 11 anni sotto la dirigenza della businesswoman Rebiya Kadeer, inaugura una nuova fase nella lotta per l’indipendenza della regione autonoma dello Xinjiang (Cina). Co-fondatore e storico Segretario Generale dell’organizzazione, Dolkun Isa è passato alla presidenza, mentre Kadeer è stata insignita del titolo di Special Leader. Nata nel 2004 dall’unione di piccoli movimenti uiguri e in esilio a causa della repressione del governo cinese delle istanze indipendentiste nello Xinjiang, l’organizzazione internazionale del WUC si batte per il rispetto dei diritti della minoranza etnica uigura in Cina e per la creazione dello stato dell’Est Turkestan, libero dal giogo cinese. Quella dell’indipendenza è un’aspirazione che gli uiguri coltivano fin dai primi tentativi di fondazione di una repubblica autonoma, avvenuti sia nel 1933 sia nel 1944. Da quando però, nel 1949, la regione autonoma a maggioranza uigura dello Xinjiang fu “colonizzata”, per usare le parole del WUC, dalla Cina di Mao, il suo territorio è sempre stato teatro di violenze. Queste sono state perpetrate
sia dai movimenti indipendentisti più bellicosi (con azioni di guerriglia e terrorismo) sia dal governo cinese (attraverso una serie di politiche repressive). A partire dagli anni ‘90, il Partito Comunista Cinese ha cercato di arginare con metodi brutali le rivendicazioni uigure, nel timore di perdere una regione chiave per l’economia nazionale, in quanto ricca di carbone, petrolio e gas naturale, e per il proprio progetto di ricomposizione della Via della Seta (Belt and Road initiative). La messa in sicurezza dello Xinjiang, con il pretesto di combattere l’estremismo, il separatismo e il terrorismo, sembra essere diventata in realtà una manovra del PCC per perpetrare una discriminazione su base etnica e religiosa contro la popolazione uigura, che professa un credo islamico. Tra le ultime azioni ritorsive delle autorità, seppur smentite da Pechino, Amnesty International annovera la detenzione di 30 familiari di Rebiya Kadeer, accusata di fomentare le rivolte nello Xinjiang congiuntamente al Congresso Mondiale degli Uiguri. Il WUC, tuttavia, difende il suo carattere pacifista e nonviolento, condannando esso stesso gli atti di terrorismo, e ribadendo il proprio ruolo di promotore dei diritti umani e della causa uigura a livello internazionale.
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ORIENTE Ryong e ricevuto il favore del Presidente americano via Twitter. GIAPPONE 22 novembre. Un aereo della marina militare americana è precipitato al largo della costa giapponese al rientro da un’esercitazione navale congiunta USA-Giappone. Il velivolo si è schiantato in mare alle 14.45 ora giapponese, 150 km a nord-ovest dall’atollo di Okinotorishima, mentre stava rientrando verso la portaerei USS Ronald Reagan, appartenente alla settima flotta della Marina americana di stanza nell’Arcipelago. 22 novembre. Il governo del Sol levante sembra aver scelto il 30 aprile 2019 come data per l’abdicazione dell’imperatore Akihito. La successione in favore del principe Naruhito avverrà invece il primo maggio. Questa scelta rifletterebbe la volontà di fornire una distrazione alle elezioni regionali che si terranno da marzo ad aprile di quell’anno. Altri propongono invece come data il 31 marzo, in modo da far coincidere il nuovo gengō (nome dell’era) con l’inizio dell’anno fiscale. INDIA
18 novembre. Scontri tra separatisti e forze armate indiane nella regione del Kashmir. Il capo della polizia Paul Vaid avrebbe confermato l’uccisione di sei ribelli e la perdita di un agente locale in seguito a un raid nella città di Hajin, 40 kilometri dal capoluogo Srinagar. Secondo quanto detto dall’ispettore Munir Khan, le vittime appartenevano al gruppo Lashkar-e-Taiba e sarebbero state addestrate dalle forze pakistane. A cura di Alessandro Fornaroli
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LE OMBRE DELLA PANCASILA
La complessa esistenza delle minoranze religiose in Indonesia
Di Virginia Orsili Gli Orang Rimba sono letteralmente la gente della giungla. La religione animista di questa popolazione nomade non è riconosciuta come tale in Indonesia, ma viene piuttosto equiparata a un costume, in quanto non conforme al primo principio della Pancasila, la filosofia nazionale, che celebra l’“Unità nella diversità”, ma professa anche l’esistenza di un solo Dio. Oggi, mentre la foresta pluviale di Sumatran, terra natale degli Orang Rimba, viene distrutta per essere utilizzata per le piantagioni di palme da olio, questa minoranza è costretta a convertirsi all’Islam per sopravvivere e prendere posto nella società indonesiana. Questo è il destino di molte minoranze etniche e religiose nel Paese. L’Indonesia è il Paese musulmano più popoloso al mondo, con 202,9 milioni di fedeli; tuttavia, la nazione è fondata su valori di tolleranza e pluralismo e conta circa 250 minoranze etnico-religiose, che corrispondono al 13 % della popolazione. Il cosiddetto Islam Nusantara, diverso dal corrispettivo medio-orientale, è il prodotto di un secolare sincretismo religioso e si mostra tollerante e protettivo verso le altre minoranze. L’influenza dell’Islam radicale è però aumentata di recente, nel Paese.
L’Istituto Setara, che si occupa del monitoraggio della libertà di culto in Indonesia, ha segnalato un aumento nell’ultimo anno degli atti d’intolleranza religiosa e degli episodi di violazione della libertà di culto ad opera tanto dell’amministrazione locale, quanto di gruppi militanti islamisti. L’atteggiamento discriminatorio è legittimato anche dal sistema giuridico: le minoranze religiose hanno bisogno di permessi speciali per celebrare i loro culti e costruire edifici sacri. Inoltre, la legge di blasfemia punisce con una pena fino a cinque anni di prigione l’espressione di principi in contrasto con le religioni ufficiali. Un mandato del 2013 impone ad ogni cittadino indonesiano di menzionare nella propria carta di identità a quale dei sei culti riconosciuti aderisca. L’8 novembre 2017 è stato reso pubblico il verdetto della Corte Costituzionale che avalla la possibilità di riferirsi, nel documento, anche alle religioni indigene. Lo scorso settembre, l’ONU ha invitato l’Indonesia a abrogare le norme che ostacolano il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di culto, soffermandosi con particolare enfasi sull’abolizione della legge di blasfemia. Il governo di Giacarta ha però annunciato di voler rafforzare la contestata legge sui Diritti religiosi.
AFRICA 7 Giorni in 300 Parole ANGOLA 21 novembre. Il neo-presidente Joao Lourenço, dopo aver licenziato Isabel dos Santos dalla società energetica a partecipazione statale SONANGOL, ha sollevato dall’incarico il Comandante Generale della Polizia Ambrósio de Lemos e il capo dell’intelligence António José María. Le rispettive cariche sono state assunte da Alfredo Mingas e da Apolinário José Pereira.
ERITREA 21 novembre. La capitale Asmara ha adottato impianti di illuminazione stradale ad energia solare, Il progetto, annunciato dal ministro dell’informazione Yemane Ghebre Meskel, si svilupperà in fasi progressive, fino alla copertura delle principali arterie urbane. KENYA 20 novembre. La Corte Suprema convalida le elezioni, confermando il risultato che ha conclamato Uhuru Kenyatta vincitore. La vicenda elettorale si conclude dopo 4 mesi. A settembre, il leader dell’opposizione Raila Odinga aveva promosso ricorso contro le elezioni di agosto, ottenendo l’indizione di nuove consultazioni per il mese di ottobre. A fronte di un risultato analogo al
PROVA DI FORZA
Quale destino per i 40.000 africani d’Israele?
Di Guglielmo Fasana
per quanto potrebbe accadere.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato la stipula di un non meglio specificato accordo internazionale, che consentirebbe l’espulsione dal Paese di circa 40.000 richiedenti asilo africani.
Sebbene il governo israeliano insista nel sostenere la tesi che gli individui in questione non abbiano il diritto di risiedere legalmente nel Paese, in quanto migranti economici, l’opportunità di mettere in atto tale provvedimento resta quantomeno incerta, anche perché sono in molti ad aver fatto richiesta per ottenere lo status di rifugiato. Anche la terminologia adottata nel piano rende chiaro come l’arrivo di migranti non sia affatto ben visto dal governo di Israele, che definisce “infiltrati” coloro che giungono sul suolo patrio.
Il piano prevede la deportazione degli individui in “Paesi terzi”, essendo il rimpatrio nello Stato d’origine contrario alle norme internazionali, oppure la loro reclusione all’interno di penitenziari. Inoltre, è prevista la chiusura di uno dei più importanti centri di detenzione per migranti, dove risiedono ad oggi diverse migliaia di persone. La svolta, per quanto inattesa, si inserisce nel quadro della policy sull’immigrazione dello Stato di Israele, molto aspra e poco incline a concedere diritti in materia di integrazione a individui non professanti la religione ebraica. Cionondimeno, la decisione non ha mancato di sollevare critiche: l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha fatto sapere in un comunicato di essere seriamente preoccupato
In favore della decisione in materia di immigrazione si era espresso ad agosto un Tribunale israeliano, che, a differenza dei suoi omologhi italiani e australiani, ha ritenuto il progetto coerente con i principi costituzionali. Se il tentativo da parte dell’Italia di deportare i migranti in Libia e quello dell’Australia di deportare i propri in Malesia non è andato a buon fine, le migliaia di eritrei e sudanesi attualmente in Israele potrebbero, in un prossimo futuro, dover ricominciare le loro vite in Ruanda e Uganda.
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AFRICA precedente, è seguito un nuovo ricorso dello stesso Odinga, questa volta rigettato. A poche ore dalla decisione della Corte, un manifestante dell’opposizione e un medico intento a soccorrerlo sono stati uccisi in una sparatoria, facendo aumentare a 54 il numero delle vittime dall’inizio delle proteste. NIGERIA 20 novembre. Attacco suicida nei pressi della moschea della città di Mubi. Un ragazzo si è fatto esplodere durante la preghiera del mattino, provocando almeno 50 vittime. Il portavoce della polizia dichiara che il bilancio dei morti e dei feriti è ancora provvisorio. La città non subiva attentati da quando era stata liberata da Boko Haram, che non ha ancora rivendicato l’attacco.
SOMALIA 21 novembre. Muse Bihi Abdi, candidato per il Kulmiye Party, ottiene il 55,1 % dei voti e vince le elezioni. Il diretto concorrente Abdirahman Irro si ferma al secondo posto con il 40,7%. Queste sono state le prime elezioni al mondo a fare uso della tecnologia di riconoscimento dell’iride al fine di evitare brogli, ma le contestazioni non sono mancate. Il presidente uscente Ahmed Mohamud Silaanyo, il cui mandato è stato esteso di due anni e mezzo a causa della mancanza di fondi e di una grave siccità, dichiara di non puntare ad una nuova candidatura. A cura di Federica De Lollis 14 • MSOI the Post
“GUCCI GRACE” A CACCIA DI POTERE Lo Zimbabwe continua a vivere nell’incertezza politica
Di Jessica Prieto “Questo non è un colpo di Stato, ma una transizione senza spargimento di sangue in cui […] un uomo anziano, del quale la moglie approfittava, è stato fermato”. Con queste parole, il 14 novembre scorso, un portavoce delle forze armate ha comunicato la presa in custodia del presidente Mugabe e della moglie Grace. Il riferimento alla moglie dell’ex Presidente è essenziale per capire ciò che in questi giorni sta accadendo nel Paese africano. La presa di potere dell’esercito, infatti, è avvenuta in seguito all’estromissione del vicepresidente Emmerson Mnangagwe, giudicata dai militari come l’ennesimo tentativo da parte di Mugabe di spianare la strada verso il potere alla moglie Grace. Mnangagwe è stato allontanato dalla scena politica il 6 novembre, dopo essere stato accusato di “atteggiamenti sleali”. La stessa accusa era stata rivolta anche alla sua predecessora, Joice Mujuru, nel 2014. All’origine di questi episodi è sempre stato possibile rintracciare pressioni politiche esercitate dalla moglie dell’ex presidente Mugabe. Grace Mugabe, ex dattilografa, soprannominata dalla popolazione “Gucci Grace” per il suo stile di vita costellato di agi
e lussi, è entrata in politica solo tre anni fa, dopo aver convinto il marito a nominarla capo della sezione femminile del partito di governo, lo Zanu-Pf. Forte del sostegno politico di Mugabe ha quindi deciso di candidarsi alle elezioni presidenziali previste per il 2018, iniziando il “Graceland tour”: una serie di comizi politici in tutto il Paese. L’obiettivo dell’ex first lady sarebbe stato quello di costruirsi un futuro di sicurezza politica ed economica dopo la morte del marito, ormai novantatreenne. Tuttavia, la prospettiva di uno Zimbabwe con Grace al comando non ha incontrato i favori né dalla popolazione, né dai vertici del partito di governo. La causa, se non il pretesto, per la presa di potere da parte dell’esercito sarebbe quindi da ricercarsi nel tentativo di troncare sul nascere l’istituzione di una sorta di “linea dinastica”. L’atto è stato definito dallo stesso Mnangagwe come “un gesto coraggioso”, necessario per creare una situazione di transizione politica che permetta l’organizzazione di elezioni libere, corrette e democratiche. Ad oggi, la situazione dello Zimbabwe resta gravata da fragili tensioni politiche, sebbene l’ex Presidente, martedì 21, abbia annunciato formalmente le proprie dimissioni.
AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole
BRASILE 20 novembre. Il presidente Michel Temer ha nominato Claudio Segovia come nuovo capo della polizia federale. Tra i compiti principali di Segovia ci sarà anche quello di continuare le indagini sul caso Petrobas, nel quale è coinvolto lo stesso Presidente. Il nuovo capo della polizia federale ha dichiarato che Temer continuerà ad essere indagato senza alcuna remora. COLOMBIA 21 novembre. La ministra degli Esteri María Ángela Holguín ha denunciato un’incursione di un drappello militare venezuelano sul territorio colombiano nel dipartimento di Norte de Santander al confine con il Venezuela. Il ministero ha chiesto spiegazioni e ha ad auspicato un incontro tra i rispettivi ministri degli Esteri per discutere del fatto e prevenire ulteriori episodi analoghi. MESSICO 18 novembre. Martiniano Jaramillo, un cittadino messicano accusato di essere stato a capo di una banda di trafficanti di droga che sequestrava e uccideva sistematicamente migranti dell’America Latina, è morto in seguito all’arresto. Jaramillo si trovava in un ospedale dello Stato di Tamaulipas ed era stato trasferito dalla polizia a Città del Messico. 22
novembre.
Un’inchiesta
LA FUGA DI ANTONIO LEDEZMA Esponente dell’opposizione in Venezuela fugge in Spagna dopo tre anni agli arresti
Di Elena Amici Antonio Ledezma, ex-sindaco di Caracas e uno dei volti dell’opposizione venezuelana, è fuggito dal Paese, dove era agli arresti domiciliari dal 2015. Ledezma, duro critico del presidente Maduro, venne eletto primo cittadino della capitale nel 2008. Nel febbraio 2015 fu arrestato insieme al leader dell’opposizione Leopoldo López con l’accusa di organizzare un colpo di Stato, con la detenzione in seguito commutata in arresto domiciliare per entrambi. Ledezma ha lasciato Caracas nella mattinata di giovedì 16 novembre, superando a piedi 29 posti di blocco fino ad arrivare in Colombia, dove ha ottenuto l’ingresso con un regolare visto turistico. Da lì ha raggiunto la Spagna tramite un volo commerciale e si è riunito con la famiglia a Madrid. Ledezma è stato ricevuto dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, e ha tenuto una conferenza stampa intesa come punto di partenza di un tour per incontrare espatriati venezuelani in Spagna, Stati Uniti e altri Paesi dell’America Latina. Il politico venezuelano ha ammesso di essere stato aiutato da membri dell’esercito, oltre che dalle autorità colombiane. Fra questi l’ex-presidente della Colombia Andrés
Pastrana, che ha contribuito a orchestrare la fuga e a fornire a Ledezma una scorta fino all’aeroporto di Bogotá. Pastrana ha definito la fuga di Ledezma come “un’occasione magnifica per far ascoltare al mondo la voce dell’opposizione venezuelana”, sottolineando, inoltre, che sono molti i prigionieri politici ancora detenuti nel Paese. In patria, la sua fuga ha portato a una serie di fermi e perquisizioni operate dal Servizio Bolivariano dell’Intelligence Nazionale (Sebin), agenzia che in passato è stata aspramente condannata da Amnesty International per presunti abusi di diritti umani. Quasi 30 persone sono state fermate, tra cui membri del Comune Metropolitano di Caracas, agenti di polizia e impiegati del complesso residenziale dove Ledezma abitava. Molti sono stati interrogati e rilasciati, ma 10 fra agenti di polizia e impiegati del comune rimangono agli arresti senza che siano state sporte accuse formali. Da Madrid, Ledezma ha definito le azioni delle autorità venezuelane una “caccia alle streghe”, e ha ulteriormente condannato le azioni del governo Maduro. L’ex Sindaco si è detto critico anche della stessa opposizione, a suo dire divisa e contraddittoria, dicendo che il tempo per cercare dialogo è finito. A suo dire, “non si può parlare quando ci sono ancora prigionieri politici”.
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AMERICA LATINA del El Colegio de México, presentata da Jacobo Dayán e Sergio Aguayo ha denunciato le attività criminali condotte dall’organizzazione Los Zetas all’interno del carcere di Pedras Negras, nello Stato di Coahuila. La prigione sarebbe stata completamente gestita dagli affilati alla banda con la complicità delle autorità.
LA FINE DELL’ERA BACHELET IN CILE Le elezioni del 19 novembre danno come vincitore il candidato di centro-destra
Di Anna Filippucci
CILE 20 novembre. Il primo turno delle elezioni presidenziali cilene è stato vinto da Sebastian Piñera, il quale ha ottenuto circa il 36,6% dei voti. L’ex presidente conservatore dovrà affrontare al ballottaggio Alejandro Guillier: il candidato del centro-sinistra ha, infatti, conseguito il 22, 6% delle preferenze. Segue Beatriz Sanchez, leader del partito Frente Amplio con un risultato del 20,3% che non le ha permesso di passare al secondo turno elettorale. VENEZUELA 18 novembre. L’ex sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, è fuggito in Spagna; il leader dell’opposizione è riuscito ad eludere gli arresti domiciliari ai quali era sottoposto. Una volta atterrato a Madrid, Ledezma ha incontrato il presidente del Governo spagnolo Rajoy ed ha poi subito espresso la sua gioia, dichiarando però di voler continuare la battaglia contro Maduro e chiedere un maggior sostegno internazionale alla causa venezuelana. A cura di Elisa Zamuner 16 • MSOI the Post
Domenica 19 novembre in Cile si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali, e i risultati sono conformi alle aspettative: nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza assoluta, ma il favorito Sebastien Piñera ha ottenuto il 37% dei voti. Segue il candidato di centro-sinistra Alejandro Guillier con il 23% e, infine, con un inaspettato 20% la rappresentante dell’estrema sinistra Beatriz Sánchez. Il secondo turno è previsto per il 17 dicembre. Per l’impossibilità di svolgere due mandati consecutivi, la presidente uscente Michelle Bachelet non ha potuto ricandidarsi con il centro sinistra. Eletta nel 2013, in qualità di madre nubile e atea in una società molto cattolica, si era fatta portavoce di riforme nel sistema cileno, che ancora patisce l’eredità della dittatura di Pinochet. Tra le riforme attuate possiamo citare: la depenalizzazione parziale dell’aborto, l’instaurazione di diritti pensionistici per le madri nubili, il diritto di voto per i cileni residenti all’estero e una riforma del sistema elettorale. La Presidente non è riuscita, invece, a rendere gratuita l’educazione pubblica se non in
modo parziale. Considerando la continua opposizione dentro e fuori il partito e il governo, la stampa ultra-conservatrice e il sistema economico liberale, i risultati ottenuti sono tutt’altro che indifferenti. Tuttavia, ed è questo il dato più usato per criticare il mandato di Bachelet, la percentuale della popolazione che vive ancora sotto la soglia della povertà estrema è del 1,3%, aumentato dello 0,4% dal 2013. L’elevato coefficiente di Gini (indice delle disuguaglianze) mostra che il Paese è caratterizzato da situazioni di pesanti disparità, nonostante il forte sviluppo economico. Questa situazione è determinata in gran parte da un sistema pensionistico privato e che fa sì che l’importo delle pensioni sia determinato dalle fluttuazioni del mercato. La probabile sconfitta della sinistra segna la fine della speranza per molti: il candidato favorito è un imprenditore milionario, già Presidente dal 2010 al 2014. Il “Berlusconi cileno” promette di raddoppiare il tasso di crescita del Paese (1,5% nel 2017), in caduta libera dopo la riduzione del prezzo delle materie prime, dalle cui esportazioni il Cile dipende, e ridurre il tasso di povertà.
ECONOMIA NUOVA ENERGIA PER LA CINA
Si consolidano le relazioni tra Cina e Russia nel settore petrolifero
Di Luca Bolzanin CEFC China Energy Company, impresa fondata nel 2002 e passata in 15 anni da piccolo commerciante locale di energia a gigante del commercio globale, ha venduto il suo primo carico di greggio russo derivante dall’acquisto, formalizzato a settembre, di una partecipazione da 9 miliardi di dollari in Rosneft Oil Company. Con l’acquisizione di una quota del 14,16% della società russa, CEFC è diventata il terzo azionista dopo lo Stato russo e l’inglese BP. In base all’accordo, il colosso energetico russo fornirà all’impresa con sede a Shanghai fino a 60,8 milioni di tonnellate di greggio in cinque anni. Tra i più cospicui investimenti cinesi in Russia, l’intesa permette a Mosca di aggirare le sanzioni statunitensi ed europee imposte a seguito della crisi ucraina nel settore energetico, spostando il focus dall’Europa all’Asia alla ricerca di nuovi accordi commerciali. Non stupisce, dunque, che le compagnie petrolifere russe siano state le principali fornitrici di greggio alla Cina per la maggior parte dell’anno e che sia previsto l’avvio della fornitura di gas naturale tramite gasdotto per il 2019. “Consideriamo il mercato cinese come il più promettente”, aveva
commentato ad agosto un portavoce di Rosneft. Posizione ribadita dall’amministratore delegato di Rosneft, Igor Sechin, che a seguito della conclusione dell’accordo aveva dichiarato alla stazione televisiva statale Rossiya-24: “Siamo felici che sia stata proprio una società cinese” a rilevare parte delle quote di Glencore e del fondo sovrano del Qatar. L’operazione di CEFC, conglomerato privato con un fatturato da oltre 43 miliardi di dollari, si inserisce nel più ampio progetto geopolitico e geoeconomico cinese della Nuova Via della Seta, che, secondo le parole del suo presidente, Ye Jianming, ha esercitato un notevole influsso sulla negoziazione. Questo contratto, inoltre, rappresenta un salto di qualità nella partnership energetica tra il terzo produttore mondiale di petrolio (la Russia) e il secondo maggior consumatore (la Cina), in quanto, finora, essa era stata portata avanti principalmente attraverso gli investimenti ‘pubblici’ di Sinopec e China National Petrol Corp. (CNPC), imprese controllate dallo Stato cinese, e, in particolare, in relazione al gasdotto ‘Forza della Siberia’ che Gazprom e CNPC stanno costruendo in Estremo Oriente.
Le ingenti forniture di greggio assicurate a CEFC renderanno possibile l’affermazione della società fondata da Ye nel mercato del trading petrolifero e permetteranno il concretizzarsi ambizioni globali delle dell’impresa, che Ye vorrebbe far diventare “una seconda Sinopec”. A tal fine, nel febbraio scorso l’azienda ha rilevato per 900 milioni di dollari dalla Abu Dhabi National Oil una quota del 4% nella più grande concessione petrolifera della capitale degli Emirati. Il gruppo, inoltre, solo a marzo, ha siglato accordi per quasi un miliardo di dollari con l’acquisto del 51% di KazMunaiGas International, la divisione commerciale della compagnia petrolifera nazionale kazaka, e del 20% della società finanziaria newyorchese Cowen Group. Complessivamente, il tycoon cinese ha firmato contratti per circa 3 miliardi di dollari negli ultimi due anni. La diversificazione degli investimenti messa in pratica negli ultimi mesi da parte del management della società è primariamente finalizzata a ridurre i rischi derivanti da un possibile deprezzamento del petrolio dovuto al progressivo spostamento verso fonti energetiche alternative e a espandere il business nei settori finanziario e della logistica. MSOI the Post • 17
ECONOMIA I BONIFICI ISTANTANEI, UNA NUOVA REALTÀ PER I CORRENTISTI ITALIANI
Al momento li prevedono pochi istituti, ma a breve saranno disponibili capillarmente
Di Giacomo Robasto Si chiama RT1 l’infrastruttura tecnologica per i pagamenti istantanei in euro che permette a cittadini e imprese di trasferire denaro seduta stante. A svilupparla e gestirla l’italiana Sia - società creata dalla Banca d’Italia con le principali banche del Paese - insieme a Eba Clearing (fornitrice di sistemi di pagamento paneuropei, controllata da 53 tra i maggiori istituti di credito operanti nel Vecchio continente). A partire da mercoledì scorso, infatti, come già annunciato dalla Banca Centrale Europea, sono disponibili in tutti i 34 Paesi dell’area SEPA i cosiddetti ‘instant payments’, o bonifici istantanei. Dunque, non solo in Italia, ma anche all’estero e, soprattutto, tutti i giorni dell’anno. Al momento, va però sottolineato, solo 18 istituti di credito dislocati in 9 Paesi dell’Unione Europea prevedono questa possibilità, dei quali tre italiani: Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banca Sella. Questo debutto porterà certamente una piccola rivoluzione all’interno del mondo bancario, dal momento che i nuovi bonifici consentono di trasferire denaro da un conto 18 • MSOI the Post
corrente all’altro in pochi istanti, fino a soli 10 secondi di orologio. Attualmente, la BCE ha previsto la possibilità di trasferire fino ad un massimo di €15.000 per ogni operazione, con pagamenti che non sono revocabili. Tuttavia, essi incorporano numerose applicazioni pratiche: dalla compravendita di beni usati alle spedizioni a domicilio, fino allo sblocco delle forniture o all’instant cash management per le aziende. Per non parlare dei vantaggi in termini di efficienza operativa, minore uso del contante e degli strumenti cartacei come assegni. Le prime banche a proporlo in Italia si stanno focalizzando sulla conclusione delle sperimentazioni tecniche, iniziate già l’estate scorsa, in una fase detta di roll out, ovvero di rilascio graduale dell’operatività. Il suo obiettivo è mettere a punto la propria rete informatica e l’incrocio con la piattaforma internazionale, per evitare problemi di sorta nella fase di fase di lancio. Le banche in oggetto, inoltre, sono tutte in esercizio per quanto riguarda le operazioni in entrata, cioè nel ricevimento di denaro, mentre la fase dispositiva, sia per Banca Sella sia per Unicredit, sarà
operativa da fine novembre; seguirà anche Intesa Sanpaolo nell’anno nuovo. Almeno in Italia, rispetto al bonifico tradizionale è poi previsto un sovrapprezzo a carico dei correntisti. I clienti Unicredit pagheranno 2,50 euro, previsti a carico del solo ordinante. La cifra è di poco superiore ai costi attuali di un bonifico disposto con i canali digitali (via mobile o Internet banking) che è di 2,25 euro. Per i clienti Banca Sella sarà invece gratis o avrà lo stesso prezzo di un bonifico normale fino al 31 marzo 2018. Dal primo aprile, invece, costerà 2,30 euro. Infine, Intesa Sanpaolo, che esigerà per ciascun bonifico eseguito (per ora si possono solo ricevere) 0,60 euro in aggiunta al costo dell’operazione normale secondo quanto previsto dal proprio conto (ma in questo caso i bonifici per i clienti costano 1 euro). L’avvento dei bonifici istantanei sembra un piccolo passo per il mondo bancario, ma senz’altro semplificherà molto la vita a milioni di imprese e cittadini che ogni giorno si interfacciano in modo sempre più virtuale con i servizi bancari.
DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO VERSO UNA CORTE INTERNAZIONALE DEGLI INVESTIMENTI
La comunità internazionale lavora per il superamento dell’attuale sistema di risoluzione delle dispute in ambito di investimenti stranieri. Una corte internazionale è la giusta soluzione?
Di Federica Sanna L’attuale sistema di risoluzione dei conflitti tra investitori stranieri e Stato ospitante è caratterizzato dal cosiddetto ISDS (Investor-State Dispute Settlement). Si tratta di un complesso di tribunali arbitrali costituititi ad-hoc ogni volta che si rende necessario risolvere una disputa. La principale critica rivolta a questo regime riguarda il forte disequilibrio in favore degli investitori stranieri rispetto allo Stato. Solo per citare alcuni elementi all’origine di questa imparzialità, gli investitori hanno la possibilità esclusiva di rivolgersi al tribunale e hanno un ruolo decisivo nella scelta degli arbitri. Al fine di superare questa situazione, che minaccia la legittimità del sistema di risoluzione delle dispute e, di conseguenza, dello stesso diritto internazionale degli investimenti, l’Unione europea ha lavorato ad una nuova generazione di accordi di libero scambio, in cui il tradizionale ISDS è stato sostituito dall’instaurazione di una Corte che, in quanto tale, è costituita da giudici permanenti e prevede un meccanismo di appello, assente nel precedente sistema. I primi tentativi sono riscontrabili nei negoziati degli accordi di libero scambio con Canada (CETA), Singapore (EUSFTA)
e Vietnam (EUVFTA). Il regime di risoluzione delle dispute presente in questi testi, anche se si basa ancora su un contesto bilaterale, rappresenta una svolta radicale nell’approccio al diritto degli investimenti. Il primo elemento di novità è rappresentato dallo sforzo di assicurare un giudizio imparziale e indipendente da parte della Corte. A tal fine, si è reso necessario anzitutto correggere la modalità di scelta dei giudici e la composizione di ogni divisione incaricata di risolvere uno specifico caso. Per quanto riguarda la nomina, i giudici selezionati devo possedere le qualifiche per essere nominati tali a livello nazionale o essere giuristi di riconosciuta competenza, dimostrando un livello minimo di competenza nella materia degli investimenti. La composizione del tribunale è conseguentemente decisa su una base casuale e imprevedibile, togliendo ogni potere di influenza agli investitori. La riforma riesce, quindi, a superare il gravoso problema del c.d. “doublehat”, in base al quale un individuo ha la possibilità di agire come avvocato in una disputa internazionale e, contemporaneamente, svolgere il ruolo di giudice in un altro arbitrato, causando quindi un’evidente situazione di conflitto di interesse.
Gli elementi positivi di novità si scontrano però con un nodo irrisolto, capace di svuotare il contenuto positivo della proposta: il potere di legiferare assunto dalla Corte minaccia la possibilità dello Stato di perseguire liberamente obiettivi di pubblica utilità. Nello specifico, la criticità proviene dal livello di influenza esercitato dagli investitori stranieri, i quali godranno del diritto di rivolgersi alla Corte per indurre i legislatori nazionali, anche indirettamente, ad adottare leggi a loro favorevoli. Un esempio è il noto caso Philip Morris: la Nuova Zelanda ha deciso di non introdurre una specifica legge per regolare il packaging delle sigarette, dopo il contenzioso avviato da un investitore straniero nei confronti dell’Australia, che aveva adottato una legge simile. Il nuovo approccio adottato dall’UE, e condiviso da gran parte della comunità internazionale, non può quindi essere definitosufficientemente legittimoepiù giusto del precedente, finché il diritto degli Stati di adottare leggi che perseguano l’obiettivo di tutela dei lavoratori, politiche di welfare o modifiche nel modo in cui un servizio è gestito sarà compromesso dalla volontà degli investitori stranieri di tutelare i propri interessi. MSOI the Post • 19
DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO SE LA GUERRA È RITENUTA ILLEGITTIMA Diserzione e protezione internazionale nel caso Shepherd
Di Stella Spatafora La protezione internazionale si lega ad una molteplicità di situazioni per le quali è possibile identificare categorie di persone con titolo a vantare un diritto ad ottenere protezione rispetto allo Stato ospite. La protezione può essere definita in vario modo, tra cui figura lo status di rifugiato. La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce chi può richiedere protezione come rifugiato, riferendosi a coloro che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese” (Art.1). Quest’ultima è una norma preventiva che anticipa la protezione dal momento in cui sussistail timore, da parte del rifugiato, di andare incontro a persecuzione. Tuttavia, la Convenzione ha dei limiti di applicazione escludendo dalla protezione coloro i quali si siano macchiati di un crimine internazionale, come ad esempio un crimine di guerra. Inoltre, gli ulteriori dettagli circa la configurazione di atti concreti di persecuzionesono ri-
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messi alla giurisprudenza. Nel contesto comunitario è possibile trovare una disciplina di riferimento: l’Unione Europea ha infatti trasposto la definizione di “rifugiato” della Convenzione di Ginevra nella Direttiva qualifiche 2004/83/CE, rifusa ora nella direttiva 2011/95/UE, “recante norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale”. L’Art. 9 individua quelli che possono essere qualificati come atti di persecuzione, considerando tali azioni “sufficientemente i grav ,da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali” (lett. a), oppure “la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo” (lett. b). A tal riguardo è interessante menzionare la sentenza Shepherd c. Germania (causa C-472/13) con cui la Corte di Giustizia si è pronunciata su un particolare caso di richiesta d’asilo ad uno Stato membro dell’Unione europea da parte di un militare statunitense. Si temeva, infatti, che la condizione di disertore del soldato potesse comportare, da parte degli Stati Uniti una persecuzione, attraverso un congedo con disonore e una pena detentiva, con possi-
bile conseguente ostracismo sociale. La CGUE si è pronunciata sulla base dell’Art. 9 lett e) Direttiva 2004/83/CE che qualifica come atti di persecuzione anche le “azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2”. La Corte ha affermato che “il rifiuto di prestare il servizio militare deve costituire il solo mezzo che permetta al richiedente lo status di rifugiato di evitare la partecipazione ai crimini di guerra, e che, di conseguenza, se quest’ultimo ha omesso di ricorrere alla procedura per ottenere lo status di obiettore di coscienza, tale circostanza esclude ogni protezione”. Essa ha poi sancito la competenza delle autorità nazionali nel valutare la proporzionalità delle misure sanzionatorie. Attraverso la propria valutazione, la Corte è riuscita a scongiurare una possibile ingerenza in delicate questioni politiche e diplomatiche relative al conflitto guidato dagli Stati Uniti in Iraq: un conflitto distorto e controverso, le cui conseguenze aleggiano in maniera prepotente ancora oggi.
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