MSOI thePost Numero 86

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino

SPECIALE FRATTINI: RUOLO E FUNZIONI DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI Pagina 3

SCHIAVITÙ E DIPLOMAZIA Pagina 10


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

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N u m e r o

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FRATTINI: RUOLO E FUNZIONI DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI L’intervento del Presidente della SIOI il 24 novembre all’Università di Torino

Di Davide Tedesco, Vicedirettore di MSOI thePost Le scelte compiute in politica estera non rappresentano solo un aspetto essenziale dell’azione di governo, indicano quale identità un esecutivo decide di assumere sulla scena internazionale. Per questo, un passo falso o un momento di indecisione in diplomazia possono comportare ricadute negative per l’immagine di un intero Paese. Come spiegare, dunque, in un’aula universitaria, quali siano le funzioni di un Ministro degli Esteri? Su questo è focalizzato l’intervento del presidente della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI), Franco Frattini, lo scorso 24 novembre all’Università di Torino. Sicurezza comune e politica migratoria: l’impegno italiano in UE Devono essere letti sotto quest’ottica gli sforzi profusi nell’ambito dell’integrazione europea, così come l’impegno per frenare i tentativi di deriva intergovernativa. In particolare, punto fermo del presidente Frattini durante il periodo in cui guidò la Farnesina fu il tentativo di rendere Bruxelles la capitale di un’Europa unita anche in senso politico,

non solo economico-monetario. All’epoca questo intento fu perseguito cercando di spostare l’attenzione dell’UE su settori in cui le scelte politiche contano più di quelle economiche e bancarie, basti pensare al tema della politica di difesa, ultimo grande lascito di Alcide De Gasperi. Oggi, nel Consiglio Europeo i Ministri degli Esteri e della Difesa sembrano avvicinarsi ad una progressiva integrazione degli assetti di difesa, ragionando su un modello in cui non saranno tutti i Paesi membri, bensì una decina di willing countries a dar vita ad esperimenti operativi di difesa e sicurezza, seguendo il modello della cooperazione rafforzata. L’Italia, da sempre all’avanguardia su questo tema, parte dal presupposto che si dovrà confrontare con un appoggio di minoranza. Come dovrebbe agire in questa sede il Ministro degli Esteri? Dovrebbe, anzitutto, costruire un solido coacervo di alleanze con quei Paesi che conoscono i vantaggi di una simile proposta. Quello di difesa e sicurezza è indubbiamente uno dei progetti più significativi per l’Europa, ma altrettanto attuale è la realizzazione di una politica integrata sui flussi migratori. Altro tema divisivo per il Vecchio Continen-

te rispetto al quale l’Italia ha assunto una posizione di assoluta chiarezza: l’immigrazione non è materia italiana né maltese, bensì profondamente europea. Il nuovo linguaggio della diplomazia Il presidente Frattini ha inoltre evidenziato come oggi non sia più sufficiente il ruolo degli ambasciatori in diplomazia: in un mondo in cui le relazioni interpersonali tra gli interlocutori di Paesi diversi sono fra gli elementi più importanti per far avanzare un dossier, il ruolo del Ministro degli Esteri si arricchisce di una funzione spiccatamente rappresentativa. È quindi cambiato il modo stesso di esprimersi della diplomazia, un modo molto più diretto, e ciò sta portando il livello decisionale in altre stanze: i dossier più complessi vengono affrontati prima dai decisori politici e poi da coloro che li devono sviluppare. Un tempo si facevano semplicemente circolare documenti di lavoro, i cosiddetti non-papers. Per queste ragioni, oggi, un Ministro degli Esteri deve essere in grado di confrontarsi direttamente con i propri interlocutori, padroneggiando diverse lingue. In assenza di uno scambio diretto alla fonte tra coloro MSOI the Post • 3


che saranno i decisori politici a nome degli Stati è illusorio pensare che i dossier, con la loro delicatezza e complessità di trattazione, possano avanzare. Secondo il Presidente della SIOI, è dunque necessaria una discussione trai più alti rappresentanti di un certo numero di Paesi, le Nazioni Unite e l’Unione Europea, allo scopo di concordare le linee guida. Solamente in questo modo l’azione di spiegazione trasmessa tra omologhi può passare alla fase dell’implementazione da parte dei funzionari, dei gruppi di lavoro e così via. A tal proposito, Franco Frattini ha riportato un esempio ben preciso. “Pensiamo al momento di straordinaria delicatezza che caratterizza i rapporti tra l’Occidente e la Russia. Quando nel 2008 Mosca decise di attaccare la Georgia come dichiarata reazione ad una invasione georgiana della Abkhazia, si è dovuto gestire una situazione drammatica che avrebbe potuto portare alla presenza di carri armati nel centro di Tbilisi, se non si fosse persuaso il presidente Putin. Era necessaria un’azione immediata, non si poteva riunire il Consiglio dei Ministri. Il Primo Ministro italiano e quello francese spiegarono direttamente a Putin come l’ingresso dei carri armati a Tbilisi avrebbe segnato l’irreversibile deterioramento dei rapporti, in negativo, tra occidente e Russia. […]. Non a caso i carri armati si ritirarono e la missione dell’OSCE per il monitoraggio venne autorizzata anche dalla Russia”. In alcune circostanze, dunque, le azioni di politica estera devono essere prese in modo istantaneo, non vi è il tempo di convocare una riunione di Ministri o esperti: “Gli americani avevano deciso di compiere un blitz in Iraq che avrebbe coinvolto anche degli ostaggi italiani. In quel momento ebbi sette ore per decidere se autorizzare gli americani a fare un blitz, come fu. Il blitz ebbe successo, 4 • MSOI the Post

uno degli ostaggi era già stato ucciso mentre gli altri 3 vennero liberati. Queste sono decisioni che un Ministro degli Esteri deve prendere, ovviamente sentendo il Presidente del Consiglio e i propri servizi segreti, ma le deve prendere lui”. La diplomazia culturale In conclusione, il presidente Frattini ha ricordato come l’Italia abbia una caratteristica che pochi Paesi possono vantare: essere una super potenza culturale. Né militare né economica ma culturale. E nella diplomazia italiana, la diplomazia culturale è sempre stata fondamentale. In particolare, l’ex Ministro degli Esteri ricorda: “Ci siamo trovati in aree devastate del mondo in cui abbiamo usato la diplomazia culturale per far germoglia-

re qualche momento positivo in mezzo alle bombe. In Iraq, nella primavera del 2003, quando l’azione anglo-americana si concluse, si formò un governo formato dai membri della coalizione occidentale, che doveva riportare l’Iraq su un percorso accettabile per la comunità internazionale. L’Italia aderì alla coalizione, sotto richiesta del Segretario di Stato americano Colin Powell, che chiese la presenza di un Ministro della Cultura dell’Iraq. Un ambasciatore italiano venne mandato dalla Farnesina per ricoprire l’incarico nel governo transitorio iracheno. Svolse il proprio compito per 8-9 mesi, sino al primo governo iracheno. I nostri Carabinieri andavano nei mercatini di Baghdad a recuperare pezzi di valore inestimabile che le truppe di Saddam Hussein, fuggendo,vendevano

a pochi soldi sulle bancarelle. Si recuperarono pezzi di valore inestimabile. Si salvarono pezzi unici della storia del mondo”. Attraverso la diplomazia, dunque, ha trovato e sempre troverà consacrazione il riconosciuto primato dell’Italia in campo culturale, legittimato da una profonda memoria storica che non potrà mai essere dimenticata da qualunque altro attore del panorama internazionale. Volgiamo lo sguardo alla realtà attuale: Daesh. L’Italia ha recentemente assunto la presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sfruttando tale occasione, il Bel Paese ha lanciato una nuova proposta: l’istituzione dei Caschi Blu della Cultura, forza di protezione posta a tutela dei beni dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Il progetto è stato accolto con grande favore e concorda con le parole pronunciate dall’ormai ex direttore generale dell’UNESCO, Irina Bokova, secondo la quale “la protezione culturale non è solo un’emergenza culturale, ma anche una necessità politica e di sicurezza”. Non a caso, lo scorso mercoledì 29 novembre, l’Italia è stata eletta al Comitato per la protezione dei beni culturali in caso di conflitti: “Si tratta di un successo che consolida la nostra azione di politica estera in un settore in cui l’Italia ha raggiunto una leadership indiscussa, che rappresenta anche una delle principali linee direttrici portata avanti all’Unione Europea e alle Nazioni Unite”, ha commentato l’attuale ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale Angelino Alfano. In questo senso, il presidente Frattini è convinto che anche per la più grande sfida che l’Africa sta ponendo all’Europa tutta sulla crisi dei migranti, l’Italia saprà ritagliarsi un ruolo importante, sia a livello nazionale sia a livello continentale.


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

FRANCIA 27 novembre. Macron inizia nell’università di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, la visita di tre giorni nel continente africano. Nel suo discorso parla di una “rottura con il passato”: “Sarò al fianco di coloro che credono che l’Africa non è un continente perduto né ha bisogno di essere salvato.” La delegazione francese, però, non ha ricevuto una buona accoglienza: poco prima dell’arrivo del presidente francese una granata, che ha ferito tre civili, era stata lanciata contro i soldati francesi. GERMANIA 26 novembre. In un clima di incertezza politica, si allontana l’idea di ritorno alle urne e si apre la possibilità di una grande coalizione tra il CDU di Angela Merkel e SDP guidato da Martin Schultz. La cancelliera tedesca ha dichiarato di essere disponibile al dialogo, al fine di formare un governo che dia stabilità al paese e rispetti il mandato degli elettori. OLANDA 29 novembre. All’Aja, durante lo svolgimento di un’udienza presso il Tribunale penale per l’ex Jugoslavia, il generale croato-bosniaco Slobodan Praljak ha ingerito del veleno e si è suicidato in diretta, subito dopo aver ascoltato il verdetto di condanna a vent’anni. Sono state aperte delle inchieste per comprendere come sia stato possibile per l’im-

IL FUTURO GIUDIZIARIO RUMENO Proteste in tutto il Paese contro la nuova riforma

Di Simone Massarenti Il 26 novembre scorso le vie e le piazze di oltre 70 città rumene hanno visto decine di migliaia di manifestanti che, guidati dallo slogan “Justice, not Corruption”, hanno espresso la loro contrarietà rispetto alla nuova riforma fiscale e della giustizia. Nonostante, come testimoniato da Voa News, non siano giunte i cifre ufficial circa la partecipazione alle proteste, la mobilitazione ha scosso il Paese riportando la tensione ai livelli del febbraio scorso. Manifestazioni di tali dimensioni non si vedevano infatti dai tempi della caduta del Comunismo nel 1989. La protesta contesta il governo a guida PSD-Liberal (Democratici-Alleanza Democratica Ungherese) che, nella figura del ministro della Giustizia Florin Iordache, si è impegnato in una riforma della giustizia che contempla il controllo dei giudici da parte di una commissione ad hoc guidata dall’Esecutivo. Inizialmente

sospesa

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seguito alle ferventi proteste di febbraio, la riforma, considerata dal popolo rumeno un “atto politicamente mafioso”, prevede, altresì, una riforma fiscale che aggraverebbe gli oneri tributari dei lavoratori. The Guardian riporta, inoltre, che l’Ufficio Europeo Anti-frode avrebbe scoperto un appropriazione indebita di oltre 25 milioni di euro del Fondo Europeo per lo Sviluppo in cui sarebbero coinvolti i Procuratori Generali rumeni e il leader del partito di maggioranza Liviu Dragnea. La tensione nel Paese rimane altissima e, come dichiarato a VoaNews dalla dimostrante Anca Preateasa: “il popolo rumeno accusa il Governo di voler cambiare il sistema per risolvere i propri problemi”. Le sue parole trovano conferma nelle parole di un’altra manifestante, Manca Macovei, intervistata dal Washington Post: ella ha confermato che l’ondata di proteste non si placherà, continuando ad osteggiare il processo di riforma al fine di salvaguardare l’integrità e l’autonomia giuridica della Romania.

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EUROPA putato fare entrare il veleno in aula. REGNO UNITO 28 novembre. Secondo alcune testate giornalistiche inglesi, tra cui il Guardian e il Financial Times, sarebbe stato raggiunto l’accordo sulla cifra che il Regno Unito dovrà pagare per saldare i debiti e uscire definitivamente dall’Unione Europea; secondo le indiscrezioni si tratta di una somma di circa 50 miliardi di euro dilazionata in diversi anni. Sono ancora in corso, invece, le negoziazioni sui diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito. SVIZZERA 28 novembre. A Ginevra, è iniziata l’ottava tornata di negoziazioni tra le rappresentanze del governo siriano e dell’opposizione alla presenza dell’Inviato speciale dell’ONU per la Siria, Staffan De Mistura, per la ricerca di un compromesso che porti al termine la guerra civile in atto.

UNIONE EUROPEA 27 novembre. Il Comitato d’appello dell’Unione Europea ha rinnovato, con il sì della Germania, l’autorizzazione ad utilizzare il glifosato per altri cinque anni. Si tratta di un potente pesticida, al momento il più utilizzato in Europa, che è stato ritenuto “probabilmente cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, di contro il parere dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare che ritiene il prodotto non pericoloso nelle quantità utilizzate. A cura di Claudia Cantone 6 • MSOI the Post

POLONIA, ESTREMA DESTRA SHOCK

Foto degli eurodeputati “traditori” impiccati in piazza

Di Giulia Marzinotto 27 novembre. Bruxelles. “Scriverò alla premier Beata Szydlo per garantire la sicurezza dei membri dell’Europarlamento nell’esprimere le loro opinioni in maniera indipendente, senza minacce, opponendosi a chi diffonde odio esibendo fotografie oltraggiose di politici impiccati”. Il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, si è così espresso via Twitter sull’episodio accaduto lo scorso 25 novembre nella città di Katowice, dove sono state esposte alcune fotografie ritraenti le teste di sei eurodeputati polacchi appese, come impiccate, all’estremità di alcuni bastoni. Il fatto è accaduto durante una manifestazione organizzata dai sostenitori di ONR (Obo’z Narodowo-Radykalny), gruppo cattolico integralista di estrema destra nato negli anni Trenta. I sei deputati, appartenenti partito di opposizione PO (Piattaforma Civica), “colpevoli” di aver votato a favore della risoluzione con la quale il Parlamento UE ammoniva il governo di Varsavia per il mancato rispetto dello stato di diritto, sono stati additati come “traditori” di fronte a una modesta folla.

Il voto in questione, passato con 438 voti a favore, chiedeva l’attivazione del meccanismo preventivo previsto dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede anche la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio UE. L’Europarlamento, allarmato dalla riforma della magistratura polacca, ha invitato il Paese a non procedere con le nuove leggi sul sistema giudiziario. I sei eurodeputati avevano allora incontrato la disapprovazione dalla premier Beata Szydło, esponente del partito di destra Diritto e Giustizia, che nelle ore successive alle dichiarazioni di Tajani ha condannato “ogni tipo di aggressione e intolleranza”, precisando che “tutti gli eurodeputati sono al sicuro in Polonia”. L’episodio, arrivato ad appena due settimane dalla manifestazione nazionalista di Varsavia che ha contato 60.000 presenze nel giorno del 90° anniversario dell’indipendenza polacca, riporta il Paese sotto la lente delle istituzioni comunitarie e della Commissione Europea in particolare, che ha già avviato una procedura di infrazione nei suoi confronti proprio per la nuova legislazione sui tribunali ordinari.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 29 novembre. Dopo l’ultimo test balistico da parte della Corea del Nord, Trump ha dichiarato che nuove sanzioni sono in fase di studio e che, questa volta, saranno “davvero pesanti”. La decisione è arrivata dopo essersi consultato anche con la controparte cinese Xi Jinping. Sebbene il presidente statunitense non abbia rivelato in che cosa consisteranno queste ulteriori misure sanzionatorie, Rex Tillerson, il segretario di Stato, ha fatto intendere, nel corso di una conferenza stampa, che saranno soprattutto azioni di tipo finanziario.

29 novembre. Non si fermano le indagini per le presunte influenze di Mosca nelle ultime elezioni. Secondo quanto riporta la CNN, Jared Kushner sarebbe stato interrogato all’inizio del mese dal procuratore Robert Muller. Oggetto dell’audizione sarebbero stati i legami fra il genero di Trump e Michael Flynn. A seguito di queste rivelazioni l’avvocato di Kushner ha fatto sapere che il suo assistito si era presentato volontariamente. 30 novembre. Dopo che il 29 novembre il Senato ha votato in senso affermativo, oggi è atteso l’inizio della discussione della nuova legge fiscale a firma repubblicana. Secondo le parole di Michael Enzi, repubblicano e Presidente del Budget Committee, questa nuova manovra “aiuterà a rilanciare l’economia americana, creando nuovi posti

BLACK FRIDAY E ARMI

La giornata dei super sconti negli Stati Uniti coinvolge anche gli armamenti

Di Leonardo Veneziani Il venerdì che segue il Ringraziamento è un giorno molto importante negli Stati Uniti d’America: si tratta del famoso Black Friday. Solitamente, durante tale giornata, tutte le categorie di negozi applicano sconti fuori dall’ordinario sui loro prodotti: calzature, abbigliamento, elettronica, utensili per casa. Tra questi, tuttavia, vi sono anche le armi da fuoco. Seppur non siano ancora stati analizzati e rilasciati i dati delle vendite delle armi da fuoco di quest’anno, il numero dei controlli di background sono già un record. L’FBI ha infatti dichiarato di aver ricevuto più di 200.000 richieste di controlli su clienti che hanno comprato armi da fuoco durante il Black Friday. Dal 2015, ogni anno sono stati raggiunti nuovi record di vendite rispetto a quello precedente e, conseguentemente, è aumentato anche il numero dei controlli. L’FBI ha il compito di verificare, sia tramite l’FBI National Instant Criminal Background Check (NICS) sia per mezzo di controlli incrociati, che coloro che comprano armi da fuoco e pistole non soffrano di problemi mentali o che, in generale, non possano fare cattivo uso delle armi acquistate.

La notizia arriva in un periodo in cui il dibattito pubblico sul possesso di armi da fuoco è molto acceso. Recentemente, negli Stati Uniti la frequenza delle sparatorie in luoghi pubblici è drammaticamente aumentata. La strage nella città di Orlando (50 morti e 53 feriti) è stata seguita da quella di Las Vegas del 1° ottobre 2017 (59 morti e 441 feriti), fino ad arrivare alla più recente, avvenuta in una chiesa a Sutherland Springs, in Texas, nel 5 novembre scorso (27 morti e 20 feriti). In particolare, in seguito a quest’ultima sparatoria, che risulterebbe essere stata compiuta da un ex aviatore, l’Attorney General Jeff Sessions ha ordinato una revisione del sistema dell’FBI. Ciò che preoccupa maggiormente di quest’ultimo caso è il fatto che nonostante il ritiro della licenza per il possesso di armi da fuoco, l’ex militare sia riuscito comunque ad acquistare ulteriori armi da venditori legali. Secondo l’analisi del Dipartimento di Giustizia, diretto da Sessions, a causa della carenza di una comunicazione efficace tra le forze dell’ordine, l’FBI e l’ATF (Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives), si crea una falla nel sistema che permette a soggetti pericolosi di acquistare armi da fuoco pur essendo stati privati della licenza.

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NORD AMERICA di lavoro e lasciando molti più soldi nelle buste paga dei lavoratori”. Contrari i democratici che sostengono che si tratterebbe, come sostiene Ron Wyden a capo del Finance Committee, “di un assegno in bianco per le multinazionali e l’ennesimo taglio alle entrate dei lavoratori”.

LA VITTORIA DELLE MINORANZE

Le elezioni negli U.S. hanno registrato esiti sorprendenti

Di Lorenzo Bazzano

CANADA 27 novembre. Il primo ministro Trudeau ha rivolto, durante un discorso ufficiale, le scuse dello Stato canadese per decenni di politiche di emarginazione e di leggi che, anche solo indirettamente, hanno colpito la comunità LGBT. 28 novembre. Si è aperto un forte dibattito all’interno della House of Commons fra il partito di governo del premier Trudeau e il partito conservatore di Andrew Scheer. Il leader dell’opposizione si è opposto al piano di riabilitare gli ex militanti del sedicente Stato Islamico che fanno ritorno in patria. Il Canada Centre for Community Engagement and Prevention of Violence rappresenta, infatti, il tentativo del partito liberale canadese di recuperare quelle persone che hanno combattuto ma vogliono tornare alla loro vita precedente. L’accusa mossa alla minoranza dal premier è di voler esclusivamente “diffondere la paura e non cercare una soluzione”. A cura di Alessandro Dalpasso 8 • MSOI the Post

Le ultime elezioni nazionali e locali tenutesi negli Stati Uniti hanno visto l’affermarsi nello scenario istituzionale di politici neri, transgender e ispanici, oltre che di attivisti LGBT. Il dato che colpisce maggiormente è che questi risultati sono arrivati soprattutto nelle zone rurali del Sud del Paese, un’area storicamente intollerante e conservatrice, nonché culla dello schiavismo, della segregazione razziale e della Guerra civile. Come riporta Internazionale, infatti, una cittadina di origini ispaniche è diventata sindaca di Topeka, in Kansas; un cittadino afroamericano e transgender è stato eletto nel consiglio municipale di Minneapolis; mentre Hoboken, in New Jersey, ha eletto un sindaco di origini sikh. Ma la sorprendente rivincita dei politici appartenenti a minoranze non si è fermata agli appena citati casi. Infatti, si è registrata anche l’affermazione di sindaci afroamericani in Stati quali Louisiana, Alabama e Mississippi. Il 18 novembre, LaToya Cantrell è stata la prima donna ad essere eletta sindaca di New Orleans. A Birmingham, in Alabama, città che sta vivendo un drammatico declino economico e demografico, e in cui l’integrazione interraziale è ancora difficile, Randall Wood, un afroamericano di 36 anni, è diventato sindaco ottenendo il consenso di giovani, neri,

ispanici, donne e degli strati più poveri della città. Merita di essere citato, infine, Chokwe Antar Lumumba, un afroamericano di 34 anni che a luglio è diventato il sindaco di Jackson, capitale del Mississippi. Il neo-eletto sindaco, in un’intervista rilasciata al Guardian, si è autodefinito un rivoluzionario e si è detto contrario ai monumenti che celebrano i generali segregazionisti. Lumumba è, in effetti, figlio di un ex militante della Republic of New Africa, un movimento di nazionalisti neri che voleva costituire uno Stato indipendente a maggioranza afroamericana nel Sud-est del Paese. Internazionale evidenzia ancora come queste vittorie nascano da un radicalismo che si è sedimentato in aree tradizionalmente dominate dai bianchi, e sottolinea che il messaggio che vogliono lanciare non si rivolge tanto ai Repubblicani, quanto ai Democratici, accusati di aver perso di vista i problemi che affliggono le comunità nere in tutto il Paese – dalla carenza di infrastrutture ai contrasti con la polizia. Bisogna anche evidenziare che questi risultati elettorali si pongono in netta controtendenza sia rispetto alle dinamiche della politica interna statunitense, sia di quella politica europea, dove si affermano sempre di più partiti intolleranti nelle aree più povere dei rispettivi Paesi.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

ARABIA SAUDITA 29 novembre. Rilasciato su cauzione il principe saudita Miteb bin Abdullah (ex capo della Guardia Nazionale): è stato detenuto per più di 20 giorni in seguito alla riforma anti-corruzione attuata dal principe ereditario Mohammed bin Salman, che ha visto coinvolti diversi alti funzionari dello Stato saudita.

EGITTO 24 novembre. Attentato congiunto di un kamikaze e diversi uomini armati che hanno sparato sulla folla in una moschea di fedeli sufi riuniti in preghiera a Bir al-Abd, nella regione del Nord Sinai: si contano da subito più di 230 vittime. 25 novembre. È salito a 305 il bilancio dei morti dell’attentato (tra cui 27 bambini) e a 128 quello dei feriti. Reazione immediata del governo egiziano: 15 dei venti presunti terroristi sono già stati uccisi dai bombardamenti dei droni dell’esercito. 29 novembre. Il presidente egiziano al Sisi è tornato sull’attentato del 24 novembre scorso, la strage con più perdite nella storia recente della nazione, promettendo “una reazione brutale” contro i presunti terroristi del braccio armato di Daesh in

IRAN: LA DIFESA CHE UCCIDE

Donne condannate per essere state vittime di stupro

Di Maria Francesca Bottura Reyaneh Jabbari aveva 19 anni quando un impiegato del Ministero dell’Intelligence iraniana tentò di stuprarla. Quello stesso anno venne accusata e giudicata colpevole del suo omicidio, avvenuto nel tentativo di difendersi. Atefhe Rajabi aveva 16 anni quando conobbe l’uomo, un tassista sposato con figli, che la stuprò. Pochi mesi dopo venne impiccata per atti incompatibili con la castità. Zeinab Sekaanvand sposò il suo stupratore quando aveva 15 anni. Due anni dopo venne accusata della sua uccisione. In Iran, se vieni stuprata e uccidi per legittima difesa, sei colpevole di omicidio; se vieni stuprata e non reagisci sei comunque colpevole di crimini contro la castità. Entrambe le fattispecie prevedono come pena esecuzioni tramite “lapidazione” o “impiccagione in pubblica piazza o in privato”. Le storie di Reyhaneh, Atefhe e Zeinab sono solo tre di molte altre storie simili che da lungo tempo si consumano tra aule di tribunali e prigioni. Per alcune di queste donne gli appelli delle organizzazioni internazionali, come Amnesty International, hanno fatto la

differenza, salvando loro la vita. Per altre sono stati inutili. La storia di Atefah è forse la più conosciuta, grazie al documentario della BBC intitolato “Execution of a Teenage Girl” del 2006, che riprende il caso evidenziando le incongruenze nella gestione mediatica, ovvero il fatto che i giornali statali scrissero che l’accusa fosse di adulterio, quando non era mai stata sposata, o che la ragazza avesse 22 anni, quando in realtà ne aveva solo 16. Un altro punto in comune tra queste storie è la difesa: nessuna di queste ragazze, come molte altre donne in situazioni simili, ha mai avuto assistenza legale durante gli interrogatori. Le confessioni poi, secondo le testimonianze delle stesse condannate, venivano loro estorte tramite tortura. Da ammirare è però il loro coraggio: nessuna ha mai smentito l’accusa di stupro, nonostante, come nel caso di Reyhaneh, questo gesto avrebbe potuto alleviare la loro pena. Donne alle quali è stato negato il diritto alla difesa e che sono state schiacciate dalla legge, ma che non si sono mai arrese. Nell’ultima lettera a sua madre, Reyhaneh scrisse: “[…] nell’altro mondo siamo io e te gli accusatori e loro sono gli imputati […]”. MSOI the Post • 9


MEDIO ORIENTE Egitto: nel tempo di tre mesi la penisola del Sinai verrà messa in sicurezza dall’esercito, che ha già ucciso 45 miliziani.

SCHIAVITÙ E DIPLOMAZIA

Il volto disumano della politica internazionale

Jean-Marie Reure

LIBANO 27 novembre. Il presidente Michel Aoun, dopo aver pubblicamente richiesto la sospensione delle dimissioni al primo ministro Hariri, ha dato il via alle consultazioni con le forze politiche libanesi: sicurezza interna e presa di distanza dai conflitti interni al Medio Oriente sono le priorità. QATAR 28 novembre. Firmato un memorandum di intesa tra Doha, Teheran e Ankaran che ha come obiettivo il supporto commerciale tra i tre Paesi per contrastare l’isolamento (anche diplomatico) del Qatar da parte del blocco sunnita formato da Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Yemen. SIRIA 27 novembre. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani, almeno 53 persone (per la maggior parte civili) avrebbero perso la vita presso al Shafah a causa di bombardamenti, smentiti da Mosca, delle forze governative e russe. A cura di Lorenzo Gilardetti 10 • MSOI the Post

Martedì 28 novembre, presso la sede di New York, si è tenuta una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo il tema a del traffico di uomini in Libi . Circa due settimane fa, la reporter Nina Elbagir della CNN ha portato alla luce le terribili condizioni nelle quali vivono in Libia i numerosi migranti dell’Africa sub-sahariana. A fare notizia, tuttavia, per dovere di cronaca, non sono tanto le condizioni nelle quali versavano questi esseri umani, quanto più il fatto che venissero venduti pubblicamente in un moderno mercato degli schiavi. E a cielo aperto. Un video mostra alcuni uomini “venduti all’asta” a prezzi differenti a seconda della loro prestanza fisica. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato di essere “orripilato” davanti a questo fatto, in quanto la “schiavitù non ha posto nel nostro mondo, queste azioni si configurano come alcune tra i più lampanti abusi dei diritti umani e potrebbero considerarsi come crimini contro l’umanità”. Egli ha poi fatto appello agli Stati membri del Consiglio affinché fosse adottata la Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato e la Convenzione contro la Tratta

degli Esseri Umani. Ma come si è conclusa la sessione straordinaria richiesta a gran voce dal governo francese? Nessuna risoluzione è stata adottata. Si trattava però, secondo i diplomatici francesi, di utilizzare “tutti i mezzi legali a disposizione per intraprendere un azione decisiva” e per le due agenzie presenti, UNHCR e l’IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), di dare il via a un’“importante operazione”. L’ONU chiede infatti una cooperazione attiva al fine di chiudere i centri di detenzione dei migranti presenti sulle coste libiche. Il fatto è che quei centri sono in buona parte frutto dell’opera diplomatica del governo italiano e dell’UE, che lo scorso agosto hanno concluso un accordo con lo stesso governo che dovrebbe gestire quei centri, proprio per rafforzare il controllo delle frontiere. Il ministro dell’Interno Minniti, in risposta alla richiesta di chiarimenti in merito all’accordo stretto con la Libia di Nils Muiznieks, commissario europeo dei Diritti Umani, dichiarava: “Sui diritti umani non abbiamo nulla da rimproverarci” e indicava come compiti per l’Italia “aiutare la guardia costiera libica a intercettare, rinviare e incarcerare i migranti”.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

ALBANIA 27 novembre. Il presidente Meta visita la regione serba di Medvedja, territorio ad alto tasso di popolazione di etnia albanese. La finalità del viaggio andrebbe rintracciata nella volontà di aprire una nuova fase nei rapporti tra i due Paesi, come lo stesso Meta ha dichiarato. MACEDONIA 28 novembre. Con l’accusa di “minaccia terroristica all’ordine costituzione e alla sicurezza”, vengono arrestate dalla polizia macedone una trentina di persone per l’assalto al Parlamento di Skopje. In manette anche l’ex ministro dell’interno Chavkov, cui si imputa di non aver adottato misure adeguate a contenere i manifestanti. POLONIA 26 novembre. L’estrema destra polacca,nel corso della manifestazione di sabato scorso a Katowice, ha esibito foto di eurodeputati sulle forche, “rei” di aver votato a favore di una risoluzione con cui il Parlamento europeo denunciava il mancato rispetto dello stato di diritto in Polonia. ROMANIA 28 novembre. La riforma della giustizia avanzata dal governo romeno preoccupa il Dipartimento di Stato americano che esorta Bucarest a rifiutare la

INCONTRO A SOCHI TRA PUTIN E AL-ASSAD

Il Presidente russo si impegna a svolgere un ruolo di mediazione nella ricostruzione della Siria

Di Amedeo Amoretti Lunedì 20 novembre 2017, il presidente russo Vladimir Putin e il presidente siriano Bashar al-Assad si sono incontrati a Sochi, senza anticipare pubblicamente l’avvenimento. Il punto focale del meeting è stata l’elaborazione di una soluzione per la ricostruzione politica dello stato siriano. L’ingresso della Federazione Russa nello scenario della guerra civile siriana, al fianco di Assad e dell’Iran, risale all’ottobre 2015. Dalla presa di Aleppo, il 22 dicembre 2016, la Siria ha iniziato a riconquistare gran parte del proprio territorio, annunciando, recentemente, la “vittoria” su Daesh e l’avvio di negoziazioni post conflitto. “Contiamo sul sostegno della Russia per impedire ad attori esterni di interferire nel processo politico”, ha affermato Assad, appoggiando l’impegno di Putin e ringraziandolo per averlo aiutato a mantenere la sovranità sul proprio territorio. Il presidente russo ha di seguito contattato Donald Trump per riferire che Assad rispetterà le elezioni parlamentari e presidenziali e le riforme costituzionali, una volta che la guerra sarà ufficialmente conclusa. Contatti con l’Arabia Saudita, Israele ed Egitto sono stati avviati legittimando la posizione russa di

attore principale della regione. Mercoledì 22 novembre, a Sochi, Putin ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente iraniano Hassan Rouhani per organizzare la fase di ricostruzione infrastrutturale, attraverso l’edificazione di scuole e ospedali. Il grande impegno russo nella causa sta, contemporaneamente, legittimando la posizione di Assad come presidente, nonostante l’opposizione al regime si sia incontrata a Riyadh per elaborare una posizione comune. Secondo la BBC, invece, i progetti russi per una futura Siria sono ancora poco chiari e incompleti, tali per cui le misure finora adottate sono state solo provvisorie e di breve durata. Ciò, però, non sembra coincidere con l’annuncio trilaterale, definito mercoledì a Sochi, di una conferenza volta al raggiungimento di una pace duratura. Il progetto è ancora in via di elaborazione e non si conoscono molti dettagli sui possibili partecipanti, ma dimostra la sempre maggior influenza russa sul territorio. Dopo quarant’anni, infatti, la Federazione Russa torna a svolgere un ruolo chiave nella diplomazia in Medio Oriente. MSOI the Post • 11


RUSSIA E BALCANI proposta che indebolisce lo stato di diritto. Tra i punti criticati vi è la possibilità, prevista dalla riforma, di attribuire al ministro della Giustizia il potere di nominare il procuratore generale della Repubblica. Dura la replica del Parlamento romeno a tale monito, che accusa il Dipartimento di Stato USA di compiere pressioni esterne incostituzionali sul dibattito parlamentare. RUSSIA 29 novembre. I presidenti delle Commissioni per la legislazione della Duma e del Senato russo, Pavel Krasheninnikov e Andrei Klishas, hanno presentato un progetto di legge che stabilisce le sanzioni per le violazioni della nuova legge sui media stranieri appena resa operativa dalla firma del presidente Putin. Il nuovo regolamento prevedrebbe “multe molto salate” per le persone fisiche e per le persone giuridiche, arrivando al carcere per coloro che dovessero rendersi direttamente responsabili di non comunicare i dati e i documenti richiesti al ministero competente. UCRAINA 24 novembre. Nel corso del quinto vertice biennale del partenariato orientale fra Unione Europea e Paesi dell’Europa dell’Est e del Caucaso, l’Europa è apparsa protesa, da una parte, a sostenere Kiev nella questione del Donbass, dall’altra, a non inimicarsi Mosca. L’Ucraina – a detta del presidente della Commissione Europea Juncker – non può celarsi dietro le difficoltà del conflitto con i separatisti filo russi per rallentare le riforme che l’Europa gli richiede e che sono indispensabili per promuovere un reale partenariato fra i Paesi sovrani dell’Europa orientale. A cura di Ilaria di Donato 12 • MSOI the Post

GLI STATI UNITI AGISCONO E LA RUSSIA RISPONDE Dopo la guerra delle ambasciate e del gas, ecco la guerra dei media

Di Davide Bonapersona La settimana scorsa, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il decreto che rende operativa la legge approvata dal Parlamento russo che permette di bollare come “agenti stranieri” i media che operano in Russia, ma che ricevono finanziamento dall’estero. Questa legge rappresenta la risposta russa alla decisione del Dipartimento di Giustizia americano, presa il 13 novembre scorso sulla base del “Foreign Agents Registration Act”, che ha imposto alle testate russe RT e Sputnik di registrarsi come agenti stranieri. I media che saranno colpiti dal provvedimento non sono espressamente indicati: spetterà infatti al Ministero di Giustizia russo individuarli. Vengono segnalati come probabili bersagli: Voice of America e Radio Liberty, oltre che il servizio russo della BBC, della CCN e Deutsche Welle. Inoltre, stando a quanto dichiarato dal portavoce del ministero degli esteri Maria Zakharova, la nuova legge potrebbe avere un risvolto preventivo nei confronti anche di altri media europei. Com’era prevedibile questo provvedimento ha reso più teso il clima non solo nelle relazioni tra Russia e USA, ma anche nell’ambito dei media internazionali. Thomas Kent, presiden-

te di RFE/RL, ha commentato: “Non possiamo immaginare al momento gli effetti della nuova legge, dato che nessun organo di stampa è stato specificamente indicato come agente straniero […]. Restiamo impegnati a continuare il nostro lavoro giornalistico, col compito di fornire notizie accurate e oggettive alla nostra audience di lingua russa”. Più adirati, invece, i toni di John Lansing (capo dell’US Broadcasting Board of Governors), il quale ha dichiarato che: “definire reciprocità per le azioni americane, distorce la realtà”, infatti, continua Lansing: “i media russi sono liberi di operare negli Stati Uniti e possono essere diffusi via tv e radio, al contrario i media internazionali americani sono banditi dalla tv e dalla radio in Russia”. Infine, parole di preoccupazione sono state espresse sia dall’ambasciatore americano a Mosca, Jon Huntsman, sia da Amnesty International. L’ambasciatore, prima ancora della definitiva approvazione della legge, spiegava come il provvedimento rappresentasse una “grande preoccupazione” per gli Stati Uniti. Mentre, dal canto suo, Amnesty International ha parlato di colpo duro alla libertà d’informazione, definendo la misura: “un nuovo passo verso la repressione della libertà di parola in Russia”.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

ELEZIONI SULL’HIMALAYA: I GIGANTI AL CONFINE

Cina e India guardano al Nepal, che torna alle urne dopo 18 anni

COREA DEL NORD 27 novembre. Nuovo lancio missilistico effettuato da Pyongyang. Il presidente Kim ha annunciato che il test si è concluso con successo. I due missili hanno sorvolato l’isola di Hokkaido provocando grande preoccupazione. Gli Stati Uniti si sono dichiarati pronti a occuparsi della questione nordcoreana; Giappone e Corea del Sud chiedono una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza.

FILIPPINE 30 novembre. Scontri a fuoco tra militari e ribelli. Quindici membri del partito comunista sono morti sotto il fuoco dell’esercito di Manila; gli scontri sono iniziati dopo che il governo ha sospeso le trattative con i ribelli comunisti. Il presidente Rodrigo Duterte continua a perpetrare il suo regime di violenza forte della legge marziale a Mindanao. Tra il governo e i militanti comunisti si alternano dagli anni sessanta momenti di violenza armata e colloqui di pace.

Di Emanuele Chieppa Domenica 26 novembre, nella Repubblica Federale Democratica del Nepal, si è tenuto il primo round del processo che porterà all’elezione dei 275 membri della Camera bassa e del Primo Ministro, che sarà indicato dai rappresentanti eletti, in base alla maggioranza dei voti ricevuti. Il Nepal sperimenterà per la prima volta il federalismo, dopo essere stato per anni soggetto a un potere centralizzato. Dopo la fine della monarchia, avvenuta nel 2008 sotto la spinta delle proteste pro-democrazia, si sono succedute due assemblee costituenti. Secondo la Costituzione approvata nel 2015, le elezioni sono divise in due fasi. La seconda si svolgerà il 7 dicembre 2017. Si tratta della prima votazione dopo più di 18 anni. Nel 1999 il Nepal è stato colpito da una crisi profonda e da una guerra civile, che, solo nel 2006, si è potuta risolvere in una pace duratura grazie all’accordo tra il primo ministro Koirala e il leader maoista Prachanda. Le vicine potenze di Cina ed India, guardano agli sviluppi elettorali con particolare interesse. Il Congresso nepalese è storicamente stato vicino all’India, primo esportatore in Nepal, ma i rapporti tra i due Paesi sono entrati in crisi nel 2015. Con le proteste della minoranza

madhesi, popolo del Teral dal lignaggio indiano, contro la nuova Costituzione, l’India decise di interrompere il traffico transfrontaliero. Secondo alcuni, Nuova Delhi avrebbe inoltre così voluto lanciare un messaggio al governo di Kathmandu, a fronte dell’accresciuto traffico di armi con la Cina. Il Nepal, però, in quel difficile momento storico, cercava di riprendersi dal catastrofico terremoto del 25 aprile 2015. La dura presa di posizione del governo Modi si è quindi tradotta in ulteriori travagli per la popolazione nepalese, e non ha certo giovato sul fronte della diplomazia. All’epoca, Pechino aveva invece sostenuto l’amministrazione nepalese con degli aiuti. Inoltre, nel 2007, la Cina ha autorizzato la costruzione di una ferrovia tra Lhasa e Tatopani. Nel 2015, i due Paesi hanno anche stretto un accordo commerciale per la realizzazione di un impianto idroelettrico, da cui Kathmandu si è però ritirata il 14 novembre. Il Nepal ha, infine, un ruolo importante nell’affermazione di una maggior influenza e controllo regionale per la Cina di Xi Jinping, soprattutto per quel che riguarda il “sogno cinese” della nuova Via della Seta. Il risultato elettorale potrà avere, quindi, un ruolo decisivo nel decidere la direzione dello sviluppo nepalese e di coloro che saranno i suoi alleati. MSOI the Post • 13


ORIENTE GIAPPONE 28 novembre. Continuano le discussioni riguardo alla successione imperiale. L’abdicazione di Akihito, annunciata lo scorso anno, sta mettendo in difficoltà il governo di Tokyo, che si trova a fronteggiare questa particolare circostanza senza avere regole precise da seguire. L’ultima rinuncia al trono in Giappone risale a due secoli fa: contesto e leggi erano certamente molto diversi. La data dell’abdicazione è stata fissata dal Consiglio della Corona per il 30 aprile 2019.

MYANMAR 28 novembre. Visita del Papa in Birmania. Durante l’incontro con la leader Aung Suu Kyi, il pontefice ha preferito non esprimersi sulla tragedia dei Rohingya. Francesco ha semplicemente sottolineato l’importanza del rispetto per tutte le etnie. Intanto, l’Università di Oxford ha revocato il premio “Freedom of the City”, accusando San Suu Kyi di aver ignorato consapevolmente le barbarie compiute dall’esercito contro la minoranza. PAKISTAN 26 novembre. Violenti scontri tra estremisti religiosi e forze di sicurezza. Islamabad è stata assediata da circa duemila esponenti di un gruppo fondamentalista che chiedeva l’allontanamento di un Ministro accusato di blasfemia. Gli scontri con la polizia hanno causato centinaia di feriti e probabilmente alcune casualità, che, per ora, le istituzioni hanno negato. A cura di Tiziano Traversa 14 • MSOI the Post

CAMBIAMENTO O STATICITÀ?

L’ASEAN a confronto con la crisi umanitaria dei Rohingya

Di Carolina Quaranta Il 24 novembre, in un’intervista per la testata birmana Mizzima sulla crisi umanitaria dei rohingya di Rakhine, il ministro degli Esteri singaporiano Balakrishnan ha detto: “tutti gli Stati membri dell’ASEAN sono pronti ad aiutare, ma dobbiamo aiutare in un modo che risponda ai principi dell’ASEAN di non-interferenza negli affari domestici”. L’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN) è un’organizzazione intergovernativa che unisce 10 Paesi dell’Indocina continentale e insulare, per favorire la cooperazione internazionale. Lo scorso settembre una dichiarazione infelice dell’Associazione ha suscitato l’indignazione del governo malese: rilasciata da Alan Peter Cayetano, segretario agli Affari Esteri Filippino, la stessa liquidava la crisi dello Stato di Rakhine come “Un complesso problema intestino, dalle radici storiche profonde”. Il giorno stesso, Kuala Lumpur ha pubblicamente contestato la dichiarazione, sottraendole quell’aura di legittimità che nell’ASEAN deriva solo dal consenso di tutti i Paesi membri. Sembra, infatti, che il Ministro degli Esteri malese si fosse subito dissociato dalla possibile formulazione, per il fatto che mancasse di menzionare in alcun modo la comunità rohingya, o la reazione sproporzio-

nata dell’esercito birmano agli attacchi del 25 agosto. Oggi l’ASEAN non riesce a rispondere alla crisi umanitaria che sta sconvolgendo Rakhine e che straripa nelle regioni limitrofe. C’è chi ha parlato a proposito di una “cultura dell’inerzia”, che dà priorità al procrastinare. La stessa Aung San Suu Kyi, leader di fatto del governo birmano, nel 1999 aveva criticato la politica di non-interferenza dell’ASEAN come “una scusa per non aiutare il Myanmar”. Oggi, però, il premio Nobel sembra aver cambiato opinione. Basti pensare alla recente risposta alla dichiarazione di condanna per la gestione della crisi di Rakhine da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a cui Naypyidaw ha risposto lodando il rappresentante cinese, che ha ricordato il principio di non-interferenza. L’ASEAN, dagli anni ‘90, ha cercato di dissipare le immagini che le sono state attribuite: un algido “club di dittatori” prima, un’istituzione di facciata poi. L’implementazione dello stato di diritto e la tutela dei diritti umani sembra sempre però arenarsi e tornare indietro nel tempo. Come emerge anche da un report recentemente pubblicato dalla Solidarity for Asian People’s Advocacy Task Force, questa missione dell’ASEAN resta irrealizzata e persa nella selva della retorica.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

EMMERSON MNANGAGWA E IL FUTURO DELLO ZIMBABWE Chi è l’uomo che gestisce la transizione post-Mugabe

ETIOPIA 27 novembre. Si contano più di 20 morti dopo l’ultimo scontro tra i gruppi etnici Oromos e Somali, nell’est del Paese. Il portavoce del Governo, Nigeri Lenco, riporta che sono stati effettuati 98 arresti nello Stato di Oromia e 5 nel Somali. Motivi principali del conflitto, che si protrae da circa 20 anni, sono la delimitazione del confine tra i due Stati regionali e il controllo dei i traffici illecit di Khat, una sostanza stimolante usata dagli abitanti locali per alleviare la fatica, ma anche esportata ed assunta a scopi ricreativi. Inefficaci si sono rivelati i tentativi dello Stato centrale di nazionalizzare la produzione e il commercio del Khat, nonché l’indizione, nel 2004, di un referendum per la fissazione democratica dei confini. MALI 27 novembre. Il ministro dell’amministrazione territoriale Tieman Hubert Coulibaly ha annunciato il rinvio delle elezioni ad aprile a seguito degli ultimi due attacchi sferrati dal gruppo armato Nusrat al-Islam wal Muslimeen, collegato ad al Qaeda. Le aggressioni si sono tenute nella regione occidentale confinante con il Niger, dove dal 2013 è presente la missione di pace MINUSMA, e hanno causato 5 vittime e 21 feriti tra soldati maliani e peacekeepers delle Nazioni Unite. NIGERIA 25 novembre. Boko Haram ha colpito una postazione militare

Di Barbara Polin Harare, 28 novembre 2017. Da quattro giorni il governo dello Zimbabwe ha un nuovo Presidente, dopo 37 anni di ininterrotta presidenza Mugabe. A seguito di quello che è stato definito un golpe di velluto, infatti, si è insediato il governo Mnangagwa. Emmerson Mnangagwa non è un volto nuovo nel panorama politico zimbabwese. Prima che Mugabe lo licenziasse da vice-Presidente a inizio novembre, Mnangagwa è stato suo fedele alleato. La sua carriera iniziò negli anni del conflitto anti-coloniale contro il governo della Rhodesia ed il neoeletto Presidente, infatti, è ricordato come eroe di guerra. Il sodalizio militare si era poi trasformato in un riconoscimento istituzionale nel 1980, anno dell’indipendenza dello Zimbabwe, con la nomina di Mnangagwa a Ministro della Sicurezza e capo dei servizi di intelligence. Nel periodo in cui fu a capo di tale dicastero, migliaia di civili di etnia bantu furono massacrati dall’esercito zimbabwese nel corso della guerra civile che seguì l’indipendenza di Harare. Per i commentatori nazionali e non, l’inerzia di Mnangagwa di fronte alla violenza settaria di una parte delle forze armate rappresenta tutt’oggi un trascorso che getta om-

bre scure sulla nuova speranza del popolo zimbabwese, che oggi festeggia Mnangagwa con il suo nome di battaglia: “Crocodile”. La lealtà trentennale di Mnangagwa verso Mugabe non ha vacillato nemmeno di fronte alla crisi economica che ha impoverito lo Zimbabwe, ma si è spezzata di fronte all’accondiscendenza dell’ex Presidente riguardo le ambizioni politiche di sua moglie, Grace Mugabe, già Presidente dell’ala femminile del partito di governo, lo ZANU-PF, dal 2014. La scalata politica della consorte dell’ex leader sarebbe dovuta avanzare con la nomina a vice-Presidente, avvenuta a inizio mese, ma la reazione di Mnangagwa e quella delle forze armate a lui fedeli ha bloccato non solo i progetti di Grace Mugabe, ma ha anche del suo protettore e padre politico. Mnangagwa, a pochi giorni dalla sua nomina, ha promesso un’apertura politica ed economica dello Zimbabwe. Da una parte, ha garantito come prossimo lo svolgimento di libere elezioni, dall’altra, ha annunciato la stesura di un piano per rilanciare l’economia, in crisi dal 2009. La rinascita dello Zimbabwe sarà, dunque, determinata alle future decisioni di Mnangagwa, Presidente dopo 37 anni di fedele alleanza con il potere costituito. MSOI the Post • 15


AFRICA nella città di Magumeri, a nord-est del Paese, uccidendo tre soldati e ferendone altri 6. L’ottava Task force division riporta che l’assalto, tempestivamente bloccato, era volto ad ottenere il libero accesso alla città.

MACRON IN BURKINA FASO

Il Presidente francese inverte la rotta e parte dall’Università

Di Chiara Zaghi

REPUBBLICA CENTRAFRICANA 27 novembre. Si indaga per un attacco subito da un convoglio ONU che operava per la missione di pace MINUSCA, in cui è rimasto ucciso un peacekeeper e altri tre sono feriti. L’invito a fare chiarezza sulla vicenda è giunto dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ricorda che attacchi di questo genere possono costituire un crimine di guerra. SOMALIA 27 novembre. Un raid aereo degli Stati Uniti ha ucciso un combattente dell’ISIS. Il Comando militare americano in africa precisa che si tratta di un attacco organizzato ed eseguito in collaborazione con il governo somalo. Secondo il Washington Post, gli USA stanno concentrando le loro operazioni di lotta al terrorismo nei confronti delle piccole cellule estremistiche che, staccatesi da al Qaeda, si stanno organizzando in gruppi vicini al sedicente Stato Islamico. A cura di Federica De Lollis

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Emmanuel Macron, lunedì 28 novembre, è arrivato in Burkina Faso, a Ougadougou, prima tappa della visita ufficiale nel continente africano. Il viaggio si è concluso in Ghana, successivamente alla partecipazione del Presidente francese al summit tra l’Unione Europea e l’Unione Africana in Costa D’Avorio. La venuta di Macron è stata preceduta da disordini e manifestazioni nel Paese. Un convoglio militare francese diretto verso Kamboinsé, base delle forze speciali presenti sul territorio in sostegno della lotta al terrorismo, è stato attaccato da una granata che ha causato tre feriti tra i civili. Inoltre, in alcune zone della città sono comparse scritte di protesta contro le politiche francesi, accusando la Francia di volersi imbarcare in un nuova forma di imperialismo. Il Presidente francese ha deciso, accompagnato dal presidente burkinabè Kaboré, di iniziare il suo tour in Africa pronunciando un discorso ad 800 studenti dell’Università di Ougadougou. Una decisione che sembra essere significativa in relazione alle proposte e alle politiche che la Francia vuole perseguire nel continente. Macron ha esortato, presentandosi come un Presidente vicino agli studenti: “sono di una gene-

razione che non ha conosciuto l’Africa colonizzata, che ha tra i suoi migliori riferimenti politici Nelson Mandela, sono di una generazione che non viene a dire all’Africa cosa deve fare”. Il Presidente ha dunque presentato agli studenti le opportunità di formazione, di scambi universitari e di imprenditoria. L’obiettivo di Macron è di voltare pagina rispetto alle politiche post-coloniali che la Francia ha intrapreso in Africa in passato e ha intenzione di farlo con il sostegno e il coinvolgimento dell’Unione Europea, in linea con la politica interna del Presidente. La Francia continua comunque a essere presente in Africa, con le proprie basi militari, che svolgono operazioni di sostegno ai governi locali e con una fitta rete di investimenti economici. La visita ufficiale è servita, infine, anche a smorzare le tensioni tra i due Paesi. Durante lo scorso G20 Macron era stato critico nei confronti dell’alta crescita demografica degli stati africani, che avrebbe costretto le donne a casa, impedendogli di lavorare. Inoltre, il Capo di Stato europeo ha affermato che il suo Governo fornirà tutti i documenti riguardanti il golpe del politico Blaise Campaoré, avvenuto nel 1987, al Burkina Faso, che da tempo taccia i francesi di avervi contribuito.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 28 novembre. Svelata la causa della scomparsa dell’ARA San Juan, il sommergibile militare argentino, avvenuta il 15 novembre. L’ingresso di acqua nel sistema di ventilazione che emerge in superficie ha causato un corto circuito e un incendio. Era stato comunicato alla Marina due settimane fa, ma fu deciso di tacerlo ai media. Le famiglie dei 55 membri dell’equipaggio perdono così le deboli speranze.

LE ELEZIONI MUNICIPALI DI CUBA

Chiamata al voto per “salvare la Patria e il Socialismo”

Di Sveva Morgigni

BOLIVIA 28 novembre. Il Tribunal Constitucional de Bolivia dichiara l’incostituzionalità di 5 articoli della legge elettorale e di quelli della medesima Costituzione, laddove stabiliscono che le autorità possono essere rielette solo una volta. Contrastano con los derechos politicos, riconosciuti anche da accordi internazionali quali il Pacto de San José, che a questi fini si colloca al di sopra della Costituzione, “por aplicación preferente de la Convención por ser la norma más favorable”. De facto, viene autorizzato il Presidente Evo Morales a presentarsi alle prossime elezioni. BRASILE 28 novembre. Confermata la condanna a Lula. L’ex Presidente aveva fatto ricorso in appello contro la sentenza che gli congelava beni per l’equivalente

Un giorno dopo la commemorazione del primo anniversario della morte di Fidel Castro i cittadini cubani hanno votato i delegati municipali che formeranno le assemblee del Potere Popolare, istituzione parlamentare nazionale. Anche il presidente Raúl Castro ha partecipato al voto insieme agli altri cubani, per la prima tappa che porterà il Paese ad avere un nuovo Presidente, il prossimo 24 febbraio. Il favorito sembra essere l’attuale vicepresidente Miguel Díaz-Canel. Con lui finirà l’epoca dei Castro, alla guida del Paese dal 1959. Nonostante Díaz-Canel non si sia esposto riguardo la sua prevista promozione alla presidenza, ha ribadito l’importanza dello status quo a Cuba: “Oggi votiamo per la rivoluzione, la patria e il socialismo”. La struttura di queste elezioni non consente campagne elettorali e i candidati possono essere membri o meno del Partito Comunista di Cuba, ma le elezioni dei consiglieri comunali si sono aperte con un appello ufficiale per difendere la Patria e dimostrare la continuità del

sistema socialista. “Nessun rivoluzionario e patriota cubano deve perdere l’opportunità di dare un voto alla Patria quando è in pericolo” ha dichiarato Esteban Lazo, presidente del Parlamento nazionale. Questa votazione rappresenta la prima tappa di un nuovo inizio, andando a segnare la fine di un anno intenso per questo Paese. Nel 2017, infatti, i cubani hanno visto il ritorno in varie sfaccettature del conflitto con gli Stati Uniti, soprattutto a causa delle misure adottate dal presidente repubblicano Donald Trump contro il “disgelo”. Inoltre, il principale alleato dell’isola, il Venezuela, ha dovuto affrontare una grave situazione interna che ha riguardato i rapporti commerciali bilaterali. Un altro vecchio alleato, la Corea del Nord, è stato al centro di un allarme che ha risvegliato la paura per una guerra nucleare. Anche nel bel mezzo delle tensioni economiche sull’isola, il passaggio di un uragano, lo scorso settembre, ha determinato il rinvio della data delle elezioni. Resta incerto se le votazioni porteranno il cambiamento o se confermeranno la continuità del sistema socialista.

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SUD AMERICA di 5,3 milioni di dollari statunitensi. Lula, del PT, Partido dos Trabalhadores, era stato condannato a nove anni e mezzo di prigione in quanto coinvolto nella più grande storia di tangenti della storia del Paese (Operação Lava Jato o operazione autolavaggio). L’avvocato dichiara che la decisione del giudice è illegale ed un attentato alla Costituzione. CUBA 27 novembre. Armando Hart è morto a L’Avana a 87 anni. L’ex combattente rivoluzionario è deceduto a causa di un’insufficienza respiratoria. Fu Ministro della Pubblica Istruzione e della Cultura, dirigendo la campagna di alfabetizzazione a Cuba. SAN SALVADOR 29 novembre. La Corte d’appello civile di El Salvador condanna l’ex presidente Mauricio Funes per appropriazione illecita durante il governo 2009-2014. Il processo, iniziato nel Febbraio 2016, si è concluso questo mercoledì. Viene condannato alla restituzione dell’equivalente di 206.660 dollari americani ed all’interdizione dai pubblici uffici per 10 anni. Diego Funes Cañas, il figlio, è stato condannato a restituire una cifra anche maggiore, l’equivalente di 212.484 dollari americani. Mauricio Funes, esponente del FMLN Frente para la Liberación Nacional, si dichiara innocente, accusa pressioni della destra sui tribunali e promette di fare ricorso. Nel frattempo, dal 2016, risiede in Nicaragua dove gode di asilo politico. A cura di Davide Mina

IL CASO LOS ZETAS

Due inchieste in Messico li riportano al centro dell’attenzione

Di Elisa Zamuner Un’inchiesta de El Colegio de México, presentata dai professori universitari Jacobo Dayán e Sergio Aguayo, specializzati in diritto della persona, ha denunciato le attività condotte dall’organizzazione criminale Los Zetas all’interno del carcere di Pedras Negras, nello Stato di Coahuila, tra il 2010 e il 2011. Il documento racconta di come la prigione fosse gestita dalla banda, che determinava totalmente il modus vivendi all’interno del carcere (arrivando anche a decidere della vita dei detenuti) e gestiva i proventi del traffico di droga interno alla prigione. Tutto questo avveniva con il consenso delle guardie carcerarie e degli amministratori della prigione, i quali, secondo le testimonianze di ex detenuti, erano divenuti complici in cambio di tangenti. Secondo Dayán, infatti, “il Governo dello Stato era negligente e alcuni funzionari erano complici”. Nell’inchiesta si parla anche di sovvenzioni statali, volte a favorire le attività a delinquere all’interno della prigione. Ai tempi di queste vicende il governatore in carica dello Stato di Cohauila era Humberto Moreira Valdés, che nel 2016 fu arresta-

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to in Spagna su richiesta degli USA per riciclaggio di denaro e appropriazione indebita; il procuratore anti-corruzione spagnolo avrebbe inoltre indagato proprio sui rapporti tra l’ex Governatore e il gruppo Los Zetas. L’inchiesta, intitolata El Yugo Zeta (“Il giogo Zeta”), è il seguito ideale di un reportage dell’Università del Texas (realizzato in collaborazione con il Centro Diocesano para los Derechos Humanos Fray Juan de Larios) riguardante le attività condotte dal gruppo criminale Los Zetas nello Stato di Coahuila tra il 2007 e il 2013. Queste, è emerso, sarebbero strettame nte collegate con l’operato di Moreira Valdés nella zona. Secondo alcuni ex membri di Los Zetas, anche l’attuale governatore dello Stato di Cohauila, Rubén Moreira Valdéz, esponente del Partido Revolucionario Institucional (PRI), avrebbe ricevuto delle tangenti in cambio di collaborazione. Quest’ultimo, però, ha negato qualsiasi coinvolgimento con il cartello messicano. Considerati gli ultimi risvolti della vicenda, secondo il professor Dayán “La verità e la giustizia mancano ancora” e per questo, assieme ad Aguayo, l’accademico ha rivolto una richiesta d’aiuto alle autorità locali.


ECONOMIA LO SCONTRO DEL SECOLO: SILICON VALLEY VS. WASHINGTON D.C. La campagna delle Big Tech per la neutralità della Rete si scontra con la politica

Di Luca Bolzanin Temendo l’approvazione, il prossimo 14 dicembre, di un provvedimento della Federal Communications Commission che potrebbe spostare l’equilibrio di potere da Google, Facebook, Amazon e Netflix verso le grandi aziende di telecomunicazioni, numerose società della Silicon Valley si sono mobilitate per tutelare la neutralità della Rete. Lunedì, 200 aziende tecnologiche - tra cui Airbnb, Twitter e Vimeo - hanno pubblicato una lettera per dissuadere la FCC a causa dei costi che il cambiamento normativo comporterebbe per l’intero settore. Tuttavia, le probabilità che la norma passi sono elevate, tanto che molti dei più impegnati sostenitori della neutralità hanno già ammesso la sconfitta. La “fine della neutralità per come la conosciamo” sarebbe l’ultimo capitolo di quello che è stato un anno politicamente disastroso per le società tecnologiche statunitensi. Nel corso del 2017, infatti, il presidente Trump si è scontrato molto duramente con le Big Tech su vari fronti. Oltre alla nomina a presidente della FCC di Ajit Pai, nemico di lunga data della neutralità della Rete,

Trump ha irriso ripetutamente Amazon e Facebook e ignorato le richieste di modificare le sue posizioni su immigrazione e cambiamento climatico. I dirigenti che hanno osato provare a deridere Trump sono stati sottoposti a boicottaggio dei consumatori. Inoltre, il Congresso, nel mese scorso, ha stigmatizzato pubblicamente Facebook, Google e Twitter per non aver impedito le interferenze russe nelle elezioni del 2016. Malgrado ciò, dall’inizio dell’anno i prezzi delle azioni delle grandi aziende tecnologiche hanno superato di gran lunga quelli di tutti gli altri settori. Alphabet, l’azienda madre di Google, è salita di oltre il 30% e Apple, Facebook e Amazon hanno visto crescere i guadagni di circa il 50% o più. “Le aziende tecnologiche stanno trionfando nell’era di Trump”, ha scritto lunedì Li Zhou su Politico, sostenendo l’atteggiamento di Washington sia frutto dell’insofferenza nei confronti dello strapotere del comparto tecnologico, costituito da aziende con fatturati nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari. A settembre, l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon aveva accennato in un discorso che la Casa Bianca potrebbe

equiparare la regolamentazione delle Big Tech a quella dei servizi pubblici. Se ciò accadesse, costituirebbe un cambiamento epocale, ponendo limiti ai profitti e costringendo le società a cambiare radicalmente i loro modelli di business. Questo esito è improbabile, ma una sorta di repressione antitrust è pressoché inevitabile. Le aziende tecnologiche sono consapevoli di questi rischi e hanno cercato in varie occasioni di sottolineare come esse creino lavoro e migliorino la vita delle persone, evidenziando nel contempo che le loro pratiche commerciali sono Sempre più responsabili. membri del Congresso, però, diffidano dell’ultima parte. “Penso che facciate un enorme bene”, ha affermato il senatore della Louisiana John Kennedy, Repubblicano, rivolgendosi ai rappresentanti di Facebook, Google e Twitter, “ma il vostro potere a volte mi spaventa”. Data l’enorme popolarità di cui godono attualmente le aziende tecnologiche, i top manager di queste società confidano nel fatto che questa ‘tempesta politica’ finirà per perdere vigore. Ma, forse, è giunta l’ora che l’industria tecnologica inizi a prendere maggiormente sul serio i suoi detrattori. MSOI the Post • 19


ECONOMIA WIKINOMICS: ZEGO E LE START-UP DELL’INSURETECH Gig economy tra flessibilità, efficienza e professionalità

Di Francesca Maria De Matteis “The gig economy isn’t just creating new digital channel for freelance work. It is spawning a host of new economic activity.” (Arun Sundararajan) Zego. Nata a Londra nell’aprile 2016, è una startup che tutela i cosiddetti ‘self-employed’, i lavoratori occasionali, che ufficialmente vengono riconosciuti come lavoratori in proprio, anche se retribuiti da imprese o aziende terze. Rappresentando una radicale innovazione nell’insuretech, Zego tutela le esigenze commerciali dei privati freelance. Ad oggi ha raccolto circa 6 milioni di sterline. I tre fondatori, due dei quali ex-manager di Deliveroo, hanno introdotto sul mercato un sistema in grado di garantire polizze assicurative anche ai lavoratori non formalmente dipendenti di piattaforme ed applicazioni come Uber, Airbnb, Foodora, Etsy e la stessa Deliveroo. Come funzionano le assicurazioni. Definite ‘assicurazioni a consumo’, le polizze ‘pay as you go’ maturano sull’applicazione quando il lavoratore vi si connette. Attualmente, le tariffe 20 • MSOI the Post

sono previste solo per chi si muove in scooter e in auto, per rispettivamente 60 centesimi e 1,30 euro l’ora, e la spesa rimane a carico dei lavoratori. Il sistema ricorda quello già sperimentato per le auto poco utilizzate dei privati, dall’applicazione scozzese Cuvva. Essa prevede un premio assicurativo mensile che copre il rischio di una auto ferma, al quale sia aggiunge una quota oraria che copre l’effettivo utilizzo del mezzo. Cos’è la Gig economy. Un nuovo modello economico, nato pochissimi anni fa, basato sull’esistenza di applicazioni che fanno incontrare domanda e offerta, che si caratterizza per l’estrema flessibilità garantita tanto ai lavoratori, non ufficialmente dipendenti, quanto ai clienti, assicurando allo stesso tempo efficienza e professionalità. Quando si parla di ‘gig economy’ non si parla di posti fissi o contratti a tempo indeterminato. Impieghi occasionali e lavoro ‘on demand’ sono la chiave della nuova strategia di mercato. In un articolo del 2015 pubblicato sul Financial Times, Leslie Hook riportava come definizione la seguente: “the freelance economy, in which workers support themselves with a variety of part-time jobs

that do not provide traditional benefits such as healthcare.” Origine. Il termine, coniato durante la crisi finanziaria del 2009, e il cui nome alternativo è ‘gigonomics’, deriva dall’americano ‘gig’ che significa lavoretto, incarico, a sottolineare il carattere occasionale degli impieghi che rappresentano questo nuovo modello economico. Da luglio 2015, il termine ‘gig economy’ ha anche subito un incremento nei Google trends, apparentemente dopo il discorso che Hilary Clinton ha tenuto per promuovere il proprio programma economico. L’ex Segretario di Stato statunitense, infatti, ha dichiarato: “gig economy is creating exciting economies and unleashing innovation”. Opinioni. Il 26 luglio dello stesso anno, Arun Sundararajan pubblicava un articolo sulla testata inglese, The Guardian, un articolo con una breve analisi sul recente fenomeno. “To the optimists, it promises a future of empowered entrepreneurs and boundless innovation. To the naysayers, it portends a dystopian future of disenfranchised workers hunting for their next wedge of piecework.”


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL CRIMINE DI AGGRESSIONE

Verso l’attivazione della giurisdizione della Corte Penale Internazionale?

Di Elena Carente A 15 anni dall’entrata in vigore dello Statuto di Roma, nel mese di dicembre gli Stati parte decideranno in merito all’attivazione della giurisdizione della Corte Penale Internazionale relativamente al crimine di aggressione. La competenza della Corte, secondo quanto stabilito all’art 5(1) dello Statuto, è limitata ai più gravi crimini internazionali: il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione. Tuttavia, quando lo Statuto di Roma venne firmato, nel luglio 1998, gli Stati parte si trovarono in disaccordo sulla definizione di aggressione e il potere giurisdizionale della Corte su questo crimine venne sospeso. Nel maggio 2010, si riunì a Kampala la prima Conferenza di revisione dello Statuto. Gli emendamenti presentati alla Conferenza dal “Gruppo di lavoro per la definizione del crimine di aggressione” prevedono l’introduzione nello Statuto dell’art. 8 bis contenente la definizione del crimine di aggressione, e degli artt. 15 bis e 15 ter riguardanti le condizioni per l’esercizio della giurisdizione da parte della Corte. L’art. 8 bis definisce il crimine di aggressione come la “piani-

ficazione, preparazione, avvio o esecuzione, da parte di individui che si trovino in una posizione tale da controllare o dirigere effettivamente l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che, per la sua natura, la sua gravità o la sua magnitudine, costituisca una violazione manifesta della Carta delle Nazioni Unite”. Per atto di aggressione, invece, si intende quanto stabilito dalle Nazioni Unite con la risoluzione 3314-XXIX del 1974, ovvero “l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o in un altro modo incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite”. Le condizioni sull’esercizio della giurisdizione della Corte in caso di crimine di aggressione hanno generato non poche polemiche perché giudicate limitative. In particolare, è previsto che la CPI possa esercitare la propria giurisdizione solo nei confronti di uno Stato parte allo Statuto, che abbia ratificato gli emendamenti e non abbia depositato una clausola di opt-out. Inoltre, sia nel caso in cui la Corte agisca per propria iniziativa o su richiesta di uno Stato parte, il Procuratore potrà aprire un’indagine nei confronti di un leader politico o militare solo in

seguito alla constatazione, da parte del CDS, del compimento di un atto di aggressione compiuto da quello Stato. Nell’ipotesi in cui lo Stato aggressore non sia parte allo Statuto, la Corte potrà attivarsi solo in caso di deferimento da parte del Consiglio di Sicurezza. USA, Russia e Cina, non essendo parte allo Statuto ma in quanto membri permanenti del CDS, potranno dunque porre il veto ad una eventuale situazione che li riguardi. Perché gli emendamenti approvati a Kampala possano attivare la CPI sul crimine di aggressione è necessario che sia decorso un anno dalla ratifica da parte di 30 Stati parte e che l’Assemblea di questi ultimi adotti la decisione a maggioranza di due terzi. La prima di queste condizioni è stata soddisfatta. La seconda, potrebbe verificarsi dal 4 al 14 dicembre 2017 nel corso della sedicesima sessione annuale dell’Assemblea degli Stati parte che si terrà presso la sede delle Nazioni Unite a New York. Sebbene alle condizioni descritte è improbabile che gli autori di atti di aggressione vengano processati all’Aia, l’attivazione della Corte sul crimine di aggressione manda un messaggio di speranza e rappresenta un passo importante verso una sempre più solida giustizia internazionale. MSOI the Post • 21


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO DOPPIA CITTADINANZA E DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE: LA SENTENZA LOUNES La CGUE ritorna su un tema spinoso definendo alcuni aspetti della direttiva

Di Pierre Clément Mingozzi Sollevando questione pregiudiziale, il giudice del rinvio della High Court of Justice (England& Wales) Queen’s Bench Division, ha domandato alla Corte di Giustizia UE se un cittadino dell’Unione – la sig.ra García Ormazábal nel caso di specie –, che “abbia acquisito la cittadinanza dello Stato membro nel quale ha soggiornato in maniera effettiva e permanente, ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2004/38, rientri nella nozione di «avente diritto» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, cosicché il suo coniuge, cittadino di uno Stato terzo, possa effettivamente reclamare un diritto di soggiorno derivato in detto Stato”. La signora, infatti, cittadina spagnola naturalizzata britannica dal 2009, ha contratto matrimonio nel 2014 con il signor Lounes, con cittadinanza tunisina e residente a Londra illegalmente dopo aver superato il limite dei sei mesi concessi dal suo visto. La signora Ormazábal ha, successivamente, chiesto il rilascio di una carta di soggiorno per il marito in qualità di familiare di un cittadino UE ai sensi del regolamento 2006/1003, che recepisce la direttiva 2004/38 nell’ordinamento del Regno Uni22 • MSOI the Post

to, possibilità questa respinta dal Ministero dell’Interno in quanto la signora, essendo ormai cittadina britannica non avrebbe più titolo a sollevare la normativa dell’Unione europea ma soltanto quella britannica essendo una situazione meramente interna. Tale questione riguarda ovvero la possibilità che un cittadino, dopo aver esercitato il diritto di libera circolazione – come stabilito dalla direttiva 2004/38/CE –, possa perdere tali diritti nel momento della naturalizzazione in un paese membro. Come evidenziato dall’Avvocato generale, e successivamente ripreso dalla Corte, tale naturalizzazione ha di fatto cambiato il regime giuridico della signora rendendole inapplicabile la direttiva e di conseguenza il diritto derivato che ne poteva scaturire al suo coniuge. La Corte tuttavia, dopo aver scartato la possibilità di applicazione della direttiva, si è focalizzata sulla possibilità di applicazione tramite analogia della medesima all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE in simili situazioni. Infatti, “la finalità e la ratio di tale diritto derivato si basano quindi sulla constatazione che negarne il riconoscimento pregiudicherebbe, in particolare, tale libertà, nonché l’esercizio e l’effetto utile dei diritti che

al cittadino dell’Unione considerato derivano dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE”. È con questo passaggio che la Corte evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, la situazione della signora in causa non può essere equiparata a una questione interna in quanto il possesso di due cittadinanze e l’utilizzo dei diritti derivanti dal possesso della cittadinanza europea la rendono comunque soggetta a tali norme. Ciò comporterebbe trattare il cittadino che ha esercitato il diritto alla libera circolazione come un cittadino dello Stato membro ospitante che però non abbia mai esercitato tale diritto non prendendo del tutto in considerazione il fatto che “i diritti conferiti ad un cittadino dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, compresi i diritti derivati di cui godono i suoi familiari, sono volti, in particolare, a favorire la progressiva integrazione del cittadino dell’Unione interessato nella società dello Stato membro ospitante”. Ne consegue che la naturalizzazione, in quanto massima forma di integrazione, non può avere l’effetto paradossale di escludere il cittadino dei diritti di cui aveva precedentemente goduto.


MSOI the Post • 23


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