MSOI thePost Numero 88

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Jessica Prietto Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Efrem Moiso, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

GERUSALEMME CAPITALE, MOGHERINI: “L’UE NON SEGUIRÀ GLI USA” L’Unione Europea unita sulla soluzione a due Stati, servono negoziati tra le parti

AUSTRIA 12 dicembre. Esplosione in un gasdotto in Austria. L’impianto di Baumgarten, località a sud del Paese, è uno snodo centrale nelle forniture di gas da parte della Russia. Questo ha causato notevoli preoccupazioni, subito stemperate grazie alla riapertura delle forniture dopo una prima sospensione. Il bilancio della deflagrazione è di un morto e circa 18 feriti. FRANCIA 12 dicembre. Su iniziativa del premier Emmanuel Macron si riapre il dialogo sul clima. Con la partecipazione di circa 50 capi di Stato, il Presidente intende ridiscutere il potenziamento dei finanziamenti per la lotta al cambiamento climatico, affermando come “la rinuncia degli Stati Uniti rappresenti l’inizio di un’altra storia”. SVEZIA 9 dicembre. Lancio di una bomba molotov contro la sinagoga di Göteborg. Secondo le prime indagini il movente sarebbe legato alla decisione di Donald Trump circa lo spostamento della capitale dello Stato di Israele, evento che aumenta il clima di tensione anche a seguito delle manifestazioni tenutesi a Stoccolma e Malmö. Nessuno è rimasto ferito. GRECIA 13 dicembre. La ONG Attica Humana Support distribuisce aiuti a Lesbo. L’azione della ONG è ripresa, proprio in questi giorni, con una serie di donazioni per

Di Giulia Marzinotto 11 dicembre. Bruxelles. “Il premier Benjamin Netanyahu ha detto di aspettarsi che altri Paesi spostino le loro ambasciate. Può tenere le sue aspettative per altri, perché dai Paesi UE questo non avverrà”. Queste le dichiarazioni dell’alto rappresentante UE Federica Mogherini in merito all’incontro col Premier israeliano, in visita ufficiale nella capitale belga, nel pieno della bufera scatenata dall’annuncio del “nuovo approccio” di Washington alla questione mediorientale. Il faccia a faccia tra i due leader è arrivato a soli tre giorni dalle parole con le quali il presidente statunitense Donald Trump ha fatto sapere di voler riconoscere la città di Gerusalemme come capitale di Israele e di aver “dato istruzioniper spostare l’ambasciata USA in Israele da Tel Aviv alla Città Santa”. In conferenza stampa con l’Alto Rappresentante, il Premier israeliano ha commentato l’accaduto affermando che “Quanto il presidente Trump ha fatto, è mettere i fatti sul tavolo. Gerusalemme è stata la capitale di Israele per gli ultimi settant’anni”. “Per l’Unione Europea la soluzione del conflitto è basata

sulla formula dei due Stati, con Gerusalemme capitale di entrambi. […]. Continueremo a rispettare l’accordo internazionale su Gerusalemme, fino a quando lo status della stessa sarà risolto dal negoziato tra le parti”, ha ribadito Federica Mogherini, ricordando la visita del leader palestinese Abu Mazen prevista per il gennaio prossimo. Commentando le dichiarazioni del presidente Trump, la Signora PESC ha messo in chiaro che “non ci sono iniziative di paceche possano avvenire senza l’impegno degli Usa, ma gli USA non si facciano illusioni, la loro sola iniziativa non avrebbe successo, perché servono un quadro regionale e internazionale che accompagni l’avvio, che in questo momento sembrano molto lontani”. Le possibili conseguenze degli ultimi avvenimenti preoccupano la comunità internazionale, compresa la leader della diplomazia europea, che ha assicurato che “l’Unione Europea aumenterà il suo lavoro per iniziare a rilanciare il processo di pace”, per poisottolineare come“la cosa peggiore che può accadere ora è l’escalation della violenza, prima di tutto nei luoghi sacri, ma anche nella regione e oltre”. MSOI the Post • 3


EUROPA i rifugiati del campo Moira. Come testimoniato dal fondatore della ONG Aris Vlachopoulos “hanno estremo bisogno di aiuto e, con il sovraffollamento del campo, c’è bisogno anche di tende”, mostrando come la situazione nei campi sia ormai ingestibile.

PREMIO SACHAROV 2017 Un’assegnazione carica di valore

Di Davide Tedesco

REGNO UNITO 13 dicembre. Theresa May sconfitta sulla Brexit. Su proposta di una frangia ribelle dei Tory è infatti passato un emendamento che prevedrà l’analisi, da parte del Parlamento Britannico, di ogni accordo con l’Unione Europea, attraverso un voto vincolante. Nonostante la sconfitta la May si dice “lieta di porre al vaglio di ambedue le camere l’accordo finale”. A cura di Simone Massarenti

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“L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.” Così recita l’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea. Ogni anno sin dal 1988, il Parlamento di Strasburgo conferisce il Premio Sacharov per la libertà di pensiero a personalità distintesi nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani. Il 13 dicembre scorso, si è tenuta la cerimonia di attribuzione dell’ambito riconoscimento, assegnato ai rappresentanti dell’opposizione democratica venezuelana. Rilevante ai fini del risultato è stata la presenza dell’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma, che è riuscito a raggiungere la Francia evadendo dagli arresti domiciliari, a cui era condannato dal 2015 a causa della sua azione politica di opposizione al presidente Maduro. L’ex Primo Cittadino della capitale venezuelana ha voluto riconoscere il forte legame tra il suo Paese e l’Italia, nonché con l’Unione europea. In

particolare, Ledezma evidenzia come “in questa fase drammatica, tutto ciò che la comunità internazionale potrà fare per il Venezuela è benvenuto e necessario. E penso che il sostegno dell’Italia sia fondamentale, poiché una delle comunità più grandi in Venezuela è proprio quella italiana”. Con l’assegnazione del Premio Sacharov, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani ha voluto ribadire con decisione il “sostegno all’Assemblea Nazionale venezuelana eletta democraticamente”. A 7 anni dall’assegnazione del Premio Sacharov a Guillermo Fariñas (noto dissidente cubano che aveva portato avanti una lotta pacifica contro la repressione del regime castrista, riuscendo a far ottenere la scarcerazione di circa 50 detenuti politici), il conferimento del Premio Sacharov 2017 all’opposizione venezuelana rilancia la ferma condanna dell’UE alla violazione dei diritti umani. In particolare, precisa Tajani, “la dittatura di Maduro ha privato i cittadini venezuelani dei loro diritti fondamentali, facendo precipitare il Paese in una spirale di crisi economica, sociale, istituzionale e umanitaria”. Con questo gesto il popolo del Venezuela ritrova nell’Unione europea un fedele alleato nella tutela e promozione di una solida affermazione democratica.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

LE DONNE CHE HANNO ROTTO IL SILENZIO Il Time ha scelto il movimento MeToo come persona dell’anno

Di Lorenzo Bazzano STATI UNITI 8 dicembre. A seguito della recente decisione del presidente Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, il segretario di Stato americano Tillerson ha reso noto, nel corso di una conferenza a Parigi, che saranno necessari circa due anni prima che l’ambasciata americana a Tel Aviv venga definitivamente trasferita a Gerusalemme. 9 dicembre. In California continuano gli sforzi dei pompieri nel tentativo di spegnere le fiamme che da giorni divampano nel territorio, costringendo l’evacuazione di migliaia di cittadini. Come riportato dalla BBC, l’incendio sta gravemente debilitando l’industria agricola californiana, danneggiando in particolare le piantagioni di avocado. 11 dicembre. Un attacco terroristico ha colpito il quartiere di Manhattan, a New York, nella mattinata di domenica. L’attentatore, un giovane 27enne munito di un ordigno rudimentale da lui stesso costruito, ha tentato di fare esplodere la bomba in una stazione della metropolitana, ma senza successo. L’ordigno, infatti, non ha fortunatamente causato morti ma solo alcuni feriti, tra cui l’attentatore stesso. 13 dicembre. Il candidato democratico al Senato, Doug

Come di consueto, il settimanale Time ha decretato ‘la persona più influente dell’anno’. Quest’anno la scelta è stata particolare, perché non ha investito una singola persona, ma un nuovo movimento: il movimento MeToo, ovvero l’insieme delle donne che hanno deciso di rompere il silenzio e di denunciare le molestie sessuali subìte. Nella copertina del settimanale figurano cinque donne: l’attrice Ashley Judd; la sua collega Rose McGowan; la cantante Taylor Swift; Susan Fowler, ingegnere di Uber; Isabel Pascual, contadina; Adama Iwu, lobbysta californiana. Donne diverse ma accomunate dalla stessa esperienza e dalla volontà di porre fine all’omertà che ha nascosto per molti anni le molestie sessuali. Il movimento MeToo è nato spontaneamente su Twitter grazie all’attrice Alyssa Milano dopo aver letto della denuncia di Ashley Judd, la quale raccontò di essere stata molestata dal produttore cinematografico Harvey Weinstein. Milano decise di raccontare sul popolare social network la sua esperienza, invitando le donne che avevano subìto esperienze simili a rispondere all’hashtag da lei lanciato #MeToo. La mattina seguente le risposte furono più di 30.000, trasformando così un post in un vero e proprio movimento.

Il Time ha riconosciuto alle SilenceBreakers (così vengono definite le donne premiate del riconoscimento) la capacità di aver dato vita ad una vera e propria ‘rivoluzione del rifiuto’, che è diventata ogni giorno sempre più forte e sempre più capace di produrre risultati concreti, tanto da riuscire, in certi casi, a far emergere dei reati. Il settimanale ha anche evidenziato che l’impatto che il movimento ha avuto sulla società è stato maggiore di quello di Trump e Xi Jinping, gli altri due candidati al riconoscimento. Come riporta Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera, il caso Weinstein è l’ultimo di una serie di episodi che ha fatto crescere la rabbia delle donne all’interno degli Stati Uniti. Una rabbia esplosa nel 2016 (quando è stato diffuso un video in cui Trump, allora candidato alle presidenziali, rivolgeva battute volgari e sessiste nei confronti delle donne, paragonandole a semplici oggetti per il proprio piacere) e che è diventata politica con la Marcia delle donne del gennaio 2017, svoltasi in più di 50 città statunitensi. I risultati di questa indignazione sono stati molto importanti: dall’estromissione di Weinstein dal mondo dello spettacolo, alle polemiche per la candidatura al Senato del Repubblicano Roy Moore, accusato di molestie e sostenuto dal Presidente. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA Jones, ha vinto le elezioni in Alabama, cuore del conservatorismo americano più autentico. Ne esce, invece, sconfitto Roy Moore, che nel corso della campagna elettorale aveva potuto contare sull’appoggio del presidente Trump. La vittoria democratica, tuttavia, è stata raggiunta con uno scarto minimo (49,6 % contro il 48,8 % dell’avversario), nonostante i gravi scandali sessuali che nelle scorse settimane hanno travolto il candidato di destra.

CANADA 11 dicembre. L’esponente liberale Gordie Hogg ha vinto le elezioni federali nel distretto di South Surrey-White Rock, nella Columbia Britannica, storico caposaldo del partito conservatore da circa 40 anni. La vittoria dei Liberals si aggiunge, a distanza di pochi mesi, ad un altro successo elettorale ottenuto nella provincia di Lac-Saint-Jean, in Québec.

12 dicembre. Il primo ministro Trudeau ha nominato il giudice Richard Wagner come prossimo presidente della Corte Suprema del Canada, il quale si sostituirà all’attuale Chief Justice, Beverley McLachlin, primo giudice donna a ricoprire tale posizione. La nomina avrà effetto a partire da venerdì 15 Dicembre. A cura di Martina Santi

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LA TRASFORMAZIONE DEI CORPI D’ÉLITE AMERICANI La strategia militare di Washington si rinnova per contrastare il terrorismo

Di Luca Rebolino Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno aumentato significativamente l’utilizzo delle loro forze speciali, dislocandole nelle aree del mondo di maggior crisi. In particolare, in seguito ai fatti dell’11 settembre, per fronteggiare una realtà globale sempre più complessa, le strategie militari della superpotenza americana sono profondamente cambiate. Nel 2017 è stato registrato che gli Stati Uniti hanno impiegato fino a 8.000 truppe d’élite in 143 Paesi. Questo dato, se paragonato con i numeri del 2001 – quando solo 2.900 truppe speciali furono inviate in missione – illustra chiaramente il mutato modello di strategia militare. L’uso sempre più massiccio dei corpi speciali è il riflesso di un preciso contesto internazionale: negli ultimi anni, forze convenzionali o grandi dispiegamenti dell’esercito non sarebbero riusciti a contrastare efficacemente le nuove minacce. Un perfetto esempio è il terrorismo, per sua stessa natura fenomeno destatalizzato e a bassa organizzazione territoriale. Le aree principali in cui si concentrano le operazioni dei corpi d’élite sono il Medio Oriente e il continente africano. Qui soldati altamente preparati e selezionati con cura svolgono diverse funzioni. I loro compiti

comprendono l’addestramento di militari locali (spesso semplici miliziani), attività di intelligence e raid con precisi obbiettivi. Lo scopo è estirpare alla radice il terrorismo, fine conseguito ricorrendo alle armi, ma anche collaborando a stretto contatto con le forze locali, permettendo loro di svilupparsi autonomamente. Gli ultimi Presidenti statunitensi hanno fatto sempre più ricorso alle divisioni speciali perché rappresentano un’alternativa immediata e semplice, soprattutto a livello logistico. Inoltre, hanno un costo politico minore rispetto a dispiegamenti militari convenzionali su vasta scala. Infatti, in patria l’opinione pubblica, ma anche lo stesso Congresso, spesso non sono pienamente consapevoli delle diverse missioni in cui sono impegnate le forze speciali; ne consegue, quindi, che la loro risonanza politica sia decisamente contenuta. Tuttavia, il crescente impiego dei corpi elitari solleva alcune significative problematiche: un utilizzo smodato rischia di snaturarle. L’elevata richiesta di effettivi può abbassare gli alti standard di selezione, oltre che di addestramento. Infine, bisogna anche considerare che il loro dislocamento in aree così estese non può che frammentarle e disperderle.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

ARABIA SAUDITA 9 dicembre. Rex Tillerson, segretario di Stato americano, ha chiesto a Mohamed Bin Salaman di moderare l’uso della forza in Yemen e di alleggerire la pressione su Qatar e Libano. EGITTO 10 dicembre. Il leader della chiesa egiziana copta cancella un incontro programmato da tempo con l’americano Pence in risposta alla decisione di Trump. 11 dicembre. La Lega Araba definisce la decisione di Trump “inaccettabile e pericolosa”, un “attacco in flagrante al processo di pace” IRAN 10 dicembre. “Siamo pronti a riprendere la relazioni con l’Arabia Saudita”, afferma il presidente Rohani, ma richiede l’immediata cessazione dei bombardamenti sullo Yemen. IRAQ 10 dicembre. Il premier Haider al-Abadi dichiara la fine della guerra contro l’ISIS. ISRAELE/PALESTINA 9 dicembre. Muoiono due palestinesi in un bombardamento-rappresaglia israeliano a seguito del lancio di tre razzi dalla striscia di Gaza verso la città israeliana di Sderot. Gli eventi si collocano nel contesto delle agitazioni popolari scaturenti dalla decisione di Trump. 10 dicembre. Il giorno della rabbia palestinese si conclude

DAYS OF RAGE

La questione dell’ambasciata a Gerusalemme, spiegata (quasi) bene

Di Lucky Dalena e Martina Terraglia “The sky is still up there. It hasn’t fallen”, ha asserito Nikki Haley, ambasciatore statunitense presso l’ONU, in merito alla decisione del presidente Trump di spostare l’Ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo così quest’ultima come capitale di Israele. Il Presidente americano non è nuovo a dichiarazioni provocatorie, ma sembra che dietro alla questione ambasciata ci siano delle ragioni passate. Innanzitutto, una decisione del Congresso del 1995, che riconosce Gerusalemme come capitale di Israele, ma la cui ratifica è stata rimandata ogni sei mesi dai predecessori di Trump. Una seconda ragione potrebbe essere il supporto economico offerto a Trump durante la sua campagna elettorale da parte di gruppi di estrema destra con tendenze sioniste. Cui prodest? Oltre ai già citati gruppi, a riceverne i benefici maggiori è sicuramente il PM israeliano: dopo un’estate trascorsa tra indiscrezioni politiche e scandali giudiziari, grazie alla decisione di Trump le luci sono puntate su Netanyahu, divenuto così la figura politica israeliana più preminente della storia. La decisione, seppur ancora non

effettiva, ha scatenato reazioni in tutto il mondo. Dai leader religiosi (primo fra tutti papa Francesco, il quale ha ribadito l’importanza di mantenere lo status quo di Gerusalemme) ai leader politici (come Vladimir Putin e l’Alto Rappresentante UE Federica Mogherini). “Qualsiasi azione che possa minare gli sforzi di pace dev’essere assolutamente evitata”, ha dichiarato la Signora PESC, auspicando un nuovo ruolo dell’Europa come leader nel processo di pace. Hanno fatto eco alle sue parole anche quelle dei principali leader politici europei, insieme a numerosi rappresentanti della Lega Araba. Le parole di Trump, infatti, sono state un terremoto per il Medio Oriente, i cui equilibri sono ulteriormente stati messi a rischio dagli eventi delle ultime settimane, come sottolineato dal re Abdallah II di Giordania. Se negli ultimi mesi i media erano concentrati sulle tensioni fra Arabia Saudita ed Iran, anche questi ultimi hanno volto lo sguardo verso il conflitto israelo-palestinese. La guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Khamenei, ha definito la mossa statunitense come il frutto della “loro incompetenza”. Il presidente turco Erdoğan ha minacciato di interrompere le relazioni diplomatiche con Israele definendo Gerusalemme “una linea rossa per i mu-

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MEDIO ORIENTE con più di 800 feriti e 3 morti.

sulmani”.

11 dicembre. Netanyahu cerca l’approvazione dell’Alto Commissario Europeo Mogherini, che tuttavia afferma l’importanza della soluzione “due Stati due nazioni” e il preciso impegno dell’Europa in tal senso.

Numerose sono state le manifestazioni di solidarietà civile verso il popolo palestinese, in Europa come nella vicina Giordania, dove risiedono numerosi palestinesi, non senza alcuni incidenti e tumulti. Nella stessa Palestina, dove una speranza per il processo di pace si era accesa in seguito agli accordi tra Hamas e Fatah, sembra invece

14 dicembre. Le autorità israeliani chiudono la frontiera con Gaza.

la sua esistenza”. Da qui scaturisce il continuo incitare la popolazione alla rabbia e alla vendetta, dando vita ad un’intifada quasi “manovrata”. È vero che i presupposti per un conflitto aperto ci sarebbero, considerando le venti e più risoluzioni ONU violate dal governo israeliano, senza contare le innumerevoli leggi internazionali. Ciò che va considerato, però, è l’instabile

QATAR 10 dicembre. Viene firmato un accordo da 8 milioni di sterline con il Regno Unito per la vendita di 24 aerei da guerra Typhoon. SIRIA 10 dicembre. L’ UNICEF chiede l’immediata evacuazione di 137 bambini dal Paese. Gli stessi necessiterebbero, secondo l’agenzia ONU, di assistenza medica immediata. TURCHIA 9 dicembre. Numerosi manifestanti scendono in piazza per protestare contro la decisione americana di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. 11 dicembre. Erdogan definisce Israele uno “Stato terrorista”, definendo la decisione di Trump “illegale e priva di senso” 14 dicembre. L’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, rovesciando le parole di Trump, dichiara Gerusalemme capitale della Palestina. YEMEN 11 dicembre. La missione diplomatica russa a Sana’a verrà trasferita temporaneamente a Ryadh, in considerazione dell’elevata situazione di rischio nell’area. A cura di Jean-Marie Reure 8 • MSOI the Post

essere l’alba di una nuova intifada. Il leader di Hamas, Ismail Haniya, ha definito la decisione di Trump come “una dichiarazione di guerra contro i Palestinesi”. Significativa la reazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): da un lato, il segretario dell’ANP Barghouti ha accomunato Trump e Israele nella perpetrazione di “crimini di guerra” contro i Palestinesi; dall’altro, il leader Mahmoud Abbas ha condannato la decisione cancellando l’imminente incontro con il vicepresidente americano Pence. Abbas, dal canto suo, ha invitato la popolazione a reagire, probabilmente in virtù del fatto che la sua leadership è minacciata dal cambio di posizione degli Stati Uniti – come sostenuto da Jalal Abulkhater su Al-Jazeera. Secondo Abulkhater, infatti, Abbas negli anni si è dimostrato eccessivamente prono al compromesso pur di raggiungere la pace, al punto che il “processo di pace” sembra essere diventato l’unica raison d’être per l’ANP: “Quando il processo di pace fallisce, l’Autorità Palestinese perde lo scopo che giustifica

equilibrio geopolitico in Medio Oriente, e l’importanza di tutelarlo utilizzando tutta la delicatezza diplomatica necessaria. Se Trump avesse parlato di ‘Gerusalemme Ovest’, senza violare la sacralità politica della città, si sarebbe forse potuta intravedere una speranza per la soluzione dei due Stati auspicata dalla Comunità Internazionale. In compenso, gli occhi del mondo sono nuovamente rivolti a quest’area spesso incompresa e ignorata. Se negli anni passati la questione israelo-palestinese era in auge a causa degli interminabili conflitti, in tempi più recenti l’attenzione verso il sedicente Stato Islamico aveva relegato la Palestina nel ripostiglio della politica internazionale. Eppure, non molto è in realtà cambiato nelle vite dei Palestinesi. L’apartheid è ancora in vigore; i diritti umani sono ancora violati; Gaza è ancora molto al di sotto della soglia di povertà.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

KOSOVO 12 dicembre. Il premier socialdemocratico macedone Zoran Zaev si è recato in visita per la prima volta in Kosovo. A Pristina Zaev ha incontrato il presidente kosovaro Hashim Thaci, il presidente del Parlamento Kadri Veseli e il primo ministro Ramush Haradinaj. I temi al centro della visita sono stati lo sviluppo di relazioni bilaterali, la lotta comune all’estremismo islamico e la situazione attuale dei Balcani. RUSSIA 12 dicembre. Date le sempre più precarie condizioni di sicurezza, la Russia ha deciso di chiudere temporaneamente l’ambasciata a Sana’a, in Yemen. Secondo quanto riferito da Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri, l’ambasciatore e parte del corpo diplomatico eseguiranno le proprie funzioni da Riad. 12 dicembre. Alexander Bortnikov, direttore dell’FSB (i servizi segreti russi) ha comunicato che l’FSB ha sgominato un gruppo terroristico che stava pianificando attacchi suicida, la cui attuazione era prevista durante le feste e a ridosso delle elezioni presidenziali del 2018. 13 dicembre. Roskomnadzor, l’autorità delle telecomunicazioni russe, ha lanciato un ultimatum a Twitter citando una disposizione del procuratore

SAAKASHVILI ARRESTATO

La folla protesta e il giudice lo rilascia

Di Amedeo Amoretti Venerdì 8 dicembre 2017, l’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili è stato arrestato dai servizi di sicurezza ucraini con l’accusa di aver ricevuto un finanziamento di 500.000 dollari dall’imprenditore ucraino Serhiy Kurchenko. Secondo le accuse del procuratore generale Yuri Lutshenko, tale somma di denaro proverrebbe da un gruppo criminale legato all’ex presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovich. Questi, secondo le stesse istanze portate avanti da Lutshenko, starebbe tramando un colpo di Stato. Già quattro giorni prima le forze ucraine avevano cercato di trarre in arresto Saakashvili, ma i sostenitori del politico georgiano non avevano permesso al cellulare della polizia di portarlo via, evitando così il fermo. Dalle sue dimissioni da Governatore dell’Oblast’ di Odessa nel novembre 2016, Saakashvili ha iniziato una dura campagna di opposizione al governo, formando anche il partito Movimento delle Nuove Forze. A luglio, mentre Saakashvili si trovava negli Stati Uniti, il presidente Poroshenko aveva firmato un decreto che lo privava della cittadinanza ucraina, rendendolo apolide. Da quel mo-

mento, l’azione politica di Saakashvili ha avuto un incremento tale da portarlo a intraprendere la campagna elettorale per le presidenziali del 2019. Il giorno seguente l’arresto, di fronte al centro di detenzione di Kiev, 8.500 sostenitori dell’ex Presidente georgiano sono scesi in piazza per manifestare, chiedendo la scarcerazione di Saakashvili e le dimissioni del presidente Poroshenko. Le proteste sono state pacifiche e le forze di sicurezza non sono intervenute. Frattanto, il politico georgiano aveva iniziato uno sciopero della fame, dichiarando che sarebbe tornato a nutrirsi solo una volta scarcerato. L’udienza dell’11 dicembre ha, ancora una volta, capovolto la situazione. Il giudice ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari, scegliendo anzi di rilasciare Saakashvili e permettendogli così di continuare la sua attività politica. Già nei giorni precedenti il popolo si era schierato in suo favore e anche Julija Tymoshenko, leader dell’Unione Pan-Ucraina “Patria”, insieme ad altri 11 membri del Parlamento, aveva espresso il suo sostegno al rilascio di Saakashvili. Il caso rimane aperto, ma il sostegno popolare verso l’ex Governatore è sicuramente aumentato.

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RUSSIA E BALCANI generale della Russia dell’11 dicembre. La minaccia è quella di vietare il celebre social media sul territorio russo qualora Twitter si rifiuti di eliminare l’account “Open Russia”, organizzazione fondata dall’ex capo di Yukos, Mikhail Khodorkovsky. Secondo Roskomnadzor, Open Russia distribuirebbe contenuti che violano le leggi russe, accusa smentita dall’organizzazione. SERBIA 9 dicembre. Il presidente Aleksandar Vucic ha annunciato che ha in programma di firmare numerosi accordi con la Russia durante la visita a Mosca in programma dal 18 al 20 dicembre. In particolare, saranno discussi accordi in campo energetico (la Serbia dipende quasi al 100% dalle forniture di gas russo), forniture di armamenti, agricoltura e innovazione tecnologica.

UCRAINA 10 dicembre. Migliaia di sostenitori di Mikheil Saakashvili, ex presidente della Georgia e acerrimo oppositore di Poroshenko, si sono radunati in piazza a Kiev per chiedere la sua scarcerazione. La manifestazione si è svolta pacificamente e non è stato necessario l’intervento della polizia. Intanto Saakashvili ha respinto le accuse a suo carico e il 9 dicembre ha iniziato uno sciopero della fame per protesta contro la sua detenzione. A cura di Elisa Todesco

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PUTIN SI PREPARA AL SUO QUARTO MANDATO Il Presidente si propone neocandidato

Di Andrea Bertazzoni Mercoledì scorso, 6 dicembre, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato che presenterà la sua candidatura per le elezioni presenziali di marzo 2018. Qualora fosse rieletto, rimarrebbe in carica fino al 2024. La modalità con cui il Presidente in carica ha confermato di volersi riproporre alla guida del Paese è stata definita da alcuni giornali europei come “un’opera teatrale in due atti”. Dapprima, il capo di Stato russo, ad un incontro per la premiazione di giovani volontari a Mosca, aveva risposto alle domande incalzanti di alcuni chiedendo se i presenti avrebbero sostenuto la sua candidatura. Dopo il “sì” pronunciato dagli astanti, Putin si era tuttavia limitato ad asserire che comprendeva che la sua scelta doveva essere ufficializzata in breve tempo. Per sciogliere le sue riserve, il 65enne Presidente non ha però aspettato molto, in quanto nel pomeriggio, a Niznij Novgorod, nella sede di una fabbrica di automobili GAZ, davanti a centinaia di operai, Putin non ha saputo resistere al coro di voci che ripetevano in rima “GAZ za VAS” (“la GAZ la sostiene”) e, sottolineando che non avrebbe potuto trovare luogo e occasione migliori, ha esclamato “Mi candiderò alle presidenziali!”. Secondo alcuni politologi, “l’ultimo zar” – candidandosi indi-

pendentemente da Russia Unita – avrebbe così riguadagnato smalto di fronte a un pubblico giovane, senza però sbilanciarsi troppo, per poi essere acclamato secondo costumi più teatrali e vecchio stile, in una fabbrica che era stata fondata proprio ai tempi dell’Unione Sovietica. Alla luce dei sondaggi del Cremlino, il neo-candidato non avrebbe bisogno di pensare troppo a come guadagnare il voto degli elettori e il loro consenso, che, secondo le stime, tocca l’80%. Ciononostante, nelle ultime settimane Putin ha adottato alcune misure apparentemente volte ad attirare l’attenzione del ceto più povero, come l’assegno familiare per i neonati e i sussidi statali per i nuovi mutui. L’ambito in cui il Cremlino si è molto concentrato negli ultimi tempi è però la politica estera. Questa settimana Putin ha incontrato il presidente siriano Assad a Damasco e ha annunciato un totale ritiro delle truppe, di concerto con il ministro della Difesa russo Shoigu. Subito dopo, il Capo di Stato russo ha incontrato anche il presidente turco Erdogan e il presidente egiziano Al-Sisi, con il quale ha firmato l’accordo sul primo reattore nucleare in Africa, che dovrà essere costruito entro il 2029. Un’avanzata significativa in Medio Oriente, a cui gli osservatori russi guardano con molto interesse.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 12 dicembre. Il promettente candidato dei Labour in Australia, Dastyari (34) ha annunciato il suo ritiro dalla politica per il prossimo anno, dopo essere stato accusato di influenze da parte della Cina. Lo scandalo risale a quando, lo scorso anno, si scoprì che un’impresa cinese avrebbe pagato per ottenere un incontro con il miliardario australiano.

CAMBOGIA: QUALE FUTURO PER IL PAESE? Le speranze dell’opposizione e il ruolo della comunità internazionale

Di Francesca Galletto “Piena democrazia no. Una facciata di democrazia. Ci ha permesso di funzionare in questa cornice. E i donatori, tutti sapevamo. Ma abbiamo continuato ad andare avanti per un cambiamento democratico attraverso le elezioni. Ma quando Hun Sen, ha visto che non avrebbe mai potuto vincere delle elezioni veramente democratiche, nemmeno democratiche a metà, ha dovuto ucciderla”.

Queste le parole di Mu Sochua, membro e vice presidente del National Rescue Party, durante l’intervista tenutasi a Giacarta, l’8 dicembre scorso, in occasione del forum speciale sulla democrazia nel sud-est asiatico. Mu Sochua, fuggita dalla Cambogia ad ottobre, evidenzia come da parte di Hun Sen ci siano sempre stati atteggiamenti repressivi e violenti nei confronti dell’opposizione a partire dal 1997, quando Hun Sen, con un colpo di Stato, spodestò il co-premier dell’epoca, Noro11 dicembre. L’agenzia di indom Ranariddh, divenendo Pritelligence per la sicurezza inmo Ministro grazie a minacce, terna tedesca per la protezione incarcerazioni e censure. della costituzione, il Bundesamt für Verfassungsschutz (BFV), ha Anche in questo momento per accusato la Cina di utilizzare i i membri del National Rescue social network per poter venire Party e è difficil anche solo in contatto con uomini e donne in mettersi in contatto. Il partiposizione chiave nelle istituzioni to, però, pur essendo stato bangovernative o in alte posizioni di dito dalla politica per 5 anni, è management nelle aziende. La ancora attivo, e vuole riconCina avrebbe offerto e organizzanettersi con la società civile e to a molti soggetti viaggi pagati incontrarsi per stabilire una linel Paese e meeting importanti nea d’azione comune. con clienti di alto profilo. CINA 13 dicembre. Google tornerà in Cina, dopo essersi allontano dal Paese 7 anni fa in segno di protesta per le politiche di controllo e sorveglianza del Governo di Pechino. Mercoledì è stato annunciato il primo piccolo passo: verrà avviata l’installazione di un centro di ricerca riguardante l’intelligenza artificiale. Il polo si troverà a lavorare a stretto contatto con i centri di ricerca cinesi.

e difficoltà sono molt . Le La forza di Hun Sen è anche economica grazie ai finanziamenti esteri da parte della Cina, da alcuni Paesi europei, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Di conseguenza, ciò che vorrebbe l’opposizione è che il leader venisse isolato così da essere indebolito, ma, anche in seguito agli ultimi avvenimenti, i rapporti con la Cina sono rimasti intatti e l’Australia è decisa a concludere un accordo da 50 milioni di dollari con il Paese. Al contempo ci sono state reazioni internazionali. Il 25 settembre una risoluzione urgente del Parlamento Europeo ha condannato il comportamento del Primo Ministro cambogiano richiedendo la liberazione del capo del National Rescue Party e la fine delle minacce nei confronti di altri legislatori dell’opposizione. In occasione della Giornata Mondiale dei Diritti dell’Uomo, il 10 dicembre, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Cambogia ha invitato il governo a ripristinare la democrazia in vista delle elezioni del prossimo anno. Tuttavia, una risposta concreta da parte di Hun Sen si fa attendere. Un ruolo importante è ora rivestito dai Paesi dell’ASEAN e dai loro leader, mentre grandi speranze sono riposte nel Giappone, che ha sempre dialogato con il Primo Ministro cambogiano.

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ORIENTE ACCORDO ECONOMICO TOKYO-UE Firmata l’intesa commerciale per creare una grande area di libero scambio

COREA DEL SUD 11 dicembre. Il Ministro degli Esteri della Corea del Sud ha comunicato l’introduzione di nuove sanzioni nei confronti della Corea del Nord, dopo il lancio del missile balistico intercontinentale Hwasong-15, avvenuto lo scorso 29 novembre. Oggetto di attenzione da parte del Governo di Seul, più di venti banche e società di trading. GIAPPONE 8 dicembre. Unione Europea e Giappone concludono un importante accordo di partnership economica. Il testo, che dovrà essere sottoposto a revisione giuridica, prevede di eliminare quasi completamente il miliardo di euro di dazi che le imprese europee pagano ogni anno. L’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio (Economic Partnership Agreement, EPA) è prevista per il 2019. MYANMAR 13 dicembre. Due giornalisti dell’agenzia di stampa Reuters sono stati arrestati mercoledì. A darne notizia è stato il Governo del Paese. Wa Lone (31) e Kyaw Soe Oo (27), sono stati accusati di essere entrati in possesso di documenti sensibili, riguardanti i movimenti di protesta avvenuti nello Stato di Rakhine, dove il giro di vite dei militari ha portato più di 600.000 musulmani Rohingya a fuggire verso il Bangladesh. A cura di Emanuele Chieppa 12 • MSOI the Post

Di Tiziano Traversa Dopo cinque anni di lavori, giovedì 7 dicembre, il primo ministro Shinzo Abe e Jean-Claude Juncker hanno annunciato la chiusura dei negoziati volti a creare un’area di libero scambio comprendente Giappone e il blocco degli Stati dell’Unione Europea. Nello specifico, il principale scopo della partnership è l’abbattimento delle barriere commerciali e una diminuzione delle tasse doganali, per favorire un incremento dell’export per un valore stimato di quasi 30 miliardi di euro e la conseguente creazione di una grande area economica che conta circa 600 milioni di persone. Le imprese europee non sono nuove al commercio con il Giappone: prima dell’accordo il valore dei beni di export verso Tokyo superava abbondantemente i 50 miliardi. Shinzo Abe ha dichiarato che questo accordo è destinato a creare una “nuova era”. Il trattato, in effetti, unisce due delle principali potenze economiche globali: da una parte 28 nazioni dell’Unione Europea, dall’altra il Giappone, partecipe dell’ac-

cordo del trans-pacifico con altri 12 Stati. I benefici saranno certamente diversi, così come molti saranno gli interessati: dalle industrie automobilistiche nipponiche alle eccellenze europee del settore food and beverage. L’eliminazione degli ostacoli doganali, principale tra i problemi, non è l’unico scopo del negoziato. Bruxelles e il Giappone, come dichiarato nel comunicato ufficiale, perseguono con tale accordo altri due fondamentali principi; la creazione di norme commerciali globali che siano rispettose dei valori comuni e un segnale di forte condanna contro qualsivoglia politica protezionista. L’allusione è più che evidente. Tokyo, in effetti, con questo accordo, “volta le spalle” agli Stati Uniti che, seguendo le direttive dell’amministrazione Trump, sono usciti dall’accordo economico APEC e hanno abbandonato la politica degli accordi multilaterali. L’accordo, dunque, rappresenta un segnale forte che mostra la contrarietà di due delle principali economie globali verso alcune odierne tendenze di chiusura economica.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CAMERUN 8 dicembre. L’esercito camerunense ha ripreso il controllo di due villaggi tenuti in ostaggio da un gruppo di separatisti, definiti “terroristi” dal Governo. I separatisti avevano cominciato a raccogliere tasse, amministrare la giustizia e imporre pene detentive a coloro che si rifiutavano di collaborare. ETIOPIA 13 dicembre. L’Etiopia ha fatto fronte ad un blackout dei social media mentre si intensificano gli scontri tra gruppi etnici in varie zone del Paese. Facebook e Twitter sono stati oscurati dopo che sono emerse testimonianze di uccisioni da parte delle forze di sicurezza nella regione di Oromia. Il giornale The Addis Standard riferisce di 15 vittime, inclusi donne e bambini.

LIBERIA 8 dicembre. La Corte Suprema ha stabilito che le prove raccolte per dimostrare presunti brogli durante il primo turno delle elezioni presidenziali non sono sufficienti per ripetere le consultazioni. Di conseguenza, il secondo turno elettorale tra i due candidati George Weah e il vice presidente Joseph Boakai potrà avere legittimamente luogo, dopo che la Commissione Elettorale avrà indicato una data. MALI 11 dicembre. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato all’unanimità una risoluzione, su proposta dalla

ATTACCO CONTRO I CASCHI BLU IN CONGO Aumenta l’instabilità politica e sociale nel Paese centrafricano

Di Barbara Polin Kivu Nord, Repubblica Democratica del Congo, 7 dicembre. 14 Caschi Blu impegnati nella missione di peace-keeping MONUSCO sono stati uccisi durante un’offensiva militare contro la base operativa delle Semiliki, l’attacco più grave mai condotto contro una missione di peace-keeping. I responsabili di quello che il segretario generale UN Guterres ha definito come un “vigliacco crimine di guerra” sono stati identificati nei guerriglieri dell’Alleanza delle Forze Democratiche, fronte ribelle ugandese che mira all’espansione nel vicino Congo. I confini congolesi non controllati e la grave instabilità interna hanno subito un drastico peggioramento da dicembre 2016, quando il presidente uscente Joseph Kabila ha rifiutato di dimettersi. Tale decisione sarebbe stata suscitata dalla nota diffusa dalla commissione elettorale nazionale con la quale le consultazioni elettorali furono rinviate a dicembre 2018 per difficoltà economiche ed organizzative. La carriera politica di Kabila, giunta al secondo mandato presidenziale, è iniziata nel 2001 con la morte del padre, Laurent-Desiré Kabila, primo Presi-

dente del Congo libero, al quale è succeduto senza consultazioni elettorali. Dall’annuncio di Kabila, i disordini interni causati dagli scontri tra truppe filo-governative e milizie irregolari si sono intrecciati alle incursioni di gruppi armati congolesi e stranieri (come la già citata Alleanza delle Forze Democratiche), interessati a sfruttare le risorse naturali del Paese centrafricano. La provincia di Kivu, per esempio, è ricca di miniere di coltan, un minerale fondamentale per la fabbricazione dei telefoni cellulari. La corruzione del governo di Kinshasha ha causato la proliferazione di centri di estrazione controllati dai lord of war congolesi, con gravi conseguenze per la popolazione civile. L’attacco ai Caschi Blu si inserisce, dunque, in un contesto politico e sociale altamente instabile, che affonda le proprie radici nella guerra tra la Repubblica Democratica del Congo e Angola, Namibia, Rwanda, Uganda e Zimbabwe, conclusasi nel 1999 con l’Accordo di Lusaka. Il processo di pacificazione è stato accompagnato dal rinnovo del mandato della missione MONUSCO, autorizzata fino a marzo 2018, con l’obiettivo di contribuire a una pace duratura per il popolo congolese. MSOI the Post • 13


AFRICA delegazione francese, che prevede IL G5 SAHEL A PARIGI l’invio in Mali di una missione di Vertice dei leder internazionali sulla stabilità della regione peacekeeping; il suo compito sarà quello di supportare i 5.000 uomini della forza africana che combatte Di Chiara Zaghi che arrivano sul suolo italiano gli estremisti nella vasta regione del provengono infatti dal Sahel. Sahel. Emmanuel Macron, presidente Questo è un aspetto sul quale REPUBBLICA DEL CONGO

della Repubblica Francese, ha

DEMOCRATICA convocato il 13 dicembre scorso

11 dicembre. 15 Caschi Blu e 5 soldati sono rimasti uccisi durante un attacco lanciato da parte di militanti estremisti jihadisti, in quello che si configura come uno dei peggiori attacchi contro le forze ONU della storia recente. Le accuse delle Nazioni Unite sono rivolte contro le Allied Democratic Forces (ADF), un gruppo armato che aderisce ad una visone integralista della religione islamica.

SUD SUDAN 13 dicembre. Il presidente Salva Kiir ha dichiarato lo stato di emergenza nelle regioni di Gok, Laghi Orientali e Laghi Occidentali, dove si sono intensificate le violenze intra-comunitarie. Nel decreto annunciato alla televisione di Stato, Kiir ha dato ordine all’esercito di disarmare tutti i gruppi di violenti e di usare la forza in caso in cui questi opponessero resistenza. A cura di Guglielmo Fasana

a Parigi i Capi di Stato che formano la forza congiunta G5 Sahel. Il Mali, Il Niger, Il Burkina Faso, il Ciad e la Mauritania hanno sentito la necessità di cooperare regionalmente con l’obiettivo di incrementare lo sviluppo e la sicurezza nella regione. L’incontro – cui hanno partecipato anche le Nazioni Unite, l’Unione Africana, l’Unione Europea, i Capi di Governo francese, italiano e tedesco, gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti – è stato ritenuto necessario dalla Comunità Internazionale, decisa a invertire la tendenza del Sahel nel quale dilagano le milizie terroristiche. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, durante il Summit, ha dichiarato che i leader europei sono consapevoli che “la stabilità del Sahel, la sua capacità di difendere la sicurezza e di contrastare il terrorismo islamista è assolutamente fondamentale per tutta la Regione”. L’Italia sarà coinvolta direttamente nel progetto attraverso una missione di addestramento delle forze nigeriane che parteciperanno alla forza congiunta del Sahel. La stabilità della regione, inoltre, rientra negli interessi dell’Europa non solo per combattere il terrorismo ma anche per fermare i flussi migratori: l’80% dei migranti

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l’Italia in passato ha richiamato l’attenzione dell’Unione Europea e per il quale ha aperto l’Ambasciata a Niamey, in Niger, nella speranza di riuscire a comprendere le dinamiche del problema indagandolo sul campo.

Il Summit è stato fondamentale per stabilire le prossime linee di azione. L’Eliseo, in una nota ufficiale, ha dichiarato che l’obiettivo è quello di “aumentare la mobilitazione a vantaggio del G5 Sahel, militarmente, politicamente e finanziariamente”. Il progetto, infatti, valutato positivamente dalla Comunità Internazionale, necessita di un acceleramento attraverso l’impegno congiunto tra gli Stati del G5 e gli attori internazionali che lo supportano e lo finanziano. Sebbene le intenzioni siano positive restano alcuni problemi contestuali nella zona. Il Sahel rimane un’area povera ed economicamente instabile. L’Unione Europea ha destinato 50 milioni di euro allo sviluppo del G5 Shael, la Francia supporta il progetto con 8 milioni di euro, così come l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti hanno destinato rispettivamente 100 milioni e 60 milioni di dollari. Gli aiuti internazionali dunque non mancano, ma sarebbe necessario assicurarsi che gli investimenti vengano sfruttati efficacemente.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole

IL MESSICO TEME LA RIFORMA FISCALE DI TRUMP Le aziende messicane e statunitensi potrebbero trasferirsi negli USA

Di Davide Mina

A R G E N T I N A 11 dicembre. Si è svolto a Buenos Aires il vertice ministeriale del WTO, segnato da proteste nelle strade, tensioni internazionali e critiche al Governo Macri per aver proibito l’accesso alla conferenza a rappresentanti di 26 ONG a causa di post condivisi sui social media. Il vertice era già stato segnato da molteplici contestazioni per l’improvvisa revoca delle autorizzazioni ad altrettanti delegati di varie ONG debitamente accreditati. C O L O M B I A 13 dicembre. Martha Álvarez, cittadina lesbica colombiana, ha ricevuto le scuse ufficiali a parte dello Stato per discriminazioni subite in prigione a causa del suo orientamento sessuale. Il caso ha destato anche l’interesse della commissione per i diritti umani dell’OAS, considerata la scottante attualità del tema. La testimonianza di Álvarez ha portato all’introduzione di proposte di riforma nel sistema carcerario del Paese.

ECUADOR 14 dicembre. Il vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas è stato condannato a 6 anni per corru-

Ad inizio dicembre il Senato degli Stati Uniti ha approvato la riforma fiscale di Trump, con 51 voti favorevoli e 49 contrari. Per diventare effettiva, la legge dovrà essere prima approvata alla Camera e questo darà la possibilità ad altri attori di esprimere la propria preoccupazione. Tra le altre cose, infatti, la riforma prevede un abbattimento della tassazione sui redditi societari (dal 35% al 20%). In agitazione è il Messico, vicino agli USA per ragioni geografiche e commerciali e che dal 1994 beneficia del NAFTA, l’accordo nordamericano per il libero scambio. Attualmente la tassa sui redditi in Messico è del 30% e i media messicani ritengono che, alla promessa di Trump di far pagare al Messico il muro che sarebbe stato costruito sul confine, si sia sostituito un più concreto tentativo di concorrenza fiscale. L’obiettivo è fare sì che le imprese statunitensi che hanno spostato la produzione in Messico tornino negli USA. Allo stesso modo, si teme una fuga di capitali dal Messico e che grandi imprese messicane con parte degli stabilimenti negli Stati Uniti lascino definitivamente il proprio Paese. Non una buona notizia per il presidente Enrique Peña Nieto, giunta mentre si avvicinano le elezioni presidenziali messicane (luglio 2018), una consultazione

che potrebbe portare a una vittoria della sinistra. I media e le varie forze politiche messicane propongono strade diverse per salvaguardare l’interesse nazionale. Gli analisti del quotidiano La Opinión ritengono che, sebbene potrebbe essere più sensato controbattere con una riforma fiscale speculare evitando fughe di capitali, l’opzione non è viabile a causa dei livelli altissimi di debito pubblico che causerebbe. Parrebbe, quindi, che, sul breve periodo, il Messico non abbia margine di azione. Dal punto di vista liberista, riportato nei media messicani, si considera l’azione di Trump un’opportunità: finalmente una riforma del sistema fiscale messicano si presenta come strada obbligata. El Economista propone un’analisi che si focalizza sugli aspetti positivi della situazione: il Messico continua a offrire manodopera a un prezzo minore di quello negli Stati Uniti, garantendo un incentivo sufficiente per evitare la fuga delle imprese. Nonostante le diverse opinioni, tutti concordano che, in assenza di facili soluzioni, il Messico potrà uscire da questa situazione solo attraverso l’implementazione di importanti riforme politiche e istituzionali; considerando inoltre l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali messicane, il processo di rinnovamento sarà a carico della prossima legislatura.

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AMERICA LATINA zione nell’ambito del caso Odebrecht, il gigantesco scandalo incentrato sull’azienda brasiliana di costruzioni che ha coinvolto l’intero continente. Glas è accusato di aver accettato tangenti per 13,5 milioni di dollari, ed è agli arresti da ottobre. H O N D U R A S 12 dicembre. Secondo Amnesty International sono 14 le vittime totali degli scontri che si sono susseguiti in tutto il Paese a seguito delle elezioni generali, il cui esito rimane in disputa. La decisione definitiva del Tribunale Elettorale verrà comunicata il 26 dicembre. MESSICO 11 dicembre. Un incidente stradale a Città del Messico ha causato 11 vittime e 12 feriti fra i pellegrini in viaggio presso il santuario di Nostra Signora di Guadalupe. Il sito è la più grande meta di pellegrinaggio in America Latina nonché una nota icona culturale e religiosa messicana.

VENEZUELA 10 dicembre. Le elezioni municipali sono state boicottate da tre dei quattro principali partiti di opposizione in protesta contro il Governo. Maduro, il cui partito è risultato vincitore in 300 circoscrizioni su 335, ha dichiarato che i partiti astenuti “non potranno partecipare” alle prossime elezioni. A cura di Elena Amici

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L’INFLUENZA CINESE IN AMERICA LATINA La fine dell’egemonia statunitense in America Latina

Di Sveva Morgigni L’America Latina – 600 milioni di abitanti, enormi prospettive di sviluppo economico sostenuto ed enormi diseguaglianze – è diventato un continente soggetto ad una forte influenza cinese. Al contrario, gli Stati Uniti, che per ragioni geografiche, storiche e culturali hanno sempre avuto maggiori legami, si sono volontariamente allontanati da possibili accordi internazionali con il continente. La lealtà all’agenda protezionista del presidente Trump, portata avanti con lo slogan “America First”, insieme all’amicizia di Pechino con l’America Latina, potrebbe rappresentare la fine dell’egemonia statunitense nella regione. Una settimana dopo l’elezione di Donald Trump, infatti, il presidente Xi Jinping si è recato in America Latina per la terza volta in tre anni, inviando un messaggio chiaro: la Cina vuole essere l’alleato principale della Regione. “Se condividiamo la stessa voce e gli stessi valori, possiamo conversare e apprezzarci a prescindere dalla distanza”, ha promesso il leader asiatico davanti alla presidente cilena Michelle Bachelet. La strategia della Cina in Ame-

rica Latina è volta all’affidabilità, alla promozione di un rapporto internazionale di tipo pacifico per garantire fiducia e mutui vantaggi. Nell’arco di 15 anni la Cina ha aumentato esponenzialmente i suoi investimenti nella Regione, moltiplicando di 22 volte il volume del commercio con i Paesi della Regione. Nel 2016, Pechino ha investito circa 90 milioni di dollari nei Paesi dell’area; così facendo, la Cina è diventata una presenza comune dal Cile al Messico, passando per l’Argentina e il Brasile. Come affermato dal giornalista Juan Pablo Cardenal, oltre all’influenza economica, la Cina cerca di ottenere altresì quella politica, culturale e sociale per colmare il vuoto creato dalla mancanza di una strategia statunitense. La Cina ha creato istituti confuciani nelle università di 9 Paesi, per promuovere l’apprendimento della lingua e della cultura cinese. Inoltre, nonostante la limitata libertà di stampa in Cina, questa e l’America Latina hanno stretto una collaborazione che ogni anno celebra un congresso con i principali attori dei media della regione americana. Resta da vedere dove porterà questa nuova amicizia internazionale.


ECONOMIA L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE RIMPIAZZA IL CAPITALE UMANO Automazione tra vulnerabilità, entusiasmo e preoccupazione

Di Francesca Maria De Matteis “What determines vulnerability to automation, experts say, is not so much whether the work concerned is manual or white-collar but whether or not it is routine. Machines can already do many forms of routine manual labour, and are now able to perform some routine cognitive tasks too.” È quanto si legge sulla rivista The Economist in un articolo del 25 giugno 2016. Il titolo stesso del pezzo è estremamente eloquente: “Automation and anxiety”. Se, da un lato, l’innovazione tecnologica trasmette ondate di entusiasmo, dall’altro, non si può negare come i recenti sviluppi causino preoccupazione per quanto riguarda impieghi e salari. Ma il professore di economia dell’università di Boston, Jim Bessem, prova ad abbassare la tensione, spostando l’attenzione sugli aspetti positivi dell’innovazione, ponendo al centro della sua argomentazione la domanda di beni e servizi. L’automazione, portando ad un consistente aumento della produzione, fa in modo che la domanda stessa aumenti. Se tale incremento è consistente, l’aumento dei posti di lavoro ne è la principale conseguenza. È

una

ricerca

condotta

dalla società di consulenza McKinsey&Company, che, prevedendo uno sviluppo estremamente invasivo dell’automazione industriale, ha stimato che il numero di impiegati che, nel giro di pochi anni, sarà costretto a cercarsi un altro impiego, potrà arrivare anche a 375 milioni. Sembra che nel 2030 sarà coinvolta tra il 3% e il 14% della forza lavoro mondiale. Il cambiamento radicale nella distribuzione del lavoro tra forza lavoro umana e robot richiederà ai diretti interessati anche un ulteriore sforzo, per adattarsi e prendere confidenza con il nuovo regime. Secondo il partner europeo della società, Roberto Lancellotti, “il 60% degli attuali ruoli avrà almeno il 30% di attività che potranno essere automatizzate”. Sembrano numeri inverosimilmente alti, ma fondati sull’esperienza degli Stati Uniti, che solo nel 2016 hanno visto la robotica rimpiazzare circa 2,5 miliardi di dollari di salari. L’intelligenza emotiva che li caratterizza, renderà, in un futuro relativamente vicino (si pensa entro il 2050), i robot capaci di prendere decisioni strategiche all’interno di un’azienda. Riuscendo a ricoprire i ruoli manageriali più importanti, lo sviluppo della robotica sta mettendo le radici

anche in quei settori che più di altri sono caratterizzati da un elevato capitale umano, come la medicina e le realtà aziendali. Questo a dimostrazione del fatto che, a differenza di quello che più intuitivamente ci si potrebbe aspettare, non sono solamente gli impieghi più modesti, i cosiddetti low-skill and low-wage roles, a risentirne. L’economia e la finanza, fino ai più elevati ambiti manageriali, racchiudono al loro interno un elevato numero di posizioni che possono essere automatizzate. Come un articolo del World Economic Forum afferma, meno del 5% delle occupazioni, a livello mondiale, non sono sostituibili da intelligenze artificiali. Il paradosso che giace dietro questo progresso sembra insospettabile. Sembra, infatti, che, nonostante l’introduzione massiccia dell’automazione porti a una diminuzione della fatica richiesta al singolo operaio o impiegato durante le ore lavorative, questa renda le nuove occupazioni, principalmente di supervisione, tediose e ripetitive. Questo processo, che è stato denominato ‘effort paradox’, spiega perché anche le professioni di controllo, come gli audit aziendali, potrebbero ben presto essere condotte da intelligenze artificiali. MSOI the Post • 17


ECONOMIA I BITCOIN APPRODANO IN BORSA

A Chicago al via gli scambi di futures sulla criptomoneta

Di Alberto Mirimin L’11 dicembre 2017 potrebbe essere ricordato a lungo nel mondo della finanza. In tale data, infatti, per la prima volta la moneta Bitcoin è stata immessa in un mercato ufficiale e regolato. In particolare, nella giornata di lunedì al Chicago Board Options Exchange, il più grande mercato statunitense delle opzioni, hanno preso il via le negoziazioni di ‘Bitcoin futures’, ossia contratti che consentono agli investitori di scommettere sull’andamento futuro della criptovaluta. Nei primi 20 minuti successivi all’apertura, il traffico sul sito delCBOEèstatocosìintensodarenderlo inaccessibile. Gli scambi sono partiti con una valutazione iniziale di 15.400 dollari sui futures con scadenza 17 gennaio 2018, arrivata poi durante la nottata a superare i 18.000 dollari per quelli con scadenza a febbraio e marzo. A detta di molti, questo debutto è stato un cruciale segnale di sdoganamento per i Bitcoin, strumento che, ancora oggi, molti considerano pericoloso e poco trasparente. I Bitcoin, nati nel 2008, sono una ‘moneta virtuale’ alternativa alle normali monete, prodotta

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dalla risoluzione di complesse equazioni. Essi, quindi, non vengono stampati da una banca centrale e nessun governo vi esercita un controllo. Al momento, ve ne sono in circolazione circa 16,5 milioni, ed il loro valore segue solamente le leggi della domanda e dell’offerta. All’inizio del 2017 1 Bitcoin valeva circa 1.000 dollari, ma una crescita ininterrotta ha portato a fare registrare un aumento del suo valore del 1500% in un anno. Tuttavia, data la loro instabilità, ad oggi soltanto un ridotto numero di negozi, soprattutto online, li utilizza per le transazioni. Il fatto che tale valuta riesca ad eludere il controllo delle banche centrali, ha fatto sì che si creasse intorno ad essa un alone, oltre che di curiosità, di pauraediffidenza. La stessa CFTC,ente del governo statunitense che ha deciso di permettere lo scambio dei futures sui Bitcoin, ha avvertito i potenziali investitori della loro volatilità, segnalandoli come uno strumento molto rischioso. L’ultima ad assumere una posizione a sfavore di essi è stata la Deutsche Bank, che ha inserito il possibile crollo della criptovaluta tra i fattori di rischio sistemico nel 2018 per i mercati.

Un altro fattore di timore è rappresentato dai possibili furti da parte di hacker. Basti pensare che, nel 2014, la principale piattaforma di scambio della criptomoneta, Mt.Gox, collassò proprio a causa di un furto informatico di 850.000 Bitcoin, pari, all’epoca, a 450 milioni di dollari. La paura più grande è, in sostanza, quella di trovarsi di fronte a un’enorme bolla speculativa, pronta a scoppiare da un momento all’altro, minacciando la stabilità del sistema finanziario. Tuttavia, secondo molti esperti del settore, la vera rivoluzione dei Bitcoin non sta nella valuta in sé, quanto nel suo meccanismo di funzionamento, che riesce a prescindere da un organo centrale garante. Quello che è certo è che lo ‘sbarco’ dei Bitcoin futures sul CBOE è stato solo il primo passo ufficiale, pronto ad essere seguito a ruota il 18 dicembre da quello sul Chicago Mercantile Exchange, importante centro di scambio dei prodotti finanziari derivati, e prossimamente anche su Nasdaq.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO LA SENTENZA TARICCO II: LA FINE DI UNA SAGA?

La tanto attesa sentenza punta a risolvere, finalmente, una querelle giudiziaria che ha visto contrapposte la Corte costituzionale italiana e la CGUE

Fino a che punto si può spingere la disapplicazione del diritto interno? È ammissibile disapplicare norme interne, addirittura costituzionalmente protette, al fine di far rispettare il diritto dell’UE? Con la sentenza Taricco II (C42/17, M.A.S. & M.B.), la CGUE è dovuta tornare una seconda volta su tali temi (ed altri) – tramite ordinanza di rinvio da parte della Corte costituzionale italiana – per dare chiarezza alla sua precedente sentenza C-105/14, nota come Taricco I. E ciò non a caso. La sentenza, infatti, trattando un tema estremamente dibattuto in Italia, ovvero la normativa riguardante la prescrizione dei reati attinenti alle frodi sull’IVA, stabilì che i giudici italiani fossero tenuti a disapplicare direttamente tali norme in quanto, in caso contrario, lo Stato sarebbe andato contro il rispetto dell’art. 325 TFUE e l’art. 2 TFUE, il primo dei quali stabilisce che “l’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (…)”. Tuttavia, la sentenza Taricco I ha fatto sorgere molteplici dubbi in dottrina sin dalla sua applicazione, poiché quest’ultima andrebbe contro il principio di legalità delle pene (nullum crimen, nulla

poena sine lege), art. 25 Cost., dal momento che in Italia la prescrizione – benché dibattuto –, ha valore sostanziale e non procedurale. Ciò avrebbe portato la CGUE ad agire ultra vires interpretando la nozione di effetto diretto in maniera troppo estensiva. La Corte costituzionale italiana ha richiesto così, tramite ordinanza di rinvio, un parere alla CGUE dal quale si potesse trovare una soluzione per non giungere in caso contrario, come paventato dalla Corte stessa, all’applicazione dei c.d. “controlimiti”. La posta in gioco era estremamente alta e la possibilità di uno “scontro frontale” tra le due Corti concreta; eventualità questa, che sembrò preconizzarsi con le conclusioni dell’avvocato generale Y. Bot, il quale, apparentemente senza prendere in considerazioni le perplessità sollevate dalla Suprema corte italiana, riprese di fatto la sentenza Taricco I ribadendo che vige il principio del primato. Full stop. La lettura della sentenza Taricco II sembra far venire meno tale preoccupazione, caratterizzandosi piuttosto come ulteriore tentativo di dialogo con la Corte italiana in un’ottica di reciproco ascolto, elemento questo, evidenziato nei paragra-

fi iniziali del dispositivo. La Corte, infatti, pur ribadendo il dovere da parte degli Stati di perseguire efficacemente le frodi fiscali legate all’IVA come stabilito dal Trattato, sembra voler lasciare agli Stati, al pari delle direttive, margine di manovra e dunque libertà di raggiungere questo risultato con i mezzi che preferiscono (§§32-41). Suddividendo il principio di legalità in tre parti “foreseeability, precision, and non-retroactivity”, la Corte non si discosta dalla prima sentenza ribadendo che il principio di legalità in ogni caso continuerebbe a non essere in pericolo, riconoscendo quest’ultimo come elemento legato alle “common constitutional traditions”. L’escamotage giuridico per risolvere le problematicità relative alla disapplicazione del diritto interno è estremamente rilevante. Infatti, se da un lato la Corte evidenzia il preciso dovere giuridico del rispetto dell’art. 325 TFUE, dall’altro stabilisce che “se il giudice nazionale dovesse quindi essere indotto a ritenere che l’obbligo di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione contrasti con il principio di legalità dei reati e delle pene, esso non sarebbe tenuto a conformarsi a tale obbligo”. (§61). Semplice. O no? MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO SCHENGEN

Spazio di libertà, sicurezza e giustizia

Di Stella Spatafora Sebbene il processo d’integrazione europea sia stato concepito per la creazione del mercato interno, la finalità economica si è rivelata essere sin da subito strumentale a obiettivi ben più ampi, a sostegno di un percorso onnicomprensivo in cui il fulcro è da individuarsi nella garanzia della pace in Europa, come rivela il contenuto dell’art. 3 TUE.

la sicurezza del sistema. Questo processo ha dato vita allo spazio Schengen, nato al di fuori dal quadro giuridico europeo a partire dal 1985, avanzando poi verso la stipulazione di un accordo internazionale; l’acquis di Schengen è così entrato a far parte del diritto dell’UE a partire dal 1997.

Subito dopo il mantenimento della pace – e la sua promozione –, al comma (2) del medesimo articolo è collocata la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, da considerarsi come ulteriore obiettivo primario dell’Unione Europea, addirittura menzionato prima della costituzione del mercato interno, quest’ultimo situato al comma (3). Lo sviluppo dell’Unione può dunque inquadrarsi in un contesto armonico che assicuri l’esercizio delle libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali in piena sicurezza. Si aspira, quindi, a un’integrazione efficiente, in cui la giustizia possa custodire pienamente tali libertà.

Un ulteriore dettaglio è contenuto nel reg. 399/2016 (Codice frontiere Schengen) la cui disciplina delinea nella pratica una zona in cui sia i cittadini UE sia i cittadini di Paesi terzi possano spostarsi liberamente senza controlli di frontiera. A garanzia che ciò avvenga in sicurezza, permane il controllo alle frontiere esterne attraverso una gestione integrata delle stesse. Sebbene gli Stati parte ai confini dell’area Schengen siano quelli con l’onere maggiore per ciò che riguarda la responsabilità di organizzare i controlli alle frontiere, ciò non esclude una cooperazione tra tutti i membri, attraverso controlli di polizia e monitoraggio di dati e informazioni: il SIS – Sistema d’informazione Schengen – ne è un valido esempio.

La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia prende forma attraverso l’eliminazione dei controlli fisici alle frontiere interne pur facendo salvo il controllo di quelle esterne, necessario a garantire

Nonostante Schengen si basi sull’eliminazione delle frontiere, negli ultimi anni stiamo assistendo a un’inversione di marcia, causata da diffusi sentimenti di insicurezza e malessere da parte degli Stati, sempre più preoc-

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cupati a tutelare i propri confini da una possibile “minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna”. L’art. 25 del reg. 399/2016 offre la possibilità di ripristinare i controlli alle frontiere interne in maniera eccezionale e temporanea. Il principio di proporzionalità di tali misure è cruciale nel bilanciare la sicurezza da un lato e garantire la sostenibilità di Schengen, dall’altro. Purtroppo, tale principio sembra essere offuscato dall’utilizzo del ripristino delle frontiere interne per giustificare un “innalzamento di muri”, con il fine di limitare una crisi migratoriapercepita dagli Stati come inarrestabile, mettendo però così in discussione non solo Schengen, bensì la tutela dei diritti umani. L’augurio è dunque che la proposta di aggiornamento del Codice Schengen, presentata dalla Commissione Europea lo scorso settembre, possa essere ritenuta idonea. È necessario riuscire a stabilire un efficace equilibrio tra la necessità di garantire lo spazio comune come sicuro, instaurando altresì un clima di fiducia reciproca tra gli Stati membri, in modo da esercitare una collaborazione armoniosa che preservi e rafforzi uno dei maggiori traguardi dell’Unione Europea.


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