MSOI thePost Numero 103

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 1 maggio. Violenti scontri a Parigi in occasione della manifestazione del “May Day”. Attivisti black block hanno acquisito la testa del corteo, poco dopo la sua partenza da Place de la Bastille, creando il caos. Il centro di Parigi è divenuto campo di battaglia: decine di auto date alle fiamme e diversi feriti e contusi, è stato il bilancio dei violenti scontri avvenuti fra le forze dell’ordine e i facinorosi. Ingenti danni anche per un McDonald e un concessionario Renault. Il ministro dell’Interno francese, Gérard Collomb, ha duramente condannato gli scontri in un tweet.

GRECIA 28 aprile. Il ministro delle Finanze greco, Euclide Tsakalotos, in occasione del Summit di Sofia con i propri colleghi dell’Eurozona, ha definito il piano di azione che la Grecia attuerà dal 20 agosto, “termine della terza tranche di aiuti”. Il programma, oltre al rispetto degli impegni presi con la Troika, prevede la creazione di una Banca Pubblica di Sviluppo, sul modello di quella tedesca, la quale avrà il nome di Hellenic Development Bank. La proposta, sembra aver convinto i rappresentanti europei, anche se permane scetticismo in vista di un possibile calo delle aspettative di crescita.

REVISIONE BILANCIO UE: DAL 2021 TASSE SU PLASTICA NON RICICLATA Proposta della Commissione per alimentare le finanze del post-Brexit

Di Giulia Marzinotto 2 maggio. Nella sua proposta di revisione del bilancio dell’UE per il periodo 2021-2027, la Commissione europea ha sottolineato la necessità di “introdurre un paniere di nuove risorse proprie collegato alle priorità politiche” dell’Unione. Anche alla luce della sempre più prossima Brexit, il presidente Jean-Claude Juncker e il commissario per il bilancio e le risorse umane, Günther Oettinger, hanno specificato che le nuove risorse ammonteranno ad un totale di circa 22 miliardi l’anno (pari al 12% dell’intero bilancio europeo). La proposta della Commissione, che prevede la semplificazione dell’attuale risorsa propria basata sull’imposta sul valore aggiunto (Iva), include tra le nuove risorse proprie le entrate relative ad “un contributo nazionale calcolato in base alla quantità di rifiuti non riciclatidi imballaggi in plastica di ciascuno Stato membro (0,80 euro al chilogrammo)”. La proposta di una vera e propria tassa europea sulla plastica era stata preannunciata nel gennaio scorso, durante la presentazione della strategia per il 2030 per la lotta all’inquinamento da plastica: in quella sede, si era definito

come obiettivo finale quello del riciclo e del riuso totale degli imballaggi plastici immessi sul mercato Ue, che oggi ammonta al solo 30%. Il vicepresidente della Commissione europea, Jirky Katainen, aveva espresso riserve in merito alla proposta e anche i produttori di materie plastiche, riuniti nella federazione Plastics Europe, si erano detti contrari ad una misura che avrebbe potuto “pregiudicare l’efficienza nello sfruttamento delle risorse e ostacolare l’innovazione nel settore”. Nonostante ciò, la riflessione della Commissione sul futuro bilancio pluriennale dell’Ue ha finalmente portato ad un’inclusione di tale misura nella strategia a lungo termine dell’UE. L’obiettivo di ridurre i 25 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti da plastica prodotti in Europa trova una spinta importante nella decisione della Cina di vietare l’importazione di rifiuti: i Ventotto, infatti, esportavano il 60% dei rifiuti di plastica verso Pechino e tale decisione ha costretto l’esecutivo comunitario a pensare velocemente a nuove e più ambiziose misure europee di riciclo e riuso. MSOI the Post • 3


EUROPA REGNO UNITO 30 aprile. Definita la scelta del nuovo Ministro dell’Interno del governo May: si tratta di Sajid Javid, figlio di immigrati pachistani e, oggi, titolare del dicastero degli Affari Regionali. La scelta, secondo i media britannici, ricalcherebbe la linea del “politically correct”, finalizzata ad arginare le polemiche che hanno portato alle dimissioni della ormai ex ministro, Amber Rudd, travolta dallo scandalo dei diritti negati ai migranti caraibici della “generazione Windrush”. Una scelta, quella di Theresa May, difensiva, anche in vista del processo di attuazione della Brexit.

SPAGNA 2 maggio. L’ETA, Euskadi Ta Askatasuna, ha annunciato la sua “completa dissoluzione”. L’organizzazione basca, per anni autrice di diversi atti di terrorismo, ha annunciato, con una lettera pubblica indirizzata al quotidiano El Paìs, la propria completa dissoluzione, pur specificando che “tale scioglimento non risolverà il conflitto in atto fra Paesi Bachi, Francia e Spagna”. Questo armistizio è seguito alle azioni dello scorso anno, durante le quali il gruppo riconsegnò le armi alle autorità francese, porgendo le scuse ai parenti di 856 vittime. A cura di Simone Massarenti 4 • MSOI the Post

API A RISCHIO ESTINZIONE: L’UE METTE AL BANDO TRE NICOTINOIDI Bayer e Sygenta faranno ricorso alla CGUE

Di Edoardo Schiesari Lo scorso 27 aprile è stata approvata una proposta della Commissione Europea con cui viene esteso a tutti gli Stati membri dell’Unione un bando, già in vigore dal 2013 (varato a seguito di un rapporto dell’EFSA, agenzia europea per la sicurezza alimentare), con cui vengono vietati tre pesticidi neonicotinoidi, ritenuti letali per le api. Nello specifico, sono banditi i tre principi attivi imidacloprid, clothianidin e tiamethoxam, che d’ora in avanti potranno essere utilizzati solo all’interno di serre permanenti, dove non è prevista l’esposizione alle api. La proposta è stata approvata grazie al voto di 16 Paesi, tra cui l’Italia. Una misura che tutela “la biodiversità, l’ambiente e la produzione alimentare”. Lo scopo del divieto, che sarà applicabile dalla fine del 2018, è impedire l’utilizzo di questi principi attivi, diffusamente usati dagli agricoltori e notoriamente dannosi soprattutto per gli animali invertebrati, quali gli insetti. L’uso dei pesticidi, insieme al cambiamento climatico, rientra fra le prime cause di estinzione delle api e degli altri impollinatori, da cui, secondo i dati FAO, dipende la maggior parte della produzione agricola europea per l’alimentazione. Nel 2017, a causa della siccità,

la produzione del miele a livello europeo è calata drasticamente, riducendosi addirittura del 75%. Nello specifico, poi, sempre secondo i dati FAO, delle 100 specie vegetali che forniscono il 90% del cibo nel mondo, 71 sono impollinate dalle api. Secondo Kathleen Van Brembt, eurodeputata del gruppo S&D, “l’attuale modello agricolo e di produzione alimentare non è più sostenibile e mette a rischio la salute”. La scelta della Commissione ha incontrato l’approvazione anche da parte delle associazioni che si battono in prima linea per la difesa dell’ambiente, tra cui spiccano Greenpeace e WWF, che però auspica che venga imitato il modello legislativo francese, che nelle ultime settimane sta varando un progetto di abolizione totale di tutti i neonicotinoidi, con l’intento di evitare che vengano sostituiti con sostanze chimiche altrettanto dannose, magari provenienti da stati esterni all’Unione (come sottolineato dalla Coldiretti, organizzatore dei produttori agricoli italiani). Non si è fatta attendere la reazione di Bayer e Syngenta, le due multinazionali produttrici di nicotinoidi, che hanno annunciato imminente ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro il divieto varato dalla Commissione.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole CANADA 3 maggio. La Commissione di audit degli affari dei veterani ha affermato che “il programma di reinserimento lavorativo di veterani canadesi è stato un flop”. Inaugurato dal governo dei conservatori nel 2012, avevano fatto richiesta per questo programma 355 veterani, ma solo 40 sono stati effettivamente aiutati e rimborsati. L’attuale governo di Justin Trudeau ha affermato che “porterà presto avanti un completo cambiamento del programma tramite l’assunzione di una ditta privata che se ne occupi direttamente”. STATI UNITI 1° maggio. Secondo un sondaggio condotto da U.S. News, la maggioranza degli americani ritiene che la Cina sia “l’attore più importante sullo scenario internazionale”. Il 2018 Best Countries ranking segnala, dunque, una preoccupazione dell’opinione pubblica americana, sebbene quella mondiale consideri, invece, ancora gli Stati Uniti l’attore di maggiore rilevanza. 2 maggio. La polizia di Las Vegas ha rilasciato il primo video della sparatoria avvenuta il 1 ottobre 2017, la quale lasciò senza vita 58 persone, rendendola la sparatoria con il più elevato numero di vittime mai tenutasi negli Stati Uniti. La polizia ha chiesto scusa: il video, infatti, “potrebbe traumatizzare ulteriormente i parenti e amici delle vittime, nonché i superstiti di quella terribile notte”. Lo sceriffo, Joe Lombardo, ha, dunque, rilasciato il video con riluttanza, affermando, tuttavia, che il video in questione potrebbe aiutare a fare chiarezza sulle dinamiche di quella sera.

ASIAN AFFAIRS AND THE USA INFLUENCE The North Korea-South Korea Summit Aftermath

By Kevin Ferri The history of Asian countries seems on the verge of being re-written. Just 6 days ago, the supreme leader of North Korea Kim Jong-un and the South Korean president Moon Jae-In met in Panmunjom for peace talks in occasion of the 2018 Inter-Korean Summit. This new diplomatic approach adopted by the North Korea might appear strange and unconventional. Just few months ago, Kim Jong-un was firmly promoting the strength of North Korean nuclear assets and internally was encouraging a crusade against the United States. So, currently, what are the Supreme Leader’s plans? Is he hiding something? A first compelling aspect in the current scenario are the economic factors. Treasury Secretary Steven Mnuchin said that the Trump administration’s crunch about economic sanctions against North Korea are the reasons why leader Kim Jong-un is considering peace talks. The effects of sanctions on North Korea’s economy have been mixed so far, but recent rounds could potentially have a major impact. Pyongyang has grown increasingly isolated from the global market and its people cut off from economic opportunities. The international sanctions of September 2017, if enforced, could stem

the flow of up to $1.3 billion to Pyongyang. The UN ban on textile exports, North Korea’s second-largest industry after coal, could cost the regime around $800 million annually. Altogether, UN sanctions target 90 percent of Pyongyang’s publicly reported export products. A second aspect that should be considered are the diplomatic shifts, which started after the historic Inter-Korean Summit. China has always been the first intermediary between the U.S./ South Korea and North Korea. Moreover, China has also been the first economic partner for North Korea – accounting for 90% of North Korean trade. In light of the foregoing, president Xi Jinping is reasonably not so happy about a SouthNorth Korean peace talk. That is because this would mean not being able to have an exclusive economic and political tie with North Korea and potentially opening the way for South Korean and American influence on the territory. On Monday, China’s Foreign Ministry announced it was sending its top diplomat, Foreign Minister Wang Yi, to North Korea. Clearly, Beijing needs proofs and guarantees that North Korea will still consider China as a crucial intermediary in International Diplomatic Affairs, thus preserving it is economic and political ties in the region. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA 3 maggio. Il presidente Donald Trump dovrà decidere, entro il 13 maggio, se gli Stati Uniti continueranno a supportare l’accordo sul nucleare iraniano o se, al contrario, decideranno di uscirne denunciando il trattato. Frattanto, il ministro degli Affari Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, in un video rilasciato su You Tube, ha annunciato che “l’Iran non si sentirà obbligato a rispettare il trattato nel caso in cui gli Stati Uniti decidessero di denunciarlo”. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha segnalato “il rischio, nel caso in cui gli Stati Uniti uscissero dall’accordo, di nuove tensioni e, probabilmente, di una guerra con l’Iran”.

3 maggio. La pornostar Stormy Daniels sarebbe stata pagata dal legale del presidente Trump Michael Cohen, secondo quanto affermato da Rudy Giuliani. Sarebbero state, dunque, smentite le precedenti affermazioni del Presidente, il quale aveva negato di essere a conoscenza di tale pagamento. Trump ha successivamente affermato che i 130.000 dollari non sarebbero stati pagati con il denaro della campagna elettorale presidenziale del 2016. A cura di Leonardo Veneziani

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DOPO MACRON, ANCHE ANGELA MERKEL SI RECA ALLA CASA BIANCA Diverse le questioni affrontate con Trump, dai dazi commerciali alle spese militari

Di Luca Rebolino Venerdì 27 aprile, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha incontrato a Washington il presidente statunitense Donald Trump. Un incontro breve che fa subito emergere le differenze con la ben più pomposa accoglienza riservata a Macron, avvenuta la stessa settimana. Mentre la visita del Presidente francese aveva confermato una notevole intesa tra i due leader, soprattutto a livello personale, i rapporti con la Cancelliera tedesca sono stati caratterizzati da una certa freddezza e diffidenza. I temi discussi sono altamente complessi e vedono in gioco interessi contrastanti. L’attenzione è stata posta principalmente sulla questione delle tariffe protezionistiche statunitensi e, in particolare, sull’esenzione temporanea nei confronti dell’UE, la cui scadenza era fissata proprio per il primo maggio – termine poi prorogato di un ulteriore mese per proseguire con le trattative. La politica commerciale è fondamentale per l’economia tedesca, che è storicamente fondata sull’export e che sarebbe danneggiata da una guerra commerciale tra i partner. Trump ha ribadito la propria posizione, volendo privilegiare gli interessi specifici dell’industria nazionale. Insoddisfatto dello stato attuale, il presidente statunitense mira a ristabilire un

equilibrio negli scambi commerciali, ora – a suo parere – fortemente a sfavore degli Stati Uniti. In occasione di tale incontro non sono mancate le critiche alle spese militari della Germania, giudicate ancora insufficienti per i parametri della NATO (2% del PIL). Trump, infatti, vuole ridistribuire gli oneri della difesa militare tra i membri dell’Alleanza. La Merkel, dal canto suo, ha ribadito l’impegno tedesco ad aumentare nei prossimi anni le spese, che per il 2019 sono ormai fissate al solo 1,35%. Tra i dossier affrontati, si è anche discusso della linea da seguire con l’Iran, in vista del 12 maggio, data in cui gli USA stabiliranno se rimanere nell’accordo sul nucleare. La Cancelliera, pur riconoscendone alcuni difetti e aprendo alla possibilità di modifiche, ha ribadito l’importanza strategica che un trattato del genere ha sia per la stabilità del Medio Oriente sia per gli interessi europei e americani. Nonostante i contrasti, si registrano anche i complimenti fatti dalla Cancelleria per i recenti risultati ottenuti nei rapporti con la Corea del Nord. Trump ha, infatti, rivendicato i propri meriti per come ha affrontato la minaccia, essendosi mostrato intransigente e non avendo rinunciato a esercitare forti pressioni sul dittatore.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA. 29 aprile. La visita del segretario di Stato statunitense Mike Pompeo in Medio Oriente è iniziata da Riyadh: “Il mio scopo è quello di rafforzare i nostri rapporti”, ha dichiarato il Segretario di Stato durante una conferenza stampa. 2 maggio. Dichiarazione shock del principe saudita, Mohammed bin Salman: “I palestinesi accettino la proposta di Trump o chiudano la bocca”. IRAN

1 maggio. Tensioni in atto. L’ayatollah, Ali Khamenei, ha lanciato un avvertimento: “Trump sta spingendo i Sauditi ad un confronto armato con noi”. IRAQ 1 maggio. 19 donne russe e spose degli uomini militanti dell’Isis sono condannate all’ergastolo dalla Corte penale irachena. ISRAELE/PALESTINA 27 aprile. Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Mladenov, ha invitato ad una “de-escalation del conflitto in atto al confine fra Gaza e Israele”. 28 aprile. Si è svolta a Milano la grande conferenza annuale sul diritto al ritorno del popolo palestinese. Oltre 17, gli interventi effettuati da diversi leader religiosi e da vari esponenti della politica.

I DIRITTI VIOLATI DEI RIFUGIATI IN TURCHIA In Turchia lo status dei rifugiati rimane quello di “ospiti” indesiderati

Di Maria Francesca Bottura Risale a marzo 2016 l’accordo stipulato tra Unione Europea e Turchia per finanziare l’accoglienza dei rifugiati, in maggioranza di cittadini siriani, e controllare il flusso migratorio verso l’Europa. Lo scorso marzo, infatti, è stata versata la seconda parte della somma prevista, pari a 3 miliardi, che, secondo il suddetto accordo, sarebbe dovuta essere ripartita tra sanità, istruzione e garantire la riduzione della pressione migratoria. Eppure, molti immigrati rimangono degli scomodi ospiti, costretti a vivere in baracche o per strada. I più piccoli, con un po’ di “fortuna”, riescono a trovare lavoro nelle fabbriche di abbigliamento, come denunciato da un’indagine del Business & Human Rights Resource Center del 2016, che indaga sul rispetto dei diritti umani in campo aziendale, dove i lavoratori sono sottopagati e spesso vittime di abusi sessuali. Situazioni che non vengono denunciate e di cui pochi parlano. Lo status di rifugiati è garantito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, sottoscritta anche dalla Turchia, ma che è stata, fino a pochi anni fa, ignorata del tutto. Molti profughi siriani, afghani e di altre nazionalità, non riescono a superare il confine senza passaporto, nonostante

Ankara professi una politica di frontiere aperte verso coloro che riescono a sfuggire da Paesi in guerra. Nel 2017 sono stati registrati 3,5 milioni di rifugiati, molti dei quali vengono poi rimandati indietro. Ad aprile sono stati rimpatriati circa mille afghani, pare in maniera volontaria. Ma per molti la volontà è solo una scusa usata da Ankara per giustificare il rientro in patria di coloro che non sono riusciti ad ottenere la cittadinanza o a chiedere rifugio nei centri di accoglienza ONU. La vita dei profughi in Turchia non è resa facile dai complessi meccanismi di accoglienza. A loro dovrebbero essere garantite cure mediche gratuite e tessere alimentari, che vengono però concesse solo a coloro che riescono ad entrare nei centri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. E molti decidono volontariamente di non accedervi per via delle rigide regole imposte e per quei fili spinati che sembrano appartenere ad una prigione. A coloro che non possono avervi accesso, dunque più di tre quarti dei rifugiati, non resta che chiedere l’elemosina o cercare un lavoro sottopagato, nella speranza di trovare una casa più calda e accogliente della fredda e umida strada. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE 29 aprile. Le forze israeliane hanno ucciso 4 palestinesi durante le proteste al confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Più di 950, i feriti.

ISRAELE, IRAN E PROGETTO HAMAD Israele accusa l’Iran di aver violato il JCPOA e di aver completato il Progetto Hamad

30 aprile. Si è riunito, per la prima volta dopo 9 anni, il Consiglio Nazionale Palestinese, l’organo legislativo dell’Autorità palestinese. LIBIA 27 aprile. Il generale Haftar è tornato in Libia dopo una lunga assenza all’estero negli ospedali di Giordania e Francia. Secondo fonti locali, il Generale sarebbe “in ottime condizioni di salute”. SIRIA 27 aprile. Secondo diverse stime, il campo dei rifugiati palestinesi di Yarmouk, situato vicino alla capitale Damasco, sarebbe stato distrutto al 60% dalle forze lealiste di Assad durante un’offensiva contro gli ultimi gruppi di ribelli rimasti sul territorio. 29 aprile. Proseguono i pesanti bombardamenti sul campo profughi di Yarmouk da parte delle forze di Assad. Secondo le fonti ufficiali gli sfollati sarebbero più di 2.500. YEMEN 28 aprile. 38 houthi hanno perso la vita durante un raid aereo guidato dall’Arabia Saudita e avvenuto vicino alla capitale Sana’a. Tra le vittime anche due comandanti.

A cura di Jean-Marie Reure 8 • MSOI the Post

Di Andrea Daidone Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, lunedì 30 aprile ha tenuto una teatrale conferenza stampa in cui ha mostrato al mondo le “prove definitive” che l’Iran avrebbe violato l’accordo nucleare del 2015 (JCPOA), e completato il programma nucleare segreto, noto come Progetto Hamad. Infine, non ha mancato di affermare che “l’Iran ha mentito”. A differenza di ciò che si aspettava, tuttavia, non è stata una sorpresa per la comunità internazionale, essendo evidente a tutti che l’Iran stava dotandosi dell’arma atomica, prima di aver sottoscritto il JCPOA nel luglio 2015. Inoltre, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha in più occasioni certificato che “l’Iran sta rispettando in pieno gli impegni presi” e che “non ci sono credibili indicazioni di attività rilevanti nello sviluppo dell’ordigno”. Pare strano che il Mossad sia riuscito da solo a reperire prove così segrete, evidenti e schiaccianti, laddove invece hanno fallito IAEA, CIA, MI6 e DGSE (servizi segreti francesi). Inoltre, le accuse sembrano contraddire persino un rapporto del Dipartimento di Stato del dicembre 2017, secondo cui “l’Iran continua ad adempiere agli impegni sottoscritti con il JCPOA”. Molti osservatori ritengono

che, in realtà, la mossa di Netanyahu sia strategica e miri ad influenzare e confondere gli USA, che, il 12 maggio, dovranno decidere se rinnovare l’accordo oppure ritirarsi. Non è un mistero infatti la disapprovazione di Trump, che, a gennaio scorso, annunciò l’uscita degli USA se non si fosse emendato il JCPOA entro 120 giorni. La teatralità di Netanyahu sembra non aver convinto nessuno (tranne Trump), poiché, come ha affermato anche l’Alto Rappresentate UE Mogherini, Israele non ha fornito alcuna prova circa la presunta violazione del JCPOA da parte dell’Iran dopo luglio 2015. Si è limitato piuttosto a generiche accuse, sostenute da un plico di documenti, presentati come il frutto di una sofisticata operazione di spionaggio, quando invece erano già di dominio pubblico. Israele sta da tempo premendo, insieme ai suoi recenti alleati, Arabia Saudita ed UAE, sugli USA affinché implementino le sanzioni a Teheran. La minaccia nucleare, tuttavia, sembra essere solo il casus belli. Netanyahu, infatti, ha più volte accennato ai loro sforzi per contenere l’Iran ed impedirgli di assurgere a potenza regionale. L’ossessione di Israele per il Progetto Hamad, quindi, sembra avere altri scopi e tutt’altre radici.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ARMENIA 27 aprile. A seguito di grandi proteste con decine di migliaia di partecipanti, Serzh Sargsyan ha dato le proprie dimissioni. Sargsyan è stato al potere per oltre 10 anni ed è accusato di aver “trasformato l’Armenia in uno stato autoritario”, mediante una manovra politica che gli aveva permesso di prolungare il proprio potere.

BOSNIA 1° maggio. Atif Dudakovic, ex comandante musulmano delle forze governative durante la guerra in Bosnia, è stato scarcerato insieme ad altri 12 ufficiali del suo comando. Dudakovic era stato arrestato da qualche giorno,accusato di crimini di guerra e di aver causato la morte di oltre 250 civili, nell’autunno del 1995. Dudakovic stato rilasciato dopo la decisione del Tribunale di respingere la richiesta dell’Ufficio del Procuratore per la custodia cautelare in quanto reo di crimini di guerra M A C E D O N I A 27 aprile. Si è tenuto a Skopje un incontro tra il premier macedone, Zoran Zaev, e il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. A seguito dell’incontro, Tusk ha rivolto ammirazione verso il programma di riforme e verso i progressi che lo Stato balcanico ha compiuto negli ultimi anni. La settimana scorsa, inoltre, Bruxelles ha dato inizio ai negoziati di adesione della

I BALCANI VERSO L’INTEGRAZIONE EUROPEA L’UE ritiene il possibile allargamento balcanico “un investimento geostrategico”

Di Amedeo Amoretti Venerdì 27 aprile, il presidente della Macedonia, Gjorge Ivanov, ha riunito a Skopje tutti i leader dell’area balcanica, ai quali si sono aggiunti il primo ministro bulgaro Boyko Borisov e il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk. Obiettivo del meeting era quello di rafforzare il dialogo politico, promuovendo fiducia tra i paesi e soluzioni regionali che possano avvicinare l’area a un processo di integrazione europea. L’impegno comune è di “astenersi da qualsiasi retorica populista e nazionalista o qualsiasi attività che possa accrescere tensioni nelle relazioni bilaterali e regionali e possa contribuire a instabilità” come affermato nel report del summit. Questa iniziativa di forte cooperazione balcanica, conosciuta come Processo Brdo-Brioni, ebbe inizio per volontà della Slovenia e della Croazia, paesi che nel 2013 organizzarono il primo incontro multilaterale balcanico. Da allora, l’intera area è stata protagonista di importanti sviluppi e miglioramenti tali da rendere la questione di rilevante importanza. L’UE ha così indetto un summit, che si terrà a Sofia il 17 maggio, per valutare la possibile ammissione all’Unione di tali paesi. La conferenza sarà l’occa-

sione per testare la nuova strategia dell’UE nei Balcani, presentata il 6 febbraio scorso, con l’obiettivo di ammettere nell’Unione la Serbia e il Montenegro entro il 2025 e l’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia. Il documento definisce il possibile allargamento balcanico come “un investimento geostrategico” sul piano economico, politico e di sicurezza dell’UE. La volontà europea a proseguire le negoziazioni è alimentata dalla pressione russa sull’area che, attraverso soft power e disinformazione, sottolinea gli aspetti negativi dell’Unione. Anche la Cina ha messo gli occhi sui Balcani in virtù della sua strategia “One Belt, One Road” finalizzata a investimenti infrastrutturali per costruire una nuova via della seta. Donald Tusk si è detto soddisfatto degli sforzi promossi dai leader balcanici, sostenendo però la necessità di maggiori miglioramenti soprattutto per quanto riguarda il riconoscimento del nome della Macedonia e la questione kosovara. Sottolineando l’importanza dei Balcani per la prosperità, la pace e la stabilità nell’intero continente, ha affermato che “l’impossibile può diventare possibile e che ciò dipende interamente dalla buona volontà e dal coraggio di persone individuali”. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Macedonia e dell’Albania all’Unione Europea.

RUSSIA E AUSTRIA: INTESE ENERGETICHE E DIPLOMATICHE Putin pronto a visitare il Paese UE per celebrare l’accordo sulle forniture del gas

Di Ilaria Di Donato ROMANIA 27 aprile. Il presidente Klaus Iohannis ha invitato alle dimissioni il primo ministro, Viorica Dancila, a seguito delle polemiche causate dalla decisione di Dancila in merito allo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Iohannis ha denunciato di “non essere stato informato sulla decisione”. Tuttavia, il Presidente della Romania non ha il potere istituzionale di licenziare il Primo Ministro, il quale può, invece, perdere la fiducia parlamentare.

RUSSIA 28 aprile. Sergej Lavrov, Mevlut Cavusoglu e Mohammad Javad Zarif, rispettivamente i ministri degli Esteri di Russia, Turchia e Iran si sono incontrati nella capitale russa per discutere sulla crisi siriana e cercare una soluzione al conflitto. A cura di Lara Aurelie Kopp-Isaia 10 • MSOI the Post

Dopo l’incontro avvenuto lo scorso 28 febbraio, Vladimir Putin si recherà a Vienna il 1° giugno in occasione del cinquantesimo anniversario degli accordi sulla fornitura di gas naturale.

l’apporto di gas russo nel mercato europeo attraverso la realizzazione del nuovo gasdotto North Stream- 2.

Dopo mezzo secolo di forniture energetiche, i proficui affari commerciali si intrecciano alle positive relazioni diplomatiche persistenti tra i due Paesi: Austria e Russia si sono confer- dopo il caso Skripal, l’Austria mate, nel corso degli anni, come ha reclamato il proprio diritto a due affiatati partner commer rimanere neutrale e non espelciali, e la celebrazione per le lere i diplomatici russi. Al intese energetiche siglate nel contrario di quanto avvenuto in 1968, le quali hanno favorito il altri Paesi europei, l’Austria non transito del gas naturale dalla ha seguito la linea dura inauguRussia all’Austria, si presenta rata dagli Stati Uniti, ma piutcome una nuova opportuni- tosto ha rivendicato il proprio tà per consolidare l’amicizia ruolo di intermediario tra Est tra i due Stati proprio in un mo- ed Ovest. mento in cui i Paesi europei non La mancanza di provvedimenti tengono cordiali relazioni con la contro la Russia era stata giustiFederazione Russa. ficata nel solco di una mancanza di “un’evidente concatenazione Gli interessi economici svolgo- di indizi concreti che provano no un ruolo senza dubbio signi- una qualsivoglia forma di coinficativo nei rapporti cordiali che volgimento russo nella vicenda legano i due Paesi: il gasdotto di Salisbury”. La ministra degli che attraversa l’Austria è il più Esteri austriaca, Karin Kneisgrande punto di smistamento sl, aveva infatti precisato che di gas dalla Russia al centro ed solo al cospetto di simili prove est Europa. Dal momento della avrebbero aderito ad un’aziosua inaugurazione, i numeri sui ne multilaterale. volumi di importazione di gas naturale hanno sempre mostra- Le posizioni di Kurz potrebbero to un segno positivo, arrivan- rivelarsi tanto più care all’inquido addirittura a un risultato da lino del Cremlino a partire da lurecord nel corso del 2017. Non glio, quando l’Austria presieè un caso, infatti, che la com- derà il Consiglio dell’Unione pagnia di Stato austriaca, Omv europea e potrebbe svolgere un Ag, e il numero uno di Gazprom ruolo significativo nella revoca abbiano fatto grandi pressioni delle sanzioni alla Russia. per di aumentare ulteriormente


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole COREE 27 aprile. Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, e il presidente sudcoreano Moon Jae-in si sono incontrati a Panmunjom. Il vertice ha raggiunto l’acme con la “Dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e l’unificazione della penisola coreana” avente l’obiettivo comune di realizzare una penisola coreana denuclearizzata e di avviare il disarmo di entrambe le parti in maniera graduale. FILIPPINE 1 maggio. Più di 5.000 manifestanti hanno marciato per le strade di Manila durante i raduni del Labour Day. Trascinando un gigantesco demone, rappresentazione del presidente Rodrigo Duterte, di fronte al palazzo presidenziale, gli hanno poi dato fuoco. Le proteste derivano dalle scelte economiche del Presidente, il quale aveva inizialmente promesso di rimuovere i contratti di lavoro a breve termine. Non mantenendo la parola, ha, al contrario, favorito le agenzie di appalto, scatenando le rivolte.

INDIA 2 maggio. Il CCEA ha approvato la ristrutturazione del programma di Sviluppo Multisettoriale del Ministro degli Affari delle Minoranze. Il ministro dell’Unione, Ravi Prasad, ha affermato che “il nuovo programma ha concordato

“LA GUERRA E’ FINITA?”

Storico incontro tra le due Coree a Panmunjom

Di Micol Bertolini Venerdì 27 aprile sembra essersi aperto un nuovo capitolo nella storia della penisola coreana. Kim Jong-un, capo di Stato della Corea del Nord e Moon Jae-in, Presidente della Corea del Sud, si sono incontrati a Panmunjom, villaggio stanziato nella zona smilitarizzata che divide i due Stati, in quello che è stato definito “uno storico traguardo” dalla portavoce del ministro degli Esteri cinese, Hua Chunying. Dall’armistizio del 1953, infatti, nessun leader nordcoreano aveva varcato il confine tra le due Coree. Con questo gesto, Kim Jong-un ha voluto mostrare un impegno reale nella conclusione di un trattato di pace tra i due Paesi entro l’anno, dietro l’ennesima promessa di denuclearizzazione della penisola. La guida suprema della Repubblica Popolare Democratica di Corea ha annunciato, infatti, la chiusura del sito di test nucleari di Punggye-ri di fronte a esperti e giornalisti esterni, sottolineando come la Corea del Nord non avrà più necessità di possedere armi nucleari nel momento in cui si arriverà alla fine della guerra ed alla stipulazione di un patto di non aggressione con gli Stati Uniti di Trump. Proprio agli USA è riservato un ruolo centrale nelle negoziazioni dei prossimi mesi, a partire dal futuro incontro tra Trump e Kim Jong-un. Gli Stati Uniti hanno salutato positiva-

mente il riavvicinamento delle due Coree, mostrando tuttavia un ottimismo prudente. Mike Pompeo, il nuovo segretario di Stato americano, parla di una “vera opportunità” per finalmente arrivare alla “completa, verificabile e irreversibile” denuclearizzazione della penisola, per quanto ciò implichi un “lungo lavoro”. Ovviamente al centro delle prossime trattazioni tra USA e Nord Corea per l’abbandono del nucleare si dovrà tener da conto la scomoda presenza militare americana in Corea del Sud. Dal 1992 la RPDC promette di avviare il processo di denuclearizzazione, previo tuttavia il ritiro delle forze americane in Corea del Sud, una richiesta che ha sempre incontrato la ferma opposizione degli Stati Uniti. È per tale ragione che Donald Trump non dà per scontato un esito positivo del suo incontro con Kim Jong-un nelle prossime settimane, il quale potrebbe “non funzionare”. In ogni caso, con la dichiarazione di Panmunjom, Kim e Moon “proclamano solennemente di fronte a 80 milioni di Coreani e al mondo intero che non ci sarà più alcuna guerra sulla penisola coreana e che una nuova era di pace è cominciata”. Allo scoccare del 65° anno dalla firma dell’armistizio, la parola “fine” sembra quindi vicina. “Contro ogni aspettativa, il cammino verso la pace sembra possibile”, afferma Federica Mogherini. Sarà vero? Solo i prossimi mesi potranno dircelo. MSOI the Post • 11


ORIENTE cambiamenti che porteranno benefici alle comunità minoritarie migliorando le infrastrutture socio-economiche nell’ambito dell’istruzione e della salute”. MYANMAR 30 aprile. Aung San Suu Kyi ha incontrato gli inviati del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per confrontarsi sulla situazione dei Rohingya. La leader si è impegnata a indagare sulle accuse di violenza e omicidio mosse contro le forze di sicurezza del Paese e ha constatato la difficoltà, del Myanmar, nell’attuare lo Stato di diritto dopo decenni di dittatura militare. Dall’incontro è emerso chiaramente come il governo civile di San Suu Kyi non abbia controllo sui militari. Gli inviati del Consiglio hanno, quindi, avuto un lungo colloquio, a porte chiuse, con il comandante militare Min Aung Hlaing. THAILANDIA 2 maggio. Nella giornata di mercoledì, circa 900 manifestanti si sono radunati fuori dal quartier generale delle Nazioni Unite di Bangkok per protestare contro il governo militare, accusato di continuare a ritardare le elezioni generali. La manifestazione è stata organizzata dal Movimento Popolare per una Società Giusta, il quale accusa le autorità d’intimidire gli attivisti della comunità. Più di 100 persone sono state arrestate, nella provincia settentrionale di Chiang Mai, per impedire loro di unirsi alla protesta.

A cura di Francesca Galletto 12 • MSOI the Post

CINA-INDIA: IL SUMMIT INFORMALE DI WUHAN

“Il dragone cinese e l’elefante indiano non devono lottare, ma danzare l’un con l’altro”

Di Fabrizia Candido Il 27 ed il 28 aprile si è tenuto a Wuhan il summit informale tra il primo ministro indiano Modi ed il presidente cinese Xi. L’incontro è stato ampiamente interpretato come un tentativo per riaprire le relazioni e ricostruire la fiducia in seguito ad un lungo periodo di allontanamento diplomatico fra le due potenze vicine. Tra gli obiettivi prefissati emergono: fattiva cooperazione, espansione della comunicazione tra i due Stati e rivitalizzazione della civiltà orientale. Quest’ultima aspirazione si riflette anche internamente con il mito del “sogno cinese del ringiovanimento nazionale” e la visione della “nuova India”. I due leaders hanno inoltre entrambi reiterato la propria condanna ad ogni forma di terrorismo, impegnandosi a collaborare per arginarne la minaccia. Infine, in una mossa che potrebbe disturbare il Pakistan, Modi e Xi si sono accordati per la realizzazione di un progetto economico congiunto in Afghanistan, rimandando al futuro la definizione dei dettagli. Sebbene non sia stato firmato alcun accordo o fatta alcuna dichiarazione, Xi e Modi si sono mostrati consapevoli del ruolo rivestito dai rispettivi Paesi nell’ordine regionale e globale. La Cina, lo scorso anno, si è affermata come il maggiore trade partner dell’India (per

un totale di 84 miliardi di dollari di scambi) e di fatto lo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi coinvolge la prosperità ed il progresso di circa un terzo della popolazione mondiale (2.6 miliardi di persone). Finora, però, la storia delle relazioni sino-indiane è stata ricca di contenziosi: la realizzazione del Corridoio Economico Cina-Pakistan nella zona contestata del Kashmir, il rifiuto dell’India di partecipare ad OBOR, l’incidente di Doklam, l’intrusione cinese in Sri Lanka, Nepal, Bangladesh e alle Maldive – Paesi tradizionalmente dipendenti dall’India – e l’accoglienza offerta da Nuova Delhi al Dalai Lama sono solo alcuni esempi. Pertanto, nonostante il tenore retorico dell’incontro, resta il timore di Pechino di un’alleanza India-USA finalizzata al suo contenimento, come presagibile dall’idea dell’“Indo-Pacific”, promossa da Trump e accarezzata anche da Giappone e Australia, a cui la Cina risponde con il “New Asian Security Concept”. Nuova Delhi, dal canto proprio, diffida da una piena alleanza con Washington, ma è consapevole della necessità di una partnership per il progresso dell’economia indiana e la resistenza all’espansionismo cinese. Gli scenari restano quindi ancora aperti e si attende lo Shanghai Cooperation Organisation Summit di giugno, in cui Xi e Modi si rincontreranno a Qingdao.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole KENYA, TANZANIA, UGANDA 30 aprile. Secondo uno studio dell’International Union for Conservation of Nature, i tre quarti delle specie animali e vegetali del Lago Vittoria sarebbero a rischio estinzione. L’ecosistema del lago, dalle cui risorse dipendono circa 40 milioni di persone, sarebbe stato danneggiato dall’inquinamento industriale, dall’introduzione di specie animali aggressive e dalla pratica dell’overfishing. MALI 29 aprile. 40 Tuareg sono stati uccisi da, si ipotizza, estremisti jihadisti nei pressi del confine nord-orientale con il Niger. Se verificato, questo episodio aggraverebbe le preoccupazioni relative a un’escalation di violenza all’interno dello Stato maliano, la cui stabilità interna è in stato precario dal 2012 per gli attacchi di ribelli Tuareg e estremisti jihadisti.

NIGERIA 1° maggio. Nella città di Mubi, nel nord-est del Paese, diverse esplosioni nei dintorni di una moschea hanno causato numerose vittime. L’identità degli autori è ancora incerta, ma una delle piste più attendibili ha fatto riferimento al gruppo Boko Haram, già responsabile di diversi attacchi contro la città. 1° maggio. Nel corso della visita di Stato nella città di Washington del presidente

IL RITORNO DI JOYCE BANDA

L’ex Presidente coinvolta nello scandalo Cashgate torna in Malawi. Probabile la ricandidatura

Di Federica De Lollis Domenica 29 aprile, dopo quattro anni di esilio autoimposto, l’ex presidente Joyce Banda rimette piede in Malawi, accolta da una folla di sostenitori vestiti di arancione, il colore del Popular Party da lei rappresentato e coordinato anche durante l’assenza dal Paese. Il ritorno in patria non lascia dubbi sulla volontà di Banda di rimettersi in politica e candidarsi per le elezioni di maggio 2019; ma le sue primissime dichiarazioni non si sbilanciano verso nessuna posizione in particolare, limitandosi ad un semplice ed incisivo “I’m back”. Prima di dedicarsi all’attività politica, però, Banda dovrà rispondere delle accuse di corruzione e di coinvolgimento nello scandalo Cashgate, che le sono costate le dimissioni dalla presidenza e l’hanno costretta alla fuga negli Stati Uniti, dove – secondo il Nyasa Times – si è dedicata alla ricerca e alla pubblicazione di un libro sulla valorizzazione delle donne in ambito sociale. Su Banda pende un mandato di arresto emanato lo scorso luglio in vista del suo ritorno, ma il portavoce Andekunye Chanthunya ha dichiarato che l’ex Presidente non si mostra intimidita dal mandato d’arresto

ancora in corso di validità, poiché su tutti i casi legati al Cashgate sono state svolte le dovute indagini, dalle quali non sono emerse prove solide della colpevolezza di Banda. Joyce Banda nega ogni coinvolgimento nella bufera Cashgate, scatenatasi nel 2013, quando da una revisione dei conti è stato svelato un trasferimento di 30 milioni di dollari dalle casse dello Stato a favore di esponenti politici, alti funzionari e uomini d’affari. Lo scandalo ha comportato l’interruzione delle erogazioni di aiuti da parte della Banca Mondiale e di altri Paesi, che costituiscono il 40% del PIL del Malawi, privandolo di un’entrata complessiva di circa 150 milioni di dollari. Soltanto lo scorso maggio, a seguito di evidenti passi in avanti nelle riforme, la Banca Mondiale ha nuovamente stanziato 80 milioni di dollari. Il futuro di Joyce Banda in Malawi resta ancora incerto, quanto meno sullo scenario politico. Ciò che tuttavia è innegabile, è che, nonostante le profonde divisioni tra sostenitori ed oppositori di Banda, il Popular Party ha evitato il collasso grazie alla costante guida della propria coordinatrice, che ora dovrà impegnarsi a ridare credibilità alla sua figura e al partito che rappresenta, soprattutto al di fuori dei confini nazionali. MSOI the Post • 13


AFRICA Buhari, Trump ha promesso di “sostenere la Nigeria nella lotta contro Boko Haram, in cambio di un ingresso agevolato delle merci statunitensi nel mercato interno di Abuja”. REPUBBLICA CENTRAFRICANA 1° maggio. A Bangui, un gruppo armato di granate ha attaccato una chiesa cattolica in cui si stava celebrando la Messa. L’assalto, che ha provocato almeno 27 morti, ha avuto luogo nei pressi del PK5, un quartiere a maggioranza musulmana, spesso teatro di tensioni tra cristiani e islamici. ZIMBABWE 2 maggio. Nelson Chamisa, leader del partito d’opposizione Movement for Democratic Change, ha promesso che “in caso di vittoria nelle elezioni previste di luglio, allontanerà gli investitori cinesi dallo Zimbabwe”. Secondo le sue dichiarazioni, la politica economica Look East del governo Mnangagwa trascurerebbe le condizioni dei lavoratori locali a favore dei propri interessi economici.

A cura di Barbara Polin

14 • MSOI the Post

L’AMBAZONIA, CATALOGNA DEL CAMERUN La minoranza anglofona non si sente più parte del paese a maggioranza francofona

Di Corrado Fulgenzi La situazione in Camerun continua a peggiorare. Nella regione ovest del Paese, l’Ambazonia, a maggioranza anglofona, la tensione continua ad aumentare. Nel solo mese di aprile, si è assistito al rapimento di 12 cittadini europei e 6 camerunensi, successivamente liberati, e all’uccisione di un soldato dell’esercito governativo durante un raid delle forze separatiste dell’Ambazonia Defense Force. In campo, è sceso anche il Regno Unito, attraverso il suo ministro degli Esteri Boris Johnson, il quale ha dichiarato: “Urge la ricerca del dialogo, della decentralizzazione e del rispetto dei diritti umani nelle regioni anglofone, secondo l’impegno dichiarato dal presidente Paul Biya”. Le forze separatiste hanno continuato la loro lotta e il 25 aprile, nella zona nord-ovest della regione dell’Ambazonia, presso la località di Belo, hanno costretto alla ritirata le forze governative. In seguito, si sono registrati raid da parte dell’esercito in tutto il territorio anglofono; gli abitanti della zona hanno dichiarato di aver visto i soldati sparare

a chiunque fosse sospettato di aver ospitato i separatisti. L’Ambazonia Defense Force ha risposto con una ventina di attacchi di guerriglia. Nel frattempo, 20.000 civili si sono rifugiati nella vicina Nigeria in attesa che gli scontri a fuoco terminassero per non rimanere coinvolti. La protesta degli anglofoni contro il governo di Yaoundé si è accesa anche sul piano politico, tanto che, negli ultimi mesi, ci sono state molteplici manifestazioni. L’attivista Mancho Bibixy, che in passato aveva sostenuto la responsabilità del potere giudiziario per la violenta crisi politica deflagrata nel Paese, è stato arrestato insieme ad altri sei compagni, con l’accusa di terrorismo e secessione. Il processo è stato tenuto da un tribunale militare in questi ultimi mesi. Il verdetto finale è previsto per l’8 maggio. La situazione in Camerun sta diventando critica. Lo scenario che si prefigura è quello di un’ennesima guerra civile in uno Stato africano, che causerebbe una nuova crisi umanitaria in un Paese che ha già vissuto diversi periodi di grande turbolenza.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole AMERICA LATINA E CARAIBI 2 maggio. L’Unione Europea ha lanciato un piano per promuovere lo sviluppo sostenibile in America Latina e nei Caraibi. Le risorse inizialmente messe a disposizione ammonteranno a 9,5 milioni di euro. L’obiettivo è aiutare l’America Latina e i Caraibi a migliorare le strategie di crescita affinché possano raggiungere gli obiettivi previsti dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. ARGENTINA 29 aprile. 100 giovani si sono presentati alla 44^ Festa del libro di Buenos Aires, la più importante in tutta l’America latina. Il gruppo ha contestato lo scioglimento di 29 facoltà a Buenos Aires per fondare la UniCABA. Hanno fischiato e cantato: “usciamo per strada, usciamo a combattere, le università non devono chiudere”. Esponenti politici e organizzatori, indignati, hanno accusato di “fascismo” gli studenti manifestanti.

BOLIVIA 29 aprile. L’ex dittatore Luis Garcia Meza è morto a 89 anni. “Era una persona che aveva ancora debiti nei confronti del popolo boliviano, non ha chiarito fatti, invece, da chiarire, come ad esempio la posizione dei resti del corpo di Marcelo Quiroga”, ha dichiarato il ministro Carlos Romero, riferendosi alle vittime della dittatura, iniziata con il golpe del 1980 e durata fino al

MENO IMMIGRATI, PIU’ MILITARI Questa la risposta di Trump ai migranti

Di Francesca Chiara Lionetti

persone.

La città messicana di San Isidro rappresenta la frontiera, il confine, la fine di un lungo viaggio e l’inizio di uno nuovo per i migranti che dai diversi Stati dell’America Latina cercano di raggiungere la tanto agognata terra statunitense. 56 chilometri più in là, San Diego, meta finale tanto vicina quanto difficile da raggiungere.

Il flusso migratorio dall’America Latina verso gli Stati Uniti sembra inarrestabile nonostante i frequenti respingimenti e i tweet di Trump, con il conseguente logoramento dei già deboli rapporti tra USA e Messico. Già a inizio aprile, infatti, Trump aveva minacciato di ritirare l’accordo commerciale con Messico e Canada, il NAFTA, se il Messico non avesse costruito il muro al confine con gli USA. Andrew Selee, presidente del Migration Policy Institute, ha però fatto notare che: “Il muro al confine che vorrebbe Trump richiederà almeno 10 anni per essere costruito, e intanto che si fa?”

Il 30 aprile scorso, circa 200 migranti provenienti da Honduras, Guatemala ed El Salvador sono stati bloccati al confine tra Messico e Stati Uniti. La carovana, partita il 25 marzo da Tapachula, nel sud del Messico, comprendeva inizialmente circa 1.500 persone, che si sono man mano disperse lungo il cammino. La carovana era stata messa in marcia da Alex Mensing, membro di Pueblo Sin Fronteras, organizzazione che da più di 15 anni aiuta i migranti a raggiungere gli Stati Uniti. Molte delle persone che hanno preso parte al viaggio hanno affermato di averlo intrapreso perché in pericolo di vita nei propri Paesi e chiedono asilo politico. Giunti a San Isidro, i migranti sono stati fermati perché il centro di smistamento avrebbe raggiunto la sua capienza massima di circa 300

La risposta di Trump sembra essere l’invio di militari lungo il confine, almeno fino a quando non sarà costruita buona parte del muro. Il 6 aprile ha dichiarato che invierà oltre 4.000 truppe delle Guardie Nazionali americane al confine con il Messico, che, secondo il Presidente, è la porta d’ingresso nel Paese di droga, armi e immigrati clandestini. In ottemperanza a questo decreto Texas, Nuovo Messico e Arizona hanno già dichiarato che invieranno truppe per proteggere il confine. MSOI the Post • 15


AMERICA LATINA 1981. BRASILE 28 aprile. Un uomo ha aperto il fuoco e ha ferito due sostenitori accampati vicino alla prigione nella quale è detenuto l’ex presidente Lula, condannato a 12 anni per corruzione e riciclaggio. PANAMA 30 aprile. Il presidente panamense, Varela, ha cercato la normalizzazione delle relazioni con il Venezuela. Varela ha, tuttavia, avvertito che “Panama ha una posizione molto chiara in difesa della democrazia e, soprattutto, del nostro sistema finanziario”. Agli inizi di aprile, infatti, si è verificato un incidente diplomatico riguardante l’inserimento del Presidente venezuelano e del suo entourage in una lista panamense di controllo del riciclaggio di denaro. Ciò aveva portato i due Paesi a ritirare i propri diplomatici e sospendere i voli tra i due Paesi.

VENEZUELA 2 maggio. Il Fondo Monetario Internazionale ha emesso una nota di censura contro il Venezuela per “non aver fornito i dati economici con puntualità”. La censura non prevede l’imposizione di sanzioni immediate. Tuttavia, potrebbero essere anticipate conseguenze diverse: dal divieto di accedere agli aiuti finanziari, alla perdita del diritto di voto all’interno del FMI, fino all’espulsione del Venezuela. A cura di Davide Mina 16 • MSOI the Post

LE MANIFESTAZIONI CONTRO ORTEGA NON SI FERMANO Continuano le rivolte anti-governative in Nicaragua

Di Elisa Zamuner Il bilancio delle vittime delle manifestazioni in Nicaragua contro il governo Ortega sale a 63 secondo le stime di diverse organizzazioni locali per la sicurezza. In particolare, secondo la Commissione Permanente dei Diritti umani (CPDH), solo nella capitale Managua sono stati registrati 39 morti. Per quanto riguarda i feriti, invece, i numeri sarebbero arriverebbero a circa 160. Alcune piccole manifestazioni erano partite all’inizio di aprile quando, in seguito a un incendio nella riserva Indio Maiz, la risposta del Presidente era stata debole e poco tempestiva. La repressione di quelle proteste ha provocato la morte di 10 civili, alimentando la rabbia dei dissidenti nei confronti del Governo. In un clima sempre più instabile, il 14 aprile, l’Istituto di Sicurezza Sociale del Nicaragua (INSS) ha annunciato un pacchetto di riforme, tra cui un aumento dei contributi e una detrazione sulle pensioni, per evitare il fallimento dello stesso INSS. Nonostante lo scontento dei cittadini, Ortega ha formalizzato le riforme tramite decreto, senza consultare il Congresso.

Le proteste si sono fatte così sempre più sanguinose e, nel tentativo di mitigare la situazione, il Presidente ha deciso di ritirare la riforma, andando incontro alle richieste popolari. Le manifestazioni però non si sono fermate, e hanno acquistato un carattere antigovernativo più ampio. La popolarità di Ortega, in carica dal 2007 e al suo terzo mandato, è sempre più bassa, soprattutto nell’ambiente universitario. Per trovare un punto di incontro, Ortega ha chiesto l’aiuto della Chiesa Cattolica, ma per ora la situazione non sembra evolvere in meglio. La questione nicaraguegna è così diventata di rilievo internazionale per via delle forti violenze da parte della polizia durante le repressioni e dell’ampio coinvolgimento popolare che queste rivolte hanno comportato. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, tramite la portavoce Elizabeth Throssell, ha dichiarato: “È essenziale che tutte le accuse di uso eccessivo della forza da parte della polizia e di altre forze di sicurezza siano investigate in modo efficace e che tutti i responsabili si assumano le proprie responsabilità”.


ECONOMIA ICT, PRODUTTIVITÀ E POLITICA INDUSTRIALE IN ITALIA Vantaggi e limiti delle ICT nel mutare il sistema economico in Italia

Di Michelangelo Inverso Secondo i dati disponibili nella vasta letteratura economica sul tema, il vettore della produttività in Italia è il settore manifatturiero. Sappiamo che ormai l’automazione in questo settore sta giungendo alla saturazione, per di più proprio nella manifattura distrettuale, quella legata alla Terza Italia, ossia tutto il settore legato al Made in Italy, che si basa su processi ad alto valore aggiunto poco suscettibili all’automazione, essendo nella sostanza molto artigianali. Per quanto riguarda la performance italiana della produttività, questa risulta inferiore a quella degli altri Paesi europei. Nel periodo 1995-2015, la crescita media annua della produttività del lavoro (valore aggiunto per ora lavorata) è stata decisamente inferiore a quella dell’Unione Europea (+0,3% contro +1,6%). In questo ventennio, la bassa crescita della produttività del lavoro è derivata da incrementi medi del valore aggiunto dello 0,5% e delle ore lavorate dello 0,2%. La produttività del capitale, invece, ha registrato una significativa diminuzione pari a -0,9% in media annua. La produttività totale dei fattori

registra una diminuzione media annua dello 0,1%, a fronte di un incremento medio dello 0,5% del valore aggiunto e dello 0,6% dell’impiego complessivo di capitale e lavoro. Come noto, il sistema produttivo italiano è polverizzato in PMI con meno di 10 dipendenti, spesso spazialmente concentrate in distretti industriali dislocati lungo il tutta la Penisola. Nonostante i limiti tipici, come la sottocapitalizzazione, queste imprese mostrano anche alcuni risultati positivi. Ad esempio, dall’analisi del “Rapporto annuale n. 9 - Economia e finanza dei distretti industriali” emerge chiaramente come la produttività del lavoro delle aree distrettuali dal 2008 al 2015 sia cresciuta in maniera più significativa rispetto alle aree non distrettuali. Esiste, dunque, un surplus all’interno dei distretti industriali, che potrebbe sinteticamente essere riassunto nell’ampio concetto di ‘reti di relazioni’ o ‘relazioni esterne’. Le relazioni esterne sono normalmente spazialmente contenute e non immediatamente classificabili nelle strette categorie tradizionali di gerarchia e mercato. Queste consistono in rapporti di fiducia, continuità, condivisione di valori, competenze, linguaggi,

ecc., che scaturiscono dalla condivisione del medesimo territorio (consuetudini, valori locali, conoscenze). Proprio per queste caratteristiche, l’uso delle ICTs (Information and Communications Tecnologies) finora è stato limitato, ma quelle di ultima generazione, come le piattaforme informatiche legate ai consumatori, i visori di realtà aumentata e le stampati 3D, potrebbero consentire l’aumento non solo della produttività in tutto l’indotto, ma anche il miglioramento della qualità del processo produttivo. Infatti, proprio per le loro caratteristiche di pervasività, potrebbero essere assimilate facilmente in un sistema economico nei fatti simile per caratteristiche a queste stesse tecnologie. Quello che preoccupa maggiormente in questa situazione cosi fluida, di trasformazione radicale di pratiche consolidate, è l’assenza di una politica industriale che guidi questi fenomeni e non li subisca unicamente. Il problema della politica economica italiana degli ultimi 30 anni è proprio la mancanza di una vera strategia, perchè questa implica una visione di lungo termine che appare incompatibile con il consenso elettorale e con i risultati di breve periodo.

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ECONOMIA LA PRODUZIONE DI MASSA DI AUTO ELETTRICHE È DAVVERO SOSTENIBILE?

L’ingente quantità di cobalto necessaria per le batterie pone dubbi sulla sostenibilità produttiva

Di Giacomo Robasto A partire dal cosiddetto ‘scandalo dieselgate’ che ha travolto la Volkswagen nel settembre 2015, quasi tutti i colossi mondiali del settore automobilistico hanno promesso, almeno sulla carta, progressi in tempi rapidi nello sviluppo di motori ecologici. Un cambiamento in tale senso sembra imporre in futuro la dismissione dei tradizionali motori a combustione, siano essi alimentati a gasolio o a benzina, responsabili di gran parte dell’inquinamento atmosferico delle grandi città. Infatti, nonostante i miglioramenti tecnici apportati ai propulsori più recenti, non v’è alcuno tra essi che sia ecologico e a zero emissioni. L’alternativa più percorribile al momento sembra dunque l’auto ad alimentazione elettrica, sulla quale alcune aziende pioniere, tra cui Toyota, hanno investito sin dagli anni Novanta del secolo scorso. I risultati degli investimenti hanno portato alla produzione di nuovi modelli totalmente elettrici, tra cui, oltre alle auto Toyota, sono degni di nota i modelli Tesla e alcune vetture del gruppo Renault-Nissan. Benché questi 18 • MSOI the Post

modelli siano già sul mercato, essi non rappresentano che una nicchia, dovuta sia alla domanda crescente sia agli altissimi costi di produzione, che mettono in dubbio la fattibilità della loro produzione su larga scala. Le batterie al litio delle auto elettriche, infatti, necessitano di una ingente quantità di cobalto, che è il componente chiave per realizzare il catodo, ossia il polo negativo della batteria. Questo minerale è molto impiegato anche nel settore dell’elettronica di consumo, tanto è vero che si trova anche nelle batterie di computer e cellulari. Tuttavia, mentre la batteria di uno smartphone contiene pochi grammi di cobalto, quella di un’auto elettrica ne necessita di una quantità variabile da un chilo a poco meno di due. Se mai avrà iniziò una produzione di massa dell’auto elettrica, servirà estrarre moltissimo cobalto e farlo a prezzi sempre più bassi per portare sul mercato automobili e oggetti tecnologici acquistabili anche dai consumatori meno abbienti. Due requisiti che potrebbero alimentare una filiera che, già oggi, presenta non pochi lati oscuri. I giacimenti di questo minerale

abbondano, infatti, in Africa centrale, dove un oligopolio di multinazionali cinesi, prima tra tutte la Zhejiang Huayou Cobalt, ne controlla indirettamente l’estrazione attraverso formazioni guerrigliere che tengono questa zona del mondo in un clima di perenne conflitto e con una popolazione alla fame. Così, Paesi come Tanzania, Mozambico e, soprattutto, la Repubblica Democratica del Congo (67.000 tonnellate di cobalto estratte nel 2017) sono da alcuni anni divenuti teatro di numerose controversie legate all’estrazione di cobalto, che includono lo sfruttamento del lavoro minorile, il bassissimo costo del lavoro e un processo estrattivo senza regole chiare. Le associazioni a tutela dei diritti umani, tra cui Amnesty International, e le inchieste condotte da quotidiani statunitensi (Washington Post, New York Times) hanno per prime svelato al mondo che cosa si celi dietro alla produzione di numerosi beni nel settore dell’elettronica di consumo. Viste queste premesse, l’auto elettrica non si può certo definire sostenibile se a pagarne i costi saranno pletore sempre più numerose di lavoratori sfruttati in condizioni di lavoro al limite.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO ATTACCO IN SIRIA: É SCONTRO ALL’ONU Da Duma al Raid

Di Debora Cavallo

per alcuni Paesi quali la Siria.

hanno denunciato due attacchi dell’aviazione siriana con bomCon “L’arte della guerra” (IV sec La ​crisi siriana è ​ estremamente be contenenti sostanze tossiche. A.C.) redatto da​ SunTzu, inizia complessa. Oggi il conflitto che Principi riferiti alla legittimità a farsi strada quello che viene potrebbe provocare uno scontro del diritto nella guerra, legittidenominato ​“Ius in bello”​: il tra gli occidentali e la Russia è mità che dovrebbe esistere andiritto nella guerra. Si adombra diventato indecifrabile. che in ciò che viene denominal’idea che l’obiettivo legittimo Tutto è cominciato nel 2011 con​ to “Ius ad bellum”: ovvero il della guerra sia indurre il nemi- la primavera araba che ha spin- ricorso alla guerra. Un attacco co ad arrendersi, non stermina- to i siriani a scendere in piazza. da parte di Usa, Francia e Gran re. La ​Siria chiedeva libertà, demo- Bretagna, che non è conforme crazia e stato di diritto: tutto ciò alle norme di diritto internazioUna solida base normativa è che non aveva ricevuto dal clan nale. Per comprendere meglio il presente nelle 4 Convenzioni di al potere dall’inizio degli anni quadro riportiamo un’intervista Ginevra ratificate il 12 Agosto 80, la famiglia Assad, di fede ad Edoardo Greppi, ​docente​ di 1949; ancora più significativo alawita, una corrente dell’islam relazioni internazionali e​conè l’​art. 35, I Protocollo aggiun- sciita, mentre la grande maggio- sigliere dell’​ Istituto di studi di tivo di Ginevra 8 Giugno 1977​:​ ranza dei siriani è sunnita. Le politica internazionale​.​ “Un atmetodi e mezzi di guerra. Resta prime manifestazioni sono state tacco non deciso o autorizzaevidente che non si è annullata pacifiche senza armi. Eppure, il to dal Consiglio di Sicurezza la normativa del diritto dell’Aja, regime ha deciso di far sparare non è legittimo, quindi il punrelativa allacondotta delle ostili- sulla folla, portando all’esplosio- to cruciale è questo: l’uso della tà, che mira a ​bandire e vietare ne di una ​guerra civile.​ forza nell’ordinamento internaalcune armi​, collocata nella Di- Così l’Iran sciita è arrivata in zionale in virtù della Carta Onu chiarazione di San Pietroburgo soccorso di Assad, mentre i sun- è ammesso soltanto in caso di 1868. niti hanno sostenuto i ribelli. legittima difesa – e non questo L’esito successivo è una dichia- ​Una guerra che si protrae anco- il caso – o nell’ambito di azioni razione adottata nelle confe- ra oggi, sino allo scorso febbra- del sistema di sicurezza collettirenze dell’Aja 29 Luglio 1899, io, quando, le forze del presiden- va. In assenza di una decisione sull’uso di proiettili che si espan- te Assad hanno lanciato l’assalto o autorizzazione, gli Stati non dono nel corpo umano, collegato alla regione di Goutha​. In marzo sono autorizzati a usare la foral principio per cui alcune armi le truppe hanno diviso l’area in za per proprio conto, anche se provocando una morte certa, tre parti, la più estesa delle qua- lo fanno nell’ambito di coalizioavrebbero creato una sofferenza li è proprio Duma, dove vivono ni e anche se lo fanno – com’è non necessaria. Uno strumento tra 80.000 e 150.000 persone. Il stato dichiarato dal Governo normativo importante è il proto- 6 aprile scorso i ​bombardamenti britannico, per impedire la collo per il ​divieto di impiego in su Duma sono continuati per 2 perpetrazione di crimini contro guerra di gas asfissianti e tossi- giorni prima del presunto attac- l’umanità. Anche in quel caso si ci: il Protocollo di Ginevra del 17 co chimico. dovrebbe far riferimento all’uniGiugno 1925. Si denota un’evoco potere decisionale legittimo, luzione normativa non indif- Gli attivisti del centro per la Do- che è rappresentato dal Consiferente, o forse, indifferente cumentazione delle violazioni glio di sicurezza Onu”. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO I CIVILI NEI CONFLITTI ARMATI CONTEMPORANEI Quando la paura diventa un’arma

Di Luca Imperatore Le recenti notizie di cronaca che provengono dal medio e vicino Oriente propongono, nell’ultimo periodo, la costante immagine di una popolazione civile completamente annichilita, di fronte alle barbarie di molteplici conflitti che paiono essere inesauribili. Se da un lato, però, le fonti d’informazione concentrano la loro opera sui singoli attacchi perpetrati contro i civili, scarsa è l’attenzione dedicata a quanto accade nel lasso di tempo che intercorre tra uno assalto ed il seguente. Come viene vissuta l’angosciante attesa del prossimo missile, la prossima raffica di mitra, la prossima esplosione e le prossime urla? Moltissimi strumenti del diritto dei conflitti armati si prefiggono da sempre lo scopo di alleviare la condizione dei civili in guerra: alcuni proteggono i non belligeranti da attacchi indiscriminati; altri vietano rappresaglie o ritorsioni contro di essi; altri ancora vietano l’impiego di scudi umani, di mezzi indiscriminati o armi incontrollabili. Pochi, però, si interrogano sull’aspetto psicologico del conflitto armato, tema di lacerante attualità che, forse, merita maggiore attenzione. È dimostrato che la paura alla quale sono sottoposti i civili in guerra (la c.d. incidental civilian 20 • MSOI the Post

fear) è causa di profonde ripercussioni psicologiche e disturbi quali PTSD (Post Traumatic Stress Disorder). Molti studi dimostrano che gli effetti di questi condizionamenti psicologici possono durare a lungo, anche a conflitto terminato, e non sarebbe eccessivo chiedersi se tali effetti rispettino il test di proporzionalità, che è componente indefettibile di ogni azione bellica. Le Corti, finora, non hanno trattato il tema nel dettaglio ma da più parti si è levata la voce di coloro che invocano una maggiore attenzione nei confronti di tale problematica. A onor del vero, la questione non è completamente sconosciuta alle aule di giustizia: esperienze più o meno recenti quali i razzi sulla striscia di Gaza, gli attacchi Houti contro l’Arabia Saudita e la più risalente azione dell’ICTY contro Milosevic per i bombardamenti Sarajevo, hanno sollevato la questione di fronte a istanze giurisdizionali. Se, da un lato, ogni conflitto armato comporta, naturaliter, un certo grado di interferenza con la salute psichica di coloro che si vedono coinvolti, ciò non significa che tale interferenza non possa essere mitigata. Fra le proposte avanzate in tal senso vi è quella di stabilire un intervallo di tempo minimo tra un attacco ed il successivo, atto a permettere di

contenere gli effetti nocivi sulla popolazione civile, in termini di stress post traumatico. Naturalmente, una regolamentazione di tali condotte è ardua sin dal suo approccio teorico, per via di una compenetrazione di fattori diversi che impediscono di creare un legal framework sufficientemente stringente e vincolante. Una maggiore attenzione a questi temi s’impone anche per il complesso rapporto tra diritti umani e diritto bellico. Quest’ultimo, anche se predominante a titolo di lex specialis, mantiene fermo l’obbligo del rispetto del principio di umanità. Qualora, invece, si optasse per la tesi di un’applicazione concorrente delle due branche del diritto sarebbe ancor più evidente come una maggiore attenzione al contenimento della paura nella popolazione civile sarebbe soltanto una doverosa riverenza nei confronti del diritto alla salute mentale degli individui (protetta, fra gli altri, dall’art. 25 della UN Declaration of Human Rights). In conclusione, appare evidente come i recenti fatti di cronaca mostrino l’urgente necessità di adottare misure concrete per definire i contorni di aree del diritto che, a oggi, rimangono ancora avvolte da un cono d’ombra ormai anacronistico.


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