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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


CONGRESSIONAL SHUFFLE: QUALCOSA È CAMBIATO? Una guida per comprendere le elezioni di Midterm 2018

CONGRESSIONAL SHUFFLE: QUALCOSA È CAMBIATO? Una guida per comprendere le elezioni di Midterm 2018 Di Alessandro Dalpasso, Kevin Ferri, Vittoria Beatrice Giovine, Luca Rebolino e Jennifer Sguazzin Il 6 novembre in tutti gli Stati Uniti si è votato per le elezioni di midterm: è stata rinnovata l’intera Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. In parallelo, si terranno una serie di votazioni locali e statali, tra cui 36 governatori. Sono elezioni da sempre complesse e dall’alto significato politico. Storicamente, il partito che esprime il Presidente tende a perdere quasi sempre il controllo di almeno una delle camere in questa tornata elettorale. Obama, durante i suoi due mandati, perse in entrambe le occasioni. I sondaggi della vigilia del voto 2 • MSOI the Post

sono stati confermati: seppur non si sia verificata “un’ondata blu”, la Camera è stata riconquistata dai democratici. D’altro canto, i repubblicani hanno mantenuto la presa sul Senato, aumentando addirittura i seggi. La nuova composizione delle camere, prima entrambe repubblicane, limiterà la portata d’azione del presidente Trump. I fattori che hanno influito sul voto sono molteplici e si diversificano a seconda dei contesti locali, soprattutto in virtù dell’influenza particolare esercitata dai singoli candidati in ogni distretto elettorale. Dopo le elezioni presidenziali del 2016, che hanno scosso i consolidati equilibri del dibattito pubblico statunitense, questa tornata è servita da banco di prova per un mutato scenario politico, all’interno del quale tanto i democratici quanto i repubblicani hanno dovuto reinventarsi.

In questo nostro speciale di approfondimento abbiamo voluto spiegare quanto più chiaramente possibile i vari aspetti del voto. Come i seggi in palio, la nuova composizione del congresso e i suoi equilibri. Analizzeremo la campagna elettorale, i temi del dibattito politico e la strategia dei due partiti. Infine presenteremo il contesto economico in cui si è svolta l’elezione. I SEGGI IN PALIO, LA NUOVA COMPOSIZIONE DELLE CAMERE E LE CONSEGUENZE POLITICHE Sono stati eletti tutti i 435 membri della Camera dei Rappresentanti e un terzo dei membri del Senato: 35 in questa tornata. I membri della Camera dei Rappresentanti rimangono in carica due anni, mentre i membri del Senato hanno un mandato di 6 anni (un terzo del Senato si rinnova ogni due). Nel Congresso uscente, il Partito


Repubblicano (GOP) controllava sia la Camera dei Rappresentanti (235 contro 193, più 7 seggi vacanti) sia il Senato (51 contro 49, compresi 2 indipendenti). I sondaggi che davano al Partito Democratico (DEM) l’86% di probabilità di prendere il controllo della Camera e al GOP l’82% di possibilità di conservare la maggioranza al Senato sono stati confermati. Nonostante queste elezioni siano completamente slegate dall’elezione del Presidente degli Stati Uniti, in molti le avevano inquadrate come un voto sull’operato di Trump. Questo poiché, nonostante si tratti di una repubblica presidenziale, la maggioranza delle proposte avanzate dal Presidente devono essere approvate nella stessa forma da Camera e Senato. Di conseguenza, la sconfitta che hanno subito i repubblicani -alla Camera- potrebbe frenare significativamente l’agenda politica di Trump. Il Partito Democratico, per conquistare una delle due Camere, avrebbe dovuto guadagnare almeno 23-24 seggi alla Camera e 2 al Senato.

Diverse sono state le sfide seguite con speciale attenzione. Ad esempio, il seggio per il Senato in Texas, Stato tradizionalmente conservatore, dove l’astro nascente del partito democratico Beto O’Rourke ha perso contro il favorito GOP Ted Cruz. Ma anche il ritorno dell’ex governatore democratico

Phil Bredesen in Tennessee contro Marsha Blackburn. Infine, ha destato interesse la corsa di Alexandria OcasioCortez, vincitrice delle primarie a New York, che ha vinto nel suo distretto diventando la più giovane eletta del Congresso. A suggerire una vittoria dei democratici almeno in una camera è stato in primo luogo un dato storico: dal ‘900 ad oggi, il partito alla Casa Bianca ha sempre perso seggi in almeno una camera, a parte in 3 casi particolari. Questo anche perché l’opposizione ha avuto tutto il tempo di rialzarsi e mobilitarsi creando dissenso, senza doversi occupare del governo del Paese. Un altro importante aspetto che ha giocato a favore dei democratici è l’elevata impopolarità di Trump: secondo il sito FiveThirthyEight, solo il 42% degli americani è soddisfatto dell’amministrazione in carica. Un dato molto basso considerando che soltanto Reagan era così impopolare a questo punto della presidenza. In questi due anni abbiamo d’altronde assistito a una grande mobilitazione dal basso contro la sua amministrazione, registrando un numero record di candidati donne e un’inedita rappresentanza delle minoranze e della comunità LGBT+. La vittoria dei democratici alla Camera presenta un ostacolo rilevante per l’attuazione dell’agenda legislativa di Trump nei prossimi due anni. Non è un caso infatti che lo stesso Donald Trump, sapendo l’importanza delle elezioni sulle sue chances di rielezione nel 2020, si fosse gettato in prima fila nella campagna elettorale. Una delle prime conseguenze potrebbe essere un rinnovato slancio alle indagini sul Presidente e non sarebbe da escludere una procedura di impeachment, anche se difficilmente supererebbe la maggioranza repubblicana al Senato Si tratta comunque di un’opzione percorribile dai democratici per indebolire Trump mediaticamente, costringendolo a investire tempo e risorse nell’ultima metà

del suo mandato. In ogni caso, la maggioranza democratica alla Camera fungerebbe da blocco per diverse manovre volute dal Presidente, com’è già accaduto con il tentato smantellamento della riforma sanitaria di Obama. Verrebbero dunque fermate questioni di primaria importanza che richiedono ampie maggioranze per la loro approvazione, come lo stanziamento dei fondi per la costruzione del muro al confine con il Messico. Infine, non è da escludere un ostruzionismo sulle possibili proposte dei repubblicani su tagli alla spesa sociale per bilanciare i tagli fiscali.

IL DIBATTITO POLITICO: CAMPAGNA ELETTORALE E PROMESSE ELETTORALI La contrapposizione tra i partiti democratico e repubblicano viene declinata in modi inusuali durante la campagna per le midterm elections. A ben vedere, i due partiti, infatti, non sembrano nemmeno scontrarsi frontalmente, come accade nelle più rilevanti elezioni presidenziali. Piuttosto, in gara ci sono centinaia di candidati, portatori di particolari storie personali e politiche. Ognuno è diverso e ognuno lotta individualmente, a livello locale. Questi fattori contribuiscono inesorabilmente a rendere la situazione partitica di difficile lettura. Inoltre, l’affluenza alle urne è generalmente più bassa rispetto alle general elections, in cui il voto è legato proprio all’elezione del Presidente stesso. A ciò va aggiunto un clima di sfiducia verso questo genere di votazioni per una pratica assai frequente come il MSOI the Post • 3


gerrymandering. È infatti una poco trasparente operazione che permette al Governatore in carica di modificare, senza sostanzialmente alcuna limitazione, i distretti elettorali. Può allora escludere o aggiungere, de facto, contee a determinati distretti, se ritiene che vi siano presenti elettori sfavorevoli o favorevoli al suo partito.

forze armate, implementare una flat tax, aumentare la sorveglianza e protezione dei confini, promuovere la crescita economica tramite una riforma regolatoria ed un dollaro più stabile. In generale è possibile constatare che le sue proposte sono comunque in linea con quelle del Presidente in carica.

Vediamo dunque quali sono i personaggi più influenti di questa campagna elettorale partendo dai candidati democratici. Tra i candidati alla camera c’è un numero record di donne, e sono quasi tutte del Partito Democratico: una di queste è Alexandria Ocasio-Cortez, protagonista di una sorprendente vittoria alle elezioni primarie del suo collegio a New York. Promette: estensione dei privilegi medicare a tutti gli americani, istruzione pubblica universitaria gratuita, diritti estesi per i dipendenti federali, legalizzazione delle droghe leggere e l’abolizione dello United States Immigration and Customs Enforcement.

Beto O’Rourke, nuova promessa del Partito Democratico in Texas, di origini irlandesi, era impegnato in una campagna elettorale che appariva impossibile – e infine rivelatasi tale – sfidando il Repubblicano Ted Cruz. Le sue proposte erano: aumento delle tasse, stretta sui criteri di vendita delle armi da fuoco ed estensione dei diritti sull’aborto. Passando al lato repubblicano, il senatore in carica Ted Cruz e le sue proposte rimangono costanti rispetto alla linea prestabilita 3 anni fa alle primarie contro Trump. Mira infatti a smantellare l’Obamacare in Texas, è a favore di un potenziamento delle 4 • MSOI the Post

Un altro Stato nevralgico sotto dominio democratico (e che i repubblicani stanno cercando di conquistare) è il Nevada. Il senatore Dean Heller si trova nella situazione di dover superare la senatrice Jacky Rosen, che occupa la poltrona dal 2013. Non a caso, il presidente Trump si è recato a Las Vegas, per sostenere il suo candidato. In questo frangente, il dibattito principale è stato l’Obamacare, ma non solo. Tra le molte proposte avanzate da Heller: una riforma della tassazione che riduca le stesse nei confronti delle famiglie del ceto medio; aumentare i posti di lavoro e aumentare la crescita economica; misure di supporto agli oltre 300.000 veterani. Infine, la misura riassunta dal motto “No budget, no pay”, che faccia sforzare il congresso nel deliberare il budget annuale entro una data di scadenza ben precisa. TRUMP’S PLAYBOOK VS DIRITTI CIVILI: LE STRATEGIE DEI PARTITI Si possono distinguere due direttrici nei programmi dei candidati repubblicani e democratici. I primi tendono a sostenere politiche coerenti con l’agenda del presidente Trump. Nello specifico, lo scopo è quello di creare supporto e consenso verso queste misure, per poterle riprodurre a livello federale.

I secondi puntano sui bisogni delle comunità locali, proponendo politiche ad hoc, in cui i cittadini possano rispecchiarsi. In ultima analisi, i due partiti arrivano alla sfida elettorale parimenti consapevoli dei propri punti di forza. I Repubblicani si affidano a quello che è stato da più parti ribattezzato il “Trump’s playbook”, un sistema, ancora una volta, in rottura con il passato e la tradizione sia della politica americana in generale sia del GOP in particolare. Consiste, semplicemente, nel consolidare i voti negli Stati che sono stati cruciali per la sua elezione due anni fa, concentrandovi la quasi totalità degli sforzi elettorali. Per fare alcuni esempi con i Presidenti del passato, Bush padre, fra il 1° ottobre 1990 e le midterm di quell’anno, visitò 21 Stati. Bush Jr., nel suo primo mandato, ne visitò 29. Trump solamente 19. Si è recato dove nel 2016 aveva vinto abbastanza facilmente, Florida esclusa, seguendo una tattica semplice, ma che si è rivelata efficace: far risuonare l’ampio consenso riscosso nei singoli Stati sul piano nazionale. E per quanto, durante il suo discorso inaugurale, avesse dichiarato di voler essere il “Presidente di tutti gli americani”, nel corso di questa campagna elettorale si è rivolto quasi esclusivamente ad un elettorato bianco e di


ispirazione repubblicana. In Indiana, fra tutti i distretti che ha visitato, quello che aveva la percentuale minore di votanti bianchi era dell’82% e, in Florida, dove la percentuale nazionale di elettori bianchi è del 45%, si è recato in distretti dove la media era invece maggiore del 70%. I Democratici, d’altro canto, si trovano in una posizione di vantaggio per quanto riguarda i diritti civili, cavallo di battaglia già alle ultime elezioni e rafforzatosi negli ultimi mesi, con la nascita di movimenti come il #MeToo e le campagne di sensibilizzazione sui diritti delle minoranze e delle comunità LGBT+. Questo si riflette in modo molto marcato anche sulla composizione del pool dei candidati e delle candidate. Fra di essi, si annoverano infatti personalità come Stacey Abrams, che, chiedendo un Medicaid universale, ha corso per il posto da governatrice della Georgia, perdendo però contro il repubblicano Kemp. Andrew Gillum, che sarebbe potuto diventare il primo governatore di origini afroamericane della Florida, se non avesse perso con il 48,9%. Grisham invece, in New Mexico, sarà la prima governatrice donna di origine ispanica dello Stato. Non a caso, ha molto insistito in campagna elettorale sul programma Differed Action for Child Arrival (DACA). La legge, che concede ai minorenni arrivati illegalmente negli USA - i ‘Dreamers’ - la cittadinanza, è una delle più invise all’attuale Presidente. LO SCENARIO ECONOMICO DEL VOTO, IL CONTESTO ATTUALE E LE PROPOSTE Con l’elettorato statunitense chiamato al voto per giudicare l’operato del governo attuale, a due anni di distanza dalla vittoria di Trump alle presidenziali, la questione circa le sorti dell’economia statunitense ha assunto un ruolo di primo piano: il risultato delle elezioni di midterm per il rinnovo del Congresso avrebbe potuto confermare le tendenze del mercato oppure riconfigurarne

l’assetto, soprattutto dal punto di vista finanziario. Dal confronto tra i dati macroeconomici precedenti il 2016 e quelli attuali è emerso che, nonostante le preoccupazioni derivanti dai rischi dell’adozione di dazi nei confronti di Cina ed Europa, l’amministrazione Trump abbia favorito l’espansione dell’economia grazie a una politica basata sul taglio delle tasse, sulla deregolamentazione finanziaria e sull’aumento della spesa a sostegno della crescita. I risultati positivi ottenuti sono stati molteplici: il mercato del lavoro statunitense ha continuato a dare segnali di forza e la disoccupazione ha raggiunto livelli minimi dal 1969 (con un tasso di disoccupazione pari al 3,7% a fine settembre), fatto che ha portato i consumatori a nutrire una maggiore fiducia; i salari hanno registrato un aumento costante, dopo decenni di impoverimento. Il PIL si è rivelato in crescita costante, nonostante il leggero rallentamento che dal +4,1% del secondo trimestre 2018 lo ha visto calare al +3,5% nel terzo trimestre. A sostenere la ripresa economica nazionale sono stati soprattutto i consumi, cresciuti del 4%, e le esportazioni, salite del 9,3%, a dispetto dei possibili effetti della temuta guerra commerciale tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. A ciò si è aggiunto il successo di Trump nel commercio estero, per aver recentemente convinto Canada e Messico a sostituire l’accordo North American Free Trade Agreement (NAFTA) con un trattato più favorevole agli interessi nazionali, lo United States-Mexico-Canada Agreement (USMCA). I democratici, dal canto loro, hanno presentato candidati eterogenei e con differenti proposte in materia economica. Ne è un esempio Alexandria Ocasio-Cortez: all’interno della sinistra statunitense, la candidata newyorkese si è distinta in quanto ‘anti Wall Street’ e per la sua volontà di ripristinare il Glass Steagall Act

(legge che, per circa 60 anni, ha separato l’investment banking dai crediti ai privati, abrogata nel 1999).

Ci si domanda, a questo punto, quali saranno gli scenari economico-politici che verranno a delinearsi in seguito alla votazione. Come ha affermato il responsabile del Global High Yield presso la Legal & General IM Martin Reeves, con l’uscita dei repubblicani più deboli dal voto, Trump potrebbe cercare di avanzare politiche più estreme per sostenere la sua popolarità, come un’intensificazione dello scontro commerciale con la Cina. Da una parte, una conquista di Camera e Senato da parte del GOP avrebbe potuto portare a un panorama più favorevole agli asset rischiosi, che avevano ricevuto una grande spinta già dopo il taglio delle tasse nel dicembre 2017, e a una tax reform 2.0, secondo quanto sostenuto in un’analisi di scenario dell’Anthilia Capital Partners. Dall’altra, una prevalenza del DEM avrebbe potuto condurre tanto a progressi sul piano infrastrutturale quanto a una ‘fase di stallo’ o annullamento dello stimolo fiscale. Si è invece confermato lo scenario più probabile, che prevedeva la formazione di un ‘mix legislativo’ con i democratici vincitori alla Camera e il GOP in testa al Senato. Si ringraziano per la preziosa collaborazione Lorenzo Aprà, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin e Virginia Borla.

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