Foucault interprete di Nietzsche. Dall'assenza d'opera all'estetica dell'esistenza

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Foucault interprete di Nietzsche

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E in questo senso, ma in modo più preciso che ne Le parole e le cose, Nietzsche e Kant (o, meglio, una certa lettura radicale di Kant, che assolutizza l’esteriorità delle condizioni della conoscenza rispetto al «mondo da conoscere») possono paradossalmente convergere, per Foucault, sul piano della critica al naturalismo e al soggetto del Cogito.

STEFANO RIGHETTI

Stefano Righetti è dottore di ricerca e studioso del pensiero di Foucault e della filosofia francese contemporanea, temi sui quali ha già pubblicato ampi studi (Soggetto e identità. Il rapporto anima-corpo in Merleau-Ponty e Foucault, Mucchi 2006; Letture su Michel Foucault. Forme della “verità”: follia, linguaggio, potere, cura di sé, Liguori 2011). Suoi saggi sono apparsi su riviste specializzate, fra le quali «Iride», «Dianoia» e «Millepiani». Ha fondato e diretto la rivista «La Stanza Rossa», prima pubblicazione in Italia a occuparsi in modo specifico del rapporto fra arte e nuove tecnologie (La Stanza Rossa. Trasversalità artistiche e realtà virtuali negli anni Novanta, Costa&Nolan 2007). Tra i suoi testi, La fantasia e il potere (Mucchi 2008).

Stefano Righetti

FoucA ult NIETZ SCHE interprete di

Dall’assenza d’opera all’estetica dell’esistenza isbn 978-88-7000-559-2

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22

9 788870 005592

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Il presente lavoro intende approfondire un aspetto del pensiero di Foucault ancora poco indagato, per quanto ben noto e indicato da diversi studiosi come un aspetto essenziale del suo lavoro e, più in generale, del pensiero francese contemporaneo. Se i rapporti di Foucault con il pensiero nietzschiano sono infatti al centro di alcuni studi specifici, e se il pensiero di Nietzsche è ormai unanimemente indicato come uno dei riferimenti principali di Foucault, in realtà, le implicazioni di questo rapporto, e il modo in cui Foucault utilizza gli strumenti del pensiero nietzschiano, rimangono avvolti da una certa oscurità e risentono spesso di un’impostazione letteraria generalizzante. Al contrario, in modo approfondito e con risvolti originali, lo studio intende restituire all’interpretazione nietzschiana di Foucault una complessità per molti aspetti inedita. I temi che Foucault assume da Nietzsche e che costituiscono lo sfondo concettuale delle sue opere, dando forma al suo metodo critico, non sono infatti univoci, ma mostrano differenze specifiche a seconda dei diversi momenti del suo pensiero. Ripercorrendo per intero l’opera e la riflessione di Foucault, il libro mette quindi in luce le diverse letture di Nietzsche presenti in Foucault, per rivelare, allo stesso tempo, l’originalità dell’interpretazione foucaultiana rispetto a quella di altri autori contemporanei.


Stefano Righetti

Foucault interprete di Nietzsche dall’assenza d’opera all’estetica dell’esistenza

Mucchi Editore


ISBN 978-88-7000-559-2

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ai miei genitori


Desidero rivolgere il mio ringraziamento a chi mi è stato vicino in questo lavoro e ha voluto accompagnarmi con amicizia e pazienza nel corso della scrittura. A Manlio Iofrida, per il suo sostegno costante, per le lunghe discussioni e le tante serate passate a parlare; a Frédéric Gros, per la disponibilità e l’interesse dimostratomi; e a Ubaldo Fadini, per l’incoraggiamento e l’affetto che non mi ha mai fatto mancare. S.R.


Indice sommario Prefazione di Manlio Iofrida........................................................................................... 7 PARTE prima Problematiche della ricezione di Nietzsche in Francia 1.

Le letture francesi di Nietzsche......................................................................... 13

1.1

Cultura aristocratica e estetismo antiborghese nella prima ricezione di Nietzsche.... 13

1.2

La prima ricezione di Nietzsche in Francia......................................................... 20

1.3

Le letture politice di Nietzsche: imperialismo, democrazia e socialismo.................. 25

1.4

Una svolta dalle molteplici conseguenze le interpretazioni di Bataille e di Blanchot......................................................................................... 29

1.5

Dall’edizione Colli-Montinari ai Colloques de Royaumount............................. 35

PARTE seconda Nietzsche, la filosofia e il linguaggio 2.

Letteratura e follia: il dionisiaco e l’assenza d’opera. Foucault e il problema del linguaggio letterario.................................................................... 45

2.1

Apparizioni del dionisiaco in Storia della follia.................................................. 45

2.2

La funzione della follia nel linguaggio letterario e l’assenza d’opera...................... 56

2.3

La follia, il silenzio e l’estraneità del sacro: Jaspers, Blanchot, Heidegger............... 63

2.4

L’assenza d’opera e le esperienze contemporanee della letteratura.......................... 76

2.5

Il linguaggio tra dionisiaco e genealogia............................................................. 83

3.

Nietzsche, la storia e il potere. Lo strutturalismo e la genealogia foucaultiani oltre la letteratura................................................. 87

3.1

Dal dionisiaco all’episteme............................................................................... 87


3.2

L’episteme e la storia.......................................................................................... 94

3.3

Regressione nell’origine e eterno ritorno............................................................ 103

3.4

Dall’archeologia alla genealogia...................................................................... 108

3.5

Le relazioni di potere e l’intellettuale specifico................................................. 126

PARTE terza L’Illuminismo critico di Foucault e la cura di sé nel mondo greco-romano 4.

Foucault, l’Illuminismo e l’interpretazione nietzschiana della scienza............ 135

4.1

Il dionisiaco come contestazione della ratio moderna e del modello scientifico....... 135

4.2

Dal dionisiaco alla critica epistemologica: la scienza e la tecnica come pratiche di governo e di assoggettamento.......................................................... 141

4.3

La scienza e il sapere nelle relazioni di potere e nelle tecnologie disciplinari della modernità............................................................................................... 158

4.4

La rivalutazione dell’Illuminismo kantiano e del metodo scientifico come “progresso” anti-dialettico................................................................................. 162

5.

Etica e verità. La cura di sé e la soggettivazione attiva nell’ultimo Foucault....................................................................................... 181

5.1

Gli aphrodisia: dalla genealogia del potere alla cura di sé.................................. 181

5.2

Il rapporto soggetto-verità fra pensiero antico e ragione moderna......................... 189

5.3

Aspetti politici della cura di sé tra platonismo e stoicismo................................... 199

5.4

La filosofia cinica o il coraggio della verità....................................................... 206

5.5

La cura di sé e lo spirito libero nietzschiano..................................................... 218

Bibliografia................................................................................................................ 225


Prefazione La ricerca di Stefano Righetti è un lavoro non solo di ampia portata dal punto di vista quantitativo, ma particolarmente rilevante dal punto di vista dell’originalità con cui viene affrontato l’argomento. Il problema scientifico del rapporto fra Nietzsche e Foucault è naturalmente di quelli che sono ben noti agli specialisti; tuttavia, nonostante i numerosi lavori, anche apprezzabili, che ad esso sono stai dedicati, i nodi più essenziali della questione, sia dal punto di vista teoretico che storico, non sono stati ancora sufficientemente messi a fuoco; e del resto, se si pensa alla questione più generale dell’influenza di Nietzsche sul pensiero francese, si deve dire che, nonostante l’esistenza di studi validi, anche recenti, come quello, ad esempio, di Jacques Le Rider (Nietzsche en France, Paris, puf, 1999), molto rimane da fare. Quindi, per entrambi i versanti su cui verteva la sua ricerca, si deve dire che l’autore ha dovuto fare molto da solo, andando alle fonti originali, e soprattutto mettendo a fuoco le domande giuste da porre alle fonti. In questo senso, il lavoro si avvale di un solido metodo storico-filologico, che è quello più consono alla nostra tradizione italiana ma, naturalmente, corretto e tarato con riferimento all’oggetto di cui si occupa: si trattava di applicare a Foucault il metodo storico, ma anche il suo metodo storico, secondo un circolo vizioso che non si può aggirare nei lavori che riguardano la filosofia contemporanea. Questo ha permesso di evitare la sterilità di un procedimento meramente filologico, che accumula dati senza alcuno schema organizzativo: anche il primo capitolo, che affronta la ricezione di Nietzsche in Francia che sta alle spalle di Foucault, sceglie i suoi dati allo scopo di mettere ben in rilievo la specificità della, anzi delle letture che di Nietzsche farà il filosofo francese. Questa limitazione o modificazione del metodo storico-filologico non significa però che esso sia stato messo del tutto fuori gioco: al contrario, la scommessa, largamente riuscita, del lavoro è quella di mettere in contatto Foucault con la storia, culturale e non solo culturale, del suo tempo, e di evitarne così una lettura tutta interna, una di quelle interpretazioni di Foucault sulla base dello stesso Foucault che riempiono sempre di più, e sempre più inutilmente, gli scaffali delle biblioteche. I risultati di questo attento dosaggio di metodo strutturale e metodo storico, o, se si vuole, di metodo francese e metodo italiano, perché qui sono le rispettive tradizioni di Italia e Francia ad essere in gioco, è una profonda differenziazione dell’oggetto studiato, una sua articolazione diacronica molto ricca: tanto che viene da domandarsi se fra il Foucault di cui Righetti tratta nel secondo capitolo, essenzialmente quello di Folie et Déraison, e il Foucault terminale, quello degli ultimi due corsi al Collège de France, non ci siano, dal punto di vista dell’impianto teorico di fondo, più discontinuità che continuità. Certo, Nietzsche rimane un riferimento essenziale dall’inizio alla fine della traiettoria del filosofo di Poitiers, ma, appunto, uno dei meriti del lavoro è di far vedere, e in modo molto chiaro e documentato, che, di volta in volta, sono diverse fasi, diverse opere del filosofo tedesco ad essere da lui sfruttate: e quale autore meno di Nietzsche, con le sue infinite maschere, potrebbe servire da collante unitario di un lavoro intellettuale durato trent’anni? Non starò ora a fare un resoconto dettagliato di tutto quello che emerge dalla vasta ricerca dell’autore: mi limiterò a mettere in evidenza quelli che a mio modo di vedere sono i punti essenziali. 7


Manlio Iofrida

Dunque, innanzitutto, la peculiare lettura di Nietzsche che sta dietro a Folie et déraison: che un impianto romantico, o romantico-schopenhaueriano, sia il nucleo forte di tale lettura mi sembra indubbio 1. Certo, il testo è complesso, e se ne attende un’edizione critica, che permetta di mettere a fuoco le differenti stesure: si può ipotizzare infatti che esse siano spesso il motivo dei frequenti cambiamenti di prospettiva del discorso di Foucault, che si riflettono in una terminologia oscillante, quando non contraddittoria; ma la sostanza della posizione filosofica dell’autore è quella che è ben espressa dalla Préface della I edizione dell’opera 2, in cui centrale è il riferimento alla coppia concettuale apollineo-dionisiaco e, quindi, al Nietzsche de La nascita della tragedia. Righetti mette peraltro ben in evidenza come il riferimento a Nietzsche sia, oltre che diretto, mediato da altri, ingombranti numi tutelari del lavoro del filosofo francese: il Blanchot del saggio su La parole «sacrée» de Hölderlin 3 e poi, naturalmente, Georges Bataille. Ora, notevole, dal punto di vista della ricerca, mi sembra il fatto che dalla ricostruzione di Righetti emerga con chiarezza come la posizione di Foucault non coincida del tutto con nessuna di queste sue fonti; in particolare, è da mettere in rilievo come il fatto che, così spesso, Foucault abbia richiamato insieme Blanchot e Bataille, e il fatto che essi fossero effettivamente legati da un forte sodalizio personale e intellettuale, non possa far dimenticare le differenze sostanziali che intercorrono fra le loro rispettive posizioni filosofiche e, in particolare, il loro differente niccianesimo. In Bataille, anche in quello della svolta avvenuta a cavallo della guerra, il tema della totalità, in nesso a quello nicciano del dionisiaco, ha un rilievo assai più forte che in Blanchot. Ora, Righetti fa osservare come la posizione di Foucault in Storia della follia appaia finalmente assai più vicina a quella più totalizzante e romantica di Bataille. Ma un altro fatto ancora più interessante è il fatto che l’autore mostra come, nel giro di pochi anni, questa posizione sia abbandonata da Foucault: già con Le parole e le cose, l’episteme logica e la verità scientifica assumono un rilievo assai maggiore; netta è ora la rottura con il dionisismo e il romanticismo delle prime opere, chiara la presa di distanza di Foucault da una critica meramente negativa della scienza: e anche i dibattiti sulla letteratura e il contatto molto più profondo con lo strutturalismo linguistico conducono rapidamente a un cambiamento di prospettiva radicale. Rilevante, e sarebbe da approfondire ancora, è il richiamo al debito di Foucault verso il formalismo di ascendenza russa e brechtiana: è ben noto, ma non ancora sufficientemente valutato, il ruolo che ospiti ed esuli dell’Est europeo hanno rivestito nella cultura francese di sinistra, anche marxista, ma di un marxismo non dogmatico, critico dell’ortodossia sovietica. Da questo punto di vista, le osservazioni di Ri1   Questa affermazione va bilanciata con la presa in considerazione dell’influenza dello Hegel della Fenomenologia dello spirito e del pensiero di Jean Hyppolite: in proposito si rinvia, per i vari studi dedicati alla questione, alla bibliografia citata in R. M. Leonelli, Foucault généalogiste, stratège et dialecticien. De l’histoire critique au diagnostic du présent, Thèse pour l’obtention du grade de Docteur en Philosophie, Université de Paris X – Nanterre, Année Universitaire 2006-2007, cap. I, Une archéologie du «pour nous». Pratique généalogique et métamorphose de l’hégélianisme dans l’Histoire de la folie, pp.15-72: tale capitolo, di cui è da auspicare la pubblicazione, rappresenta a mio avviso il punto più maturo a cui è giunta la ricerca su questo tema fino ad ora. 2   Cfr., M. Foucault, Préface, in Folie et Déraison. Histoire de la folie à l’âge classique, Plon, Paris 1961, pp. I-XI. 3   Cfr., M. Blanchot, La parole «sacrée» de Hölderlin; in La part du feu, Gallimard, Paris 1943.

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Prefazione

ghetti, che (come egli ha approfondito in un altro lavoro 4) sono confortate, fra l’altro, da frequenti riferimenti dello stesso Foucault a questo filone culturale, potrebbero essere ancora sviluppate studiando la sua amicizia e i suoi legami con Roland Barthes, con cui, per alcuni anni, la frequentazione fu intensa, ma anche i suoi rapporti con l’avanguardia musicale (ad es., con Pierre Boulez). I risultati di queste nuove prospettive che si sono schiuse a Foucault negli anni 60 sono essenzialmente due: in un primo tempo, una nuova valorizzazione della scienza, poi, verso la fine di quegli anni, l’abbandono della letteratura come campo “alternativo” al potere, alla società borghese. L’affermazione del valore di verità della scienza 5 segna un momento di chiarificazione essenziale del percorso filosofico di Foucault, ed è evidentemente in netta rottura con la prospettiva dionisiaco-schopenhaueriana precedente: la strada era aperta verso quella valorizzazione dell’Aufklärung e del logos che si farà sempre più frequente nel Foucault successivo, che è ormai centrata sul concetto fondamentale di discorso: con esso, egli si incammina sempre più decisamente verso l’idea dei diversi utilizzi sociali della verità scientifica (che non viene contestata come tale), così come del diverso regime di discorso che vige fra la scienza “dura” e le scienze umane. E, a questo proposito, Righetti fa anche vedere come Foucault si stacchi da molte delle letture di Nietzsche allora più in voga in Francia, ad esempio da posizioni come quelle di Klossowski 6, che portavano in una direzione opposta alla valorizzazione del logos e della scienza. Quanto al successivo abbandono, da parte di Foucault, della prospettiva letteraria, i testi a cui Righetti fa riferimento mi paiono univoci 7 e fanno di nuovo chiarezza in un campo in cui c’è ancora molta confusione. Alla fine degli anni Sessanta, al di là delle considerazioni di carattere filosofico, teoretico, Foucault fa un bilancio sociopolitico della letteratura del suo tempo, e si tratta di un bilancio assai amaro: la letteratura fa ormai parte del commercial system, per usare il linguaggio di Adorno 8. Che questo bilancio politico abbia avuto un ruolo importante anche nel passaggio al paradigma della microfisica del potere, e alla connessa valorizzazione del Nietzsche della Genealogia della morale, è ben messo in evidenza dall’autore. È ovvio che, anche in questa sua ultima versione, il pensiero foucaultiano abbia come referente un certo Nietzsche e, fino alla fine, il lavoro ci fa vedere questa specie di cangiante gioco di specchi, questa trasformazione parallela e connessa dell’immagine dei due autori. Qualche parola su quel che l’autore dice a proposito dell’ultima fase del pensiero di Foucault, come essa emerge, in modo più documentato, dacché sono disponibili i Corsi   Cfr., S. Righetti, Letture su Michel Foucault, Liguori Editore, Napoli 2011.   In proposito, l’autore richiama le affermazioni, particolarmente esplicite di Foucault, fatte nel corso del dibattitto radiofonico fra Hyppolite, Canguilhem e Hyppolite, che egli moderò nel 1965: cfr. Philosophie et vérité (entretien avec A. Badiou, G. Canguilhem, D. Dreyfus, M. Foucault, J. Hyppolite, P. Ricœur), «Dossier pédagogiques de la radio-télévision scolaire», 27 mars 1965, pp. 1-11; in M. Foucault, Dits et Écrits I, pp. 476-492. 6  P. Klossowski, Nietzsche, le polythéisme et la parodie; in Nietzsche, le polythéisme et la parodie. Sur quelques thèmes fondamentaux de la «Gaya Scienza» de Nietzsche, Gallimard, Paris 1963. 7  Cfr. Infra, p. 146 e sgg. 8   Cfr. Il saggio di M. Foucault, L’Ordre du discours, Gallimard, Paris 1971 e l’intervista Folie, littérature, société (1970), «Bungei», (47) n. 12, pp. 266-285; in Dits et Écrits I, cit., pp. 972-995, che Righetti richiama infra, p. 108 e sgg. 4 5

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Manlio Iofrida

che il filosofo tenne al Collège de France; importanti sono, in questa prospettiva gli ultimi due, Le gouvernement de soi et des autres e Le courage de la vérité 9 ma Righetti centra l’attenzione molto anche sul corso sull’ermeneutica del soggetto 10. Quest’ultima fase dell’attività di Foucault è quella che ha più spiazzato gli interpreti, quella che è sembrata a molti delineare una netta rottura nel pensiero del filosofo: reintroduzione del tema del soggetto, attenzione a temi come quelli della spiritualità, dell’ascetismo e del Cristianesimo dell’epoca imperiale, centralità dell’etica non sono temi che implicano un’autocritica severa rispetto a quanto il filosofo aveva sostenuto fino alla prima metà degli anni 70? Ora, il lavoro di Righetti, proprio perché ha attentamente individuato le linee di rottura in momenti e periodi in cui in genere vengono ignorate, permette per converso, per quanto riguarda quest’ultima fase, di vederla come lo sbocco naturale, in un contesto storico-politico ormai radicalmente mutato, di una serie di mosse che erano state compiute in precedenza. Dopo la valorizzazione della scienza, che si è vista cominciare fin dagli anni 60, si è meno sorpresi di vedere Foucault impegnato in una riscoperta del soggetto come autoformazione consapevole, di cui logos e dialogo sono parti essenziali; e si mette meglio a fuoco che, quando egli parla di verità, di rapporto del soggetto alla verità e di coraggio della verità, il termine, pur non coincidendo con la verità scientifica, oggettiva, ed avendo un netto connotato etico-politico, è tutt’altro che opposto ad essa. In realtà, dalla lettura dei testi usciti negli anni 80, emerge come tutta la problematica dell’ultimo Foucault abbia uno dei suoi nodi centrali nella questione di come rapportarsi alla scienza in modo non positivistico e di come farla entrare nel dibattito etico-politico. Conclusivamente, quest’ultima fase del pensiero foucaultiano non appare come un abbandono del tema del potere per passare all’etica. Piuttosto, constatiamo in essa una visione meno manichea del potere, un apprezzamento di quest’ultimo come ciò che lascia del gioco all’individuo e alla sua possibilità di costruirsi un’identità che limiti il potere, che lo faccia agire a proprio favore ecc.: e in questa lotta per la libertà – tema fondamentale di tutto il percorso di Foucault – la questione della verità riveste un ruolo primario. Gli eclettismi postmoderni, le commistioni, tipiche della French Theory, fra Foucault, Deleuze e Derrida, tutti ugualmente deformati sullo sfondo di un costruttivismo e di un convenzionalismo assoluti e di una negazione regressiva della scienza, sono dunque efficacemente congedati da questo lavoro, che ci restituisce un Foucault mobile e anche fallibile: non lo monumentalizza, e anzi ne mette in rilievo i limiti, ma, sullo sfondo di questi, fa emergere i suoi punti di maggior forza, che sono poi quelli del razionalismo critico occidentale, di cui il pensiero di Friedrich Nietzsche è stata una delle più alte espressioni. Manlio Iofrida

Cfr., M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de France 1982-1983, Gallimard-Seuil, Paris 2008; e M. Foucault, Le courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres II. Cours au Collège de France 1983-1984, Gallimard-Seuil, Paris 2009. 10   Cfr., M. Foucault, L’hermeneutique du sujet. Cours au Collège de France 1981-1982, Seuil-Gallimard, Paris 2001. 9

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Parte Prima Problematiche della ricezione di Nietzsche in Francia



1. Le letture francesi di Nietzsche 1.1 Cultura aristocratica e estetismo antiborghese nella prima ricezione di Nietzsche Nel 1984, rispondendo a una delle sue ultime interviste, Foucault torna sul rapporto con gli autori che sono stati fondamentali nella sua formazione. Archiviate le questioni sullo strutturalismo, e accennando a una sorta di bilancio intellettuale, Foucault riconosce che nonostante egli avesse sempre considerato Heidegger un filosofo essenziale per il proprio pensiero, Nietzsche ha avuto però il sopravvento: Heidegger è sempre stato, per me, il filosofo fondamentale. Ho cominciato leggendo Hegel, poi Marx e mi sono messo a leggere Heidegger nel ’51 o nel ’52; e nel ’53 o nel ’52, non mi ricordo più, ho letto Nietzsche. […] Tutto il mio divenire filosofico è stato determinato dalla lettura di Heidegger. Ma riconosco che l’ha spuntata Nietzsche. Non conosco a sufficienza Heidegger, praticamente non conosco né Essere e tempo, né le cose che sono state pubblicate recentemente 1. La mia conoscenza di Nietzsche è sicuramente migliore di quella che ho di Heidegger; nondimeno, sono le due esperienze più fondamentali che ho fatto. Probabilmente, se non avessi letto Heidegger non avrei letto Nietzsche. Avevo provato a leggere Nietzsche negli anni cinquanta, ma Nietzsche da solo non mi diceva nulla. Mentre Nietzsche e Heidegger insieme sono stati uno shock filosofico! 2

E più oltre aggiunge: «sono semplicemente nietzschiano e su molti punti cerco, nella misura del possibile, di vedere, con l’aiuto dei testi di Nietzsche – ma anche delle tesi antinietzschiane (che, comunque, sono nietzschiane!) – ciò che si può fare in questo o quell’ambito. Non cerco nient’altro, ma questo lo cerco pienamente» 3. Alcuni anni prima, nel 1978, in un colloquio con Duccio Trombadori (inviato a incontrare Foucault per conto di una casa editrice vicino al Partito Comunista Italiano – gli Editori Riuniti – che poi preferì non pubblicare l’intervista), rispondendo a una domanda simile, Foucault ometteva (fatto interessante) proprio il nome di Heidegger: Per quanto mi riguarda, gli autori più importanti, che mi hanno, non dirò formato, ma permesso di effettuare uno spostamento rispetto alla mia prima formazione universitaria, sono stati: Friedrich Nietzsche, Georges Bataille, Maurice Blanchot, Pierre Klossowski. Tutti personaggi che non erano “filosofi”, nel senso stretto, istituzionale del termine. Ciò che più mi ha colpito e affascina1   La traduzione francese di Essere e tempo appare del resto con molto ritardo: la 1° sezione solo nel ’64 (undici anni dopo la traduzione della Lettera sull’umanismo), e l’opera completa solo nel 1985 (Cfr. D. Janicaud, Heidegger en France, Hachette Littératures, Paris 2001; qui nell’edizione 2005, vol. 1). Il che spiega forse perché Foucault, pur considerando Heidegger un autore fondamentale per la propria formazione, può confessare candidamente di non conoscerlo a sufficienza e di non avere mai letto Essere e tempo. 2   Le retour de la morale (intervista con G. Barbedette e A. Scala, 29 maggio 1984), in “Les Nouvelles littéraires”, n. 2937, 1984, pp. 36-41; in Dits et Écrits II 1976-1988, Gallimard, Paris 2001, n. 354, pp. 1.5151.526; trad. it. di. S. Loriga, Il ritorno della morale, in Archivio Foucault vol. 3, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 268-269). 3   Ibid., p. 269.

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Michel Foucault e le ricezioni di Nietzsche in Francia

to in loro è il fatto che non avevano il problema di costituire sistemi, ma di compiere esperienze dirette, personali 4;

esperienze in cui il soggetto è come strappato da se stesso e spinto a divenire «completamente altro da sé» 5. Eppure, ammette Focuault, l’incontro con questi autori è avvenuto per una sorta di contrapposizione. Al termine della Seconda Guerra mondiale la filosofia era divisa fra il pensiero accademico, che stentava a ripensare il tragico di quell’esperienza attraverso gli strumenti razionali della dialettica hegeliana, e l’esistenzialismo (in particolare sartriano), che «incombeva» al di fuori dell’università. È in rapporto a questo panorama intellettuale, se vuole, che è maturata la mia scelta: non diventare un professore di filosofia, e d’altra parte cercare qualcosa di totalmente diverso dall’esistenzialismo. Ecco dunque l’incontro con Bataille, Blanchot, e tramite loro, la lettura di Nietzsche 6.

Ciò che questi autori rappresentano per Foucault (almeno nella prospettiva del 1978) è la possibilità di cercare nuove vie intellettuali, per esprimere quel «rigetto totale del mondo», che l’hegelismo non sembra più riuscire a rendere concreto 7. Eppure, questa rivendicazione della filosofia nietzschiana – alla fine degli anni 70 ormai metabolizzata e fatta propria anche dalla “sinistra”, senza troppo scandalo –, può ancora assumere un significato provocatorio, in particolare nei confronti della dialettica hegeliana. La riscoperta di Nietzsche, del resto, ha avuto nella cultura europea un percorso complesso e tortuoso, ed è stata possibile solo grazie all’impresa di alcuni editori e intellettuali europei che, all’inizio degli anni 60, si sono assunti l’impegno della riedizione critica degli scritti di Nietzsche, in Italia, in Francia e in Germania, favorendo così un nuovo interesse per il pensiero nietzschiano e per un suo rinnovato impiego teorico. Per quanto riguarda la Francia, alla fine della Seconda Guerra mondiale, l’opera di Nietzsche è letta per lo più in modo superficiale e in funzione di alcuni evidenti “luoghi comuni” – divenuti, a loro volta, un mezzo di semplificazione del suo pensiero. E questo per una ragione precisa. La paura che le classi colte avevano mostrato, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, di fronte all’affermarsi del pensiero democratico – con tutto ciò che questa reazione comportava (dall’esaltazione di valori aristocratici a un elitarismo artistico e sofisticato, e a una presa di distanza orgogliosa dalla «massa» borghese, che cominciava a popolare le città in modo sempre più frenetico) – aveva dato luogo a una lettura reazionaria di Nietzsche, che aveva fatto del filosofo tedesco una sorta di bandiera. Dalla fine dell’800 fino alla metà degli anni 40, Nietzsche divenne così l’emblema della resistenza alla nuova civiltà democratica e, insieme, della riscoperta di ideali raffinati, assunti in maniera spesso semplificata, ma sempre in funzione di un estetismo elitario, divenuto di moda presso le classi più colte. L’idea del superuomo come incarnazio4   Conversazione con Michel Foucault; intervista di D. Trombadori, in “Il Contributo”, (4), n.1, gennaio-marzo 1980, pp. 23-84; trad. fr. cura di F. Ewald e D. Defert, Entretien avec M. Foucault, in Dits et Ècrits II 1976-1988, cit., n. 281, pp. 860-914; pp. 33-34; qui in D. Trombadori, Colloqui con Foucault. Pensieri, opere, omissioni dell’ultimo maître-à-penser, Castelvecchi, Roma 1999, pp. 33-34. 5   Ibid., p. 34. 6   Ibid., p. 44. 7   Ibid., p. 47.

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Le letture francesi di Nietzsche

ne di valori alternativi a quelli della borghesia “cristiana”; del dionisiaco e della volontà di potenza come mitologia della forza in contrapposizione alla mediocrità di ogni idea conciliatrice, democratica, o razionalista dell’esistenza, sono certamente attinti dal pensiero nietzschiano (in questo contesto) in modo più approssimativo e arbitrario, che non sulla base di una lettura rigorosa e coerente – e utilizzati in epoca nazista per scopi tragici. Anche lo studio approfondito che Heidegger dedica a Nietzsche 8, durante il decennio peggiore della recente storia Europea (quello che va, per intenderci, dal 1936 al 1945-46), non è esente, a questo riguardo, da alcune sinistre e ambigue (e a volte quasi compiaciute) sfumature. Non solo perché Heidegger interpreta la prospettiva nietzschiana relativa alla «giustizia», alla luce della “volontà di potenza” (per cui essa sarebbe infine «qualcosa che è più di questo o quello scopo, più della felicità e del destino di singoli esseri umani», come di un’intera «comunità» 9); ma perché il fine stesso della volontà di potenza è da intendersi, per Heidegger (non senza un’evidente forzatura, con cui egli cerca di ridurre il pensiero di Nietzsche all’interno della metafisica), come un «incondizionato dominio» che si produce attraverso la lotta: Tutti i fini della lotta e le grida di battaglia sono sempre e solo strumenti di lotta. Per che cosa si lotti è già deciso in anticipo: è la potenza stessa che non ha bisogno di fini. Essa è senza-fini, così come l’insieme dell’ente è privo-di-valore. Questa mancanza-di-fini fa parte dell’essenza metafisica della potenza. Se mai qui si può parlare di un fine, questo “fine” è la mancanza di fini dell’incondizionato dominio dell’uomo sulla terra. L’uomo di questo dominio è il super-uomo (ÜberMensch) 10.

Ma, quasi inevitabilmente, questo super-uomo non è altro – per Heidegger – che il risultato di un diverso «allevamento dell’uomo», in funzione della sua «purificazione» razziale. Pertanto, continua Heidegger, [s]oltanto dove la soggettività incondizionata della volontà di potenza diventa la verità dell’ente nel suo insieme, è possibile, cioè metafisicamente necessario, il principio dell’istituzione di un allevamento delle razze, cioè non una mera formazione spontanea delle razze, ma il consapevole pensiero delle razze 11.

È vero che, subito dopo, Heidegger si affretta a precisare che «[c]osì come la volontà di potenza non è pensata in termini biologici, bensì ontologici, altresì il pensiero delle razze in Nietzsche non ha un senso biologistico, ma metafisico» 12. Ma dobbiamo riconoscere che il «pensiero della razza», che egli attribuisce a Nietzsche, va purtroppo nello stesso senso di quello che il nazismo ha voluto leggere nelle sue opere. Dal punto di vista artistico e culturale, viceversa, l’estetismo aristocratico che percorre la cultura europea, e che accompagna la diffusione dell’opera di Nietzsche, copre un 8   Cfr., M. Heidegger, Nietzsche, Verlag Günter Neske, Pfullingen, 1961; trad. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1994. 9   Ibid., p. 531. 10   Ibid., pp. 638-639. 11   Ibid., p. 788. 12   Ibid., p. 788.

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Michel Foucault e le ricezioni di Nietzsche in Francia

periodo molto più ampio, lungo quasi un secolo: dalla Rivoluzione del luglio 1830 (che viene letta come l’annuncio dei sommovimenti del 1848), al secondo conflitto mondiale. Con la Rivoluzione del 1830 sembra completarsi, per i contemporanei, il processo cominciato quasi mezzo secolo prima con la Rivoluzione francese, e che ha avuto come risultato il definitivo affermarsi della classe borghese e dei suoi valori sociali ed economici. La Rivoluzione di luglio, come scrive Karl Löwith, «gettò lo scompiglio in tutta quanta l’Europa e fece riflettere tutti i contemporanei. Immermann pensò che essa non poteva essere spiegata per una necessità fisica, e fosse dovuta soltanto a un entusiastico impulso spirituale» di natura politica 13, [p]iù sobriamente L. von Stein l’ha giudicata come il grande evento, attraverso cui la società industriale giunse al potere. Le verità sociali cui essa aveva procurato validità erano universalmente europee, e il dubbio connesso alla vittoria della classe borghese riguardava la civiltà in generale 14.

Questo «dubbio» ebbe tuttavia sulla cultura germanica – e sul rapporto fra la cultura borghese e il cristianesimo che essa esprimeva – effetti diversi. Laddove Hegel si sforzava di realizzare una «mediazione compiuta» tra la speculazione filosofica e il cristianesimo, in modo da “giustificare” concettualmente l’esistente sulla base della filosofia dello Spirito; la critica successiva – ricorda Löwith – si è «sforzata» piuttosto «di distinguere i due termini e di giungere a una decisione» 15. Prende così forma quella critica della religione secolarizzata che si estende da Strauss a Feuerbach, fino a Bruno Bauer e a Kierkegaard, e in cui si evidenzia come la «crisi della filosofia hegeliana» determini «altresì una crisi del cristianesimo» 16 e dei valori spirituali che avevano caratterizzato la civiltà europea. Questa crisi – che Hegel non sarebbe riuscito a scorgere –, continua Löwith, è però intuita chiaramente da Goethe, proprio verso il 1830. Ma, a quel punto, le strade rimaste sembrano essere soltanto due: o rimanere fedeli al cristianesimo tradizionale (reso ormai «sbiadito e banale, sino a diventare un luogo comune tra i borghesi colti del XIX secolo» 17 e stemperato nei valori di un classicismo umanisitico, ugualmente banalizzato), oppure arrischiarsi nella critica e abbandonare la religione. La strada che Goethe intraprende, e che gli permetterà di farsi apprezzare da Nietzsche, è la seconda. Goethe riconosce che il mondo è ormai avviato a un mutamento senza precedenti e che l’insieme dei valori spirituali, che avevano rappresentato il culmine della civiltà europea, e che erano stati ricostituiti dopo la Rivoluzione del XVIII secolo, sono sul punto di subire una nuova e più radicale trasformazione. Questo cambiamento in atto indica per Löwith anche una svolta nell’atteggiamento critico della società colta. Al rifiuto di un cristianesimo sbiadito, come quello praticato dalla borghesia, si accompagna ora un più esteso rifiuto di tutto ciò di cui il 1830 sembrava l’avvento: la minaccia, in particolare, di un «livellamento» nel collettivo e nella massa; e il pericolo, più generale, invece, di una condizione di “banalità” percepi13  K. Löwith, Von Hegel zu Nietzsche, Europa Verlag A. G., Zürich 1941; trad. it. di G. Colli, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Giulio Einaudi editore, Torino 1949 e 2000, p. 53. 14   Ibid., pp. 53-54. 15   Ibid., p. 52. 16   Ibid., p. 52. 17   Ibid., p. 51.

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ta ormai come insormontabile, e che la democrazia finisce per rappresentare in maniera quasi simbolica. Nella democrazia, infatti, la società colta scorge l’affermarsi di una civiltà improntata a una velocità e a una superficialità sempre maggiori, e a un individualismo ormai generalizzato, asservito in modo esclusivo alla “ricerca del profitto” e a un sempre maggiore sfruttamento economico. La reazione e la condanna verso questa condizione considerata di mediocrità, ma che la modernizzazione tecnica e scientifica starebbe imponendo alla società intera, diventano un diffuso “luogo comune” presso un ampio ceto culturale e artistico, che fatica sempre più a riconoscersi nella trasformazione in atto e che accomuna, a cavallo fra i due secoli, i nomi più importanti della cultura europea – e della cultura letteraria e musicale in particolare: da D’Annunzio a Mann, da Musil a Rilke, fino a Hoffmannsthal e a Benn e, soprattutto, a Wagner 18. Allo stesso tempo, questo tipo di “reazione” (in cui si forma la stessa esperienza intellettuale di Nietzsche) sembra condizionare, in modo inequivocabile, anche la sua prima ricezione – della quale l’ambiente filosofico rappresenta forse il lato peggiore. Il lavoro propagandistico che Elisabeth Föster-Nietzsche orchestra intorno alla vita e all’opera del fratello ottiene, infatti, l’indiscutibile successo di influenzarne la lettura. 19 Elisabeth riesce a creare la “leggenda Nietzsche” con una tale efficacia che, come scrive Mazzino Montinari, dopo «l’inserimento di Nietzsche nel “sistema” della Germania guglielmina operato da Richard M. Meyer (1913)» 20, egli poté diventare la voce, nella disfatta patriottica che fa seguito alla Prima Guerra mondiale, di una “nuova” mitologia. In quella circostanza, ricorda Montinari, di fronte alla durezza della condizione post-bellica della Germania, tutto diventa (o ritorna) «mito» 21, compreso Nietzsche. Finché, nel 1918, Ernst Bertram può licenziare «il suo libro per iniziati» 22 (dal titolo emblematico: Nietzsche, saggio di una mitologia 23) che rappresenta chiaramente, secondo Montinari, «la preparazione diretta della cessione in blocco di Nietzsche al Terzo Reich» 24 – oltre a prefigurare l’adesione dello stesso Bertram al nazismo. E a questo punto, la reazione contro la democrazia, e contro il nuovo ordine economico dei valori e della cultura borghese, può 18   La figura di Wagner è, a questo riguardo, emblematica: «Dominare un’orchestra, trascinare la folla e sapere esercitare un fascino erano e rimasero l’ambizione della sua carriera teatrale. Nietzsche l’ha chiamato un artista che si impone nell’epoca delle masse democratiche». (K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, cit., p. 278). Per Wagner, tuttavia, è chiaro che le problematiche attuali dell’arte sono influenzate «dalle intraprese industriali delle nostre grandi città», che derivano dal tramonto della polis e della tragedia greche: «Gli “eroi della Borsa” dominano il mercato dell’arte moderna, mentre la tragedia greca era la “libera espressione di una libera universalità”. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle furono “l’opera di Atene”; il teatro moderno è “un fiore del pantano della bourgeoisie moderna”. La vera arte del presente dev’essere necessariamente rivoluzionaria, poiché essa ha ragione di esistere solo in antitesi alla situazione di fatto». (Ibid., p. 281). 19  E. Föster-Nietzsche, Das Leben Friedrich Nietzsche’s, Naumann, Leipzig, 1895. 20  M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p. 181. Il riferimento di Montinari è al volume di R. M. Meyer, Nietzsche. Sein Leben und sein Werke, Beck, Münken, 1913, che rappresenta la prima legittimazione accademica e politica del pensiero di Nietzsche in Germania. 21   Ibid., p. 181. 22   Ibid., p. 181. 23  E. Bertram, Nietzsche. Versuch einer Mythologie, Bondi, Berlin, 1918; trad. it. di , Nietzsche. Per una mitologia, Il Mulino, Bologna 1988; trad. fr. di R. Pitrou, 1932, Nietzsche. Essai de mythologie, ried. Édition du Félin, Paris, 1990. 24  M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., p. 181.

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trovare, nella mitologia nietzschiana di Bertram, una delle sue peggiori espressioni e, insieme, l’inizio di una tragica (per Nietzsche) inclusione. È vero, però, che una diversa ricezione del pensiero nietzschiano comincia già a formarsi negli anni bui del Terzo Reich. Secondo Montinari, sono stati proprio Jaspers e Löwith a marcare per primi una differenza sotanziale nell’interpretazione di Nietzsche e a distinguerlo, in modo preciso, dal filosofo della «volontà di potenza», assoldato (in parte) dal nazismo. Così, mentre [a]utorevoli rappresentati della cultura tedesca (come Martin Heidegger o Walter Friedrich Otto) approvano, almeno temporaneamente e ufficialmente – […] per loro intima convinzione –, l’annessione di Nietzsche al Terzo Reich […] i migliori libri scritti su Nietzsche in questo periodo sono opera di avversari del nazismo, come Karl Löwith, Erich F. Podach, Karl Jaspers, Edgar Salin 25.

L’analisi a cui Löwith sottopone la cultura germanica nel XIX secolo ha del resto il compito di far rientrare la stessa “frattura storica”, operata dal pensiero nietzschiano, entro il quadro della storia filosofica del secolo XIX – facendo emergere, in tal modo, come «gli innumerevoli influssi derivati da Nietzsche dopo il 1890 soltanto al nostro tempo [Löwith licenzia il suo libro nel 1939] si sono concentrati in un’ideologia nazionale» 26; mentre ciò che questa ideologizzazione di Nietzsche in chiave nazionalista rischia di perdere è appunto la prospettiva storica e il problema teorico a cui egli stesso ha partecipato nel complesso della cultura tedesca di quel periodo: «la trasformazione e il rovesciamento della filosofia dello spirito assoluto attraverso Marx e Kierkegaard in marxismo e esistenzialismo» 27: ovvero, i due poli della cultura filosofica occidentale con cui, anche la   Ibid., p. 182. Karl Jaspers interviene apertamente contro il pericolo di un’interpretazione mitica di Nietzsche, e del pensiero nietzschiano, come quella operata da Bertram: «Si spiega la complessiva realtà di Nietzsche con simboli mitici, che gli conferiscono un significato eterno e la profondità del radicamento storico. Qualcosa di persuasivo c’è forse nel simbolo di Giuda, per indicare la persistente negatività dialettica di Nietzsche […], ed in altre immagini di questo tipo (cfr. Bertram). Ma questi simboli, non appena pretendono di essere più di quel che sono, cioè un gioco bello e ingegnoso, diventano inattendibili: essi semplificano, annullano il movimento, fanno di Nietzsche un essere irrigidito, lo sottomettono ad un tipo di comprensione che segue necessariamente criteri prefissati e, sulla base di essi, pretende di estendersi a tutto, anziche seguirlo nella sua effettiva realtà». (K. Jaspers, Nietzsche. Einführung in das Verständnis seines Philosophierens, R. Piper GmbH & Co KG, München 1922; trad. it. di L. Rustichelli, Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare, Mursia, Milano 1996, p. 26). E lo stesso afferma Löwith in un testo più tardo, apparso nel 1978, nel quale rimprovera a Bertram di non voler assumere Nietzsche «nel quadro della problematica storica della sua esistenza filosofica, bensì come una sorta di leggenda, come “simbolo”, “immagine simbolica”, “figura”. Per questa trasfigurazione Bertram utilizza quali modelli i miti degli eroi antichi e le leggende medievali dei santi. […] Bertram non riesce ad afferrare realmente in nessun punto l’opera di Nietzsche; la circoscrive soltanto, mediante similitudini vaghe, con titoli simbolici: Arione, Giuda, Weimar, Napoleone, maschera, aneddoto, Venezia, Portofino, ecc. La questione della possibilità in generale di una rappresentazione “in forma figurata” di un’esistenza così problematica come quella di Nietzsche non emerge affatto, tutto resta anzi in una sospensione indecisa, sebbene proprio Nietzsche, come nessun altro e fino alla follia, volesse produrre “decisioni” spirituali». (K. Löwith, Nietzsche Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1978; trad. it. di S. Venuti, Nietzsche e l’eterno ritorno, Laterza, Bari 1982, 1985, 1996, pp. 208-209). 26  K. Löwith, Prefazione alla prima edizione (Sendai, Giappone 1939), in Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, cit., p. 11. 27   Ibid., p. 15. 25

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ripresa di Nietzsche negli anni 60 dovrà a sua volta confrontarsi. A tale proposito, in contrasto evidente con il clima di quegli anni, Löwith sottolinea invece la differenza, stabilita da Nietzsche, tra il valore dell’Uomo e la disciplina ideologica; per cui, «[n]onostante la sua critica dell’umanità, come “fiacca degenerazione degli istinti”», scrive Löwith, «Nietzsche era ben lontano dal disprezzare l’uomo, facendone lo strumento di una disciplina politica» 28. Un giudizio simile è espresso da Karl Jaspers, nel 1936, nel lavoro dedicato a Nietzsche, con il quale lo studioso tedesco prende le distanze da ogni lettura “nazionalsocialista” della filosofia nietzschiana. Giudizio espresso, in modo ancora più chiaro, nell’edizione apparsa dopo la Guerra. Nella Prefazione alla prima edizione, licenziata nel dicembre del 1935, questa intenzione appare ancora sfumata. Nella Prefazione alla seconda edizione, pubblicata nel 1946, la distinzione di Nietzsche dal nazismo può dichiararsi finalmente in maniera esplicita. Non solo, scrive Jaspers, dobbiamo tenere conto delle diverse citazioni e dei diversi «passi pieni di rispetto nei confronti degli ebrei», che si trovano nell’opera di Nietzsche (e che la distinguono, quindi, dalle follie criminali che hanno contraddistinto la politica razziale del Terzo Reich), ma occorre infine rendersi conto che il contenuto della sua vita e del suo pensiero è di una tale grandezza che, chi riesce a prendervi parte, è al riparo da quegli errori che in qualche circostanza Nietzsche stesso ha commesso, e che hanno potuto fornire il materiale espressivo per la barbarie nazionalsocialista 29.

In ogni caso, tra questi errori non può certo essere compreso quello dell’esaltazione tedesca e, meno che mai, dell’esaltazione della guerra come pratica di dominio 30. Al contrario, se «il germanesimo rappresenta per lui il futuro» (che riannoda i fili con l’origine Greca), il germanesimo, per Nietzsche, è «in pericolo» esclusivamente «a causa di se stesso» 31. Detto ciò – conclude Jaspers –, a riprova di come Nietzsche «non potesse diventare il filosofo del nazionalsocialismo», sta anche il fatto che egli fu progressivamente «abbandonato» dagli stessi nazionalsocialisti 32.

K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, cit., p. 477.  K. Jaspers, Prefazione alla seconda e alla terza edizione, in Nietzsche.Introduzione alla comprensione del suo filosofare, cit., p. 22. 30   Ibid., p. 239. 31   Ibid., p. 219. 32   Ibid., p. 22. Aspetto su cui insiste anche Montinari: le voci più «eloquenti» contro la filosofia «scomoda» di Nietzsche, vegono infatti – spiega Montinari – «dalle file stesse del nazionalsocialismo: Curt von Westernhagen, scrittore wagneriano, impegna per due volte tutta la sua passione antinietzscheana onde dimostrare che il vero profeta del “sapiente eroico” Adolf Hitler non è l’autore dello Zarathustra, bensì Richard Wagner. L’anti-germanesimo e l’anti-antisemitismo di Nietzsche sono così facilmente dimostrabili quanto il germanesimo e l’odio rabbioso di wagner per gli ebrei. Nessuno dà ascolto a Westernhagen, e i suoi due libri pieni di wagneriano germanesimo e di lodi del Führer nazionalsocialista […] vengono… sequestrati dai nazisti». (M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., p. 182). 28 29

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1.2 La prima ricezione di Nietzsche in Francia In ambito francese, la ricezione di Nietzsche deve soprattutto fare i conti, all’inizio, con la filosofia universitaria. Il kantismo metafisico che aleggia sulla filosofia francese è infatti l’ostacolo principale per la diffusione dell’opera di Nietzsche in ambito accademico. Il che fa subito prendere alla sua lettura una dimensione particolare. A fare luce su questa situazione è la relazione con cui Geneviève Bianquis ottiene, nel 1928, il primo premio al concorso indetto dalla “Nietzsche-Gesellschaft” di Monaco sul tema L’influenza di Nietzsche sul pensiero francese (la cui giuria è composta, fra gli altri, da Ernst Bertram e Thomas Mann) 33. L’opera di Nietzsche, scrive Bianquis, comincia a penetrare in Francia poco più tardi che in Germania, grazie all’attività di alcuni gruppi con cui Nietzsche non ha avuto quasi nessun rapporto: giornalisti, accademici e filosofi, giovani poeti eredi del simbolismo, romanzieri, sociologi, gruppi d’azione politica d’indirizzo conservatore o libertario. È però evidente, aggiunge Bianquis, che [s]i l’on passe de la littérature et de la politique à la philosophie proprement dite, il faut avouer que l’influence de Nietzsche y est de plus réduits. On n’aperçoit pas en France de système issu de Nietzsche ou fondé sur des principes nietzschéens. Dans ce domaine plus qu’ailleurs subsiste le préjugé qui fait de Nietzsche un poète, un artiste, un brillant auteur d’aphorismes et de paradoxes, mais lui dénie le don constructeur et le véritable sérieux philosophique. Ses disciples sont plutôt des essayistes, des littérateurs curieux du jeu des idées: Jule de Gaultier, Rémy de Gourmont 34.

Questa situazione determina, per la ricezione di Nietzsche in Francia, come nota André Gide, una condizione quasi paradossale: una grande notorietà – e una moda sempre più influente nella cultura francese – senza che questo comporti, tuttavia, un’attenta lettura delle sue opere; al punto che la sua influenza, come constata Bianquis, ha preceduto «en France l’apparition de son œvre traduite» 35. Il motivo è semplice: anche per quanto riguarda la Francia, infatti, l’estetismo antidemocratico e anti-borghese, professato dagli scrittori e dagli intellettuali francesi alla fine dell’800, è l’atteggiamento prevalente che accompagna la prima diffusione del pensiero nietzschiano – che trae vantaggio, peraltro, anche dai tanti riferimenti positivi alla cultura francese sparsi nelle sue opere, e dalle stesse rivelazioni della sorella Elisabeth 36. Secondo 33   L’editore tedesco, che avrebbe dovuto diffondere il testo vincitore del concorso si rifiuta però di pubblicarlo, per non incorrere, negli anni che seguono alla Prima Guerra mondiale, nelle polemiche che sarebbero nate dalla pubblicazione, in Germania, di un’opera francese. Lo studio di Bianquis appare quindi con un anno di ritardo e soltanto in Francia: cfr. G. Bianquis, Nietzsche en France. L’influence de Nietzsche sur la pensée française, F. Alcan, Paris 1929. 34  G. Bianquis, Nietzsche en France, cit., pp. 95-96. 35   Ibid., p.4. 36   Come ha evidenziato Jacques Le Rider, la posizione di Elisabeth Förster-Nietzsche a questo proposito è diversa a seconda del periodo, e perfino contraddittoria (cfr. J. Le Rider, Nietzsche en France. De la fin du XIXe siècle au temps présent, PUF, Paris 1999, p. 25 e sgg). Nella sua introduzione al volume di Henri Lichtenberger, uscito nel 1899 con il titolo Die Philosophie Friedrich Nietzsche’s, il rapporto con la cultura francese di Nietzsche è enfatizzato in maniera particolare. Il successo che l’opera del fratello riscuote in Francia, a partire dalla metà degli anni 90, e l’entusiasmo, confessato più volte da Nietzsche, per la cultura francese e italiana, mettono la Förster-Nietzsche nella condizione di dare a questo rapporto con la Francia un risalto particolare, giustifican-

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Gabriel Monod (che aveva mantenuto fino al 1873 una corrispondenza col filosofo, troncata bruscamente da quest’ultimo dopo la pubblicazione, sulla «Revue critique d’isthoire et de littérature», di un commento di Monod al volume del 1872 – Schopenhauer come educatore –, ritenuto da Nietzsche al livello di un «garzone di café») 37, Nietzsche sarebbe stato attirato dall’«esprit française» per il suo carattere fortemente critico: pensieri metafisici profondi, accentuato moralismo e un particolare slancio poetico sono infatti caratteristiche che accomunano lo stile nietzschiano a quello dei maggiori scrittori francesi, e che lo distinguono – per altro verso – dalla filosofia sistematica, praticata in Germania. Questo giudizio, nota Le Rider, rimane a lungo immutato presso gli studiosi francesi; i quali, fino agli anni 70 del ’900, continuano a leggere Nietzsche quasi con gli stessi propositi, e ad attribuirgli il medesimo valore: «écrivan, moraliste, poète, visionnaire, sans aucun doute, Nietzsche n’aurait jamais été un philosophe au sens “serieux” du mot» 38. Ma proprio per questa sua caratteristica, Nietzsche appare già recepito come un filosofo al di là della stessa filosofia: un «moralista» che si “ribella” al sistema e alla sua pretesa “esaustività”, per affermare, al suo posto, una critica e una differenza senza mediazioni e senza ricadute nella “mediocrità” della ragione – per quanto questa differenza sia letta soprattutto in termini poetici e “visionari”. Fama a parte, è vero tuttavia che la prima traduzione di un’opera di Nietzsche in Francia appare soltanto nel 1898, anno in cui Henri Albert dà alle stampe Ainsi parlait Zarathoustra e Par-delà le bien et le mal, co-editate, entrambe, dall’editore Naumann e dalla Société du Mercure de France. La collocazione di Nietzsche all’interno del «Mercure de France» dimostra ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, il contesto artistico e ideologico della sua prima ricezione francese. Allo stesso tempo, se il pensiero di Nietzsche subisce da subito la diffidenza della filosofia universitaria, la sua collocazione nel contesto del «Mercure de France» lo mantiene in un ambito strettamente letterario; il che spiega ulteriormente il motivo per cui i primi estimatori – e sostenitori – dell’imdo in questo modo anche la tiepida accoglienza che l’opera del fratello continua a ricevere in patria. Così, scrive Elisabeth, «Nietzsche est un Allemand de culture française, parce qu’il réunit la profondeur rêveuse, le sérieux de l’Allemand, la nostalgie germanique amoureuse de l’Antiquité, et l’entendement clair, serein et tranchant du Français, parce qu’il réunit un cœur allemand et l’esprit française». (E. Förster-Nietzsche, Introduzione a H. Lichtenberger, Die Philosophie Friedrich Nietzsche’s, trad. fr. di E. Förster-Nietzsche, Carl Reißner, DresdeLeipzig 1899, pp. XL-L). D’altra parte, i riferimenti diretti, fatti da Nietzsche, nei confronti di diversi autori francesi, sono assunti come la prova di quanto appena affermato. Ma all’avvento del primo conflitto mondiale, le dichiarazioni entusiastiche della Förster-Nietzsche verso la cultura francese si fanno via via più tiepide, fino all’aperto contrasto. Al pensiero di Nietzsche – che sognava, scrive la Förster-Nietzsche, un’Europa unita – in un articolo del 1916 Elisabeth contrappone l’odio dei francesi verso la stessa Germania. Così, se la dottrina della forza e della violenza viene ora attribuita ai tedeschi, ricavandola, con qualche cattiva interpretazione, dall’opera di Nietzsche, ciò dimostra – sostiene Elisabeth – come il suo pensiero sia stato tradito proprio dalla “parte” europea che egli aveva più ammirato. (E. Förster-Nietzsche, Nietzsche, Frankreich und England, in “Neue Freie Presse”, Wien, n. 18608, 11 giugno 1916, pp. 43-45). Ma è soprattutto nella seconda edizione del lavoro di Lichtenberger che la visione di un Nietzsche franco-tedesco, proposta nell’introduzione del 1899, viene quasi del tutto ridimensionata, se non capovolta. L’amore di Nietzsche per la letteratura francese diventa, a questo punto, solo una semplice espressione del suo «universalismo» in tutte le cose intellettuali; e se Nietzsche poteva aver espresso una sorta di preferenza per la Francia, ciò era dipeso unicamente dal fatto che i lettori francesi erano stati i primi a riconoscere il valore della sua opera. 37  J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 46. 38   Ibid., p. 47.

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presa di Albert furono, in modo particolare, scrittori e poeti come Gide e Valery. D’altra parte, scrive Le Rider, [c]e choix d’un éditeur “littéraire”, le “Mercure de France”, de préférence à des maisons plus “universitaires” comme Alcan, correspondait à la logique de cette première période de la réception française de Nietzsche. Henri Albert n’avait rien d’un universitaire et nous avons vu qu’il aimait à se démarquer de ce milieu qui, de son côté, le tenait en piètre estime 39.

Solo il declino del kantismo, agli inizi del 900, apre alla filosofia nietzschiana le porte dell’università. Ma, a quel punto, come sottolinea Le Rider, non solo Nietzsche è inserito a pieno titolo (a partire dal 1903) nel programma per l’agrégation di tedesco, ma la sua opera è ormai considerata, all’inizio del secolo, uno dei riferimenti indispensabili per ogni germanista «de l’Université française» 40. Rimane il fatto che il contesto particolare della prima ricezione di Nietzsche è certamente all’origine del valore estetizzante, e anti-democratico, attribuito – anche in Francia – alla sua opera. Non solo perché Alfred Vallette, fondatore del «Mercure de France» è, a sua volta, il «mecenate» del Simbolismo; ma anche per i rapporti che intercorrono tra il «Mercure de France» e gli ambienti culturali più all’“avanguardia” che caratterizzano la Francia di allora. Così, se non è un caso che i due studi monografici sull’opera di Nietzsche, apparsi nel 1902 e nel 1905 a firma di Pierre Lasserre 41, siano anch’essi pubblicati dal «Mercure de France»; per altro verso, occorre sottolineare il legame che unisce gli ambienti culturali del «Mercure de France» al nazionalismo di «Action française» (che inizia l’attività nel 1899 sotto forma di «piccola» rivista). Allo stesso tempo, è vero che il contesto di fine secolo permette di considerare le relazioni con la Germania, e con la cultura tedesca, in modo meno problematico di come sarebbe stato qualche decennio prima o di come sarebbe avvenuto qualche anno più tardi. Anche in questo caso, però, se la traduzione di Albert si fa apprezzare per il suo valore eminentemente “letterario” e stilistico (che, come dirà Bianquis nel 1933, invece di far parlare Nietzsche con l’estraneità di una «lingua barbara», prova a trasporne gli effetti in una «lingua letteraria la più naturale», che seduce Gide e Valery 42), ne La morale de Nietzsche, Lasserre attribuisce a questa lingua il valore di un’etica superiore, aristocratica, e rivolta a un minor numero di eletti. Il saggio di Lasserre, con il suo tono volutamente aristocratico e nazionalista, svolge un ruolo non secondario nella diffusione di Nietzsche in Francia – soprattutto perché Lasserre, contrario a una qualunque ascendenza tedesca sulla cultura francese, è ovviamente disposto a fare un’eccezione per il filosofo di Weimar. Ciò che troviamo però, in questo lavoro, è di nuovo l’esaltazione del rapporto negativo tra l’individuo e la «moltitudine», e tra l’individuo e la democrazia, che aveva caratterizzato la prima ricezione di Nietzsche in Germania. Il volto anonimo della “massa” rappresenta infatti, anche in questo caso, l’incompetenza, l’ordinario e la meschinità del razionale, che pretende di mortificare le differenze di grado e di valore, in ragione di una in  Ibid., p. 56.   Ibid., p. 87. 41  P. Lasserre, La morale de Nietzsche, Mercure de France, Paris 1902; e Les idées de Nietzsche sur la musique, Mercure de France, Paris 1905 (cfr. J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 58). 42  G. Bianquis, Nietzsche, Paris 1933, p. 72. 39 40

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definita “uguaglianza” e “fratellanza” fra gli uomini. Mentre in Nietzsche – sostiene Lasserre – troviamo una morale che privilegia piuttosto la gerarchia elitaria e aristocratica, e che si afferma (eroicamente) come anti-democratica e anti-razionale 43. In questa linea interpretativa, le ragioni democratiche possono così essere paragonate da Lasserre al disordine anarchico che minaccia – al pari del socialismo – la dissoluzione dell’ordine stabilito: Socrate peut être pris comme le type le plus imposant de l’idéologie anarchique […] Au fond, cette prétention de mettre à tout prix de la raison, de l’absolu dans la morale a pour fin secrète de ruiner le privilège de la moral de l’aristocratie […]. L’idéologue est un spécialiste débauché […] c’est un serviteur qui a perdu les mœurs, lesquelles consistent pour lui dans le respect. En cessant de respecter ce qu’il devrait servir, il cesse de se considérer lui-même comme servant 44.

Il gusto estetico-letterario che accompagna la prima diffusione dell’opera nietzschiana, insieme a una certa familiarità degli interpreti francesi con gli intellettuali che gravitano intorno all’Archivio Nietzsche e, in particolare, con Elisabeth Förster-Nietzsche, segnano in questo senso anche un’evidente continuità con i temi che caratterizzano la prima lettura del pensiero nietzschiano, affermatasi alla fine dell’800. Tenuto lontano dal sistema universitario, e dalla filosofia “ufficiale”, Nietzsche diventa così l’interprete (involontario) del moto di ribellione, prettamente estetizzante, che attraversa l’Europa al passaggio del secolo, e che prova a reagire (in modo spesso contraddittorio) alle trasformazioni sociali imposte dal recente sviluppo tecnico e industriale. In questa confusione generale possiamo assistere a una lettura di Nietzsche per molti versi opposta e inconciliabile. Mentre i filosofi accademici vedono in Nietzsche una specie di «determinista biologico» (che legittima l’istinto di dominazione del più forte, riprendendo in maniera sovreccitata alcuni temi del romanticismo tedesco); Valery, a cui Nietzsche non smetterà mai di sembrare ambiguo, poiché in grado – a suo parere – di passare in maniera disinvolta dalle preoccupazioni etiche a una «philosophie de la violence», è invece convinto che Nietzsche non rappresenti («heureusement pour lui») alcuna filosofia, ma che egli sia piuttosto un compositore, «un “poète” du système nerveux» 45, e che di lui si debba valorizzare soprattutto la critica del linguaggio, l’affermazione che «ogni parola è un pregiudizio», e che l’Io stesso (l’individuo, il soggetto) sia soltanto un’illusione «grammaticale» 46. Un altro tema specifico della ricezione “anti-progressista” di Nietzsche, propria di quegli anni, è la questione dell’Uomo e la necessità di fare i conti con ogni tipo di uma  Qualche anno più tardi, nel suo Nietzsche en France, Bianquis scriverà: «Nietzsche est pour eux l’Antéchrist, aimé ou haï comme tel. Vers 1895, son influence rude et salubre agit pour dissiper les molles brises, le nuées tièdes d’une évangélisme tolstoïsant. Nietzsche renforce à ce moment une réaction rationaliste et classique contre toute espèce de romantisme sentimental, à base de sensibilité chrétienne et humaine. […] C’est à cet antichristianisme teinté d’antiromantisme et d’antidémocratisme, qu’adhèrent les nietzschéens de la première heure: Henri Albert, Henri Lasvignes, Jean de Néthy, Jules de Gaultier, Rémy de Gourmont». (G. Bianquis, Nietzsche en France, cit., pp. 46-47). 44  P. Lasserre, La morale de Nietzsche, cit., p. 103; qui in J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 59. 45   Cfr. la lettera di Valéry a André Gide del 13 gennaio 1899; in Valéry, pour quoi?, collectif, Les Impressions nuovelles, Paris 1987, p. 15 e sg.; qui in J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 101. 46  P. Valéry, Cahiers, a cura di J. Robinson, Gallimard-La Pléiade, Paris 1973, vol. 1, p. 568; qui in J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 100. 43

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nismo (sia esso cristiano o socialista – differenza che per Nietzsche è del resto puramente nominale, dal momento che il socialismo è per lui soltanto una cattiva evoluzione della morale cristiana 47). Con la «morte di Dio», risultato del progresso tecnico-scientifico, che ha spostato i limiti della verità oltre i confini del “mito” e della teologia, non può che realizzarsi, di conseguenza, anche la «morte dell’Uomo» – della creatura prediletta dal Dio scomparso, secondo la sua definizione metafisico-ontologica. All’inizio del 900, tuttavia, l’antiumanismo nietzschiano è ripreso, sia in Germania che in Francia, in termini più chiaramente politici, e collegato in modo esplicito alla ricezione anti-democratica del suo pensiero. In Francia, a utilizzare in modo diretto questo rapporto è proprio l’ambiente ideologico e letterario del «Mercure de France» e di «Action française», che in questo modo può far coincidere l’esaltazione anti-borghese, il dionisiaco e l’estetismo aristocratico, al rifiuto dei valori di uguaglianza e di democrazia, e al rigetto di ogni idea umanitaria, pacifista e altruista – propria del pensiero cristiano e socialista. In questi termini, continua Bianquis, [l]a haine du romantisme s’ajoute, chez les écrivain d’“Action française”, à la haine du christianisme. […] Dans sa thèse fameuse de 1907, Pierre Lasserre 48, qui est un bon connaisseur de Nietzsche, fonde sur le romantisme, fils de Rousseau, le principe de désordre, de sensiblerie humanitaire, de passion dévergondée et de révolte sociale. On connaît les brocards de Léon Daudet contre “le stupide XIX° siècle”. Toutes ces proscriptions ont leur prototype chez Nietzsche. La Réforme, Rousseau, la Révolution, le romantisme lui paraissent également condamnables comme les manifestations d’une sorte de christianisme latent, d’égalitarisme et d’Hystérie du sentiment, comme le trionphe des facultés féminines et plébéiennes sur les instinct virils et aristocratiques – marasmus femininus, dira la Volonté de Puissance 49.

Va detto, in ogni caso, che l’ideologia anti-democratica assume, a seconda dei contesti, accenti molto diversi e non di rado, secondo Bianquis, lontani dall’ispirazione (o dagli argomenti) dello stesso Nietzsche. Osservazione che, se da un lato ha la forza di mettere in discussione la lettura di Nietzsche proposta dagli ambienti vicini a «Action française», dall’altro sembra già indicare una via per i temi che caratterizzeranno la futura ricezione di Nietzsche in Francia. Secondo Bianquis, in ogni caso, Nietzsche a souci avant tout de la liberté individuelle et de l’énergie individuelle, qui lui paraissent entravées autant par le chaînes molles du sentiment que par le chaînes dures du despotisme. Son deuxième souci, celui des destinées de la civilisation, ni nettement orienté vers l’avenir, ne peut pas s’accorder avec la consolidation indéfinie de formes politiques et sociales dont il a vu mieux que personne les vices. Les écrivains d’Action française n’ont cure de la liberté individuelle; ils la stigma47   Scrive Jaspers: «Nietzsche tenta di individuare il principio che ispira il modo di pensare [del] “socialismo”: si tratta, secondo lui, del fatto che il socialismo “si rifiuta di vedere l’effettiva diseguaglianza degli uomini” (11, 141). Esso è pertanto, dal momento che a decidere saranno la media e la massa, “la tirannia, da ultimo escogitata, degli esseri inferiori e più stupidi” (15, 252). Questa tirannia si esprime come “la morale del gregge”: “uguali diritti per tutti”, “uguali pretese per tutti”, “un solo gregge e nessun pastore”, “pecora uguale a pecora” (14, 68). E in base alla sua origine, Nietzsche definisce quindi l’ideale socialista “un balordo fraintendimento dell’ideale morale cristiano”. (15, 388)». (K. Jaspers, Nietzsche, cit., p. 242). 48   Cfr. P. Lasserre, Le Romantisme français, Paris 1907. 49  G. Bianquis, Nietzsche en France, cit., p. 49.

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tisent où qu’elle apparaisse et dressent en regard un idéal de civilisation hiérarchisée qui, déjà réalisé dans le passé, exclut et condamne la révolte individuelle et consacre l’immobilisme social. Leur haine à la fois politique et littéraire du romantisme, ferment de bouleversement et d’anarchie, semblerait donc plutôt leur venir da Taine et d’Auguste Comte, leur maître avoués, que de Nietzsche 50.

1.3 Problematiche della lettura politica di Nietzsche: imperialismo, democrazia e socialismo Sul piano politico, la propaganda dei valori “elitari” e aristocratici impone una morale ugualmente irrazionale e contraddittoria, in cui convergono (in modo a-critico) l’esaltazione della violenza, il gesto eroicamente anti-borghese e la condanna di ogni romanticismo rivoluzionario. Perfino negli ambienti dell’integralismo cattolico – scrive Le Rider – Nietzsche trova adesso un «écho paradoxal», ed è sempre più utilizzato per mettere in crisi (come vorrebbe Albert Bertrand-Mistral) quella che viene considerata semplicemente come una banale ed «erronea» concezione dell’umanitarismo cristiano 51. È vero, tuttavia, che lo spirito anti-democratico della prima ricezione di Nietzsche si estende, in maniera ugualmente sintomatica, anche al di fuori della destra francese. Per averne un’idea basta prendere in considerazione la lettura di Nietzsche che si forma negli ambienti vicini al radicalismo di sinistra, all’inizio del 900. Come fa notare Pierre-André Taguieff, in alcuni autori della sinistra radicale le citazioni di Nietzsche sono spesso confuse con quelle di Marx e degli autori più rappresentativi di quegli anni, come Proudhon e Sorel. Ma ciò che conta è che, anche in questo contesto, i temi ricorrenti rimangono quelli della critica all’umanismo e alla democrazia e (per quanto paradossale) dell’esaltazione della guerra assunta, positivamente, come minaccia all’ordine capitalista e borghese. Perciò, scrive Taguieff, [l]a derniére livraison des “Cahiers du cercle Proudhon”, en juillett 1913, commence par un article de Jean Darville (pseudonyme d’É. Berth) intitulé “Satellites de la ploutocratie”, expressément placé sous la patronage de Nietzsche, dénonçant le pacifisme “bourgeois” de “l’Europe ploutocratisée”, effrayée par “l’irruption du fait guerrier” 52.

L’ambiguità che pervade anche questa lettura è però ben individuata da Bianquis che, nella ricezione più reazionaria, come in quella più vicina al radicalismo di sinistra, vede esprimersi la doppia variante di un medesimo principio, riassumibile nella comune tendenza imperialista del pensiero dell’epoca. D’altra parte, scrive Bianquis, [l]a destinée de Georges Sorel a été de trouver ses principaux disciples aux deux ailes extrême des partis: l’extrémisme de droite et de gauche, l’Action française et le communisme, le bolchevisme russe et le fascisme italien ont tout quelques droit à se réclamer de lui. Nouvelles transvalutations   Ibid., p. 50.  A. Bertrand-Mistral, L’influence de Nietzsche, in “La plume littéraire et politique”, febbraio 1911, p. 35. Cfr. J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 91. 52  P.-A. Taguieff, Le paradigme traditionaliste: horreur de la modernité et antilibéralisme. Nietzsche dans la rhétorique réactionnaire; in Pourquoi nous ne sommes pas nietzschéens, cit., p. 273. 50 51

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imprévues de théories politiques et sociales fondées sur des aperçus nietzschéens. […] Ayant déjà emprunté à Nietzsche le principe de l’impérialisme individuel, de l’impérialisme national et de l’impérialisme de classe, il restait au nietzschéisme français d’emprunter au même maître les linéaments d’un impérialisme révolutionnaire. Cette dernière transvalutation a été tentée par Élie Faure, esthéticien venu du socialisme et dont les livres de guerre respirent un si fougueux bellicisme 53.

Negli stessi anni comincia a formarsi, però, anche un primo – decisivo – cambiamento. La lettura “di sinistra” del pensiero nietzschiano mostra, tra il 1908 e il 1931, i tentativi di una prima mutazione in chiave democratica e libertaria, distaccandosi, in parte, dal «nichilismo intellettuale» dell’aristocrazia letteraria – che celebrava in Nietzsche il sacerdote del dionisiaco e dell’irrazionale, in opposizione alla ragione borghese e democratica. Non solo, come scrive Bianquis, troviamo a quel punto, tra i primi traduttori di Nietzsche, anche quel Desrousseaux che è allora tra i massimi esponenti del Partito Socialista francese, e che nel 1899 traduce la prima parte di Umano, troppo umano; ma la stessa critica della società avanzata dal socialismo trova, nella lettura di Nietzsche proposta da alcuni autori vicini al Partito Socialista, anche una possibile rivendicazione dei valori democratici – nonostante che per questo essi siano costretti a correggere, criticandolo, lo stesso pensiero nietzschiano. È il caso, per esempio, del sociologo George Palante, il quale – secondo Bianquis – marque, entre l’esprit grégaire et l’esprit démocratique, une différence que Nietzsche n’a pas vue: l’esprit démocratique est une revendication de l’individualisme en face de tyrannies grégaires – esprit de caste, esprit de corps, nationalisme, étatisme, cléricalisme; il pose en principe l’infini valeur de la personne. C’est le principe même de l’individualisme de Nietzsche. Il ne trouve de garantie que “dans un socialisme dynamique en devenir éternel et porté par des volontés individuelles, un socialisme que serait l’individualisme”. Pour sauver la liberté de l’individu en amenant cette “aristocratisation de tous” que représente l’idéal surhumain, il ne reste, selon Georges Palante, “qu’à fondre Nietzsche dans le socialisme” 54.

Si tratta di un tema fondamentale, questo, per comprendere lo sviluppo di una futura ricezione «democratica» di Nietzsche, la cui aspirazione sarà appunto quella di una democrazia che non si ponga come limite alle potenzialità individuali, ma che permetta ai valori antigiacobini e kantiani di convergere con gli ideali della Rivoluzione francese, e con quelli di un socialismo non collettivistico 55. A rappresentare più compiutamente questo passaggio è soprattutto la serie di volumi dedicata da Charles Andler all’opera di Nietzsche, tra il 1920 e il 1931 56. Al pari di Henri Lichtenberger, Andler non appartiene all’ambiente letterario-estetizzante del «Mercure de France», ma a quello degli studi di germanistica, da cui uscirà anche il lavoro di Bianquis;  G. Bianquis, Nietzsche en France, cit., pp. 83-84.   Ibid., p. 93; la citazione di Palante è tratta da G. Palante, Précis de Sociologie 55   Cfr. in questo senso anche il volume di M. Onfray, Physiologie de Georges Palante. Pour un nietzschéisme de gauche, Grasset, Paris 2002. 56   Cfr., C. Andler, Le précurseurs de Nietzsche, Bossard, Paris 1920; La jeunesse de Nietzsche (jusqu’à la rupture avec Bayreuth), Bossard, Paris 1921; Le pessimisme esthétique de Nietzsche, sa philosophie à l’époque wagnérienne, Bossard, Paris 1921; Nietzsche et le transformisme intellectualiste. La philosophie de sa période française, Bossard, Paris 1928; La dernier philosophie de Nietzsche (le renouvellement de toutes les valeurs), Bossard, Paris 1931. 53 54

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ed è in contatto, al pari di Lichtenberger, con Elisabeth Förster-Nietzsche, e apprezzato in modo particolare da Löwith 57. Ma, mentre Lichtenberger mantiene un legame evidente con le interpretazioni reazionarie della prima ricezione del pensiero nietzschiano 58, con Andler la lettura francese di Nietzsche cambia tono e (soprattutto) prospettiva politica 59. Il perché è semplice: Andler appartiene all’ambiente socialista, e in un articolo del  60 1909 egli insiste convintamente «sur le fait que la pensée de Nietzsche est parfaitement compatible avec une position démocratique face aux probléme sociaux et politiques» 61. Tuttavia, la posizione di Andler è importante anche per un altro motivo. Contrariamente a quanto sostenuto dagli ambienti letterari, che privilegiano, come abbiamo detto, l’aspetto poetico, frammentario, e anti-sistematico dell’opera nietzschiana, Andler (nonostante che quella lettura si sia imposta ormai come un dato di fatto) è invece interessato alla ricerca del possibile «système» di Nietzsche, e alla corrispondenza necessaria, per quanto sotterranea, che deve unire fra loro i diversi “frammenti” della sua opera. Il lavoro di Andler testimonia perciò l’affermarsi di una diversa sensibilità, nei confronti dell’opera nietzschiana – che peraltro, pur nella sua differente prospettiva, era stata espressa anche da Lichtenberger nel 1908, e che sarà riaffermata a sua volta da Bianquis 62. Non è comunque un caso che questa preoccupazione si sia formata nell’ambito degli studi di germanistica. A una prima lettura espressamente poetica di Nietzsche (che tende a esaltarne la contraddittorietà, la frammentarietà letteraria e non-filosofica) fanno infatti da contrappunto i lavori che, quasi negli stessi anni di Andler e di Bianquis, Löwith e Jaspers (ma anche il “nemico” Heidegger) dedicano a Nietzsche – e che si impegnano per attribuire al suo pensiero una ragione unitaria, aprendo così la strada a diverse, e meno immediate, interpretazioni 63.   Cfr. K. Löwith, Nietzsche Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen, Felix Meiner Verlag, Hamburg, 1978; trad. it. a cura di S. Venuti, Nietzsche: filosofia dell’eterno ritorno dell’uguale, Editori Laterza, Bari, 1982. 58   «[L]’individualisme, rapproché de celui de Stirner, l’idéal aristocratique, comparé à celui de Flaubert, le surhomme comme réponse à l’homme décadent et comme figure de l’auto-dépassement. En même temps, Lichtenberger introduit une note critique, parlant de “Darwin de la morale” et de “penseur non systématique”». (J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., pp. 75-76). 59   Non a caso, come fa notare Le Rider, Elisabeth Förster-Nietzsche preferirà sostenere Lichtenberger, prendendo le distanze dalle opinioni politiche di Andler – così come in precedenza aveva sostenuto Albert contro ogni altro pretendente alla traduzione in francese delle opere del fratello. (Cfr. J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 77). 60   Cfr. C. Andler, Nietzsche und Overbeck, in “Die Propyläen, Wochenschrift”, e marzo e 21 aprile 1909, Munich. 61  J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 84. 62   «On se ferait, je crois, une idée très fausse de Nietzsche si l’on considérait ses ouvrages exclusivement comme l’exposé d’une théorie philosophique, et si l’on se préoccupait uniquement de grouper en un système aussi bien lié, aussi logique que possible, les idées qu’il a semées, sans plan d’ensemble apparent, dans le huit volumes de ses œuvres complètes. On a les droit, sans nul doute, de construire un «système» de ce genre; il est même indispensable, à mon sens, de se livrer à cet travail de synthèse, si l’on vent juger équitablement de Nietzsche comme penseur et de ne pas se contenter de l’admirer superficiellement comme un écrivan de talent et un moraliste pénétrant, auteur de brillantes “pensées détachées” ou d’ingénieux aphorismes». (H. Lichtenberger, La philosophie de Nietzsche, Félix Alcan, Paris 1908, p. 1). 63   Cfr. K. Jaspers, Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare, cit., p. 34. Anche l’interpretazione di Jaspers, deve comunque rendere conto dell’evidente frammentarietà del discorso nietzschiano: «La nostra esposizione che si svolge in una serie di capitoli divide gli uni dagli altri i pensieri 57

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A partire da Andler, perciò, comincia a prendere forma, anche in Francia, una lettura di Nietzsche su basi espressamente filosofiche. Ma, dal punto di vista della filosofia, è vero che lo stesso l’estetismo anti-borghese può essere a sua volta interpretato come un sintomo della crisi che ha colpito l’edificio del pensiero “positivo” (idealistico o scientifico che fosse) del XIX secolo, allorché la svalutazione dei valori, seguito all’affermarsi dei principi borghesi e alla trasformazione dell’uomo in forza-lavoro, ha posto la filosofia di fronte a un panorama inatteso. Il perché del pensiero nietzschiano deve allora avere in questa emergenza la sua più autentica e specifica ragione – così come l’allontanarsi dello stesso Nietzsche da tutto ciò che poteva ancora sembrare una reazione positiva a questa crisi (Wagner e il suo estetismo), mentre non era altro, in realtà, che una fuga verso il fallimento. Dunque, al filosofo che non voglia pararsi gli occhi di fronte a questa realtà non resta che portare a termine la demolizione, senza distogliere lo sguardo da ciò che sta avvenendo intorno a lui. Eppure, se il mondo che sta per finire coincide con l’intero edificio del pensiero occidentale, è la filosofia stessa ad essere venuta (rischiosamente) meno; ma, proprio per questo, diventa necessario pensare al futuro che rimane da costruire 64. In ogni caso, la nuova ricezione filosofica di Nietzsche può già distinguersi, a questo punto, per alcuni tratti specifici. Primo, una decisa valorizzazione dell’unità del pensiero nietzschiano, rispetto alla valorizzazione anti-sistematica del frammento lirico-poetico; secondo, una maggiore compatibilità con la democrazia e con il socialismo, di contro all’esaltazione delle élite aristocratico-culturali e dell’autoritarismo; terzo, la necessità – eminentemente filosofica – di pensare a una filosofia dopo (e al di là da) la fine dei valori del pensiero e della cultura occidentali (e quindi anche a un’uscita dal nichilismo negativo, di contro all’estetismo letterario e artistico che, come abbiamo visto, rimane fermo sulla “lirica” della dissoluzione e dell’ebbrezza irrazionale). Si tratta di un passaggio che si fondamentali di Nietzsche. Ma questi pensieri fondamentali, che rappresentano sempre per Nietzsche esplorazioni di possibilità, che si sviluppano attraverso continue contraddizioni e ripensamenti, e che possono talvolta apparire come un modo di pensare che scade al limite dell’idea improvvisa e casuale, sono in effetti per Nietzsche – istintivamente ed intenzionalmente – di una costante unità». (Ibid., p. 262). Allo stesso tempo, nota Jaspers, «dai testi di Nietzsche, è […] possibile estrapolare le più diverse citazioni, scelte arbitrariamente, a seconda di ciò che si vuole ottenere. È così che, di volta in volta, hanno potuto richiamarsi a Nietzsche atei e credenti, conservatori e rivoluzionari, socialisti e individualisti, scienziati metodici e fervidi ammiratori, uomini politici e apolitici, il libero pensatore e il fanatico. Qualcuno ne ha tratto la conclusione che Nietzsche sarebbe un pensatore confuso, per nulla serio, che si abbandonerebbe al piacere di idee improvvisate; ma non val certo la pena di dare importanza a futili chiacchiere di questo tipo. […] Spesso si tratta invece di contraddizioni che non sono affatto casuali». (Ibid., p. 29). Stessa cosa, secondo Jaspers, dobbiamo dire della «condizione dionisiaca»: è vero che questa sembra identificata spesso, per le affermazioni dello stesso Nietzsche, con l’«ebbrezza» o con una sorta di «tripudio vitale» che gli farebbero sfuggire la più autentica «comprensione dell’essere»; ma al di là delle contraddizioni in cui Nietzsche, a una lettura superficiale, sembra spesso incorrere, secondo Jaspers è vero che «[n]el suo richiamo alla condizione dionisiaca, Nietzsche intende conciliare ciò che è più sensibile con ciò che è più spirituale. Sembra che, per un istante, egli tocchi ciò che vi è di più elevato», anche se poi lo lascia «scadere, nell’istante successivo, nell’ebbrezza più sensuale ed istintiva. Ma anche quando afferma risolutamente questo aspetto crudo ed elementare vi è in lui come un disperato, persistente trascendere». (Ibid., p. 314). 64   Scrive Jaspers: «Se la condizione della nostra epoca, con la sua universale dissoluzione di tutti i principi invalsi, e la relativizzazione di ogni essere e di ogni valore, diventa “l’immagine dell’esistenza universale”, ed ora incombe il no alla vita per il disgusto provocato dalla vacuità priva di senso di questo mero divenire, allora Nietzsche concepisce il proprio pensiero quasi come un mezzo di salvezza». (K. Jaspers, Nietzsche, cit., pp. 318-319).

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forma lentamente, spesso in modo discontinuo e contraddittorio, ma che prende sempre più coscienza (e resiste), per vie diverse, anche al rovinoso percorso storico che travolge gli anni 30 e 40 del XX secolo.

1.4 Una svolta dalle molteplici conseguenze: le interpretazioni di Bataille e Blanchot Gli autori in cui questo passaggio può essere letto con più evidenza (a parte il “breve” interesse di Sartre e le interpretazioni di Breton, nei quali la lettura di Nietzsche oscilla tra la vecchia abitudine di considerarlo come un mistico non-filosofo, come nel caso di Sartre 65, e l’idea di metterlo eventualmente alla prova delle categorie freudiane dell’«Io» e del «Super-Io», come accade in Breton 66) sono senz’altro Georges Bataille e Maurice Blanchot. È difficile analizzare in questo contesto l’affermazione di Le Rider, secondo cui, a partire dagli articoli di Bataille su Nietzsche – pubblicati sulla rivista «Acéphale» dal luglio 1937 al giugno 1939 –, inizierebbe la «postmodernité nietzscheéenne» 67. Vero è, tuttavia, che con Bataille e con Blanchot la ricezione francese di Nietzsche modifica, ancora una volta, i propri presupposti e le proprie chiavi di lettura. Con Bataille, che comincia a familiarizzare coi temi nietzschiani attraverso la lettura e la traduzione dell’opera di Leon Chestov su Nietzsche 68, la “tradizione nietzschiana francese”, che aveva già avviato un confronto fra il socialismo e l’individualismo, e che si era contrapposta – come nota Le Rider – all’ideologia elitaria e estetizzante del «Mercure de France», sembra trovare un’originale evoluzione 69. Sono molti, del resto, i temi che Bataille ricava da Nietzsche (in continuità – non sempre accondiscendente – con la critica del Surrealismo, sia nei confronti del fascismo, quanto dello stalinismo e della vulgata marxista, che dello stesso liberalismo) e che ritroviamo, oltre che in questi scritti, anche nei testi che compongono il volume Sur Nietzsche – pubblicato più tardi e con una post-fazione a cura (non a caso) di Blanchot 70. Tema della lettura di Bataille è, ancora una volta, il rapporto conflittuale tra la ragione dell’individuo e la società produttiva moderna; ma questo tema è qui affrontato diversamente rispetto all’estetismo aristocratico di fine secolo. Allo stesso tempo, il confronto fra l’individuo e la società assume in Bataille un senso volutamente distante anche dalla rivendicazione (democratica) dei diritti individuali. Piuttosto, la contrapposizione tragica che  J.-P. Sartre, Aller et retour, in Situation I, essais critiques, Gallimard, Paris 1948, p. 217.   Cfr., A. Breton, Anthologie de l’humour noir, Jean-Jaques Pauvert, Paris 1979. «L’un des mouvements est inconditionné: le nivellement de l’humanité, le grandes fourmilières humaines, etc. L’autre mouvement, moi mouvement, est au contraire l’accentuation de tous le contrastes et des touts le abîmes, la suppression de l’inégalité, la création d’être tout-puissant. On ne délire que pour les autres et Nietzsche n’a jamais présenté que pour de petits hommes des idées délirantes de grandeur». (A. Breton, Anthologie de l’humour noir, cit., p. 159). 67  J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 169. 68  L. Chestov, L’idée de bien chez Tolstoï et Nietzsche (Philosophie et prédication), trad. fr. di T. RageotChestov e G. Bataille, Édition du siècle, Paris 1925 (2° ed., Vrin, 1949). 69   Cfr., J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 165. 70  G. Bataille, Sur Nietzsche, Édition Gallimard, Paris 1973; trad. it. di A. Zanzotto, Su Nietzsche, SE, Milano 1994 e 2006. 65 66

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Bataille individua in Nietzsche, lo spinge a riportare il problema dell’individualità a livello del confronto fra il «bene» e il «male»: tra la costrizione della morale sociale, esercitata con finalità utili, e il «male», considerato come «la condizione stessa della libertà» e come la «ricerca di una morale estrema», contrario assoluto della costrizione sociale esercitata «in vista di un bene» 71 e opposta – per questo – alla stessa libertà 72. Alcuni pensatori, tra i quali Jürgen Habermas, identificano l’interpretazione di Bataille con un sostanziale anarchismo di fondo (che essa avrebbe in comune con il pensiero nietzschiano 73); tuttavia, va detto che Bataille ha cercato di distinguersi nettamente da ogni identificazione troppo stretta con questo tipo di pensiero 74. Più che un richiamo all’anarchia, la lettura nietzschiana di Bataille propende per un’analisi del rapporto etico-morale che intercorre tra l’«uomo d’azione» e quello che egli chiama l’«uomo totale» – con riferimento, in parte, ai temi della «forza» e della «negatività» affrontati da Kojève, e di cui egli ha seguito i seminari su Hegel, tra il 1933 e il 1939, presso l’École Pratique des Hautes Études. Nell’uomo d’azione viene perciò individuato chiunque abbia ridotto il proprio agire ai soli fini razionali; l’uomo totale, viceversa, poiché è in grado di andare al di là di questi fini, «non può essere trasceso (dominato) dall’azione» 75. Concretamente, tuttavia, Bataille ritiene che «[o]gnuno di noi appartiene per un aspetto al primo, per un altro al secondo» tipo di uomo; ma il motivo essenziale della sua riflessione, su questi temi, è il rapporto che si stabilisce fra queste due modalità dell’individualità umana e il problema della libertà. Pertanto, anche riprendendo alcuni tratti della ricezione anti-borghese di Nietzsche, convinzione di Bataille è che l’uomo «può essere totale solo rinunciando a darsi come finalità per gli altri: se no si rende schiavo, e di fatto resta nei limiti feudali o borghesi, al di qua della libertà» 76.   Ibid., p. 21.   «Il mondo al quale siamo appartenuti», scrive Bataille nel primo numero de l’«Acéphale», «non propone niente da amare al di là di ogni insufficienza individuale: la sua esistenza si limita alla sua comodità. Un mondo che non può essere amato da morirne – allo steso modo in cui un uomo ama una donna – rappresenta soltanto l’interesse e l’obbligo al lavoro. Se viene paragonato con i modi scomparsi, è orrendo e appare come il più mancato di tutti» (G. Bataille, «Acéphale», n. 1, 24 giugno 1936; trad. it di R. Esposito, in G. Bataille, La congiura sacra, a cura di R. Esposito, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 5). E ancora: «La democrazia si basa su una neutralizzazione di antagonismi relativamente deboli e liberi; essa esclude qualsiasi condensazione esplosiva. La società monocefala risulta dal gioco libero delle leggi naturali dell’uomo, ma ogni volta che essa è formazione secondaria, rappresenta un’atrofia e una sterilità della esistenza opprimenti. […] La sola società piena di vita e di forza, la sola società libera è la società bi o policefala che dà agli antagonismi fondamentali della vita uno sbocco esplosivo costante ma limitato alla forme più ricche» (G. Bataille, Proposizioni, in «Acéphale», n. 2, gennaio 1937; trad. it. di R. Esposito, Proposizioni, in G. Bataille, La congiura sacra, cit., p. 36). 73   Cfr., J. Habermas, Der philosophische Diskurs der Moderne, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1985; trad. it. di E. e E. Agazzi, Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-Bari, 1987. 74   «L’anarchismo mi irrita», scrive nella prefazione al testo Su Nietzsche. «Le pratiche della Gestapo, messe in piena luce», continua Bataille, mostrano infatti «l’affinità profonda che unisce la teppa alla polizia: nessuno è più portato a torturare, a servire crudelmente l’apparato della costrizione di quanto lo siano uomini senza fede né legge. Detesto anche quei deboli, dallo spirito confuso, che domandano tutti i diritti per l’individuo […]. Ogni uomo è solidale col popolo, ne condivide le sofferenze o le conquiste, le sue fibre sono parte di una massa vivente […]» (G. Bataille, Su Nietzsche, cit., p. 21). 75  G. Bataille, Su Nietzsche, cit., p. 30. 76   Ibid., p. 31. 71 72

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Questo è però anche il motivo per ammettere chiaramente (in continuità, a questo riguardo, con il pensiero di Jaspers – di cui la rivista fondata da Bataille, l’«Acéphale», pubblicherà una recensione al volume su Nietzsche a firma di Jean Wahl 77), l’impossibilità di continuare a identificare Nietzsche col fascismo e col nazismo – come invece avevano fatto altri autori 78. Il motivo di questa impossibile identificazione – come scrive Albert Camus, qualche anno più tardi, a proposito dell’«Acéphale» – starebbe appunto nell’antirazionalismo di fondo che contraddistingue, secondo Bataille, e in continuità con la “tradizione francese”, la filosofia nietzschiana; tema che condiziona anche la particolare interpretazione del dionisiaco elaborata da Bataille. Per un verso, infatti, il dionisiaco sarebbe realmente comparso nella storia – secondo Bataille – insieme al fascismo; per l’altro, è invece evidente che il dionisiaco non può essere confuso con nessuna ideologia totalitaria. Nonostante la sua ambigua e inquietante “parentela” col fascismo, infatti, «le “dionysisme”» contrappone all’idea di una comunità che si fonda e si riconosce nella garanzia di un capo, l’idea di una comunità che si fonda invece a partire dalla mancanza di un «capo», e che ha come sfondo necessario un’inevitabile «tragedia»: l’ebbrezza che deriva, appunto, da «la mise à mort du chef» 79. Dunque (dando così un’intonazione diversa anche alla concezione anti-democratica e élitaria della prima ricezione delle sue opere), per Bataille, Nietzsche non può essere né di destra né fascista (così come non può essere confuso con lo stalinismo). Perché ciò che Nietzsche esprime è la condanna di ogni concezione e organizzazione razionalista (e omologante) della società. Con la lettura nietzschiana di Maurice Blanchot, viceversa, le due «traditions du nietzschéisme», come scrive Le Rider, si ricongiungono 80: quella che sottolinea in Nietzsche ciò che conviene al «pensiero di destra» (a cui Blanchot, in quegli anni, prima del suo definitivo distacco, appartiene in maniera militante, attraverso la collaborazione al Journal des débats, sempre più vicino al governo di Vichy), e quella che, con Bataille (anche a partire dall’influenza surrealista di Breton, che riassorbe in parte la prima ricezione estetizzante del pensiero nietzschiano), valorizza l’aspetto anti-razionale e antiscientifico di Nietzsche, criticando in senso libertario sia il capitalismo borghese che il razionalismo stalinista. È vero però che nell’interpretazione nietzschiana di Blanchot (uscita nel 1949 all’interno de La part du feu) 81 i legami con il pensiero di Bataille e, in particolare, con i testi de l’«Acéphale» e con gli scritti che accompagnano la preparazione de L’expérience intérieure, sono in realtà diversi e significativi. Anche in questo caso, l’aspetto interessante dell’interpretazione di Blanchot è il rapporto particolare che egli stabilisce   Cfr., J. Wahl, Nietzsche e la morte di Dio. Nota a proposito del «Nietzsche» di Jaspers, in “Acéphale”, n. 2, gennaio 1937; trad. it. di R. Esposito, Nietzsche e la morte di Dio. Nota a proposito del «Nietzsche» di Jaspers, in G. Bataille, La congiura sacra, cit., pp. 41-43. 78   «Nella misura in cui il fascismo dipende da una fonte filosofica, non è a Nietzsche, ma a Hegel che si ricollega. Ci si rifaccia all’articolo che Mussolini stesso ha consacrato nell’Enciclopedia Italiana al movimento da lui fondato: il lessico e, più ancora del lessico, lo spirito sono hegeliani, non nietzschiani; anche se Mussolini vi impiega due volte l’espressione “volontà di potenza”, non è un caso che questa volontà sia solo un attributo dell’idea che unifica la moltitudine…». (G. Bataille, Nietzsche e i fascisti, in “Acéphale”, n. 2, gennaio 1937; trad. it. di R. Esposito, Nietzsche e i fascisti, in G. Bataille, La congiura sacra, cit., p. 19). 79  A. Camus, L’homme révolté, 1951, p. 489; qui in J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 170. 80   Cfr. J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 200. 81  M. Blanchot, Du côté de Nietzsche, in La part du feu, Gallimard, Paris 1949, pp. 289-301. 77

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con la lettura di Jaspers; e – più precisamente – con il tema del «divenire», che Jaspers indica come tema centrale della sua lettura di Nietzsche, e che Blanchot ricollega alle tematiche libertarie di Bataille e a quelle surrealiste di Breton. Qualche capitolo prima de La part du feu, ne la Réflexion sur le surréalisme 82, Blanchot analizza i valori principali di cui il surrealismo sarebbe stato portatore. Ma sono soprattutto due gli aspetti di questa analisi che sembrano avere una vicinanza evidente con le questioni nietzschiane su cui egli si sofferma, poco oltre, ne La part du feu: la questione del linguaggio e quella dell’Uomo. Per quanto riguarda il linguaggio, nel Surrealismo – scrive Blanchot – la «scrittura automatica» comporta, allo stesso tempo, una scoperta e un’evidente ambiguità. Breton ha «una singolare illusione»: i sentimenti legati ai pensieri e alla sofferenza di chi scrive possono diventare «immédiatement un langage, devenir langage sans que pour autant, entre ce sentiment et lui, le mots s’interposent» 83. Il linguaggio può allora, in questo modo, sacrificarsi e umiliarsi al semplice ruolo di strumento di servizio; ma si tratta – appunto – di un’impressione superficiale; piuttosto, bisogna dire che, così facendo, il linguaggio sparisce come strumento per diventare a sua volta soggetto o – che è lo stesso – espressione della libertà umana. Grazie alla scrittura automatica, infatti, il linguaggio bénéfice de la plus haute promotion. Il se confond maintenant avec la “pensée” de l’homme, il est relié à la seule spontanéité véritable: il est la liberté humaine agissant et se manifestant. Que les constructions rationnelles soient rejetées, que les significations universelles s’évanouissent, cela veut dire que le langage ne dois pas être utilisé, qu’il ne dois pas servir à s’exprimer, qu’il est libre, la liberté même 84.

Per questo motivo, scrive Blanchot, quando i surrealisti dicono di voler «affrancare» le parole, «de les traiter autrement que comme de petits auxiliaires», ciò indica contemporaneamente una «rivendicazione sociale». Eppure, questa «emancipazione» delle parole sembra funzionare a due livelli, in parte contraddittori: da un lato, la liberazione del linguaggio implica un’identica liberazione del soggetto (che nella scrittura automatica si esprime tramite le parole); dall’altro, questa emancipazione vuol dire semplicemente una liberazione delle parole in quanto tali, senza più alcuna dipendenza dalle cose che esse indicano, esprimono o denotano. Nel primo caso, «le mot et ma liberté ne font plus qu’un. Je me glisse dans le mot, il garde mon empreinte et il est ma réalité imprimée; il adhère à ma non-adhérence»; nel secondo caso, «cette liberté des mots signifie que les mots deviennent libres pour eux-même: ils ne dépendent plus exclusivement des choses qu’ils expriment, ils agissent pour leur compte, ils jouent et, comme dit Breton, “il font l’amour”» 85. I surrealisti, insomma, hanno compreso che il linguaggio non è qualcosa di inerte; e che dunque «il y a une vie à lui et un pouvoir latent qui nous échappe» 86. Il secondo aspetto della poetica surrealista che si avvicina all’interpretazione nietzschiana di Blanchot riguarda, come abbiamo detto, la questione dell’uomo. Se le pa M. Blanchot, Réflexion sur le surréalisme, in La part du feu, cit., pp. 92-104.   Ibid., p. 94. 84   Ibid., p. 95. 85   Ibid., p. 95. 86   Ibid., p. 95. 82 83

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role hanno il potere di «liberarci», attraverso la capacità di fuggire alla funzione puramente strumentale del linguaggio, questo pone contemporaneamente, per il Surrealismo, il problema di confrontarsi con l’«uomo totale»; con l’uomo, come scriveva Bataille, che è in grado di emanciparsi dalla strumentalità del lavoro e dalla condizione di asservimento della società del capitale. In questo senso, allora, «rejet de l’imitation, refus des mots comme instruments d’échange, refus de l’art considéré comme un divertissement» 87 permettono a Blanchot di chiarire più direttamente anche il significato politico del Surrealismo, e di recuperare, in questi termini, anche la critica del marxismo. Infatti, se Breton et Eluard et Aragon ont rencontré le marxisme plutôt que toute autre activité politique, ce n’est pas par hasard. […] En vérité, il saute aux yeux que la dialectique historique offre à tous ceux que hantent les idées d’homme total, de limite de la condition humaine une chance de premier ordre: l’homme total n’est pas à chercher, maintenant, dans le déchirement et les désordres de la société capitaliste, il n’est pas à connaître, il est à faire. (La phrase célèbre de Marx: “Les hommes n’on fait jusqu’ici qu’interpréter le monde de différentes manières, il s’agit maintenant de le transformer” a été tournée et retournée sous toutes les coutures par les surréalistes) 88.

Non a caso, quindi, il problema dell’uomo in rapporto alla libertà è anche al centro del testo di Blanchot su Nietzsche. Ma, come ho già accennato, l’argomento utilizzato da Blanchot per affrontare questo tema ha come riferimento l’interpretazione di Jaspers. E il motivo è il seguente: lungi dal ridurre il pensiero nietzschiano a una qualche pretesa univocità, Jaspers ha saputo metterne in luce l’unità interna salvaguardandone, al tempo stesso, la necessaria contraddizione – propria di ogni concreto «divenire». E, a sua volta, Blanchot intende quindi valorizzare questa «ambiguità» di fondo del pensiero nietzschiano – che può cogliersi in modo particolare nella questione della «morte di Dio» e in ciò che questo evento significa per l’uomo. Su questo punto va indicata una profonda discontinuità con i temi che avevano caratterizzato la prima ricezione di Nietzsche in Francia; poiché – per Blanchot – tale questione non ha più nulla a che vedere con la letteratura 89, ma solo con il problema, esclusivamente filosofico, del rapporto tra Nietzsche e l’ateismo: La mort de Dieu semble dominer l’existence et l’œuvre de Nietzsche, et s’il y a dans cette philosophie des pensée fondamentales, celle-ci les enveloppe toutes 90.

Cosa significa, dunque, affermare che Dio è morto? A parte la generica ambiguità con cui questo evento è annunciato da Nietzsche («affirmation ambiguë par son origine religieuse, sa forme dramatique, les mythes littéraires auxquels elle fait suite» 91), la morte di Dio è stata recepita in più ambiti in senso meramente nichilista (anche se si tratta, in questo caso, di una forma “positiva” di nichilismo), come esaltazione della potenza   Ibid., p. 101.   Ibid., p. 101. 89   «Le cas de Nietzsche ne gagne rien à la confusion des évocation littéraires. Il exige au contraire le sérieux et la patience d’une réflexion infinie, telle qu’elle ne renonce jamais à s’exercer en reconnaissant le mouvement qui lui échappe». (M. Blanchot, Du côté de Nietzsche, in La part du feu, cit., p. 291). 90  M. Blanchot, Du côté de Nietzsche, in La part du feu, cit., p. 291. 91   Ibid., p. 293. 87 88

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dell’uomo, in modo simile a quanto il Surrealismo ha a sua volta teorizzato. Dio è morto significa dunque, in questo senso, che l’uomo diventa il creatore di se stesso – diventa, nei termini di Nietzsche, il Superuomo, l’Übermench. Eppure, seguendo l’analisi di Jaspers, secondo Blanchot, questo semplice capovolgimento dei valori trascendenti nella pura immanenza finisce per rivelarsi troppo parziale e rischia di mancare (o di misconoscere) la particolare complessità del pensiero nietzschiano 92. Per coglierla – come aveva spiegato Jaspers – occorre tenere conto del naturale movimento del pensiero nietzschiano e affrontare, da questo punto di vista, anche il problema della sua necessaria ambiguità e contraddittorietà: «il faut écouter Jaspers», scrive Blanchot, quand on croit voir Nietzsche, dit-il, il n’est pas ceci, mais autre chose. Et, en même temps, cet Autre semble chaque fois nous échapper. Le trait fondamental de la vérité de Nietzsche, c’est qu’elle ne peut être que mal entendue, objet d’une méprise sans fin. […] Mais il ne suffit pas de voir cette confusion pour l’éclaircir, la confusion infinie fait partie de son existence. Sans elle, sans l’ambiguïté qui constamment nous rend inconnu ce que nous croyons connaître, il ne resterait de ce grosse Zweideutige, de cette grande figure à double sens, que ce qu’elle a voulu éviter d’être 93.

Posta in questi termini, la «morte di Dio» non va intesa come la semplice affermazione di un’immanenza fine a se stessa, o come un’esaltazione dell’ateismo; in questa espressione – in cui sarebbe difficile distinguere l’affermazione orgogliosa dalla denuncia inconsolabile –, scrive Blanchot, occorre leggere, al contrario, l’apertura di una tensione infinita, mai componibile, tra il «positivo» della scomparsa di Dio e la «negatività» senza riposo dell’uomo e della sua infinita rivolta. Solo in questo senso, e in questa continua oscillazione tra la negazione del trascendente e l’affermazione dell’immanenza (in cui è compresa l’affermazione stessa della libertà dell’uomo), Blanchot può infine stabilire anche un rapporto diretto tra l’interpretazione di Bataille e quella di Jaspers. La negation de Dieu est donc bien liée à quelque chose de positif, mais ce positif est l’homme comme négativité sans repons, pouvoir de nier Dieu san fin: liberté. Et l’on voit pourquoi la négation de Dieu n’arrive jamais à son terme. […] comme Dieu n’est jamais réponse séparée de la question, affirmation sans négation, le mouvement de dépassement retrouve sans cesse de biais ce qu’il rejette, par sa tendance ambiguë à se donner et à s’éprouver lui-même comme absolu. Jaspers se demande si la négation de Dieu, chez Nietzsche, n’est pas l’insatisfaction toujours en mouvement d’une recherche de Dieu qui ne se comprend plus. Et c’est le même mouvement que traduit Georges Bataille en termes où le déterminé joue avec l’indéterminé, où l’universel prend la forme 92   «Lui-meme [Jaspers] montre que toute la philosophie positive de Nietzsche, aussi bien celle de la Volonté de puissance que celle du Surhomme, sans parler du Retour éternel, reste constamment suspendue et sert à maintenir momentanément, avec des exemples et des réalité historiques, une position qui, une fois sûre de son point de stabilité, se renverse et succombe à son propre équilibre. En principe, le Surhomme remplace Dieu. Mais, finalement que dit Nietzsche du Surhomme? Exactement ce qu’il dit des dieux: “Toujours, nous sommes attiré en haut, jusqu’au royaume des nuées: là nous plaçons nos baudruches bigarrées, et voici qu’elles prennent le nom de Dieux et de Surhommes – ne sont-ils pas légers à plaisir, juste ce qu’il faut pour de tels trônes, tout ces dieux et ces surhommes? Ah, comme je suis las de tout ce qui est insuffisant!”». (M. Blanchot, Du côté de Nietzsche, in La part du feu, cit., p. 295). 93   Ibid., p. 301.

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du particulier, où une perpétuelle équivoque, une oscillation entre immanence et transcendance ouvrent et ferment sans cesse les mots à l’absolu 94.

Dunque, ciò che Blanchot sottolinea, nella “morte di Dio”, non è l’estremo potenziamento dell’uomo che un tale avvenimento avrebbe (banalmente) il risultato di determinare, ma il fatto che (a causa di questo evento) l’uomo si troverebbe privo, a un tratto, di un senso ultimo; e che, per questo, egli sarebbe infine costretto a un’instancabile peregrinazione alla ricerca di sé: costretto (letteralmente) alla follia di quel «pérpetuelle équivoque» descritto da Bataille, e in cui la libertà stessa si mostra nient’altro che un’alternanza senza uscita fra una serie di dualismi fra loro inconciliabili: affermazione e negazione, determinato e indeterminato, trascendenza e immanenza…; ma che, proprio per questo, pone il problema del fine dell’uomo in relazione alla sua finitudine storica (problema che di lì a pochi anni investirà l’intero pensiero contemporaneo che vorrà dirsi, in modo diverso, “nietzschiano”, e che caratterizzerà in Francia, a partire dagli anni 60, anche il pensiero di Deleuze e di Klossowski, la riflessione di Derrida e, in modo particolare, il lavoro di Foucault).

1.5 Dall’edizione Colli-Montinari ai Colloques de Royaumount Nel 1958, quando Giorgio Colli inizia a dare forma al progetto editoriale per la nuova edizione critica delle opere di Nietzsche, la ricezione nietzschiana in Francia – nonostante le lacune nella definizione originale dei testi – è, come abbiamo visto, già ampia e complessa e ha già dato origine ad alcuni nuclei tematici e concettuali del tutto specifici, che troveranno sviluppo anche negli anni successivi. Innanzitutto, il rapporto fra il pensiero, la filosofia e il linguaggio: fra il sistema logico-razionale, chiuso in se stesso, in cui si radicano i comuni valori occidentali, e la sua possibile esteriorità “polemica” e negativa (irrazionalità, linguaggio automatico, inconscio, ecc.). Tema che, come vedremo, caratterizza anche il primo periodo del pensiero di Foucault, come dimostra il testo uscito su «Critique» e dedicato appunto a Bataille 95. Un secondo argomento essenziale, per la ricezione francese di Nietzsche – ed enfatizzato dall’avvento della società del capitalismo maturo e keynesiano, in cui le rigide differenze di classe tendono a scomparire – è quello del rapporto tra il soggetto (inteso ormai concretamente come unicità e singolarità storica) e il vincolo del sistema razionale e di valori della cultura occidentale moderna. O, se vogliamo, il problema del rapporto tra la vita (intesa come creatività anche “caotica”, in cui   Ibid., pp. 296-297.  M. Foucault, Préface à la Tragression, in «Critique» n. 195/196, 1963; trad. it. di C. Milanese, Prefazione alla trasgressione, in M. Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 2004 (1° ed. 1971), pp. 55-72. Va detto che Bataille è al centro del nuovo interesse francese per Nietzsche che si afferma all’inizio degli anni sessanta anche per un altro motivo: fondando nel 1937 il Collège de sociologie, insieme a Roger Caillois et Michel Leiris, Bataille raccoglie intorno al lavoro del Collège un gruppo di intellettuali che saranno determinanti sia nella rilettura di Nietzsche, che nella formazione e nel percorso intellettuale dello stesso Foucault. In particolare: Pierre Klossowski, Jean Wahl, Jean Paulhan e Robert Caillos, il quale aveva seguito le lezioni di Marcel Mauss e di Georges Dumézil (guida intellettuale e accademica, tra l’altro, per buona parte, se non per quasi tutto, il percorso universitario di Foucault). 94 95

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prendono forma continuamente nuove istanze e nuovi “valori”), e il pensiero occidentale, considerato come l’imposizione di un sistema di controllo razionale, riduttivo dell’esistenza e della sua potenzialità “creatrice”. Va pertanto ridimensionata, in buona parte, la percezione di scarso interesse che, nel suo entusiasmo di “editore”, Mazzino Montinari credeva di scorgere alla fine degli anni 50 nei confronti di Nietzsche 96. Non solo l’impresa della definizione critica, e della riedizione delle opere di Nietzsche, ha certamente avuto la funzione, all’inizio degli anni 60, di concentrare diversi gruppi di studiosi europei su un lavoro di ri-scoperta e di rilettura del pensiero nietzschiano dalle molteplici conseguenze. Ma per quanto riguarda la Francia, bisogna riconoscere che l’interesse per Nietzsche, nonostante il nuovo impulso suscitato dalla riedizione critica delle sue opere, non si era in realtà mai assopito, e poteva già contare su una complessa “tradizione”. Solo l’esistenza di un “pubblico” francese ha potuto infatti rendere sostenibile lo sforzo editoriale di Gallimard, e l’appoggio offerto dall’editore francese al progetto dell’edizione critica (avviato in Italia da Adelphi) 97. Per questo motivo, dall’avvio dell’impresa, nel 1962, fino alla sua conclusione, le nuove edizioni italiana e francese di Nietzsche procederanno in parallelo, nonostante i relativi pochi scambi e confronti critici fra gli studiosi dei due paesi (mentre l’edizione tedesca prenderà il via solo nel 1965, con notevole ritardo, e dopo che Löwit interverrà personalmente, denunciando come una «vergogna nazionale» 98 l’indifferenza della Germania verso l’impresa di Colli e di Montinari ). In Francia, Gallimard affida il progetto delle Œuvres philosophique complètes de Nietzsche a Gilles Deleuze e a Maurice de Gandillac. De Gandillac si è avvicinato alla lettura di Nietzsche nel corso della Seconda Guerra mondiale, ricavandone un «nietzscheisme» concepito come dominazione del proprio sé, ma – come scrive Le Rider – «contrebalancé par les influences chrétiennes (Maritain, Massignon), par les “communistes marxistes et le socialistes communautaires” (Platon, More, Campanella), et par l’irénisme de Nicolas de Cuse, de Postel, par l’œcuménisme humaniste du XVIe siècle, [et] par l’idéal d’une rencontre entre les civilisation» 99. Sotto la direzione di de Gandillac, tuttavia, la realizza-

96   Riferendosi probabilmente a quello che doveva essere il clima filosofico italiano del periodo, e ricordando le intenzioni che avevano guidato i primi progetti editoriali di Colli, Montinari scrive: «Si trattava di formare una sorta di comunità nuova di lettori e di collaboratori, pubblicando testi che alla intellettualità accademico-politica dominante non potevano che risultare inattuali e fuori moda, anzi in certi casi addirittura irritanti o scandalosi. Si era nel 1958, e allora non esisteva certo né in Italia né in Francia, né ancora meno in Germania una Nietzsche-Renaissance. Ma noi cominciammo proprio con un testo di Nietzsche Schopenhauer als Erzieher (che io tradussi). Ad ognuno di questi testi era premessa una brevissima introduzione di Colli, in cui egli cercava di spiegare le ragioni della scelta di quel testo determinato e con cui si dava una certa unità a quella specie di canone di letture per “spiriti liberi”, per spiriti cioè capaci di leggere testi non destinati al consumo ideologico immediato». (M. Montinari, Ricordo di Giorgio Colli, in Aa.Vv., Giorgio Colli. Incontro di studio, a cura di S. Barbera e G. Campioni, Angeli, Milano 1983, p. 14; qui in G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione Colli-Montinari, ETS, Pisa 1992, p. 53). 97   Cfr., G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione Colli-Montinari, cit., p. 80. 98   Così Montinari in una lettera a Colli del 14 ottobre 1965, riportata da Campioni: «è risultato che Löwit si è pronunciato così a favore nostro da definire “una vergogna nazionale” che l’edizione non si facesse!». (G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione Colli-Montinari, cit., p. 130). 99  J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 182.

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zione del progetto è affidata da subito a Deleuze e a Foucault, i quali si trovano quindi a svolgere, nella direzione di questa impresa, un ruolo centrale. Nel 1964, le quattro giornate di incontri e di dibattiti a Royaumont (organizzate da Wahl e da Deleuze dal 4 all’8 luglio), oltre a inaugurare una nuova stagione negli studi su Nietzsche, è anche l’occasione per riunire finalmente i diversi protagonisti europei che si occupano, a vario titolo, della ri-edizione delle opere di Nietzsche 100. L’importanza di quest’incontro internazionale, come fa notare Giuliano Campioni, è testimoniato dalle stesse note di Montinari e dalle lettere che egli scrive a Colli per avvisarlo dell’invito ricevuto, e per spiegargli i motivi che renderebbero necessaria una loro partecipazione a Royaumont. Deleuze e Wahl propongono a Montinari e a Colli «di dirigere una “tavola rotonda”» sul lavoro che stanno svolgendo e «sulle questioni dei testi di Nietzsche» 101; ma il sospetto di Montinari è che a Royaumont essi dovranno, con tutta probabilità, confrontarsi con un ambiente a loro poco favorevole. Si tratta di una percezione non veritiera, ma se l’atteggiamento di Montinari dà il senso della fatica e dell’isolamento che il lavoro sui manoscritti di Weimar comportava (insieme alla frustrazione per l’estenuante ricerca di un editore tedesco) il Colloque de Royaumont rappresenta invece, per la ricezione di Nietzsche in Francia, un passaggio decisivo. A livello teorico, Royaumont può essere infatti considerato uno snodo epocale: un varco tra la fine di una lunga tradizione (quella analizzata da Bianquis e rinnovata infine da Bataille e da Blanchot) e le urgenze che investono gli anni 60 e 70 – con le quali Nietzsche torna prepotentemente sulla scena. Ma, come scrive Le Rider, la trasformazione più significativa a cui il pensiero di Nietzsche va incontro, a partire da Royaumont, è il suo passaggio (diremmo quasi definitivo) dalla destra alla sinistra: Le fait marquant de cet après-guerre de 1945 est le renversement des perspectives politiques: alors que, dans les années 20, la réception française de Nietzsche est majoritairement marquée à droite, depuis les année 60, depuis le colloque de Royaumont, Nietzsche passe pour un révolutionaire, pour l’un de trois grands maître du soupçon 102

come dirà appunto Michel Foucault a Royaumount.

Il “ritorno” a Nietzsche che si delinea in Francia mantiene comunque alcuni temi della sua lettura più “tradizionale”, anche se ripresi ora in senso libertario e “da sinistra”. Soprattutto riguardo a due argomenti essenziali: quello della valorizzazione del dionisiaco 100   Cfr. (Aa.Vv.), Nietzsche, Colloque de Royaumont, 4-8 juillet 1964, Cahier de Royaumont, Philosophie, n. VI, Édition de Minuit, Paris 1967. Introduzione di Martial Gueroult. Prima parte: L’homme et le monde selon Nietzsche (Henri Birault, De la beatitude chez Nietzsche; Karl Löwit, Nietzsche et sa tentative de récupération du monde; Jean Wahl, Ordre et désordre dans la pensée de Nietzsche; Gabriel Marcel, Notre point d’interrogation). Seconda parte: Confrontations (Giorgio Colli e Mazzino Montinari, État des textes de Nietzsche; Édouard Gaède, Nietzsche et la littérature; Herbert W. Reichert, Nietzsche et Hermann Hesse, un exemple d’influence; Boris de Schloezer, Nietzsche et Dostoievski; Danko Grlic, L’anti-esthéticisme de Nietzsche; Michel Foucault, Nietzsche, Freud, Marx). Terza parte: Expériences et concepts (Gianni Vattimo, Nietzsche et la philosophie comme exercice ontologique; Pierre Klossowski, Oubli et anamnèse dans l’expérience vécue de l’éternel retour du Même; Jean Beaufret, Heidegger et Nietzsche. Le concept de valeur; Gilles Deleuze, Conclusion. Sur la volonté de puissance et l’éternel retour). 101   Lettera di Mazzino Montinari a Giorgio Colli del 10 maggio 1964; qui in G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione critica Colli-Montinari, cit., p. 131. 102  J. Le Rider, Nietzsche en France, cit., p. 181.

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come opposizione alla razionalità borghese; e quello della rivalutazione del carattere frammentario e poetico dell’opera nietzschiana. Il che significa anche una chiara presa di distanza da ogni tentativo di rileggere Nietzsche alla maniera di Jaspers e di Löwith, o di renderne una lettura filologica che, vista in questo senso, rischierebbe di ridurne o di disinnescarne le potenzialità teoriche. Da questo punto di vista, perciò, anche i timori di Montinari sembrano trovare un qualche fondamento. Come ammette Le Rider: Après une longue période où avait prédominé l’effort de reconstruction, sinon d’un système, en tout cas d’un mouvement d’ensemble de Nietzsche, beaucoup s’appliquent à présenter Nietzsche comme une écriture de la fragmentation, de la déconstruction de l’idée même de système et d’“œuvre” au sens traditionnel du mot. […] Cette dernière tendance a certainement dépassé, peut-être même trahi les intentiond de Giorgio Colli e Mazzino Montinari, car ces deux philologues-philosophes restaient persuadés de l’importance primordiale des livres proprement dits de Nietzsche et doutaient que l’on pût aborder cet auteur pour ainsi dire à rebours, en plaçant l’œuvre fragmentaire au premier rang 103.

La relazione di Foucault a Royaumont, intitolata Nietzsche, Freud, Marx 104, può quindi segnalare – da questo punto di vista – un’evidente distanza fra le posizioni dei filosofi che guidavano in Francia la riscoperta di Nietzsche e i curatori italiani dell’edizione critica 105. Nella sua relazione Foucault insiste infatti, in modo particolare, sulla necessità di uno spostamento, nell’interpretazione di Nietzsche, dalle ragioni proprie della filologia a quelle del loro «sospetto». Questione centrale, per Foucault – e in senso del tutto provocatorio, visto il contesto del Colloque –, è quindi la critica alle prerogative stesse dell’interpretazione. Si tratta di analizzare, mettendolo in discussione, il rapporto (stabilito o imposto) tra l’ermeneutica e la semiologia («due nemiche» in realtà «feroci» 106). Non è infatti più possibile, come vorrebbe una certa filologia, considerare l’interpretazione come una pratica utile a determinare, in ragione di un possibile ritorno all’origine del testo, il significato autentico di un segno linguistico. Al contrario, dobbiamo riconoscere come l’interpretazione – mentre pretende di risalire a un preteso senso “ultimo” – rimanga invece al di qua delle proprie intenzioni (oppure le supera, dovendo però constatare, alla fine, di essersene ancora di più allontanata). È allora più opportuno (e corretto) considerare l’interpretazione come una sorta di «compito infinito», perennemente in divenire, che non può concludersi se non mancando il proprio autentico scopo – che non è quello di raggiungere un significato certo e definitivo, ma quello di mantenere aperto, e di rilanciare all’infinito, il compito dell’interpretazione stessa, riconoscendo l’impossibilità di esaurirne il discorso. Per lo stesso mo  Ibid., p. 207.  M. Foucault, Nietzsche, Freud, Marx, in «Cahiers de Royaumont», t. VI, Éditions de Minuit, Paris 1967; in Nietzsche, pp., 183-200 (atti del convegno di Royaumont, luglio 1964); in Dits et Écrits I, 1954-1975, n.46, pp. 592-607; trad. it. di F. Polidori, Nietzsche, Freud, Marx, in «aut aut», n. 262-263, 1994, pp. 99-107; qui nella trad. it. di G. Costa, in Archivio Foucault vol. 1, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 137-146. 105   Come nota Campioni, Montinari, pur rendendosi conto dell’importanza che ha la rinascita di interesse per Nietzsche in Francia, ai fini di portare a termine il lavoro dell’edizione critica, non nasconde però il suo disappunto per alcune posizioni teoriche espresse dai nuovi cultori di Nietzsche, e che troveranno ampia diffusione negli anni della contestazione studentesca. (Cfr. G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell’edizione critica Colli-Montinari, cit., pp. 96-97). 106   Ibid., p. 146. 103 104

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tivo, anche il significato filosofico dell’opera nietzschiana va più correttamente ricercato, in primo luogo, nell’apertura che essa indica al di là e oltre il limite del testo – orizzonte a cui l’ermeneutica attuale, non solo dopo Nietzsche (per il quale, come sappiamo, non esistono «fatti», ma solo «interpretazioni»), ma anche dopo Freud e Marx, dovrebbe rivolgersi in modo più consapevole. Tuttavia, se la data del Colloque indica, come scrive Le Rider, il passaggio di Nietzsche dalla destra alla sinistra, ciò avviene ancora una volta – occorre dirlo – sull’onda di un’urgenza che caratterizza quegli stessi anni: l’urgenza di una “sinistra” che deve ormai fare i conti con la frattura dell’Europa, successiva alla Seconda Guerra Mondiale, e con l’organizzazione autoritaria dei regimi politici derivati dal marxismo. L’accostamento di Nietzsche e Marx, nel segno dell’interpretazione infinita, e come alternativa a ogni chiusura di senso, assume quindi, per Foucault, una doppia valenza: la necessità di contrapporre Marx al «terrore» del marxismo; e, inoltre, il tentativo di liberarlo da tutte le interpretazioni politiche che hanno preteso di definirne il senso ultimo – così come Nietzsche era stato distinto, a sua volta, con Bataille, dalle interpretazioni della destra, vicina al fascismo, e da quelle dello stalinismo. Due anni dopo la relazione al Colloque, nel 1966, in un’intervista concessa a Le Figaro littéraire, dal titolo Michel Foucault et Gilles Deleuze veulent rendre à Nietzsche son vrai visage 107, Foucault può dare finalmente l’annuncio del piano di Gallimard per la ripubblicazione delle opere di Nietzsche, sulla base dell’edizione critica di Colli e di Montinari. In questa occasione, l’accento polemico di Foucault verso il lavoro filologico per la definizione dei testi è però più sfumato: «L’édition des œuvres complètes est un vieux projet. […] Mais si […] a été ajournée jusqu’à maintenant, c’est parce qu’elle présente des difficultés écrasantes» 108, ammette Foucault – il quale, pur non menzionando gli studiosi italiani, nel descrivere il nuovo piano di pubblicazione delle opere di Nietzsche, riconosce tuttavia la complessità di lavoro e la difficoltà, derivata dal vagliare e confrontare i testi originali, insieme all’enorme mole degli scritti inediti 109. Trois éditeurs: un italien, un hollandais, un français (Gallimard) ont pris la décision de financer la récollection des manuscrits. C’est évidemment la tâche capitale. Elle constituera une interrogation historique impitoyable […]. Il s’agirà éventuellement de démolir la fausse architecture, création de tiers trop zélés, pour reconstituer, dans la mesure du possible, les textes selon les propres prospectives de Nietzsche 110.

D’altra parte, se questo non potrà essere necessariamente che un lavoro di lunga durata, in Francia – annuncia Foucault – «une première étape va être prochainement accomplie. Nous publierons les traductions des œuvres publiées par Nietzsche lui107   Michel Foucault et Gilles Deleuze veulent rendre à Nietzsche son vrai visage, (intervista con C. Jannoud), “Le Figaro littéraire”, n. 1065, 15 settembre 1966, p. 7; in M. Foucault, Dits et écrits I, 1954-1975, Gallimard, Paris, 1994, 2001, n. 41, pp. 577-580. 108   Ibid., p. 577. 109   «Cette masse impressionnante d’inédits est une des explications à la longue attente des œuvres complètes». (Michel Foucault et Gilles Deleuze veulent rendre à Nietzsche son vrai visage, (intervista con C. Jannoud), cit., in M. Foucault, Dits et écrits I, 1954-1975, cit., p. 578). 110   Michel Foucault et Gilles Deleuze veulent rendre à Nietzsche son vrai visage, (intervista con C. Jannoud), cit., in M. Foucault, Dits et écrits I, 1954-1975, cit., p. 578.

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même» 111. Esistono già, spiega Foucault, delle traduzioni francesi di queste opere (alcune delle quali anche eccellenti), si tratta soltanto di scegliere le migliori e di procedere con nuove versioni per le rimanenti; ma il lavoro più complesso sarà di certo quello di omogeneizzare le diverse traduzioni alle sistemazioni linguistiche e concettuali che il lavoro critico avrà, nel frattempo, il compito di stabilire. En bref, nous tenterons de restituer le paysage intellectuel du philosophe. Ses livres seront accompagnés des esquisses, notes et brouillons qui les ont précédes. Ainsi, chaque œuvre aura son véritable volume, son brouillard. Le Gai Savoir, traduit par Pierre Klossowski, paraîtra très prochainement; ensuite, Aurore, Humain trop humain, Généalogie de la morale, etc. ultérieurement, ces ouvrages seront publiées dans la collection de la Pléiade 112.

Come per ogni lavoro intellettuale che si rispetti, tuttavia, anche per la pubblicazione di Nietzsche è necessario definire il valore, o il motivo, della sua attualità, e il significato che essa può assumere per la filosofia contemporanea. Tuttavia, se Nietzsche ha per Foucault un valore attuale, questo non deriva dal fatto che la sua opera testimonia la continuità di una tradizione filosofica occidentale (continuità che, per Foucault, com’è intuibile, richiamerebbe troppo da vicino la dialettica hegeliana), ma per il suo esatto contrario: perché «Nietzsche constitue une césure dans l’histoire de la pensée occidentale» 113. E perché «[l]e mode du discours philosophique a changé avec lui» 114. A riprova di ciò, Foucault elenca le “certezze” filosofiche dell’Occidente, che Nietzsche avrebbe avuto il merito di mettere in discussione, e nella cui critica si riconoscono – come vedremo meglio – anche le parole d’ordine del pensiero post (o neo)-strutturalista, a cui Foucault si sente in quel momento vicino. Quali sono perciò le certezze filosofiche che Nietzsche ha permesso di demolire? Innanzitutto, il valore soggettivo che la filosofia occidentale avrebbe assunto a partire da Descartes; e, secondo, il valore esaustivo e sistematico del linguaggio filosofico, al quale Nietzsche ha inflitto una ferita («blessure») decisiva. Ma ciò che è ancora più importante è il modo in cui Nietzsche ha anticipato i problemi attuali, costringendo la filosofia a fuori-uscire dal proprio recinto specialistico e a confrontarsi direttamente con la differenziazione e la moltiplicazione dei saperi. Il y a aujourd’hui une réflexion philosophique extrêmement riche dans un champ qui ne faisait pas partie auparavant de la réflexion philosophique. Les ethnologues, les linguistes, les sociologues, les psychologues commettent des actes philosophique. Le savoir s’est démultiplié. […] Eh bien, Nietzsche a multiplié les gestes philosophiques. Il s’est intéressé à tout, à la littérature, à l’histoire, à la politique, etc. Il est allé chercher la philosophie partout. En cela, même si en certains domaines il reste un homme du XIXe siècle, il a génialement devancé notre époque 115.

In occasione della pubblicazione de La gaia scienza – primo volume della nuova edizione di Nietzsche, tradotto da Klossowski e apparso un anno dopo, nel 1967 –, Foucault   Ibid., p. 578.   Ibid., p. 578. 113   Ibid., p. 579. 114   Ibid., p. 579. 115   Ibid., p. 580. 111 112

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e Deleuze presentano ufficialmente le ragioni del nuovo progetto editoriale in una Introduction générale aux Œuvres philosophiques complètes de F. Nietzsche 116, nella quale rendono omaggio, per la prima volta, anche all’impresa di Colli e di Montinari: MM. Colli et Montinari, en accomplissant l’immense travail qui consiste à dépouiller les archives de Weimar, ont déterminé la seule voie possible pour une publication scientifique: éditer l’ensemble des cahiers suivant l’ordre chronologique 117.

Il problema rimane, come oramai da molto tempo (e come sostenevano anche i due studiosi italiani e come, del resto, si era avveduto lo stesso Heidegger) quello del Nachlaß, vale a dire il problema di stabilire l’esistenza o meno di un’opera di Nietzsche intitolata La volontà di potenza – da cui era stata ricavata (dettaglio non trascurabile) anche la lettura in chiave nazista del suo pensiero. Questo problema, di natura espressamente filologica, oltre alla solennità dell’occasione, contribuisce evidentemente a un avvicinamento di Foucault alle ragioni filologiche di Colli e di Montinari. Allo stesso tempo, però, l’ambiguità (e l’arbitrarietà) di una tale pubblicazione postuma, oltre alla vicenda esistenziale del suo autore, consentono a Deleuze e a Foucault di riprendere le suggestioni poetiche e estetizzanti su Nietzsche, e di avvicinarlo in termini “romantici” agli scrittori «maledetti». Ciò che accomuna questo tipo di scrittori – spiegano Foucault e Deleuze – è il fatto di aver subito una «falsificazione» postuma, insieme a una brutale interpretazione, come quella a cui Nietzsche è stato sottoposto da parte del nazismo. Non a caso, [l]es penseurs “maudits” se reconnaissent de l’extérieur à trois traits: une œuvre brutalement interrompue, des parents abusifs qui pèsent sur la publication des posthumes, un livre-mystère, quelque chose comme “lelivre” dont on ne finit pas de pressentir les secrets. L’œuvre de Nietzsche est brusquement interrompue par la démence, au début de 1889. Sa sœur Elisabeth se fit gardienne autoritaire de l’œuvre et de la mémoire. Elle fit publier un certain nombre de notes posthumes. Les critiques lui reprochent moins put-être des falsifications (les seules qui soient manifestes concernent les lettres) que des déformations: elle a cautionné l’image d’un Nietzsche antisémite et précurseur du nazisme – l’anti-Nietzsche par excellence 118.

A questa «deformazione» dovrà appunto porre rimedio la nuova edizione critica delle sue opere «établie à partir des textes manuscrits tels qu’ils ont été déchiffrés et transcrits par MM. Colli e Montinari. Les œuvres publiées par Nietzsche», annunciano quindi i curatori dell’edizione francese, «ont été traduites d’après la dernière édition parue de son vivant» 119. Tuttavia, non si tratta certo – in questo modo – di mettere in secondo pia116  M. Foucault, G. Deleuze, Introduction générale aux Œuvres philosophiques complètes de F. Nietzsche, t. V.: Le Gai Savoir. Fragments posthumes (1881-1882), Gallimard, Paris 1967, pp. I-IV; qui in M. Foucault, Dits et écrits I, 1954-1975, cit., pp. 589-592. 117   Ibid., p. 591. 118   Ibid., p. 589. 119   Ibid., p. 591. «L’ensemble comportera donc: les écrits de jeunesse; les études philologiques et les cours de 1860 à 1878; toutes les œuvres publiées par Nietzsche depuis La Naissance de la tragédie (1872) jusqu’au Gai Savoir (1882), chacune étant accompagnée des fragments posthumes qui appartiennent à sa période de préparation et de rédaction; les œuvres publiées ou prêtes à la publication entre 1882 et 1888 (Ainsi parlait Zarathoustra, Par-delà le bien

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no l’importanza delle traduzioni realizzate, a inizio secolo, da Charles Andler e da Henri Albert; anzi, «[d]ans certains cas, peu nombreux, celles-ci seront reprise» 120 (come sarà appunto per La nascita della tragedia, che non figura nell’elenco delle traduzioni da realizzare). Ma l’aspetto più significativo di questa nuova edizione è il compito che essa si propone, anche attraverso la pubblicazione degli inediti; questo compito – come spiegano Foucault e Deleuze – non è infatti altro che quello di un necessario (e, potremmo aggiungere) per certi versi inevitabile, «retour à Nietzsche».

et le mal, La Génealogie de la morale, Le Cas Wagner, Le Crépuscule des idoles, L’Antéchrist, Ecce Homo, Nietzsche contre Wagner, les Dithyrambes des Dionysos) et les poésies inédites de l’hiver 1882-1883 à 1888; la masse des fragments posthumes qui ont été rédigés entre l’automne 1882 et l’effondrement final». (M. Foucault, G. Deleuze, Introduction générale aux Œuvres philosophiques complètes de F. Nietzsche, cit.; qui in M. Foucault, Dits et écrits I, 1954-1975, cit., p. 591). 120  M. Foucault, G. Deleuze, Introduction générale aux Œuvres philosophiques complètes de F. Nietzsche, cit.; qui in M. Foucault, Dits et écrits I, 1954-1975, cit., p. 592.

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Foucault interprete di Nietzsche

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E in questo senso, ma in modo più preciso che ne Le parole e le cose, Nietzsche e Kant (o, meglio, una certa lettura radicale di Kant, che assolutizza l’esteriorità delle condizioni della conoscenza rispetto al «mondo da conoscere») possono paradossalmente convergere, per Foucault, sul piano della critica al naturalismo e al soggetto del Cogito.

STEFANO RIGHETTI

Stefano Righetti è dottore di ricerca e studioso del pensiero di Foucault e della filosofia francese contemporanea, temi sui quali ha già pubblicato ampi studi (Soggetto e identità. Il rapporto anima-corpo in Merleau-Ponty e Foucault, Mucchi 2006; Letture su Michel Foucault. Forme della “verità”: follia, linguaggio, potere, cura di sé, Liguori 2011). Suoi saggi sono apparsi su riviste specializzate, fra le quali «Iride», «Dianoia» e «Millepiani». Ha fondato e diretto la rivista «La Stanza Rossa», prima pubblicazione in Italia a occuparsi in modo specifico del rapporto fra arte e nuove tecnologie (La Stanza Rossa. Trasversalità artistiche e realtà virtuali negli anni Novanta, Costa&Nolan 2007). Tra i suoi testi, La fantasia e il potere (Mucchi 2008).

Stefano Righetti

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9 788870 005592

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Mucchi Editore

Il presente lavoro intende approfondire un aspetto del pensiero di Foucault ancora poco indagato, per quanto ben noto e indicato da diversi studiosi come un aspetto essenziale del suo lavoro e, più in generale, del pensiero francese contemporaneo. Se i rapporti di Foucault con il pensiero nietzschiano sono infatti al centro di alcuni studi specifici, e se il pensiero di Nietzsche è ormai unanimemente indicato come uno dei riferimenti principali di Foucault, in realtà, le implicazioni di questo rapporto, e il modo in cui Foucault utilizza gli strumenti del pensiero nietzschiano, rimangono avvolti da una certa oscurità e risentono spesso di un’impostazione letteraria generalizzante. Al contrario, in modo approfondito e con risvolti originali, lo studio intende restituire all’interpretazione nietzschiana di Foucault una complessità per molti aspetti inedita. I temi che Foucault assume da Nietzsche e che costituiscono lo sfondo concettuale delle sue opere, dando forma al suo metodo critico, non sono infatti univoci, ma mostrano differenze specifiche a seconda dei diversi momenti del suo pensiero. Ripercorrendo per intero l’opera e la riflessione di Foucault, il libro mette quindi in luce le diverse letture di Nietzsche presenti in Foucault, per rivelare, allo stesso tempo, l’originalità dell’interpretazione foucaultiana rispetto a quella di altri autori contemporanei.


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