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PROVINCIA DI SIENA COMUNI DI CASOLE D’ELSA COLLE DI VAL D’ELSA MONTERIGGIONI POGGIBONSI RADICONDOLI SAN GIMIGNANO APT SIENA Via dei Termini 6 - 53100 Siena Tel. +39 0577 42209 - Fax +39 0577 281041 aptsiena@terresiena.it www.terresiena.it
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Mimmo Paladino, I Dormienti, Fonte delle Fate, Poggibonsi
Terre di Siena
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vald’e lsa LA PROVINCIA DI SIENA I COMUNI DI CASOLE D’ELSA COLLE DI VAL D’ELSA MONTERIGGIONI POGGIBONSI RADICONDOLI SAN GIMIGNANO L’APT DI SIENA TI DANNO IL BENVENUTO NELLE TERRE DI SIENA
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Val d’Elsa
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val d’elsa, la terra arte-fatta, fatta ad arte
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gocce di luce e nuovo design, così si crea
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vernaccia, zafferano, l’oro in tavola
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arte in val d’elsa
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arte all’arte, il secondo rinascimento
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arnolfo di cambio, lo scultore dello spazio
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le sei gemme di una collana
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terre murate, il gioco delle torri
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il cassero e la fortezza di poggio imperiale a poggibonsi
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appuntamenti in val d’elsa
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musei
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per saperne di più
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firenze siena
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Val d’Elsa casole d’elsa colle di val d’elsa monteriggioni poggibonsi radicondoli san gimignano
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Radda in Chianti
San Gimignano Poggibonsi
Castellina in Chianti
Gaiole in Chianti
Colle di Val d’Elsa Monteriggioni Casole d’Elsa
Castelnuovo Berardenga
Siena Rapolano Terme
Sovicille
Radicondoli
Monteroni d’Arbia
Asciano Sinalunga Torrita di Siena
Murlo Monticiano
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Trequanda
San Giovanni d’Asso
Chiusdino
Buonconvento
Montepulciano Pienza
Montalcino
Chianciano Terme
San Quirico d’Orcia
Chiusi Castiglione d’Orcia
Sarteano Cetona Radicofani
Abbadia San Salvatore San Casciano dei Bagni Piancastagnaio
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val d’elsa, la terra arte-fatta, fatta ad arte
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Monteriggioni
Un apostrofo, che cosa conta un apostrofo? Nulla, direte voi; è un ghiribizzo grafico, una virgola pretenziosa che sale invece di starsene al posto suo: poggiata sul rigo. Eh… già. Però a veder bene un apostrofo, ad esempio, taglia a metà il mondo: di qua il maschile, di là il femminile. Oppure scinde invece di riunire, contrariamente alla sua natura che è di far scivolare meglio la pronuncia. E’ indubbiamente un’invenzione colta, un lampetto di genio. Ecco, la questione è posta. Diremo Val d’Elsa come correttamente sarebbe da intendersi ché il toponimo è una crasi della “valle del fiume Elsa”, o scriveremo come ci viene da pronunciare Valdelsa senza tante maiuscole e interruzioni con un’unità rafforzativa del tutto? Meglio, indubbiamente meglio perché, come spesso capita in terra di Siena, anche qua la “ricerca dell’identità” si pone. Difficili i confini di questa landa che svapora nelle nebbie silvestri verso ponente ad annunciare il mare sorvegliata dalla ferrigna, straniante Volterra; che s’appiattisce a nord al cospetto di Firenze, la (pre)potente; che si fa severa di fitta selva a sud là dove la senesità, nella Montagnola, ha remotissima origine e dove origina anche l’Elsa dalle risorgive di Molli; che s’apre a levante prologo del Chianti e pare scorrere verso il suo antico fiero retaggio di piazzaforte di Siena, l’orgogliosa. Cucirla questa terra d’infinita suggestione, d’umane opere e vicende intrisa, è necessario fin dal nome: Valdelsa. E però a pensarla bene nelle sue origini andrebbe scritta con l’apostrofo che è un’incisione, un tratto d’umano intelletto: Val d’Elsa. Anche perché questa valle, perfino nella sua geografia fisica e umana, è un apostrofo della toscanità: di qua l’impercettibile leziosità fiorentina, di là l’avvertibile fierezza senese; di qua l’aristocratica mercatura, di là la scaltra finanza; di qua la pettinata pianura, di là l’arruffata collina di querce odorosa. Nel mezzo, come un graffio della natura, la valle percorsa dalle concretezze del fare, plasmata dal rincorrersi dell’Elsa e del Cecina, abitata di mercanti e d’operai (nel senso più alto: coloro che operano). Un apostrofo senz’altro, ma con la doppia valenza di discrimine e di ponte, ché pure la Val d’Elsa partecipa di quella “diplomazia dello stupore” che rese grande
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anche il più piccolo borgo di Toscana e ancor oggi distingue questa terra delle meraviglie e su di sé attrae l’intellettuale appetito del mondo. Come l’apostrofo la Val d’Elsa svetta di torri (Monteriggioni, San Gimignano, ma anche Colle e Poggibonsi ) e di cipressi, gioca con le lettere (Bilenchi, Maccari, qui è nata l’industria della carta e si concentra oggi una delle più raffinate scuole di design), s’ingegna (la densità produttiva della Val d’Elsa è retaggio di un artigianato che si è fatto industria e arte ma anche dell’evoluzione che il lavoro dei campi ha conosciuto, come a Casole d’Elsa che affonda le radici nella ruralità e si proietta al futuro), spartisce (tutte le dotazioni si devono all’eterna contesa Firenze-Siena) e appare un artificio. Perché la Val d’Elsa è una terra artefatta. Consentite un estremo gioco di parole; qui artefatta va scritto con il trattino arte-fatta, cioè fatta ad arte. Basterebbe questo a spiegare la magnificenza della Valdelsa, stavolta sì scritta tutta di seguito. Perché tutto d’un fiato sarà il nostro vagabondare per queste lande, talmente belle da lasciare senza fiato.
IL VIAGGIO DI RICERCA, L’INTROSPEZIONE DEI LUOGHI Ma un’avvertenza ulteriore s’impone: non si pensi che questo sia un mero itinerario geografico, né l’andare incontro a sfacciate bellurie, né tanto meno il farsi cullare da armonie superficiali. No: un viaggio in Val d’Elsa è prima di tutto ricerca, introspezione personale e dei luoghi. La riprova? Viene immediata se vi fermate a chiedere un’informazione. Raramente un valdense (anche su questo c’è disputa, molti preferiscono dirsi valdelsani) vi chiederà chi siete, perchè venite: vi servirà di contraccambio ciò che voi avete offerto. Se è empatia, sarà simpatia, se è arroganza sarà superbia, se è superficialità sarà indifferenza, ma se è stupore e affetto per questa terra allora sarete ripagati con rispetto e accoglienza. Perché qui – al contrario di qualche altra landa di Toscana - vige la concretezza.
Pieve di Coneo, Colle Val d’Elsa
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Del resto, se non si fosse empirici, come nei millenni si sarebbe cavato di che vivere da questi luoghi? L’unica ricetta era ingegnarsi; qui si sono tanto dati da fare che l’ingegno è diventato industria. E se non si fosse stati allenati a misurare il forestiero come si sarebbe potuto gestire l’umano caos dei pellegrini che scendevano lungo la Francigena al soglio di Pietro? Perciò il valdense s’affeziona di rado (pensate al minimo strazio di ogni partenza; sopportarlo nei secoli avrebbe sfiancato) più spesso si occupa di chi arriva e si preoccupa per chi parte; il grado di questo idem sentire è proporzionale alla disponibilità dell’ospite a entrare in sintonia con questo angolo fiero e gentile di mondo.
UN CROCEVIA D’UOMINI E COSE. E DI SENTIMENTI Staggia, Poggibonsi
San Francesco, San Gimignano
Insistere sull’elemento antropico non è secondario perché la Val d’Elsa è, prima di tutto, un crocevia: di uomini e cose. E di sentimenti. Tutta la storia di questa terra, che è un luogo degli opposti, scorre lungo le strade e in forza di esse. L’importanza strategica della Val d’Elsa sta tutta nei suoi percorsi. E’ contemporaneamente la porta del mare, il sentiero del sacro, l’arteria che fa scorrere la toscanità da Firenze a Siena. Deve il suo sviluppo alla Francigena che segnò lo splendore di San Gimignano (ecco perché qui l’ospitalità è una sorta di carattere genetico), deve la sua attuale propensione all’economia sostenibile che è un continuo e armonico produrre (vino, olio, ma anche cristallo e meccanica, carta ed elettronica, ceramica e mobili) proprio all’incontro che si realizza lungo gli itinerari. Poggibonsi è spiegato dal suo via vai, dal suo essere fulcro di traffico nel senso meno caotico e più concreto del termine: lo scambio; Colle Val d’Elsa si strutturò come sentinella e “casello” della via Volterrana; Monteriggioni era il baluardo a guardia della Cassia-Francigena punto d’attacco per Siena. Forse la Val d’Elsa più remota – Casole e Radicondoli – meno partecipa di questa fortuna stradale, ma a ben vedere i due centri ancora
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intimamente rurali sono i presidi di altri itinerari: quelli che vanno verso la zona metallifera e verso il cuore della natura. Un cuore che ribolle e sbuffa, nel fischio dei vapori di Larderello. Anch’essi sono centri demici modellati dal susseguirsi incessante dei pellegrini, dei mercanti, delle scolte. Come il fiume, l’Elsa bizzarra, ha plasmato l’orografia, così il fiume degli uomini in cammino nei millenni ha plasmato il paesaggio, i borghi e il carattere. Come l’Elsa, che nel primo tratto viene detta “morta” perché poco più che ruscello appare, s’ingrossa degli affluenti fino a correre ad abbracciare l’Arno così la civiltà della valle si è innervata di mille apporti. Non si spiegherebbe altrimenti il divenire incessante delle culture – e sopra tutte la cultura del fare – che costituisce lo straordinario patchwork intellettuale di queste terre: politico, artistico, sociale, perfino etnico visto che qui etruschi, romani, longobardi hanno dato luogo, insanguandosi nei secoli gli uni degli altri, a una gens peculiare: la gens valdensis. Che è toscanissima sì nella sostanza, ma ha accento linguistico diverso, ha cucina interstiziale, ha sommovimento sociale che non museifica le tradizioni, le erge a fondamento del vivere e le evolve in un concetto alto di comunità. Ecco: il moderno pellegrino, il viaggiatore epigono di quello che medievalmente percorreva ora in armi ora in saio la Val d’Elsa, si sentirà in comunità albergando uno dei borghi o una delle città della Val d’Elsa. Si spiega così, ad esempio, perchè Poggibonsi, centro oggi ultramoderno che conobbe una devastazione pressoché totale nell’ultimo conflitto mondiale e dedito all’industria, abbia un suo protagonismo turistico: offre, oltre al centro antico e a remote memorie, un attualissimo senso sociale e un concretissimo shopping, una vocazione a fare cultura e a fare cultura del fare. Le prime mutue sono nate qui, i socialisti toscani hanno avuto Colle e Poggibonsi per culla, le avanguardie culturali incarnate da Mino Maccari e Romano Bilenchi hanno qui fondato le loro riviste e dettato i loro manifesti. Perché qui prima che nel resto della Toscana si sono sviluppati un ceto operaio coeso, una borghesia produttiva. Che hanno animato i teatri (di valore assoluto è quello dei Varii di
Gocce di luce e nuovo design, così si crea Dal mito di Perseo l’uomo ha sempre desiderato catturare la luce. I Colligiani, certi delle loro capacità tecnologiche e della loro ostinata operosità, sono riusciti a distillare le gocce di luce: così è nato il cristallo. L’arte del vetro apparteneva agli Etruschi e la produzione di opere in cristallo in Val d’Elsa risale al XIV secolo, come evoluzione della tecnologia ereditata dai “Tirreni”. Lo testimoniano le gabelle il cui disciplinare risale al 1337 e un’ordinanza del 1577 del Granduca di Firenze che vietava, nello Stato Fiorentino, l’uso del vetro non colligiano. La storia accertata della manifattura del cristallo passa nel 1820 attraverso il nome del francese Mathis che apre una modesta vetreria nell’antico convento degli Agostiniani, oggi sede di uno stupefacente museo. Il Museo del Cristallo, infatti, ospita inimmaginabili composizioni dai mille effetti di magica luce che documentano il
viaggio nella storia di quest’arte. Colle ne è oggi il centro d’avanguardia in Europa, ma la collezione testimonia l’antica origine di quest’industria; numerosi sono gli oggetti esposti databili tra il XIV e tutto il XV secolo recuperati in alcuni scavi della zona. Tra di essi spicca la “bisnonna”, una bottiglia impagliata, antenata del nostro fiasco. La scelta di Mathis per la collocazione della sua industria in Colle Val d’Elsa nasce da un acuto monitoraggio del territorio: facile reperimento di quarzo, bario, manganese, buone vie di comunicazione per lo scambio delle merci, ma soprattutto grandi quantità di legno nelle vicine foreste. Nel corso dei secoli, la galleria degli imprenditori che hanno reso famoso il distretto del cristallo, si è arricchita di personaggi provenienti da molte nazioni: dal boemo Schmidt famoso per aver migliorato la qualità dei materiali, per aver introdotto tecniche e modelli francesi ed aver ingrandito l’azienda realizzando un nuovo stabilimento proprio dietro quello originario, ad Arrigo Galganetti che nel 1900 riconvertì la fabbrica fallita in azienda produttrice
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di lastre chiamandola “Fabbrichina”. Non fiorenti furono gli anni del primo decennio del ‘900, della prima e della seconda guerra mondiale, ma grazie alla grande operosità, tenacemente attaccata alle tradizioni, alla fantasia degli artigiani colligiani, l’industria del cristallo vede nel 1952 la nascita di tre nuove aziende leader: C.A.L.P, V.A.V. e V.I.T.A.C. da cui in seguito si origineranno LA PIANA, prima, e la COLLE CRISTALLERIE, dopo. Oggi con l’utilizzo dell’ossido di piombo ad almeno il 24% in Val d’Elsa si creano oggetti che sono opere d’arte per brillantezza, acronaticità, altissimo design e molteplicità di prodotti. Accanto alle forme classiche del passato sono stati creati modelli di disegno moderno ed attuale, ma ogni fase di lavorazione viene ancora eseguita secondo la regola dei maestri artigiani e un forte legame alla tradizione, nonostante l’adozione di modernissimi procedimenti governati dai complessi sistemi di microprocessori. Ma il controllo definitivo della qualità è ancora dipendente dall’insostituibile occhio dell’uomo.
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Ogni forma può essere liscia, soffiata, pressata, decorata, incisa, sfaccettata o molata a mano. Il cristallo di Colle è una notevole risorsa economica ma soprattutto un potente ambasciatore dello stile toscano del mondo. Nelle boutiques più esclusive e sulle tavole più raffinate, le gocce di luce della Val d’Elsa, firmano l’eleganza del vivere a regola d’arte. Ma a testimoniare la ricchezza progettuale in forma d’arte, in unità con la produzione della Val d’Elsa, ecco il polo del design di Poggibonsi. Senza dubbio questa città è il presidio manifatturiero più importante dell’area ma coniuga ancora capacità produttiva con intuizione progettuale come già accadeva nel medioevo. Tutto questo si traduce in una scuola di design e in produzioni di pregio (dal settore del mobile ecocompatibile fino all’allestimento dei camper) che fanno anche di Poggibonsi, insieme a Colle, la capitale del bello da fare.
Colle Val d’Elsa), le biblioteche, hanno edificato eleganti dimore, hanno fertilizzato il territorio di sapienza, hanno coltivato l’attitudine al bello e al concreto. Oggi quest’aspirazione all’armonia tra l’uomo e il suo spazio vitale si rivela nell’aver ridotato il territorio di istallazioni d’arte contemporanea (si veda, per dirne uno,il lavoro dell’associazione Arte all’Arte che, partendo da San Gimignano, ha concentrato in Val d’Elsa una quindicina di opere permanenti di altrettanti artisti internazionali che rappresentano un’avanguardia creativa e una rinnovata alleanza tra valore estetico-mediatico artefatto ed estetica del paesaggio) e nell’aver infittito il calendario degli eventi di performances e festival (uno per tutti: quello di Radicondoli che in estate concentra all’estremo lembo della valle l’essenza della cultura mondiale). E’ lo spessore sociale, e la qualità della vita dei residenti, a rendere queste terre un approdo di fascino per chiunque nel far turismo compia anche una navigazione interiore.
LA CULTURA DEL FARE, UNO STILE DI VITA La storia si diverte spesso a giocare con le contraddizioni apparenti: e così se la Val d’Elsa (l’alta Val d’Elsa a essere precisi, quella che scorre nelle terre senesi) è stata prima di tutto una via, negli ultimi cent’anni ha vissuto appartata perché penetrarla significa deviare dagli itinerari toscani più consueti. Questa sua riservatezza, ad eccezion fatta per Poggibonsi, Colle e Monteriggioni lambiti dalla superstrada Firenze-Siena, l’ha preservata e ancor più ingentilita in forza dell’ansia di continuare a ospitare che non è mercantilismo turistico, ma disponibilità all’incontro. Riscoprirla, o forse soltanto ripercorrerla oggi, significa semplicemente stupirsene. Concentra in sé tutti i marcatori dell’identità toscana che sono, solo in apparenza, i must stereotipati veicolati nel mondo di questa civiltà/territorio (l’arte, il buon mangiare e il meglio bere, il paesaggio, le dimore contadine oggi divenute ostelli confortevoli per gli agrituristi, una certa oleografia rurale dove il vero sfuma nel
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Piazza Roma, Monteriggioni
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blow-up del ricostruito) e definisce con nettezza le proprie identità particulari, per dirla con Machiavelli che visse non distante da qua. La Val d’Elsa – se ne accorgerà il viaggiatore attento dopo averla solcata – è una sintesi dell’autenticità toscana, ma non per particolari meriti, per il solo fatto che è una terra ancora abitata dai suoi antichi. Qui si vive e vivendo si accoglie: non c’è un discrimine tra turista e residente (e questo spiega perché tanti arrivati per svago si sono fermati per scelta di vita) e perciò è assai raro che vi sia qualcosa di fatto o di agito “a bella posta”. Solo là dove l’attrattiva è così forte da rendere smanioso il visitatore si è avuta qualche concessione al mercantilismo, ma è assi trascurabile di fronte all’autenticità dello stile di vita, che rimanda – questo sì più al Rinascimento che all’età di mezzo, quella in cui la Val d’Elsa si è strutturata come noi la conosciamo – a quella concezione tutta toscana del chi vuol essere lieto sia perché del diman non v’ha certezza. E anche qui: letizia non è sinecura, sciocca vacuità; è ricerca dell’armonia e dunque dell’essere bene perché si è consapevoli della nostra finitezza. Ecco perchè la Val d’Elsa è terra degli opposti: al medesimo tempo concretissima (del diman…) e spirituale (chi vuol esser lieto…), omogenea (nello stile di vita) e frammentata (nell’offerta, ma anche nella vicenda delle municipalità), aperta (socialmente) e recondita (nei suoi tesori, nella sua anima). Comunque unica.
TUTTE LE STRADE PORTANO ALL’ELSA “E se stati non fossero acqua d’Elsa i pensier vani intorno alla tua mente”, sono due versi tratti dall’ultimo canto del Purgatorio (dove trova luogo anche una citazione della Vernaccia, l’altro oro di San Gimignano insieme con lo zafferano), quello che Dante pone all’incipit del cammino verso la beatitudine. Anche a noi, oggi, l’approcciarsi a un itinerario valdense pare prologo alla beatitudine turistica perché porta alla
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scoperta dell’inconsueto. Si diceva della Val d’Elsa che è terra degli opposti; terra che è una continua superfetazione di occasioni, di emozioni; terra, per certi versi, sfuggente e che ha cento chiavi d’accesso. La sua multiformità si disvela già dal geografico rebus di definirne i confini e di identificarne gli apporti, ma la sciarada s’appalesa al viaggiatore nel momento in cui si deve scegliere da dove entrare “nella città splendente, nell’eterno stupore”. Un viaggio apparentemente breve – da un capo all’altro in ogni direzione non corrono più di quaranta chilometri – ma non deve essere affrettato. Anzi, per fruire al meglio la Val d’Elsa sarebbe conveniente viverla come felice ostello per scoprire il cuore di Toscana: chè Siena, Firenze, il Chianti, le Metallifere, Volterra, il mare e finanche Pisa sono lì intorno. La Val d’Elsa può essere il fulcro di un soggiorno toscano perché è di fatto un compendio della toscanità, una fusion che al viaggiatore moderno consente, borgo dopo borgo, curva dopo curva, paesaggio dopo paesaggio, di sfogliare l’antologia del tuscan life style. A San Gimignano il bello d’arte assoluto, a Colle l’architettura e la storia, a Casole l’aristocrazia rurale, a Poggibonsi l’opera, a Radicandoli il naturale, a Monteriggioni il fascino. E ognuna di queste stazioni della via dulcis intersecano elementi di originalità: le testimonianze archeologiche, i retaggi linguistici, gli usi gastronomici (a proposito la concentrazione di mense d’eccellenza in un territorio così ristretto ha pochi eguali in Italia), le moderne reintepretazioni delle radici etnico-culturali che sono il vero tratto unificante della Val d’Elsa. Capace di stupire anche nella toponomastica: la Fonte delle Fate, Abbadia Isola, Marmoraia, Montingegnoli, Mensano, tutti luoghi, e sono solo alcuni dei molti in Val d’Elsa, che vanno scoperti con brevi deviazioni, con incursioni della curiosità. Forse davvero l’itinerario migliore sarebbe quello circolare per scoprire le geometrie, anche mentali, non euclidee di questa terra. La declinazione non è solo quella delle strade lungo le quali viaggiare, no: c’è anche quella dei vettori. Perché la Val d’Elsa si può percorrere individualmente in auto o sfruttando l’ottima rete di trasporto
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pubblico, sudandola in bicicletta (ci sono alcuni percorsi studiati apposta per i cicloturisti), misurandola a passo (il trekking qui è una delle forme di turismo più praticate), conquistandola a cavallo con ciò riguadagnando in tutto la dimensione antica. Basta scegliere da dove entrare.
LA FRANCIGENA ETERNA ROTTA
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L’agio moderno ci spinge verso frettolosi, comodi approcci e non v’è dubbio che il più agevole incontro con la Val d’Elsa sia dalla superstrada Firenze-Siena, la cosiddetta “autoPalio” che corre lungo lo Staggia, il principale affluente dell’Elsa. Da Nord si penetra in questo territorio dal casello di Poggibonsi, da Sud da quello di Monteriggioni. Ma, parallelo al tracciato veloce scorre quello della Cassia che da Monteriggioni ci offre l’opportunità d’aggirare la Montagnola, prendendo così contatto con una senesità primigenia e arrivando alla zona delle Caldane, le antiche terme etrusche che sfruttavano le acque calde dell’Elsa, risalire, costeggiato il monte Maggio, se si vuole fino a Casole, puntare su Radicondoli e, tornando un po’ sui propri passi, per una stradicciola innestarsi sulla via Volterrana all’altezza della torre di Montemiccioli che fu il remoto confine tra Volterra e la Val d’Elsa. La 68 è la strada più panoramica per entrare nel territorio da Ovest verso Est. Ci si lascia alle spalle Volterra poi all’altezza di Castel San Gimignano si può decidere o di puntare direttamente su Colle Val d’Elsa oppure prendere il bivio a sinistra per San Gimignano passando accanto a Castelvecchio, un sito archeologico di assoluto fascino, e, toccando San Donato e Pescille, giungere alla “città delle belle torri” da dove poi proseguire per sette/otto chilometri fino a Poggibonsi e risalire dopo altri 8 chilometri fino a Colle Val d’Elsa. Ma c’è un altro itinerario suggestivo (oltre ad arrivare in Val d’Elsa da Est attraverso la Chiantigiana provenendo da Castellina ed entrando nel territorio a Staggia) che è quello che si snoda lungo la Strada 429. La si prende poco oltre Firenze da Tavarnelle Val di
Vernaccia, zafferano, l’oro in tavola Sin da quando, nel 1228, San Gimignano riuscì a pagare, con lo zafferano dei suoi campi, tutti i debiti per far guerra contro il Castello della Nera, si poteva intuire come “l’arte del fare” che connota l’area della Val d’Elsa avrebbe segnato tutta la storia e la cultura di questa parte di Toscana. “L’oro di San Gimignano” finanziò anche la costruzione delle torri che sono ciò che resta dell’antica potenza della città. Il “crocus sativus” infatti, secondo i racconti dei vecchi del posto, ne fece la fortuna mercantile ed economica. E in una intricata
faccenda diplomatica i pregiati pistilli furono offerti sottobanco ai consiglieri del Vaticano per corromperli. Perché, viene da chiedersi, da sempre lo zafferano è stato un tale oggetto del desiderio? La mitologia narra che il candido Croco amò perdutamente la ninfa Smilace contro la volontà degli dei dell’Olimpo che lo trasformarono in fiore; mentre un’altra leggenda riferisce che Croco venne ucciso involontariamente dal dio Mercurio il quale, profondamente pentito, fece colorare con il sangue dell’amico morto gli stigmi di questa pianta prodigiosa. Ma è ormai noto che lo zafferano (dal persiano asfar, trasformato in arabo sahafaran=giallo) venne importato per la prima volta
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Pesa e calando a Sud per una quarantina di chilometri tra le ferrovia Empoli-Siena (aveva una diramazione Colle-Poggibonsi molto utile per spostarsi sulla base del triangolo principale della Valle e che fu voluta a metà dell’800 proprio dai colligiani timorosi di perdere i loro traffici) e l’Elsa si giunge a Poggibonsi. La 429 attraversa Castelfiorentino e Certaldo (la patria di Boccaccio) e la suggestione sta nel fatto che questa strada si snoda lungo il più recente (ma parliamo di buoni quattro secoli fa!) tracciato della Francigena, quella che all’altezza di Poggio Bonizio piegava per San Gimignano e poi ridiscendeva verso Colle e Monteriggioni. Il cerchio è chiuso e la Val d’Elsa è finalmente aperta.
IL LIBRO VIVO DELLA STORIA
in Toscana originariamente dall’Anatolia centrale. Abbandonata la coltivazione per diversi secoli, questa affascinante pianta è stata riportata alla ribalta e si è scommesso di nuovo sul croco: i terreni di San Gimignano sono adattissimi alla coltivazione per drenaggio, per bassa acidità con una resa per metro quadrato altissima. Ora le aziende esistenti che producono lo zafferano sono 15 e lavorano per il riconoscimento del marchio Igp. In autunno accanto alle vigne spicca il colore celeste violaceo dei petali del fiore che viene raccolto la mattina quando è ancora non aperto e quindi non ha disperso nell’aria la propria fragranza; i tre filamenti o stigmi di
ogni pianta vengono poi essiccati con fuoco di legno di leccio a non più di 40° C e poi confezionati: da 120-140 crochi si ottiene un solo grammo di zafferano. Oro di San Gimignano. Oro che oggi arricchisce i piatti della Val d’Elsa: i pici, i funghi, il coniglio, la trippa. Ma la tradizione gastronomica si esprime idillicamente anche con il salame bastardo (salsiccia a grana più grossa stagionata circa un mese), con la gota (guancia di maiale salata, pepata e stagionata, straordinaria è quella che si ottiene dai suini di cinta senese allevati soprattutto a Casole d’Elsa, la filza (arista salata e pepata come un prosciutto, ricoperta di semi di finocchio e stagionata per un mese
Difficilmente in un'altra parte d’Italia la storia è d’attualità come in Val d’Elsa. E non solo per le architetture che residuano intatte in almeno tre luoghi cospicui: San Gimignano affascinante nella sua fisicità medievale (in epoca barocca edificarono una chiesa che gli abitanti stessi trovarono di pessimo gusto e fu demolita, altro che moderni condoni edilizi!) perpetua l’idea municipale; Monteriggioni eterna terramurata offre della munizione non l’immagine stereotipa che troppa medievalistica di bassa lega ci ha tramandato, ma l’esempio vero della vita intramuraria; Colle nel suo “Castello” intonso nella struttura e nel Borgo narra vicenda d’artigiani e della protoindustria che caratterizzò l’economia due-trecentesca a testimoniare a noi contemporanei quanto siamo non novatori, ma eredi. In Val d’Elsa la storia è un libro vivo, sfogliarne le pagine è ragionare con la gente, è inebriarsi dei profumi, è satollarsi dei sapori, è incantarsi dei paesaggi. Anche qui, come in ogni angolo di Toscana, sono modellati dall’uomo - razionalizzati dalle vigne, argentati dagli olivi, punteggiati dei manufatti d’arte - per ottimizzare le risorse naturali senza depauperarle; si scopre così che la sostenibilità, di moderno, ha solo l’urgenza. Vivere la storia qui è compiere ogni
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gesto quotidiano in una sorta di affascinante secolare retrospettiva. Vi sono due luoghi dove questo contatto spaziotemporale a ritroso è più percepibile, perché forse meno eclatanti sono le architetture: Casole e Radicondoli respirano ancora dei tempi naturali del contado. Hanno mura e “chiassi”, hanno ville (nel senso romano) e dimore campestri, hanno soprattutto un interiore metronomo che è il ritmo della tradizione, dunque dell’antropizzazione del tempo. Resta Poggibonsi. Lì la storia gioca a “rimpiattino” (si dice così in Toscana) perché questa è tra le città valdensi quella che probabilmente ha la vicenda più antica e complessa e tuttavia bisogna cercarla. Ma di contro a Poggibonsi risiede ed è visibilissima la storia recente di questo territorio. E’ qui che avvertiamo la densità sociale - divenuta ai nostri giorni anche tollerante incontro multietnico in forza dell’atavico confrontarsi con dominatori e viandanti via via diversi - è qui che il “progresso” s’innesta sul consolidato determinarsi della Val d’Elsa. Ci vorrebbero il vanghetto dell’archeologo, la lente dell’antropologo, il taccuino dello storico, la fotocamera dello storico dell’arte, e poi ancora le papille del gastronomo, le statistiche del sociologo, le introspezioni dello psicologo e le tabelle dell’economista per comprenderne con il rigore dello studio le molteplici anime. A noi pare però che uno strumento serva su tutti: l’umana disponibilità a farsi permeare. Insomma i sensi (compreso il sesto), i sentimenti e la curiosità positiva che anima ogni turista. Perché a non essere curiosi in Val d’Elsa si perdono delle occasioni tanto è variegata e ricca la proposta del territorio, tanto diffuso e denso è il patrimonio d’arte e d’architetture qui stratificato. Citiamo a memoria di bloc-notes da Sud a Nord: il castello della Chiocciola, San Lorenzo al Colle, Castiglionalto, il castello recinto, Staggia, Magione, il castello di Strozzavolpe, Talciona, Abbadia Isola. Stupiti di questo elenco? Pazientate: siamo appena nei dintorni di Monteriggioni. Dunque continuiamo: Santa Maria delle Grazie, Badia a Coneo, i Santissimi Ippolito e Cassiano, Mensano, Mensanello e stiamo appena tra Colle e Radicondoli dove si incontrano Belforte e
nella carta gialla), il rigatino, la soppressata, i salumi di cinghiale, il pecorino, il coniglio alla Vernaccia, la ribollita, pasta e ceci, i crostini di rigaglie di pollo e la selvaggina largamente impiegata nella cucina locale. Senza però dimenticare il gustosissimo tartufo e l’elegantissimo olio che è una delle produzioni di maggiore pregio e che è in ascesa sia dal punto di vista qualitativo, ma soprattutto della notorietà e della domanda. Dulcis in fundo la tradizione dolciaria di questa zona comprende i tipici dolci senesi: torrone, ricciarelli, panforte, panpepato, cavallucci, senza dimenticare i classici cantucci. E la Vernaccia di San Gimignano? La Val d’Elsa è già nota per la produzione di ottimi vini quali Chianti Colli Senesi, Chianti Classico, Colli dell’Etruria Centrale, San Gimignano
DOC nelle versioni Rosso, Novello, Rosato, Vin Santo e Vin Santo Occhio di Pernice ma su tutti primeggia la Vernaccia di San Gimignano. Primo vino italiano ad avere ottenuto il riconoscimento della DOC nel 1966, questo soave nettare degli dei viene citato persino nella Divina Commedia. A Dante Alighieri stesso, nel Purgatorio nel girone dei golosi, viene fatta notare la presenza di Papa Martino IV che scontava la pena dell’immondo piacere per le anguille alla Vernaccia. Dal 1993 il Consorzio della Vernaccia di San Gimignano (costituitosi nel 1972) ha ottenuto la DOCG consacrando la Vernaccia tra i bianchi più prestigiosi d’Italia. Il disciplinare prevede la produzione nel territorio di San Gimignano con le uve del vitigno omonimo e aggiungendo eventualmente ( massimo 10%) altri
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Badia a Isola, Monteriggioni
vitigni a bacca bianca. La gradazione minima deve essere di 11°, si presenta con un colore giallo paglierino tenue, tendente al dorato con l’invecchiamento. È un vino che rispecchia il suo territorio: fine e penetrante, molto caratterizzante. In bocca è asciutto, equilibrato con retrogusto tipicamente amarognolo che si abbina bene a piatti di pesce ma anche alle ricette della tradizione sangimignanese. Per migliorare sempre di più la qualità del prodotto, il Consorzio sta sperimentando nuovi cloni e in linea con la spiccata, geniale operosità di tutta la Val d’Elsa, ha trovato un accordo con il Consorzio di Colle di Val d’Elsa (quello del cristallo) per far nascere una linea di bicchieri progettati per esprimere al massimo le caratteristiche di questo vino. Per
scoprire uno dei più suggestivi itinerari per enoturisti, e non solo, esiste la Strada della Vernaccia che fonde un paesaggio di intensa potenza spettacolare alla scoperta di cantine che producono questo uno dei più grandi vini bianchi del mondo e ottimi rossi di Toscana. Infatti una piccola porzione della Val d’Elsa si fregia anche di un altro must dell’enologia toscana; un areale del comune di Poggibonsi è infatti compreso nella zona Docg di produzione del Chianti Classico, probabilmente il vino italiano più famoso.
Anqua dirimpettai del “casolano” Monteguidi. E ancora via nel viaggio delle pietre miliari della nostra millenaria vicenda. Castel San Gimignano, la torre di Montemiccioli, Monteoliveto, Cellole e stiamo girando intorno a San Gimignano per poi dirigerci a Monti, Villa Pietrafitta, Villa Montelonti, Cedda arrivando così a Poggibonsi. Ognuno di questi toponimi è un fortilizio, una dimora, una pieve o una badia che custodisce in un’età compresa tra il mille e il millequattrocento l’opera di artisti di valore assoluto. Ma se ancora non sentite il respiro della storia eccovi questa hit-parade dell’arte: Benozzo Gozzoli, Pollaiolo, il Sodoma,Taddeo di Bartolo, Arnolfo di Cambio, il Ghirlandaio, Benedetto da Maiano, Bartolo di Fredi, Neri di Bicci, la dinastia dei da Sangallo. All’elenco ne abbiamo sottratti molti d’altri perché la Val d’Elsa è un compendio sconfinato, una sorta di Uffizi a cielo aperto, diffuso sul territorio. Un’arte che rimonta alla sua più remota colonizzazione. Ne avrete un’idea visitando a Colle Val d’Elsa il museo Ranuccio Bianchi Bandinelli dove c’è una delle più importanti collezioni mondiali di reperti etruschi e che ha testimonianze dall’Eneolitico al Medioevo in una mirabile sintesi della vita della valle. Ancora conoscerete la storia, che qui è storia viva perché plasmata sugli usi e i bisogni della gente, alla Spezieria di Santa Fina a San Gimignano, l’antico ospedale per i pellegrini della Francigena, dove il museo d’arte sacra e archeologico e la pinacoteca offrono altri racconti in forma di meraviglia. Compresa la fascinazione del degustare, al museo della Vernaccia. Splendido v’apparirà a Colle il mondo visto dai bagliori e dalle trasparenze del museo del Cristallo, intimo invece se lo osservate dalle opere del museo della Collegiata di Casole. La storia spunterà a ogni pasto, a ogni sorso, a ogni sogno. Perché gusterete cinghiale e qualche ricetta in dolcefforte residuo di usi etruschi e romani e certo medievali, berrete Vernaccia che fu vino dei principi fin dal XII secolo, poserete il capo su lenzuola di lino e canapa in dimore che nella maggioranza dei casi sono state edificate non oltre il 1500. La storia qui resta nelle pietre e nelle pievi e racconta la contesa tra Siena e Firenze (ne è intrisa tutta la valle, ma
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particolarmente incidente fu su Poggibonsi e Colle Val d’Elsa), le lotte intestine (a San Gimignano furono crude) tra guelfi e ghibellini, le dispute dominicali tra il vescovo di Volterra e i liberi comuni (Casole, San Gimignano ancora), le astuzie feudali degli Aldobrandeschi (Radicondoli), la fierezza dei Guidi, le alterne fortune dei Pannocchieschi. Tanto duellare di spade e di notai si spiega con il tesoro strategico, ma anche economico, che da sempre è la Val d’Elsa. Cominciarono gli etruschi che da Volterra volevano espandersi Oltrarno, si sostituirono ad essi i romani che centuriarono il territorio rafforzando il controllo sulla via del mare (verso Pisa e Vada), arrivarono i longobardi che oltre a rinsanguare le campagne dopo la caduta dell’Impero costituirono i primi feudi. E poi l’età comunale e le signorie autoctone e in ultimo il dominio mediceo che dette unità al territorio impiegando però qui, più che altrove, energie: la Val d’Elsa è terra di libertà. La libertà, anche, di fare ciò che si è, di essere ciò che si fa.
Badia a Coneo
Madonna con bambino, Badia a Isola
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Monteriggioni Mario Airò, Teatro dei Leggieri, San Gimignano
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arte in Val d’Elsa
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Dolci e sinuose colline si snodano attraverso la Valdelsa, suggestivo lembo di terra toscana, la cui bellezza e autenticità artistica si riflettono nel perfetto equilibrio generato dall’accostamento di opere d’arte appartenenti a epoche storiche e linguaggi espressivi differenti. Un ponte tra antico e moderno lo ha costruito l’azione di Arte all’Arte, associazione che ha ridotato, attraverso installazioni permanenti dei maggiori artisti contemporanei in tutti i centri della Val d’Elsa, il territorio di nuove importantissime emergenze artistiche. Oggi la Val d’Elsa è una sorta di libro aperto sulla storia dell’arte dal medioevo alla nostra contemporaneità. Percorrerla è un suggestivo viaggio del bello e delle percezioni. È San Gimignano, ad esempio, con le sue svariate istallazioni di artisti contemporanei, a farci riflettere su come l’arte del presente possa convivere con quella antica senza negarla, né offenderla, ma anzi contribuendo a vivificarla. Si vedano ad esempio le interessanti realizzazioni, sparse lungo le vie della città, di 5 artisti contemporanei, quali Giulio Paolini, Luciano Fabro, Eliseo Mattiacci, Nunzio e Jannis Kounellis, rientranti nell’ambito del progetto culturale “affinità elettive”. All’interno del Palazzo del Popolo è sicuramente degna di nota la “Maestà” (1317) di Lippo Memmi contenuta all’interno della Sala di Dante, così come, nel Museo Civico e nella Pinacoteca si segnalano gli splendidi dipinti, per citare i più importanti, di Coppo di Marcovaldo, Filippino Lippi, Pinturicchio e Benozzo Gozzoli. Nella Basilica di Santa Maria Assunta (XII sec.) spiccano gli affreschi di Scuola Senese, come il Vecchio e Nuovo Testamento di Bartolo di Fredi e “Bottega di Memmi”, il Giudizio Universale di Taddeo di Bartolo, statue lignee di Iacopo della Quercia, oltre a opere di Scuola Fiorentina, tra le quali il San Sebastiano di Benozzo Gozzoli, artista che firma anche gli affreschi delle Storie di S. Agostino, nell’omonima Chiesa. La Cappella di Santa Fina è una tra le più significative opere del rinascimento toscano realizzata da Giuliano e Benedetto da Maiano, al cui interno si conservano affreschi di Domenico del Ghirlandaio e dell’allievo Sebastiano Mainardi. Di notevole pregio risultano essere le innovative opere contenute nella galleria di arte moderna e contemporanea, intitolata a Raffaele De Grada. Ad accostare scorci medievali, rinascimentali e contemporanei è poi Colle Val d’Elsa; si ricordano in particolare gli affreschi di Taddeo di Bartolo, Ridolfo del Ghirlandaio e Alessandro Allori contenuti nella chiesa di S. Agostino, mentre nel Museo Civico e d’Arte Sacra si possono ammirare, oltre a oreficerie, un’emozionante Maestà del Maestro di Badia a Isola, un Crocifisso ligneo di Marco Romano, nonché il Tesoro di Galognano, a testimonianza del passaggio dei Goti in quest’area. Al Giambologna è invece attribuito un Crocifisso posto nell’altare maggiore del Duomo. Diametralmente opposto è invece il contemporaneo Sol Lewitt, che dona alla città
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Alessandro Casolani, Madonna con bambino, Casole d’Elsa
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Loris Cecchini, La casa della musica - Sonar, Gracciano, Colle Val d’Elsa
nel 1997 un’istallazione “Untitled”, struttura composta da geometrici blocchi di cemento. È del 1998 la scultura in marmo giallo realizzata da Ilya ed Emilia Kabakov, intitolata “La voce che si indebolisce”: un testo scolpito sulla parte superiore di una colonna, nostalgica rievocazione di un resto di epoca romana, recita il tema della fugacità del tempo. Recentissima (2002) è l’istallazione di Marisa Merz, Senza Titolo, sulla porta di una vecchia costruzione a base circolare. A Casole d’Elsa si segnala il cenotafio di Beltramo Aringhieri, capolavoro gotico di Marco Romano conservato all’interno della Collegiata; una Annunciazione di Rutilio Manetti e un trecentesco Crocifisso ligneo sono invece collocati nel vicino Oratorio. Imperdibile è anche la produzione di Alessandro Casolani (una mostra dedicata a questo maestro ha unito in un percorso del bello Casole a Radicondoli) che si mostra nella Cappella Aringhieri (restaurata, è stata inserita nell’itinerario duccesco che si diparte da Siena). Da non perdere è la suggestiva e sperimentale raccolta del Museo Arte Viva e Galleria del Novecento. Il Museo della Collegiata custodisce, tra le tante opere, una preziosa Madonna a fresco di Scuola Duccesca e la Madonna dell’Umiltà di Domenico di Michelino. E’ del 2000 l’istallazione “Gatti” di Sislej Xhafa, due gatti scolpiti in alabastro, uno docile e mansueto (il bene), l’altro in posa aggressiva (il male), ad indicare la duplice natura del gatto, amorevole e crudele. È a Poggibonsi che antico e nuovo si fondono completamente: presso la Fonte delle Fate, grande abbeveratoio del XIII secolo con sei arcate ogivali di tipo senese, è collocata dal 2000 l’opera di Mimmo Paladino, I Dormienti, 25 sculture tra figure umane, accoccolate in posizioni fetali, e coccodrilli in bronzo, adagiati su lastre depositate nell’acqua. Ma questa città custodisce altri contrasti tra antico e moderno. Di epoche remote narrano la Maddalena di Staggia e gli affreschi di San Lucchese, mentre al futuro ci riporta l’opera di Nari: Ward Illuminated Sanctuary of Empty Sins presso l’inceneritore della città. Valentina Corneli
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Arte all’Arte: il secondo Rinascimento Che cosa rende il paesaggio toscano, del cuore della Toscana, peculiare e unico? L’uomo. E’ l’uomo ad averlo costruito, plasmato, culturalmente determinato: secondo i propri bisogni... Sì, è un paesaggio artefatto quello che accompagna il girovago del bello (e del buono) in queste terre... E’ la magia dell’homo faber che ci riconduce alle nostre radici rurali e alle nostre motivazioni antropiche. E’ da questa necessitata intuizione che è nata Arte all’Arte, felice constatazione che l’ingegno dei luoghi andava, non rinnovato ché è perenne, ma rimotivato, compiendo oggi ciò che per secoli s’è fatto: superfetare d’ulteriore bello il magnifico naturale. Se s’osserva con occhio meno superficiale il complesso degli edifici che punteggiano borghi e colli si comprende come architetti e monaci, signori e coloni adeguassero il loro edificare all’armonia geografica... ... Ecco: Arte all’Arte aggiunge a tutto questo il ritmo del nostro pulsare intellettuale contemporaneo. E’ un accordo dodecafonico che dà positiva sincope alla sinfonia dei secoli, rinnovandone l’armonia. Perciò il bello è comunque il metronomo del nostro andare. Incamminiamoci dunque sulle vie dello stupore. Partiamo dalla patria di un sublime artista e ingegnere: Colle Val d’Elsa... Ebbene a Colle Val d’Elsa, in forza anche della medievale struttura urbana, Arte all’Arte ha insediato quattro delle sue istallazioni permanenti: la complessa linearità della creazione di Marisa Merz alla Cisterna di Porta Nuova, il metafisico riflettere di Sol LeWitt all’Archeologico (e qui il turista deve rendere omaggio alla raccolta museale per comprendere le radici antropiche dell’uomo e meglio spiegarsi l’istallazione contemporanea), “la voce del vikingo” di Ilya Kabakov che s’ode dal Bastione della Sapia a rinnovare oggi l’eco remoto del clangore delle scolte su per quelle possenti mura, le due “evocazioni” di Alberto Garutti (in via Garibaldi 130 e Via Meoni 9/11) che pulsano nel cuore antico di Colle. Mentre nella parte moderna, al Mulinuzzo di Gracciano, Loris Cecchini ha “lasciato” il Sonar-Casa della Musica (ecco che torna il tema delle note)... ... Oltre, poco oltre, si sostanzia Poggibonsi... E’ in questo contesto che l’espressione d’arte contemporanea disvela il legame tra il fare e l’idea. Se ne avrà prova ai Fosci con Nari Ward che ci dà la “luce dei sensi” scegliendo per la sua creazione una location inconsueta e ultramoderna. A Poggibonsi incontriamo anche le nostre suggestioni interiori. Il luogo (la Fonte delle Fate) evoca, Mimmo Paladino con l’opera (I dormienti) scandisce il nostro andare interiore e proietta la materia della città in uno sfondo onirico. Il triangolo del bello continua a Casole d’Elsa – borgo di atavico incanto e di infinita suggestione sensoriale – dove Sislej Xhafa fa le fusa con i suo Gatti al territorio scegliendo come scrigno dell’opera sua la chiesa di Mensano. Nella turrita città di San Gimignano, Arte all’Arte ha le sue radici primigenie. E ha voluto che fosse uno spazio pubblico, deputato al divertimento in forma di riflessione ad ospitare l’istallazione che marca quest’avventura colta del nostro tempo. Al teatro de’ Leggieri (testimonianza dell’aristocratico impulso verso le belle arti) Mario Airò ha dato vita alla complessità di un progetto che ha forma estetica e densità di introspezione culturale. San Gimignano mette in azione così il suo grande magnete degli opposti: il medioevo e il rinascimento... Carlo Cambi, da: Arte all’ArteArte, Architettura, Paesaggio. Installazioni permanenti nelle Terre di Siena
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Arnolfo di Cambio, lo scultore dello spazio
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Terra fatta ad arte la Val d’Elsa, terra di ingegno e di genio. Chi arriva a Colle di Val d’Elsa non può non rimanere incantato dalla possente massa del castello, eppure a percorrerne le antiche strade si scopre un’armonia di forme, un equilibrio di volumi architettonici che sottolineano l’elegante concretezza di tutti i borghi di questo pezzo di Toscana. Sarà suggestione, ma è come se s’immaginasse che a sovrintendere a tutta la costruzione della Val d’Elsa sia stato un solo architetto, un uomo d’arte e di tecnologia precursore del suo tempo, anticipatore del rinascimento. Quell’uomo fu Arnolfo di Cambio, tra i maggiori artisti toscani, ma forse meno celebrato di altri perché per decenni soggiornò a Roma. Eppure Arnolfo (e del suo nome Colle ha giustamente fatto una griffe che firma dalle piazze agli alberghi dal
cristallo ai vini) fu prima di Michelangelo, prima di Leonardo, prima del Vasari o dei Sangallo l’artista che seppe unire tecnologia d’architetto, manualità di scultore e abilità di pittore in un bouquet intellettuale che rimanda allo spirito della sua terra: una terra fatta a mano. Arnolfo nacque a Colle di Val d’Elsa nel 1245 circa e morì a Firenze prima del 1310, si formò nella bottega di Nicola Pisano e con lui collaborò alla realizzazione di alcune opere, come il pulpito del Duomo di Siena. Dal 1277 iniziò a lavorare autonomamente a Roma, al servizio della corte di Carlo I d’Angiò. Centrali, nella sua attività, furono la riscoperta dei valori dell’uomo, la nobiltà e la dignità degli atteggiamenti, rappresentati dall’artista attraverso uno stile classico, molto solenne e pausato, sintetizzando le forme e riuscendo
con pochi colpi a dare espressività alle proprie figure. Il suo nome a Roma è legato al Monumento funebre del Cardinale Annibaldi (1276) in S. Giovanni in Laterano e alla monumentale statua dedicata a Carlo d’Angiò in trono, collocata nei Musei Capitolini di Roma. Tra il 1277 e il 1281 fu a Perugia, dove eseguì tre figure di Assetati, resti di una fontanella per la Piazza Maggiore, di sobrio ed efficace naturalismo. Nel 1282 Arnolfo realizzò, nell’antica chiesa di S. Domenico a Orvieto, il Monumento funebre al cardinale De Braye, ai cui lati del corpo disteso, due chierici sollevano le cortine del baldacchino. Una perfetta sintesi tra scultura e architettura fu raggiunta dall’artista nella realizzazione dei cibori di S. Paolo fuori le Mura (1285) e di S.
Cecilia in Trastevere (1293) a Roma, due ornamentali coperture di altare sorrette da colonne decorate con mosaici policromi. Nel 1296 per la facciata del Duomo di Firenze Arnolfo eseguì numerose sculture, tra le quali spiccano una grande statua della Madonna col Bambino e la Vergine della Natività. Tra le ultime opere di Arnolfo si attesta il Monumento funerario di Bonifacio VIII a Roma. Come architetto gli sono attribuiti a Firenze il progetto per la ricostruzione della chiesa di S. Croce (1294-95) e quello per la realizzazione del Duomo di S. Maria del Fiore (1296), quanto basta per rivelare la sua concezione monumentale dello spazio, ampio e classicamente scandito nelle componenti strutturali, che apre la via all’arte del Trecento. Valentina Corneli
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Colle Val d’Elsa
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Casa-torre di Arnolfo di Cambio, Colle Val d’Elsa
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le sei gemme di una collana
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Di questa libertà gode soprattutto il visitatore; è questa libertà il doppio filo, con la storia e l’operosità, che tiene insieme la Val d’Elsa: una collana di sei preziose gemme che orna e incrementa il fascino di “madonna Toscana”, così come la turrita cinta di Monteriggioni è corona per la testa di “Italia”. E forse la Val d’Elsa bisogna viaggiarla con perizia e creatività d’orefice per non disperdere il suo valore, ma anche per misurarla con rispettosa, raffinata lentezza e interpretarla, per come meglio si crede, in forma d’arte. Che è anche arte di vivere: quasi un portato dell’ingegno che declina la natura. Vi spieghereste diversamente che in Val d’Elsa si è avuta una così alta concentrazione di genialità (dai tempi di Arnolfo fino a Bilenchi l’album di famiglia conosce mille e mille ritratti circondati dal lauro) tradotta in tecnologia? Vi spieghereste altrimenti che i cromatismi si siano fissati nell’opera d’arte? In ogni stagione e in ogni borgo il tratto dominante della Val d’Elsa è il colore. L’oro del grano e dei girasoli (e d’oro è San Gimignano, la prima gemma), il rosso dei mattoni (e un rubino solitario pare Casole), il verdeargenteo degli ulivi e il verde cupo delle selve (e lo smeraldo è Radicondoli) il blu cobalto del cielo incastonato dall’anello turrito (uno zaffiro: Monteriggioni) l’arcobaleno dei bagliori del cristallo e delle bianche pietre (un diamante è Colle), il rosso corallino dei tetti e l’opalescente matericità delle strade bianche (e una gemma del mare, perla e corallo insieme, sembra Poggibonsi). Tutto intorno il caleidoscopio dei vigneti che mutano dal verde all’ematico col susseguirsi delle stagioni, e quegli apostrofi silvani che sono i cipressi, e l’ocra dei casolari. Ma ciò che davvero rende unica questa porzione di terra di Siena è la luce che pare avere qui un suo diapason esclusivo. E’ capace d’incidere e di sfumare allo stesso tempo: in inverno fa l’aria di vetro e in estate trasforma il cielo in filigrana. I tramonti in Val d’Elsa disegnano il profilo dei colli con ombre lunghe, quasi ieratiche, le albe infiammano le alberate e specchiano il sole nelle acque, nelle pietre, nelle vetrate, come se la Val d’Elsa fosse una policroma finestra aperta sullo stupore del creato. Affacciamoci dunque e da vicino indaghiamo ognuna delle gemme.
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MONTERIGGIONI: LA CORONA DI TORRI
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Per il nostro itinerario in Val d’Elsa abbiamo scelto di partire da Siena. Usciti da porta Camollia – come fecero nel Duecento i fondatori della terra murata - puntiamo su Badesse. In cima a un colle verde d’oliveti s’ergono i quattordici “giganti” stretti in possente girotondo, in un ovale che passa di poco il mezzo chilometro sull’asse maggiore. Monteriggioni è la porta senese alla Val d’Elsa e così fu concepita dalla Repubblica che la volle a presidio della Francigena. Oggi varcare la porta Romea o Franca (e il riferimento alla Francigena è immediato) è come spingere il pulsante di un ascensore del tempo. Si esce in una dimensione di Medioevo vivo. Che si appalesa lungo via Maggio, nello slargo di piazza Roma dove il sole scalda e il profumo di bosso e d’ulivo inebria, nella visita al museo virtuale e alla Parrocchiale dell’Assunta, austera nella sua linearità. Oltre la cerchia di mura, dove ancora svetta una casa torre, ci attende una storia altrettanto densa. Alla ricerca delle origini si va verso Abbadia Isola potentissima abbazia che dette luogo ad un paese murato. Anche qui la straniante presenza del tempo fa percepire la millenaria origine e la visita alla chiesa dei santissimi Salvatore e Cirino regala il primo incontro con l’arte: di Sano di Pietro (che ci riporta alla scuola duccesca), di Taddeo di Bartolo e del Tamagni. Abbadia a Isola consente di solcare ancora un tratto della Francigena così come lo descrisse Sigerico, vescovo longobardo, che fu il primo a redigere un baedeker del pellegrinaggio verso Roma. Oltre Abbadia troviamo Strove, borgo ancor più antico dell’insediamento monacale, arroccato sulla provinciale 74. Con tutta probabilità il primo insediamento è di poco posteriore al VI secolo e ce lo testimonia l’antica pieve a capanna. Ma qui il tempo è una dimensione concreta. Basta allungarsi nelle ex paludi del Canneto e nei pressi di Scrana visitare la necropoli etrusca, collocata al IV secolo a.c.. Un’indagine territoriale ci porta a scoprire altri luoghi dello stupore: il trecentesco Castello della Chiocciola, la bellissima Villa di Santa Colomba, residenza del signore di Siena Pandolfo Petrucci a cavallo fra Quattrocento
Terre murate, il gioco delle torri
“Però che come sulla cerchia tonda Monteriggioni di torri si corona, così’n la proda che ‘l pozzo circonda torregiavan di mezzo la persona li orribili giganti, cui minaccia Giove dal ciel quando tona.” Già Dante Alighieri descrivendo nel XXXI canto dell’Inferno tra lo stupito e
l’impressionato la maestosa cinta muraria di Monteriggioni, individua la presenza svettante di torri in tutta la Val d’Elsa: da San Gimignano, città delle belle torri (un tempo se ne contavano 72!) a Casole d’Elsa dove ancora si ammira la torre della Rocca e quella di Monteguidi fino alle turrite dimore di Poggibonsi, del Castello di Badia. Ma è soprattutto Monteriggioni che rappresenta l’esempio più suggestivo di cerchia muraria ancora intonsa. È una corona, o meglio è la Corona che nelle vecchie 100 Lire cingeva la testa d’Italia. Esiste, ed è esilissimo, il confine tra il cielo e la terra, qui lo disegnano le 14 torri dove anche il tempo s’arresta: la festa medievale che
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e Cinquecento. La villa fu un’immensa tenuta agricola e il corpo dominicale superfetato da una precedente fortificazione ha trovato in Giorgio Vasari il suo primo cantore, tanto solida e armoniosa ne è l’architettura. La visita a Santa Colomba offre anche l’occasione di un brevissimo tour (non più di cinque chilometri) nel suo contado dove spiccano antichissimi poderi (come casa Cennano, duecentesca) e consentono di apprezzare le delizie di Monteriggioni: il vino a base di Sangiovese, i pecorini, i salumi di cinghiale, l’olio che uno dei vanti di questa porzione della terra di Siena. E prendendo la strada per Mensanello si avrà un felice incontro con questa ruralità che consente, a cavallo tra la Montagnola, la Val di Merse e la Val d’Elsa, anche molte escursioni a piedi e cicloturistiche come la “circumnavigazione” del monte Maggio. Ma è tempo di ripigliare il cammino: a scelta lungo la Cassia (ex Francigena) oppure con un balzo sull’autoPalio.
Monteriggioni
COLLE DI VAL D’ELSA, IL LAMPO DI GENIO (ARNOLFO) ogni anno rianima la piazzaforte non è semplice rievocazione o folklore, è perpetuazione del luogo. Edificate tra il 1212 e il 1219 le munizioni di Monteriggioni rappresentano con esplicita e sfacciata eleganza un tentativo di fortificazione senese posto a controllo della via Francigena per contrastare la continua espansione fiorentina. Mons Regionis lascia senza fiato, magari in una “nebbiosa mattina di novembre”, il “vinandante” che volge lo sguardo verso l’ovale cerchia muraria (570 metri di possenti munizioni) sulla collina dove un tempo esisteva un longobardo insediamento agricolo, perché eccezionale è l’impatto “difensivo”. Dal camminamento per il passaggio della ronda lungo tutto
il perimetro delle mura, alle bertesche da cui agire abilmente e velocemente sino al fossato che veniva colmato di carbone da incendiare in caso di assedio, si tracciava una completa linea protettiva che in realtà è valsa a poco. Monteriggioni si è tramandata fiera e intatta sia perché non è mai stata minacciosamente assediata e sia perchè il tradimento, nel 1554, del comandante delle truppe senesi la consegnò senza colpo ferire nelle mani dei Fiorentini. Inconsapevolmente messer Giovannino Zeti salvando la propria vita, in eredità ci ha lasciato intatta la terra murata di Monteriggioni.
A testimoniare l’eterno conflitto tra Firenze e Siena e come esso abbia determinato il paesaggio della Val d’Elsa ci sono le tappe del tratto di Cassia che da Abbadia Isola ci porta verso Poggibonsi. Incontreremo Castiglionalto, poi Staggia, un’altra terra murata, e prima di deviare verso Colle converrà percorrere i pochi chilometri della valle di Staggia, che amministrativamente appartiene al comune di Poggibonsi, per vedere Magione, antico ospizio dei cavalieri di San Giovanni, il Castello di Strozzavolpe ancora intatto nella sua architettura trecentesca a mattoni. E i mattoni sono la prima immagine che avremo deviando per Colle di Val d’Elsa: una città che è come un lampo di genio; del suo genio, Arnolfo di Cambio. E’ arroccata nella sua parte più antica su di un alto poggio e le strette vallette che la contornano di fatto ne tripartiscono il tessuto urbano diviso anticamente in “Piano”, “Borgo” e “Castello” oggi semplificati in Colle bassa e Colle alta. Piazzaforte a lungo contesa tra Fiorentini e Senesi cadde sotto il
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Porta Nuova, Colle Val d’Elsa
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giglio a metà del ‘300 quando la sua potenza economica era al culmine. Colle è di fatto la sintesi della cultura del fare della Val d’Elsa. Ed è anche la città che ha dato protagonismo al fiume. Un’occhiata veloce sotto il ponte di San Marziale farà scorgere la “steccaia” una sorta di diga sommersa che canalizza le acque nella Gora, canale che ha alimentato per secoli l’industria della carta e i molini di Colle di Val d’Elsa. E in città entreremo proprio seguendo questo antico “energodotto”. Il fiume scorre dietro la chiesetta di Santa Maria della Spugna e lì si capta la forza motrice nell’alto Medioevo. Tanto importante era il sito, che gli Aldobrandeschi vollero la “badia della Spugna” come loro presidio religioso. Ma è anche il primo incontro con Arnolfo di Cambio. Sull’Elsa resiste un solo pilone di quello che fu un ponte si dice progettato dal grande architetto colligiano. A lui è intitolata la bella piazza ottocentesca cuore della città bassa dove nel medioevo e più ancora nel rinascimento si concentrarono le cartiere, le più importanti d’Italia, e dove cominciò l’attività delle stamperie. Colle fu, grazie all’opera di Giovanni di Medemblick e di Bono di Bethune, a recepire nell’Europa meridionale, l’invenzione di Guttenberg. Come si vede Colle ha il genio nel sangue se è vero che molti secoli più tardi il colligiano Mino Maccari qui dette impulso alle più importanti correnti culturali del nostro novecento. E ai giornali Colle ha avuto sempre un occhio di riguardo. Si pensi che un “fascista scomodo” come Angiolo Bencini fu il primo direttore de “Il Selvaggio” per dire come qui il libero pensiero ha avuto sempre cittadinanza e non a caso colligiani furono i primi socialisti toscani. Ciò derivava anche dalla forte presenza di aristocrazia operaia che permeava e tuttora permea il tessuto sociale della città. Qui è nata l’industria del vetro sul finire del ‘500, progenitrice del fenomeno cristallo per il quale Colle è famosa in tutto il mondo. Ma a noi moderni visitatori la città offre infinite suggestioni (comprese quelle gastronomiche con un paio di tavole di grande pregio) da quelle d’arte riunite nel Museo civico e di arte sacra, ospitato nel palazzo dei Priori che è già di per sé un’opera d’arte, a quelle della storia che sono custodite nella
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Badia a Coneo, Colle Val d’Elsa
Palazzo Campana, Colle Val d’Elsa
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eccezionale collezione del Museo Ranuccio Bianchi Bandinelli. Questa collezione ha oggetti unici come i reperti della raccolta Terrosi, come le rarissime “kelebai” volterrane. Più che un’esposizione dei manufatti della remota origine della Val d’Elsa la visita al “Bianchi Bandinelli” è una sorta di percorso iniziatico della nostra civiltà. Ma non ci si può staccare da Colle senza aver prima percorso il Borgo che racconta ancor oggi della medievale industrializzazione, senza aver ammirato il Duomo, senza aver reso omaggio alla casa torre alla fine di via del Castello dove la tradizione vuole sia nato Arnolfo di Cambio. Un tesoro d’arte e d’architettura è senza dubbio l’ex Conservatorio di San Pietro progettato dal Vasari il giovane e che è destinato ad ospitare tutti i musei della città. Ma altre sono le suggestioni architettoniche di Colle: da Palazzo Campana, che di fatto chiude la sommità di “Castello”, al Teatro dei Varii, dal Convento di San Francesco alla via delle Volte, un camminamento di cento metri che racconta una fotografia medievale del Castello. Innumerevoli sono le opere d’arte che nella città di Arnolfo si custodiscono: a cominciare da quelle di Cennino Cennini altra gloria cittadina, pittore eccelso vissuto a cavallo tra Tre e Quattrocento. Insomma una città gioiello dove arte e storia si fondono in uno stile di vita che per il moderno visitatore è fatto anche di accoglienza di altissimo livello e di raffinate occasioni di shopping. Ma anche di stimoli alla curiosità quali ci regala la prosecuzione del nostro viaggio alla scoperta della Val d’Elsa. Ripartendo da Colle e prendendo in direzione di Volterra, lungo la statale 68, incontreremo prima il santuario di santa Maria delle Grazie, poi deviando verso Casole incontreremo l’antichissima Badia a Coneo fondata dai Vallombrosani attorno al mille e poi divenuta commenda, agli inizi del ’500, dei Farnese fu in possesso di Papa Paolo III. Della Badia si conserva ancora la Chiesa di Santa Maria, edificata attorno al 1125, uno dei più completi e affascinanti esempi di architettura romanico-senese . Il nostro itinerario però si snoda adesso lungo la base della valle e da Colle Val d’Elsa andiamo alla scoperta di Poggibonsi.
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POGGIBONSI, L’IMPERO E L’INDUSTRIA
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Affascinante vicenda è quella di Poggibonsi che deve il suo incessante trasformarsi, quasi che la storia qui avesse preso le vesti di Penelope, alla sua posizione strategica. Fu il borgo attorno al castello di Marturi (potentissima abbazia benedettina) che si ebbe il primo insediamento lungo la Francigena. I Fiorentini lo distrussero ma già nel Duecento questo borgo era uno dei più importanti mercati “gigliati” e proprio grazie ad un fiore: il Crocus Sativus. Lo zafferano coltivato in tutta la zona fino oltre San Gimignano alimentava mercatura, botteghe di tintori e tessiture. Ma purtroppo questa importanza costò ai Poggibonsesi un’ulteriore distruzione. Nacque così Poggio Bonizzo (o Bonizio) che fu distrutto successivamente . Gli abitanti tornarono di nuovo verso Marturi e fondarono Poggibonsi, un borgo murato. E infine Lorenzo de’ Medici pensò di fortificare questo fondamentale crocevia con una fortezza inespugnabile: i da Sangallo vi lavorarono alacremente ma Poggio Imperiale, di cui restano oggi le testimonianze dell’incompiutezza, non fu mai terminata perché non serviva più. Siena era sottomessa, gli imperiali non facevano più paura al Granducato. Il progetto del Magnifico in realtà era stato proceduto da un’idea analoga dell’imperatore Enrico VII. Ma comunque sia, in una vichiana visione della storia che si perpetua, la grande fortezza che doveva essere il nocciolo duro di una futura città ideale, restò solo un grande sogno urbanistico-militare. Di quella maestosa opera oggi, a noi contemporanei rimangono però gli importanti resti di Poggio Imperiale che si sostanziano in una vasta area archeologica di fondamentale importanza racchiusa in un parco “della storia” dove troneggia il Cassero testimone di pietra di questa magnificenza e di questa evoluzione continua di Poggibonsi (il cassero ospita tra l’altro un importante museo storico). Molti secoli dopo queste vicende una nuova distruzione attendeva Poggibonsi: durante i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale fu rasa al suolo per il 70%. Ogni volta la città, che oggi si presenta in forme moderne per tre quarti,
Il Cassero e la Fortezza di Poggio Imperiale a Poggibonsi Percorrendo il raccordo autostradale che da Firenze conduce a Siena, giunti in prossimità di Poggibonsi, si scorge in alto un’imponente corona muraria. Si tratta del perimetro esterno della Fortezza medicea costruita agli inizi del Cinquecento da Giuliano da Sangallo per volontà di Lorenzo il Magnifico. Il progetto non fu portato a pieno compimento e pertanto non venne realizzato il nucleo urbano previsto al suo interno. Venne invece edificato il Cassero, a pianta pentagonale, che oggi, restaurato, domina i colli circostanti. Ma è l’intera sommità della collina di Poggio Imperiale, che sovrasta il centro abitato di Poggibonsi, a rappresentare un esempio straordinario nel processo di formazione della trama paesaggistica ed insediativa dell’area collinare della Toscana centrale e un contrasto originalissimo con la sottostante Poggibonsi postmoderna.
Grazie agli scavi compiuti del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena all’interno della monumentale cinta rinascimentale, sono state riportate alla luce le diverse fasi di insediamento: dalle abitazioni di epoca tardoantica alle capanne del villaggio di epoca longobarda, dalla curtis di epoca carolingia al castello del XII secolo, dall’ordinata urbanistica bassomedievale agli intenti di rifondazione imperiale, fino alla fortezza di Lorenzo il Magnifico. Insomma sulla collina di Poggio Imperiale, in un contesto paesaggistico straordinario, si trova un compendio stratificato della nostra storia e per questo motivo Comune e Università hanno voluto realizzarvi “Il Parco Archeologico e Tecnologico di Poggio Imperiale”. Il Parco offre al turista non solo la possibilità di visitare le diverse fasi di insediamento riportate alla luce che, illustrate da pannelli e ricostruzioni grafiche, permettono di
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ripercorrere tutta la storia di Poggio Imperiale, ma anche di osservare, durante i periodi di scavo, il lavoro degli archeologi impegnati nelle operazioni sul campo e di analisi dei materiali rinvenuti. Il Parco è infatti caratterizzato dalla presenza di un cantiere archeologico in continua evoluzione, tanto che il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena ne ha fatto uno dei punti di eccellenza per la propria attività di ricerca e formazione di alto livello. E’ per tale motivo che nel Cassero, l’Università di Siena ha installato un avanzato Laboratorio di Informatica Applicata all’Archeologia ed un altro per lo studio dei materiali, che
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verranno successivamente trasferiti nelle stanze del centro di documentazione. L’area archeologica e strutture espositive di Poggio Imperiale sono raggiungibili anche dal centro storico attraverso percorsi di interesse naturalistico. Strutture ricettive comprendenti un bar, un ristorante e una foresteria, offrono all’interno del Parco un luogo polifunzionale per lo studio, per il turismo e per il tempo libero. Gli spazi verdi adiacenti al Cassero, saranno utilizzati per spettacoli all’aperto e mostre di arte contemporanea. Riccardo Francovich
quasi che queste nostre architetture siano lo scrigno che racchiude fondamentali testimonianze storiche ancora visibilissime e più ancora percepibili, è risorta. E non ha mai cessato di essere centro di cultura e di industria. Ai giorni nostri Poggibonsi è all’avanguardia nella produzione del mobile (anche attraverso lavorazioni ecocompatibili che si avvantaggiano di una scuola di design di fondamentale importanza che ha ridato slancio all’Italian style), in quella meccanica – tanto per stare vicini al turismo con la leadership nell’allestimento di camper - e in quella elettronica, oltre però a conservare un tessuto artigiano di assoluto pregio. Una visita a Poggibonsi comincia con un luogo emblematico: la Fonte delle Fate, una grande fontana a sei arcate a doppia ogiva progettata da Balugano da Crema in stile senese e costruita attorno al duecento in prezioso filaretto di travertino senese. Come in tutte le cose di Poggibonsi anche sull’attribuzione di questa costruzione c’è un piccolo mistero storico: la critica oggi è propensa ad attribuire la realizzazione della fonte ai maestri lapidici che provenivano dalla Pianura Padana. E’ comunque un luogo emblematico perché proprio qui c’è una delle più importanti istallazioni di arte contemporanea – grazie all’azione di Arte all’Arte - che oggi punteggiano la Val d’Elsa a sottolineare questa continuità ininterrotta tra antico e contemporaneo che è la forza vitale di Poggibonsi. Ma certo non si può trascurare sul filo della storia un vista alla grande incompiuta: Poggio Imperiale che adesso il Comune sta recuperando. Lì oltre recenti scavi hanno portato alla luce i resti del primo insediamento medievale dei conti Guidi, il “mitico” Podium Bonzi. Ma se di Poggibonsi scrisse Giovanni Villani: “E’ uno dei più belli castelli d’Italia, con belle mura e torri, con molte belle chiese e pieve e ricca badia e con bellissime fontane di marmo”, dove è nascosta tanta avvenenza urbana? C’è: basta cercarla, nelle tracce delle mura trecentesche lungo le strade del centro, nel Castello di Badia ricostruito su quanto era residuato del primo castello di Marturi, nel Cassero, nel Parco Archeologico. La Poggibonsi moderna, che è l’altra faccia della città antica, ha nel suo tessuto urbano, nell’efficienza dei servizi,
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nella ricchezza e nella varietà degli acquisti, nella densità sociale la sua maggiore attrattiva. Senza dimenticare di dare un’occhiata al Palazzo pretorio che ancora conserva tracce della sua primitiva struttura gotica e soprattutto sostando a lungo a San Lucchese. E’ un complesso monastico che fu dei Camaldolesi, poi ceduto ai francescani che ha una chiesa a capanna preceduta da un portichetto di assoluta armonia che custodisce tra l’altro opere di Bartolo di Fredi, di Cennino Cennini e di Memmo di Filippuccio. Ma per comprendere fino in fondo il divenire di Poggibonsi il turista curioso del tempo che è passato avrà luogo di visitare oltre al Museo del Cassero anche l’importante collezione di ex voto del Romituzzo e la raccolta paleontologica di Staggia. Altro bello ci attende nel risalire verso Nord la Val d’Elsa. Stiamo per prendere la bretella che ci porta a San Gimignano.
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SAN GIMIGNANO, LA CITTÀ DELL’ORO Dieci chilometri per passare dai tempi contemporanei al cuore dell’Età di Mezzo. Dieci chilometri che scorrono tra vigne e anticipi (villa Pietrafita) del bello assoluto che attende il visitatore su di un colle alto poco più di 300 metri dal quale si domina però tutta la Val d’Elsa. L’annunciano svettanti le torri che di San Gimignano sono il simbolo, ma anche la sostanza. Perché questa è una città che ha sempre puntato in alto, a sfidare i potenti per farsi potenza essa stessa. Ci è riuscita per un paio di secoli e tanto è bastata per farla diventare un unicum. Già feudo dei vescovi di Volterra e prima ancora insediamento etrusco e poi romano, San Gimignano si affranca nel Duecento e cade definitivamente sotto Firenze un secolo e mezzo dopo. Ma proprio questa dipendenza ha consentito a noi di ammirarla intatta nella sua medievale fierezza, ma anche nella sua totale armonia. Che è incrementata alla massima potenza dalle dotazioni d’arte – in forza delle committenze religiose che tutti gli Ordini più potenti insediati qui hanno continuato ad alimentare anche in epoca fiorentina – che la città custodisce:
Torre, San Gimignano
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La Collegiata, San Gimignano
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Benozzo Gozzoli (bellissimo il suo ciclo affrescato in Sant’Agostino), Pollaiolo, Ghirlandaio, Taddeo di Bartolo, Simone Martini, Bartolo di Fredi, il Sodoma, Pinturicchio, Lippo Memmi, Vincenzo Tamagni, per citare i maggiori hanno lasciato le loro opere in questo straordinario scrigno di medievalità. La città cinta interamente da mura si articola ancora sull’antico impianto con il tracciato della Francigena che la percorre in direzione Nord- Sud (da porta San Matteo a porta San Giovanni da dove oggi si accede alla città) e con l’antica strada fiorentina che la percorre da Est a Ovest. Sulla sommità della collina dove San Gimignano è stata costruita si aprono le due piazze principali, quella della Cisterna che è un triangolo contornato da edifici e quella del Duomo dove si concentra tutto il potere con il palazzo del Comune e appunto il Duomo. Le torri sono un’attrattiva di San Gimignano: imperdibile la Rognosa, che svetta per 52 metri accanto al Palazzo del Podestà, belle le gemelle degli Ardinghelli, severe le altre due dei Salvucci, i loro rivali eterni. Raccontare San Gimignano attraverso il suo bello significa cadere nell’ovvio dello splendore. E’ un luogo unico che sciorina la Collegiata, il Palazzo del Popolo che ha la torre più alta (la torre Grossa) ora sede del Comune e conserva la sala di Dante (dove il poeta venne a fare ambasceria nel ‘300) quelle delle udienze segrete e un affresco del Sodoma, bellissimo, la rocca di Montestaffoli, Sant’Agostino (qui il ciclo degli affreschi del Gozzoli è straordinario) e poi ha in serbo le porte, i palazzi patrizi, i musei civico, etrusco e di arte sacra. Ma c’è un luogo dove l’anima di San Gimignano si disvela: è la Spezieria di Santa Fina, ora nel complesso che ospita anche il Museo Archeologico e la Galleria d’Arte Moderna. Qui sono custoditi reperti di civiltà: le attività di assistenza ai pellegrini della Francigena, e Santa Fina rappresenta ancora la consolatrice (stupenda la leggenda che narra di una pioggia di fiori per liberare San Gimignano da un assedio), l’anima popolare di una città che ogni giorno aveva a che fare con la religione e che ha elevato agli onori dell’altare per impeto popolare una sua figlia. Non a caso uno dei capolavori assoluti di San Gimignano è, e resta, la Cappella di Santa Fina con il ciclo degli affreschi del
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Ghirlandaio. Ma più ampio è il respiro di San Gimignano. E’il fascino della sua ruralità, della sua eleganza del vivere, del sapore della vita di un centro che irradiò i suoi commerci ai quattro angoli della terra. E non importa che siano scorsi ormai otto secoli, quel respiro è rimasto. Nella notorietà della Vernaccia (ma i rossi sangimignanesi oggi sono di altissimo pregio), nella riscoperta dello zafferano quello che tingeva e caricava d’oro la città dalle belle torri, nel pervicace ostinato attaccamento alla propria identità. E queto forse è il valore più alto che San Gimignano ad un turista attento, dopo lo stordimento del bello, lascia in ricordo. C’è un’atmosfera d’intensa spiritualità che si svela facendo due brevi itinerari fuori porta, all’abbazia di Monteoliveto in direzione di Volterra a quella di Cellole in direzione di Certaldo. Entrambi questi chiostri danno la sintesi di questi luoghi: il bello e l’anima. Frequentarli è indispensabile per sentire il pulsare della Val d’Elsa che ora, nel proseguire il nostro viaggio, si riidentifica nella sua ruralità.
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, San Gimignano
Radicondoli
RADICONDOLI, DI SELVA ODOROSA Puntiamo di nuovo verso Nord alla ricerca della statale 68, la via Volterrana. Dopo otto chilometri di tornanti scavati nelle selve di lecci, roverelle, scopeti, s’appalesa Castel San Gimignano. E’ il segno per noi, come lo era per i pellegrini, che siamo di nuovo nel territorio di Colle. Castel San Gimignano è rimasto intatto nella sua struttura trecentesca e segna ancora il punto di valico tra Volterra e la Val d’Elsa. Sostarvi vale la pena, ma il cammino prosegue ancora per qualche chilometro verso Volterra e appena superato il cartello che separa le due province (Siena da Pisa) si trova a sinistra un bivio che indica Casole-Radicondoli. E’ un lento scendere dentro la ruralità. Prima di giungere a Casole si devia sulla destra in direzione di Radicondoli che appare raggomitolato attorno al corso e alla Sedice, una strada che spartisce il paese. Antico almeno di mille anni, già dei vescovi volterrani, poi degli Aldobrandeschi, infine sottomesso a Siena. Radicondoli però s‘affaccia sul Cecina
San gimignano
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e guarda al mare, a quella distesa di querce che dalle Metallifere corre fino alla riva degli Etruschi. Dell’antica cinta di mura restano alcuni tratti, delle tre porte solo quella a Olla, delle atmosfere medievali così comuni alla Val d’Elsa resta la sensazione di essere fuori dal tempo. Anche ammirando la Collegiata e la pieve romanica di San Simone o semplicemente vagando per i vicoli. Ma qui si avverte la nobiltà rurale: scandita nei secoli dal commercio della lana, del legno, dei prodotti del bosco e di un’agricoltura che è rimasta aristocratica. A ritrovare le motivazioni storiche e la natura agreste (un soggiorno in agriturismo nei dintorni di Radicondoli è un incontro con l’autentico mondo contadino) può prevedere un breve itinerario che porta a Belforte, borgo arroccato e cristallizzato nella sua medievale struttura e dove resiste l’antico ospedale a testimonianza che anche qui c’era corrente di pellegrini, e successivamente ad Anqua dove si resta ammirati dalla rinascimentale villa dominicale. La nobiltà dei luoghi che spaziano sull’alta Val di Cecina è testimoniata anche dall’insediamento di Elci, là dove ebbe origine la nobile famiglia dei Pannocchieschi. E’ sul filo di altre vicende dinastiche che riprende il nostro itinerario per tornare nel cuore della Val d’Elsa. La strada da Radicondoli prima sale poi ridiscende in ampi tornanti verso Casole.
TURISTI PER CASOLE Sorge improvvisa, come un sussulto della terra, su di un colle che domina la parte Sud-Ovest della Valdelsa. E’ Casole d’arte intrisa e di cultura rurale ancora vitale. Delle antiche mura restano le torri tonde, la salita verso il centro del borgo, la dimensione assolutamente a misura d’uomo. E’ Casole un presidio di umanità dove le botteghe ancora respirano d’ottocentesco stile e dove la gente misura il tempo sul lavoro dei campi. A Casole sventola la bandiera arancione concessa dal Touring, un distintivo per chi ha buon ambiente, buone cose, cultura
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dell’ospitalità e ospita la cultura. Hanno una gloria artistica che è Alessandro Casolani che vive con le sue opere nella cappella Aringhieri, restaurata e ora inserita nel percorso duccesco, e in condominio con un altro “grande” Marco Romano; da non dimenticare il Museo Arte Viva e la Galleria del Novecento. La gente di Casole, pur evolvendosi e aprendosi al nuovo, è rimasta molto legata alla ruralità, ad una società che ha, come nel resto della Val d’Elsa, espresso forti valenze d’impegno: qui c’era l’antica Società di Mutuo Soccorso del Cavallino, nata da cavatori di gesso che sono stati protagonisti all’inizio del secolo scorso dell’economia locale. Ma Casole ha qualcosa in più da dare: è l’emozione autentica del connubio tra uomo e natura. Fatevi davvero turisti per Casole perché dentro le ataviche mura custodisce gemme preziose e partecipa, come tutta la Val d’Elsa, della fusione tra antico e contemporaneo. Sorprendente è il contrasto tra il cassero senese (la rocca è probabilmente opera di Francesco di Giorgio) dove ancora in facciata spicca la balzana bianconera della Repubblica, un trecentesco fortilizio oggi sede del Municipio, e l’istallazione di arte contemporanea che ne anima il basamento e il piccolo déhor antistante. Ma l’interesse dei cultori d’arte a Casole si concentra sulla Collegiata. Vi sono accennati resti di un affresco a tema del Giudizio Universale di un pittore di scuola duccesca e vi s’ammira soprattutto il cenotafio di Messer Porrina, trecentesco capolavoro di Marco Romano. La Collegiata è ornata anche da un’opera notevole dei Della Robbia. Nel museo, inoltre, sono visibili importanti reperti archeologici che testimoniano il divenire protostorico della Valle. Di notevole interesse è anche la Canonica e al turista curioso sarà concesso di sbirciare nei cortili dei palazzi patrizi per ritrovarvi gli antichi splendori, magari sottoforma di pozzo scolpito. Casole è comunque piccolo epicentro di un suo contado che è l’ultimo lembo di Val d’Elsa che ci resta da indagare. Si fa rotta così su Mensano per ricordare l’ennesima incursione dei fiorentini in terra senese (restano sull’altura le rovine del castello) ma soprattutto per ammirare l’enigma architettonico della chiesa romanica di San Giovanni Battista che ha un corredo di capitelli di raro
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Mensano, Casole d’Elsa
pregio e un gioco di absidi che si rincorrono in una insolita prospettiva. Come appare precario (in realtà è solidissimo) l’equilibrio del borgo poggiato sul crinale del colle. Già s’annuncia l’ultima tappa: Monteguidi, antico possedimento degli Aldobrandeschi. Ne resta il nucleo antico, ma ciò che ci spinge fin su questa altura è la confluenza di tre valli: la Val d’Elsa che scema verso il mare, la Val di Merse che s’arrotola di nuovo nei suoi anfratti e la Val di Cecina che fa frontiera. Ma è confine labile perché l’andare per queste terre dona al viaggiatore uno spazio ultratemporale. E’ la magia della Val d’Elsa, la terra eterna perché artefatta. Pardon fatta ad arte. Carlo Cambi & Petra Carsetti
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Museo Archeologico e della Collegiata, Casole d’Elsa
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appuntamenti in val d’elsa
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Terra di sagre e feste di paese, tutte nel segno della cultura e della socialità, che rinnovano tradizioni d’altri tempi e stimolano la voglia di stare insieme, scenario di grandi rassegne in cui arte, musica, teatro, sperimentazione si fondono con i più pregiati prodotti dell’artigianato locale. Un patrimonio di eventi con cui conquistare chi viene da fuori o tenere avvinto chi, in quel territorio, è nato e vissuto. La mostra del cristallo, le rassegne estive di teatro, danza, cinema e concerti, le sagre dedicate ai prodotti agroalimentari tipici – dai funghi all’uva, dallo zafferano all’olio - sono soltanto alcune delle occasione per scoprire – o riscoprire – la Val d’Elsa.
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CASOLE D’ELSA Palio di Casole Seconda domenica di luglio Corsa di cavalli montati a pelo in onore di Sant’ Isidoro. Le sue origini risalgono agli inizi del 1800. La settimana precedente al Palio è caratterizzata da serate di festa e cene nelle contrade. Il sabato prima della corsa si effettuano le estrazione delle batterie, le corse di qualificazione e l’abbinamento dei cavalli alle contrade. Presepe vivente Natale Ricostruzione di un antico villaggio in cui più di 250 personaggi in costume rievocano scene di vita quotidiana intorno al tema della Natività. L’allestimento scenografico, di grandissimo effetto, crea un’atmosfera magica e struggente rendendo unico questo particolare evento che si svolge con cadenza biennale nel periodo Natalizio. COLLE VAL D’ELSA Concerti al Sonar Località Molinuzzo 3 - Gracciano Musica dal vivo presso il Sonar, la Casa della Musica, centro giovanile creato per ascoltare, studiare e produrre musica. www.sonarlive.it
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Cristallo fra le Mura Settembre Nelle botteghe e nei laboratori artigianali, soprattutto del centro storico, sono esposti gli oggetti più raffinati prodotti nelle cristallerie colligiane, dove viene prodotto il 95% del cristallo italiano. Rassegna teatrale Varii Venerdì Ottobre-Novembre Rassegna a sostegno di prodotti teatrali giovanili, proposta dall'Associazione Culturale Aramis e dal Comune di Colle di Val d'Elsa, che fa parte del progetto Sipario Aperto della Regione Toscana. MONTERIGGIONI Monteriggioni In Festa “di Torri si corona” Luglio Festa Medievale. Il Castello di Monteriggioni si popola di giullari, cantastorie, giocolieri e mangiafuoco che fanno rivivere lo spirito del Medioevo attraverso spettacoli teatrali e musicali, danze e rievocazioni storiche in costume.
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Eventi musicali, teatrali e di arte varia Cassero della Fortezza Medicea Giugno-settembre
Estate Radicondolese Fine Luglio-Metà Agosto Danza e teatro, musica e poesia gli ingredienti dell’Estate Radicondolese, rassegna culturale promossa dall’associazione Radicondoli Arte.
Jazz Cocktail febbraio-aprile Raffinata rassegna di musica Jazz Festival Internazionale delle Ombre Staggia Senese Maggio-Giugno Manifestazione unica nel suo genere in Italia e in Europa. Tra mostre, spettacoli teatrali e una sezione riservata agli studenti delle scuole, un viaggio nel mondo delle ombre come luogo dell’immaginazione e dell’irrealtà. Piazze d’armi e di città Giugno-Agosto Festival di teatro, danza, musica. Atuttomondo - World Music Fest Luglio Festival interculturale che fa dell’arte uno strumento per favorire la comprensione e la tolleranza tra culture diverse. In cartellone spettacoli, concerti di artisti internazionali, mostre, laboratori ludici per bambini, seminari.
SAN GIMIGNANO Dentro e fuori le Mura - Dalla Città per la Città Giugno - Settembre Rassegna estiva di cinema all’aperto, concerti, stagione lirica, teatro e danza. Tesori di San Gimignano www.tesoridisangimignano.it Una grande manifestazione lunga due mesi che presenta una città “bella e buona”. Ovvero arte, spettacoli e soprattutto mostre mercato con degustazioni dei prodotti fiore all’occhiello di San Gimignano: la vernaccia, lo zafferano, l’olio extravergine di oliva. Rassegna Teatro Danza “Leggieri d’inverno” Novembre-Gennaio Rassegna e laboratori di teatro e danza al Teatro dei Leggieri.
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musei al ‘600. Da ricordare La Madonna col Bambino di scuola Duccesca, un quadro attribuito al Pinturicchio e una sala dedicata al Pittore casolese Alessandro Casolani.
Pinacoteca Arteviva Palazzo Comunale All’interno del Palazzo Comunale si trova una raccolta di dipinti dei bambini di Casole d’Elsa e della Provincia di Siena. Le sale, sempre aperte dalle 8 alle 20, sono attrezzate con materiali che i bambini possono usare per esprimere la loro creatività.
Museo Archeologico Ranuccio Bianchi Bandinelli Palazzo Pretorio - Piazza del Duomo Riunisce reperti provenienti dal territorio valdesano. Raccoglie materiale arcaico del VI sec. a.C. fino all’età medievale.
Museo del Cristallo Via dei Fossi 8/A www.cristallo.org Espone pezzi della collezione colligiana vetraria e del cristallo dal medioevo ai nostri giorni, oltre a strumenti per la lavorazione del vetro e del cristallo e una raccolta di pezzi di designer italiani e stranieri.
Museo di Paleontologia Palazzo Pretorio Edificio della fine del 1200, inizi del 1300, è stato sede del Comune fino al 1862. Il museo ospita interessanti testimonianze didattiche di Paleontologia.
Santuario di Romituzzo Oratorio del 1460, che raccoglie una interessante collezione di circa 5000 ex voto in carta pressata che rappresentano varie parti del corpo umano e circa 90 tavolette dipinte.
Museo di Staggia Staggia Senese Ospita un’opera di grandissimo pregio di Antonio del Pollaiolo, alcune tavole di Scuola Senese e Fiorentina dei sec. XIV e XV, una bella tela del Salimbeni e alcuni preziosi oggetti di arte sacra.
Museo Archeologico Spezieria di Santa Fina Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “R. De Grada” ex Conservatorio di Santa Chiara - Via Folgore da San Gimignano www.sangimignano.com Il Museo Archeologico raccoglie una collezione etrusco-romana e medievale di materiali del territorio. La Spezieria di Santa Fina espone arredi
e documenti dell’antica farmacia medievale. La Galleria d’Arte Moderna espone una ricca collezione e organizza eventi temporanei.
Museo d'Arte Sacra Piazza Pecori Ospita pregiate sculture lignee del XIV sec., corali, antifonari, finissimi esempi di oreficeria lavorati a sbalzo o a cesello, provenienti da altri conventi, chiese e dalla stessa Collegiata.
CASOLE D'ELSA Museo Archeologico e della Collegiata Piazza della Libertà, 1 La sezione archeologica raccoglie importanti reperti etruschi rinvenuti nel territorio, mentre la sezione di Arte Sacra raccoglie dipinti che vanno dal ‘200
COLLE DI VAL D'ELSA Museo Civico e d’Arte Sacra Palazzo dei Priori- Via del Castello 31 Ospita opere dell’antico territorio diocesano e un cospicuo numero di dipinti di scuola senese dal XII al XVII sec. e toscana dell’800 e del primo ‘900.
42 POGGIBONSI Parco Archeologico, Tecnologico, Ambientale e Cassero Fortezza di Poggio Imperiale Sono esposti reperti degli scavi e viene rappresentato, con l'ausilio delle tecnologie informatiche, il lavoro scientifico e di ricerca che ha preceduto e accompagnato l'attività di scavo.
SAN GIMIGNANO Museo Civico e Torre Grossa Palazzo del Popolo - Piazza Duomo www.sangimignano.com Nelle sale del Palazzo del Popolo si possono ammirare affreschi di notevole pregio e un’interessante Pinacoteca.
Museo Ornitologico Oratorio di San Francesco Via Quercecchio Un’antica collezione ornitologica di notevole interesse storico e naturalistico della seconda metà dell’800.
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per saperne di più Galleria d’Arte Senese del ‘900 Palazzo Pretorio – Via Casolani, 32 Raccoglie importanti opere di pittori contemporanei senesi. Da ricordare la donazione dell’artista senese Giuseppe Ciani che conta circa 20 quadri.
MONTERIGGIONI Museo Multimediale Piazza Roma, 23 – Castello di Monteriggioni Espone alcuni reperti archeologici del territorio del Comune e una narrazione storica del territorio per mezzo di immagini e prodotti multimediali.
RADICONDOLI Museo dell’Energia e del Territorio Via Tiberio Gazzei www.comune.radicondoli.siena.it info@comune.radicondoli.siena.it Offre una panoramica delle bellezze e potenzialità del territorio e delle fonti energetiche rinnovabili, con particolare attenzione alla geotermia.
Collegiata S. Maria Assunta e Cappella di Santa Fina Piazza Duomo Affreschi di Bartolo di Fredi, Barna da Siena, Taddeo di Bartolo, Benozzo Gozzoli e sculture lignee di Jacopo della Quercia. La Cappella di Santa Fina ospita affreschi della Santa di Domenico del Ghirlandaio e l’altare di Benedetto da Maiano.
Informazioni Turistiche APT Siena Piazza del Campo 56 tel. 0577 280551 fax 0577 281041 www.terresiena.it infoaptsiena@terresiena.it CASOLE D'ELSA Ufficio Turistico Comunale Piazza Lucchetti, 2 Tel. +39 0577 949737 Fax +39 0577 949753 casolani@casole.it uff_turistico@casole.it COLLE DI VAL D'ELSA Informazioni Turistiche - Punto Città Piazza Arnolfo di Cambio 9 Tel. e Fax +39 0577 921334 informazioni@comune.collevaldelsa.it puntocitta@invaldelsa.it Pro Loco Via Francesco Campana 43 Tel. +39 0577 922791 Fax +39 0577 922621 proloco.colle@tin.it
MONTERIGGIONI Ufficio Turistico Pro Loco Piazza Roma, 23 Castello di Monteriggioni Tel. +39 0577 304834 Tel. e Fax +39 0577 304810 info@prolocomonteriggioni.com www.prolocomonteriggioni.com POGGIBONSI Centro servizi turistici Prenotazioni Piazza Mazzini 6 Tel. +39 0577 935113 Fax +39 0577 982509 poggibonsi@vacanzesenesi.it RADICONDOLI Informazioni Turistiche Via T. Gazzei Tel. +39 0577 790800 radicondoli@vacanzesenesi.it SAN GIMIGNANO Ufficio Informazioni Pro Loco Piazza Duomo 1 Tel. +39 0577 940008 Fax +39 0577 940903 prolocsg@tin.it www.sangimignano.com
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VALDELSA INT
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Realizzato da APT Siena Comuni di: Casole d’Elsa Colle di Val d’Elsa Monteriggioni Poggibonsi Radicondoli San Gimignano Progetto editoriale APT SIENA
Terre di Siena
Coordinamento editoriale Luigina Benci Testi Carlo Cambi Petra Carsetti Si ringrazia: Riccardo Francovich Associazione Arte Continua Coop Archeoval Foto Bruno Bruchi Foto Lensini Ela Bialkowska Foto Lucii Stampa Nidiaci Grafiche, San Gimignano
VADELSA COP I UK F D
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Mimmo Paladino, I Dormienti, Fonte delle Fate, Poggibonsi
Terre di Siena
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COP CHIANTI I
PROVINCIA DI SIENA COMUNI DI CASTELLINA IN CHIANTI CASTELNUOVO BERARDENGA GAIOLE IN CHIANTI RADDA IN CHIANTI APT SIENA Via dei Termini 6 – 53100 Siena tel. +39 0577 42209 - fax +39 0577 281041 aptsiena@terresiena.it www.terresiena.it
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