Altrestorie_18

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rivista periodica a cura del museo storico in trento, www.museostorico.it - info@museostorico.it

anno settimo

numero diciotto

dicembre 2005

IN QUESTO NUMERO Scompare il servizio militare obbligatorio

Volontario? Solo se pagato: disoccupazione e crisi economica trasformano il servizio civile in opportunità di lavoro di Senio Bonini Addio “Classi di ferro”! di Gian Piero Sciocchetti Il diritto di obiezione: breve cronologia per una storia del servizio civile in Italia nel secondo dopoguerra a cura di Rodolfo Taiani Fonti per la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio civile in Italia a cura di Patrizia Marchesoni e Caterina Tomasi “In caserma. Bozzetto trentino” (1895) di Erminio Zaniboni a cura di Quinto Antonelli Obbligo militare e senso della patria a cura di Rodolfo Taiani Servizio militare e servizio civile: interviste a Giuseppe Demattè e Dario Fortin di Paolo Piffer Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812


Volontario? Solo se pagato: disoccupazione e crisi economica trasformano il servizio civile in opportunità di lavoro

Perugia. Si scrive volontariato, si legge lavoro. «Macché volontariato, sono disoccupato e ho bisogno di lavorare»: la confessione che non t’aspetti. Il pensiero va a quello spot che da mesi rimbalza sulla televisione pubblica: «Una scelta che cambia la vita… la tua e degli altri», un inno di Senio Bonini all’impegno nel mondo La Commissione esaminatrice del sociale. del premio “Francesco Gelmi di Caporiacco”, edizione 2005, Ha appena letto il banha assegnato all’Autore per do 2005 per la selezioquesto testo il primo premio ne dei 36.085 volontadella “sezione articolo” ri che la presidenza del Consiglio dei ministri si appresta ad arruolare. Mancano due giorni alla scadenza del concorso e Piergiorgio, 27 anni, di Formia, entra nell’Informagiovani del Comune di Perugia. Si è laureato in giurisprudenza un mese fa e in mente ha un

solo chiodo fisso: «Trovare lavoro». Di scuse non ne cerca: «Non lo faccio per gli altri, lo faccio per me, quei soldi mi servono». Si rivolge al personale dello sportello ma dovrà attendere un po’, l’ufficio è pieno di ragazze e ragazzi arrivati per lo stesso motivo. «Nelle ultime due settimane sono stati almeno 40 i ragazzi che ogni giorno hanno chiesto informazioni sul servizio civile volontario», spiega Fausta Rosignoli, operatrice dell’Informagiovani. «È triste ma è la disoccupazione a spingerli verso questa strada». Piergiorgio è il simbolo di una generazione che arranca, fatta di laureati disoccupati con una sola certezza: non avere certezze. E che oggi vede nel volontariato un’opportunità di lavoro, anche a 430 euro al mese. L’identikit. «Al 90% sono laureati. Vengono dalle facoltà umanistiche: scienze della comunicazione, giurisprudenza, lettere. Del resto sono loro a faticare di più nella ricerca di un lavoro. Più le ragazze dei ragazzi». Fausta è quasi dispiaciuta nel tratteggiare un quadro che, suo malgrado, finisce per svilire l’istituto del servizio civile volontario. «Da subito mettiamo in guardia i ragazzi: guardate che alla fine dei 12 mesi di servizio non vi assumeranno». Ma i ragazzi sembrano non preoccuparsene. «Non è importante che mi assumano», confessa Alessia Cogoni, 25 anni. «Per me conta fare esperienze, acquisire nuove competenze dopo la laurea». L’ambito? Una sola risposta: «Attinente al mio percorso di studio». È di questa idea anche Elisa Arbau, laureata in scienze della comunicazione. Mentre sfoglia il raccoglitore che elenca i progetti

disponibili in Umbria esclama: «Eccolo, comunicazione nelle sedi periferiche promosso dal Comune di Perugia». La motivazione: «Soldi, con quei 433 euro al mese riuscirei a mantenermi». David Toni ha 26 anni, un passato da pizzaiolo, autista e magazziniere, oggi è disoccupato: «Deve trovare qualcosa che tenga occupate le mie giornate». Storie diverse accomunate da un solo elemento, la ricerca di un impiego. I progetti. In Italia sono più di 4.000 i progetti approvati dalla presidenza del Consiglio dei ministri, in Umbria sono 94 per un totale di 368 posti disponibili. Dall’Ufficio nazionale per il servizio civile si aspettano che le domande siano almeno il doppio degli impieghi banditi. Enti pubblici, associazioni, cooperative, circoli. Dall’assistenza ai disabili al lavoro negli uffici relazioni con il pubblico, dal servizio «ascolto agli anziani» alla collaborazione con gli uffici delle pro loco. Un composito mosaico di opportunità. Ma a confermare il sospetto che il servizio civile volontario sia considerato più un lavoro che un gesto d’altruismo è lo stesso numero delle candidature pervenute agli enti coinvolti a due giorni dalla chiusura del bando. Le scartoffie surclassano le carezze, verrebbe da dire. Gettonatissimi gli impieghi negli uffici, snobbati i posti di assistenza alle categorie svantaggiate. «Ad oggi (lunedì 30 maggio, ndr) per 29 posti – spiega Mirko Rosibonci, responsabile del servizio formazione del Comune di Perugia – abbiamo ricevuto almeno 200 candidature. Lo scorso anno per 40 posti furono


265». Mentre Giuliano Cioni, presidente della sezione Umbria dell’Unione italiana ciechi rivela: «Abbiamo bandito 4 posti d’assistenza per i nostri non vedenti ma non ci è ancora arrivata nessuna domanda. Ormai il servizio civile volontario è diventato una nuova forma d’ammortizzatore sociale». Il commento. Per Roberto Segatori, docente di sociologia

all’Università di Perugia, «la difficile congiuntura economica ha portato a un uso distorto del servizio civile volontario scavando una profonda discrasia tra le aspettative dei giovani e il mondo del lavoro in cui tentano di farsi spazio». Critico anche Mario Bravi, segretario generale della Cgil Perugia: «Il rischio è quello di smarrire il confine tra volontariato e lavoro». Ma il direttore dell’Ufficio

nazionale per il servizio civile, Massimo Palombi, difende quella che considera una «scelta di vocazione, un’esperienza a 360 gradi, totalizzante», e soprattutto slegata «da interessi di parte». Elisa scartabella con minuzia il bando. Ignora i pareri discordanti che sull’argomento si affastellano. Si ferma, alza la testa e dice: «200 euro per l’affitto, il resto per me…».


Addio “Classi di ferro”!

Ben pochi sono gli italiani che si sono accorti dell’entrata in vigore del decreto legge del di 29 luglio 2004, comuGian Piero Sciocchetti nemente denominato “Professionale 3”, che ha sanzionato a partire dal 31 dicembre 2004 il termine del servizio militare di leva e la conseguente “Professionalizzazione” delle forze armate italiane. Con tale provvedimento legislativo sono stati chiamati a prestare servizio obbligatorio di leva per l’ultima volta solo i giovani nati entro il 1985. Tutti i nati dopo tale data o quelli che, per vari motivi, avevano usufruito di rinvii fino al 31 dicembre 2004, sono stati esclusi definitivamente dal servizio militare di leva. Per porre rimedio all’inevitabile calo di forze alle armi, sono state create due nuove tipologie di Volontari, cioè il “Volontario in ferma prefissata di 1 anno” (“VFP.1”) e il “Volontario in ferma prefissata di 4 anni” (“VFP.4”). Allo stato attuale potranno diventare VFP.1 i giovani di nazionalità italiana (uomini e donne) di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Tutti i volontari a ferma prefissata oltre ad ottenere una retribuzione maggiore di quella prevista per gli ex volontari a ferma annuale Trento, 1914. Partenza dei richiamati (“VFA”), han-

no la possibilità: di partecipare ai concorsi per VFP.4 con la certezza – terminati i 4 anni, o 2+2 anni – di transitare in servizio permanente effettivo; di partecipare alle selezioni per accedere alle carriere iniziali delle Forze di Polizia; di aderire al progetto “sbocchi occupazionali” se si desidera lasciare qualsiasi tipo di uniforme.Quanto previsto dalla recente legge del luglio 2004 non è peraltro che il punto di arrivo di una lunga storia della quale forse non è superfluo offire qualche dato sintetico, in relazione soprattutto alla penisola italiana e ai territori austriaci. La prima entità italiana di tipo statuale a ricorrere alla leva obbligatoria delle milizie necessarie alla difesa dei propri territori di confine fu la Repubblica di Firenze. Nicolò Machiavelli, all’epoca responsabile della sezione diplomatico-militare della cancelleria fiorentina, riuscì ad organizzare tra il settembre 1505 ed il febbraio 1506 le milizie occorrenti per il presidio dei territori appenninici di confine dell’Alto Arno (Casentino) e del bacino medio-superiore della Sieve (Mugello). L’importanza politico-militare

dell’Ordinanza della Repubblica di Firenze del 1506, con cui entrò in vigore la formazione della particolare milizia comunale e contadina, fu notevole perché permise ai piccoli stati di poter disporre di un piccolo dispositivo di difesa senza dover ricorrere alle costosissime milizie mercenarie svizzere o tedesche, tra l’altro considerate inaffidabili, poiché ritenute sempre pronte ad abbandonare il campo o a mettere a ferro e fuoco intere regioni in caso di ritardato pagamento del soldo pattuito. Un altro esempio di impiego delle milizie locali è quello attuato nella Contea Principesca del Tirolo, in cui l’imperatore Massimiliano I, nella duplice veste di Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico e di Conte del Tirolo, sottoscrisse con i Principi vescovi di Trento e di Bressanone il noto “Landlibell/Libello provinciale” del 24 giugno 1511, con cui fu costituita la confederazione di difesa dell’intero territorio a cavallo della displuviale alpina. In tale trattato vennero fissati i dettagli della “leva in massa”, formata da un contingente, variabile


secondo i casi, da 5.000 fino a 20.000 uomini e i rispettivi oneri in caso di impiego. Dal XVI fino al termine del XIX secolo tutti gli stati europei ebbero modo di variare la propria organizzazione difensiva mantenendo eserciti reclutati mediante la coscrizione obbligatoria e basati sui principi tecnico-militari della moderna arte militare derivata dal sempre più diffuso impiego delle armi da fuoco, dal progresso tecnologico e dalla maggiore potenzialità produttiva dell’industria bellica. È nella seconda metà dell’Ottocento che la coscrizione obbligatoria cominciò a mostrare i propri limiti a causa dei lunghi tempi di mobilitazione, di armamento e d’equipaggiamento dei nuovi reparti e, soprattutto, della lentezza con cui le grandi unità riuscivano a raggiungere le zone di schieramento previste. Quest’ultimo aspetto si evidenziò particolarmente nel 1870, quando l’Esercito prussiano riuscì con sorprendente velocità a schierare le proprie truppe sul fronte occidentale, pronte a marciare su Parigi, nonostante fosse stata la Francia a dichiarare per prima la guerra.

Dopo il 1871, tanto il Regio Esercito italiano quanto l’Imperiale e regio Esercito austroungarico furono così impegnati nella riorganizzazione dei propri apparati di difesa. Entrambi gli eserciti dovettero rivedere completamente i propri organici e le proprie pianificazioni operative, in modo da accorciare tangibilmente i lunghissimi tempi di mobilitazione dovuti alla notevole estensione dei propri territori, all’inadeguatezza delle linee ferroviarie, alle continue modifiche territoriali nazionali. In Italia fu riorganizzato il sistema di mobilitazione generale con la creazione di nuovi Distretti militari in ogni provincia del Regno; in Austria-Ungheria furono invece delimitati i circoli di reclutamento delle truppe appartenenti all’esercito comune cui furono affidati l’organizzazione della leva, dell’addestramento delle truppe e della mobilitazione generale. L’Italia, per favorire la formazione di sentimenti nazionali tra le reclute provenienti dai vari territori della penisola, volle formare i nuovi reparti sparpagliando i coscritti in regioni lontane da quelle di reclutamento, causando evidenti problemi psicologici dovuti a spaesamento e lontananza. Simili ma nello stesso tempo più tragici furono i risultati ottenuti da parte austroungarica nonostante che i circoli di reclutamento coincidessero con la zona ove le reclute erano nate e vissute e che avrebbero dovuto difendere in caso di conflitto. I principali problemi furono determinati dalla presenza, anche nello stesso territorio di reclutamento, di etnie e religioni assai diverse tra loro, per cui ogni reparto veniva costituito proporzionalmente alle varie etnie esistenti nella circoscrizione interessa-

ta. Per far fronte all’insorgere dei problemi linguistici tutti gli ufficiali di un reggimento avrebbero dovuto parlare il tedesco e la lingua più diffusamente parlata nello stesso, per cui nell’esercito austroungarico si finì con l’ubbidire a comandi dati esclusivamente in lingua tedesca nei reparti austriaci ed in lingua ungherese nei reggimenti magiari. Per quanto riguarda i Trentini, essi prestarono servizio nei reparti tirolesi, di stanza nel Tirolo meridionale che dipendevano dal Comando del XIV Corpo d’Armata di Innsbruck, ed erano inquadrati in reparti costituiti dal 40% da tirolesi di lingua italiana e ladina e dal 60% da tirolesi di lingua tedesca. L’organizzazione del reclutamento italiano fece sì che quasi la totalità dei coscritti provenienti dall’Italia meridionale prestasse servizio nel Centro-Nord; per contro gran parte dei Settentrionali era destinata invece a reparti dell’Italia Centro-Meridionale ove la presenza militare risultava minore. Neppure il sistema di reclutamento adottato dall’esercito austrungarico fu privo di effetti negative. Queste emersero evidenti alla fine della Grande Guerra, quando molti paesi trentini non videro far ritorno a casa intere classi di propri figli, rimasti sui campi di battaglia della Galizia. Una conseguenza riconducibile alla crudeltà della guerra, ma anche al fatto che i coscritti originari della stessa località, non parlando il tedesco, cercavano di essere inquadrati nell’ambito dello stesso plotone o della stessa compagnia per sfuggire l’isolamento e la solitudine. Spesso fu così sufficiente una raffica di mitraglia nemica nel corso di un attacco per decimare un’intera classe di coscritti reclutati nel medesimo paese d’origine.


Il diritto di obiezione: breve cronologia per una storia del servizio civile in Italia nel secondo dopoguerra

1948: il primo gennaio entra in vigore la Costituzione italiana. L’articolo 52 prevede che «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge». a cura di Rodolfo Taiani Un emendamento presentato da due deputati volto a introdurre il diritto all’obiezione di coscienza fu bocciato durante i lavori della Costituente.

1972: manifestazione di obiettori a Roma in occasione della discussione della nuova legge sull’obiezione

1949: viene presentato il primo progetto di legge per il riconoscimento giuridico dell’obiezione, a firma dei deputati Calosso (socialista) e Giordani (democristiano). Nello stesso anno viene condannato alla reclusione il primo obiettore Pietro Pinna, proclamatosi nonviolento: interviene in sua difesa, fra gli altri, anche Aldo Capitini (il filosofo perugino promotore, tra l’altro, della prima Marcia PerugiaAssisi nel 1961) cui si sommano le pressioni internazionali esercitate sul governo italiano. 1955: don Primo Mazzolari pubblica anonimo il suo Tu non uccidere.

1961: il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, convinto pacifista, fa proiettare il film Non uccidere del francese Claude Autant-Lara di fronte a decine di giornalisti e di uomini di cultura. Il gesto fu clamoroso poiché la visione del film, che narrava una vicenda di obiezione di coscienza realmente accaduta in Francia nel 1948, era stata vietata dalla censura. 1963: Ernesto Balducci, pubblica l’articolo “La chiesa e la patria” in difesa del primo obiettore di coscienza cattolico, Giuseppe Gozzini, di Cinisello Balsamo. Per questo scritto Balducci viene processato e subisce una condanna in seconda istanza a otto mesi di reclusione con la condizionale. 1965: nel corso di una assemblea dell’11 febbraio, i cappellani militari della Toscana definiscono l’obiezione di coscienza un’”espressione di viltà”. Don Lorenzo Milani interviene in difesa del diritto ad obiettare ma, soprattutto, del diritto a non obbedire acriticamente. Per questa sua posizione Don Milani sarà processato. Il 15 febbraio 1966 i giudici romani assolvono Lorenzo Milani e Luca Pavolini, direttore di “Rinascita” sulla quale fu pubblicato l’articolo incriminato, perché il fatto non costituisce reato. Don Lorenzo morirà prima del processo di appello in cui la corte sentenzierà la condanna per Pavolini a cinque mesi e dieci giorni mentre per il priore di Barbiana l’estinzione del reato per “morte del reo”. 1965: la Costituzione Gaudium et spes del 1965, auspica leggi giuste ed umane da parte degli Stati nei confronti degli obiettori.

1966: viene approvata la cosiddetta «legge Pedini» che consente il servizio volontario internazionale nei paesi del terzo mondo valido ai fini degli obblighi di leva. 1969: centinaia di giovani residenti nella valle del Belice, la zona siciliana distrutta dal terremoto del 1968, rifiutano di presentarsi in caserma per protesta nei confronti dello Stato. Nello stesso anno si costituisce la Lega per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza 1971: grazie alle pressioni dell’opinione pubblica, dei movimenti pacifisti e del Partito Radicale, il Senato approva un testo di legge sull’obiezione che tuttavia non viene approvato dalla Camera per lo scioglimento anticipato del Parlamento. 1972: il 15 dicembre 1972 viene approvata la cosiddetta “legge Marcora” (dal nome del deputato democristiano firmatario di una proposta). Per la prima volta nella legislazione italiana viene accolto il principio di respingere l’arruolamento nelle Forze Armate in nome del rifiuto delle armi e di sostituire il servizio militare con un servizio civile. 1973: si costituisce la Lega obiettori di coscienza. 1976: nelle sale cinematografiche italiane si proietta il film di Marco Bellocchio “Marcia trionfale”. Per la prima volta una pellicola si occupa di vita militare e lo fa adottando quasi un registro documentario, cui non sono estranei intenti di energica denuncia. Questo film, successivo di soli quattro anni all’approvazione della cosiddetta legge Marco-


ra sull’obiezione di coscienza, contribuì a rafforzare ulteriormente lo schieramento critico nei confronti dell’obbligo del servizio di leva.

Di spalle l’obiettore di coscienza cattolico Giuseppe Gozzini

Anni settanta/anni ottanta: la legge 772/72 incontra crescenti critiche: la legge, infatti, configura l’obiezione non come un diritto soggettivo ma come un “beneficio” concesso dallo Stato a determinate condizioni e con precise conseguenze. Da questa impostazione di fondo deriva: il potere del ministero della Difesa di respingere la domanda di obiezione, dietro parere di una commissione chiamata a indagare la sincerità delle motivazioni addotte dall’obiettore (commissione subito ribattezzata dagli obiettori “tribunale delle coscienze”); la mancanza di tempi certi per l’espletamento delle formalità burocratiche da parte dell’Amministrazione della Difesa; la durata del servizio civile di otto mesi più lunga del servizio militare, con un’evidente carattere punitivo nei confronti degli obiettori; la gestione del servizio civile affidata proprio al Ministero della difesa; una notevole disparità nelle pene previste per i reati contro il servizio di leva se commessi da obiettori di coscienza. 1985-1997: la Corte Costituzionale interviene per ben otto volte con altrettante sentenze per dichiarare l’incostituzionalità di varie parti della legge 772/72. La prima

storica sentenza è quella del 24 maggio 1985, n. 164, con la quale la Corte riconosce la pari dignità tra il servizio militare e il servizio civile. Nel 1986, la Corte Costituzionale sancisce che l’obiettore in servizio civile non è assoggettabile alla giurisdizione militare, bensì a quella ordinaria, in quanto l’obiettore ammesso al servizio civile perde lo status di militare. Infine, nel 1989 la Corte dichiara incostituzionale la maggiore durata (otto mesi in più) del servizio civile rispetto al servizio militare. In pratica, grazie a questa sentenza, dall’estate del 1989 il servizio civile dura quanto il servizio militare (12 mesi e, a partire dagli inizi del 1997, 10 mesi). 1992: il primo febbraio il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, rinvia al Parlamento la nuova legge sull’obiezione di coscienza, approvata dalle Camere il 16 gennaio, accompagnandola con un lungo messaggio nel quale spiega i motivi per cui non promulga la legge. Il giorno successivo scioglie il Parlamento impedendo di fatto il riesame da parte delle Camere. 1998: il Parlamento approva finalmente la legge “Nuove norme in materia di obiezione di coscienza”, che viene promulgata dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi

Scalfaro l’8 luglio e pubblicata, col numero di legge 230, sulla “Gazzetta Ufficiale” del 15 luglio. 2000: il Parlamento approva la legge n. 331 che reca “Norme per l’istituzione del servizio militare professionale”. La fine della leva obbligatoria è stabilita a partire dal 2007. 2001: il Parlamento approva la sospensione della leva con la legge n. 64 che prevede l’”Istituzione del servizio civile nazionale”. Grazie ad essa, dopo la sospensione della leva militare, i giovani potranno continuare a svolgere il servizio civile da volontari, mentre nel periodo transitorio anche le donne e i riformati alla leva possono accedervi. 2001: il 20 dicembre iniziano il servizio civile le prime ragazze volontarie. 2004: con la legge n. 226 del 23 agosto 2004, il Parlamento stabilisce di anticipare la sospensione della leva obbligatoria al primo gennaio 2005. Nel dicembre 2004 hanno iniziato il loro servizio civile di 10 mesi gli ultimi obiettori di coscienza. Dal primo gennaio 2005 il servizio civile diventa esclusivamente su base volontaria per ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 e i 28 anni che scelgano di partecipare ai progetti di Servizio civile nazionale.


Fonti per la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio civile in Italia presso il Museo storico in Trento

Il Centro di documentazione Mauro Rostagno presso il Museo storico in Trento ha raccolto nel corso degli anni alcuni fondi documentari di notevole interesse per la storia del movimento di opposizione al servizio militare di leva e il riconoscimena cura di to dell’obiezione di coPatrizia Marchesoni e scienza. Caterina Tomasi Si elencano di seguito quelli principali: Fondo Lega obiettori di coscienza, sede di Trento La Loc, organismo politico degli obiettori di coscienza antimilitaristi e non violenti, si propone di pubblicizzare l’obiezione di coscienza e la possibilità di prestare un servizio sostitutivo civile in luogo del servizio militare di leva. L’archivio della sede trentina è andato costituendosi a partire dalla seconda metà degli anni settanta quando, approvata la legge sull’obiezione di coscienza, anche a Trento si organizzò un gruppo locale della Lega. Vi è raccolto anche il materiale del periodo 19761979 in cui Trento funzionò da sede nazionale. Il fondo, pervenuto al Museo nel 1989, è arricchito anche di una picPietro Pinna, primo obiettore del secondo dopoguerra ad essere condannato nel 1949 alla reclusione

cola, ma significativa biblioteca specializzata. Lotta antimilitarista Sempre nel 1989 è pervenuto al Museo, tramite Giorgio Giannini, l’archivio della rivista “Lotta antimilitarista” relativamente al periodo in cui ebbe sede a Roma (1980-1983). Il fondo comprende i registri degli abbonati, il carteggio redazionale e altri documenti amministrativi.

Andrea Gai Nel 1995 il fondo della Lega degli obiettori di coscienza si è arricchito di nuovo materiale raccolto da Andrea Gai e relativo alla proposta di riforma della legge sull’obiezione (1989-1991). Luigi Faggiani Il fondo raccoglie documenti e rassegne stampa sulle Forze armate e sul movimento dei Proletari in divisa negli anni settanta.


Modello di domanda per l’obiezione suggerito dalla Lega obiettori di coscienza


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“In caserma. Bozzetto trentino” (1895) di Erminio Zaniboni a cura di Quinto Antonelli

Erminio Zaniboni, racconta in modo leggero nell’appendice del quotidiano liberale Alto Adige (numeri del 22-23 e 23-24 ottobre 1895) il primo giorno del servizio militare, quando i coscritti arrivano in gruppo a Trento. I nuovi, – le reclute – cominciavano, intanto, a presentarsi. Arrivavano a frotte, a quattro, a sei, dalla Valsugana, la più parte, e dai dintorni di Trento, stralunati, rauchi, naturalmente, in borghese, alla contadina: con un fazzoletto bianco al collo, spiegato in modo che si potesse leggere, ricamato in rosso, un Addio o un Non ti scordar di me; e con un’ampia fascia di lana rossa o verde, cinta intorno alla vita due o tre volte. Erano preceduti, scrive Zaniboni, dall’eco dei loro canti. Va là, va là sargente, Prepara la pagnoca; Che se soldà me toca Pagnoca magnerò. Avean percorso, dall’alba, sempre cantando – e le vene della gola s’eran fatte gonfie gonfie – le vie principali; avean svegliato mezzo mondo a Porta Aquila, in Via lunga, in Santa Maria. Eh! volevano farsi sentire, loro! E questo era il ritornello preferito: E l’è ‘ndà via soldà. Chi sarà mai – che piangerà! Sarà la rizzolina? Ma i cori, sul piazzale della chiesa di S. Ma-

ria, davanti alla caserma, ammutolivano sempre. E allora era la volta dei saluti: saluti a chi rimaneva, a chi se n’andava. – Tante cose al sior curato, alla morosa; alla mamma poi... S’intenerivano, poveri giovani! Poi entravano in caserma ed erano accolti con saluti spaventosi dai soldati più anziani. Il capitano, accompagnato da un tenente e due sergenti, separava le reclute dalle riserve (Ersatzreservisten) e formava le fila in attesa della visita medica. Il capitano medico si pianta in mezzo alla sala. Silenzio perfetto. “Se c’è qualcheduno che ha difetti o è ammalato” – disse il medico in cattivo italiano – “si faccia avanti”. Quasi tutti si fecero avanti... Misericordia che ospedale! “Ohe! incominciamo sì? fermi tutti! fermi, digo!” – Ci volle del buono a ristabilire l’ordine. Ora, il capitano ed il medico li passavano in rassegna, ad uno ad uno. “Ha difetti, lei?” Oh sì e chi non ne aveva? La maggior parte avevano semplicemente la febbre. Il medico che conosceva i polli e la febbre, li guariva subito, con due parole; e avanti. Chi poi accusava una ferita al ginocchio, chi un’unghia incarnata, chi un reuma in quel sito. Uno di Telve aveva le buganse. – Poverino! te le daremo noi le buganse! – Si imparava, così, il nome di certe malattie, non registrate, credo, da Galeno in poi: una scavessera via per la vita, un grop sul stomech (oh quello lo avevano tutti), un

campanel nela testa. Uno delle Giudicarie asseriva di avere el sanc entenprà (il sangue rappreso). Alla fine il medico, che non rideva mai, li passa tutti abili (Tauglich, tauglich!). Dopo la visita era pronta l’uniforme e Zaniboni nota che i più si vestivano in silenzio: E c’era un non so che di pietoso, di delicato, di gentile nel silenzio di quei giovani, che dovean lasciare – chi sa per quanto tempo! – il loro vestito dalle feste, quell’abito che aveva rappresentato una parte così importante nella conquista della morosa, sul piazzale della chiesa, dopo la messa cantata, nel villaggio lontano. Poi si passava alla prima istruzione: l’attenti, il riposo, il saluto al superiore. Finché non veniva l’ora del rancio, il primo rancio di caserma. Uno alla volta con la gamela. Poi ancora istruzione, fino all’imbrunire. In un angolo del cortile, quattro o cinque reclute, sorprese forse dalla malinconica dolcezza del primo tramonto in caserma; tenute forse dalla nostalgia dei filò, di cui l’inverno imminente dovea parer loro così ricco di promesse – canticchiavano, a bassa voce, seri seri, guardandosi negli occhi, dondolando ritmicamente il capo: Meza pagnoca al giorno... Ohimè! – Poverino me! Son soldà!... Si udivano appena. Poi era un tenore che dava l’intonazione in falsetto: Quando sarò in Boemia... E gli altri dietro: Vestito da soldato Te manderò ‘l ritrato Colo spadino in man.


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Obbligo militare e senso della patria

L’abolizione del servizio militare di leva e l’organizzazione di un esercito di professionisti, scelta seguita prima ancora che in Italia, anche in Francia, ha avviato una discussione più generale sul concetto stesso di patria e sul significato di servizio reso alla nazione secondo quanto enunciato nel corso del secolo scorso in base sia ai principi costituzionali, sia alle diverse normative nazionali. Fra i contributi editi si segnala il volume di Eric Desmons, Mourir pour la patrie? (morire per la patria?), pubblicato nel 2002 dalla Presses Universitaires de France (118 pages, € 13,42). L’Autore, nato nel 1965, è uno studioso di diritto, scienze politiche e di filosofia e insegna diritto costituzionale, storia delle idee politiche e teoria dello Stato presso l’Università di Parigi XIII e l’Università di Parigi II. Quanto segue è la traduzione dal francese di una breve nota recensiva al volume, dal titolo La patrie, une valeur qui n’a plus cours (La patria, un valore fuori corso), scritta da Claude Michel Cluny e ospitata sul periodico Lire nel dicembre

2001/gennaio 2002. La recente abolizione del servizio militare in Francia è alla base, almeno in parte, della riflessione di Eric Desmons sulle relazioni esistenti fra cittadino e difesa della città, ossia dello Stato. Furono i Greci i primi a codificare questi rapporti e quindi ad organizzare la guerra, ciò almeno secondo quanto è possibile sapere allo stato attuale delle conoscenze storiche. Il lettore può confrontare su questo tema lo studio preciso di Victor Davis Hanson, Le modèle occidental de la guerre (il modello occidentale della guerra), edito da Les Belles Lettres nel 1990. Il combattimento degli opliti, senza eroismo individuale, prefigura, a sua volta, le carneficine della prima guerra mondiale. Ci sono massacri strategicamente inutili che trovarono giustificazione nel senso civico, esso stesso erede della fedeltà al Re (dunque alla monarchia). Poi con Hobbes, ritenendo che la persona venisse prima di ogni altro obbligo – la vita è il bene più prezioso, conserviamola – l’evoluzione delle mentalità tende a un doppio rifiuto: dei

doveri di fronte alla patria, e dell’arruolamento militare, sia di carattere generale o professionale. La patria, constata l’autore, non è più un valore riconosciuto, lo Stato e l’eroe sono caduti in discredito. Ma a profitto di cosa? E come assicurare la difesa dell’entità europea? Infatti, nel momento in cui ci si convince dell’argomento, è l’idea stessa di cittadinanza a svanire progressivamente. Il senso del dovere non è stato trasferito in qualcosa d’altro. L’Occidente è diventato permeabile ad ogni minaccia. L’avvertimento più che utile di Eric Desmons richiede dunque un seguito. Neppure il liberalismo fondato sulle virtù pacificatrici del commercio, ha potuto sradicare il rischio della guerra. E sapere come il potere pervenga ad ottenere la morte pro patria resta così la grande questione della politica. La storia insegna che, al di là degli onori, ciò che agisce è la promessa di una quota d’immortalità riservata a colui che va a morire in combattimento: il suo nome resterà e vivrà nel ricordo delle generazioni future. Ma l’epoca attuale non garantisce più questa condizione di dovere della memoria e la Repubblica onora un milite ignoto. Nell’era delle guerre d’annientamento chi potrebbe rimproverare all’individuo moderno, preoccupato anzitutto della propria vita, di considerare con distacco la figura del cittadino-soldato ereditata dalla Rivoluzione francese e scegliere dunque di non morire? (Traduzione di Rodolfo Taiani)


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Servizio militare e servizio civile: due voci a confronto interviste a Giuseppe Demattè e a Dario Fortin di Paolo Piffer

Due personalità che partono da punti di vista diversi possono arrivare a conclusioni simili. Ce se ne può accorgere leggendo le interviste all’alpino Giuseppe Demattè, per una vita dirigente del Comune di Trento, attualmente presidente dell’Ana ma anche del Villaggio del fanciullo Sos e a Dario Fortin, coordinatore generale della cooperativa sociale Villa Sant’Ignazio. Infatti, entrambi, pur provenendo da esperienze differenti, ritengono fondamentale, per i giovani, un periodo formativo. Per Demattè era il servizio di leva. Per Fortin potrebbe essere il servizio civile obbligatorio. Abolizione della Leva Obbligatoria: “Hanno vinto le mamme” A Trento, gli iscritti all’Ana sono 24.500. In tutto il

Trentino sono ben 269 i gruppi degli alpini, una diffusione capillare e presente, propria di una terra di montagna. Giuseppe Demattè è il presidente Ana del capoluogo. “Facciamo subito una precisazione”, esordisce. “In Italia la leva è stata sospesa. Per abolirla si sarebbe dovuto cambiare la Costituzione”. E lei, a questa sospensione del servizio militare obbligatorio era favorevole o contrario? “Come Ana ci siamo sempre opposti e non per la considerazione che il servizio militare serva come addestramento per la guerra”. Quindi, per quale motivo? “Per un aspetto culturale della leva. Riservare un periodo della propria vita a questo obbligo ci è sempre sembrato importante, sia dal punto di vista fisico che dei rapporti umani. Vivere insieme tutta la giornata, passando momenti difficili ed altri meno, è rilevante per la formazione di un ragazzo. Inoltre, il fatto che il militare non sia più obbligatorio, ha comportato anche un problema che potremmo chiamare di carattere sanitario. Mi spiego. Con la visita medica obbligatoria si aveva un quadro generale, su tutto il territorio nazionale, della salute dei ragazzi di 18/19 anni. Questo screening ora manca. D’altronde, è stata una decisione democratica presa dal nostro Parlamento. In definitiva, noi non ne abbiamo fatto “una malattia”. Ironizzando, si potrebbe dire che hanno vinto le mamme”. Da alpino, come giudica la formazione di un esercito professionista? “Sono pienamente convinto che sia necessario perché i progressi tecnologici com-

portano una grande preparazione e specializzazione anche tra le forze armate. I compiti a cui è chiamato l’Esercito sono ormai molteplici e gli interventi delle forze armate italiane si dispiegano, come sappiamo, in vari teatri mondiali”. Cosa pensa dell’arruolamento femminile? “Non va messo in discussione. Si tratta solo di organizzazione. Le donne sono assolutamente capaci, in tutti i settori”. In questa situazione mutata, qual è il futuro dell’Ana? “Direi che va fatta una premessa. Quello che ci auguriamo è che, dopo il periodo di ferma volontaria, chi ha fatto l’alpino si iscriva all’Ana. Perché lo dico? Perché nella legge è previsto che chi voglia arruolarsi nei carabinieri, nei vigili del fuoco, nella finanza e nella polizia debba aver fatto il servizio militare. In questo modo, in molti si preparano a passare ad altre armi facendo, in questo caso, l’alpino, e non si iscrivono all’Ana. Penso proprio che il gran numero di richieste di arruolamento dipenda anche da questo. Staremo a vedere come si evolverà la situazione”. Nella comunità trentina quali sono, e saranno, le funzioni e gli scopi dell’associazione? “Oltre a quelli originari e cioè ricordare e onorare i caduti, direi proprio che la collaborazione nel settore della protezione civile è, e sarà, molto importante. E poi ci auguriamo che siano sempre di più gli amici degli alpini che si iscrivono all’Ana anche perché, dato che ormai si va in pensione sempre più tardi, è necessario che per certi compiti di volontariato si abbiamo persone in buona forma


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fisica, operativi. Infine, ma non certo per ultimo, il continuare ad essere sul territorio parte integrante del tessuto sociale. In caso di emergenza, in molti paesi gli alpini sono una delle risorse principali sulle quali può fare sempre affidamento l’intera comunità. Siamo gente che si presta senza nulla chiedere. Certo, l’invecchiamento della nostra base porterà qualche problema. Si dovrà cercare, in campo nazionale, modificando gli statuti, una soluzione per poter far iscrivere all’Ana anche chi l’alpino non l’ha fatto ma ne condivide spirito e obiettivi. In definitiva, anche noi dobbiamo tener conto dei cambiamenti sopraggiunti in questi anni e cercare di adeguarci senza per questo snaturarci. Se ci riusciremo, l’Ana avrà ancora una lunga vita”. Servizio civile: “obbligatorio per tutti” Da quando c’è il servizio

civile – prima alternativo a quello militare, ora volontario – il variegato mondo del volontariato ha sempre “pescato” tra i ragazzi che alla naia preferivano un anno al servizio degli altri. Dario Fortin, coordinatore generale della cooperativa sociale Villa S. Ignazio di Trento, primo ente, in regione, nel 1975, a sottoscrivere la convenzione con il Ministero della difesa, racconta come stanno andando le cose. “Molto bene perché siamo stati tra i primi a credere in questa nuova progettualità e i ragazzi, se sollecitati, rispondono ottimamente. Attualmente, da noi stanno facendo il servizio 6 ragazze. Nel corso degli anni sono arrivati in collina più di 200 adolescenti tra cui il sindaco Pacher. Diciamo che abbiamo preso tutto il “buono” della passata esperienza con gli obiettori di coscienza mettendoci ora al servizio del nuovo progetto di Servizio civile nazionale. Va però fatta una precisazione. In questo momento, solo gli enti più strutturati possono permettersi di essere accreditati. Comunque, la ‘qualità’ delle ragazze e dei ragazzi che stanno facendo il servizio civile è elevata”. Per migliorare, cosa si dovrebbe fare? “Un’idea in testa ce l’ho e

mi rendo conto che è anche un po’ provocatoria. Io sarei per rendere il servizio civile obbligatorio per tutti. D’altronde, la Costituzione afferma che ogni ragazzo, ma noi estendiamo il concetto anche alle ragazze, ha il dovere di difendere la patria. Un concetto, quest’ultimo, che la Corte costituzionale ha allargato precisando che la difesa non è solo quella armata ma anche civile, sociale e del territorio inteso come ambiente, comunità e aiuto ai più deboli. Certo, il problema è che questa proposta deve essere praticabile e non impossibile. Mi spiego. Devono essere le istituzioni e il privato sociale ad attrezzarsi e investire soldi e risorse umane per dare la possibilità effettiva a tutti di svolgere al meglio il servizio civile obbligatorio”. Il futuro, come lo vede? “Il problema grosso è che, mentre le organizzazioni maggiori riescono ad assolvere a questi nuovi compiti, quelle più piccole rischiano la chiusura, vista anche la riduzione generalizzata dei fondi per il settore sociale. In definitiva, il futuro è molto legato alle scelte che i governi, nazionale e locali, faranno. In questo senso, il Trentino può essere un progetto pilota”.

ALTRESTORIE - Periodico di informazione Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani Hanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Senio Bonini, Giuseppe Demattè, Via Torre d’Augusto, 35/41 Dario Fortin, Gian Piero Sciocchetti, Caterina Tomasi Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132 ISSN38100 TRENTO 1720-6812 Tel. 0461.230482 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN) Fax 0461.237418 info@museostorico.it www.museostorico.it

Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento


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INFOMUSEO NOVITÀ EDITORIALI DEL MUSEO STORICO IN TRENTO Sergio Benvenuti (a cura di), Un volontario nella guerra d’Etiopia: lettere di Silvio Tomasi al padre (1935-1937) (Quaderni di Archivio trentino, 10), pp 158, euro 14,50 Il volume riporta 163 tra lettere e cartoline inviate dal sottotenente Silvio Tomasi di Trento al padre Adolfo nel corso della guerra di Abissinia (1935-1936) e nel periodo successivo, fino al maggio 1937, a poche settimane dal suo ritorno in patria. Questi scritti documentano con continuità ed efficacia non soltanto i fatti di guerra, ma anche la mentalità di un combattente volontario della borghesia trentina: uomo affettuosamente legato al padre al quale confida sinceramente i suoi stati d’animo, altalenanti tra l’entusiasmo nazionale alimentato dall’intensa propaganda di guerra e il desiderio realistico di ottenere, a guerra finita, un posto sicuro e un avanzamento di carriera nell’esercito. Quella di Tomasi fu una vita breve, intensa, travolta nella spirale di violenza della guerra coloniale e della successiva guerra mondiale, che lo vide per breve tempo sul fronte occidentale e poi in Russia: vita terminata tragicamente nel forno crematorio di un campo di concentramento nazista.

Rodolfo Taiani (a cura di), Una storia fatta a persona: contributi per un dizionario biografico trentino del XX secolo (Quaderni di Archivio trentino, 11), pp. 224, euro 16,00 Nel volume sono raccolti dieci contributi relativi ad altrettanti personaggi trentini che vissero nel XX secolo. L’obiettivo è quello di contribuire nello sguardo d’insieme a svelare legami, contiguità, discontinuità e concatenazioni in un tessuto di eventi assai più ricco e articolato di quanto i singoli saggi possano permettere di intuire o la delimitazione di un’area geografica consentire. Il risultato complessivo non è omogeneo, poiché diversi sono gli approcci seguiti dai vari autori. Non manca, tuttavia, unitarietà nella misura in cui ognuno d’essi apporta il proprio tassello di conoscenza alla lettura di un secolo contrassegnato da cambiamenti rivoluzionari e contraddizioni dirompenti. I ritratti proposti sono quelli di Piero Agostini, Gigino Battisti, Elsa Conci, Enrico Conci, Alfredo Degasperi, Giuseppe e Vittorio Gozzer, Aldo Pantozzi, Flaminio Piccoli, Giovanni Pedrotti e Luigi Pigarelli.

Volti di un esodo (DVD, progetto memoria, 3), euro 21,50 (regia: Lorenzo Pevarello; interviste: Elena Tonezzer e Lorenzo Pevarello; consulenza storica: Elena Tonezzer ricerca materiale d’archivio: Riccardo Pegoretti; segreteria di produzione: Matteo Gentilini; produttore esecutivo: Patrizia Marchesoni; durata: 51’). Le testimonianze che compongono il video costituiscono altrettanti frammenti di discorsi e memorie raccolti nel corso della campagna di venticinque interviste realizzate con alcuni di coloro che, all’indomani della seconda guerra mondiale, lasciarono l’Istria e la Dalmazia, per trasferisi definitivamente fuori dai propri paesi d’origine. Molti fra loro arrivarono anche in Trentino-Alto Adige e sono i bambini di allora, ormai diventati adulti, i testimoni che, a distanza di oltre cinquant’anni, raccontano le loro storie personali, le emozioni, la nostalgia e il loro arrivo in una realtà geografica e sociale nuova, per tanti versi estranea, se non propriamente ostile. Il video è stato realizzato con il contributo della Provincia autonoma di Trento-Servizio attività culturaliProgetto memoria per il Trentino.


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Elsa Conci (1895-1965): materiali per una biografia Il Museo storico in Trento e l’Istituto Luigi Sturzo di Roma hanno organizzato con il sostegno della Provincia autonoma di Trento-Servizio Attività culturali-Progetto memoria per il Trentino un seminario di studi su Elsa Conci. Fabrizio Rasera (Tradizione politica e tradizione famigliare: dalle carte dell’Archivio Conci), Francesco Malgeri (Gli anni del centrismo), Cecilia Dau Novelli (Elsa Conci e il movimento femminile della Democrazia cristiana) e Maurizio Gentilini (Le fonti archivistiche per la storia della Democrazia cristiana) hanno animato l’incontro contribuendo a tratteggiare un primo profilo umano, politico ed intellettuale di un personaggio spesso costretto nell’ombra della più nota figura paterna. L’iniziativa è stato accompagnata da alcuni momenti di commemorazione ufficiale culminati nello scoprimento di una lapide sulla casa Conci in via SS. Trinità, 5 a Trento.

(1895-1965). MATERIALI PER UNA BIOGRAFIA SEMINARIO DI STUDI TRENTO, 4 NOVEMBRE 2005

Le carte e i libri di Piero Agostini al Museo storico in Trento Nel corso della cerimonia di premiazione della terza edizione del premio «Francesco Gelmi di Caporiacco», dedicato a Piero Agostini, già direttore de l’Adige e de Il corriere di Brescia, il figlio del giornalista, Angelo Agostini, ha consegnato ufficialmente al direttore del Museo storico in Trento, Giuseppe Ferrandi, l’archivio del padre. L’operazione si inserisce nell’ambito della collaborazione fra Associazione Gelmi e Museo storico in Trento finalizzata al recupero, alla salvaguardia, e alla valorizzazione dei fondi documentari utili ad una storia della stampa periodica e del giornalismo in territorio trentino-tirolese nei secoli XVIII-XX e che ha già registrato il deposito presso il Museo storico in Trento dell’archivio fotografico del giornale l’Adige e in precedenza della biblioteca stessa di Piero Agostini. Dialogo sull’autonomia con Lorenzo Dellai Il Museo storico in Trento ha organizzato il 21 ottobre 2005 un’iniziativa pubblica sul tema “Dialogo sull’autonomia: radici storiche e presente”. L’incontro, introdotto da Giuseppe Ferrandi, ha tratto spunto dalla presentazione di Fabio Rugge del volume «Le radici dell’autonomia: conoscenza del territorio e intervento pubblico in Trentino (secc. XVIII-XX)» a cura di Luigi Blanco (Milano, Angeli, 2005), per coinvolgere nel dibattito sul presente il presidente della Provincia Lorenzo Dellai e il qualificato pubblico intervenuto per l’occasione.

Scrivere agli idoli: IX seminario dell’archivio della scrittura popolare Numerosi studiosi si sono confrontati nell’ambito del nono seminario dell’Archivio della scrittura popolare sulla pratica di “scrivere agli idoli” quando il disco a basso prezzo, la televisione, la radio, i juke-boxes portano dappertutto l’immagine e la voce dei nuovi giovani cantanti e sul ruolo centrale della televisione e della musica leggera nella costruzione della moderna cultura di massa (e delle sue mitologie). In questo modo sono stati così toccati la scrittura della gente comune (una scrittura di massa, spontanea, trasversale), l’emergere di nuovi bisogni simbolici, l’irruzione del moderno in comunità tradizionali, il nuovo protagonismo dei giovani che trovano nella musica forme inedite di linguaggio e di identità. Il seminario è stato organizzato con la collaborazione del Laboratoire d’anthropologie et d’histoire de l’institution de la culture di Parigi (LAHIC) e dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Polo Scientifico Didattico di Rimini, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Culture e tecniche del costume e della moda. Era tutto Michelin: memoria di una fabbrica Con il marchio “Progetto Memoria per il Trentino” il Museo storico in Trento e la Provincia autonoma di Trento hanno prodotto un documentario sullo stabilimento Michelin di Trento che nel 1930, in un’area lungo la sponda del fiume Adige, avviò l’attività produttiva per la fabbricazione di filati di cotone destinati alla confezione delle coperture dei pneumatici. Dopo quasi settant’anni nel 1997 l’attività venne chiusa: prima con lo smatellamento dello stabilimento di viale San Severino e il suo trasferimento a Spini di Gardolo e poi con la recente definitiva chiusura anche di quest’ultimo. Il documentario, realizzato da Vincenzo Mancuso e Francesco Tabarelli, è basato sulla raccolta di 35 testimonianze a operaie e operai, quadri e sindacalisti raccolte a cura del Museo storico tra il 2004 e il 2005 ed inoltre su documentazione filmica prodotta dal Sindacato Cisl negli anni sessata e settanta, ed ora depositata presso il Museo storico, e su materiali filmici provenienti dall’Archivio del movimento operaio e democratico di Roma. Scorre nel video la storia della Michelin che per molti rappresentò la possibilità di lavoro e quindi alternativa all’emigrazione, e nello stesso tempo fu un luogo simbolo, memoria di un pezzo di storia sociale di Trento, perché da qui partirono molte battaglie sindacali che furono di esempio per altre realtà industriali trentine. Il documentario, della durata di 62’, è stato presentato per la prima volta a Trento, al Teatro San Marco il 19 dicembre 2005.


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ERA TUTTO MICHELIN

memorie di una fabbrica

un film documentario di Vincenzo Mancuso e Francesco Tabarelli


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