Altrestorie41

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anno quindicesimo numero quarantuno mag./ago. 2013

CriminalitĂ : forme, percezioni, rappresentazioni

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anno quindicesimo numero quarantuno mag./ago. 2013

Criminalità: forme, percezioni, rappresentazioni

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Ladro sarai tu!: il banditismo in epoca romana di Anselmo Vilardi

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Il volto del male: l’immagine del crimine tra realtà, estetica e predestinazione di Silvia Bertolotti

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Le tenebre del crimine: uno sguardo alla Commedia Umana di Honoré de Balzac di Stefano Chemelli

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Cybercrime di Alice Manfredi

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La folla delinquente: Scipio Sighele, la psicologia delle folle e le origini della sociologia del XX secolo di Andrea Mubi Brighenti

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Fallo involontario: imputabilità, responsabilità e infermità mentale di Felice Ficco

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Comportamenti, riprovazione sociale, penalizzazione e punizione: interviste con Maria Rosa Di Simone ed Ernesto Ugo Savona a cura di Paola Bertoldi

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La sicurezza in Trentino tra controllo e prevenzione: nuovi modi d'intendere la sicurezza del territorio di Marina Marchiaro

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La “fermentazione psicologica”: quando la protesta sociale era un crimine di Tommaso Baldo

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Il fascino discreto del diritto penale: Francesco Menestrina, la delinquenza nel Trentino e la prevenzione dei reati di Mirko Saltori

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“Il marchio indelebile di una inferiorità giuridica”: l’impegno “femminista” di Scipio Sighele di Paolo Domenico Malvinni

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Femminicidio in salsa trentina: 1959-2008 di Paola Bertoldi

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Infomuseo

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Criminalità forme, percezioni, rappresentazioni

Criminalità: forme, percezioni e rappresentazioni. Un titolo senz’altro ambizioso per fissare un tema di enorme complessità che un numero di Altrestorie può solo ambire di scalfire: la frequenza, tuttavia, con cui il problema della delinquenza comune o della criminalità organizzata si affaccia alla cronaca, la vivace discussione sul tema della sicurezza, il dibattito che investe ampi settori della società riguardo alla giustizia, hanno convinto a scrivere di questo argomento, proponendo degli spunti di lettura, guardando ad alcuni dei tanti aspetti che concorrono al quadro generale, senza evidentemente la pretesa di disegnarlo nella sua interezza. Si tratta, peraltro, di elementi in continuo divenire. La delinquenza non è un fenomeno che si possa fissare una volta per tutte. I comportamenti da perseguire come reati si differenziano e si trasformano nel tempo anche secondo le sensibilità maturate all’interno della società di riferimento. L’evoluzione economica, sociale e culturale contribuiscono storicamente a costruire riprovazione nei confronti di determinati

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comportamenti e, al contrario, ad assolverne di altri precedentemente stigmatizzati. Il tema delle forme, della percezione e della rappresentazione dei fenomeni delinquenziali si presenta allora estremamente fluido, sottoposto nel corso dei secoli a valutazioni e azioni fortemente influenzate dall’evoluzione dei costumi e da una crescita civile che ha reso più forte il peso del diritto organizzato rispetto all’applicazione di norme non standardizzate. Abbiamo invitato a scrivere intorno a questi temi alcuni affezionati collaboratori di Altrestorie, persone con competenze specifiche nell’ambito della criminologia, delle scienze sociali e della storia. Un'attenzione particolare è stata riservata a Scipio Sighele (1868-1913), studioso dei fenomeni criminali, del quale è ricorso nel 2013 il centenario della morte. Insomma un occhio a come non solo è cambiata la classificazione e l'atteggiamento nei confronti dei fenomeni cosiddetti criminosi, ma a come è evoluta la loro analisi e osservazione anche nella prospettiva ultima di tutelare la forma democratica della società nella quale viviamo (rt).


Ladro sarai tu!

secondo le norme del diritto. Analizzare il fenomeno del La stretta dipendenza tra banditismo in epoca romana il banditismo violenza e (mancata) legittisignifica confrontarsi con una mazione pubblica nella definirealtà molto ampia e poliein epoca romana zione della figura del bandito drica. è riconoscibile nel rapporto “Ladro” è oggi una parola di Anselmo Vilardi tra le categorie “soldato” e molto diffusa; ma qual è la “bandito”. Nel corso della sua origine? I romani impiesua carriera militare il solgavano i vocaboli latrones dato romano era addestrato per indicare i banditi e latrocinium per il banditismo. Essi derivano dalla radice professionalmente alla violenza e deteneva nella greca *latr, ma in greco il verbo latreuein esprimeva i sua azione un potere di vita e di morte. In questo concetti di “servire”, “fornire una prestazione a paga- senso la distinzione del suo ruolo sociale e del suo mento” e, in una delle sue accezioni più specifiche, operato rispetto a quello del latro era strettamente “essere un mercenario”. In ambito latino si assiste a connessa al controllo e alla sanzione dell’autorità un’evoluzione di questo significato originario che è pubblica. Alcuni veterani congedati o disertori fuopossibile riconnettere alla storia e alla visione poli- rilegge decidevano, tuttavia, di non cedere le armi, tica, sociale e militare della Roma repubblicana: in ma continuavano a usare le proprie doti militari al primo luogo, per le sue necessità belliche Roma non fine di garantire con la violenza il loro mantenimento, assume mercenari, ma si basa su esercito di citta- entrando, di conseguenza, a far parte della categoria dini-soldati; la Repubblica, inoltre, si confronta in dei banditi. più casi con l’instabilità e i pericoli provocati dall’im- Nelle narrazioni storiografiche e, più in generale, piego di truppe mercenarie, so“prattutto nel mondo nell’immaginario collettivo romano (la figura del ellenistico. Avviene così un profondo mutamento di bandito è spesso presente nella letteratura grecosignificato del termine latro che da mercenario ar- romana, ad esempio nel romanzo Le metamorfosi riva a indicare ogni forma di violenza extra-legale. Da di Lucio Apuleio) l’immagine del bandito è strettaquesto punto di vista ciò che definiva il bandito non mente connessa a un’idea di alterità rispetto alla ciera solamente il suo comportamento violento o la viltà: sono, dunque, continui i riferimenti al legame sua tendenza alla rapina, ma soprattutto la mancata con il mondo barbarico e al distacco del bandito rilegittimità del suo operato nei confronti dell’autorità spetto alla comunità civile. In tal senso, la tendenza e la sua estraneità o, addirittura, la sua opposizione del banditismo a svilupparsi soprattutto nei territori al potere legittimo. In tal senso appare interessante più isolati, in particolare nelle regioni montagnose sottolineare come il tema dei banditi e la loro scon- e nelle aree rurali più lontane dalle città, è ripetutafitta sia presente in molti miti fondativi: ad esempio, mente sottolineata dalla cultura romana, profondanella mitologia greca Teseo sconfigge alcuni banditi mente legata a una prospettiva urbana e di pianura. prima di guidare l’unificazione dell’Attica; anche nel Non a caso nell’immaginario collettivo si crea anche caso della genesi di Roma Romolo deve abbando- una stretta connessione tra le figure del bandito e nare il suo ruolo di bandito-pastore per guidare la del pastore. In epoca romana il banditismo non è, tuttavia, rifondazione della città. Si riconnette a questa visione anche la distinzione tra conducibile solamente a episodi isolati di singoli hostis (nemico) e latro proposta dal giurista Pompo- personaggi o di raggruppamenti marginali e numenio nel Digesto (Digesta 50.16.110): “I nemici [hostes] ricamente limitati, ma può anche assumere dimensono coloro che ci hanno dichiarato formalmente sioni imponenti. In particolare nel primo secolo a. guerra o coloro a cui noi abbiamo formalmente di- C., nella fase finale della repubblica, l’egemonia di chiarato guerra; tutti gli altri sono banditi [latrones] Roma è addirittura messa in pericolo da due forme di o predoni [praedones]”. In questa definizione gli ho- violenza collettiva incluse dai Romani nella categoria stes e i latrones (si può considerare praedones un del latrocinium: la pirateria e le rivolte degli schiavi. sinonimo di quest’ultimo termine) appaiono acco- La realtà della pirateria è riscontrabile nel Mediterrastati, in quanto entrambi sono accomunati dalla co- neo in ogni fase dell’antichità, sia pure con intensità mune condizione di avversari violenti della comunità differenti a seconda dei vari periodi. Tra la fine del e delle istituzioni romane. Il discrimine tra queste due secondo secolo a. C. e il primo secolo a. C., anche categorie si basa, dunque, su un unico fondamentale a causa dell’instabilità dell’area del Mediterraneo aspetto: il loro eventuale riconoscimento come auto- orientale dovuta ai conflitti di Roma con gli ultimi rerità legittima e la conseguente possibilità di presen- gni ellenistici, la situazione degenerò: si formarono tare o ricevere una dichiarazione di guerra legittima flotte di pirati costituite da centinaia di navi e decine

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di migliaia di uomini che imperversavano nei mari, non solo saccheggiando le altre navi ma anche depredando le coste dell’intero Mediterraneo. Questi predoni avevano le loro roccaforti principali in Cilicia (sulla costa meridionale dell’attuale Turchia). Una delle vittime più famose fu lo stesso Giulio Cesare che in giovane età, nel 75-74 a. C., fu rapito durante un viaggio in nave da alcuni pirati nei pressi delle isole Sporadi. Plutarco narra che egli accettò di versare un riscatto per ottenere la sua liberazione: tuttavia, una volta rimesso in libertà, guidò personalmente una spedizione contro i suoi rapitori che furono infine catturati e, per suo ordine diretto, crocifissi (Plutarchus, Caesar 1-2). La pericolosità delle rotte marittime divenne a un certo punto tale da costringere Roma a intervenire: nel 67 a. C. il Senato affidò a Gneo Pompeo il comando di un esercito di circa 500 navi e più di 100.000 soldati con l’incarico di debellare in tutto il Mediterraneo la piaga della pirateria. Egli, nel giro di soli quaranta giorni, non solo annientò le flotte nemiche, ma distrusse anche le loro basi di partenza. Il fenomeno della pirateria si manifesterà ancora nei decenni successivi, sia pure in forme più limitate, fino a quando, con la fine del periodo delle guerre civili e l’inizio dell’epoca imperiale, la stabilizzazione del controllo dei mari garantito dalle flotte militari romane produrrà un sostanziale esaurimento della minaccia per diversi secoli. Ancora più pericolose per la supremazia di Roma furono nello stesso periodo le rivolte degli schiavi nell’Italia meridionale. In seguito alla conquista di un vasto impero affluirono nell’Italia degli ultimi secoli della Repubblica imponenti flussi di manodopera servile, impiegata nel sud Italia principalmente in ambito agricolo-pastorale e minerario. Le terribili condizioni di vita e di lavoro provocarono,

a partire dalla seconda metà del secondo secolo a. C., un susseguirsi di insurrezioni di massa degli schiavi. In particolare tre ribellioni raggiunsero dimensioni tali da mettere in discussione il controllo della regione da parte dei romani: le prime due, sviluppatesi in Sicilia nei periodi 136-132 a. C. e 104-103 a. C., perdurarono per anni e destabilizzarono uno dei territori economicamente più importanti della Repubblica; si trattò, tuttavia, di rivolte che mantennero una dimensione locale, non uscendo mai dai confini della Sicilia. Nel 73 a. C. la terza grande guerra servile, al contrario, sconvolse l’intera Italia meridionale, tanto da minacciare la stessa città di Roma. Gli schiavi ribelli, capeggiati dal gladiatore trace Spartaco, riuscirono per due anni a sconfiggere ripetutamente le truppe inviate contro di loro e solamente nel 71 a. C. un esercito di otto legioni, guidate dal proconsole Marco Licinio Crasso, riuscì a reprimere l’insurrezione. Anche in questo caso la definizione di latrocinia attribuita dai romani a tali rivolte è direttamente connessa all’idea dell’esercizio di una resistenza violenta contraria alla legalità stabilita dalle istituzioni romane. A questo fattore si aggiunge la continua evidenziazione da parte delle fonti antiche della sistematica opera di saccheggio e di rapina compiuta dagli schiavi ribelli. In conclusione, è possibile evidenziare quanto l’odierna possibilità di ricostruire il fenomeno del banditismo in epoca romana sia strettamente legata alla prospettiva della classe dirigente romana, i cui scritti costituiscono la principale, se non unica, fonte di informazioni sull’argomento. L’analisi di questo tema offre, dunque, un interessante squarcio sulle concezioni alla base delle forme di vita collettiva nel mondo romano e sulle loro affinità e differenze rispetto alla società contemporanea.

Fedor Andreevich Bronnikov (1827-1902), Gli schiavi seguaci di Spartaco, crocefissi sulla via Appia (1878) (Mosca, Galleria Tretyakov)

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Il volto del male

A New York nella metà degli e la fruibilità di massa come se anni trenta del Novecento il fossero sullo stesso piano dell’immagine del crimine drammatico ed elegante bianle autorità politiche o dei divi co e nero del fotoreporter free del cinema. I pannelli ideati da tra realtà, estetica lance Weegee (pseudonimo di Wharol sono come specchi di e predestinazione Arthur Fellig, 1899-1968) cattufronte ai quali la società legge ra, senza alcuna retorica, ma se stessa e la propria essencon spietato realismo le più za, talvolta scomoda, talvolta di Silvia Bertolotti incisive immagini di violenza, cifrata, altre ancora semplicecaos urbano e umanità alla demente messa a nudo. L’immariva; Weegee lavora quasi esclusivamente di notte, gine del crimine e la figura del malvivente ricorrono grazie alle segnalazioni di una radio collegata a quel- del resto con grande frequenza nella storia dell’arte la di un comando di polizia ed è solito arrivare pri- dell’Occidente, dall’iconografia dei martiri ai tableau ma delle forze dell’ordine; armato di flash immortala vivant di Omar Ronda e Paolo Vegas, che mettono in con un sapiente cinismo, che sposa estetica e orro- scena la parodia dei più noti esponenti della malavire, gli angoli di Manhattan, Chinatown e Little Italy, ta, dagli impiccati pendenti dalla forca del Pisaneldove omicidi, retate, gangsters e malavita sono gli lo in Santa Anastasia a Verona, fino alle esperienze attori privilegiati. Esplora con crudezza e audacia la contemporanee quali il progetto Lost Identities di scena della tragedia e del delitto, dimostrando una Christian Fogarolli o l’indagine sull’uomo di Cristiano straordinaria capacità di resa espressiva e un'intu- Berti che con le immagini fotografiche di Memorial izione eretica e inventiva che gli fanno ben presto (scenari d’omicidio di 19 prostitute) racconta senza conquistare uno spazio d’onore all’interno della sto- moralizzare, quella che lui stesso ha definito “la verria della fotografia statunitense. Lo stesso regista tigine del reale“. Stanley Kubrick affermerà di essere stato fortemente Con l’irruzione della fotografia sulla scena della moinfluenzato dal fotografo di cronaca nera e di averlo dernità il rapporto delle lastre impressionate, dei revoluto come consulente per le riprese del film Il dot- agenti chimici e della camera oscura con il mondo tor Stranamore (1958). della legge, della malavita, della devianza psichiatriMa è con il lampo di genio di Wharol che la foto- ca e dei crimini contro l’umanità si presenta non solo grafia criminale diviene icona pop; siamo calati in molto peculiare, ma certamente complesso e articoun mondo di assoluta riproducibilità e serialità del- lato. È chiaro come si possano riconoscere differenti le immagini e Wharol si concentra sui volti; l’indi- ambiti di applicazione del mezzo fotografico, tenenziato, il condannato, il colpevole, l’innocente sfilano do sempre ben presente il dato che la fotografia non democraticamente in una galleria di Mugshots de- è esplicabile in termini definitivi, ma rappresenta “il clinando la fotografia giudiziaria in un diverso am- principio di una serie di cambiamenti epocali” (Gilarbiente della comunicazione visiva, quello estetico di). Tali istantanee si ordinano in una classificazione e iconico, inaugurando perciò la segnaletica d’arte. che fa riferimento alle seguenti principali categorie: Nel 1964, in occasione dell'Esposizione mondiale di la fotografia segnaletica, la fotografia criminale, la foNew York l’architetto Philip Johnson commissiona tografia a uso della medicina legale, la fotografia giua Wharol un grande pannello per decorare la fac- diziaria, la fotografia della scena del crimine. ciata del padiglione americano, nasce così l’opera Sono categorie dai contorni talora estremamente Thirtheen most Wanted Men, per realizzare la quale fluidi, e che possono con facilità sovrapporsi e soWharol utilizza le fotografie di 13 ricercati del Federal stituirsi le une alle altre; un semplice fotoritratto può Bureau of Investigation (FBI), le immagini in bianco diventare segnaletico e poi ancora criminale, l’immasono rese con la tecnica della serigrafia su grandi gine fotografica di un oggetto all’apparenza banale tavole di forma quadrata composte a formare una può acquistare un valore giudiziario di primaria imscacchiera; la scelta provocatoria desta immediata- portanza, e così via. mente polemiche e la direzione chiede a Wharol di L’analisi critica più appassionata, eclettica e approrimuovere il pannello. L’artista propone perciò una fondita in materia esce in Italia nel 1978 con il titolo di sostituzione delle segnaletiche con l’immagine del- Wanted!: storia, tecnica ed estetica della fotografia lo stesso direttore dell’Esposizione Robert Moses, criminale, segnaletica e giudiziaria. L’autore è Ando ma alla bocciatura della nuova idea Wharol rispon- Gilardi, che inaugura, così, la serie I sillabari della de ricoprendo la serie di ritratti con vernice di color Fotografia negata, un progetto editoriale che intenargento, perché rimanga indelebile il ricordo della de rivendicare il giusto peso e ruolo etico-sociale del censura subita. Nel linguaggio sovversivo di Wharol fotoritratto d'identità e della fotografia pornografica, i ricercati acquistano la notorietà, il successo sociale emarginate dalle storie ufficiali, eppure così ricche

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di autenticità, aderenza al reale e vissuto da raccontare. Ando Gilardi, giornalista, fotoreporter, pioniere degli studi italiani sulla fotografia e fondatore della Fototeca storica nazionale, dedica provocatoriamente tale studio ai “manigoldi con la camera oscura”, ai protofotografi della polizia e ovviamente ai loro modelli: i pregiudicati, le prostitute, i rivoluzionari: tuttavia, il volume è anche e soprattutto un tributo alla memoria delle vittime di tutti i crimini privati e dello Stato, muovendo la propria ricerca dall’assunto che le macchine fotografiche della polizia rappresentano “il più fantastico strumento di omologazione dell’uomo“. Già il ritratto pittorico rinascimentale di profilo appare come una sorta di identikit. La fotografia segnaletica tipica della polizia, ovvero quella classica in cui vengono ripresi il sembiante di fronte e di profilo (profilo puro e non mezzo profilo) nasce in ambito dell’arte ed è utilizzata dalla scultura; momento di congiunzione, o meglio di trapasso dalla traccia del profilo puro del disegno e della pittura e quello dell’immagine fotografica è dato tra Settecento e Ottocento dalla silhouette (che si ottiene ricopiando l’ombra proiettata dal volto di netto profilo) e dal physionotrace, chiamato anche ritratto umbratile (ottenuto dal vero con una specie di pantografo). La segnaletica inizia ad assumere le caratteristiche della imagerie populaire attraverso le calcografie, dedicate ai costumi grotteschi, ai mestieri, alle segnaletiche sindacali o corporative, e tale sensibilità con tutte le sue intense e radicate suggestioni iconiche raggiunge e contamina il senso attribuibile alla rivoluzione del mezzo fotografico. Il disegno realizzato con la forza della luce costituisce una cifra, un dato matematico, una formula incontrovertibile, un documento e una firma. Il potere del dagherrotipo (prodotto con la camera oscura su una lastrina di rame d’argento) interessa alla politica tanto quanto all’antropologia, alla psichiatria, alla legge. La polizia scientifica nasce, spiega Gilardi, prima della metà del XIX secolo, e il padre della fotografia segnaletica può essere considerato Francois Vidocq (17751857), un avventuriero francese originario di Arras, truffatore, ex detenuto, che collabora con la Sûreté di Parigi; una figura da romanzo che ispira Honorè de Balzac per il personaggio di Vautrin, ma anche la cinematografia contemporanea, tanto che il regista Pitof ne affida l’interpretazione a Gérard Depardieu per il suo action movie dall’ambientazione gotica La maschera senza volto (2001). “La fotografia giudiziaria o meglio ancora quella sua specialità che si definisce segnalativa, o segnaletica, risolve di colpo per possibilità proclamata, più che dimostrata, alcuni dei fondamentali problemi enunciati e dibattuti fin dal principio del Rinascimento da

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scienze quali la metoposcopia e la fisiognomonia o fisiognomica“ (Gilardi). La Grande Guerra, “gigantesca scena del delitto“ (Gilardi), fornisce rinnovato e diverso impulso all’impiego del fotoritratto, basti pensare ai ritratti fotografici per la compilazione dei tabulati di propaganda esposti al pubblico riguardanti i caduti, o le foto da studio


che le stesse reclute, indossata la divisa, sono solite farsi scattare nei giorni della mobilitazione o alla vigilia della partenza per il fronte. Con la Grande Guerra, i cimiteri prendono l’aspetto di lugubri mostre fotografiche, il ritratto di identità militare irrompe, perciò come vero e proprio caso sociologico, essendo in grado di racchiudere in una piccola immaginetta, spesso inespressiva e stereotipata il mistero delle vicende personali e della scomparsa di milioni di uomini, l’ultima reliquia alla quale si aggrappano con incrollabile fede le madri dei tanti dispersi. Dopo il primo conflitto mondiale lo sviluppo della fotografia d'identificazione è sempre più rapido e in evoluzione. A Parigi, nel giugno del 1928, compare per la prima volta, con quattro cabine di ripresa (alle Galeriès Lafayettes, nell’atrio del Petit Journal, al Luna Park e al Jardin d’Acclimatation) il photomaton che in Italia viene definito “fototessera in un minuto”, tecnica che consente la ripresa, lo sviluppo e la stampa immediata dei ritratti. La ragione psicologica del successo del photomaton, segnalata da Gilardi, è certamente significativa: “il prezzo era modesto e motivata l’opinione che la fisionomia umana più vera fosse quella ripresa in piena solitudine nella minuscola sala di posa della cabina” (Gilardi). L’immagine umana riprodotta dall’apparecchio fotografico rivelerebbe perciò la sua verità psico-fisica, forse anche i medesimi vizi, le virtù, le segrete inclinazioni, la sua stessa predestinazione? Effettivamente in passato qualcuno pensò, pericolosamente, che le fototessera scattate dalla polizia o dai medici psichiatri potessero disvelare l’identità, ma soprattutto assegnare al soggetto fotografato un destino tragico e irrevocabile. I servizi di propaganda e l’ideologia fanatica dei totalitarismi del Novecento se ne servono, infatti, ampiamente e con i più temibili risultati. Il termine “Wanted”, mutuato perciò dagli scenari del Far West americano e tradotto nelle diverse lingue, invade l’Europa seminando il terrore. È chiaro che il facile successo della foto segnaletica a uso delle forze dell’ordine, oltre a un contributo eminentemente tecnico-pratico di schedatura e archiviazione, porta con sé, dal punto di vista dell’impatto psicologico ed emotivo sulle masse, una fondamentale sfiducia nel prossimo, la paura del diverso, la diffidenza e nel medesimo tempo l’illusione di aver trovato un efficace sistema di controllo sulla società. Dalla seconda metà dell’Ottocento, e in particolare attraverso la lente deformante del positivismo scientista le foto segnaletiche, in qualità di prova giudiziaria, ma ancor più come atto morboso e coercitivo, vengono raccolte, collezionate dai funzionari della polizia scientifica, dagli archivi dei manicomi e degli ospedali, dagli eserciti, dalla polizia segreta di Stalin, dalla Gestapo e dalle SS, alla ricerca delle prove

oggettive della presunta esistenza di una tipologia umana fissa, ricorrente, selezionabile, perciò “predestinata”. L’arte di Daguerre contribuisce sommamente a creare e diffondere il concetto di marchio somatico e di verità fisiognomica; una serie di sedicenti scienziati è pronta a sostenere con una notevole varietà di casistiche e applicazioni tali tesi, pensiamo a Francis Galton, al medico Charcot o all’italiano Lombroso. Cesare Lombroso (1835-1909), medico, antropologo e criminologo è stato un incredibile accumulatore di testimonianze e reperti riguardanti il crimine e la devianza. A partire perciò da quella che è, all’origine, una collezione privata, nata durante il servizio in qualità di medico militare e in seguito come medico del carcere cellulare di Torino, ma accresciutasi incredibilmente nel corso delle sue ricerche, egli istituisce il Museo di antropologia criminale, all’interno del laboratorio di medicina legale dell’Università di Torino. La sede museale è ospitata dal 1899 al 1947 presso il Palazzo degli studi anatomici e diretta dal 1904 al 1931 da Mario Carrara, genero di Lombroso e continuatore delle sue ricerche (estromesso dall’insegnamento di antropologia criminale essendo nel numero dei pochi docenti che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo nel 1931). Dal 2009 le sale del Museo sono state riaperte al pubblico. La raccolta che si prefigge di essere la visualizzazione di un sistema pseudoscientifico, fortemente criticato e oggi certamente superato, pur nella sua originalità e inquietante bizzarria, racconta del posto centrale che il pensiero lombrosiano ha rivestito nella cultura positivista dell’Ottocento e la sua incredibile diffusione e conoscenza a livello mondiale. All’interno dell’ingente corpus documentario, costituito da crani, manufatti, reperti anatomici, maschere di cera di volti di criminali, disegni e dipinti realizzati da alienati e carcerati, schede segnaletiche, tatuaggi, trova collocazione un ricco archivio fotografico organizzato in due nuclei principali: uno di carattere esclusivamente personale e famigliare, l’altro legato strettamente agli studi di antropologia criminale, ma ancor più a un approccio allo studio dell’uomo fortemente interdisciplinare. La collezione fotografica, la cui datazione copre un arco temporale che va all’incirca dal 1850 al 1930, pare non avere mai avuto un reale carattere strutturato e sarebbe la risultante, non solo della personale opera di raccolta di Lombroso (molte fotografie vennero acquistate), ma soprattutto il frutto di una notevole serie di donazioni e lasciti proveniente da archivi italiani e stranieri, da fondi di medicina legale e da parte di studiosi, allievi e colleghi. Lombroso non si occupa mai personalmente di realizzare fotografie, tuttavia, il supporto fotografico gli pare offrire un campionario di imma-

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gini utilissime a comprovare la validità delle proprie osservazioni e funzionale alla creazione dell’apparato iconografico delle sue edizioni didattico-scientifiche; basti pensare al corredo illustrativo dell’Atlante allegato alla quinta edizione della ponderosa opera sulla devianza, L’uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, uscito nel 1896-1897 (prima edizione 1876). Lombroso, come è noto, postula che il crimine non sia il risultato di una libera scelta, ma la manifestazione di una patologia organica, cioè di una malattia; il determinismo biologico trionfa sul libero arbitrio fondando la teoria della degenerazione e spianando il cammino a un principio parascientifico, quello della fisiognomica, che a partire almeno da Giambattista Della Porta aveva attribuito un indice morale a ciascun tratto somatico, tracciando così una complessa topologia del volto umano. In realtà l’analisi delle testimonianze fotografiche pare quasi provocare un effetto contrario e fragilizzare tali teorizzazioni. Leggiamo in Lombroso e la fotografia, numero monografico della rivista Locus Solus:“Allo stesso tempo la fotografia, per il fatto di essere così efficace nella resa della morfologia e dunque altrettanto rigorosa nella capacità di coglierne le differenze, correva il rischio di risultare avversa alla teoria lombrosiana, fino a divenire la prova della sconfitta, non riuscendo a fissare il delinquente nato con certezza diagnostica”(Renzo Villa). Il fondo fotografico rivela inoltre quanto fossero eterogenei gli interessi di Lombroso essendo presente una serie di immagini di sedute medianiche, che riconducono al suo studio sul rapporto tra fenomeni spiritici e isteria, fotografie di ectoplasmi e immaginario dei fluidi. Attribuire connotati precisi e oggettivabili alla tendenza criminale e al deviante, rappresenta una fantasia, un’incognita e un’ipotesi che affascina ancora oggi ed è in grado di condurre a forzature e a ragionamenti insensati. Ci si imbatte così nella notizia (edita da <Repubblica.it>) che in una facoltà statunitense un giovane ricercatore, quasi rispolverando le teorie lombrosiane, ma approdando a esiti opposti, sarebbe riuscito grazie a 300 fotografie elaborate dal computer a riprodurre l’identikit del perfetto psicopatico. Il passaggio dall’analogico al digitale segna di fatto una svolta epocale e coinvolge oltre a una rivoluzione delle forme della conoscenza, anche lo stesso criterio di archiviazione e conservazione dei soggetti, un tema assolutamente stimolante, provocatorio e controverso, se leggiamo la situazione a noi contemporanea, dove l’immagine criminale (nelle sue varianti più estese) riprodotta all’infinito, naviga sen-

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za controllo nel deep web che tutto confonde, rimescola senza filtri, e nel quale è necessario che entrino in azione sempre più frequentemente le volanti virtuali della polizia. Si comprende come oggi, nell’era dell’immagine, la coscienza possa con frequenza vacillare di fronte all’esigenza di riconoscere la verità e la realtà del male. La discussione in materia, in costante evoluzione, è di certo infinita. Vale la pena menzionare, tuttavia, l’opinione di Frederic Rousseau in Il bambino di Varsavia: storia di una fotografia; se un’immagine fotografica diventa icona, e in questo caso icona della Shoah, cosa rimane dell’interesse verso il suo significato etico, umano, sentimentale e la sua contestualizzazione storico-culturale? La potenza iconica paralizza la narrazione in tutte le sue implicazioni di referenza e problematizzazione. Il celebre scatto, che ritrae un bambino con le mani alzate in segno di resa e prigionia, proviene dall’album allegato dal generale delle SS Jurgen Stroop al rapporto con il quale intendeva informare i suoi superiori Walther Kruger e Einrich Himmler sull’esito delle operazioni compiute dal Servizio di polizia di sicurezza nel ghetto di Varsavia tra l’aprile e il maggio 1943. La storia successiva della fotografia in oggetto è sorprendente; portata al tribunale di Norimberga, duplicata in modo sfrenato, sfuocata, ridotta a manifesto, travestita, utilizzata nei manuali scolastici “ha cessato di essere archivio. Non sollecita più il nostro desiderio di conoscere. Dopo essere stata una verità, l’immagine si è trasformata in menzogna” (Rousseau). Una riflessione sul significato storico sociale della fotografia criminale e nello specifico segnaletica rinvia senza dubbio al problema universale dell’eterna antitesi fra il bene e il male nella coscienza dell’uomo. Lo spirito umano s'interroga, chiede delle risposte, ma quando la tensione verso la verità è intrisa di ideologia e di falsi miti allora anche l’ideale più autentico nel vano tentativo di rendere trasparente la perpetua battaglia tra i due principi diviene cieco di fronte alla ragione. Leggiamo in Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde (1886) di Robert Louis Stevenson: “Fu studiando il lato morale nella mia stessa persona che imparai a riconoscere la profonda e primitiva dualità dell’uomo; ho visto che, delle due nature che lottavano nel campo della mia coscienza, anche se potevo dire giustamente di essere l’una e l’altra, appartenevo in realtà radicalmente a tutte e due […]. Era la maledizione del genere umano, il fatto che quei due elementi contrastanti fossero così legati insieme, che nel seno agonizzante della coscienza, questi due poli dovessero essere in continua lotta”. Roland Barthes avverte che la fotografia “non sa dire ciò che dà a vedere”, raccontare il volto del male spetta forse alla letteratura.


Le tenebre del crimine

Pubblicato nel 1841, il roSi segua l’immagine manzo Une ténébreuse affaire dell’innocente che diventa uno sguardo alla Commedia di Honoré de Balzac compone capro espiatorio: “Basso una piccola ma significativa e grosso, brusco e lesto Umana di Honoré de Balzac parte del grande affresco come una scimmia bendella Commedia Umana, uno ché di carattere calmo, di Stefano Chemelli scenario poderoso capace Michu aveva un volto di muovere tremila esistenze bianco, iniettato di sanumane e di includere in sé un gue, tozzo come quello universo tutto da interpretare, d’un calmucco e a cui i canell’abbaglio costante di un’epelli rossi e crespi davano nergia narrativa unica. un’espressione sinistra. Un tenebroso affare è un picGli occhi giallastri e chiari colo cameo, di un’opera prooffrivano, come quelli digiosa, e trova riscontro in un delle tigri, una profondità fatto di cronaca: il rapimento interiore in cui lo sguardo del senatore Clément de Ris, che l’esaminava si perimpersonato nella figura di deva, senza incontrarvi Malin, proprietario del feudo né movimento né calore. di Gonderville. Essendo a Fissi, luminosi e vitrei, conoscenza di una manovra quegli occhi finivano per antinapoleonica, condotta da far paura. Il contrasto coquel genio di Fouché, Mastante dell’immobilità delin subisce un rapimento da gli occhi colla vivacità del emissari inviati dal ministro. corpo accresceva ancora L’episodio criminoso coinl’impressione glaciale che volge in modo pretestuoso i Michu faceva alle prime. nobili delle famiglie Simeuse, In quell’uomo un’azione casata in possesso della tepronta doveva essere al nuta prima della rivoluzione, servigio di un pensiero insieme a Hauteserre e Michu: unico; allo stesso modo il primo, giacobino durante le che, negli animali, la vita è sommosse, e caduto succesautomaticamente a servisivamente in disgrazia, perché gio dell’istinto. […] Quella considerato una sorta di tradifaccia socratica dal naso tore; il secondo, fattore fedele camuso era sormontata Illustrazione di William Boucher per Storia dei tredici alla sua antica padrona, Loda una fronte molto bella, di Honoré de Balzac (1897) renza di Cinq- Cygne, cugina ma così convessa che dei gemelli Simeuse, a loro volta infatuati di lei. Sarà pareva strapiombasse sul volto. Le orecchie ben proprio Lorenza a parlare alfine, e direttamente, con staccate possedevano una specie di mobilità come Napoleone sul campo di battaglia di Jena, riuscendo quella degli animali selvatici, che son sempre sul a ottenere la grazia, ma solo per i cugini. Michu pa- chi vive. La bocca, socchiusa per un’abitudine molto gherà per tutti, sullo sfondo di una prorompente comune nei campagnoli, lasciava vedere denti forti analisi sociale della Francia napoleonica, con un Bal- e bianchi come mandorle, ma irregolarmente dispozac scintillante nel descrivere il crimine duplice che sti. Favoriti forti e lucenti inquadravano quella facsi compie, con il gusto sottile del retroscena e lo spi- cia bianca e qua e là violacea. I capelli tagliati corti rito anticipatore di un poliziesco ante litteram. dinanzi, lunghi sulle gote e dietro la testa, facevano Il lettore rimarrà turbato e stupito dalla capacità de- col loro rosso fulvo risaltare tutto quello che la sua scrittiva degli ambienti, dei tratti e dei caratteri, ma fisionomia aveva di strano e di fatale. Il collo, corto e ancor più dal dettaglio fisico e ornamentale, che ha grosso, provocava il coltello della legge”. nell’abbigliamento e nella fisiognomica due vettori Gli indizi che costituiscono la prova critica o logica, di distinta concentrazione, insieme a una rassegnata fondata su una delle opzioni argomentative, ci incondiscendenza e una fatalità implacabile, che con- segna Balzac, anche in questo romanzo, possono ducono alla violenza della prevaricazione dei potenti assumere nella forma del dettaglio irrilevante o insul più debole. significante un valore importante di ricostruzione

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dei fatti, e le vicende del romanzo storico assumono con la sua forza di osservazione una nuova e potente penetrazione introspettiva, un’indagine sociale si mostra in grado di scandagliare la complessità psicologica di un’epoca con l’aiuto di una fantasia creativa feroce e determinata. Una realtà demoniaca prende piede, dove anche la virtù, i vizi e le malattie dell’anima, nelle loro varie forme, trovano cittadinanza in un movimento visionario incessante, capace di attraversare le diverse generazioni e giungere sino a noi. Commedia e commerci umani affiancano il genio individuale che spesso è un delinquente, o indossa, nel quadro di un progetto più ampio, il ruolo di un’infinita metamorfosi alimentata da un desiderio ardente e mai pago. Al lettore Balzac dona una parola che colpisce, con lo sguardo magnetico di un autore instancabile nell’edificare minuziosamente in un ventennio (morirà a soli 51 anni), una serie di capolavori che lasciano un solco indelebile, perché proiettati nella mente e nella memoria delle diverse esistenze, in una specie di panorama permanente e febbrile, nel quale spicca il denaro come crinale del lecito e dell’illegale, il segnale della passione che si trasforma in bramosia opulenta e malata. Balzac apre a mondi inesplorati: al districarsi nelle leggi, alle modalità dei processi, alle indagini poliziesche, alla psicologia criminale: è il mondo del segreto e dei segreti che si svela attraverso una scrittura indomabile, omnicomprensiva, ricca di una tensione che si può anche allentare, ma che non viene mai meno. La parola di Balzac dura nel tempo, rimane tra noi, senza tradire la sua origine. Parigi diventa, così, parte nostra, come non potrebbe più divenire, nemmeno dopo decine di viaggi contemporanei per appena intravedere un tempo che non è più percepibile con la nettezza dello scrittore che ne ha sondato le viscere dall’interno, in una morfologia abissale: il ghermire e il dissipare, la conquista e la decadenza, “tutti vivono al di sopra delle loro forze – scrive Balzac – in uno dei racconti più affascinanti della Storia dei Tredici – usurando il corpo con la mente e la mente col corpo; si torturano nel desiderio… Se la Fanciulla dagli occhi d’oro era vergine, non era certo innocente. Quella bizzarra mescolanza di misterioso e di reale, di ombra e di luce, di orribile e di bello, di piacere e di pericolo, di paradiso e d’inferno – è la metafora – esiste un libro orrendo, sudicio, spaventoso, corruttore, sempre aperto e che non si chiuderà mai, il grande libro del mondo, senza contare un altro libro mille volte più pericoloso composto di tutti i commenti che ci sussurriamo all’orecchio noi uomini…”. Balzac dipinge un quadro tenebroso e demoniaco che introduce a una sorta di bellezza tutta partico-

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lare, all’estasi di un amore consumato nella morte, tra debolezze, ricordi e malvagità che si confondono con il sublime. La sete di un’immaginazione straordinaria è destinata ad appagare anche il lettore più esigente, nella ciclopica rabdomanzia che l’icastica arte di Rodin ha saputo scolpire nella pietra di una compatta e avvolgente affabulazione iconica. Balzac mette in campo, più in generale, nella sua opera, l’eterno ribelle, Vautrin, colui che va contro l’ordine costituito, i tribunali, i gendarmi; un avventuriero, un delinquente illuminato che aspira ad alimentare il suo desiderio di potenza, un uomo superiore che cozza contro lo stato poliziesco della società borghese, un individualista che sposa la rivolta, rinunciando a ogni ambizione amorosa, a vantaggio di un’azione perpetua, e con la fondata prospettiva d’incarnare un demone, un esteta armato, luciferino, un angelo del male, una sorta di controfigura dell’Autore che ripone nell’intelligenza ogni sua velleità: “Ai nostri giorni lo scrittore ha sostituito il sacerdote, egli porta la clamide dei martiri, soffre mille mali, prende la luce dell’altare e la distribuisce ai popoli; è principe, mendicante, consola, maledice, prega profetizza; la sua voce oltrepassa la navata di una cattedrale, egli può far scoppiare i suoi tuoni da un capo all’altro del mondo; il suo gregge è il genere umano, che ascolta i suoi poemi, li medita, e una parola, un verso hanno oggi altrettanto peso sul piatto della bilancia politica quanto in altri tempi una vittoria”. Siamo, evidentemente, nel 1844, ma la visione messianica della scrittura di Balzac è allo stesso tempo fortemente meritocratica e richiede al contempo un simbolo catalizzatore, che egli coglie nel prestigio di una monarchia costituzionale in grado di raccogliere le migliori energie del Paese. Nel fervore di un lavoro metodico e indefesso si stagliava una figura che Rilke ha descritto in poche battute cogliendone l’essenza al primo sguardo: “Era Balzac, nella fertilità del suo straripante talento; il fondatore di generazioni, il dissipatore di destini. Era l’uomo i cui occhi non avevano bisogno di nulla: se il mondo fosse stato vuoto, i suoi sguardi lo avrebbero popolato. […] Era la creazione in persona che si rivelava attraverso la figura di Balzac; era l’arroganza, l’orgoglio, la vertigine, l’ebbrezza della creazione”. “L’uomo era in lui cento volte più vasto e comprensivo dello scrittore”, disse di lui Lamartine, e basterebbe questa battuta a invogliare chiunque a riprendere in mano quelle splendide edizioni dedicate a uno degli spiriti immortali dell’umanità, colui che ancora ci introduce, in una forma larvata ma assolutamente definita, nel mondo opaco e dissoluto della criminalità intesa come continuo limite oltre il quale siamo indotti invariabilmente a misurare e soppesare le maschere infinite del teatro del mondo.


Cybercrime

tità di denaro dai bancomat. Nel maggio 2013 diversi In questo caso gli hacker media titolano “la truffa innon intaccano conti azienformatica del secolo”. Gli dali o individuali, ma i fondi investigatori statunitensi pardi Alice Manfredi accantonati dalle banche per lano di un gruppo criminaricaricare le carte prepagale, che, prendendo di mira i te, appunto. C'è ancora un bancomat in ventisette Paesi, elemento da considerare: il ha prelevato quarantacinque sistema funziona, perché in milioni di dollari in due dimolti Paesi, Stati Uniti comstinti episodi (Paisley Dodds, “World attempts to adjust to the rise of cyber crime“, presi, i bancomat accettano anche tessere con bande magnetiche senza chip che non garantiscono un Huffington Post, 11 maggio 2013). Nel dicembre 2012 avviene un primo colpo in cui buon livello di protezione dei dati. Una truffa quasi spariscono cinque milioni di dollari. Dopo questa perfetta, perlomeno nella sua parte “virtuale”. Il pas“prova generale” il gruppo mette a segno il colpo so falso che fa scoprire l'imbroglio avviene però nel grosso. Nel febbraio 2013, attraverso circa 36.000 mondo “reale”. Alcuni membri della cellula americaoperazioni e nell'arco di dieci ore, vengono rubati na della banda vengono, infatti, notati nei video delle telecamere che riprendono i bancomat. La quantità quaranta milioni di dollari. Come è stato possibile? Il meccanismo alla base è in realtà piuttosto sem- di banconote che tentano maldestramente di infilare plice. Un gruppo di hacker entra nei database delle negli zainetti è eccessiva e desta sospetto. banche sotto attacco, cancella i limiti di spesa delle Un caso come questo rende bene l'idea della relaticarte prepagate e genera nuovi codici con questa ca- va facilità con cui possono essere organizzate truffe ratteristica. Alcuni complici caricano quindi i codici di grandi dimensioni utilizzando il web. Un crimine appena creati su tessere magnetiche di vario tipo – in continuo aumento, come ha dichiarato in seguito bancomat scaduti, tessere fedeltà dei supermercati a questa truffa Marcin Skrowronek, uno degli invee persino chiavi elettroniche d'albergo. Infine, le tes- stigatori dell'European Cybercrime Center, istituito sere vengono utilizzate per prelevare ingenti quan- presso l'Europol. Secondo le sue dichiarazioni, ri-

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portate dall'Huffington Post “stiamo vedendo un numero senza precedenti di casi di truffe online che includono phishing di dati finanziari, virus, furti di carte di credito e altro”. Cyberspace, cybercrime, cyberzar Quando si affronta questo argomento ci si trova immediatamente di fronte a un guaio linguistico. Manca un'espressione unica e inattaccabile per delimitare il settore. In italiano, si parla spesso di “crimine informatico”, ma l'aggettivo – almeno nell'accezione comune – è troppo legato all'aspetto tecnico, alla “macchina” per comprendere i diversi fenomeni di criminalità sul web o che semplicemente si servono di esso. A sua volta, l'espressione “criminalità sul web” è limitante perché non include il crimine informatico che esisteva anche prima di internet. Nemmeno l'inglese risolve in modo definitivo la questione. Questa lingua si serve di due espressioni, per molti versi analoghe a quelle italiane: computer crime e cybercrime. Tra tutte, forse quest'ultima è comunque la più adatta perché il suo significato sconfina i pur vasti confini del web. La mole del cybercrime e le perdite complessive per aziende, cittadini, governi sono enormi e difficilmente calcolabili. Si tratta di un fenomeno per sua natura extranazionale e i singoli Paesi si trovano in difficoltà non solo a contrastarlo ma anche ad analizzarlo e misurarlo. Un'indicazione di grandezza può venire da una dichiarazione rilasciata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel gennaio 2009, quando afferma che il costo complessivo per gli americani nell'arco dei due anni precedenti ammonta a 8.000 miliardi di dollari (Randy James, “Cybercrime”, Time, 1 gennaio 2009). Questa valutazione spinge il presidente Obama a nominare addirittura uno cyberzar, una persona in grado di coordinare i diversi sforzi per combattere il cybercrime. Per questo ruolo viene nominato in un primo tempo Howard Schmidt, ex consulente di George W. Bush, sostituito, nel 2012, da Michael Daniel, da dieci anni a capo del ramo specializzato in intelligence dell'Office of Management and Budget istituito presso la Casa Bianca. Così come non è facile misurare e contrastare il cybercrime, altrettanto difficile è individuare un'evoluzione del fenomeno perché i diversi tipi di crimine non sono andati sostituendosi l'uno con l'altro, ma piuttosto sommandosi e intersecandosi tra loro. Ciò nonostante, è possibile individuare alcune tendenze considerando che quando si parla di criminalità in questo settore sono due le tipologie da considerare: da una parte la criminalità rivolta verso i computer, in genere per danneggiarli, dall'altra il sempre più diffuso crimine che si serve dei computer per colpire altri obiettivi.

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Anni sessanta e settanta: phone phreaking e sabotaggi Il precursore della criminalità informatica è il cosiddetto phone phreaking, la pirateria telefonica. Consiste nel modificare in modo illecito i sistemi di chiamata di lunga distanza per divertimento o per utilizzare il servizio senza pagare. Il primo pirata telefonico conosciuto nella letteratura sull'argomento è un bambino cieco di 7 anni che nel 1957 imparò a riprodurre, fischiando, il tono di 2.600 Herz che la compagnia telefonica statunitense AT&T utilizzava per consentire chiamate di lunga distanza (Elizabeth McCracken, “Dial-Tone Phreak”, New York Times, 30 dicembre 2007). In seguito, altri “pirati”, non altrettanto abili, realizzarono strumenti adatti a riprodurre artificiosamente il fischio, i cosiddetti blue boxe. Nei primi anni della criminalità informatica molto diffusi furono anche i sabotaggi che provocavano danni fisici alle macchine. Un caso singolare avvenne tra il 1970 e il 1972: presso la National Farmers Union Service Corporation di Denver si registrarono cinquantasei casi di rottura della testina del disco di un computer, causando ogni volta l'intervento di una squadra in grado di ripristinarlo. Più volte la macchina venne riparata e potenziata ma le rotture non cessarono. Finalmente, dopo due anni, si sospettò il sabotaggio e, per questo, sul luogo venne installata una telecamera. Fu possibile così filmare il cinquantasettesimo danneggiamento, a opera di un guardiano notturno, che utilizzava una chiave per rompere sistematicamente la macchina. Le indagini successive ebbero un esito sorprendente. Il guardiano, passato alla storia con il soprannome di “Albert il sabotatore”, soffriva la monotonia e la solitudine legate al suo lavoro e provocava le rotture per poter godere della compagnia della squadra d'intervento cui prestava sempre volentieri aiuto (Michel E. Kabay, A brief History of computer crime, Norwich University, 2008). Meno poetico un altro fenomeno riscontrato in quegli anni: molti furono i furti o le distruzioni di dati portati a termine con un accesso lecito ai sistemi di sicurezza, e cioè utilizzando le password corrette. Spesso opera di dipendenti malintenzionati a conoscenza dei codici di sicurezza. Anni ottanta e novanta: malware e crimini finanziari Gli anni ottanta sono quelli in cui cominciano a diffondersi i malware. Il termine, crasi di malicious software, indica i software creati con l'esplicito scopo di causare danni ai computer. Una piaga da cui non ci si è più liberati. I malware comprendono diverse tipologie. Tutti conoscono i virus, tecnicamente parti di codice maligni che si copiano all'interno dei programmi o del disco


fisso provocando danni ogni volta che vengono aperti. Ci sono poi gli worms che differiscono dai virus solo perché attaccano il sistema operativo. Non meno noti sono i cavalli di Troia, software apparentemente utili e innocui che quindi gli utenti installano senza allertarsi: purtroppo, oltre agli elementi attesi, contengano anche parti dannose. Altre tipologie sono poco conosciute, per lo meno tra i non esperti. Tra queste, le logic bombs, software programmati per danneggiare le macchine nel momento in cui si verificano determinate condizioni. Secondo un impiegato del Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti, Thomas C. Reed, il Governo americano autorizzò l'inserimento di una time bomb – una speciale versione delle logic bombs – in un software di controllo che sapevano sarebbe stato rubato dai sovietici per controllare il gasdotto transiberiano durante la guerra fredda. Il risultato fu un'esplosione senza precedenti (David E. Hoffman, “CIA slipped bugs to Soviets: Memoir recounts Cold War technological sabotage”, Washington Post, 27 febbraio 2004). Dagli anni novanta in poi virus e worms si diffusero senza precedenti. Molto noto fu “I Love you”, o ancora “Melissa” contenuto in un allegato a una email e in grado di inviarsi autonomamente ai primi cinquanta contatti dell'utente malcapitato. Gli anni novanta segnarono anche l'avvento di nuovi crimini finanziari. Invece di rubare e utilizzare le password corrette, gli hacker si specializzarono nel penetrare e quindi sovvertire i sistemi di sicurezza. A cavallo del nuovo Millennio e oltre Verso la fine degli anni novanta cominciò l'invio incontrollato di email pubblicitarie a migliaia di contatti. Era nato lo spam, un fastidioso fenomeno destinato a crescere negli anni successivi. Un problema che indusse molte aziende a sviluppare software in grado di filtrare le email sulla base del loro contenuto. Uno sfruttamento criminale della tecnica dello spam è il DoS (Denial of Service) che consiste nel ridurre l'accessibilità di un sistema, per esempio un sito internet, saturando le sue risorse – detto in modo più prosaico “bombardandolo di richieste”. Noto è il caso di un ragazzino di quindici anni che nel 2000 con lo pseudonimo di “mafiaboy” utilizzò questa tecnica e riuscì a mettere sotto scacco colossi del web come Yahoo, Amazon, eBay e CNN per diverse ore. Nell'ultimo decennio l'attenzione alla criminalità online si è concentrata su una sfera molto meno legata all'aspetto informatico rispetto a quanto visto fin qui. Si è posta giustamente sempre più attenzione ai rischi di maltrattamento, sfruttamento, abuso che le persone e, in particolare i minori, possono subire attraverso internet. Un rapporto del 2011 dell'Organiz-

zazione mondiale della Sanità, dal titolo “Safety and Security on the internet” si occupa della questione. È necessario partire anzitutto da un'osservazione banale e cioè che la percentuale dei ragazzi e dei bambini che nei paesi sviluppati ha accesso a internet ha ormai superato il 90%. In linea generale questi utenti sono a rischio perché – afferma il rapporto – internet consente ai malintenzionati un accesso istantaneo a un gran numero di potenziali vittime, oltre a offrire loro l'opportunità di creare proprie “comunità”. L'avvicinamento alle vittime può avvenire attraverso social networks, chat rooms, giochi di ruolo, mondi virtuali. La pedofilia non è l'unico rischio. Diverse ricerche hanno affrontato il tema del “cyberbullismo” che sembra diventato un problema importante per molti bambini e teenager. Le risposte a tali rischi non possono dirsi ancora soddisfacenti. Secondo una ricerca dell'Organizzazione mondiale della Sanità, riportata nel rapporto, solo meno della metà degli Stati ha siti istituzionali specializzati in sicurezza online o iniziative di educazione dei cittadini su questi temi. Inoltre, ancora meno diffusi sono gli strumenti tecnologici che possono limitare i rischi. Meno di un quarto dei Paesi prevede l'obbligo di filtri adeguati nei luoghi come scuole e biblioteche che consentono l'accesso a internet da parte dei minori. E nelle aree più sviluppate questa percentuale sale ad appena il 26%. Cappelli bianchi, neri e grigi Quest'ultimo tipo di criminalità ovviamente non è specifico del web o dei computer. In questo caso la rete è semplicemente lo strumento per portare a termine un crimine odioso il cui artefice potrebbe servirsi anche di altri mezzi di contatto. Intorno al crimine più propriamente informatico, invece, si è creata, a partire dagli anni ottanta, una mitologia e un ambiente underground i cui contorni sono molto sfumati. Esistono gruppi, riviste e convegni che con il tempo sono diventati un vero e proprio punto di riferimento per gli esperti del settore. Generalmente i gruppi criminali sono conosciuti come “cappelli neri” mentre i consulenti e gli esperti in sicurezza sono detti “cappelli bianchi”. A complicare le cose ci sono i “cappelli grigi”, hacker che usano metodi poco ortodossi per colpire le aziende e, a loro modo di vedere, denunciarne le falle in ambito di sicurezza. Da notare, infine, il grande numero di criminali informatici che, una volta scoperti e scontata la loro pena, sono passati nelle file degli esperti in sicurezza. Il passaggio inverso – da cappello bianco a cappello nero – è per ovvie ragioni meno noto, ma ragionevolmente non è da escludere.

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Scipio Sighele

La dicitura sul cartello della via loro forma contemporanea, le eponima nel paese di Nago, nei discipline che oggi chiamiamo la psicologia delle folle pressi della casa di famiglia, psicologia sociale e sociologia ricorda Scipio Sighele come (termine che pure allora era e le origini della sociologia “sociologo”. Pochi metri più in in circolazione da oltre mezzo del XX secolo là, si trovano il busto e la stele secolo). Per quanto a Sighele poste in sua memoria dagli sia in seguito toccato il ruolo studenti trentini nel 1921. Condi classico semi-dimenticato, di Andrea Mubi Brighenti siderato inoltre che la fortuna nel torno di anni dell’ultimo delle sue opere e la sua fama in decennio del XIX secolo e del vita furono notevoli, e che egli si trovò al centro di un primo del XX egli fu effettivamente al centro di uno intenso dibattito intellettuale a livello internazionale, straordinario dibattito di idee. Comprendere le folle tutto sembra indicare che, a un secolo esatto dalla significava, infatti, ragionare non solo su una nuova sua morte, Sighele possa essere oggi commemo- configurazione sociale, che poco più tardi sarebbe rato come il primo sociologo trentino. Le cose però stata chiamata società di massa, ma anche su una non sono così facili. nuova immagine del soggetto umano nelle sue Forse non è neppure di primaria importanza il fatto relazioni con gli altri, vale a dire la presa in conto di che Sighele non nacque, non visse stabilmente e quel territorio psichico che anche oggi chiamiamo non morì in Trentino, terra che rimase per lui una l’inconscio. Sighele operò perciò in un momento di sorta di patria del cuore. Qui erano le origini familiari intensa elaborazione intorno a una serie di catego– una famiglia borghese di magistrati, senatori del rie e concetti fondamentali che nel vocabolario della regno e procuratori generali, che i francesi ascrive- scienza sociale del XX secolo sono apparsi come rebbero probabilmente a quella che essi chiamano potere, organizzazione, identità e così via. la noblesse d’État – e la splendida villa ove egli si In quel contesto, il progetto di una psicologia colrecava per i soggiorni di studio, oltre che, sempre lettiva era di costituire un campo di studio che si più a partire dalla seconda metà degli anni novanta sarebbe occupato di quei fenomeni di associazione dell’Ottocento e nel primo decennio del Novecento, improvvisa (“eterogenei” e “inorganici”, come si per tenere conferenze politiche – che lo portarono esprimeva Sighele) che restavano esclusi tanto prima ad essere citato in tribunale (anno 1900) e dalla psicologia ottocentesca, la quale si occupava quindi ad essere espulso dai territori austriaci (1912, soprattutto delle facoltà e dei caratteri dell’indivil’anno prima della morte). duo, quanto dalla sociologia positivista, che si occuMa l’appellativo di “sociologo” richiede speciali cau- pava solo della caratterizzazione generale dei grandi tele non solo perché la stele posta dagli studenti sistemi storici. Si trattava, dunque, di installarsi nel all’inizio degli anni venti lo ricorda, più che come cuore di quel grande gioco d’azione che era stata scienziato sociale, come fervente patriota e irre- l’apparizione delle folle nel corso del secolo XIX. Ed è dentista. In effetti a ben vedere Sighele, pur collo- forse proprio perché al termine di un secolo di moti, cando i propri studi nell’ambito della scienza sociale, rivolte e sommosse urbane le folle erano divenute non si reclamò mai apertamente “sociologo”. Il suo oggetto principe delle preoccupazioni del potere interesse di giurista per i fenomeni criminali e per il costituito e la quintessenza della minaccia all’ordine diritto penale si era forgiato nell’ambito della scuola borghese che La folla delinquente è stato spesso positivista italiana (discendeva da una filiera illustre frainteso come un libro intriso di un elitista disprezzo dacché si era laureato con Enrico Ferri, a sua volta per le folle. Progetto politico di tipo marcatamente allievo di Cesare Lombroso), ma le sue ricerche pre- reazionario era d’altra parte quello di Le Bon, autore, sero una svolta inattesa quando a soli 23 anni, nel solo pochi anni dopo, nel 1895, di un lavoro che si 1891, pubblicò La folla delinquente. A partire di qui sarebbe rivelato ben più influente, la Psychologie egli introdusse – e più tardi, in una polemica di stile des foules. Solo più recentemente diverse riflessioni primum ego contro Gustave Le Bon, rivendicò l’in- contemporanee, come quelle di Jaap van Ginneken, venzione di – un nuovo ambito di studi o, come lo Suzanne Stewart-Steinberg e Damiano Palano, chiamò, un nuovo “ramo di scienza”: la “psicologia hanno riabilitato una visione più complessa e bilandelle folle”. Di che si trattava? ciata del pensiero di Sighele rispetto alla popolarizAnzitutto è bene sapere che oggi non esiste più zazione compiuta da Le Bon. uno specifico tipo di studi di questo genere: non Vero è che la tesi di fondo dell’analisi di Sighele vi sono né esami universitari né corsi di dottorato mirava a mostrare come la folla sia una situazione in così intitolati. Nondimeno, il dibattito sulle folle fu cui le emozioni s’intensificano, ma il ragionamento per così dire la culla in cui si sono forgiate, nella si semplifica, e che, dunque, essa è una creatura

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quanto fosse convinto che, comunque, l’elevazione morale della folla non sarebbe potuta provenire che dall’esterno (e dell’alto), l’aspetto più originale della sua analisi si situava nel tentativo di operare una sintesi di motivi e argomenti presenti tra la scuola italiana e quella francese. Laddove, infatti, l’antropologia positivista italiana si era focalizzata quasi esclusivamente sui fattori atavistici della devianza (il criminale come retaggio di epoche passate), l’antropologia medica e la criminologia francese avevano insistito sulle variabili ambientali e le dinamiche imitative. Sighele modificò in modo sostanziale la tesi della “degenerazione ereditaria” di Lombroso ma senza osare sfidarla apertamente, cercando anzi di rinvenire in Lombroso stesso le prime intuizioni di una presa in conto delle cause “ambientali”, ovvero diremmo noi sociali, del crimine. Nonostante questi tentativi di conciliazione è sempre più chiaro che, soprattutto negli anni seguenti, le influenze principali su Sighele non provengono più da Ferri, bensì da Tarde, l’originale ed eclettico teorico francese. In un

fotografia di Luca Chisté

intrinsecamente sbilanciata e pericolosa, oltre che intellettualmente mediocre: “da una moltitudine – consigliava l’autore – voi temete sempre, sperate di rado”. Nondimeno, il cuore del lavoro di Sighele era costituito da un’analisi delle dinamiche di imitazione, suggestione e “fermentazione psichica” che caratterizzano le situazioni di folla. Paradossalmente, proprio l’attenzione rivolta al contesto e alle variabili ambientali che caratterizzano l’agire delle persone all’interno della folla forniva un argomento difensivo circa la diminuita responsabilità nei confronti di chi in quel contesto compiva dei reati – argomento che, infatti, Ferri utilizzò in sede giudiziaria come avvocato difensore. Politicamente parlando, il giovane penalista trentino era un liberale con spiccate sensibilità socialiste, e le situazioni di folla che egli aveva in mente erano soprattutto quelle delle proteste che si coagulavano intorno al movimento socialista. Per quanto Sighele ritenesse che quel che una folla particolare avrebbe potuto fare sarebbe fatalmente dipeso dalla sua “costituzione antropologica”, e per

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certo senso Sighele si trovò a barcamenarsi tra due influssi intellettuali estremamente diversi e difficilmente conciliabili, tentandone una sua personale sintesi. Nel far ciò egli intuì e pose una serie di questioni di estrema importanza, a partire dal campo propriamente “collettivo” della costituzione sociale (tema che sarà di Durkheim) fino all’esistenza di forze che attraversano gli individui nella forma dell’inconscio (tema che sarà naturalmente di Freud): ma, poiché, almeno ufficialmente, Sighele rimase sempre reclutato nel campo della scuola positivista, quel che ne risulta è che egli si trovò a rappresentare, probabilmente in modo per nulla intenzionale, il miglior testimone della crisi di un importante modello epistemologico dell’Ottocento. Se allora Sighele prefigura così tanti temi sociologici, perché non annoverarlo a pieno titolo tra i sociologi? Il punto è che la sociologia del XX secolo – soprattutto nelle opere dei suoi fondatori Weber, Durkheim e Simmel, e nella sistematizzazione disciplinare che ne risulterà nei decenni successivi – nasce precisamente come una presa in conto della crisi del positivismo e da un conseguente tentativo di superamento. Sighele non compì quel passo, come rivelano anche gli inconvenienti metodologici dei suoi lavori. Clara Gallini, ad esempio, ha rilevato che le argomentazioni di Sighele sono spesso condotte a forza di massime, adagi e analogie, vale a dire di un orizzonte di senso comune, ignaro dei contemporanei tentativi di fondazione della scienza sociale moderna. Così come è sintomatico di una crisi dei modelli epistemologici, Sighele lo è altrettanto di una crisi di quelli politici. Forse non a caso, nel corso degli anni novanta, dalla scienza sociale i suoi interessi si spostarono sempre più verso gli argomenti politici e di attualità e la sua produzione divenne più pubblicistica, pamphlettistica e polemica. In questo campo il suo profilo è probabilmente ancora più complesso da tracciare, poiché riguarda lo statuto dell’intellettuale nella vita pubblica moderna. Può essere interessante ora accennare due ultimi elementi per la riflessione. Nel 1895, Sighele pubblicò un pamphlet che suscitò vivaci reazioni. Si tratta di Contro il parlamentarismo, più tardi ripubblicato con il più sobrio titolo di Il Parlamento e la psicologia collettiva. In reazione, alcuni commentatori lo presero per un anti-democratico tout court. In realtà, l’analisi ivi condotta discende in modo conseguente dall’impostazione teoretica dello studio delle folle, poiché per Sighele vale l’assioma che in fondo “ogni assemblea è una folla”. Il problema è sempre quello della qualità di azione dei corpi collettivi, e indubbiamente non ci si allontana da un pessimismo di fondo. Sia in campo intellettuale sia in

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campo morale la performance del parlamento è giudicata scadente da Sighele, affetta da “fatali esagerazioni”: “la Camera è psicologicamente una femmina e spesso anche una femmina isterica”. Anche sul meccanismo elettorale Sighele si fa poche illusioni, poiché l’elettore non è “altro che un suggestionato”. A dispetto dell’analisi, però, che di per sé potrebbe anche sottendere un disegno antidemocratico o elitista, in realtà l’obiettivo del testo è di tipo riformista: la proposta finale del saggio è, infatti, di ridurre il numero dei Parlamentari e di retribuirli con un giusto compenso costringendoli contemporaneamente a non esercitare altri lavori (e incidentalmente non è chi non veda l’attualità dei due temi). Dato poi il sotteso della battuta sul Parlamento “femmina isterica”, che oggi giudicheremmo sessista in modo imbarazzante, il secondo punto che vorrei brevemente toccare riguarda la copiosa produzione di scritti sulle donne, il femminismo, l’amore e la morale sessuale, che occupa Sighele a partire dalla fine degli anni novanta. Anche in questo campo, la disinvoltura apparente di Sighele nel trattare delle bizzarrie dei costumi sessuali del proprio tempo, che vanno dal “quinto sesso” ai “gigli” (alias, le zitelle), finisce per mescolare in modo che risulta oggi persino un po’ comico un tentativo di porsi nel ruolo di osservatore disincantato e ironico delle dinamiche sociali, insieme a una volontà riformista che intende senza dubbio confrontarsi con un' ampia gamma di dati e situazioni, senza però mettere in discussione il quadro di un tradizionalismo morale che avrebbe richiesto ancora parecchi decenni prima di cedere (e per il quale la massima aspirazione della donna era la sua realizzazione come madre). In ultimo, di Scipio Sighele non va dimenticato che morì a 45 anni e in questo senso il suo pensiero non può essere considerato compiuto. Direi di più: a mio avviso, l’aspetto più interessante di questo percorso intellettuale è proprio quello in cui si colgono elementi non risolti e dinamici. In comune con Sighele e gli altri autori del dibattito sulle folle di fine Ottocento abbiamo una serie di problemi. Non è in fondo anche la nostra una nuova “era delle folle”, sebbene le folle con cui abbiamo a che fare non sono solo quelle nelle strade (che pure ci sono) ma anche le folle di dati digitali? Evidentemente non possiamo prendere per buone le risposte che questi autori si diedero, né probabilmente i concetti e le leggi sociali che, spesso con una certa facilità, essi asserirono: nell’affrontare il loro pensiero, dobbiamo storicizzarlo. Se le risposte che Sighele si è dato, tuttavia, non ci vanno più bene, mi pare interessante sottolineare come le questioni che egli si pose siano ancora attualissime; anche solo in questo senso, tornare oggi a studiarlo è assai utile.


Fallo involontario

Nel secolo scorso il dibattito “Nessuno può essere punito svoltosi tra psichiatria e giuper un'azione od omissione imputabilità, stizia in Italia si è incentrato preveduta dalla legge come particolarmente, in ambito reato, se non l'ha commesso responsabilità penale, sul problema dell'imcon coscienza e volontà”. e infermità mentale putabilità (articoli 88 e 89 Questo articolo è l'espresc.p.), della pericolosità sociasione del rispetto del princile (articoli 202 e 203 c.p.), e in pio fondamentale in base al di Felice Ficco minor grado, in ambito civile, quale ogni persona è responsui temi relativi a forme di lisabile delle proprie azioni e mitazione della capacità d'agire, quali l'interdizione e omissioni, salvo prova contraria. E la “prova conl'inabilitazione (articoli 414 e 415 c.c.). traria” è contenuta in precisi disposti di legge che Al giorno d'oggi la psichiatria forense attraversa un vanno dall'articolo 85 all'articolo 98 c.p.: tra questi, periodo di grande interesse suscitato dall'attenzio- l'infermità di mente. ne crescente che i mass-media rivolgono a fatti di In altre parole, ciò significa che un soggetto deve cronaca registrati in diversi contesti. E sempre più sempre rispondere (responsabilità) davanti alla legspesso psichiatri forensi e criminologi compaiono in ge quando commette un fatto preveduto come reato programmi televisivi per trattare in qualità di esperti e, se di questo è imputabile, per questo deve essere di delitti e reati i più vari. Anche nelle aule di tribuna- punito. Per quanto riguarda l'imputabilità dell'autole, da parte di giudici e/o avvocati, la presenza dello re di reato il codice penale attualmente in vigore è psichiatra viene invocata sempre più spesso affinché regolata dagli articoli 85, 88 e 89 del codice penale, fornisca una valutazione peritale sulla capacità di in- precisamente: tendere e di volere del reo al momento del reato. Articolo 85 c.p. – Capacità d'intendere e di volere La perizia psichiatrica, infatti, è lo strumento utiliz- “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto zato dal diritto per verificare la presenza o meno di dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha condizioni di malattia mentale di rilievo giuridico in commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha una persona accusata di aver commesso dei reati. In la capacità d'intendere e di volere”. termini molto semplici: se un individuo è portatore Articolo 88 c.p. – Vizio totale di mente di un evidente disturbo psichiatrico (o neurologico “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha comcomportamentale) e commette un reato, quello che messo il fatto, era, per infermità, in tale stato di menè richiesto al medico è di valutare se questo fatto è te da escludere la capacità d'intendere o di volere”. “sintomatico” della malattia stessa o meno, e se per- Articolo 89 c.p. – Vizio parziale di mente ciò ne possono derivare conseguenze sul piano della “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, responsabilità penale. La legge vieta tassativamente per infermità, in tale stato di mente da scemare granogni indagine psicologica o personologica sull'auto- demente, senza escluderla, la capacità d'intendere o re del reato. In altre parole, la perizia è esclusivamen- di volere, risponde del reato commesso, ma la pena te un accertamento psichiatrico, volto cioè a stabilire è diminuita”. Quindi l'imputabilità è legata alla capala presenza o meno di un'infermità mentale. Il que- cità d'intendere e di volere del soggetto, al momento sito che il giudice pone allo psichiatra è il seguente: in cui questi ha commesso il fatto-reato. “Dica il perito, esaminati gli atti di causa, visitato In altre parole, tutti coloro che, compiuto il diciottesi(nome e cognome), eseguiti tutti gli accertamenti mo anno d'età, commettono un reato, sono imputaclinici e di laboratorio che riterrà necessari ed op- bili, tranne che si tratti di autori che – al momento del portuni (e che fin d'ora si autorizzano nei limiti del 2° fatto per cui si procede – si trovavano, per infermità, comma dell'articolo 228 del c.p.p.), se al momento in tale stato di mente da escludere o scemare grandel fatto per cui si procede, la capacità di intendere e demente la loro capacità d'intendere o di volere. di volere di (nome e cognome), fosse, per infermità, Vediamo allora cosa s’intende per “capacità”. esclusa o grandemente scemata”. Alla luce di que- Capacità d'intendere è, per tutti gli autori, quella caste brevi considerazioni introduttive risulta che tra le pacità di comprendere (non solo a capire, quindi) il problematiche centrali, in ambito psichiatrico foren- valore e, quindi, il disvalore sociale dei propri atti e se, particolare rilievo assume il rapporto esistente di valutare l'efficienza causale degli stessi. tra responsabilità, imputabilità e infermità di mente. Capacità di volere consiste invece nell'attitudine del soggetto, dopo essersi reso conto del valore dell'atResponsabilità e Imputabilità to che sta per compiere, a volerlo o non volerlo, cioè Nei riguardi della responsabilità, cosi recita l'articolo all'idoneità che il soggetto ha avuto ad autodetermi42 del c.p.: narsi in vista del compimento o dell'evitamento di

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quell'azione che si è costituito in reato. L'imputabilità è data quindi dalla presenza di ambedue le capacità (articolo 85 c.p.): tuttavia, nel momento in cui è stato commesso un reato, è sufficiente che anche solo una delle due sia esclusa o gravemente scemata per parlare rispettivamente di vizio totale (articolo 88 c.p.) o parziale (articolo 89 c.p.) di mente. Tra il vizio totale e quello parziale la differenza è essenzialmente quantitativa, in relazione cioè al grado o misura dell'incidenza del disturbo sulla psiche del soggetto. Il vizio totale, determinante la non imputabilità del soggetto, richiede che l'infermità sia tale da escludere completamente la capacità d'intendere o quella di volere, mentre il vizio parziale si ha quando l'infermità scemi grandemente senza escludere la capacità intellettiva o volitiva del soggetto che rimane pertanto imputabile, sia pure con una pena ridotta.

da qualsivoglia “stato di mente per infermità”, quanto dal suo rapporto con l'atto commesso. Altrimenti si potrebbero considerare, a priori, ad esempio, tutti gli schizofrenici come non imputabili tout-court nel momento in cui commettono un fatto-reato. Ugo Fornari (Trattato di psichiatria forense, Torino, Utet, 2008, p. 155) afferma: “In linea di massima, si può ipotizzare che vizio di mente (totale o parziale) esista solo in quei casi in cui il reato può, a buona ragione, essere iscritto in determinati disturbi mentali di cui il soggetto è portatore e del correlato, alterato suo funzionamento essere ritenuto sintomatico: in difetto o in assenza di detto rapporto, anche il malato di mente può essere ritenuto imputabile per il reato che gli viene addebitato, dal momento che, pur essendo egli affetto da disturbi psichici, questi non incidono funzionalmente sul suo comportamento criminale che si colloca in spazi convenzionali (e funzionali) di ‘libertà’, ‘autonomia’ e ‘capacità’ dell'Io”. Questa è la profonda differenza esistente tra l'agire psichiatrico medico (valutare un quadro morboso al fine di una diagnosi e una terapia) e l'agire psichiatrico forense (valutare un comportamento deviante a fini normativi – accertamento della non imputabilità per vizio di mente – e prognostici – giudizio di pericolosità sociale psichiatrica).

Malattia e infermità La nozione “stato di mente per infermità” indica un concetto molto più ampio, e meno definito, rispetto a quello di malattia mentale propriamente detta. Essa comprende varie entità che non devono essere necessariamente di natura psichica, potendosi trattare anche di un’”'infermità fisica”, purché concretamente incidente sulla capacità d'intendere o di volere del soggetto, sì che qualsiasi condizione mor- Pericolosità sociale psichiatrica bosa è idonea a configurare il vizio di mente, purché Il giudizio d'imputabilità, come detto, è legato alla d'intensità tale da escludere totalmente o scemare capacità d'intendere o di volere del soggetto autore di reato. Se questi, dopo gli accertamenti psichiatrigrandemente detta capacità. Qualunque sia questa infermità, essa non deve esse- co-forensi, risulta essere non affetto da infermità di re accertata in assoluto ma sempre e comunque in mente in misura penalmente rilevante, egli risponstretta relazione col reato commesso: in altre parole derà pienamente del fatto addebitatogli; se invece è deve intercorrere un rapporto di causa ed effetto tra stata riscontrata un’infermità ai sensi dell'articolo 88 la violazione della norma penale e l'infermità di men- c. p., egli verrà prosciolto oppure, se affetto da vizio parziale di mente te. La presenza di (articolo 89 c. p.), una psicosi tout- Fame, follia, crimine Antoine Wiertz - (1853). Museo Reale delle Belle Arti, Bruxelles verrà processato court non esclude e, se condannato, automaticamente avrà la pena dimil'imputabilità, ma nuita. deve essere accerQuindi se il sogtata caso per caso getto autore di e nella sua incireato, già riconodenza sulla comsciuto affetto da missione di un infermità di menfatto illecito. te ai sensi degli La non imputabiarticoli 88-89 c. p. lità o l'imputabi(e quindi all'epolità non derivano ca dei fatti), è anquindi dall'accertache al momento mento o meno di dell'indagine peun disturbo psicoritale affetto dalla patologico riconomedesima infersciuto come tale o

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mità, il perito dovrà esprimere un giudizio sull'esistenza o meno nel periziando di pericolosità sociale di tipo psichiatrico. Il giudice, infatti, chiede al perito: “in caso di accertato vizio di mente, dica altresì il perito se (nome e cognome) sia da ritenersi persona socialmente pericolosa”. L'articolo 203 c.p., Pericolosità sociale, recita: “Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o punibile, la quale [...] è probabile che commetta nuovi fatti riconosciuti dalla legge come reati”. La pericolosità sociale comporta l'applicazione delle misure di sicurezza. Caduta ogni presunzione, si è affermato il principio in base al quale la pericolosità sociale deve sempre essere accertata (articolo 31, legge 663/1986). Nel caso della perizia psichiatrica, è chiaro che il perito si pronuncia sulla pericolosità sociale derivata e correlata all'infermità mentale e non ad altri tipi di pericolosità sociale: deve quindi rispondere al quesito solo se ha ravvisato un quadro di patologia di mente tale da costituire vizio totale o parziale (pericolosità sociale psichiatrica). Il giudizio di pericolosità sociale psichiatrica deriva, dunque, dal fatto che un soggetto, riconosciuto infermo di mente in misura penalmente rilevante

all'epoca del fatto e autore del fatto stesso, possa, perdurando tale infermità, con probabilità, commettere nuovi reati. Se accertato il vizio di mente il perito deve specificare se – allo stato – (cioè al momento dell'accertamento peritale) la patologia di mente persista e sia tale da rendere il periziando socialmente pericoloso. Due sentenze recenti della Corte costituzionale hanno abolito il principio dell'automatismo della misura di sicurezza psichiatrica. Con il dispositivo di queste sentenze l'autore di rea­to malato di mente, prosciolto e socialmente pericoloso, non può più solo essere internato in un manicomio criminale, ma può godere di un altro provvedimento più “morbido”: la libertà vigilata, definita “misura più efficace terapeuticamente”. Con altra pronuncia, la Consulta ha esteso la facoltà di disporre, anche in fase cautelare e in via provvisoria, misure di sicurezza non detentive nei riguardi di persona inferma di mente e socialmente pericolosa (Corte costituzionale, 17-29.11.2004, n. 367). Allo stato attuale le strutture alternative per l'accoglienza di questi soggetti sono le Comunità terapeutiche funzionanti sul territorio, cui già si accede in regime di arresto o di detenzione domiciliare o la custodia cautelare in luogo di cura.

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Jacques de Saint-Victor, Patti scellerati: una storia politica della mafia in Europa, Torino, UTET, 2013 L’Autore porta alla luce le radici profonde della mafia e delle altre forme di criminalità organizzata: dai più oscuri recessi della società agraria e feudale del Meridione d’Italia, governato dai Borboni, all’influenza esercitata all’ombra dello Stato monarchico, dopo l’unificazione nazionale, dalla convivenza con il regime fascista all’inconfessabile alleanza con i servizi segreti alleati che preparano la strada allo sbarco in Sicilia. Per arrivare infine allo scenario degli ultimi decenni, quando il ventaglio degli affari della grande criminalità si amplia a dismisura, con il sacco edilizio delle città italiane, il business della droga condiviso con i narcos latino-americani, il traffico di esseri umani e di armi spartito con la delinquenza dell’Est, la gestione clandestina dei rifiuti. Michael Weisser, Criminalità e repressione nell'Europa moderna, Bologna, Il mulino, 1989 Un profilo di storia sociale del crimine tra la fine del Medioevo e l'età moderna sino all'Ottocento. Riconoscendo al comportamento aberrante dell'ex-lege una propria logica interna, l'Autore muove dall'ipotesi che l'attività criminale e i sistemi di pena riflettano i rapporti sociali, poiché il crimine è un effetto delle tensioni insite in tali rapporti e la pena ne è una risposta; incremento demografico, processo di urbanizzazione, deterioramento del tenore di vita nelle campagne e, più tardi, sorgere di una classe operaia e di un nuovo pauperismo sono per Weisser le cause che condussero, a partire dal Cinquecento, a un vero e proprio incremento della criminalità. Tale incremento, cui corrisponde la nascita dei corpi di polizia e la centralizzazione delle giurisdizioni, viene poi indagato in rapporto al trionfo del diritto penale pubblico su quello privato e all'adozione di codici di pena sempre più severi. Giorgia Alessi Palazzolo, Il processo penale: profilo storico, Laterza, Bari-Roma, 2001. Come nacque, nell'Europa medievale, l'indagine giudiziaria? Com'è cambiata la giustizia penale dall'epoca dei supplizi alla Rivoluzione francese? A quali valori si riferiva, di volta in volta, l'espressione “giusto processo”? Sono queste le domande cui l'Autrice cerca di rispondere in questo libro, illustrando le radici europee delle forme processuali contemporanee.

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Comportamenti, riprovazione sociale, penalizzazione e punizione interviste con Maria Rosa Di Simone ed Ernesto Ugo Savona a cura di Paola Bertoldi Maria Rosa Di Simone è professore ordinario di Storia del diritto Italiano presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Laureata in Lettere e in Giurisprudenza, Professore ordinario dal 1989, ha insegnato presso le Università di Roma “La Sapienza”, di Trieste e di Teramo. Fra le altre cose è socio corrispondente della Società romana di storia patria e dell'Accademia roveretana degli Agiati di scienze, lettere ed arti, è socio ordinario dell’Istituto nazionale di studi romani e membro della Société française d'histoire du droit. È autrice di numerose pubblicazioni, fra le quali si ricordano: La Sapienza romana nel Settecento: organizzazione universitaria e insegnamento del diritto (Roma 1980); Aspetti della cultura giuridica austriaca nel Settecento (Roma 1984); Legislazione e riforme nel Trentino del Settecento: Francesco Vigilio Barbacovi tra assolutismo e illuminismo (Bologna 1992); Percorsi del diritto tra Austria e Italia (secoli XVII-XX) (Milano 2006); Istituzioni e fonti normative in Italia dall’antico regime al fascismo (Torino 2007). Ha curato inoltre vari volumi tra i quali: La giustizia dello Stato pontificio in età moderna (Roma 2011); Profilo di storia del diritto penale dal Medioevo alla Restaurazione: lezioni (Torino 2012).

Ernesto Ugo Savona è professore ordinario di criminologia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove dirige il programma internazionale in scienze criminologiche e della sicurezza (Percorso CRIME&TECH) della Laurea magistrale in Scienze sociali applicate e del Dottorato internazionale in criminologia) e TRANSCRIME, il Centro inter universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale. Ha insegnato nelle Università di Trento e Roma “La Sapienza”. È uno degli esperti che la Commissione Europea ha designato nel Comitato per l'analisi dei bisogni di statistiche criminali in Europa. Dal 1996 al 2000 è stato eletto nel Comitato criminologico del Consiglio d'Europa a Strasburgo, ed è uno dei cinque “eminenti” accademici europei che l'Unione europea ha chiamato nel 1998 per sviluppare un programma di ricerche sulla criminalità in Europa e sui mezzi per contrastarla. È stato consulente delle Nazioni Unite e di diversi paesi, visiting scholar e visiting professor presso la Yale Law School, Oxford, Cambridge e Università di Salta (Argentina). Nel settembre 2003 è stato eletto presidente della European Society of Criminology. È autore di numerosissime pubblicazioni, nonché direttore della rivista European Journal on Criminal Policy and Research.

Justitia, incisione di Jost Amman (1539-1591)

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Maria Rosa Di Simone: “Una svolta fondamentale fu segnata in età comunale dalla riscoperta del diritto romano e dal conseguente sviluppo della scienza giuridica che elaborò la distinzione del dolo dalla colpa, la classificazione degli atti criminosi, l'individuazione di attenuanti e aggravanti”. Come tutti i concetti anche quello di “comportamento criminale” ha conosciuto una progressiva evoluzione. Può raccontarcela brevemente? Gli antichi popoli germanici avevano una concezione essenzialmente oggettiva del delitto, ossia tenevano conto esclusivamente del danno materiale arrecato dall'azione di un soggetto, indipendentemente dall'intenzione e dalle circostanze. Fu il cristianesimo a modificare gradualmente questa visione semplificata e primitiva in quanto, nell'ambito della definizione dei peccati e delle relative punizioni, la Chiesa attribuì significativa importanza alla volontà dell'agente, alle cause e alle condizioni nelle quali si era verificato l'illecito, influenzando gli usi barbarici. Una svolta fondamentale fu segnata in età comunale dalla riscoperta del diritto romano e dal conseguente sviluppo della scienza giuridica che elaborò la distinzione del dolo dalla colpa, la classificazione degli atti criminosi, l'individuazione di attenuanti e aggravanti. Il Tractatus de maleficiis di Alberto da Gandino (XIV secolo) realizzò la prima sistemazione organica della materia e nel Cinquecento e Seicento la riflessione in questo campo progredì costantemente grazie ad alcuni giuristi europei (come Egidio Bossi, Giulio Claro, Tiberio Deciani, Prospero Farinacci, Joost Damhouder, Pierre Ayrault, André Tiraqueau, Benedikt Carpzov, Anthon Matthes) che scrissero impegnativi trattati specificamente dedicati al diritto penale. In quest'epoca permaneva ancora una stretta connessione tra la sfera religiosa e quella secolare che induceva all’identificazione del peccato con il reato sicché alcuni comportamenti, quali la bestemmia, la profanazione di oggetti o luoghi sacri, l'eresia, la stregoneria, erano considerati gravissimi e puniti severamente dalle autorità laiche. Verso la fine del Seicento, tuttavia, ad opera del giusnaturalismo, iniziò in Europa un processo di separazione del diritto dalla teologia con la conseguenza che il delitto fu considerato non più sotto il profilo dell’infrazione alla legge morale ma sotto quello del turbamento della tranquillità pubblica e privata. Questa impostazione fu ripresa e approfondita nell'Illuminismo e fu recepita nella codificazione ottocentesca. Da punizione a rieducazione: quando, come è perché è avvenuto questo passaggio? Il fine di correzione attribuito alla pena è presente sin dal Medioevo soprattutto nel diritto canonico

dove l'obiettivo supremo della salvezza delle anime induceva a cercare di suscitare il pentimento del reo per ottenere il perdono. Tuttavia nel XVII e XVIII secolo si sviluppò e generalizzò l'idea secondo la quale lo scopo precipuo delle sanzioni era non tanto il castigo quanto la prevenzione dei delitti e l'emendazione sia dell'intera società che del singolo colpevole. Dapprima i giusnaturalisti e poi gli illuministi, che da essi ripresero e approfondirono numerose idee, si adoperarono per valorizzare i diritti e la libertà degli individui ritenendoli fondati sulla natura stessa e, in questo contesto, assegnarono alle sanzioni lo scopo precipuo di prevenire anziché punire i delitti, ossia di trattenere i membri della comunità dal compiere azioni nocive per evitarne le dolorose conseguenze. Allo stesso tempo sostennero l'opportunità di sostituire il carcere a molte pene allora in uso per consentire il ricupero morale e civile del condannato attraverso un'opera di rieducazione ai valori della società. Tale funzione della detenzione fu accolta e ulteriormente elaborata nell'Ottocento sia sul piano teorico, sia nella legislazione, anche se l'applicazione pratica di essa ha presentato fino ai nostri giorni notevoli ostacoli concreti rimanendo spesso un obiettivo irrealizzato. Nel secolo dei Lumi un grande dibattito investe il settore del diritto penale. Quali sono i temi maggiormente trattati e i suoi protagonisti nel panorama italiano? Il diritto penale occupò un posto molto rilevante nella scienza giuridica e nella normativa della seconda metà del Settecento. Figura centrale è considerato l'intellettuale milanese Cesare Beccaria che, con il suo trattato Dei delitti e delle pene (1764), affrontò nel suo insieme la complessa problematica dell'intera materia, esponendola in modo chiaro ed efficace, sulla scia delle moderne dottrine francesi, inglesi e austriache. Egli aderiva a posizioni decisamente utilitariste, egualitarie e laiche, sosteneva il principio di legalità e il primato della legge, ridimensionava il ruolo del giudice, sottolineava la fondamentale importanza della certezza e della rapidità di applicazione della pena nonché l'opportunità di una generale mitigazione dei duri metodi dell'epoca giungendo a teorizzare l'abolizione della tortura e della pena di morte. La sua opera ebbe un’immediata ed estesa diffusione in Italia e all'estero e riscosse uno strepitoso successo divenendo il manifesto dell'illuminismo europeo in materia penale e fonte d’ispirazione e di discussione per innumerevoli filosofi e giuristi di vari Paesi. In Italia diverse personalità di valore – come Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano, Filippo Maria Renazzi, Luigi Cremani, Tommaso Nani, Gian Domenico Romagnosi – ripresero e approfondirono i temi da lui trattati. Essi esamina-

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rono importanti questioni quali il diritto di punire, la sua titolarità e i suoi limiti, la funzione, la qualità e la misura delle pene, il concetto e la classificazione dei delitti, il dolo e la colpa, i difetti del meccanismo processuale, giungendo attraverso un ampio dibattito a prospettare un’irreversibile rottura con il passato. Lei ha avuto modo di approfondire la conoscenza di Francesco Vigilio Barbacovi e la situazione del Principato vescovile di Trento nella seconda metà del Settecento. Com’era amministrata allora la giustizia penale in questo territorio? L'ordinamento trentino, secondo il generale modello del tempo, era caratterizzato da un accentuato particolarismo e dalla commistione di funzioni amministrative e giurisdizionali. Una parte del territorio, con la città di Rovereto, rientrava nella competenza della Contea del Tirolo mentre l'altra, con la città di Trento, spettava al Principato e comprendeva giurisdizioni amministrate direttamente (da funzionari vescovili) o mediatamente (da feudatari). Mancava un’organizzazione uniforme, ordinata e articolata della giustizia e le numerose comunità cittadine e rurali si regolavano in modo largamente autonomo, sulla base degli statuti e delle norme locali, con autorità giudicanti che prendevano denominazioni differenti secondo i casi. Così, a Trento e a Riva le cause civili e criminali erano affidate a un podestà nominato dal principe vescovo e coadiuvato da cancellieri, mentre nelle valli e nelle altre località la funzione era svolta da vari ufficiali come assessori, commissari, luogotenenti e vicari. Supremo organo giudiziario era il Consiglio aulico di Trento il quale giudicava in appello le sentenze dei magistrati locali. Il diritto penale è il settore al quale Barbacovi ha dedicato gran parte delle sue opere. Potrebbe descrivere in che cosa consiste la modernità del suo pensiero rispetto al periodo in cui è vissuto? Barbacovi si dimostra nelle sue opere di diritto penale particolarmente sensibile alle idee innovatrici dell'Illuminismo, tendendo a individuare i modi della concreta applicazione di esse piuttosto che a discuterle sul piano filosofico. Al centro della sua riflessione sono il corretto uso del diritto di punire da parte del sovrano e l'efficace ed equa commisurazione delle sanzioni ai delitti. A tale scopo attribui­ sce rilievo non solo al danno provocato dal reo ma anche alle sue condizioni personali (come lo stato di necessità, la paura, l'ira, l'ubriachezza, l'età, la malattia, l'ignoranza, il sesso, la parentela) che definivano il grado di dolo dell'azione. Il suo accentuato utilitarismo pone in secondo piano le considerazioni di tipo etico per dare maggiore importanza allo scopo pratico di prevenire i crimini mediante misure che controbilanciassero in modo quasi matematico i vantaggi attesi da essi. Pertanto procede a una det-

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tagliata e precisa catalogazione dei tipi di reato e delle relative pene formando uno schema uniforme e rigoroso che avrebbe lasciato al giudice uno spazio di manovra assai limitato. Lo spirito umanitario e la sensibilità sociale lo inducono a una generale mitigazione delle sanzioni, tuttavia, in contrasto con Beccaria, ritiene necessario mantenere la pena di morte, raccomandando di usarla raramente e di eseguirla in modo pubblico e solenne per ammonire gli spettatori, ma rapidamente e senza tormenti aggiuntivi per il reo. Un'altra questione importante che emerge nel corso del Settecento rispetto all'amministrazione della giustizia è la modalità di svolgimento del processo. Quali posizioni si contrappongono e come si è evoluto fino ai nostri giorni tale procedimento con riferimento sia al variegato quadro della penisola italiana che a quello di ambito austriaco? Nel corso del Settecento si accese una vivace disputa sui pregi e i difetti del sistema accusatorio e di quello inquisitorio. Il primo, di origine romana, aveva carattere prevalentemente privatistico, in quanto avviava il giudizio con l'accusa di una parte sulla quale poi incombeva l'onere di provare le affermazioni dinanzi a un giudice investito essenzialmente della funzione di garante della regolarità formale. Il secondo, diffusosi e generalizzatosi nell'età comunale, accentuò il carattere pubblicistico attribuendo al giudice un ruolo centrale con il compito di perseguire d'ufficio almeno i reati più gravi e di procedere poi alle indagini, alla raccolta delle prove, all'arresto, agli interrogatori, alla formulazione della sentenza. La maggior parte degli atti era in forma scritta e segreta e decisivo rilievo si attribuiva alle cosiddette prove legali. I diritti dell'imputato risultavano alquanto compressi: basti pensare che la prova principale era fornita dalla confessione per ottenere la quale era applicata, di regola, la tortura. I giuristi illuministi criticarono con energia il meccanismo vigente, in particolare l'irrazionalità e la crudeltà dei metodi, l'eccessivo formalismo, gli esorbitanti poteri del magistrato, la concentrazione in lui delle funzioni istruttorie e giudicanti, il sistema probatorio e prospettarono riforme importanti quali la separazione delle figure dell'accusatore e del giudice, la presenza di una giuria popolare, la pubblicità e oralità, il principio del libero convincimento del giudice, l'abolizione della tortura. Le loro idee ispirarono la legislazione in alcuni Paesi europei: sovrani illuminati come Federico II, Maria Teresa e Giuseppe II, intervennero con decisione abolendo la tortura e modificando aspetti del processo secondo criteri più razionali, moderni e umani. L'ordinanza giuseppina del 1788, pur non consentendo l'intervento dell'avvocato e mantenendo la forma scritta e la segretezza, prevedeva alcune garanzie per l'imputato,


limitava la pena capitale, preveniva gli abusi del giudice. L'influenza austriaca si rifletteva nella penisola italiana nella normativa e nei progetti elaborati in Lombardia e nella Leopoldina emanata nel 1786 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo. In Francia la svolta occorse durante l'epoca rivoluzionaria quando nella legislazione del 1791 furono accolti gli ideali illuministici e introdotta una serie di garanzie per gli imputati, mentre il napoleonico Code d'instruction criminelle (1808), ridimensionava alcune conquiste distinguendo nettamente tra la fase istruttoria scritta e segreta e quella dibattimentale pubblica e orale, ma manteneva i principi della giuria popolare e del libero convincimento del giudice. Durante la Restaurazione le terre italiane governate dall'Austria furono regolate dal codice asburgico del 1803, improntato all'antiquato sistema inquisitorio che era funzionale al regime assolutistico, e gli altri Stati da codici ricalcati in varia misura su quello francese senza, tuttavia, l'importante istituzione della giuria popolare. Questa fu introdotta dopo l'Unità con il codice del 1865 e nel 1913 fu emanato un nuovo testo che presentava un carattere spiccatamente innovativo e liberale anche se i suoi principi ebbero difficile applicazione durante la guerra 1915-1918. Nel 1931 fu sostituito dal codice Rocco di chiara impronta autoritaria che restringeva i diritti degli imputati, esaltava la figura del pubblico ministero e rafforzava i poteri del giudice. Indulto, amnistia, grazia sono strumenti dei quali ciclicamente si torna a parlare come extrema ratio per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri, ma quando e come storicamente si affermano questi concetti?

La grazia fu sin dai tempi più remoti prerogativa delle autorità preposte all'ordinamento o alla funzione giurisdizionale. In base al diritto giustinianeo essa era distinta in: pubblica (decisa dall'imperatore in occasione di solennità o di avvenimenti lieti e importanti), privata (concessa dal giudice su domanda), legittima (ottenuta su richiesta del reo dopo la morte dell'accusatore). Nel Medioevo e in età moderna i sovrani usavano, con un provvedimento di carattere generale o indulto, liberare i condannati dalle pene in occasione di eventi quali l'ascesa al trono, il matrimonio, la nascita di figli e avevano facoltà di intervenire con la grazia particolare nei singoli casi decisi dai tribunali. La disciplina al riguardo era incerta e variabile da luogo a luogo mentre la dottrina disputò a lungo se anche i signori, i baroni e i feudatari investiti di funzioni giudiziarie avessero analogo potere. I giuristi illuministi sottoposero l'istituto a una serrata critica e alcuni, sulle orme di Beccaria, sostennero la necessità di abolirlo completamente poiché rendeva incerta l'applicazione della legge: tuttavia esso continuò a caratterizzare i sistemi penali nell'Ottocento e nel Novecento. Nel nostro attuale ordinamento i provvedimenti di clemenza sono: la grazia con carattere individuale e concessa dal Presidente della Repubblica su domanda del condannato, di suoi familiari o avvocati, che condona in tutto o in parte la pena inflitta con sentenza passata in giudicato; l'indulto e l'amnistia, entrambi con carattere generale ed emanati dal Parlamento con legge votata a maggioranza di due terzi, dei quali il primo estingue la pena, condonandola in tutto o in parte o commutandola, mentre la seconda estingue il reato.

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Ernesto Ugo Savona: “Riprovazione sociale e penalizzazione cambiano nel tempo e nello spazio”. Criminalità e devianza: quando si può supporre che inizino ad affermarsi questi due concetti e come si sono via via correlati fra loro? In altre parole quando i cosiddetti comportamenti “devianti” iniziano a essere classificati come “criminali”? I comportamenti devianti cambiano in relazione alle norme sociali, quelli criminali in relazione alle norme giuridiche. I due si possono sovrapporre quando un comportamento è socialmente riprovato e penalmente punito come l’omicidio, ma possono divergere in caso di comportamenti borderline come il consumo di droghe che in certi contesti e periodi possono non essere riprovati, ma puniti. Riprovazione sociale e penalizzazione cambiano nel tempo e nello spazio. La rieducazione resta ancor oggi un sistema valido per cercare di reinserire nella società un criminale o si è in presenza di un nuovo cambio di prospettiva vista anche l’oggettiva difficoltà, in mancanza di fondi e in presenza di carceri sovraffollati, di concretizzare una simile azione? La rieducazione è ancora un sistema valido se operata con professionalità. Dipende sempre a chi si rivolge, quali metodi, in quale cultura e quali risultati sono attesi. La cosa importante è un continuo monitoraggio dell’efficacia. Come giudica la “spettacolarizzazione” del gesto criminale e l’attrazione che questo esercita sulle persone? Il caso Avetrana è stato forse uno dei delitti più esemplari in questo senso. Quanto i media strumentalizzano il criminale? E perché nonostante tutto sembra esercitare un’indubbia fascinazione? Il noir fa spettacolo sia virtuale che vero. Ne siamo attratti, ma ne abbiamo paura. Per questo i giornali e TV rappresentano largamente i fatti di cronaca e vendono le notizie a un vasto pubblico che le compra. La nostra partecipazione curiosa avviene su due piani: per smarcarsi dall’evento “meno male non accade a me” o per coinvolgersi “potrebbe accadere anche a me”. Com’è nata l’idea di Transcrime? Il Centro nasce nel novembre 1994 come Gruppo di ricerca sulla criminalità transnazionale del Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università degli studi di Trento. Ricordo che agli inizi siamo partiti con quattro giovani laureandi della Facoltà di Giurisprudenza di Trento. Su quali esperienze si basa? Su diverse esperienze che hanno portato me e i miei collaboratori a crescere di pari passo. Il Centro si

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è arricchito con il passare del tempo di ricercatori provenienti anche da altri ambiti disciplinari come quello sociologico ed economico. Questi hanno contribuito all’integrazione dell’aspetto giuridico. Le competenze acquisite ci hanno permesso di realizzare diversi progetti sulla criminalità transnazionale per l’Unione Europea e di diventare, nel 2000, prima Centro interdipartimentale di ricerca sulla criminalità transnazionale dell'Università degli studi di Trento e poi, nel 2004, Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale con l’apporto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Com’è organizzato il Centro? Il centro è organizzato su due sedi. Una a Trento, dove si fa ricerca, e una a Milano dove si trovano sia attività di ricerca che attività di didattica. Ci lavorano in media una trentina tra ricercatori, personale di supporto alla ricerca e stagisti. I ricercatori lavorano in modo orizzontale sui progetti. Devo dire che questo è possibile grazie alle nuove tecnologie. Oggi è molto più semplice per un ricercatore di Trento di collaborare con uno di Milano su un progetto a cui partecipano anche partner stranieri. In questo momento due delle linee di ricerca più importanti del Centro sono organizzate in questo modo. Su quali progetti siete attualmente impegnati? Abbiamo recentemente concluso un importante studio per il Ministero dell’Interno sugli investimenti delle mafie nei mercati legali che ha riscosso molta attenzione anche a livello internazionale. E su questo fronte Transcrime è cresciuto moltissimo negli ultimi anni. Sul tema dello studio e dell’analisi della criminalità organizzata e dei mercati legali/illegali, oltre a due progetti europei in corso, abbiamo collaborato con il governo canadese e con quello messicano. Sul problema del traffico illegale di sigarette – che è tornato a crescere anche in Italia – abbiamo avviato una collaborazione con Philip Morris International. Da poco abbiamo vinto una gara per la valutazione sull’efficacia dei modelli di prevenzione della criminalità adottati in Cile dai locali Carabineros. Inoltre, a breve partirà un progetto sulla prevenzione della pirateria marittima finanziato nell’ambito del Settimo Programma quadro sulla ricerca. Tutto questo senza dimenticare il rapporto con la Provincia autonoma di Trento, dove Transcrime è nato e dove oggi restituisce le competenze e le esperienze maturate a livello internazionale. Quest’anno, in particolare, ci concentreremo su un altro mercato, quello del gioco d’azzardo. Il titolo del progetto spiega da sé l’obiettivo: “Prevenzione del gioco d’azzardo patologico”.


La sicurezza in Trentino tra controllo e prevenzione

Il Trentino può oggi essere tà della vita l’indagine de considerato un’isola felice Il Sole 24 Ore che ogni in termini di sicurezza? È anno pubblica la classifica ancora possibile ritenerlo aggiornata stilata seconnuovi modi d'intendere territorio a sé stante, con do sei diverse aree temala sicurezza del territorio un grado di criminalità di tiche: tenore di vita, affari molto inferiore rispetto alla e lavoro, popolazione, reamedia nazionale? ti, servizi e ambiente, temdi Marina Marchiaro Per rispondere a queste po libero.Come mostra la domande è necessario intabella 2, la provincia di nanzitutto premettere che il Trento si classifica al terzo rapporto sicurezza/criminalità non illustra più il gra- posto su centosette nel 2012, migliorandosi di tre do di salute di un territorio. Questo è il risultato di posizioni rispetto all’anno precedente. una combinazione di variabili che possono influire Tabella 2 – indice qualità della vita de Il Sole 24 Ore sul benessere socio-economico della popolazione. Codice Diff. Anno Provincia Punteggio Tra queste sono incluse la possibilità di realizzarCdV precedente si professionalmente, di poter usufruire di servizi e 1 +1 Bolzano 626 2 +6 Siena 616 beni materiali e di poter partecipare alla vita pubblica 3 +3 Trento 604 e politica della propria comunità oltre alla possibi4 +7 Rimini 589 lità di vivere in un’area con un livello di criminalità 5 -1 Trieste 586 basso. La nuova definizione di sicurezza così intesa 6 +7 Parma 586 7 -4 Belluno 584 prende il nome di “qualità della vita”. 8 -3 Ravenna 581 Le principali indagini sul tema a livello regionale e 9 +1 Aosta 581 provinciale dipingono il Trentino come una realtà 10 -9 Bologna 577 con un benessere socio-economico ai primi posti nelle classifiche nazionali. In particolare, quello che I risultati delle due ricerche sono inoltre convalidaemerge dagli studi è un territorio ricco, con un livel- ti dalle analisi pubblicate dal quotidiano ItaliaOggi lo di infrastrutture e servizi proporzionato (trasporto che, in collaborazione con l’Università La Sapienza di pubblico, raccolta differenziata, energie rinnovabili Roma, ha individuato dieci diverse aree tematiche: …), in cui l’attenzione per i temi sociali e ambientali tenore di vita, affari e lavoro, popolazione, criminaliè forte e il livello di istruzione e partecipazione alle tà, disagio sociale, servizi finanziari e scolastici, temattività sociali e di volontariato è in continua crescita. po libero, sistema salute e ambiente. La classifica reLa classifica QUARS (Qualità regionale dello svilup- alizzata per il 2012 vede al primo posto, per il terzo po) analizza sette diverse dimensioni all’interno delle anno consecutivo, Trento seguita da Bolzano. regioni: ambiente, economia e lavoro, salute, diritti Anche Transcrime, che dal 2003 misura il grado di e cittadinanza, istruzione e cultura, pari opportunità, sicurezza in provincia attraverso l’elaborazione dei partecipazione. Nell’anno 2011 il Trentino-Alto Adige Profili sicurezza, ha recepito la nuova tendenza e si è posizionato primo con risultati al di sopra della nel 2012 ha sviluppato una metodologia che tenesmedia nazionale come illustra la tabella 1. se conto di questa visione della sicurezza. Il livello di benessere è stato analizzato scegliendo le dimenTabella 1 – indice QUARS 2011 delle prime dieci regioni italiane sioni rappresentative per l’analisi del territorio: abiPosizione Regione Indice QUARS 2011 tazioni e tenore di vita, lavoro e inclusione sociale, 1 Trentino-Alto Adige 0,68 istruzione e cultura, salute, ambiente, sicurezza, pari 2 Emilia-Romagna 0,50 opportunità, tempo libero e svago, partecipazione 3 Umbria 0,45 civica e politica. 4 Valle d’Aosta 0.43 I dati elaborati hanno permesso di classificare il be5 Toscana 0,43 6 Friuli Venezia Giulia 0,36 nessere nelle singole Comunità di valle, come illu7 Veneto 0,33 stra la tabella 3. 8 Marche 0,32 È importante tenere a mente che l’indice della qua9 Lombardia 0,31 lità della vita è composto dagli indici delle diverse 10 Piemonte 0,26 dimensioni selezionate per la ricerca. Pertanto, a seÈ importante sottolineare che il Trentino-Alto Adige conda della dimensione considerata, una Comunità è primo nelle rilevazioni QUARS sin dal 2003, anno che nel complesso degli indici si trova in una posiziodi pubblicazione del primo rapporto. ne più bassa, potrebbe avere un punteggio migliore. A livello provinciale a raccogliere i dati sulla quali- Esemplari i casi della Paganella che è prima, anche

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Tabella 3 – qualità della vita per Comunità di valle Codice Comunità di valle CdV C14 C12 C06 C08 C02 C01 C10 C05 C04 C03 C15 C11 C07 C16 C13 C09

Comunità della Paganella Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri Comunità della Val di Non Comunità delle Giudicarie Comunità di Primiero Comunità Territoriale della Val di Fiemme Comunità della Vallagarina Comunità della Valle di Cembra Comunità Alta Valsugana e Bersntol Comunità Valsugana e Tesino Territorio della Val d’Adige Comunità general de Fascia Comunità della Valle di Sole Comunità della Valle dei Laghi Comunità Rotaliana-Kšnigsberg Comunità Alto Garda e Ledro

Indice qualità della vita 87,4 79,8 78,8 77,9 77,3 77,3 76,9 76,6 76,5 76,3 75,6 75,4 74,3 68,4 68,0 67,9

se quasi mai ha ottenuto il punteggio più alto negli indici delle singole dimensioni e della Comunità Alto Garda e Ledro che registra valori sotto la media nella maggior parte degli indici fatta eccezione per le dimensioni salute e abitazioni e tenore di vita che sono invece migliori di molte altre comunità. Da queste ricerche si può notare che il Trentino si è confermato nel tempo un’eccellenza nel panorama italiano. Tutto questo è stato realizzato grazie all’attenta programmazione delle politiche e al monitoraggio costante del territorio cui ha contribuito la scelta di rafforzare il sistema di prevenzione dei rischi criminali. Negli ultimi anni, in particolare, l’attenzione è stata rivolta all’infiltrazione nell’economia legale da parte della criminalità organizzata, un fenomeno che ha interessato diverse regioni del Centro-Nord. È nota ormai da tempo la tendenza di questi gruppi a infiltrarsi sia in settori tradizionali come le costruzioni, la ristorazione e i trasporti, sia in settori nuovi come quello delle energie rinnovabili o i sistemi ICT. Questa tendenza è accompagnata da uno spostamento verso zone della penisola non tradizionali, caratterizzate da alti livelli di benessere e da un’economia fiorente. Per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige, la più recente relazione della Direzione nazionale antimafia afferma che in regione non si registra la presenza di gruppi mafiosi stabili, ma, continua, è necessario monitorare il territorio che è molto interessante per la sua collocazione geografica centrale se considerata all’interno di una visione europea. Per questo motivo tra il 2011 e il 2013, Transcrime ha realizzato per la Provincia autonoma di Trento il progetto METRiC (Monitoraggio dell’economia trentina contro il rischio criminalità). La ricerca si è posta l’obiettivo di individuare i settori economici presenti sul territorio più appetibili per la criminalità organizzata e le Comunità di valle più sensibili.

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I risultati dello studio sono in linea con quanto emerso a livello nazionale. I settori economici con un rischio d'infiltrazione medio-alto sono, anche per la provincia, le attività professionali, scientifiche e tecniche (architetti, avvocati, commercialisti…) e le costruzioni, mentre presentano un rischio medio il settore del trasporto e magazzinaggio e le attività finanziarie e assicurative. A questi settori si aggiunge il settore degli appalti, che coinvolge in maniera trasversale tutti gli altri. I motivi principali per cui questi settori sono più appetibili sono da ricondurre principalmente alla facilità con cui è possibile eludere i controlli per accedere al mercato (costruzioni e trasporto e magazzinaggio) e alla presenza di professionisti che, in maniera più o meno consapevole, offrono i loro servizi ai criminali (attività professionali, scientifiche e tecniche e attività finanziarie e assicurative). Per quanto riguarda i territori, il rischio d'infiltrazione varia da basso a medio. Come si vede nella figura 1, le Comunità di valle più esposte al rischio d'infiltrazione sono il territorio della val d’Adige, la Comunità Alto Garda e Ledro e la Comunità della Vallagarina con valori medi. Figura 1 – rischio di infiltrazione per Comunità di valle

La maggiore sensibilità di queste aree rispetto alle altre è da ricercare nelle caratteristiche dei territori stessi. Comunità caratterizzate da una forte componente imprenditoriale e commerciale, con un alto numero di fallimenti e di ricambio delle imprese, e un’alta possibilità di guadagno sono, infatti, più appetibili per i criminali che cercano aree e territori nuovi in cui inserirsi. Per concludere, si può affermare che il Trentino è un territorio sano, ma non può più essere considerato un’isola felice. Sarà necessario, pertanto, mantenere alta l’attenzione per cogliere eventuali segnali di allarme provenienti dal territorio e continuare nella direzione della prevenzione dei problemi attraverso un’accorta pianificazione delle politiche che tenga conto dell’andamento dei fenomeni economici e sociali in atto al fine di rafforzare il sistema di difesa delle singole comunità.


La “fermentazione psicologica”

“Ogni concerto di operai e miseria, rese ancor più che tenda, senza ragiogravi dalla grande alluvione nevole causa, a sospendel 1882. Questa tragedia dere, impedire o rincarare i rese ancor più dure le conquando la protesta sociale lavori, sarà punito col cardizioni di vita delle popolaera un crimine cere estensibile a tre mesi, zioni colpite, spingendole sempre che il concerto dall’aprile 1884 a promuoabbia avuto un principio di vere una serie di agitazioni di Tommaso Baldo esecuzione”. e proteste. Il movimento Con queste parole l’artipassò alla storia con il colo 386 del Codice penale nome di sommossa de del Regno di Sardegna del La boje, cioè “Bolle!”; dal 1859, divenuto poi Codice grido che i contadini lanpenale del Regno d’Italia, ciavano per indicare che la “disciplinava” lo sciopero. situazione “bolliva”, ovvero In sostanza la magistraera giunta al punto in cui tura era chiamata a deciessi non potevano sopdere quando uno sciopero portare oltre e presto la aveva o meno “una ragioloro rabbia sarebbe tracinevole causa”. Come si mata spazzando via tutto, può facilmente immaginare proprio come le acque dei questa norma consentiva fiumi in piena. All’interno interpretazioni arbitrarie. di questa vasta e confusa Ad esempio, secondo la agitazione comparvero per Corte d’appello di Milano, la prima volta nelle camnel 1879, il caro viveri non pagne forme di lotta sindaera un fondato motivo di astensione dal lavoro se cale organizzata: ad esempio la richiesta di rivedere prima non si erano esauriti “tutti i mezzi legali, cioè al rialzo i salari, gli scioperi e il legame con un più le pratiche indicate dalla legge comunale e di pub- vasto movimento operaio, dotato ormai di una problica sicurezza”. Secondo la Corte di Cassazione di pria stampa e anche di una propria rappresentanza Palermo nel 1882 neppure una diminuzione del sala- parlamentare. Sedeva, infatti, alla Camera Andrea rio concordata di concerto tra i datori di lavoro giu- Costa, il primo deputato socialista eletto in Romagna stificava lo sciopero. nel 1882. Una norma tanto arbitraria poneva, tuttavia, tali Il mantovano fu uno dei principali centri del moviproblemi d’interpretazione da risultare una fonte di mento La boje, che qui, più che altrove, assunse disagio per la stessa autorità giudiziaria che doveva i connotati di una protesta organizzata, con richieste applicarla, soprattutto in un momento di crescita di miglioramenti salariali e minacce di sciopero. Nella della conflittualità sociale. Dalla metà degli anni zona erano attive le società di mutuo soccorso create ottanta del XIX secolo la giurisprudenza si mosse da due borghesi d’idee democratiche e socialistegnella direzione di trasferire il problema dell’illiceità gianti: l’ex-capitano garibaldino Francesco Siliprandi dello sciopero dal terreno della ragionevole causa e l’ingegnere Eugenio Sartori. a quello dei mezzi usati durante l’agitazione, ovvero A quest’ultimo era dedicato il motivetto: “l’Italia l’è al terreno della repressione di quella che era rite- malada/ Sartori l’è el dotor./ Ma prest la guarirema/ nuta violenza fisica o morale. In quel momento gli con la testa dei nostar scior”. Il 26 marzo 1885 le scioperi di cui i tribunali erano chiamati a occuparsi forze di pubblica sicurezza, con l’apporto di numeerano quasi unicamente quelli dell’industria, ma di lì rose truppe inviate dal governo Depretis, eseguirono a poco una grande agitazione agraria avrebbe con- 140 arresti, tra cui naturalmente Siliprandi e Sartori. dotto a un processo destinato a fare scuola. Gli arrestati, secondo quanto scrisse il 29 marzo 1885 Dopo il 1870 le campagne della val Padana erano il Ministro degli Interni al Ministro di Grazia e Giustistate colpite dalla grande crisi economica che in tutta zia, erano deferiti “all’autorità giudiziaria per l’opporEuropa aveva portato al ribasso dei prezzi delle der- tuno procedimento a tenore degli articoli 157 e 426 rate agricole. Ciò indebolì la piccola proprietà e con- del Codice penale”. L’articolo 157 puniva con i lavori tribuì allo sviluppo di un’agricoltura intensiva gestita forzati a vita da grandi aziende. Queste ultime impiegavano “L’attentato che avesse per oggetto di suscitare la manodopera salariata in condizioni di precarietà guerra civile tra i regnicoli [cittadini del Regno] o gli

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abitanti dello Stato, inducendoli ad armarsi gli uni contro gli altri, oppure a portare la devastazione, la strage od il saccheggio in uno o più Comuni dello Stato, o contro una classe di persone”. L’articolo 426 puniva invece, con i lavori forzati a tempo o con la reclusione, i capi-banda delle associazioni di malfattori dirette a delinquere contro le persone o le proprietà. Secondo le autorità le persone arrestate erano parte di una vasta rete cospirativa, ramificata in tutta la pianura padana, che avrebbe dovuto scatenare una sanguinosa insurrezione. L'“ora X” era stata fissata per il primo aprile 1885 (si trattava in realtà della data in cui avrebbero dovuto entrare in vigore gli aumenti salariali chiesti dai contadini). Appare evidente, vista la data, che ai tutori dell’ordine doveva fare difetto il senso del ridicolo oltre che quello delle proporzioni; dopo due mesi, infatti, il grosso degli arrestati fu prosciolto. Restarono in carcere solo i presunti “sobillatori” che furono processati a Venezia nel marzo 1886. La loro difesa fu assunta da un giovane avvocato (nato nel 1856), anch’esso originario di Mantova: Enrico Ferri. Costui si era laureato in giurisprudenza presso l’Ateneo di Bologna nel 1877. Suo maestro era stato il capofila della scuola “positiva” in giurisprudenza, il professor Pietro Ellero, che riteneva spesso difficilmente distinguibili il delitto e la pazzia. Secondo lui sul delinquente agivano sia la propria

eredità biologica, in base a quanto indicato dagli studi di Cesare Lombroso, sia le condizioni materiali in cui si trovava a vivere. In Cesare Lombroso, criminologo positivista per eccellenza, e nei suoi seguaci convivevano spesso l’adesione a propositi di riforma sociale (intesi come applicazione alla sfera politica dell’evoluzionismo darwinista) e atteggiamenti repressivi nei confronti della devianza sociale e politica, di cui teorizzavano la “patologizzazione”. Ad esempio Lombroso vide nei leader della Comune di Parigi e negli anarchici “mattoidi e criminali nati”. Probabilmente egli riteneva la propria visione del socialismo riformista un efficace e “scientifico” strumento di disciplinamento sociale e repressione di ogni forma di devianza. Enrico Ferri, tra il 1882 e il 1883, sostenne con Filippo Turati, anche lui giovane allievo di Ellero, una vivace polemica a mezzo stampa riguardo al legame tra crimine e ingiustizia sociale. Turati, già convinto socialista, sostenne che la criminalità era frutto di un sistema sociale ingiusto che condannava alla miseria e all’ignoranza la maggioranza della popolazione; Ferri, liberal-democratico e soprattutto positivista seguace di Lombroso, rispose che oltre alle condizioni materiali e all’istruzione concorrevano a produrre il delitto anche “fattori individuali”, organici e psichici. Si trattava di un dibattito interno al mondo laico e “progressista”, tra persone che si erano formate nello stesso ambiente, ma che erano giunte

1920: presidio di Guardie rosse davanti a una fabbrica durante il biennio rosso 1919-1920

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a due visioni nettamente contrastanti. Per Turati l’uomo avrebbe potuto costruire una società giusta in cui il crimine sarebbe scomparso grazie alla liberazione dall’ignoranza e dal bisogno. Per Ferri invece il crimine era determinato in primo luogo dalla natura fisica e psichica di alcuni individui e pertanto essi erano “condannati” a commetterlo. In sostanza si riproduceva sotto una veste laica e “scientifica” il dibattito sul libero arbitrio che aveva impegnato per secoli generazioni di teologi e religiosi. Alla disputa si unì anche il neolaureato (anch’egli presso la facoltà di giurisprudenza bolognese) Camillo Prampolini, che prese le parti di Turati affermando, con quell’afflato cristianeggiante che sarà tipico del “socialismo prampoliniano”, che i criminali erano in realtà “vittime della società”. Questa visione, nonostante il successivo passaggio di Enrico Ferri tra le fila socialiste, diventerà dominante nel socialismo italiano. Si trattava senza dubbio di una lettura deresponsabilizzante del fenomeno criminale ma se non altro respingeva il determinismo biologico (il porre l’accento sull’eredità biologica del criminale) propugnato da Enrico Ferri sulla scia di Lombroso, ed evitava pertanto di favorire la “manicomializzazione” dei protagonisti degli atti di devianza sociale. Nel corso del processo di Venezia del 1886 Ferri si ritrovò al fianco dei socialisti, ma li difese con quegli stessi argomenti prettamente positivisti in nome dei quali aveva polemizzato con loro. Gli imputati furono dipinti dall’accusa come una sorta di “untori” ideologici, vale a dire come soggetti capaci con la loro sola presenza di spingere i lavoratori a seguirli e a eseguire i loro ordini “quasi li avessero allucinati”, secondo quanto scritto dai funzionari di Pubblica Sicurezza nei loro rapporti. Ferri doveva, dunque, difendere i suoi assistiti dall’accusa di essere i “sobillatori” che avevano “infettato” i contadini, trasformandoli da miti e ubbidienti in arroganti e sanguinari. Egli fece riferimento proprio agli studi di antropologia criminale di Lombroso per affermare che gli imputati non presentavano “i caratteri fisici e morali, che per la complicità dell’ambiente sociale, li determinano a combattere con attività criminosa l’inesorabile lotta per l’esistenza”. Se nel mantovano i braccianti erano in agitazione, affermò l’avvocato, non era dunque a causa di qualche misteriosa congiura, ma piuttosto delle loro misere condizioni di vita, come confermò la testimonianza del deputato liberal-democratico Mario Panizza, ex-garibaldino e medico condotto a Serravalle Po: “Io ed il dottor Sacchi abbiamo nell’Ospitale fatto una statistica. I contadini si nutrono in media con 700 grammi di farina gialla; supponendo che questa fosse fatta col grano della migliore qualità essa non

contiene che il 10 per cento di albuminoidi. La metà di ciò che è necessario per riparare le forze di un uomo. Quindi non in senso traslato, ma in senso vero letterale della parola il proprietario non solo si appropria i prodotti del lavoro ma anche parte della vita del contadino”. Se non vi era, però, alcuna setta di cospiratori come spiegare gli slogan, le canzoni e le parole d’ordine “sovversive” circolanti nelle campagne mantovane e raccolte dalle forze dell’ordine? Chi le aveva diffuse? Per ovviare a queste implicite domande l’avvocato ricorse al concetto di “fermentazione psicologica”, recuperato successivamente anche da Scipio Sighele nella sua opera La folla delinquente; vale a dire uno stato d’animo ancora ben lontano dall’effettivo spirito di rivolta (nessuno aveva subito violenze né minacce da parte dei lavoratori in agitazione), ma che si sarebbe sviluppato laddove le legittime richieste di migliori condizioni di vita fossero state respinte in toto da pubbliche autorità e datori di lavoro. “È naturale, infatti, che le turbe popolari associate ed accaldate nella comune aspirazione a un miglioramento della loro esistenza, siano giunte a quel fermento psicologico, che l’effetto stesso dell’unione di più volontà, come la mistione di più elementi organici produce pur quella che si dice la fermentazione chimica”. Se si voleva dunque evitare che tra le masse lavoratrici sorgesse uno stato d’animo tale da predisporle a idee di rivoluzione violenta non vi era dunque che un mezzo: accettare come legittime le loro richieste di migliorare gradualmente la propria condizione. La brillante difesa di Ferri varrà agli imputati il 27 marzo 1886 l’assoluzione da tutti i capi d’accusa, da quello d’incitamento alla guerra civile a quello di esortazione allo sciopero. Una settimana più tardi esplose in Parlamento lo scandalo dei mandati di cattura in bianco a carico degli arrestati di Mantova appena prosciolti da ogni accusa. Nel corso del processo era emerso come i carabinieri avevano ottenuto dall’autorità giudiziaria non degli ordini di cattura con i nomi delle persone da arrestare, ma delle generiche autorizzazioni per procedere all’arresto dei presunti “Capi Rioni” e “Capi Sezioni” della pretesa “società segreta” rivoluzionaria. Il processo aveva avuto, dunque, una vasta eco nazionale, tanto da essere seguito con attenzione da Andrea Costa che consegnò personalmente i soldi raccolti con una colletta agli imputati. Si trattò di una delle prime vittorie del movimento operaio italiano; di lì a pochi anni, nel 1889, il nuovo Codice penale, steso sotto l’egida di Giuseppe Zanardelli, avrebbe riconosciuto il diritto di sciopero pacifico, o almeno il diritto di svolgere gli scioperi che le autorità ritenevano pacifici.

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Il fascino discreto del diritto penale

In gioventù Francesco MeneGumplowicz. Gumplowicz strina fu attratto, per un insegnava scienza ammiperiodo, dallo studio del nistrativa e diritto amminidiritto penale, e in questo strativo austriaco, ma era Francesco Menestrina, campo vanno ascritti i suoi soprattutto un sociologo, un la delinquenza nel Trentino primissimi lavori, che susciinnovatore del diritto statale: tarono notevole rumore alla era l’autore di Der Rassene la prevenzione dei reati loro uscita: si muovevano, kampf (1883), che divenne infatti, nel solco del positiun classico della sociologia di Mirko Saltori vismo giuridico, soprattutto dell’età positivista, e soprat– ma non solo – di matrice tutto di quel positivismo che italiana. Era facile che un giostrizzava l’occhio al marxivane studente di diritto, italiano in Austria, sensibile smo. Non è un caso che fosse costantemente citato – come Menestrina era – alla questione nazionale da Piscel nei suoi primissimi studi sulle leggi dell’etrovasse suadenze in un campo entro cui pareva voluzione umana: Piscel che si laureò sotto la sua affermarsi con vigore il cosiddetto “genio italico”. E il guida. Menestrina, pregno degli umori del gruppo giovane Menestrina aveva frequentata dapprima l’U- studentesco di Graz, fece parte anche della Società niversità di Innsbruck, ove esistevano i corsi paralleli degli studenti trentini, di fatto da quel gruppo guiin italiano e insegnavano Giovanni Pacchioni (diritto data, e fu da subito fra i collaboratori dell’Annuario romano) e il trentino Tullio Sartori Monte-Croce degli studenti trentini. E sul secondo numero di esso (supplente di diritto tedesco), oltre a nomi come pubblicò (1896) Prevenzione e repressione dei reati, Victor Waldner o – per il diritto penale e delle genti – firmato con lo pseudonimo Cecco da Sopramonte e Ferdinand Lentner; quindi era passato a Graz. A Graz datato settembre 1895. Ci muoviamo, com’è chiaro la comunità degli studenti trentini, animati da nuovi sin dal titolo, nel campo della teoria del diritto penale. ideali, anche protosocialisti, era numerosa (non Il saggio, dall’andamento a volte un po’ stanco, ultimo per la possibilità troppo lungo (46 pagine), di sostenere gli esami in appare come un diligente lingua italiana!): ne erano sunto delle teorie allora parte Antonio Piscel in voga nella cosiddetta e Giovanni Lorenzoni, (da Menestrina stesso) Adolfo de Bertolini, Gino “scuola criminale antroSartori, per breve periodo pologica” o “scuola anche Cesare Battisti, italiana”. I riferimenti, quindi Menestrina, che anche espliciti, sono vari, a Graz si laureò il 27 come diversificato era, ottobre 1896. Suo Tutor in effetti, lo spettro della (o, meglio, Promotor), il scuola (e gli approdi polisettantenne Ferdinand tici dei suoi protagonisti): Bischoff, professore di presenti sì Lombroso storia del diritto e dell’Im(verso cui l’autore è però pero tedesco e di diritto cauto) e Garofalo, Meneprivato tedesco, per strina pare attratto più due volte rettore dell’udalla branca sociologica, niversità, tra i fondatori quella attenta alla quedella scuola di storia del stione sociale: il trentino diritto tedesco, al suo Scipio Sighele, certo, e ultimo anno d’insegnaTurati e Colajanni, ma, mento; ma Menestrina soprattutto, “quell’atleta ebbe agio di seguire dell’investigazione posianche, naturalmente, le tiva che è” Enrico Ferri, le lezioni del barone von cui opere Menestrina cita Canstein, professore di costantemente, Sociodiritto processuale civile logia criminale su tutte. austriaco, e soprattutto Certo, sono presenti altri del galiziano Ludwig influssi: Gumplowicz, Francesco Menestrina (Biblioteca comunale di Trento, BCT 10-1.1.131087)

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naturalmente, e Prins, ma anche von Liszt e KrafftEbing, l’autore della Psychopatia sexualis. I temi toccati (oltre a un patente e già spiccato interesse, che si rivelerà fecondo, per la statistica, soprattutto nelle sue implicazioni sociali, sulle impronte di Giulio Salvatore Del Vecchio e Antonio Gabaglio) sono quelli classici: la recidiva, i tipi di delinquente e la distinzione – “ormai comunemente accettata” – fra delinquenti correggibili e incorreggibili, il “nuovo indirizzo, non individualista, ma sociale” delle scienze penali (ma anche del diritto privato!), la pena come misura di difesa sociale, con funzione di conservazione sociale, i mezzi di prevenzione (alcuni di gusto quasi reazionario: “Impedendo che si stampino e si divulghino fra il popolino oscene narrazioni e lubriche imagini, si ridurrà il numero degli attentati al pudore”); il libero arbitrio, soprattutto, che “altro non è che un inganno della nostra stessa coscienza”. Fra le carte lasciate del giurista (conservate oggi presso la Biblioteca comunale di Trento) rimangono due interessanti documenti: due scritti del padre di Francesco, Leonardo, già commissario distrettuale presso varie preture prima e capitanati poi, che si confronta criticamente con l’articolo del figlio. Il primo è intitolato Imputabilità e punibilità delle azioni umane, l’altro (datato giugno-luglio 1896) Osservazioni e rimarchi sull’opuscolo intitolato “Prevenzione e repressione dei reati”. Vale la pena di spenderci un po’ di tempo, almeno nel caso del primo scritto, anche per le bizzarre forme che la critica assume, forme peraltro non inconsuete al tempo. L’uomo, per Leonardo (ch’era stato, a Padova, allievo dell’abate Pietro Antonio Rivato), si distingue dagli animali proprio per il libero arbitrio, e perché perfettibile: “non vogliate colle vostre nuove e chiassose teorie distruggere la più naturale ed universale credenza dei popoli della terra”. S’inventa quindi un breve dialoghetto fra i cosiddetti “studenti di Gratz”, a rappresentare significativamente i nuovi criminalisti, e i carcerati. Questi, ascoltati gli annunci sulla scomparsa della pena di morte, sulla possibile scarcerazione, ecc., affermano scettici: “Ma perdonate Signore... voi siete qual pazzo che venite a canzonarci ed a beffarvi di noi e delle nostre misere condizioni”; al che il penalista: “Le azioni vostre criminose, secondo le nuove teorie, vengono risguardate come altrettanti casi avvenuti senza vostra libera cooperazione senza vostra colpa, avvenuti per una forza irresistibile innata in voi, avvenuti per una volontà interna indomita senza quindi vostra colpa, quindi, vedete bene, che considerando i fatti vostri sotto tale nuovo aspetto voi non meritate pene di sorte e dovete andar assolti da qualsiasi misfatto”. I carcerati sono in tripudio: “Che stupende dottrine! Queste sono teorie giuste! Finalmente la hanno

capita!”, e poi: “Evviva il progresso, evviva il secolo XIX!”, “ma diteci siete voi forse il Sior Beccaria?”. Leonardo critica i nuovi criminalisti per l’uso di citazioni ed estratti presi qua e là dalla Bibbia, letta senza approfondimenti teologici, ma anzi, attraverso la lente dei “sommi filosofi della Francia e della Germania”; e d’altra parte le loro dottrine, dice Leonardo, sono emanazione della rivoluzione francese. Ancor meno amichevole fu La Voce Cattolica, che recensendo in otto puntate l’Annuario (nell’aprile 1896), per più di sette di esse si occupò del nostro scritto. Vi si mettevano in luce, con una certa pedanteria, le “tare” e gli “errori”, e veniva dichiarata e attaccata la matrice dichiaratamente positivista degli assunti di “Cecco”: quella cosiddetta scienza era anzi “l’avanguardia del socialismo materialista più spietato” (e proprio quando, 17 aprile 1896, la Congregazione dell’Indice condannava cinque opere di Enrico Ferri, tra cui la Sociologia criminale); a partire, naturalmente, dalla negazione del libero arbitrio (“Le dottrine esposte dal nostro Cecco ledono direttamente il dogma cattolico della libertà umana”). Tra i consueti attacchi antievoluzionistici (“Dunque l’ultima parola della scienza naturale progressista sarebbe la sostituzione di qualche gorilla o di qualche rana o... peggio ai protoparenti del genere umano Adamo ed Eva”), gli articoli avevano però qualche spunto felice che riusciva a mettere in luce le manchevolezze e le contraddizioni dello studio di Menestrina in particolare e della scuola positivista in generale, con l’accenno ai “birbanti dal cranio onesto”, con la stigmatizzazione della condanna senza appello dei pazzi e dei malati (pronunciata da una società che avrebbe doveri soltanto verso l’individuo sano), e con la messa in ridicolo del repentino passaggio che portava dalla glorificazione dell’individuo e della libertà individuale post 1789 alla negazione della libertà e dell’individuo stesso. Pur riconoscendo la validità della raccolta empirica di dati, l’autore cattolico ne criticava l’uso nudo e crudo: dei fenomeni dovevano esser sempre conosciute le cause e la natura, pena la caduta nel materialismo (e qui gli esempi citati andavano da Hobbes a Locke a Hume). Il testo era firmato X., e l’autore era qualcuno che aveva ben chiara la disputa e i problemi di cui parlava, ch’erano anzi, probabilmente, sua materia di studio. Guido de Gentili? Forse. Alcune assonanze, alcuni concetti sviluppati si ritrovano quasi pari, però, nel breve saggio Il concetto della libertà umana secondo il pensiero evoluzionista e secondo il pensiero della filosofia cristiana, pubblicato nel primo numero (gennaio 1901) de La Rivista Tridentina (edita dall’Associazione cattolica universitaria degli studenti trentini). Autore di quel saggio era il prof. Celestino Endrici. Se non fu quindi il futuro vescovo

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a stendere quella lunga recensione, se non fu monsignor de Gentili, fu comunque qualcuno che aveva respirato la medesima aria culturale, presso i collegi romani. L’articoletto di Menestrina, su cui ci soffermiamo anche per misurare gli effetti di un approccio affatto nuovo per il mondo culturale trentino, ebbe anche qualche plauso significativo. Scipio Sighele (di cui in quello stesso anno la Società degli studenti trentini diede alle stampe l’opuscolo Delitti e delinquenti danteschi (Conferenza)) scrisse da Roma ad Antonio Piscel il 17 aprile 1896: “sento il bisogno di rivolgere una speciale parola di riconoscenza a Cecco da Sopramonte, il quale ha voluto citare il mio povero nome con troppa cortesia. Non so chi s’asconda sotto quello pseudonimo. Ella lo saprà, e potrà quindi – in mio nome – fare i dovuti ringraziamenti”. E, aggiungeva il Piscel stesso nella sua lettera di quattro giorni dopo, “del tuo lavoro sentii fare grandi elogii dal Riccabona e dall’Avv. Debiasi”: si riferiva a Vittorio Riccabona, della vecchia scuola liberale economica, che sarà poi autore di dialoghetti di carattere pseudomaterialista (tra un fisico e un metafisico, tra uno spiritualista e un positivista, ecc.), oltre ad un opuscolo su I pregiudizi contro l’imputabilità penale (1906); ed a Giovan Battista Debiasi, anch’egli vecchio liberale, di Ala, che col Riccabona soleva corrispondere proprio su temi materialisticoevoluzionisti (due sue lettere furono date alle stampe nel 1903). Eran quindi chiari, a questo punto, i fronti di consenso e di dissenso. Il Menestrina, apparentemente né intimorito né lusingato, l’anno successivo, 1897, pubblicò nel nuovo Annuario (il terzo) La giurisprudenza in casa nostra, questa volta siglato D.r F. M. e datato gennaio 1897. Il saggio è più sintetico, più personale, mostra maggior maturità e dimestichezza storica. Rientra in quella serie di lamentationes di giovani intellettuali sul proprio tempo (e quindi anche sul proprio stato), diverse delle quali cita l’autore stesso: dall’Augusto Panizza di Sullo stato della pubblica istruzione nel Trentino (1868) al Riccabona de L’attività intellettuale del Trentino (1882), fino al proprio sodale Piscel con Della decadenza letteraria nel Trentino (1894 – e avrebbe potuto anche aggiungere vari articoli coevi di Battisti su L’Alto Adige); e tali saranno anche le fulminanti e lucide corrispondenze di Alfredo Degasperi ne La Voce di Prezzolini. La reprimenda è volta alla cultura giuridica trentina, morta, secondo l’autore, dopo il 1866 (viene da chiedersi se prima di quella data fosse davvero tanto fiorente…). Se una grave spia è vista nell’ignoranza della lingua tedesca (Menestrina non assolve “quei praticanti giudiziarî e di avvocatura che, dopo aver studiato tedesco per sett’anni in ginnasio ed amo-

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reggiato con le bionde cameriere per altri quattro all’Università, non capiscono ancora il testo tedesco del Bollettino delle leggi”, stigmatizzando la loro presunzione d’italianità, “come se italiano fosse sinonimo di ignorante e non fosse in genere turpe cosa coprire con manto patriottico i frutti della propria pigrizia”), è in generale la mancanza di studi a essere presa di mira; ma anche, per un altro verso, l’eccessiva astrazione: “Conosciamo le leggi, non l’alito che le anima; citiamo paragrafi, ma non sappiamo di che lotta essi siano frutto, né quale conflitto di interessi abbiano voluto sanare. E così andiamo avanti, mentre la prassi è rosa da un basso empirismo e la teoria sprezzata od ignorata”. Il riferimento è anche al campo del diritto civile, entro cui si stava sviluppando in Austria una nuova scuola, con maestri che andavano dal liberale Joseph Unger sino al marxista Menger (autore de Il diritto civile ed il proletariato), e ch’era stato toccato nel primo Annuario dal de Bertolini, autore di un saggio su Il diritto di risarcimento e la sua recente evoluzione. Ancora una volta – e ancora per poco – è, tuttavia, il campo penale a interessare maggiormente Menestrina, ed è questo secondo lui l’ambito maggiormente trascurato, anche dai migliori, digiuni “delle elementari cognizioni di sociologia criminale”. Lo studio delle leggi è, dice Menestrina, un “gran refugium peccatorum”, e chi si dà a esse avrebbe secoli addietro fatto il prete: e qui una “positiva” spiegazione delle motivazioni che portano alcuni miseri a vestire, per ragioni economiche, l’abito talare, portando nella vita pubblica “il loro malumore irrequieto, congiunto con una certa violenza di linguaggio, con una intolleranza medioevale delle opinioni altrui, con una smania di far veder nero ovunque non s’annidino essi”. Espressioni che non troveremo più, in futuro, nei suoi scritti, e che al momento non servivano certo a garantirgli l’appoggio del movimento cattolico – che aveva a quel punto svelato chi fosse l’ignoto Cecco. Nel 1898 esce la nuova rivista di studi scientifici Tridentum, voluta e diretta da Cesare Battisti e Giovan Battista Trener. È su quelle pagine, tra il marzo 1898 e il maggio 1899, che Menestrina viene a pubblicare uno dei suoi lavori maggiori, La delinquenza nel Trentino, dove trovano albergo i suoi ragionamenti sui temi della criminalità, la mole d’informazioni che egli riesce a trarre dall’archivio del Tribunale circolare di Trento (presso cui aveva fra il 1896 e il 1898 svolto pratica d’ascoltante giudiziario), nonché una sempre maggior perizia storica e giuridica: proprio in quel 1898, infatti, Menestrina ottiene (con Lorenzoni) una borsa di perfezionamento per la preparazione alla libera docenza di procedura civile presso l’istituenda cattedra italiana della facoltà giuridica di


Innsbruck, e avvia il percorso di studi che lo porterà “storicamente veri uccisori di s. Simonino”, in rispoa Roma, a Vienna, e quindi a Lipsia con Adolf Wach. sta alle parole di Menestrina, che parla di “ignomiNon che il lavoro non presenti debolezze. Mene- niosa caccia all’israelita” – e certo, sarà suo fratello, strina cerca di risalire “all’oscura notte dei tempi per Giuseppe Menestrina, a mettere in scacco tutta la rintracciarvi la parte malata di quelle primitive condi- vulgata antiebraica con un memorabile articolo (Gli zioni sociali”, attraverso una serie di notizie tratte per ebrei a Trento) pubblicato proprio da Tridentum (nel lo più da opere erudite (gli atti dell’archivio vescovile 1903). si trovavano allora a Innsbruck), e in una sorta di con- Menestrina, nel suo studio, informa poi minutatrostoria del Trentino ante litteram (ricordate quella mente anche su quella criminalità “umile e quotisettantasettina di Belli – Fedrigotti – Loss?) eviden- diana che ha la radice in una vera malattia del corpo zia i “tipi criminali di nascita illustre”: sono príncipi, sociale”, dal Cinquecento a inizio Ottocento. La parte feudatari, ma anche vescovi e membri del clero (dei più nuova, e più bella, del lavoro è, comunque, quali qualche caratteristica gli appare “grave indizio quella che dal 1810 corre sino al 1857. Quella per la di degenerazione psichica”). Non tanto in queste sot- quale, tolti i riferimenti agli importanti lavori statistici tolineature e negli esempi sta la debolezza; quanto di Johann Springer (Statistik des österreichischen nella sopravvalutazione di un “popolo” che appare Kaiserstaates, 1840) e di Johann Jacob Staffler (Tirol un po’ astratto, quando non artefatto. Sfilano così und Vorarlberg, statistisch und topographisch, 1839“la serena mitezza di un popolo intiero che cerca 1846), Menestrina si servì dei documenti d’archivio nel lavoro l’unico conforto alle sue sventure”, le cui del tribunale. rivolte sono “serie e fortemente pensate”, “opera “Per istudiare però la massa grigia della piccola della coscienza collettiva”, in cui si vedono sprazzi delinquenza bisogna attingere a fonti nuove, alla di luce “che in tempi migliori diventerà fiamma di statistica”, dice l’autore: e da noi si può da quando civile progresso”. Una visione socialisteggiante (da “si cominciò a tenere una continuata prenotazione Menestrina, che socialista non era e non fu) un po’ dei casi penali”. Così sfilano anno per anno le tipolopaternalista, poco analitica e molto sentimentale: gie e i numeri dei reati commessi e delle condanne ma di più, forse, non si poteva chiedere! inflitte, con considerazioni a margine: molti furti e Ebbe buon gioco La Voce Cattolica a recensire dura- ferimenti, poi omicidi, rapine, stupri, il tutto a disemente questa prima parte del lavoro, in dieci puntate gnare un Trentino ben diverso da quello di certi dell’aprile-maggio 1898 uscite poi in opuscolo (Uno quadri oleografico-pastorali, ma ovviamente più reastudio su la Delinquenza nel Trentino e la Storia), a listicamente attagliato alle asprezze della società e firma G. G., ma attribuibili della cultura contadina e con certezza a don Vigilio montana dell’Ottocento. Il Dizionario biografico dei giuristi, (Bologna, Zanolini, erudito scrittore Il tutto con ampio corIl mulino, 2013) dedica una voce, firmata da di storia. La critica princiredo di tabelle e grafici, Augusto Chizzini, al trentino Francesco Menepale, per lo più corretta, per i quali la statistica strina (1872-1961): docente – in tempi diversi – a riguarda le fonti: malsiè utilizzata con grande Innsbruck, Trieste, Padova e Venezia, fu dal 1920 cure, dice il sacerdote perizia e consapevolezza al 1942 avvocato erariale prima a Trento, quindi (anche se sicure gli semdei fattori limitanti. Le a L’Aquila, a Roma e infine a Venezia; soprattutto brano solo quelle scritte considerazioni finali torsi dedicò, come giurista, al campo della proceo tramandate da ecclesianano a rimarcare il clima dura civile, collaborando con alcune voci all’Enstici...), e troppo esili per “positivo”: il rapporto fra ciclopedia Treccani, al Nuovo Digesto Italiano, e trarne “conseguenze così criminalità e razza (che al Commento al nuovo Codice di procedura civile enfatiche e strampalate”; era discussione assai in diretto da Mariano D’Amelio: dopo la morte, la ma Zanolini vi vede anche voga – non scordiamo il Fondazione Piero Calamandrei raccolse in tre scarsa serenità di giudicontesto di forte presa di volumi per Giuffrè le principali sue opere in tal zio, anacronismi (assurdo coscienza nazionale); le campo. In Trentino Menestrina è ricordato come “il pretendere che i giudifferenze, poi, tra delitti preciso raccoglitore di notizie storiche, pubblidici del secolo XVI agisdi ieri e di oggi. Se la cricate nelle riviste di “storia patria”, da Tridentum sero come un tribunale minalità a base di violenza alla sua Pro Cultura fino a Studi Trentini: saggi del XIX”). Anche se è è “indizio indubbio di eruditi, nella migliore tradizione della storia poi scontato il suo rifericiviltà ancora bambina”, locale, suggestionati dalla scuola austriaca, mento a Gaismayr come “nel periodo prossimo la Voltelini in primis; che culminarono forse nella un “vero anarchico” sovosserveremo invece fra le vasta ricerca su Giandomenico Romagnosi a vertitore d’ogni autorità, incertezze dell’êra di tranTrento (1908-1909). o ancora agli ebrei come sizione, troppo nuova per

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essere ancora a base di violenza, troppo poco evoluta per fondersi esclusivamente nel raggiro”. Menestrina raccoglie il suo studio in un opuscolo che esce nel settembre 1899, con una nuova premessa: egli avverte, significativamente, che fare “La storia per la storia, quale troppo spesso si fa nel nostro paese, è lavoro per lo meno inutile”, richiamando la scuola storico-giuridica di Savigny e Puchta. Il Sighele apprezza moltissimo lo studio, e scrive da Nago all’autore il 16 ottobre 1899: “Il suo lavoro è prezioso, egregiamente condotto, con un alito di modernità che lo rende ancor più interessante e fecondo, giacché seguirà – non ne dubito – un risveglio dei nostri studî nel nostro paese. Io Le prometto di parlarne nell’Archivio di psichiatria del Lombroso e nella Scuola positiva del Ferri”, e lo prega poi, se proseguisse negli studi statistici, di comunicarli magari proprio all’Archivio lombrosiano. Non abbiamo potuto appurare la presenza di tali recensioni. Sappiamo però che di “perfetta spassionatezza di giudizio e obiettività di osservazione”, oltre che di “preziosi appunti storico-statistici”, parlò La scienza sociale di Francesco Cosentini (nel giugno-luglio 1901). Come si vede, il contesto rimane quello del positivismo giuridico. E i concetti che chiudevano il suo studio verranno da Menestrina ripresi nella conferenza tenuta a Cadine il primo ottobre 1899 e stampata in opuscolo dalla Società degli studenti trentini (Quale sarà la nostra delinquenza nel Secolo XX?): il passaggio dalla violenza al raggiro; la modernità raggiunta repentinamente; in più, un interessante accenno polemico alla legge sul delitto di refrattarietà – applicato agli emigrati – del 1889. Se ieri, dice l’autore, il mutamento economico-sociale era forzatamente accompagnato da guerre e calamità, oggi “a produrre lo stesso effetto basta una vittoria della mente umana sulle arcane forze della natura: basta la scoperta dell’elettricità e la sua applicazione all’industria”. È, lo vediamo bene dai suoi tratti ingenui, un positivismo ormai ritardatario: ma è anche, si può dire, il commiato di Menestrina da quel mondo. La seconda parte dello studio sulla delinquenza (che avrebbe dovuto toccare il quarantennio 1858-1898 circa) non uscì, purtroppo, mai, anche se Menestrina disse d’aver raccolto gran parte del materiale (e qualcuno ne rimane nel suo archivio). E pur considerando che egli continuò ad aggiornare la propria copia de La delinquenza nel Trentino (oggi conservata in Biblioteca comunale di Trento) con note e appunti, questi sono però per lo più aggiunte bibliografico-archivistiche che vanno a integrare i documenti, soprattutto d’antico regime. Insomma, aggiornamenti eruditi: storia per la storia, avrebbe

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detto il Menestrina precedente. Non vorremmo, tuttavia, dar troppo l’immagine d’un repentino mutamento d’indirizzo filosofico e scientifico nel giurista: è proprio l’interesse di Menestrina per il diritto penale, per la sua riforma e anche, certo, per la sua storia a venir meno. E d’altra parte sono gli anni di affinamento delle competenze in procedura civile, dell’ottenimento della libera docenza a Innsbruck (1901), delle importanti pubblicazioni su L’accessione nell’esecuzione (1901) e La pregiudiciale nel processo civile (1904). È una distanza che si sentirà ormai chiaramente nel necrologio di Scipio Sighele, morto nell’ottobre del 1913, che Menestrina scriverà per la Pro Cultura. Lo indica come “seguace convinto, anzi entusiastico” della scuola positiva (nessun riferimento autobiografico), ne ricorda la “fecondissima penna”, la “caratteristica attitudine alla divulgazione”, le conferenze: cose che andarono “a danno [...] della vera e duratura fama” che egli avrebbe guadagnato se si fosse dedicato all’insegnamento delle scienze penali. Il “Comunque si voglia pensare del Sighele come scienziato” che chiude lo scritto è ancor più indicativo del disincanto e della scarsa partecipazione di Menestrina, oramai, per quel mondo. Il suo interesse per la storia della delinquenza nel Trentino, ciò che è invece davvero moderno e potenzialmente fecondo di quella fase della sua attività scientifica, rimarrà però isolato. Solo di recente abbiamo avuto un’indagine sulla criminalità nel Tirolo e Vorarlberg (Elisabeth Dietrich, Übeltäter Bösewichter. Kriminalität und Kriminalisierung in Tirol und Vorarlberg im 19. Jahrhundert, 1995) che tenta per i due interi Länder una storia istituzionale e sociale, con l’utilizzo di fonti a stampa della k.k. statistische Central-Commission (ma non di quelle fonti archivistiche che costituivano il nerbo del lavoro di Menestrina: che però, ad esempio, per il Tribunale di Innsbruck non si sono conservate); e ancor più recentemente Marco Bellabarba ha dato in vari studi alcuni squarci di storia della criminalità e della giustizia nel Trentino dell’Ottocento (ricordiamo almeno quello su La quiete nelle campagne: il crimine di “pubblica violenza” nel Tirolo e nel Lombardo-Veneto dell’Ottocento, in Quaderni storici del 2012). Si può solo sperare che il riordino dell’archivio dei tribunali trentini ottocenteschi conservato presso l’Archivio di Stato di Trento, in corso d’opera per cura di chi scrive e per conto della Soprintendenza per i beni storico-artistici librari e archivistici della Provincia autonoma di Trento, possa risvegliare l’interesse degli storici per una fonte che, per dirla con Menestrina, costituisce “il documento più eloquente per lo studio delle condizioni sociali di un popolo”.


fotografia di Luca Chisté

Codici penali in vigore in Trentino nei secoli XIX e XX Dal gennaio 1804 entra in vigore, dopo la secolarizzazione dei Principati vescovili di Trento e Bressanone, il Codice penale austriaco del 3 settembre 1803, sostanziale e procedurale. Questo viene mantenuto anche durante il periodo di governo bavaro, salve alcune deroghe. Con il passaggio al Regno italico e l’erezione della nuova Corte di giustizia, s’iniziano ad applicare (1 ottobre 1810) le leggi penali francesi (non ancora il codice!) e il codice di procedura penale italico del 1807 (o “Codice Romagnosi”). Il nuovo Code pénal francese del 1810 sarà attivato poco dopo, il primo gennaio 1811. Il 15 settembre 1814, dopo l’ennesimo cambiamento di governo, ritorna in vigore il Codice penale austriaco del 1803. Un nuovo regolamento di procedura penale (17 gennaio 1850), che introduce le corti d’assise e il dibattimento orale, viene attivato nel luglio 1850 e rimarrà attivo per quattro anni. L’altro codice penale austriaco, quello del 27 maggio 1852, entrerà in vigore il primo settembre di questo stesso anno e lo rimarrà sino al 1922. Sarà seguito dalla promulgazione del nuovo regolamento di procedura penale (29 luglio 1853), attivato in territorio trentino il 30 novembre 1854, e da quello del 23 maggio 1873 in vigore dal gennaio 1874. Con il primo agosto 1922, dopo l’annessione al Regno d’Italia e dopo varie ordinanze del comando supremo, entrano in vigore il codice penale del Regno d’Italia, ossia il “Codice Zanardelli” del 1889, e il codice di procedura penale del 1913. Entrambi rimarranno attivi per soli 8 anni, quando saranno sostituiti (nel 1930) dai nuovi codici fascisti che segneranno gran parte del Novecento.

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“Il marchio indelebile di una inferiorità giuridica”

“Esercizio di libertà”, il monodei diritti tra uomo e donna. È logo teatrale messo in scena in in questo libro che si trovano occasione del centenario della asserzioni che, oltre a compenmorte di Scipio Sighele, è la diare il pensiero dell'autore sul l’impegno “femminista” storia di una giovane donna tema, prospettano scenari che di Scipio Sighele che nei primi anni del Novesi concretizzeranno solo alcuni cento decide di non rispettare decenni più tardi. “Le donne norme e leggi che la vorrebbe– osserva – sono le sole perdi Paolo Domenico Malvinni ro soggetto passivo di scelte sone cui ai nostri giorni vengafamiliari fondate unicamente no dalla legge interdette certe su ragioni di convenienza socapacità, per ragione di nasciciale o su convenzioni. Lia, questo è il suo nome, ta. Come anticamente gli schiavi, come fino a poco è spinta da un impulso personale, da un desiderio tempo fa i negri in America, le donne escono alla vita interiore di assecondare il suo sentimento d’amore e col marchio indelebile d'una inferiorità giuridica”. E, non la regola imposta dalla famiglia di appartenenza. a proposito d'inferiorità giuridica, ecco la sua opinioSaranno la solidarietà di un’altra giovane donna e le ne: “la donna è diversa dall'uomo, non per questo nuove idee circa la parità dei diritti tra uomo e don- gli è inferiore: è diversa da lui, ma a lui equivalente, na, che vede tra i suoi propugnatori anche Sighele e di lui egualmente necessaria. Quindi non deve sofstesso, a infondere energia a Lia e a consentirle di frire alcuna diminuzione di diritti”. In queste poche raggiungere l’obiettivo. parole si coglie chiaramente la posizione di Sighele Sighele, d’impronta positivista e di spirito innova- sull’argomento e ciò in un periodo in cui la questione tore, trova nella questione femminile un aggancio femminile rappresentava un problema aperto tanto importante per la promozione di un’azione di trasfor- nella società italiana così come in tutto il mondo ocmazione della società. Fin dal 1898, con la pubbli- cidentale. È del 1906 la pubblicazione del romanzo cazione di La donna nova, organizza unitariamente Una donna di Sibilla Aleramo, con tutto lo scandaun’ampia serie di interventi e articoli riguardanti le lo anche mediatico che ne derivò. Sighele apprezza condizioni della donna nella civiltà moderna. È pur l'opera, la cita e ne parla, ancora in Eva moderna: vero che in questi scritti si rileva un atteggiamento “Questo romanzo, che è senza dubbio fra i migliori che – per restituire ironia a certe ironie dell'autore usciti da penna femminile in Italia, non è che la sto–, potremmo definire “ottocentesco”, ma La donna ria di un'anima, il diario di una battaglia morale comnova è anche il libro che si chiude con un’asserzione battuta da una moglie di troppo ingegno contro un capace di illuminare in una prospettiva nuova sia il ambiente intellettualmente mediocre. Ed è piaciuto pensiero del suo autore che le sorti dell'intero dibat- appunto per la sincerità e per l'audacia con cui l'autritito. Sighele, infatti, con un tono che pare essere più ce aveva messo a nudo un cuore di donna”. da politico che da sociologo, prende netta posizione “Io non vedo – scrive ancora nell'opera del 1910 in asserendo che “le rivendicazioni che la donna pre- relazione alla parità dei sessi di fronte alla legge – un tende sono giuste e sante, quindi presto o tardi le solo argomento che possa validamente contrastare otterrà”. Seguendo il filone degli studi dedicati alle in teoria il diritto di voto alle donne”. Tali prese di problematiche della donna nella società, troviamo posizione permettono a Giovanni Pedrotti di etichetuna conferenza tenuta in Riva nel 1903 su invito della tare meritatamente Scipio Sighele come “femminiPro cultura rivana, intitolata “La donna e il problema sta”. Lo studioso trentino così lo definisce nel 1932 dell'educazione”. È nel 1907 che Sighele inquadra, in quanto “scrittore e sociologo che denuncia coragsuccessivamente, la problematica della parità dei di- giosamente lo sfruttamento che tutt'ora si va facenritti tra uomo e donna secondo le corde che gli sono do della donna”. Argomenti che hanno indirizzato più affini, quando cioè pubblica nella rivista Vita e sostenuto, nel monologo Esercizio di libertà, una femminile italiana un articolo dal titolo “La donna e presentazione e una lettura di Scipio Sighele come le ingiustizie della legislazione”. ”intellettuale impegnato”. Lia, Scritti che verranno raccolti la giovane donna che nella finnel volume Eva moderna del zione narrativa abita a pochi 1910, opera nella quale si premetri dalla casa familiare di lui, cisa la posizione dello studioso intende davvero liberarsi da sull'argomento e si consolida quel “marchio indelebile d'una la convinzione circa il caratteinferiorità giuridica” che il suo re rivoluzionario dell’affermaconcittadino aveva evidenziato zione del principio della parità e stigmatizzato.

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Femminicidio in salsa trentina

no spazio nella cronaca nera Il Trentino, lo sappiamo e ce lo degli anni successivi: nel 1974 ricordano ogni anno le statistiLoredana Dominici, giovane che sulla sicurezza e sulla quadi Cles, è investita da un autolità della vita, è una provincia 1959-2008 carro che tampona il suo mocon livelli di criminalità contedi Paola Bertoldi torino e la trascina sulla strada nuti. Ciò nonostante anche in per mezzo chilometro; viene questa realtà si sono registrati, inizialmente condannato l’ex seppur raramente, eventi delitfidanzato Giuseppe Bertagnoltuosi di efferata violenza che si li, poi assolto per insufficienza sono impressi nella memoria di prove. Nel 1982 sparisce nel collettiva. Fra questi prendiamo sinteticamente in considerazione, per l’attualità nulla Germana Degasperi (23 anni), episodio per il del tema, quegli episodi legati al cosiddetto femmi- quale viene condannato a 7 anni il marito, ma il cornicidio registrati in circa cinquant'anni fra il 1959 e il po della ragazza non sarà mai ritrovato. 2008. A Coredo, in val di Non, la sera del 6 maggio Nel 1987 nei boschi di Brentonico viene rinvenuto 1959, Mario Bellotta, di appena 16 anni, segue fino a il cadavere carbonizzato della ventenne Loredana casa Erina Leonardi, 41 anni, maestra elementare, e Gambaretto. Per il suo omicidio viene comminata la pena dell’ergastolo a Roberto Faedo, l’amante di 35 la uccide con 26 coltellate. Si chiama invece Oriana Zanchetta la giovane ragaz- anni, sposato e padre di famiglia, che si dichiarerà za, di appena 17 anni, che viene violentata, strango- sempre innocente. lata e gettata in una cisterna nella zona dei Solteri a Qualche anno dopo, è il 1990, la ventottenne Maria Trento. È il 25 ottobre 1967 e l’assassino non verrà Luisa De Cia viene violentata, brutalizzata e uccisa mai smascherato. Altre vittime, altre donne, trova- nella zona di San Martino di Castrozza accanto a un

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sentiero sulle Pale di San Martino, mentre Isabella Veneto, 42 anni, titolare di un night club ad Arco, viene uccisa a coltellate nel settembre del 1994 nel suo appartamento. In entrambi i casi il colpevole è sfuggito alla giustizia. La violenza contro le donne si arricchisce poi dei cosiddetti “omicidi a luci rosse“. È il 9 gennaio 1992, quando Anna Maria Ropele, una delle prostitute più note e ricche della Trento di allora, viene trovata uccisa in una pozza di sangue nel suo appartamento di corso Buonarroti, a Trento, colpita da un'unica e letale coltellata. Il delitto fece scalpore anche perché Anna Maria, ai tempi trentottenne, aveva costruito fama e fortuna difendendo la sua professione, conducendo battaglie per fondare un sindacato e aprire una cooperativa a luci rosse. Storia diversa, ma uguale tragica fine anche per la prostituta ventiquattrenne Maria Fraga, originaria di Montevideo: il 6 marzo 1998 viene trovata sgozzata nel suo letto senza che si sia mai potuto accertare il colpevole. Aveva un figlio. La lista delle donne assassinate in Trentino, quasi sempre dal partner o dall’ex, ha continuato ad arricchirsi anche nel corso del primo decennio del nuovo millennio. Il 9 settembre 2002 Paolo Pergher, 46 anni, ex gestore della pizzeria Enrosadira di Moena, uccide la moglie, Rita Trettel, 49 anni. La strangola con una cordicella, nella camera da letto di lei. A Mattarello, il 12 luglio 2004, è l'odontoiatra Fabrizio Bertelli, 37 anni, a uccidere l'amica Fernanda Chistè, mentre nel dicembre dello stesso anno Jessica Giorgio, 30 anni e un figlio di 11, viene accoltellata a Predazzo dal suo ex convivente Pietro Cannavacciuolo. Nemmeno due anni più tardi – è l'ottobre del 2006 – avviene un altro delitto, questa volta a Canova di Gardolo. Rino Poletto, muratore di Pergine, ferma l'auto con a bordo la moglie, Lia Piva e la colpisce ripetutamente con il coltello, uccidendola. Un raptus di gelosia

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legato alla relazione ormai conclusa tra i due. 2007, altra valle del Trentino, ma simile dinamica: a Ronzo Chienis una guardia giurata di 50 anni uccide la sua ex convivente e ferisce gravemente il loro bambino e un fratello di lei. L'omicidio viene consumato davanti a due gemelline di 5 anni. Ancora, nell'ottobre del 2008, questa volta a Trento, Carlos Ignacio Carrasco Ortega, cileno, colpisce con un coltello, e uccide, Ilenia Graziola, giovane psicologa di Nogaredo. L'uomo, che non accettava la fine della relazione, si toglie la vita con lo stesso coltello. Il delitto di Coredo del 1959 colpì l’opinione pubblica perché Bellotta, che resta il più giovane omicida nella storia giudiziaria del Trentino del Novecento, confessò di aver tentato di violentare la sua vittima. Erano anni in cui il martirio in nome della purezza, le suggestioni del sesso visto come peccato mortale e la devozione a Maria Goretti erano molto vivi nel vissuto collettivo. Gli omicidi delle due prostitute negli anni novanta si inseriscono invece in un altro contesto, in un società diversa e più libera, dove era forte il dibattito sulle necessità di riaprire le case di tolleranza per liberare le strade dalla prostituzione e combattere gli episodi di grave violenza o la tratta delle schiave del sesso. L’uccisione di Oriana Zanchetta, la ragazza stuprata e gettata in una cisterna, è uno dei primi tragici casi di femminicidio. Il suo brutale omicidio fu imputato subito a un maniaco sessuale. La giustizia interrogò centinaia di persone privilegiando la pista dell’assassino che colpisce a caso, ma la madre della ragazza non ha mai creduto alla teoria del maniaco che sbuca dal nulla, ed è sempre stata convinta che chi ha ucciso la figlia la conoscesse. È in questa direzione che si sarebbero dovute orientare le indagini. I casi di femminicidio più recenti sembrerebbero darle ragione.

Alcune delle 21 vittime di femminicidio registrate nel 2012 (da <corriereitaliano.com>)


Stati generali della storia

INFOM INFO M USE USE O O MAGGIO Rassegna cinematografica in biblioteca Il Comitato di Indirizzo della FonLa rassegna cinematografica or- dazione Museo storico del Trentiganizzata nell'ambito del progetto no ha promosso gli “Stati generali “Trentino Italia storie pop”, avvia- della storia”, chiamando a raccolta ta nel mese di aprile presso la Bi- studiosi, istituzioni, ricercatori, asblioteca della Fondazione Museo sociazioni e realtà che, a vario titostorico del Trentino, è proseguita lo, si occupano di storia in Trentianche nel mese di maggio, a ca- no, al fine di promuovere una riflessione comune sulle questioni denza settimanale. Il 7 maggio è stato proiettato il cruciali che gli studi storici sono documentario di Micol Cossali e chiamati ad affrontare per quanto Matteo Zadra “Un grande son- concerne i vari aspetti della loro pratica ed organizzazione. Il prono nero: vita e morte di Guido gramma prevedeva due incontri Rossa, alpinista e operaio”; il 14 tematici (il 10 e il 16 maggio alle maggio invece è stata la volta del Gallerie di Piedicastello) dedicati filmato “Il mio paese” di Daniele rispettivamente a “Ricerca, studi e Vicari. formazione storica” e a “Fonti, strumenti, territori”. Dopo l’introUn incontro sul film d’animazione duzione di Luigi Blanco (presidente del Comitato di indirizzo della Nell’ambito del progetto “Trentino Fondazione Museo storico del Italia storie pop”, giovedì 19 mag- Trentino) e Marta Baldessarini (vigio presso la Fondazione Caritro a cepresidente del medesimo CoTrento, è stata proposta la tavola mitato) sono intervenuti Renato rotonda “Il cinema d’animazione e Mazzolini (Dipartimento di Sociola cultura italiana”. logia e ricerca sociale dell’UniverSono intervenuti Roberto Frattini, sità di Trento), Marcello Bonazza compositore e curatore delle mu- (Società di studi trentini di scienze siche dei film di Bruno Bozzetto; storiche), Camillo Zadra (Museo Francesco Filippi, regista e stu- storico italiano della guerra), Rodioso d’animazione; Valerio Oss, berta Arcaini (Soprintendenza animatore ed esperto di effetti provinciale per i Beni storico-artispeciali visivi; Andrea Pulito, illu- stici, librari e archivistici della Provincia autonoma di Trento) e Cristratore, grafico e regista.

stiano Trotter (Comunità di Primiero). Venerdì 24 maggio, sempre alle Gallerie di Piedicastello, si è tenuta l’assemblea plenaria conclusiva, che ha visto gli interventi di Elena Tonezzer (Fondazione Museo storico del Trentino) e Maddalena Pellizzari (tavolo di lavoro “Verso la Rete della storia in Trentino”). L’officina dell’autonomia Tra il 13 e il 17 giugno si è svolta la seconda edizione dell’“Officina dell’autonomia” organizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con l’Accademia europea di Bolzano (EURAC) e il Centro Jean Monnet di Trento; quest’anno ci si è interrogati sull’evoluzione in chiave europea delle autonomie speciali, attraverso l’accostamento dell’esperienza trentina a quella di altre autonomie speciali – vicine (come l’Alto Adige) e lontane (come Scozia e Catalogna).

Al primo incontro, tenutosi alle Gallerie di Piedicastello il 13 maggio, si è parlato del tema “Meglio soli o accompagnati? La governance dell’autonomia in Europa” con Daniel Cetrà (Università di Edimburgo), Marc Sanjaume (Uni-

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versità Pompeu Fabra di Barcellona), Simone Penasa (Università di Trento) ed Elisabeth Alber (Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo dell’EURAC di Bolzano). Il giorno successivo, Sara Parolari (Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo dell’EURAC di Bolzano), Giovanni Poggeschi (Università del Salento) e Jens Woelk (Università di Trento) si sono confrontati su “Come declinare l’autonomia? Modelli a confronto”. Mercoledì 15 maggio il dibattito si è sviluppato attorno al tema “Autonomie a confronto” con interventi di Lorenzo Gardumi (Fondazione Museo storico del Trentino), Andrea Di Michele (Archivio provinciale di Bolzano) e Luigi Blanco (Università di Trento). A chiusura dell’“Officina”, il 17 maggio, si è proposto un gioco interattivo per le vie della città alla scoperta dei luoghi dell’autonomia; in conclusione si è tenuto un confronto dedicato all’approfondimento dei temi emersi nel corso delle varie serate.

spettacolo di Daniele Timpano “Aldo morto. Tragedia”. Timpano ricostruisce i momenti salienti del rapimento Moro e del ritrovamento, il 9 maggio 1979, del cadavere attraverso lo sguardo di chi, troppo piccolo per avere ricordi di prima mano, si affida alla memoria sociale, cioè ai media che costruirono l’informazione. Lo spettacolo è stato replicato il 5 luglio a Brentonico e il 6 luglio a Lavarone.

Incontro con gli attori Andrea Castelli e Daniele Timpano Il 15 maggio la Fondazione Museo storico del Trentino, nell'ambito del progetto “Trentino Italia storie pop”, ha organizzato la tavola rotonda dal titolo “Andrea Castelli e Daniele Timpano, due narrat(t)ori a confronto. L’incontro è stato introdotto da Francesco Nardelli, direttore del Centro servizi culturali Santa Chiara di Trento e moderato da Daniele Filosi.

Uno spettacolo su Aldo Moro

“Collection day” a Forte Monte Maso

Nell'ambito del progetto “Trentino Italia storie pop“ il Teatro Sartori di Ala ha ospitato il 14 maggio lo

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Dopo il primo “Collection day” del 16 marzo al Forte di Cadine (Trento), sabato 18 maggio a Forte Monte Maso di Valli del Pasubio (Vicenza) si è svolta una nuova giornata di raccolta di materiale risalente alla prima guerra mondiale: cimeli, lettere, cartoline, fotografie e diari legati alla Grande Guerra. Alcuni esperti del progetto “Europeana 1914-1918” – tra

cui anche il personale della Fondazione Museo storico del Trentino – sono rimasti a disposizione per la riproduzione dei documenti e la registrazione dei racconti, resi poi disponibili sul sito <www.europeana1914.1918.eu>.

Una fiaccolata in memoria dei deportati Nell’ambito delle iniziative organizzate dal Tavolo di lavoro sull’ex Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, il 22 maggio il circolo P.R.C. “Ora e Veglia” ha proposto la settima edizione della fiaccolata in memoria dei 299 pazienti deportati il 26 maggio 1940 dall’Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana in Germania.

GIUGNO Una conferenza sull’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana All’interno degli appuntamenti organizzati dal Tavolo di lavoro sull’ex Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, il 6 giugno presso l’Istituto “Marie Curie” di Pergine si è tenuta la conferenza pubblica dal titolo “Tra archivio e biblioteca scorre la storia dell'ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana”. Sono intervenute Laura Dalprà, Roberta Arcaini e Laura Bragagna della Soprintendenza provinciale per i beni storico-artistici, librari e archivistici e della Provincia autonoma di Trento. Ha moderato la serata Anna Guastalla dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari. Farmacisti a confronto Nei giorni 7 e 8 giugno si è tenuto a Trento e a Brentonico, rispettivamente presso le Gallerie di Piedicastello e palazzo Eccheli-Baisi, il Convegno nazionale dell'Acca-


demia italiana di storia della farmacia che ogni anno riunisce e appassionati e cultori di diversa provenienza geografica. In questo nuovo appuntamento, organizzato dall'Accademia stessa in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, l'Ordine dei farmacisti della provincia di Trento e il Comune di Brentonico, sono state approfondite in particolare alcune esperienze maturate nell'ambito della storia della farmacia e della sanità in territorio trentino. Tre mostre a Brentonico Il 7 giugno a Palazzo Eccheli-Baisi di Brentonico sono stati aperti tre percorsi espositivi: “Farmacopee e codici farmaceutici (secoli XVXXI)”, “La visione veggente della realtà: opere di Carlo Zinelli (19601972)”, “Il senso della follia: 120 anni di storia dell’Ospedale di Pergine Valsugana (1882-2002)”.

uno degli “EURAC science cafè” in cui, ricercatori, professionisti di varie discipline, curiosi e scettici si incontrano per chiacchierare di scienza e attualità in un ambiente informale. Si è parlato di “Smart cities: città intelligenti tra passato, fantascienza e realtà”. Ha partecipato, per la Fondazione Museo storico del Trentino, Elena Tonezzer. 18 anni di storia attraverso le fotografie del giornale l’Adige Le Gallerie di Piedicastello il 14 giugno hanno ospitato l’inaugurazione della mostra fotografica “Istanti: percorso a passo di cronaca attraverso l’archivio storico del giornale l’Adige (1955-1972)”, organizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dal giornale l’Adige, e curata da Danilo Curti, Francesca Rocchetti e Rodolfo Taiani.

Una mostra sull’emigrazione in val di Non La Comunità della valle di Non, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino e i Comuni di Cagnò, Revò, Romallo, Cloz e Brez, ha inaugurato il 21 giugno a Revò la mostra “Storie di emigrazione in val di Non”, a cura di Valentina Galasso. Oltre alla curatrice, sono intervenuti alla serata Yvette Maccani (sindaco di Revò), Sergio Menapace (presidente della Comunità della valle di Non), Maria Floretta (studiosa di emigrazione), Costantino Pellegrini (Istituto comprensivo “Carlo Antonio Martini” di Revò), Anna Sarcletti e Marco Rauzi (responsabili della raccolta di videointerviste sul territorio). La mostra si colloca al termine di un percorso di raccolta di materiale sull'emigrazione che ha coinvolto la popolazione dei Comuni di Cagnò, Revò, Romallo, Cloz e Brez. Sono esposti oggetti originali, lettere e fotografie; alcune videoinstallazioni permettono di ascoltare le interviste a coloro che in passato sono emigrati dalla valle di Non, o che ricordano storie di emigrazione vissute da parenti e familiari nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Le pubblicazioni del Museo storico alle Feste vigiliane

Un racconto composito che, proprio nell’amore del dettaglio, aiuta a cogliere le grandi trasformazioni sociali ed economiche, le turbolenze politiche, le nuove opportunità conoscitive e lavorative che hanno caratterizzato il periodo compreso tra la metà degli anni cinquanta e la fine del decennio successivo, narrando, attraverso la fotografia, una storia diversa da quella dei grandi eventi. La mostra, organizzata nell’ambito del Caffè scientifici all’EURAC progetto “Trentino Italia storie Il 12 giungo a Bolzano, presso pop”, rimarrà aperta fino al 27 otl’Accademia europea, si è tenuto tobre 2013.

In occasione delle tradizionali Feste vigiliane la Fondazione Museo storico del Trentino è stata presente con uno stand promozionale in via Mazzini a Trento nelle serate di martedì 25 e mercoledì 26 giugno: coloro che hanno visitato la bancarella hanno potuto sfogliare, conoscere più da vicino e acquistare i libri e le riviste edite dal Museo nonché informarsi sui servizi offerti.

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Omaggio musicale a Carlo Zinelli

Trento), Giuseppe Ferrandi (direttore della Fondazione Museo storico del Trentino), Roberto De Bernardis (segretario dell’As­socia­zione Museo storico in Trento) Sergio Benvenuti (direttore dell’Associazione dal 1971 al 1985) e Vincenzo Calì (direttore dell’Associazione dal 1985 al 2003).

Il 26 giugno a Brentonico, nell'ambito della mostra “La visione veggente della realtà: opere di Carlo Zinelli“, la corale “I nonni del lupo di San Giovanni Lupatoto”, diretta dalla maestra Anna Maria Maggiotto, ha proposto l'esibizione musicale “Omaggio a Carlo”. Con l'accompagnamento di fisarmo- Un libro e un documentario niche e chitarre, è stato eseguito sull’ospedale psichiatrico di Perun ampio repertorio di musiche e gine Valsugana canti popolari. Nell'ambito della mostra “Il senso della follia“, il 28 giugno a BrentoI 90 anni del Museo storico nico, è stato presentato il volume “Castagne matte” a cura di Felice Ficco e Rodolfo Taiani (Pergine, Publistampa, 2013). Hanno partecipato alla serata Giorgio Maria Ferlini, Felice Ficco, Denis Fontanari, Rocco Serafini e Rodolfo Taiani. Il libro offre una riflessione sulle principali tappe che hanno segnato la storia dell’assistenza psichiatrica in Tirolo fra la fine del Settecento e il 2002 con particolare riferimento al manicomio, poi ospedale psichiatrico, di Pergine Valsugana. Nel corso dell’incontro è stato proiettato il documentario “Oltre le mura” per la regia di Rocco Serafini. L’appuntamento è stato replicato il 30 luglio alle Gallerie di Piedicastello e l’8 agosto a Bosentino. Si è tenuta il 27 giugno a Trento, nella sala del Consiglio comunale, la celebrazione del 90° anniversario di fondazione dell’Associazione Museo storico in Trento, costituita alla fine della prima guerra mondiale, riprendendo un’idea che era stata di Cesare Battisti. Sono intervenuti Alessandro Andreatta (sindaco di Trento e Presidente dell’Associazione Museo storico in Trento), Antonio Coradello (vicepresidente del Consiglio comunale di Trento), Marta Dalmaso (assessore all’istruzione e sport della Provincia autonoma di

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mitato organizzatore dei campionati del mondo 2013 e delle gare di coppa del Mondo in val di Fiemme Piero Degodenz, i campioni olimpionici Franco Nones, Giorgio Vanzetta e Cristian Zorzi, il presidente FISI del Trentino Angelo Dalpez, il presidente del Comitato Marcialonga Alfredo Weiss. A conclusione della serata è stato proiettato il documentario di Lorenzo Pevarello “Non solo bisonti: storie di una gara e due valli” dedicato alla storia della Marcialonga.

LUGLIO

Una serata dedicata alla mostra “Ski past”

Film d’animazione a Lavarone

Per ringraziare coloro che hanno collaborato alla realizzazione della mostra “Ski past: storie nordiche in Fiemme e nel mondo” e per presentare il volume che ne raccoglie i materiali, la Fondazione Museo storico del Trentino ha organizzato giovedì 27 giugno, presso Le Gallerie di Piedicastello a Trento, una serata in cui sono intervenuti i curatori della mostra Alessandro de Bertolini, Giuseppe Ferrandi e Roberta Tait, il presidente del Co-

Fra le iniziative del progetto “Trentino Italia storie pop” è inclusa una rassegna di otto serate di film d’animazione. Dal 4 luglio al 30 agosto la rassegna è stata rivolta alla cittadinanza e agli ospiti di Lavarone che, ogni venerdì, presso il cinemateatro “Dolomiti”, hanno potuto assistere alla proiezione di documentari e fiction sui temi importanti della cultura dell’Italia moderna e contemporanea, tutti realizzati in varie tecniche d’animazione.


Pubblicità e guerra fredda: una mostra Il 6 luglio presso Base Tuono di Folgaria, il Museo dell’aeronautica “Gianni Caproni”, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino e il MUSE, ha inaugurato la mostra “Pubblicitá ai tempi della guerra fredda: collezione privata di Luigino Caliaro”. Erano presenti alla serata Michele Lanzinger, direttore del Museo delle Scienze, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Maurizio Toller, sindaco del Comune di Folgaria. Per l’occasione è stato realizzato un numero speciale della rivista Altrestorie con i materiali dell'esposizione. Mostra sulla fotografia in Tirolo

La mostra “Esposto alla luce – Belichtet: fotografia in Tirolo dal 1854 al 2011” è stata inaugurata l’11 luglio alle Gallerie di Piedicastello alla presenza di Alberto Pacher, presidente della Provincia autonoma di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino, Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, Harald Oberrauch, azionista e membro del consiglio di amministrazione

Durst Phototechnik AG, Hans Heiss, storico, Michael Forcher e Meinrad Pizzinini, storici e curatori della mostra. L’esposizione rimarrà aperta fino al 3 novembre 2013. Commemorazione di Cesare Battisti La Fondazione Museo storico del Trentino, l'Associazione Museo storico in Trento, il Museo nazionale storico degli Alpini e l'Associazione nazionale Alpini hanno commemorato il 12 luglio sul Doss Trento il 97° anniversario della morte di Cesare Battisti. Dopo gli interventi del generale Stefano Basset, direttore del Museo nazionale storico degli Alpini, di Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e di Maurizio Pinamonti, presidente dell’Associazione nazionale Alpini del Trentino, lo storico Vincenzo Calì ha tenuto la conferenza dal titolo “Patria e socialismo nel Trentino di Cesare Battisti”.

Mostra sulla cooperazione a Malè La mostra “Storie di genere: l’altra metà della cooperazione”, curata da Alberto Ianes e Paola Antolini e realizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dall'Associazione Donne in cooperazione, è stata inaugurata a Malè il 18 luglio. Successivamente, dal 23 agosto al 22 settembre, l’esposizione è stata ospitata a Padergnone, presso la Sala consiliare. Laboratori con i farmacisti

L'Associazione giovani farmacisti Trentino Alto Adige/Südtirol ha organizzato, con il sostegno del Comune di Brentonico e la collaborazione della Fondazione Museo storico del Trentino, alcuni laboratori aperti al pubblico denominati “A tu per tu con il farmacista” in cui sono state preparate creme, pomate, sciroppi. Gli incontri, presso l’Aula polivalente dell’Istituto comprensivo di Brentonico, si sono tenuti nelle seguenti date: 20 luglio, 27 luglio, 10 agosto, 25 agosto e 7 settembre. Una mostra sulla montagna

Una mostra sul fumetto a Lavarone Il 13 luglio nella biblioteca di Lavarone è stata inaugurata la mostra “La storia disegnata: vicende italiane e trentine nei fumetti dal 1945 ad oggi”, curata da Nicola Spagnolli e organizzata nell’ambito del progetto “Trentino Italia storie pop”.

Il 24 luglio a villa Flora di Ziano di Fiemme è stata inaugurata la mostra “La montagna di Fiemme nei filmati del passato”, un modo di raccontare la montagna e i suoi abitanti attraverso i documenti audiovisivi, le testimonianze e le fotografie del passato. Assieme ai curatori Alessandro de Bertolini, Lorenzo Pevarello e Roberta Tait sono intervenuti all’inaugurazione

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Fabio Vanzetta, sindaco di Ziano di Fiemme, Alberto Pacher, presidente della Provincia autonoma di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino, Mauro Gilmozzi, assessore all'Urbanistica della Provincia autonoma di Trento, Carlo Zorzi, regolano della Magnifica Comunità di Fiemme.

EDIZIONI

zare la sua speranza nella civiltà dell’uomo e nel sogno di un governo universale. Si auspica che anche questo testo possa contribuire a riscoprire l’opera complessiva di un grande intellettuale italiano del XX secolo. Un parco di storie: alla scoperta delle statue di piazza Dante, a cura di Tommaso Baldo, Luca Caracristi ed Elena Tonezzer pp. 95, € 10,00

NOVITÀ Silvia Bertolotti, La rosa dell’esilio: Giuseppe Antonio Borgese dal mito europeo all’utopia americana 1931-1949, pp. 359, € 22,00

AGOSTO A Bosentino la mostra sul manicomio di Pergine La mostra “Il senso della follia: 120 anni dell’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana”, a cura di Rodolfo Taiani, è stata inaugurata a Bosentino, presso il Palazzetto comunale, sabato 3 agosto. Malga Zonta Ogni anno, il 15 agosto, a Folgaria viene commemorato l’eccidio nazista di Malga Zonta. Quest’anno, a ricordare il 69° anniversario del tragico evento, sono intervenuti Maurizio Toller, sindaco di Folgaria, Luigi Dalla Via, sindaco di Schio, Alessandro Olivi, assessore della Provincia autonoma di Trento, Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino. L’orazione ufficiale è stata tenuta da Flavio Zanonato, ministro della Repubblica per le attività produttive.

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Durante la lunga stagione vissuta negli Stati Uniti, Giuseppe Antonio Borgese fu uno dei rari intellettuali italiani in grado di cogliere senza esitazione la rosa dell’esilio, rendendo così la sua condizione di esule volontario una peculiare opportunità di rigenerazione, una palingenesi esistenziale e insieme culturale. Borgese fu sempre un liberale, un europeista e un umanista militante e l’esperienza dell’esilio americano non fece che raffor-

Nel 1898 fu inaugurato il grande monumento a Dante Alighieri, la prima e la più importante delle statue che impreziosiscono il parco attiguo. Da quell'anno molti altri busti hanno arricchito le stradine del giardino pubblico. Prati, Canestrini, Gazzoletti, Carducci, Verdi e poi – dopo la Grande Guerra – Ranzi, Chini, Negrelli, Bresadola, fino al monumento alla famiglia. Quali storie raccontano le statue? Perché sono stati scelti proprio questi personaggi? Il volume, catalogo dell'omonima mostra, racconta la storia di Trento attraverso le polemiche e le feste che hanno accompagnato l'inaugurazione di ogni monumento. Un modo diverso per scoprire il passato della città.


Sergio Benvenuti, La patria incerta: contributi per una biografia di Adolfo de Bertolini, pp. 352, € 21,00 Il volume assai documentato si ripropone di rileggere la complessa figura dell’avvocato Adolfo de Bertolini (1871-1946), una personalità di rilievo, centrale nella storia del piccolo Trentino del XX secolo. De Bertolini fu, infatti, per due volte coinvolto nei compiti di commissario amministrativo di Trento e del Trentino durante le due guerre mondiali (sotto l’Austria prima e sotto la Germania poi). Fu anche amministratore di banca a livello locale, rivestendo, in particolare, un importante ruolo nella vicenda della liquidazione della Banca del TrentinoAlto Adige, di area cattolica, e della contestuale creazione dell’istituto finanziario che ne raccolse l’eredità, l’attuale Banca di Trento e Bolzano. A distanza di decenni dai fatti storici narrati, spesso tragici, l’Autore cerca di guardarvi con il distacco neutrale dello studioso.

Clinker Motel: ex-Italcementi, Trento 2005-2013, a cura di Layla Betti, fotografie di Pierluigi Cattani Faggion

Catalogo dell'omonima mostra che raccoglie 44 fotografie scattate tra il 2005 e il 2013 da Pierluigi Cattani Faggion all’interno dell'ex stabilimento dell'Italcementi di Trento, ora demolito. Album dei ricordi urbano nel quale alle tracce di un passato più o meno lontano si sovrappongono le contraddizioni del presente. Stefania Lucchetta, Lo sguardo obiettivo: Giovanni Battista Unterveger e l’illustrazione fotografica del territorio, pp. 208+32 tav. f.t., € 15.00

suo percorso professionale: dalla formazione, come pittore-decoratore, alle lezioni di disegno presso Agostino Perini, all’incontro con il dagherrotipista itinerante Ferdinand Brosy. Le circostanze lo vedranno dapprima fotografo itinerante, poi fotografo stabile in Trentino, affiancandovi la produzione di vernici. Accanto ai ritratti si dedicò con passione all’ambizioso progetto di un'illustrazione fotografica del Trentino, che lo vide impegnato nelle valli e intento alle riprese di paesaggi d’alta quota, con la convinzione che la funzione documentaria del territorio, facendosi memoria, valesse quanto una storia scritta.

P R E S E N TA Z I O N I 22 maggio 2013, Trento Il volume Guerrieri: considerazioni sull’uomo in battaglia di J. Glenn Gray (traduzione e note critiche di Enrico Maria Massucci) è stato presentato presso la Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino. Sono intervenuti Enrico Maria Massucci, Gustavo Corni e Quinto Antonelli. 24 maggio 2013, Trento, 28 luglio 2013, Champoluch (Val d’Aosta) Il documentario di Micol Cossali “La fabbrica delle donne”, dedicato alla la Manifattura Tabacchi di Rovereto, è stato proiettato alle Gallerie di Piedicastello. Alla presentazione, assieme alla regista erano presenti anche le tredici donne che hanno partecipato alle riprese del film. Lo stesso documentario è stato proiettato a fine luglio in Val d’Aosta nell'ambito della rassegna “La montagne en rose”, dedicata alle abilità e alla creatività delle donne.

Il volume ripercorre la vicenda umana e professionale di Giovanni Battista Unterveger. L’Autrice ci accompagna lungo tutto il

2 luglio 2013, Peio Il documentario “Peio: una storia d’acqua”, realizzato da Lorenzo Pevarello, è stato presentato al teatro delle terme di Peio, durante una serata organizzata dall’Ecomuseo val di Peio.

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21/12/13 28/09/14

Villa Paradiso nel Parco di Levico Terme

Per aPerTure e orari

www.museostorico.it Biblioteca comunale di Levico Terme tel 0461 710206 levico@biblio.infotn.it Fondazione Museo storico del Trentino tel 0461 230482 | www.museostorico.it info@museostorico.it iNGreSSo GraTuiTo chiuso il lunedì viSiTe GuidaTe Su PreNoTazioNe iNauGurazioNe veNerdì 20 diceMBre 2013 ore 17.00

mostra sul turismo termale nell’arco alpino levico tra XiX e XX secolo BIBLIOTECA DI LEVICO

COMUNE DI LEVICO

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Servizio Conservazione natura e valorizzazione ambientale Servizio Attività culturali


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