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ASSICURAZIONI DAL 1937

IN QUESTO NUMERO

anno decimo

numero venticinque

maggio 2008

Per una memoria condivisa

Un filo rosso collega fra loro alcuni dei testi ospitati in questo numero di Altrestorie: è la storia dell’emigrazione e del faticoso rapporto degli immigrati con il paese ospite. Ovunque la difficoltà dell’inserimento in una nuova realtà origina spesso il rifiuto e la negazione delle reciproche storie. Si comprende allora come il tema della condivisione delle memorie non rappresenti solo un valore civile e strumento di crescita culturale per qualsiasi comunità; è passaggio fondamentale per favorire il funzionamento di quella società multietnica verso la quale spinge inesorabilmente il processo di globalizzazione in atto. Le vicende e le esperienze presentate muovono in questa direzione e offrono testimonianza di come praticare concretamente i valori della convivenza. “Guardare il mondo con occhi diversi” intervista con Ermete Zandonai di Paolo Piffer “Sarebbe bello ma non è facile”: intervista con Altin Braka di Paolo Piffer Vite che scorrono accanto Sinti e zingari di Elena Andreotti «Finestre Aperte per Giovani Creativi»: un progetto al Centro Astalli Cesare Battisti o come si porta un uomo alla morte di Massimo Parolini

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“Guardare il mondo con occhi diversi” intervista con Ermete Zandonai di Paolo Piffer

Ha fatto parte della seconda ondata dell’emigrazione trentina in Cile, nella regione di Coquimbo, nei primi anni cinquanta. E il suo nucleo familiare era il più numeroso. Madre, padre e tredici fratelli (4 femmine e 9 maschi). A 21 anni, poco prima di partire, si era sposato. Sedici persone in tutto. Ermete Zandonai, originario di Pedersano, diplomato perito, nel Paese sudamericano – dove aveva impiantato un’officina ma ha anche coltivato una terra difficile e improduttiva – c’è stato fino al 1965. Poi è ritornato in Trentino con i cinque figli nati lì. Parlare con lui, oltre a ricordare le difficoltà alle quali andarono incontro i trentini, serve a capire quanto il confronto tra culture diverse, la memoria della terra da cui si era partiti e, ora, dopo tanti anni, la percezione di un Paese che si è lasciato da tempo, concorrano a costruire un tessuto culturale che è anche antidoto contro gli stereo­ tipi che caratterizzano alcuni fenomeni odierni. In primis l’immigrazione. In quello che

dice Zandonai – 77 anni e gli occhi lucidi quando parla del padre morto in Cile – c’è innanzitutto la netta sensazione, perché vissuta, per quanto parecchi anni fa, che l’impatto con la popolazione cilena fu soprattutto un incontro tra diversità. “Quelli di noi, ed io tra questi, che avevano in testa, e praticavano, la cultura del lavoro, del rimboccarsi le maniche di fronte ad una situazione complicata – dice – rimanevano come spaesati di fronte alla popolazione del posto. Nei cileni c’era un modo di vivere giorno dopo giorno, senza porsi obiettivi di media e lunga durata. Non conoscevano il risparmio. Era una filosofia che per uno come me che veniva da un’educazione che risentiva di echi asburgici era difficile comprendere. I cileni erano espansivi, accoglienti, ma molto diversi da noi. Sapevano che venivamo da un Paese uscito da poco dalla guerra, che eravamo poveri. Nel loro immaginario eravamo arrivati come adesso sbarcano con le carrette, sulle nostre coste, gli immigrati. Devo peraltro dire che se molti trentini, vista la situazione, cercarono di darsi

da fare, altri si lasciarono andare”. Zandonai fa cenno anche alla proverbiale riservatezza trentina che se, almeno a prima vista, può sembrare uno stereotipo, calato in una realtà lontana assume contorni tali da frenare quei processi di avvicinamento e comprensione che favoriscono l’integrazione. E infatti Zandonai afferma quanto i trentini, alla fin fine, “non fossero integrabili nonostante la disponibilità di parecchi cileni”. Anche perché, aggiunge, ricordando che quanto afferma si riferisce ai primi quindici anni di immigrazione trentina in quella landa cilena, “tutto sommato ci sentivamo superiori a loro proprio per questo senso di responsabilità nei confronti della famiglia che ci portava a costruire qualcosa, a realizzare il nostro futuro. Tutti aspetti che si ritenevano fondamentali ma che non vedevamo nei cileni. Avevo un profondo rispetto per la popolazione locale e ho un bellissimo ricordo di questa esperienza di vita – pur con le difficoltà che ci sono state, specialmente nei primi due anni e mezzo – ma percepivo anche una forte differenza. Non capivo, e l’ho realizzato solo quando sono tornato, quando mi dicevano: “Beh, insomma, se sei riuscito a fare un po’ di soldi e a stare bene è arrivato il momento di fermarti e goderti la vita”. Nella comunità trentina c’era quindi una forte difesa della propria identità a fronte di una disponibilità cilena all’accoglienza che si potrebbe dire “naturale”. “E’ innegabile che la cultura trentina, quella della famiglia, almeno nei primi dieci-quindici anni, non è stata scalfita. Basti pensare che matrimoni misti ce ne furono pochissimi, non erano assolutamente ben visti tra di noi. Ad un certo punto decisi di tornare. Non solo perché ritenevo di aver concluso il debito di riconoscenza nei confronti dei miei genitori per il loro progetto di


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vita, ma anche perché, avendo avuto cinque figli, ho preferito portarli in Italia da piccoli. Se avessi aspettato di più, e fossero cresciuti lì, e guardi che in Cile ormai mi ero sistemato, intui­vo che avrebbero sofferto di uno spaesamento che sarebbe stato difficile recuperare”. Le riflessioni di Zandonai si soffermano sull’attualità in riferimento alla sua

“Sarebbe bello ma non è facile”: intervista con Altin Braka di Paolo Piffer

“Pensare alla mia memoria di emigrante e condividerla con tanti trentini che, in passato, hanno fatto lo stesso percorso. Sarebbe bello ma non è facile”. Altin Braka, 25 anni, albanese, presidente del “Forum Alb Trentino” vive da sei anni a Pergine con la famiglia. E’ sposato con un figlio, lavora nel negozio del padre e studia mediazione linguistica alla facoltà di Lettere e Filosofia a Trento. “Ho conosciuto dei trentini che sono emigrati e poi tornati al loro paese. Aiuta a capirsi meglio. Una volta – racconta Altin Braka – un ex emigrato trentino mi ha detto che se c’è gente, magari anche qui in Trentino, che, in qualche modo, ha degli atteggiamenti razzisti è anche perché non è ‘uscita’ non ha provato cosa vuol dire vivere fuori dal Paese dove sei nato. Aver provato queste esperienze, mica solo perché si è dovuto emigrare ma anche viaggiando, aiuta ad aprirsi e a non avere pregiudizi. Anche perché chi se ne è andato spesso ha sofferto, sa cosa vuol dire lavorare in un altro Paese e in certi casi essere discriminato, fare fatica a trovare casa. In teoria sarebbe bello riuscire a creare una memoria condivisa ma nei fatti è difficile. Comunque, il mio è un auspicio”. Che memoria ha della sua terra, cosa le è rimasto dentro? Tante cose. Vi ho passato l’infanzia e l’adolescenza. Per me è indimenticabile la scuola

esperienza di emigrazione che guarda il fenomeno dell’immigrazione in Italia. “Che in Italia ci sia paura degli immigrati mi pare una realtà. E questo perché non siamo preparati ad accogliere. E a ben vedere è il paradosso tra la nostra cultura cristiana e la salvaguardia della nazionalità. L’intreccio tra le culture è difficile, è un processo lungo. E lo dico per

esperienza personale. Solo al mio ritorno ho capito quello che volevano dirmi i cileni. Guardare al futuro senza avere la pretesa di insegnare agli altri, con più fiducia e speranza. A me mancavano ma poi, poco a poco, sono stato influenzato dalla loro cultura. E così ho cominciato a guardare il mondo con occhi diversi”.

dove ho studiato, sia la media che le superiori. I miei compagni e i professori. E la casa dove vivevo. Queste cose non si perdono mai. Quando ritorna in Albania, ciò che trova corrisponde alla sua memoria? In parte. Ci sono stati tanti cambiamenti. Quando vado a vedere la scuola o mi parlano del sistema complessivo del Paese, noto dei mutamenti. Le faccio un esempio, e riguarda i ragazzi. C’è un lato positivo, e cioè una maggiore apertura mentale, ma anche aspetti negativi e riguardano i costumi. Quando andavo a scuola io, e non sono passati tanti anni, non si sapeva neanche cosa fosse uno spinello. Adesso ne girano parecchi. E non solo quelli. E’ un problema. Nel corso degli anni trentini la sua memoria è rimasta inalterata o si è, per così dire, “impastata” con la realtà del luogo dove vive ogni giorno? C’è una parte “fissa”, è rimasta inalterata, mi sono sforzato di mantenerla perché fa parte dell’identità. Però ci sono altri aspetti che si mischiano con la realtà. Perché la realtà influi­ sce sulla memoria e nel modo

di vedere le cose. Adesso ho un’esperienza in più. Anche in me, nel corso di questi ultimi sei anni, ci sono stati dei cambiamenti. Non sono più quello di sei anni fa. Ho conosciuto tante persone di tutto il mondo e gente del posto. Sono più aperto. Tutto ciò influisce anche sull’identità di ognuno di noi migranti. E’ un lavoro culturale che viene svolto anche dall’associazione che lei presiede? Certo, l’obiettivo è duplice. Da una parte mantenere la nostra identità e contribuire nel sostenere la nostra gente perché conosca ancora di più la propria cultura. Specialmente i ragazzi che nascono qui. Vanno aiutati a sentire un legame con la propria lingua, cultura, fede. Ma, dall’altra parte, cerchiamo di interagire con la gente del posto e partecipare il più possibile alla vita sociale e culturale di Pergine e del Trentino. Per adesso l’esperienza è positiva. Lavoriamo con altre associazioni e proseguiamo in questo cammino per conoscerci meglio l’un l’altro. Sono obiettivi che perseguiamo con la stessa intensità.


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Vite che scorrono accanto

Renzo. Perù. Lima. Nato e vissuto a Lima. Con chi? Fino a quando? Come? La storia di queste pagine è La mamma. Diciotto reale. Ogni riferimento per- anni. Ha una bimba. sonale è stato però omesso Poi un’altra. Morta per rispetto alle vigenti nor- a cinque mesi. Un mative sulla privacy e sulla marito che a un certo tutela dei minori. punto se ne va. Poi a trent’anni un altro figlio, Renzo. Il padre. Un rapporto occasionale. Ha già un’altra moglie, un’altra famiglia, altri figli. Per Renzo non c’è, un paio di incontri, niente di più. La madre già da anni cresce la prima figlia in casa del nonno e così è con Renzo. Sta a casa, cura i figli, che frequentano una scuola privata, è già un privilegio. Renzo ha difficoltà di concentrazione, è seguito da un’insegnante, ma l’insegnante è un costo in più e le ore sono ridotte. Poi la decisione di partire, verso un altro mondo, clandestinamente, in cerca di qualcosa di meglio. E i figli? Il nonno da solo non ce la fa, ma c’è la sorella con la famiglia. Sì, si possono affidare a lei. Destinazione Italia, Milano. Lavoro nero, badante, pulizie, baby sitter. Manca la cosa fondamentale per una vita più serena, più dignitosa, per riu-

nire la famiglia, quei figli rimasti là: il permesso di soggiorno. Una parte dei soldi, tutto il possibile, in Perù, per loro. Un anno dopo la decisione della figlia più grande. “Vengo in Italia, no, dalla zia non si sta bene, ci lesina il cibo, ci tratta male. Sono grande, posso lavorare, vengo”. Renzo ha nove anni. La sua vita continua lì, con la “famiglia”. “Lo zio è buono, mi porta con lui qualche volta, sul suo furgone, a vedere altri posti. La zia, no, si arrabbia spesso, mi picchia per un nonnulla”. La madre, in Italia. “La mia amica, sì, posso chiedere a lei. Forse Renzo starà meglio”. Soldi in più, per il mantenimento, ma anche come compenso per l’incarico accettato. “E’ difficile, ma va bene, sono più tranquilla”. E invece no, le cose non vanno bene, i soldi non comprano l’affetto, l’attenzione, l’ascolto dei bisogni di un ragazzino. Poi l’offerta (disinteressata?) di un’amica conterranea. “Puoi far venire tuo figlio con il passaporto del mio, è già stato fatto, mia sorella è arrivata allo stesso modo. In quindici giorni lo avrai qui con te”. “Cinquemilacinquecento euro e una tappa in Bolivia, ma in quindici giorni lo avrai qui con te, sicuro”. Quindici giorni e poi altri quindici e poi altri quindici. “Non preoccuparti, c’è qualche problema. Renzo deve venire prima adottato da una famiglia, intanto è con una signora e altri ragazzi. Sì, la famiglia l’abbiamo trovata, non preoccuparti è questione di poco”. “E Renzo che fa?”. “E’ con altri ragazzi, tranquilla”. “Renzo, come è andata in Bolivia?”. “Un po’ bene, un po’ male”. Erano lasciati a se stessi, tutto il giorno, niente scuola, nessun controllo. “Chi erano gli altri ragazzi? Ci andavi d’accordo?”. Silenzio.

Quattro mesi dopo, finalmente, la partenza. “Sì, l’adozione è stata fatta. Tranquilla per il viaggio. Lo accompagnerà il ‘padre adottivo’”. “Sì, Renzo è partito, sta arrivando, no, è da solo, no, non lo hanno accompagnato”. “Ma come? E’ un ragazzino, non ha mai viaggiato. E se sbaglia e se succede qualcosa?”. “Tranquilla”. Notte insonne. Bogotà, .............................., Milano. Finalmente mio figlio, finalmente è qui, finalmente lo posso, lo possiamo, io e sua sorella, stringere tra le braccia, finalmente insieme. Come è cresciuto, come è magro. Ma come, Renzo, non mi abbracci, non ci abbracci? Renzo è rigido, i suoi occhi non trasmettono le emozioni. E’ arrivato a scuola, lo sguardo mite ma un po’ inquieto di chi non sa cosa aspettarsi. L’espressione seria, e a volte assente, che si apre in un sorriso appena gli parli. Forse adesso andrà meglio? “Sì, ma non conosco nessuno, a scuola mi piace perché a casa non so cosa fare, ma ho un cagnolino, mi fa compagnia, vado in giro con lui”. La mamma è a Milano, lavora lì, tutto il giorno, dalla mattina alla sera, ha trovato un nuovo compagno, da poco, il rapporto non è ancora consolidato e poi Milano è una città difficile e forse pericolosa per un ragazzino di questa età. Meglio, per intanto, studiare a Trento e vivere con la sorella, che non lavora, ha una bimba piccola, può seguirlo di più: di nuovo una separazione, un altro abbondono. E Renzo il sabato prende il treno e va a Milano dalla mamma. Da solo. Senza ancora il passaporto. Renzo ci tiene a non perdere l’anno, ci tiene a completare la seconda e ad andare in terza. I discorsi per convincerlo che forse è meglio riprendere da


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capo un anno “scolasticamente” travagliato non sono serviti. Renzo vuole andare in seconda, vuole essere in terza l’anno prossimo. Non lo so perché, non l’ho capito fino in fondo. Renzo ha tredici anni, le sue competenze scolastiche non sono del tutto adeguate “al programma” di seconda, ma le sue esperienze di vita? E forse non abbiamo in classe molti ragazzi che proseguono il loro percorso senza aver raggiunto del tutto “gli obiettivi”? Renzo vuole andare in seconda. Potevamo non chiederglielo, potevamo decidere secondo parametri squisitamente scolastici. Ma forse non bastano e lo abbiamo ascoltato. Nuovi compagni, la ricerca di nuove amicizie, le prime che ci vengono incontro. Ma non sono quelle giuste e Renzo lo capisce, si ritrae, preferisce tornare a portare a spasso il suo cagnolino. L’inserimento al Giocalaboratorio lo aiuta, una spensierata settimana estiva al mare. Ma Renzo è un adolescente, inquieto, a volte indisponente come tutti gli adolescenti ma forse con dentro qualche rabbia in più. La sorella è giovane, ha la sua famiglia e i rapporti diventano difficiltosi. La sua infanzia è un vestito pieno di strappi, che vanno ricuciti con molta delicatezza, con la sapienza e l’amore di una madre. In settembre, quando già mi domandavo come sarebbe rientrato Renzo dalla vacanze, che tipo di lavoro impostare con lui, la telefonata della mamma. “Lo porto con me, a Milano, sarà difficile ma Renzo ha bisogno di me, così non va, ce la faremo”. Qualche mese dopo una nuova telefonata. “Renzo sta benissimo, a scuola gli piace, i professori lo aiutano, ha amici italiani. Sa, professoressa,

non vuol più parlare spagnolo, vuole solo la cucina italiana!” Ma quanto costa rinunciare alle proprie radici pur di sentirsi accettato, integrato? C’è solo ancora un particolare: né Renzo, né la madre hanno il permesso di soggiorno. Cosa gli riserva il futuro? Un rimpatrio in Perù insieme

alla madre o rimarrà in Italia come minore iscritto a scuola a completare gli studi separandosi nuovamente da una madre appena ritrovata o riuscirà attraverso qualche smagliatura nella legge sull’immigrazione a trovare quel po’ di stabilità che gli spetta? Vite che ci scorrono accanto.

Relazione sull’alunno Renzo [Renzo], al suo arrivo, appariva disorientato e assente, bisognoso di attenzioni da parte degli adulti e di legami d’amicizia con i coetanei. Ha frequentato inizialmente il laboratorio di insegnamento dell’italiano come L2. In questo primo periodo si è cercato di ricostruire, attraverso colloqui con lui e con la famiglia, facilitati dalla presenza di una mediatrice interculturale di lingua spagnola, la sua storia personale. Ne è emerso un vissuto difficile fatto di abbandoni, in particolare la separazione a otto anni dalla madre, emigrata in Italia per far fronte al mantenimento dei figli, e, dopo un anno, dalla sorella che aveva raggiunto la madre in Italia. Renzo è rimasto a vivere con gli zii, e in seguito con un’amica di famiglia. Il suo racconto evidenzia quanto questa fase sia stata spesso di forte disagio. Nel viaggio di avvicinamento all’Italia, Renzo ha vissuto quattro mesi in Bolivia, dove era stato portato come tappa intermedia e dove sarebbe dovuto rimanere solo un paio di settimane. Non è chiaro con chi e in quali condizioni si trovasse. Il suo disagio era evidente, per cui gli è stato proposto un colloquio con la psicologa della scuola. Sollecitato a parlare dell’ultimo periodo passato in Bolivia, Renzo è stato evasivo ed ha opposto un silenzio difficilmente penetrabile, che secondo la psicologa poteva nascondere esperienze traumatiche. Le sue competenze scolastiche pregresse, valutate attraverso una serie di esercitazioni in lingua madre, risultavano piuttosto insicure, ma è stato inserito comunque in una classe seconda, corrispondente all’età anagrafica, per favorire l’incontro con ragazzi della stessa età. Renzo lamentava particolarmente la mancanza di amicizie fuori dalla scuola, cosa che lo rendeva triste e depresso. E’ stato perciò iscritto ad un Giocalaboratorio, che lo ha seguito nel lavoro scolastico, ma soprattutto ne ha curato la socializzazione attraverso esperienze ludiche di gruppo. Verso la fine dell’anno scolastico, il ragazzo incominciava ad apparire più sereno, sia pure ancora con momenti di chiusura. All’inizio, la madre ha ritenuto opportuno portarlo con sé a Milano per potergli stare vicino. Si allega la relazione della mediatrice interculturale basata sui colloqui in lingua madre con l’alunno. La referente per gli alunni stranieri


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Sinti e zingari di Elena Andreotti

“Quando Heinrich Boll fu sepolto c’era un’orchestrina di zingari che conduceva i portatori della sua bara. Era stato un suo desiderio. Lasciate che un milione di Sinti e Rom vivano tra noi. Ne abbiamo bisogno. Potrebbe aiutarci a scompigliare un pò del nostro ordine rigido. Potrebbero insegnarci quanto prive di significato sono tutte le frontiere: incuranti dei confini i Rom e i Sinti sono di casa in tutta Europa. Sono ciò che noi proclamiamo di voler essere: cittadini d’Europa. Forse ci servono proprio coloro che temiamo tanto”. Gunther Grass. Athinganoi: intoccabili. Da cui tsiganes, zingari. Sinti: da Sinth, altopiano da cui nasce l’Indo nell’attuale Pakistan, zona d’origine di queste popolazioni, non popolo, ma arcipelago di minoranze anche molto diverse tra loro. Due termini diversi per indicare le stesse persone: il nostro e il loro. Gli zingari: ci accompagnano da sempre, una realtà parallela, conosciuta e nello stesso tempo ignorata. Chi di noi, che abbia raggiunto un’età matura, non ricorda le signore che di tanto in tanto suonavano alla porta con il loro corredo di pizzi, centrini, mollette o il campo nomadi passando in bicicletta con il suo alone un po’ misterioso, un po’ pauroso, o le donne e i bimbi che chiedono l’elemosina davanti alla chiesa o la paura degli zingari che portano via i bambini? “Te pari’n zinghen”, dicevano le nonne, quando ci si presentava particolarmente sporchi, disordinati, scarmigliati. Fotogrammi

(o frammenti) dell’immaginario infantile. Poi da grandi, da insegnanti, l’incontro con i ragazzi sinti e rom che frequentano la scuola. La difficoltà, spesso, di aprire un varco di comunicazione, di far coincidere universi paralleli, ma vicendevolmente sconosciuti e difficilmente conciliabili. Quest’anno, come referente all’intercultura, arriva la proposta di occuparsi di un progetto in rete con altre scuole della città in collaborazione con il Comune e con la cooperativa Kaleidoscopio, che da anni si interessa alla comunità sinta della città. L’idea di base del progetto era quella di cercare, attraverso la presenza di un mediatore interculturale sinto nella scuola, di costruire rapporti più costruttivi con i ragazzi e le loro famiglie, di incominciare un dialogo. Contemporaneamente, all’interno dell’anno di formazione sull’intercultura e l’integrazione degli alunni stranieri, ho partecipato ad un seminario tenuto da Carlo Berini, presi-

dente dell’Istituto di cultura sinta di Mantova. Per scoprire tante piccole e grandi cose che aprono gli occhi sul fatto che c’è sempre qualcuno più diverso degli altri e che, proprio perché per certi versi più vicino da sempre delle nuove comunità e nazionalità che stanno entrando a far parte del nostro tessuto sociale, più difficile da accettare. Per scoprire che la diffidenza che noi proviamo nei confronti della comunità sinta è la stessa che loro provano nei confronti della società dei gage, la nostra. Per scoprire che gli “zingari” vivono in Italia dal 1400 e sono cittadini italiani, ma aspettano ancora il riconoscimento di minoranza etnica, avvenuto in altri Paesi europei. Per domandarsi che senso abbia il nostro insegnamento per una cultura che è ancora fondamentalmente orale. La “Storia” come costruzione di un’identità culturale che partendo dai Greci e passando attraverso la storia romana, il Rinascimento e l’Illuminismo struttura la nostra visione della vita, non ha alcuna presa sui ragazzi sinti. E rimane comunque la storia di coloro da cui da sempre si sentono rifiutati e discriminati. Per un popolo il cui riferimento temporale è il presente, la trasmissione delle conoscenze avviene attraverso i racconti degli anziani e non va oltre la seconda generazione. La costruzione dell’identità collettiva più che affondare le radici nella definizione delle proprie origini è determinata dal


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riferimento ai valori fondanti della lingua, della famiglia, del rispetto per gli anziani, per tutte le forme di vita e per i defunti che non rappresentano il passato ma continuano ad accompagnare la comunità come presenze significative e determinanti. Quindi per i sinti la scuola è al massimo un luogo di istru-

zione, non certo un luogo di “educazione” e, anzi, proprio questo aspetto temono dal momento che sentono i loro valori molto diversi dai nostri, visti come pericolosi, devianti, e comunque non condivisi. Queste reciproche diffidenze ed incomprensioni incominciano ad incrinarsi grazie al lavoro di quelli tra sinti e gage che credono nella possibilità di un nuovo modello di interazione che preveda il riconoscimento e la legittimazione dei valori di riferimento di entrambe le culture. Oggi molte famiglie sinte pensano che la scuola possa essere un’opportunità per i loro figli in un mondo in cui nuove competenze sono indispensabili per poter esprimere le potenzialità di ognuno e dove oggettivamente certe modalità di vita vanno ripensate.

La scuola da parte sua può cominciare a far trovare al ragazzo sinto tracce del suo mondo concreto, della sua storia. Almeno quando sarebbe facile e doveroso inserirla: mi riferisco al genocidio di sinti e rom nei campi di sterminio. Letture, film, immagini riguardano quasi sempre il popolo ebreo, cui si aggiunge la lista delle altre vittime, omosessuali, oppositori politici, sinti, rom, comunisti, testimoni di Geova... In questo senso è stata una bella iniziativa quella di portare la mostra “Porrajmos” (divoramento), presentata attraverso la lettura di poesie in lingua sinta accompagnata da un violino tzigano, in alcune scuole medie di Trento e accolta con interesse e stupore dai ragazzi, increduli davanti alla durezza delle immagini.

Libertà Noi Zingari abbiamo una sola religione: la libertà. In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza ed alla gloria. Viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo. Quando si muore si lascia tutto: un miserabile carrozzone come un grande impero. E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati Zingari che re. Non pensiamo alla morte. Non la temiamo, ecco tutto. Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare: una mattina di sole, un bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama. E’ difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce. Ci piace camminare sotto le stelle. Si raccontano strane cose sugli Zingari. Si dice che leggono l’avvenire nelle stelle e che possiedono il filtro dell’amore. La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi. Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo. La nostra è una vita semplice, primitiva. Ci basta avere per tetto il cielo, un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni, quando siamo tristi. Spatzo (Vittorio Mayer Pasquale)


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«Finestre Aperte per Giovani Creativi»: un progetto al Centro Astalli

Incontrare altre memorie, condividerle negli sguardi, nel quotidiano; tessere relazioni, creare con il cuore oltre che con la testa. Passare dalle comode stanze dell’elaborazione e della conoscenza reciproca alle strade, muniti di telecamera, microfoni, di qualche nozione di regia e di elementi base di edizione e produzione. Ma, soprattutto, di moltissima voglia di fare, di mettersi in gioco. Tanto che le difficoltà, evidenti fin dall’inizio per una troupe di dilettanti allo sbaraglio come la nostra, si superano quasi per magia, con un incrociarsi di occhi, con un sostegno fatto di rara sensibilità e cura reciproca. Ecco in breve il progetto, come è nato tutto. Aprile 2007, al

Centro Astalli Trento, distaccamento trentino di un’associazione che opera a livello nazionale nell’accoglienza di migranti e rifugiati politici in particolare (a sua volta costola italiana del Jesuit Refugee Service), alcuni volontari decidono di presentare un progetto che vada un po’ oltre l’abituale sensibilizzazione nelle scuole, realizzata dal progetto “Finestre”: creare un gruppo di giovani che racconti, tramite un cortometraggio, qualcosa della vita dei rifugiati, ovvero di quei migranti che chiedono asilo nel nostro paese per sfuggire a persecuzioni e situazioni di alto rischio. Titolo, giustamente: Finestre Aperte per Giovani Creativi. Con nostra sorpresa, il progetto ottiene l’appoggio completo del Fondo provinciale per le politiche giovanili. Da ottobre quindi, pubblicità nelle scuole, nelle

università, fra associazioni e amici. Ci ritroviamo il 15 dicembre scorso e il gruppo è pronto: siamo 12, fra cui 4 volontari-coordinatori, 5 nazionalità diverse e tre rifugiati. Guidati da Abdel Azim Koko prima e da Roberto Marafante e Gisella e Hugo Munoz poi, ci addentriamo nel mondo dei richiedenti asilo, apprendendo alcune nozioni di base di video-making, approdando alla scrittura della sceneggiatura ed infine alle riprese, tuttora in corso. Storie di partenze improvvise e nostalgie, di ricerca e di radici. Storie che vanno ascoltate, raccontate in silenzio. Il gruppo è formato da: Ambrose Lienga, Davide Scutari, Fabio Colombo, Farid Mahdavi, Federica Polin, Garip Matur, Giacomo Zandonini, Giulia Vettori, Khando Zethsa, Novella Benedetti, Qorban Yaqhubi, Thierry Poli.

Il Centro Astalli Trento è un’associazione di volontariato che si ispira al Jesuit Refugee Service (Servizio dei Gesuiti per i rifugiati) e ai principi della solidarietà sociale. Il Centro, che aderisce alla rete territoriale della Fondazione Centro Astalli di Roma, si propone di svolgere funzioni di servizio socio-assistenziale e culturale a favore di immigrati e delle loro famiglie ed in particolare di persone aventi lo status di rifugiati, di richiedenti asilo, apolidi, profughi di guerra ed immigrati per altri motivi a carattere umanitario. L’Associazione ha la propria sede all’interno dell’area di Villa Sant’Ignazio, in via alle Laste, in un edificio denominato “Ca’ Bianca”, inaugurato nel gennaio 2006. Sono disponibili tra gli otto e i dodici posti letto per ospitare, ogni anno, una ventina di persone. Accanto all’accoglienza, l’Associazione ha fra i suoi obiettivi la sensibilizzazione dei cittadini al tema dell’immigrazione e del diritto di asilo anche attraverso attività culturali. Nei progetti che vengono realizzati, si cerca di dare il maggior spazio possibile ai rifugiati stessi affinché possano raccontare in prima persona ciò che riguarda la loro vita. In particolare vengono realizzati progetti nelle scuole, incontri pubblici e altri momenti di riflessione. Per informazioni e approfondimenti: http://centroastalli.vsi.it, tel. 340.7745394.


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Cesare Battisti o come si porta un uomo alla morte di Massimo Parolini

E’ stato di recente distribuito il volume “Come si porta un uomo alla morte” (Trento, Museo storico in Trento, 2007) a cura di Diego Leoni. Nel libro è stata ricostruita e riproposta la sequenza fotografica degli ultimi giorni di vita di Cesare Battisti, dal momento della cattura fino all’esecuzione avvenuta il 12 luglio 1916 nel Castello del Buonconsiglio. Una pagina di storia e un evento editoriale che hanno suggerito a Massimo Parolini lo spunto per un breve racconto nel quale l’Autore immagina il ritrovamento di una lettera scritta da Battisti stesso al figlio Gigino poco prima della sua morte.

Cesare Battisti raccontò il 19 novembre 1900 sul giornale socialista “Il Popolo” (di cui era direttore) la cronaca dell’impiccagione di Floriano Grossrubatscher, un celibe ventiseienne della Val Badia, reo confesso del duplice omicidio di Giovanni Alton (preside del ginnasio di Rovereto) e di sua figlia Maria. Di recente, un giovane tirocinante dell’Università di Trento, ha individuato presso il Museo storico del Trentino, in un gruppo di lettere e documenti sparsi donati da un privato alla biblioteca, una lettera rivolta dal martire irredentista al figlio Gigino, primo sindaco di Trento al termine della seconda guerra mondiale. Lo studente è riuscito a inserire tale missiva proprio all’interno della cronaca giornalistica sopra citata, rivelando alcuni

particolari a dir poco inquietanti. Per gentile concessione del Museo storico pubblichiamo di seguito alcuni stralci della lettera inserendola tra parentesi quadre dopo qualche passo della cronaca processuale di Battisti. “Di te conserveranno gradito ricordo quanti ebbero occasione di avvicinarti” (Orazione funebre in occasione della sepoltura di Joseph Lang, pompiere volontario e ultimo boia dell’impero austro-ungarico) “Il Grossrubatscher dichiarò di essere disposto a lasciare che il suo corpo venga sezionato da questo ospedale. Chiese la grazia che dal denaro trovatogli indosso vengano prelevati 5 fiorini per far dire delle messe alla sua anima. Ha anche confessato di essere stato l’au-

tore dell’assassinio misterioso avvenuto ad Innsbruck due anni or sono sulla moglie di un operaio. Il Grossrubatscher aveva saputo dell’operaio che in casa teneva qualche risparmio e che teneva la donna sola. Gli vi si recò di notte, mentre l’operaio dormiva nello stabilimento, e uccise la donna a colpi di scure asportando il denaro. […] Sono quasi le 7. L’aria è ancora bigia. Piove a dirotto. Nel corridoio del tribunale, guardati dai soldati, passano seri, quasi atterriti, perfino coloro che chiesero il biglietto per pura curiosità. Nel cortile delle carceri sta disposta a semicerchio una cinquantina di soldati. Alle 7 precise entra la commissione giudiziale composta dai consiglieri Tranquillini e Goio, dal procuratore, dal segretario Marinelli e dal


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protocollista Zelger. Di lì ad un momento, accompagnato dai cancellieri e dal confessore, entra il condannato. Proprio in quell’istante mi sfugge l’occhio all’angolo del cortile dove è la forca. V’è lì il boia con i suoi due aiutanti, vestiti di nero, inguantati, impassibili come se si trattasse di macellai pronti ad accoppare un manzo. Nell’aria risuonano orribili, insistenti, i rintocchi dell’agonia. Il Grossrubatscher è pallidissimo, però si regge da sé. Viene condotto davanti alla commissione giudiziale. Il presidente di essa gli rivolge le sacramentali parole: Floriano Grossrubatscher eccovi giunto al momento supremo. Avete qualche cosa da dire? Il condannato con voce distinta risponde: Sì, io in questo momento domando perdono a tutti del mio delitto. Do un addio a tutti nel mondo e a mia madre. Affronterò contento la pena per espiazione di quanto ho fatto. Il presidente dice in tedesco al boia: signor carnefice, compia la sua funzione. S’avvicinano gli

aiutanti, legano le mani dietro il dorso della vittima che viene posta appiedi al palo. Il boia sale per una scaletta, fa passare il laccio per una carrucola che sta alla cima del palo. Poi non sono più stato capace di guardare e quanti ho interrogato mi hanno risposto altrettanto. [Qualcuno, quando con penna e taccuino in mano gli ho chiesto ‘ha assistito al momento più tremendo’? tentando di annotare particolari macabri su questo bestiale retaggio dell’umanità, qualcuno… mi ha addirittura fissato con un vago senso di orrore o… perlomeno stupore, non riuscendo nemmeno a proferire un accenno di risposta. Ecco, pensai, a tal punto arriva lo sdegno del popolo ai nostri tempi di fronte a quello che tua madre, caro Gigino, in un suo bell’articolo avrebbe definito ‘cannibalismo moderno’. Le coscienze moderne rimangono attonite e inorridite e non riescono nemmeno a usare il linguaggio più comune e quotidiano in quei momenti. Eppure – pensai subito dopo – tali impressioni di orrore e disgusto, pur violente, sono passeggere e presto vengono dimenticate, come ci ha insegnato il grande Cesare Beccaria, mio caro Gigino, e non riescono a servire d’esempio alcuno per impedire a chi assiste all’impiccagione di qualche condannato di commettere a sua volta dei delitti in futuro. Mi immaginavo il Grossrubatscher che fa da chierichetto – come mi è stato raccontato – alla propria messa funebre, il mattino stesso dell’esecuzione. Ma fui distratto da tali riflessioni e riportato giù, tra la gente, da sguardi sempre più spaventati e turbati di una folla che indietreggiava al mio passaggio, come inorridita da una rivelazione improvvisa e insopportabile. Le madri chiudevano

gli occhi ai loro figli, i cani iniziavano a ululare indietreggiando, molte bigotte si facevano ripetutamente il segno della croce. Io non capivo e ciò aumentava il mio disagio. ‘Vada retro’ disse qualcuno e a quelle parole la folla iniziò disordinatamente a scappare in varie direzioni. Rimase davanti a me solo un bambino, molto piccolo. Avrà avuto sì e no tre anni. Era in carne, paffutello. Indossava calzoni e giubba tirolesi e un cappellino con la piuma. Mi fissò. Aveva lo sguardo innocente e allo stesso tempo marziale. Accennò un dolce sorriso e continuando a fissarmi puntò l’indice destro nella direzione dell’impiccato. Guardai lì dove il bimbo mi invitava a guardare e vidi… vidi me stesso, ma di qualche anno più vecchio, dell’età che posso avere adesso. Al posto di Grossrubatscher c’ero io a penzoloni con quel completo a quadri che domattina indosserò alla fossa del Buonconsiglio. In cima alla forca il boia Lang appoggiava le sue grasse mani e gongolava visibilmente soddisfatto col suo faccione, rivolgendo gli occhi verso di me. A fianco del mio fantoccio ormai privo di vita, normali cittadini e standschützen si accalcavano fissandomi con un ghigno di approvazione. “Non ancora” – disse una vocina al mio fianco –. Il bimbo era sparito; al suo posto una ragazzina pimpante saltellava, allontanandosi da me e, girandosi, mi guardava con malizia, canticchiando: “Sora el Doss te dormirai, soldatin de l’Italietta; su la fossa i scolaretti poche robe i capirà. Con l’Alcide bega e pugna fin chel fògh ariverà; ti sul Doss lu en çima a Roma, tuti en posto troveré”. Scomparve anche lei: rimase solo il freddo pungente, le foglie secche, l’accensione improvvisa dei nuovi lampioni elettrici].


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INFOMUSEO

Febbraio 2008 Una mostra su Giacomo Matteotti Si è svolta l’8 febbraio presso la Sala delle ex-Marangonerie Giacomo del Castello del BuonconsiMatteotti glio di Trento l’inauguraziofra storia e memoria ne della mostra fotografica e documentaria sulla figura del deputato socialista Giacomo Matteotti, intitolata Giacomo Matteotti fra storia e memo9 febbraio - 15 marzo 2008 ria. L’iniziativa è stata propoCastello del Buonconsiglio sta dalla Fondazione Museo storico del Trentino, dalla Fondazione di studi storici Sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica “Filippo Turati”, dall’Associazione nazionale “Sandro Pertini” e dalla Provincia autonoma di Trento. All’evento sono intervenuti il Presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, Giuseppe Ferrandi, Direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Nicola Zoller in rappresentanza dell’Associazione Nazionale “Sandro Pertini”, Monica Mengoni responsabile del progetto grafico e dell’allestimento della mostra. L’esposizione, curata da Stefano Caretta, è stata aperta dal 9 febbraio al 15 marzo 2008. ORARIO DI APERTURA:

Martedì - Domenica 9.30 - 17.00

Gennaio 2008 I ricordi di Giuliano Vitali Il 24 gennaio è stato presentato presso la Sala Rosa del Palazzo della Regione di Trento lo scritto di Giuliano Vitali Memorie di un internato, curato da Giancarlo Ianes. Il trentino Giuliano Vitali, classe 1924, dal settembre 1943 all’aprile 1945 fu internato nei campi di lavoro forzato a Bremerworde e successivamente ad Amburgo. A 64 anni dal suo internamento ha sentito il bisogno di raccogliere alcune note, tratte dal suo diario di prigionia, per conservarne la memoria. All’incontro, organizzato in collaborazione con il Circolo ricreativo Ente Regione Trentino-Alto Adige, hanno partecipato l’autore, il curatore e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. Edizione 2008 della “Giornata della memoria” In occasione della “Giornata della memoria” il Comune di Trento e la Fondazione Museo storico del Trentino hanno organizzato, presso Palazzo Geremia di Trento, un momento di celebrazione ufficiale. All’incontro, svoltosi il 25 gennaio e moderato da Giuseppe Ferrandi, sono intervenuti Alberto Pacher, sindaco di Trento, Alberto Pattini, presidente del Consiglio comunale di Trento e Maria Luisa Crosina, studiosa della storia della comunità ebraica in Trentino. Spettacolo teatrale sulla vicenda dei sette fratelli Cervi All’interno delle iniziative per la “Giornata della memoria” la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposto per il 30 gennaio la messa in scena dello spettacolo teatrale Cuori di terra: memoria per i sette fratelli Cervi della Compagnia Teatro dell’Orsa di Reggio Emilia, con gli attori Bernardino Bonzani e Monica Morini. Quella dei Cervi rappresenta la storia di molte famiglie emiliane, di un popolo che matura una consapevolezza politica e sociale orientata verso i principi di solidarietà e di umanità, in un cammino di emancipazione che inizia sul finire dell’Ottocento e si manifesta con l’antifascismo e la Resistenza. L’iniziativa è stata rivolta sopratuttto alle scolaresche.

Associazione Nazionale “Sandro Pertini”

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

fondazione MUSEO STORICO del T r e n t i n o

Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati”

Mostra fotografica e documentaria

Inaugurazione

venerdì 8 febbraio 2008 ore 17.30

Sala ex - Marangonerie

segreteria organizzativa:

FONDAZIONE MUSEO STORICO DEL TRENTINO

Via Torre d’Augusto 41, Trento Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418 Sito web: http://www.museostorico.tn.it

ASSOCIAZIONE NAZIONALE “SANDRO PERTINI”

Via Michelangelo Buonarroti 13, Firenze Tel. 055.244811/055.243123 Sito web: http://www.pertini.it

Con il patrocinio di:

Senato della Repubblica Camera dei Deputati

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Storie di emigrazione In occasione dello spettacolo teatrale Di qua a là …ci vuole 30 giorni: storie di emigrazione di e con Andrea Castelli e Antonio Caldonazzi, il Comune di Trento, Assessorato alla cultura, turismo e biblioteche, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposti alcuni momenti di riflessione sul tema dell’emigrazione. Il 19 febbraio, presso la Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento, è stato proiettato il documentario Storie del mondo, girato e sceneggiato da Lorenzo Pevarello, coprodotto dal Museo storico del Trentino e da Format Centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento: un filmato di 37 minuti che raccoglie le testimonianze di tanti trentini emigrati negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Con il regista sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Valentina Galasso, ricercatrice della Fondazione. Il 22 febbraio, sempre presso la Biblioteca comunale di Trento, il critico Paolo Toniolatti ha incontrato lo scrittore e giornalista Renzo Maria Grosselli, autore dei volumi Il tirolese e Oltre ogni confine, entrambi incentrati sul tema dell’emigrazione trentina.


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Spionaggio e irredentismo E’ stato presentato il 21 febbraio presso la biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino L’affare Colpi: spionaggio e irredentismo alla vigilia della Grande Guerra, volume scritto da Vittorino Tarolli, autore di numerosi studi e pubblicazioni dedicati alla storia locale e alla prima guerra mondiale. Attraverso fonti giudiziarie rintracciate presso l’Archivio del Tribunale della città di Vienna e sulla base di pubblicazioni e articoli della stampa dell’epoca, sia di lingua italiana che tedesca, l’Autore ricostruisce la vicenda che vide protagonista, nella Trento dei primi anni del Novecento, Giuseppe Colpi. Tale vicenda viene inquadrata nel più ampio contesto dell’irredentismo trentino, fenomeno che in quegli anni sembrò conoscere nuovo vigore grazie anche al sostegno offerto dal Servizio informazioni dell’esercito del Regno d’Italia e da influenti personaggi di varie affiliazioni. L’incontro è stato condotto da Vincenzo Calì, alla presenza dell’autore e dello storico Cristoph H. von Hartungen. Verso una rete territoriale della storia e della memoria La Fondazione Museo storico del Trentino ha organizzato per sabato 23 febbraio un seminario quale momento iniziale di un ampio confronto sulle modalità di costituzione e sviluppo di una rete territoriale della storia e della memoria. Agli interventi mattutini di Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Rodolfo Taiani, Quinto Antonelli e Matteo Gentilini della Fondazione Museo storico del Trentino è seguita nel pomeriggio la discussione. Omaggio a quattro voci a Giacomo Matteotti La Fondazione Museo storico del Trentino, nell’ambito della mostra fotografica e documentaria dedicata a Giacomo Matteotti, il 29 febbraio, presso la Sala delle exMarangonerie del Castello del Buonconsiglio di Trento, ha proposto un recital a quattro voci scritto e diretto dal poeta trentino Alfonso Masi. Lo spettacolo, messo in scena dagli attori Mariabruna Fait, Riccardo Gadotti e Bruno Vanzo, ha ripercorso alcuni momenti significativi della vita di Giacomo Matteotti, dal rapporto con la moglie Velia, alla Grande Guerra, dalla militanza politica alle intimidazioni fasciste fino al discorso del 30 maggio 1924 in Parlamento che ne segnò la condanna a morte.

Marzo 2008 In ricordo di Mario Pasi Il 15 marzo, nel corso di una breve cerimonia presso l’ospedale Santa Chiara di Trento, è stato commemorato il partigiano e medico Mario Pasi. Sono intervenuti il Presidente dell’Ordine dei medici Giuseppe Zumiani e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino

Il 500.mo anniversario dell’incoronazione di Massimiliano I In occasione del 500.mo anniversario dell’incoronazione imperiale di Massimiliano I a Trento, il Land Tirol, la Provincia autonoma di Trento e la Provincia autonoma di Bolzano hanno organizzato, il 29 e 30 marzo 2008, vari appuntamenti di commemorazione storica con riflessioni di studiosi e con momenti di rievocazione affidati a gruppi in costume. La Fondazione Museo storico del Trentino, e in particolare Valentina Bergonzi, hanno curato un opuscolo divulgativo (Massimiliano I: 1508-2008. Cinquecento anni dalla proclamazione a «Imperatore Romano Eletto») per contestualizzare tale evento nell’ambito della storia del Sacro Romano Impero e del Tirolo. La figura di don Domenico Girardi All’interno della Settimana della Cultura la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposto per il 31 marzo la proiezione del film-documentario Don Domenico Girardi. Matricola 10626, per la regia di Lorenzo Pevarello. All’appuntamento, presso la sala video del Centro servizi culturali Santa Chiara di Trento, sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Bartolomeo Costantini, procuratore presso la Procura militare della Repubblica di Verona. Costui è titolare dell’inchiesta che ha portato, nel 2000, alla condanna all’ergastolo dell’ex caporale SS Misha Seifert, per i crimini di guerra da lui commessi nel lager di Bolzano. Arrestato il 18 gennaio 1945 a Montalbiano di Valfloriana, don Girardi fu condotto nelle carceri di Trento. Intorno alla fine di marzo, fu inviato nel campo di concentramento di via Resia a Bolzano dove rimase fino alla liberazione avvenuta nell’aprile 1945.

Aprile 2008 L’Aquila di San Venceslao al prof. Sergio Benvenuti Il giorno 4 aprile, nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Geremia, è stata conferita l’Aquila ardente di S. Venceslao, antico sigillo della città di Trento, al prof. Sergio Benvenuti, direttore del Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà dal 1971 al 1985 e attuale direttore scientifico della rivista Archivio Trentino. Un profilo del prof. Benvenuti è stato tracciato dalla prof. ssa Maria Garbari, dalla prof.ssa Lia de Finis e da Giuseppe Ferrandi.


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Un convegno su Giovanni Pirelli La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con il Comune di Borgo Valsugana e il Sistema Culturale Valsugana Orientale, ha organizzato il convegno di studi Giovanni Pirelli, un industriale nella Resistenza, svoltosi il 17 e 18 aprile presso Palazzo Trentini a Trento e presso la Biblioteca di Borgo Valsugana. Quella di Pirelli è una figura eclettica: rifiutò il ruolo di imprenditore nell’azienda di famiglia, abbracciando gli ideali socialisti e diventando comandante partigiano durante la seconda guerra mondiale. Autore inquieto e ribelle, fu una delle più vivide voci del “romanzo industriale”. Scrisse anche la sceneggiatura per alcuni documentari, libretti per spettacoli teatrali, testi drammatici per opere musicali. Fu consigliere di amministrazione delle Edizioni Einaudi, diresse le Edizioni del Gallo, fondò la Arcophone per la diffusione della musica italiana del Sei e Settecento. Negli ultimi anni della sua vita diresse anche l’Istituto Ernesto de Martino. Hanno partecipato con proprie relazioni: Gabriella Solaro (Istituto Nazionale per la Storia della Resistenza italiana), Cesare Bermani, (Istituto Ernesto de Martino, Sesto Fiorentino), Donato Barbone (Archivio Pirelli, Milano), Gianluigi Bozza (critico cinematografico), Mario Bernardo (capo partigiano e direttore della fotografia). Nella seconda giornata di convegno sono stati proiettati i cortometraggi Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (regia di Fausto Fornari), Il delitto Matteotti (regia di Nelo Risi), I fratelli Rosselli (regia di Nelo Risi). Celebrazioni per il 25 aprile Lunedì 21 aprile presso la Sala Manzoni della Biblioteca comunale di Trento i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, dell’Assessorato alla cultura del Comune di Trento, della Biblioteca comunale di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino hanno inaugurato la mostra storico-documentaria La Resistenza nel campo di Bolzano, 1944-45. L’esposizione ha raccontato l’esperienza dei 9.500 prigionieri del famigerato campo di transito di via Resia, contribuendo a restituire voce e dignità alle donne e agli uomini che si opposero al nazifascismo. L’assemblea dei soci dell’Associazione Museo storico in Trento Si è tenuta lunedì 21 aprile alle ore 17.30, presso i locali del Museo in via Torre d’Augusto, l’Assemblea dei soci dell’Associazione Museo storico in Trento. Si è trat-

tato di un’Assemblea dalla doppia valenza: da una parte ha concluso il quinquennio 2003/2008 e quindi è stata chiamata a rieleggere gli organi sociali; dall’altra, con la nascita della Fondazione Museo storico del Trentino di cui l’Associazione è socio fondatore, si sono ridefiniti gli obiettivi e la funzione culturale dell’Associazione Museo storico in Trento. Un’Associazione che non ha più il compito di gestire il Museo e le sue attività istituzionali, ma che si candida ad essere luogo di riflessione e di promozione della conoscenza storica. Nel corso dell’Assemblea i famigliari del prof. Bruno Betta, protagonista della Resistenza degli internati militari e figura straordinaria di educatore e intellettuale, hanno donato ufficialmente al Museo la documentazione della sua esperienza di internamento. Ricordi di guerra Il 27 aprile, presso l’Auditorium della Scuola media di Revò, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, ha condotto la conferenza-dibattito Ricordi di guerra. Memorie e racconti della seconda guerra mondiale alla quale, hanno partecipato alcuni Reduci della seconda guerra mondiale. Al termine dell’incontro è stato proiettato il filmato Memorie di una comunità, un breve documentario girato da Lorenzo Pevarello con testimonianze di vita e di eventi nel Trentino del Novecento.

PRESENTAZIONI La Fondazione Museo storico del Trentino ha presentato alcuni dei suoi prodotti editoriali nelle seguenti occasioni: 18 gennaio 2008, Moena La responsabile del settore Emigrazione della Fondazione Museo storico del Trentino Valentina Galasso ha presentato il volume di Renzo Maria Grosselli, Oltre ogni confine: l’emigrazione da un distretto alpino tra Ottocento e Novecento: il Vanoi nelle fonti orali. L’autore, da anni impegnato a recuperare le storie dei tanti protagonisti che dal Trentino mossero altrove per ricercare nuove opportunità di vita, ripercorre in questo testo le caratteristiche e le cause del fenomeno migratorio di natura permanente che, da un certo periodo in avanti, ha iniziato a interessare il Vanoi, l’alta valle alpina in provincia di Trento. 22 febbraio 2008, Zambana Alla presenza di Giuseppe Ferrandi e Chiara Paolazzi, Assessore alla cultura del Comune di Zambiana è stato proiettato il documentario di Lorenzo Pevarello Zambana ’55-’56. Memorie di una comunità. Il video, co-prodotto dal Museo storico in Trento e dal Centro Audiovisivi della Provincia autonoma di Trento, ricostruisce le vicende della comunità di Zambana prima,


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Leo Zelikowski che si snoda lungo un percorso esistenziale segnato da un’unica ma evocativa parola: Auschwitz. Il 21 dicembre 1943 l’ingegner Zelikowski viene arrestato ad Arco e trasferito nelle carceri di Trento. Due mesi dopo viene portato, con il convoglio 08, lo stesso con il quale partì Primo Levi, nel campo di Monowitz (Auschwitz III). Tutti i ricordi dell’Autore riconducono pertanto a questo momento impresso indelebilmente nella memoria storica dell’intera umanità del XX secolo. Il testo viene proposto nella versione originale francese e nella sua traduzione italiana a fronte.

durante e dopo la frana degli anni 1955-1956, evento calamitoso che segnò una frattura nella storia del paese. 30 marzo 2008, Coredo E’ stato presentato e proiettato il video-documentario di Lorenzo Pevarello L’epopea di S. Giustina. Storia di una valle, frutto di una coproduzione Museo storico in Trento e Format-Centro audiovisivi del Trentino. Attraverso le interviste a sette testimoni dell’epoca, il video fotografa il mondo contadino di un tempo, le condizioni di lavoro, il rapporto con la terra, la vicenda degli espropri che ha fatto da cornice al riempimento dell’invaso di Santa Giustina.

Sommario: Premessa; Introduzione; CAPITOLO PRIMO: L’eroe della Patria; CAPITOLO SECONDO: La costruzione del mito; CAPITOLO TERZO: La contesa sulla memoria; Riferimenti bibliografici; Indice dei nomi. Massimo Tiezzi è dottore di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici. Questo volume rielabora la sua tesi di dottorato intitolata «Cesare Battisti: nascita ed evoluzione di un mito (1916-1935)».

ISBN 978-88-7197-100-1 E 18,00

MUSEO STORICO IN TRENTO ONLUS www.museostorico.it – info@museostorico.it telefono 0461.230482 – fax 0461.237418

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NOVITÀ EDITORIALI Leo Zelikowski, Mon témoignage la mia testimonianza: da Arco ad Auschwitz e ritorno, pp. 165, € 13,50 (Grenzen/confini, 8) “Tutto è cominciato a Vilna, in Russia, il 15 aprile dell’anno 1910. Una giovane donna mette al mondo due gemelli, Leo e Israel (Ralla). Questo avvenimento diventerà paradossalmente la causa e la chiave di tutto quello che seguirà: infatti, il solo ‘delitto’ di cui i miei futuri persecutori m’incolperanno si riassume in quattro parole: ‘Tu sei nato ebreo!’”. Con queste parole si apre il racconto autobiografico di

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VESTI DEL RICORDO

di Massimo Tiezzi

Il testo ripercorre la costruzione del mito, che ha segnato, con alti e bassi, la vicenda battistiana a partire dal 12 luglio 1916, data della tragica morte del deputato di Trento, fino al 1935, anno d’inaugurazione del monumento nazionale sul Doss Trento. In questo periodo prevalse fortemente, in perfetto stile dannunziano, l’immagine dell’eroe, che, al grido di «viva Trento italiana» lanciato dalla forca quando già le mani del boia gli si stringevano al collo, vinse la propria ventennale battaglia contro l’Austria imperiale, trascinando con sé nella tomba il decrepito Francesco Giuseppe. L’Autore mette in luce le contraddizioni dell’apparato militare sabaudo, che stenta a cogliere immediatamente la potenza propagandistica della fine di Battisti, le successive difficoltà del fascismo, che trova proprio nell’epica dannunziana un ostacolo nel fare propria fino in fondo la figura del patriota trentino, ed infine la crescita, lenta e minoritaria fin che si vuole, ma carica di potenzialità future per la storiografia battistiana, dell’immagine dell’anti-eroe, vittima di quella guerra europea fratricida che aveva segnato la fine dell’ideale socialista di fratellanza universale.

L’EROE CONTESO

23 aprile, Arco La Fondazione Museo storico del Trentino e l’Assessorato alla cultura del comune di Arco, hanno proposto nella cornice di Palazzo Panni ad Arco, la presentazione del volume autobiografico di Leo Zelikowski Mon Témoignage. La mia testimonianza. Da Arco ad Auschwitz e ritorno. Nel corso dell’incontro, in cui hanno preso la parola Maria Luisa Crosina, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Ruggero Morandi, Assessore alla cultura del Comune di Arco, è stato attivato un collegamento video con il Canada, che ha permesso l’intervento di Leo Zelikowski.

Massimo Tiezzi, L’eroe conteso: la costruzione del mito di Cesare Battisti negli anni 1916-1935, pp. 291, € 18,00 (Vesti del ricordo, 10) Il testo ripercorre la costruzione del mito, che ha segnato, con alti e bassi, la vicenda battistiana a partire dal 12 luglio 1916, data della tragiL’EROE CONTESO ca morte del deputato di Trento, fino al 1935, anno d’inaugurazione del monumento nazionale sul Doss Trento. In questo periodo prevalse fortemente, in perfetto stile dannunziano, l’immagine dell’eroe, che, al grido di VESTI “viva Trento italiana” lanDEL RICORDO ciato dalla forca quando già le mani del boia gli si stringevano al collo, vinse la propria ventennale battaglia contro l’Austria imperiale, trascinando con sé nella tomba il decrepito Francesco Giuseppe. L’Autore mette in luce le contraddizioni dell’apparato militare sabaudo, che stenta a cogliere immediatamente la potenza propagandistica della fine di Battisti, le successive difficoltà del fascismo, che trova proprio nell’epica dannunziana un ostacolo nel fare propria fino in fondo la figura del patriota trentino, ed infine la crescita, lenta e minoritaria fin che si vuole, ma carica di potenzialità future per la storiografia battistiana, dell’immagine dell’anti-eroe, vittima di quella guerra europea fratricida che aveva segnato la fine dell’ideale socialista di fratellanza universale. di Massimo Tiezzi

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12/02/2008 11.49.00


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una sala cinematografica. È la cronaca di vita di un’intera famiglia, delle tante persone che ne hanno condiviso il progetto imprenditoriale e nel contempo il riflesso di una città e di una società in continua e rapida trasformazione. L’Autore, grazie soprattutto alla testimonianza di Ernesto Artuso, primo titolare del cinema “Astra”, ripercorre la tappe di questi eventi convergenti, restituendo al lettore le intramontabili magie del grande schermo e il fascino del “piacevole buio”.

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Ugo Tartarotti Nato a Pomarolo il 27 luglio 1920, partecipa attivamente alla Resistenza. Dopo la guerra milita nel Partito comunista italiano nelle cui liste sarà eletto consigliere comunale nel 1956 presso il Comune di Trento. Nel 1965 costituisce l’Alleanza Contadini del Trentino assumendone la presidenza fino al 1980. Nel 1974 viene eletto Sindaco di Pomarolo. Nel 1979 approda nel Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e nel Consiglio della Provincia autonoma di Trento. Dal 1992 è presidente dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI)-Sezione di Trento.

ISBN 978-88-7197-102-5

Copertina - Tartarotti.indd 1

sone che ne hanno flesso di una città e

o Artuso, primo eventi convergenti, schermo e il fascino

icordi; Dal Veneto al eri e la «battaglia» realizzati; o; L’alluvione e nesto; il racconto uturo

1995. diano Trentino del Trentino al

30/05/2008 15.36.21

Aldo Pantozzi

Im Angesicht des Todes

von Bozen bis nach Mauthausen

Die erste Auflage des vorliegenden autobiografischen Werks wurde 1946 herausgegeben, nur ein Jahr nach dem Beginn der tragischen Umstände, die darin erzählt werden. Es handelt sich um den schonungslosen Bericht von Aldo Pantozzi über seine schreckliche Erfahrung im Lager Mauthausen: Hundert Tage verbrachte er Anfang 1945 in diesem Ort des Grauens und der tiefsten Verletzung der Menschenwürde.2002 gab das Historische Museum von Trient mit dem Einverständnis der Familie Pantozzi eine kommentierte Neuauflage des Buches heraus, die in kürzester Zeit ausverkauft war. Nun wird das Werk erneut publiziert und dank der wesentlichen Unterstützung der Stadt Bozen und der Autonomen Provinz Bozen auch in deutscher Sprache veröffentlicht, um allen den Zugang zu diesem sowohl in historisch-dokumentarischer als auch in menschlicher Hinsicht wertvollen Buch zu ermöglichen. Inhaltsverzeichnis Vorworte. Einführung von Ada Neiger. Aldo Pantozzi (1919-1995): biografische Daten. Im Angesicht des Todes: von Bozen bis nach Mauthausen. Redaktionsvermerk. Vorwort der ersten Auflage. Vorwort des Autors. Namenstag. «Durchgangslager». Block E. Leidensgenossen aus La Spezia. Zu Besuch bei den «Ukrainern». Von oben fällt Freiheit herab. Ins Ungewisse. Adieu, Italien! Die bestialische Reise. Mauthausen! Diebstahl und Verbrechen. «Ruski-Lager»: Block 1. Verpflegung und Ruhe. Grabstätte für Lebende. Die «Weberei». Arbeit, Peitsche, Hunger. Block 9: Ende der Weberei. Vernichtung durch Hunger. Die «Zugänge». Zu den Gaskammern. Die Befreiung. Das kleine Tagebuch von Mario. Ende. Bibliographie. Namensverzeichnis.

Aldo Pantozzi Wurde 1919 in Avezzano geboren. Er besuchte das Gymnasium in Trient und Meran, anschließend das Lyzeum in Bozen. 1942 schloss er sein Rechtsstudium in Bologna ab. Wegen der Bombardierung von Bozen musste er im September 1943 mit seiner Familie nach Cavalese fliehen, wo er einen Lehrauftrag im Schulzentrum von Ezio Mosna erhielt. Am 1. Dezember 1944 wurde er von Beamten des Sicherheitsdienstes verhaftet, ins Gefängnis von Trient überstellt und dort bis zum 10. Januar 1945 gefangen gehalten. Es folgte die Überführung ins Lager Bozen und am 1. Februar 1945 die Deportation in das Vernichtungslager Mauthausen. Nach seiner Rückkehr nach Bozen übte er mit großem Einsatz seine Tätigkeit als Anwalt und ab 1950 als Notar aus. Er starb am 10. November 1995 in Bozen

ISBN 978-88-7197-092-9

Paolo Piffer L’Astra, il cinema in casa

ura ufficialmente «Clandestino a Albertini. ù della semplice

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Aldo Pantozzi, Im Angesicht des Todes=Sotto gli occhi della morte: von Bozen bis nach Mauthausen, a cura di Rodolfo Taiani, pp. 138. € 11,00 (Grenzen/ Confini, 10) Edita per la prima volta nel 1946, ad appena un anno di distanza dall’inizio delle vicende in essa Im Angesicht des Todes narrate, questa ricostru- von Bozen bis nach Mauthausen Aldo Pantozzi zione autobiografica di Aldo Pantozzi è il racconto dei cento terribili giorni trascorsi nell’inferno di Mauthausen nei primi mesi del 1945. Una cruda testimonianza, che 10 narra degli orrori che si consumarono in quel luogo di indicibili sofferenze umane. Oggi, grazie all’apporto fondamentale del Comune di Bolzano e della Provincia autonoma di Bolzano, viene proposta la traduzione in tedesco della versione già edita nel 2002 e successivamente nel 2007.

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Paolo Piffer, L’Astra, il cinema in casa: gli Artuso e il cinematografo, pp. 79, L’Astra € 12,50 (Quaderni di il cinema in casa Archivio Trentino, 17) Paolo Piffer È il 20 settembre 1952 quando il cinema «Astra» inaugura ufficialmente a Trento la sua attività con la proiezione della pellicola «Clandestino a Trieste». Fra gli interpreti 17 anche l’attrice trentina archivio trentino Edda Albertini. Inizia così una storia che riassume in sé qualcosa di più della semplice vicenda di QUADERNI DI

30/05/2008 11.20.13

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Aldo Pantozzi Im Angesicht des Todes

Sommario La memoria del partigiano «Giorgio», di Giuseppe Ferrandi; La Resistenza in Vallagarina; Profili biografici e appendice documentaria.

Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige Autonome Provinz Bozen/Südtirol

Città di Bolzano Stadt Bozen

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GRENZEN | CONFINI

Prima di scrivere questa testimonianza dedicata alla sua vicenda resistenziale, Ugo Tartarotti si è cimentato nella scrittura pubblicando tre romanzi: nel 1990, Il lungo cammino, nel 1993, La Wilma va in città, nel 1996, La Corte Celeste. Questa volta non è un romanzo ma un’intensa «memoria resistenziale». Anche i suoi romanzi avevano come sfondo la ricca biografia dell’autore: il mondo contadino, la guerra e la Resistenza, la militanza e l’impegno politico. Evocando le fasi principali della sua esperienza vissuta con il nome di battaglia «Giorgio», Ugo Tartarotti riesce a trasmettere un’idea, per quanto ovviamente parziale, di quella che fu la guerra partigiana in una zona geograficamente delimitata del Trentino meridionale.

Ugo Tartarotti La Resistenza in Vallagarina

Ugo Tartarotti, La Resistenza in Vallagarina: sulle montagne della destra La Resistenza Adige dal febbraio 1944 in Vallagarina al maggio 1945, pp. 64, Ugo Tartarotti € 6,80 (Quaderni di Archivio Trentino, 16) Prima di scrivere questa testimonianza dedicata alla sua vicenda resistenziale, Ugo Tartarotti si è cimentato nella scrittura 16 pubblicando tre romanzi: archivio trentino nel 1990, Il lungo cammino, nel 1993, La Wilma va in città, nel 1996, La Corte Celeste. Questa volta non è un romanzo ma un’intensa «memoria resistenziale». Anche i suoi romanzi avevano come sfondo la ricca biografia dell’autore: il mondo contadino, la guerra e la Resistenza, la militanza e l’impegno politico. Evocando le fasi principali della sua esperienza vissuta con il nome di battaglia «Giorgio», Ugo Tartarotti riesce a trasmettere un’idea, per quanto ovviamente parziale, di quella che fu la guerra partigiana in una zona geograficamente delimitata del Trentino meridionale.

Ugo Tartarotti La Resistenza in Vallagarina

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GRENZEN CONFINI

07/07/2008 15.31.29

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ALTRESTORIE - Periodico di informazione - Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani Hanno collaborato a questo numero: Elena Andreotti, Massimo Parolini, Francesca Rocchetti e Caterina Tomasi Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN) Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta alla Fondazione Museo storico del Trentino.


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