anno dodicesimo
numero trentadue
giu./ago. 2010
IN QUESTO NUMERO TERRITORIO ALPINO E MOBILITร
PosteItalianeS.p.A.-Spedizioneinabbonamentopostale-D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n.46) -art.1,comma1,D.C.B.Trento-Periodicoquadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perรงue - ISSN 1720 - 6812
ALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazione Periodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani (segretario) Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Via Torre d’Augusto, 35/41 Hanno collaborato a questo numero: Claudio Ambrosi, Claudio Bassetti, Elena Corradini, Renzo Maria Grosselli, Piergiorgio 38122 TRENTO Motter, Alberto Pacher, Francesca Rocchetti, Paul Rösch, Gian Piero Sciocchetti, Sergio Trevisan, Marta Villa, Maurizio Visintin. Tel. 0461.230482 Fax 0461.1860127 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN). info@museostorico.it Stampa: Alcione - Lavis (TN). www.museostorico.it Le foto in copertina, a pag. 22 e 25 sono pubblicate per gentile concessione della Commissione Sentieri della SAT (Società Alpinisti Tridentini).
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anno dodicesimo
numero trentadue giu./ago. 2010
IN QUESTO NUMERO TERRITORIO ALPINO E MOBILITÀ Editoriale
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Un’ “autostrada” paleolitica: la pista del monte Baldo, monte Stivo, monte Bondone di Marta Villa
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Di strada in strada: lo sviluppo della rete viaria in Trentino fra Ottocento e Novecento di Gian Piero Sciocchetti
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A22: storia di un’autostrada di Giuseppe Ferrandi
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142 chilometri da vertigini: la grande strada delle Dolomiti di Paola Bertoldi
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Le vie del vapore: lo sviluppo delle ferrovie in Trentino di Gian Piero Sciocchetti
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“Trasportati nell’aria” sopra le montagne: alcune note sulle funivie in Trentino-Alto Adige di Claudio Ambrosi e Paul Rösch
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Territorio alpino e mobilità: interviste con Piergiorgio Motter, Claudio Bassetti e Alberto Pacher a cura di Paola Bertoldi
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Più leggere dell’aria: storia delle mongolfiere in Sudtirolo di Maurizio Visintin
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L’aviazione conquisterà il Tirolo: il trasporto aereo nell’area alpina nel periodo tra le due guerre di Sergio Trevisan
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Le diligenze a motore: gli autotrasporti pubblici in Trentino di Elena Corradini
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Atesina: vicende di una società automobilistica di Elena Corradini
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Le carrozze del diavolo: pionieri dell’automobile in Sudtirolo di Maurizio Visintin
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Vite in movimento: le rotte degli emigranti trentini di Renzo Maria Grosselli
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Infomuseo
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Edizioni FMST: novità
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L
a cronaca registra quotidianamente interventi e dibattiti, talvolta assai accesi, sul tema della viabilità o meglio delle soluzioni sovrastrutturali da adottare per rispondere alle crescenti richieste di collegamento attraverso e internamente al territorio alpino. Il confronto è a tutto campo: si parla di comunicazioni aeree e di passaggi via acqua, di impianti funiviari o funicolari e nuove linee ferroviarie, di ardite autostrade e, non ultimo, della fitta rete di sentieri gestiti a scopo oramai prevalentemente turistico-escursionistico. Sembrerebbe che mai come oggi il problema centrale non sia rappresentato tanto dall’attraversamento delle Alpi lungo la direttrice nord-sud, quanto dalla possibili-
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tà di percorrerle in tutte le direzioni grazie ad una tecnologia sempre più sviluppata sia in termini di pratiche costruttive, sia di mezzi di trasporto. In realtà l’ambiente montano è da sempre interessato, e ciò molto prima della grande espansione conosciuta nel corso dell’Ottocento e del Novecento, da un ampio e capillare reticolo di vie di comunicazione che ha consentito alla popolazione di utilizzarlo per gli usi più disparati, dal pascolo al contrabbando. Gli interventi raccolti in questo numero di Altrestorie colgono alcune di queste suggestioni, nella speranza che un tema di così grande rilevanza desti in futuro nuovi e più approfonditi interessi di ricerca (r.t.).
Editoriale
Un’ “autostrada” paleolitica
In epoca preistorica non cheologici sul monte Baldo, esistevano certo, come ogsia in territorio veronese la pista del monte Baldo, gi o come fantasticato nella che trentino, confermano fortunata serie di cartoni questo itinerario: Domenimonte Stivo, animati de “Gli antenati”, co Nisi, in collaborazione monte Bondone segnaletiche tali da concon Bernardino Bagolini, sentire spostamenti sicuri ha individuato infatti più di Marta Villa sul territorio, ma il desidi 130 siti lungo la catena derio o la necessità tutta monte Baldo-monte Stivoumana, di esplorare e di monte Bondone relativi alle raggiungere anche luoghi facies culturali del paleolitilontani ha sicuramente ofco (Uomo di Neanderthal e ferto quella spinta propulCro-Magnon) e del mesosiva che si è tradotta nell’apertura di vie di transito litico (La presenza umana preistorica sul Baldo, in: attraverso il difficile ambiente alpino e nella sua co- “Natura Alpina”, 1981, n. 32, 91-104). lonizzazione. Nella zona delle Alpi centro-orientali si Il rilevamento di questi siti permette di delineare un rintracciano vie di passaggio e comunicazioni molto itinerario lungo questa sinclinale di circa 80 chilomeantiche: la direttrice sud-nord-sud era percorsa attra- tri, che ha favorito la successiva penetrazione umaverso un itinerario che, evitando il fondovalle a causa na nel Trentino centrale: uomini che provengono da delle paludi generate dalle frequenti inondazioni del sud, come in altre zone alpine, che si sono stabilifiume Adige, seguiva la sinclinale del monte Baldo, ti, con climi più favorevoli, in territorio prealpino e partendo dalle colline dell’anfiteatro morenico del alpino, grazie a queste “vie” di comunicazione e di lago di Garda (monte Moscal), inoltrandosi lungo transito. le pendici meridionali del monte Baldo attraverso le Gli studi hanno portato a riconoscere la direttrice praterie sopra Caprino Veronese e Ferrara di monte principale di colonizzazione delle Alpi centro-orientaBaldo, fino al lago di Loppio, nella valle omonima, li, tra le più lunghe d’Europa, poiché essa raggiunge per risalire verso il monte la Valle dell’Inn, attraverso Stivo e il monte Bondone, la Schnalstal, il Similaun e raggiungendo i monti della l’Oetztal. Paganella e della Mendola. Seguendo la fascia in quoUna vera e propria “autota delle praterie alpine si strada” utilizzata dai cacciasono potute ritrovare nutori-raccoglitori paleo-memerose testimonianze del solitici, che, sulle tracce di cammino dei primi cacbranchi di erbivori gregari, ciatori paleolitici e di quelli quali stambecchi e camomesolitici, a partire sopratsci, in spostamento stagiotutto dal versante orientale nale verso le praterie di più del monte Baldo, carattealta quota, liberate temporizzato da morfologie più raneamente dai ghiacci e favorevoli per le tipologie dalle nevi, hanno contribuinsediative (bivacchi ed ito a colonizzare l’ambiente accampamenti), specie alpino. in corrispondenza di selGli animali non solo hanno le, passi panoramici ed in svelato agli uomini come e prossimità di sorgenti o dove percorrere il territopozze naturali d’acqua. rio, ma hanno anche conDopo la prima fase di utisentito ai loro predatori di lizzo della via in quota per scoprire nuovi spazi in grascopi di predazione, con do di fornire ulteriore sol’avvento di un altro tipo di stentamento alla loro ecoeconomia di sussistenza, nomia di sopravvivenza. Si la rivoluzione agricola nepensi, ad esempio, proprio olitica, la “strada” tracciata alle praterie di alta quota. e tramandata attraverso la I numerosi ritrovamenti arcultura orale, come accade
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ancora oggi per diverse tribù studiate dall’antropologia contemporanea, viene utilizzata come via pastorale (Domenico Nisi – Marta Villa, Il passo del transumante: per una archeo-antropologia in cammino, in: “Dolomites”, SFF, Udine, 2009, 129-142). Il bestiame allevato, in particolare pecore e capre, ma a volte anche i bovini, necessita di foraggio che viene cercato nelle praterie alpine, e ciclicamente inizia quel sentiero di transumanza che ancora oggi, a tratti, viene utilizzato dai pastori provenienti dalla pianura, per recarsi in zone di pascolo, anche distanti come ad esempio da Remedello, pianura brescianamantovana, alle valli Giudicarie e Madonna di Campiglio. La progressiva meccanizzazione non ha mancato di far sentire i propri effetti su questa pratica umana. Negli ultimi decenni gli itinerari tradizionali sono cambiati, a causa della difficoltà di utilizzare determinate strade di accesso, e anche per la comodità dei pastori di compiere tratti della transumanza trasportando le bestie con i camion. Sopravvive ancora, ma per brevi tappe, la transumanza storica della Schnalstal verso l’Oetztal. A fine primavera, in epoca antica, una fiumana di greggi percorreva i sentieri in quota nei diversi pascoli del territorio alpino, per poi ridiscendere in pianura ai primi freddi autunnali. Come facevano ad orientarsi i pastori, non disponendo di cartine o segnalazioni? La sola tradizione orale, o la pratica delle generazioni
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più giovani con i più anziani, non bastava, tuttavia non dobbiamo stupirci di trovare lungo questo itinerario dei segnali chiari, ma non sempre oggi interpretati come tali, che erano utilizzati proprio come segnavia. Guardando con attenzione la carta archeologica, dove sono posizionati i ritrovamenti delle statue stele nella zona della valle dell’Adige, del bacino del Sarca e delle valli Venosta ed Inarco, si possono fare delle scoperte. Appare improbabile pensare che i nostri antenati abbiamo eretto questi monumenti per finalità di culto o funerarie: confrontando la carta di distribuzione dei monoliti con quella indicante la “pista” paleolitica si possono cogliere nuove chiavi di lettura per parte delle statue stele. La concentrazione maggiore di stele si trova in concomitanza con importanti incroci, dove si aprono strade per valli laterali, significative per il passaggio verso vari territori: dei punti chiave dove gli errori potevano essere fatali, sia per gli uomini che per le greggi. Questi punti erano pericolosi perché vedevano l’incrocio di territori con popolazioni diverse: necessitavano di una segnaletica che avvertisse degli eventuali pericoli. Le stele potevano delimitare le diverse proprietà territoriali, tribù amiche o nemiche, potevano essere incontrate lungo il cammino: come spiega l’economi-
sta Standage è proprio la rivoluzione neolitica a dare l’avvio alla pratica della proprietà privata (Una storia commestibile dell’umanità, Milano 2010). Le stele presentano iconografie femminili, come quella della Dea Madre, apice del pantheon religioso e ideologico, e maschili, con attributi legati alla scoperta dei metalli, frutto dell’arte “magica” della fusione, e con probabili funzioni apotropaiche e protettive. I viaggiatori dell’antichità, che si spostavano per sussistenza, avevano delle mappe geografiche mentali: i luoghi e gli ambienti parlavano ai loro occhi e venivano cercati degli attributi solidi, difficilmente mutabili, che servivano nel racconto orale a specificare con maggiore forza le direzioni da prendere. A Remedello, nella pianura padana, in una giornata tersa, guardando verso nord, si scorgono sullo sfondo le colline dell’arco morenico del lago di Garda, ed imponente il monte Baldo; risultava molto semplice vedere un invito-sicurezza e spingersi in quella direzione. La toponomastica del territorio veronese, trentino ed altoatesino, può concorrere a comprendere la relazione uomo-territorio. Le radici di alcuni toponimi delle nostre valli, sorgenti, monti o luoghi che sono diventati successivamente paesi o frazioni, sembrano insoliti; solo letti con gli occhi di coloro che quei territori li nominava per necessità, divengono più chiari. I segni materiali ed immateriali vanno a costruire le carte non scritte, e nel secolo scorso facevano da guida ai pastori che si inoltravano lungo i sentieri delle Alpi orientali. In epoca storica, insieme ai transumanti, troviamo un’altra serie di viaggiatori: i pellegrini che si spostavano da nord a sud sulle strade di pellegrinaggio più importanti d’Europa che trovavano le Alpi sulla loro strada. Le vie secondarie alla viabilità tradizionale del fondovalle possedevano dei requisiti molto utili: velocità di transito perché più brevi (ad esempio, il Giogo di Tisa, tra la Schnalstal e l’Oetztal, e il Giogo di Tasca, tra la Schnalstal e la Vinschgau, permettevano di abbreviare la strada obbligata del passo Resia o del passo del Brennero); la sicurezza perché meno frequentate e controllate da soldati o briganti, più offrivano possibilità di salvezza in caso di eventi alluvionali. Troviamo su questi itinerari una nuova stratificazione: i capitelli, le edicole votive, i santuari dedicati alla Madonna, o a San Giacomo o a San Martino, ed ospizi. Una viabilità antichissima e stratificata nel tempo, utilizzata in modi diversi, patrimonio tradizionale di chi fa del viaggio scelta di vita, ha permesso un attraversamento delle Alpi che, nei secoli, è divenuto una vera e propria colonizzazione.
Senza i cacciatori-raccoglitori preistorici non avremmo capito il fenomeno di penetrazione delle valli alpine, e la maggior parte dei toponimi ci risulterebbe ancora oscura. L’uomo, come dice Careri nel suo Walkscape (Walkscapes: camminare come pratica estetica, Torino 2006), ha un bisogno innato di spostamento e prima di innalzare opere monumentali o semplici costruzioni stabili, possedeva una forma vitale con cui trasformare il paesaggio: il camminare, azione imparata a fatica, ma poi divenuta naturale. Il camminare in qualsiasi territorio è una necessità per sopravvivere, procurarsi cibo e reperire informazioni utili per sé e per il proprio gruppo di appartenenza; il camminare ha permesso all’essere umano di occupare spazio e di abitare il mondo. Chi cammina è naturalmente curioso: la storia dell’umanità è una storia fatta di cammini, di migrazioni, di scambi culturali avvenuti sulle vie ed attraverso le vie. Chatwin, scrittore nomade, ha riflettuto in diversi scritti riguardo questa modalità umana: “l’uomo, umanizzandosi, aveva acquisito insieme alle gambe dritte e al passo aitante un istinto migratorio, l’impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale; e quando era tarpato da condizioni di vita sedentarie trovava sfogo nella violenza, nell’avidità, nella ricerca di prestigio o nella smania del nuovo” (Anatomia dell’irrequietezza, Milano 1988, 27). Utile risulta allora il consiglio dell’autore, inglese di nascita ma cittadino del mondo: camminare per scoprire e per studiare il circostante, scienze troppo sedentarie alla fine possono cadere nell’errore di presumere ciò che verrebbe confutato con una semplice passeggiata.
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Di strada in strada
Sin dai tempi più remoti, la scelta Isarco, Sill e Inn, pertanto, ha del tracciato più agevole da dare continuato a costituire nei secoli lo sviluppo della rete a una via per attraversare la la via di comunicazione più catena alpina ha sempre posto facile tra il bacino del Danubio viaria in Trentino fra notevoli problemi. Gli improvvisi e la pianura padano-veneta, tra Ottocento e Novecento salti di quota, l’impaludamento i paesi del Mediterraneo e quelli di tratti di valle (anche ad altitudell’Europa Centro-Orientale di Gian Piero Sciocchetti dini elevate), le frane, il crollo dei fino alle coste del mar Baltico. ponti, l’impraticabilità dei guadi Ma qual era e come si formò la durante il disgelo, le proibitive rete stradale trentina a partire condizioni ambientali in inverno, hanno costituito dall’Ottocento e lungo tutto il Novecento? Per risponaltrettanti ostacoli alla regolare circolazione di qual- dere a questa semplice domanda occorre partire siasi mezzo di trasporto. Nonostante ciò, il traffico dalla fine del secolo XVIII e dal grave dissesto cauattraverso la nostra regione fu sempre intenso in sato dalle campagne di guerra napoleniche. Il primo quanto le quote dei valichi risultano le meno elevate ad accertarlo fu Francesco Filos (1773-1864) di Mezdell’Arco alpino (Resia m 1.507, Brennero m 1.372, zolombardo, inviato da Napoleone a Cles, in qualità di Dobbiaco m 1.241). Il solco formato dai fiumi Adige, Viceprefetto. Il neo Viceprefetto dispose nel 1810 che
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i proprietari dei terreni confinanti con le strade si dedicassero al ripristino delle carreggiate, alla rimozione delle siepi e dei muri a secco arbitrariamente spostati sulla proprietà demaniale, alla ricarica delle massicciate per renderle nuovamente convesse, al ripristino delle cunette e dei canali per il deflusso delle acque. Fu però soprattutto nel periodo del Vormärz, ossia fra il 1815 e il 1848, che i comuni trentini riuscirono a provvedere, con un certo sacrificio, al miglioramento della rete stradale provinciale consorziandosi tra loro. Per questo motivo le strade soggette a lavori di manutenzione straordinaria furono denominate strade consortili. Vi è poi da segnalare il vasto programma di lavori stradali presentato nel 1836 dal Cancelliere mercantile di Bolzano, Giuseppe Giovanelli, all’assemblea dietale. Questo programma fu osteggiato dal Governo di Vienna, poiché prevedeva una spesa di tre milioni di fiorini e una durata dei lavori di ventidue anni, ma potè contare sul convinto appoggio della Dieta enipontana, che approvò la proposta e il conseguente finanziamento almeno per quanto riguardava la manutenzione dell’esistente. La fase esecutiva degli interventi potè essere finanziata grazie alla sovrana risoluzione del primo marzo 1842, che prorogò di dieci anni l’applicazione dell’aumento della sovrattassa sul grano. Fu così che entro il 1855 poté concretizzarsi un certo miglioramento stradale. Successivamente i lavori continuarono grazie ai consorzi comunali appositamente costituiti anche se lo sforzo di miglioramento della rete stradale dovette rallentare su difficoltà di tipo burocratico, dovute ad alcune lacune della legge 21 febbraio 1870, che non specificava le modalità sul versamento dei contributi in favore degli organi preposti alla manutenzione delle rotabili, né a chi competeva la dovuta sorveglianza. Per porvi rimedio, la Dieta enipontana, nella riunione del 12 gennaio 1874, invitò la Giunta provinciale a preparare il testo di una nuova legge. Tale provvedimento legislativo, tuttavia, fu presentato per l’approvazione solo il 12 ottobre 1882, pochi giorni dopo il verificarsi della più disastrosa alluvione della storia trentina che modificò giocoforza le priorità degli interventi. È su questa situazione che s’innesta
l’intervento dell’Imperial regio Ministero della Guerra interessato a realizzare strade di prevalente finalità militare. Nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento, lo Stato Maggiore dell’imperial-regio Esercito austroungarico aveva terminato la costruzione di importanti fortificazioni corazzate di montagna, secondo le direttive tecniche impartite dal generale del Genio Julius Vogl, direttore delle costruzioni fortificate del Tirolo. Era dunque necessario predisporre dei raccordi stradali in grado di consentire il trasporto a piè d’opera delle pesanti cupole corazzate e delle relative artiglierie di medio e grosso calibro. Per poter eseguire questo trasporto si rendeva necessario procedere all’allargamento e al rinforzamento delle vecchie carreggiabili esistenti. Nel 1897, dopo lunghe contese, il Governo tirolese concordò con la Dieta una prima programmazione di interventi alla rete stradale di interesse militare confidando in un congruo intervento finanziario da parte del Ministero della Guerra. Fu grazie a questo contributo che furono così migliorate in un primo momento
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le strade della val Sarentino, della val d’Ultimo, della valle del Lech e la strada fra Innsbruck e Wöls. Tutte le strade inserite nel “Primo programma” ottennero il finanziamento previsto dalla legge sulle “Strade Consortili”. Tra i vantaggi previsti per la costruzione delle rotabili militari vi fu quello relativo al riconoscimento a carico dello Stato di tutte le spese necessarie per la loro cura e manutenzione. Dopo alcuni mesi dall’approvazione della prima programmazione fu ampliato il numero degli interventi. Tra le rotabili da realizzare furono inserite: la strada della Fricca da Villazzano alle Carbonare, la RoveretoTerragnolo, la Mori-Brentonico, il raddoppio della strada della valle dei Laghi tra Dro e Padergnone e quella per collegare la Bassa val di Non con le Giudicarie lungo il tracciato Mezzolombardo-SpormaggioreAndalo-Molveno-San Lorenzo in Banale-Comano. Con l’occasione fu stabilito che tutte le strade inserite nei due programmi dovessero essere finanziate con il concorso pubblico ripartito nella seguente maniera: strade da costruire nella parte tedesca del Tirolo, 40% dallo Stato, 40% dal Land, 20% dai Comuni; strade
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da costruire nella parte italiana del Tirolo (la massima parte), 70% dallo Stato, 20% dal Land, 10% dai Comuni. Nel testo della seconda programmazione furono confermate le caratteristiche per le strade di particolare interesse militare, mentre le strade di secondaria importanza avrebbero dovuto avere una carreggiata più ristretta compresa tra 3 e 3,5 m ed eccezionalmente a 3,8 m, più una cunetta selciata da 40 cm, ma solo nei tratti aventi una pendenza superiore al 2,5%. L’avvio dei lavori stradali, previsti dalla programmazione, fu preceduto nel 1899 dalla realizzazione della rotabile Dimaro-passo Carlo Magno-Madonna di Campiglio e della Nova Levante-passo CostalungaVigo di Fassa-San Giovanni. Tra la fine dell’Ottocento e il 1914 la costruzione delle rotabili militari avvenne secondo i tempi previsti, ma all’inizio dell’estate del 1914, lo scoppio del primo conflitto mondiale causò inevitabilmente il rallentamento dei lavori per mancanza di mano d’opera. Per porvi rimedio fu deciso d’inviare in Trentino migliaia di operai militarizzati, non soggetti alla chiamata alle armi, provenienti da ogni parte dell’Impero: nella sola Trento, a fine maggio 1915, risultavano essere 8.790. Secondo alcune fonti attendibili, nel corso della Grande Guerra, la rete stradale del Trentino subì un incremento superiore ai 900 km. Un censimento delle rotabili costruite in questo periodo fu eseguito nel primo dopoguerra a cura di Giovanni Pedrotti, autorevole esponente della Società degli alpinisti tridentini che, nel Bollettino SAT del luglio-agosto 1921, descrisse le loro caratteristiche costruttive, esprimendo anche il parere sul loro impiego futuro. In tale ottica fu auspicato il ripristino di almeno 17 di esse, per complessivi 210 km, ritenute necessarie per la ripresa economica, specie in relazione alla promozione turistica del territorio. Dopo la conclusione della prima guerra mondiale, Trento divenne il capoluogo della nuova provincia della Venezia Tridentina, composta dal Trentino e dal territorio dell’odierna provincia di Bolzano. Da quel momento la viabilità della nuova provincia venne curata dalla Azienda autonoma strade statali (AASS, successivamente ANAS), per cui riepilogare seppur sinteticamente gli interventi tecnici relativi ai tracciati, alla pavimentazione, al miglioramento e al potenziamento della rete viaria provinciale in perenne trasformazione risulta essere un’impresa pressoché impossibile. In questo panorama comincia però ad emergere il tema dell’autostrada che rappresentò sicuramente la più grande realizzazione del Novecento, e in un certo senso il segno di quanto il trasporto su mezzi a motore stesse modificando profondamente lo scenario di riferimento. Contrariamente a quanto si può immaginare, in Europa s’incominciò a parlare di
“strade riservate esclusivamente al traffico a motore” nel corso degli anni venti del secolo scorso. A propagandare la costruzione di autostrade a pagamento, fu il figlio di uno dei più noti costruttori di strade, l’ingegnere milanese Piero Puricelli (1883-1951), progettista della prima autostrada italiana che, partendo da Milano si sarebbe diramata verso Como, Varese e Sesto Calende. Il primo disegno della cosiddetta Berlino-Roma comparve in una illustrazione del 1934, in cui il tracciato transalpino avrebbe dovuto collegare Augsburg con Verona attraverso il Passo del Fern-Imst-NaudersPasso Resia-Bolzano-Trento. Nello stesso anno il “piano regolatore delle autostrade dell’AASS” introdusse i collegamenti Verona-Bolzano, Bolzano-passo Resia e Bolzan-Brennero tra i tracciati “da attuare in coordinamento con [le] comunicazioni autostradali internazionali”. La realizzazione dell’autostrada Berlino-Roma tornò alla ribalta a seguito di un articolo di Helmuth Thurner, comparso sull’autorevole rivista “Die Strasse” del 15 dicembre 1937. Esclusa la costruzione di grandi tunnel attraverso le Alpi Retiche, l’Articolista asseriva che “restano gli stessi passaggi che [esistevano] al tempo dei Romani, il passo del Brennero e il passo Resia… Se si dà uno sguardo alla rete delle autostrade del Reich, si può affermare che autostrada e strada ferrata s’incrociano ma di rado scorrono in immediata prossimità”, per cui il Thurner concludeva scrivendo che il tracciato più diretto per collegare le importanti aree industrializzate del territorio renano con quelle dell’interland milanese, avrebbe dovuto seguire l’itinerario Garmisch-Fernpass-ImstNauders-passo Maloia-Chiavenna-Como-Milano. Notevole impegno a favore dell’allacciamento della rete autostradale italiana a quella germanica fu mostrato dall’ingegnere Puricelli, ma quando oramai premevano altre priorità. Mussolini e il suo Capo di Stato Maggiore maresciallo Badoglio avevano già
deciso, infatti, nel novembre 1939, dopo la firma del “Patto d’acciaio” con Hitler, di procedere all’immediata ripresa dei lavori per il completamento delle fortificazioni del Vallo Alpino del Littorio, nel settore che, dopo l’Annessione dell’Austria da parte del Reich, era divenuto il confine tra Germania e Italia. Della realizzazione di un’autostrada attraverso il territorio trentino, si ricominciò a parlare durante il convegno sulle comunicazioni tenuto a Ginevra nel 1950. In quell’occasione iniziò a circolare la notizia secondo cui l’autostrada contraddistinta dall’acronimo E56, avrebbe dovuto collegare la penisola Scandinava con l’estrema punta Sud della Sicilia seguendo, nell’attraversamento delle Alpi, il tracciato BrenneroBolzano-Trento-Verona-Modena, cioè lo stesso percorso che poi fu terminato di realizzare nel 1974 e a cui fu assegnata la sigla di identificazioni A22. Sul finire del Novecento i 313,5 km dell’autostrada che collegano il Valico del Brennero con Campogalliano entrarono a far parte del cosiddetto Corridoio Monaco-Modena, a sua volta parte integrante dell’asse autostradale longitudinale E45, che avrebbe dovuto collegare il piccolo centro di Karesuando, nella Lapponia svedese, con il centro petrolchimico siciliano di Gela. Con la realizzazione dell’autostrada del Brennero il plurimillenario tracciato stradale lungo il medio corso dell’Adige, dell’Isarco e del Sill aveva praticamente occupato la quasi totalità dei tre fondovalle. In alcune strettoie della Valle Isarco l’alveo del fiume con le sponde rinforzate da terrapieni, la strada Statale n. 12, la ferrovia a doppio binario del Brennero, alcune strade provinciali e comunali, i centri abitati e l’autostrada del Brennero, avevano, infatti, completamente occupato alcuni tratti delle principali valli che, per oltre 3.600 anni, avevano permesso il transito a popoli e culture diverse, collegando la Valle padanoveneta con le Prealpi bavaro-salisburghesi.
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A22
Il 1959 è l’anno di costituzione con il coinvolgimento del della Società Autostrada sud e del nord: le province storia di un’autostrada del Brennero Spa. Il 20 febdi Verona, Mantova, Reggio braio fu firmato il rogito per Emilia e Modena, ma anche la sua costituzione, redatto il Tirolo austriaco. Non fu un di Giuseppe Ferrandi dal notaio Marchesini, e il 29 caso che alla riunione parteaprile fu omologato dal Tricipassero, nello stesso anno bunale di Trento l’atto costidel Los von Trient di Castel tutivo. Alla Presidenza venne Firmiano, il rappresentante eletto l’assessore regionale ai della Camera di Commercio Lavori pubblici Donato Turrini, che assunse tale inca- di Innsbruck e l’avvocato Walter von Walther, presirico dopo che Tullio Odorizzi, nel corso della prima dente della Camera di Commercio di Bolzano. Assemblea aveva rifiutato l’incarico e proposto, in I fondatori dell’Autobrennero, anche quando la qualità di azionista di maggioranza, il suo assessore. Società verrà formalmente costituita, non ebbero Fu in una riunione preparatoria svoltasi nel luglio comunque un compito facile. Per quanto un’arteria del 1957 che Odorizzi espresse il punto di vista della autostradale attraverso il Brennero rappresentasse la Regione, fin da subito il soggetto promotore più con- realizzazione ideale dell’asse E6 Levanger (Norvegia)vinto e trainante. Reggio Calabria pianificata nel 1950 dalla Conven“È di comune esperienza non solo dei pubblici ammi- zione di Ginevra, e per quanto venisse menzionata nistratori, ma dei privati cittadini in questo periodo, in entrambi i piani autostradali del 1955 e del 1961, a l’aggravarsi sempre maggiore del problema della Roma non sembravano mai maturi i tempi per dare viabilità. E per noi questo problema acquista pro- priorità alla costruzione della A22. porzioni caratteristiche, direi quasi persino preoc- Fino al completamento dell’intero tracciato, nel cupanti, quando pensiamo alle condizioni della più 1974, innumerevoli furono le difficoltà burocratiche rilevante arteria di cui disponiamo che è l’arteria che e finanziarie da affrontare. Nel gennaio 1962 venne ci congiunge col Brennero e formalizzata anche l’imposcol Nord Europa”. sibilità dell’IRI di farsi carico Il riferimento è alla situazione del lavoro di realizzazione della statale del Brennero, del nuovo tracciato autoche dopo il lungo periodo stradale, e il 17 marzo dello della ricostruzione post-belstesso anno il Consiglio di lica, dimostrava di non poter amministrazione decise di più sostenere un traffico veiproseguire autonomamente colare in aumento esponenle pratiche per la realizzaziale. zione dell’opera, sulla base L’avvocato Odorizzi, che in dei progetti degli ingegneri quegli anni stava vivendo de Unterrichter/Gentilini e in la crisi della “sua Regione”, virtù della concessione stasegnalava la perfetta unità tale ottenuta l’anno prima. d’intenti delle due Province La decisione del 1962 fu di Trento e Bolzano “saldadavvero importante. Il ruolo mente unite nella costituita di primo piano svolto dalla Regione del Trentino-Alto Regione, la convinzione con Adige”, ma già evidenziava il quale i mondi economici che la grande scommessa ed imprenditoriali partecidell’Autobrennero sarebbe peranno alla Società stessa, stata l’allargamento della l’adesione dei Comuni caposua compagine societaria e luogo e delle Province attral’estensione territoriale di tale versate dal tracciato Modenaprogetto. L’argomento era, Brennero, costituirono le basi infatti, “considerato come un per un’impresa non solo stratema direttivo che trascende ordinaria dal punto di vista largamente i confini della tecnico, ma anche interesnostra modesta regione”. sante dal punto di vista socieCome tale andava affrontato, tario.
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Un accordo per promuovere la ricerca storica fra la Fondazione Museo storico del Trentino e la Società A22 Lunedì 21 giugno 2010, presso la Provincia autonoma di Trento, è stato siglato un accordo tra il presidente della Fondazione Museo storico del Trentino Lorenzo Dellai e Paolo Duiella, presidente della Autostrade del Brennero, per l’affidamento dell’archivio dell’A22 alla Fondazione Museo storico del Trentino. Come sottolineato in occasione della firma si tratta di un archivio straordinario, ricco di materiale tecnico, fotografico, ma anche mappe, rilievi e tantissime altre informazioni, che consentirà di sondare nuovi aspetti della storia del Trentino. “La Società e la Fondazione – si stabilisce al punto 1 della convenzione – si propongono con il presente Accordo programmatico di valorizzare al meglio il patrimonio archivistico della Società, sia in termini di funzionalità gestionale interna che in termini storico culturali a beneficio della collettività, nonché di realizzare iniziative di divulgazione della storia e del ruolo della Società stessa nei confronti del territorio attraversato dalla relativa autostrada, della popolazione ivi residente e dell’utenza che vi transita”. Tra i progetti futuri, oltre naturalmente al riordino e alle attività di studio, vi sono la realizzazione di una mostra fotografica itinerante e di un film documentario con le memorie delle persone che hanno lavorato alla creazione di questa arteria stradale (r.t.).
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142 chilometri da vertigini
È passato poco più di un secolo stesso anno, si festeggiò solendal giorno in cui fu inaugurato nemente l’apertura della strada la grande strada l’ultimo tratto della Grande del Pordoi. Nel 1907 fu termiStrada delle Dolomiti, quello nato il tratto che da Cortina, delle Dolomiti fra il Passo Falzarego e Cortina. conduceva a Dobbiamo, e nei Si tratta di un’opera leggendadue anni seguenti si svolsero di Paola Bertoldi ria che per la prima volta pornuovi lavori per permettere il tava nel cuore delle Dolomiti transito delle automobili lungo – attraverso i passi Costalunga, l’intera “Strada delle Dolomiti” Pordoi e Falzarego – e univa (142 chilometri), reso possibile quelle che allora erano considerate le due capitali dal marzo del 1909, anno in cui si festeggiò anche dolomitiche: Bolzano e Cortina d’Ampezzo. l’apertura ufficiale del tronco attraverso il Falzarego. Se da un lato la costruzione della strada ha dato il Nella guida illustrata alla nuova strada, Christomanvia definitivo al turismo nelle Dolomiti, dall’altro nos scrisse con orgoglio che l’intero percorso da lo stimolo a finanziarla venne dal valore militare Bolzano a Cortina e poi fino a Dobbiaco era fattibile dell’opera, che correva a ridosso del confine con in tre tappe di un giorno ciascuna, sia in carrozza, sia, l’Italia. Fortemente sostenuta da due pionieri del turi- se si va di buon passo, a piedi: da Bolzano a Canazei smo tirolese, Albert Wachtler e Theodor Christoman- (51 km), da Canazei a Cortina (61 km) e da Cortina a nos, entrambi esponenti dell’Alpenverein (il Club Dobbiaco attraverso la già realizzata strada di Alemaalpino austriaco), la strada fu finanziata dal Governo gna (30 km). Con l’avvento dell’automobile, l’intero austroungarico nel 1897 con un’apposita legge che percorso si poteva invece fare in una giornata. Così stanziava l’enorme somma necessaria. Due milioni di l’automobile divenne ben presto il soggetto delle corone furono spesi solo per i tratti del Passo Pordoi cartoline illustrate e dei manifesti che pubblicizza(tre anni di lavori, dal 1904 al 1907) e del Falzarego, vano la nuova strada. che richiesero innovative soluzioni tecniche a causa Secondo l’idea di Christomannos la “Strada delle della friabilità dei terreni. Dopo l’inaugurazione delle Dolomiti” doveva valorizzare ulteriormente l’area nuove strade della val Gardena (1856) e della val dolomitica, segnando il definitivo passaggio da Badia (1892), Thoedor Christomannos (1854-1911), un’esistenza di sacrificio e stenti dei valligiani al nato a Vienna da una famiglia di origine ellenica e benessere portato dallo sviluppo turistico. Nei paesi trasferitosi successivamente a Menno, fu tra i primi ladini il numero di turisti andava crescendo di anno a comprendere l’importanza di una strada che non in anno. Ampezzo passò da 4 alberghi con 35 pernotservisse solo da accesso alle singole valli, ma che tamenti di forestieri nel 1865 a 25 alberghi, 10 ville, 2 collegasse Bolzano a tutta l’area dolomitica. La sua caffè e una cucina economica con quasi 20.000 perpassione per le montagne, la sua lungimiranza e il nottamenti di forestieri e altrettanti passanti nel 1905. suo spirito d’intraprendenza lo fecero quindi idea- Verso il 1910, l’intera popolazione si dedicava ormai tore e promotore della “Grande Strada delle Dolo- al turismo, quasi fosse quella l’unica fonte di guadamiti” che iniziò a prendere forma all’inizio del Nove- gno possibile. cento. Nel 1903 fu inaugurato il tronco da Moena a Il numero delle presenze dei forestieri, in prevalenza Vigo di Fassa e nel 1904 il tratto che da Vigo por- austriaci e tedeschi, iniziò così a crescere anche negli tava ad Arabba. Nel 1906 venne aperta la strada che altri paesi della valle: all’alba del XX secolo, Vigo di attraverso il passo Falzarego, raggiungeva Cortina Fassa, ma anche Canazei superavano le 4.000 pred’Ampezzo e successivamente, nel settembre dello senze annue.
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Le vie del vapore
Lo sviluppo storico delle ferroLombardo-Veneto non esisteva vie, attraverso la nostra regione, più, e il margine meridionale lo sviluppo delle ebbe inizio nella prima metà dell’antico Principato vescovile dell’Ottocento. Nel 1838, l’indi Trento era divenuto l’estremo ferrovie in Trentino gegnere Leopold Octavian Phiconfine a Sud-Ovest della lips progettò una ferrovia per Monarchia austroungarica. di Gian Piero Sciocchetti il collegamento di Monaco di L’idea di far passare una linea Baviera con Venezia secondo ferroviaria attraverso la Vall’itinerario Innsbruck-Landecksugana risale agli anni trenta passo Resia-Merano-Bolzanodell’Ottocento. La linea avrebbe Trento-Pergine-Bassano-Mestre. Era evidente che il dovuto collegare Monaco di Baviera con Veneprogettista ritenesse più facile attraversare il passo zia passando per Innsbruck-Landeck-passo ResiaResia che quello del Brennero, sia per ragioni tecniche Merano-Bolzano-Trento-Pergine-Bassano-Mestre. che politiche: il tracciato prescelto avrebbe permesso In pratica avrebbe ricalcato, pressoché esattamente, il ai treni di superare il dislivello esistente, allungando il tracciato della vecchia strada romana Claudia Augusta percorso con una serie di tornanti aventi un raggio di Altinate, voluta dall’imperatore Tiberio diciotto secoli curvatura non inferiore ai 250 m e il passaggio della prima. Tra le tante proposte di vari tracciati presenferrovia lungo la valle dell’alto corso dell’Inn avrebbe tati alle autorità competenti tra il 1838 e il 1849, non inoltre reso possibile di allacciare, attraversando l’Arl- mancarono progetti curiosi, tra cui quello di collegare berg, la nuova linea con quella svizzera del Cantone di Innsbruck con Sterzing (Vipiteno) con una tramvia a San Gallo e con quella tedesca proveniente dal Baden cavalli in attesa che lo sviluppo della tecnologia cone dal Würtemberg. Fu in seguito a questo progetto che sentisse di realizzare una locomotiva sufficientemente per la prima volta fu formulata l’idea di far passare una pesante da migliorare l’aderenza tra rotaia e ruote linea ferroviaria, di grande importanza europea, attra- motrici della locomotiva stessa, impedendo lo slittaverso la Valsugana. mento che si verificava ogni qualvolta la pendenza Bisognerà però aspettare ancora a lungo prima di superava il 16‰, ossia 16 metri di dislivello ogni chivedere la prima locomotiva percorrere un tratto di linea lometro. Il collegamento del Regno Lombardo-Veneto in Tirolo. Le prime due tratte della ferrovia del Brennero, con il Regno di Baviera, seguendo l’itinerario Veronala Verona-Trento e la Trento-Bolzano, entrarono in ser- Trento-Bolzano-Innsbruck-Kufstein, fu inserito nei vizio nell’estate 1859, quando ormai il loro maggiore propri programmi dal Governo austriaco solo nel sostenitore, il maresciallo di campo Josef Radetzky, 1847. Con tale decisione si pensava di cogliere tre governatore generale del Regno Lombardo-Veneto e risultati fondamentali: favorire l’incanalamento del Comandante della seconda armata austriaca in Italia, traffico ferroviario europeo verso i porti di Venezia e di era già morto. Il tratto di linea ferroviaria per il colle- Trieste, attraverso la linea Milano-Trieste, già in costrugamento di Bolzano con Innsbruck potè poi essere zione; risolvere il problema dell’invio dei rifornimenti inaugurato soltanto nel 1867, quando ormai il Regno logistici all’Armata austriaca dislocata nel Quadrila-
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tero Lombardo-Veneto; accontentare i Tirolesi che da tempo si battevano per ottenere un collegamento ferroviario col Centro Europa e con l’Italia. Sembrava che tutti i problemi si stessero appianando e che finalmente la tanto sospirata ferrovia potesse essere realizzata, quando, a seguito dei fatti del 1848, si ebbe un rallentamento nei lavori. Solo dopo due anni di drammatici eventi, non appena gli animi furono placati, il giovanissimo neoimperatore Francesco Giuseppe I poté dar corso alla costruzione della linea ferroviaria Verona-Bolzano, di esclusivo interesse militare, decisa per appoggiare il potenziamento delle fortificazioni di Verona, Legnago, Mantova e Peschiera e completare così il “Quadrilatero fortificato”. Di ferrovia della Valsugana si riprese a parlare dopo il 1860. Molti furono i progetti elaborati. Tra questi il migliore risultò quello dell’ingegnere Luigi Tatti, redatto tra il 1864 e il 1865. Con grande sorpresa ho potuto constatare che il progetto eseguito dall’ingegnere Rudolf Stummer von Traunfels risultava essenzialmente identico a quello di Luigi Tatti, da me rintracciato presso l’Archivio comunale di Trento: le uniche variazioni consistevano nei raggi di curvatura della linea più piccoli e nell’impiego di materiale di costruzione più economico. La ferrovia della Valsugana entrò ufficialmente in funzione nel 1896 quando l’intento di realizzare anche un’estesa rete tramviaria locale, pensata dal Podestà di Trento e dal suo consiglio municipale come soluzione per dare risposta alla difficile situazione socio-economica, stava cogliendo i suoi primi risultati. All’epoca in tutto il territorio trentino esistevano soltanto 75 km di linea ferrata realizzata lungo il corso dell’Adige, mentre il Tirolo settentrionale poteva già contare su due linee di portata internazionale che lo attraversavano da Nord a Sud, con la linea Kufstein-Innsbruck (1858) e Innsbruck-Borghetto (1867); da Est a Ovest con la Villach-Fortezza (1871) e la Innsbruck-Bregens (1884). Nel 1881, inoltre, era stata inaugurata la Bolzano-Merano, che, sin dall’inizio divenne uno dei tronchi più utilizzati dai turisti europei. L’idea di realizzare una rete di ferrovie locali, auspicata dal podestà di Trento, fu contrastata energicamente dalla Dieta di Innsbruck, durante l’assemblea primaverile del 1889. Tra i più accesi oppositori vi furono proprio i rappresentanti di Bolzano e di Merano, che accusarono i rappresentanti trentini di aver programmato un numero rilevante di tranvie elettriche a scartamento ridotto per collegare le principali valli solo con Trento. La protesta non impedì la realizzazione di nuove linee: nel 1890 venne costituita la prima società per la costruzione della ferrovia Mori-Arco-Riva (MAR), inaugurata il 28 gennaio dell’anno successivo e realizzata dall’impresario e progettista della ferrovia della Valsugana, l’ingegnere Rudolf Stummer von Traunfels. Il 4 aprile 1892 il Consiglio comunale di Trento approvò
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il programma di svariate nuove ferrovie locali, tra cui quella che avrebbe raggiunto la val di Fiemme e la val di Fassa. Da quel momento ogni iniziativa in campo tranviario fu però bloccata, sia per la mancanza di fondi, sia soprattutto per la prematura morte del podestà Paolo Oss Mazzurana (1895). Solo nel 1909 fu inaugurata la Trento Malè, poi ampliata da Dermulo fino a passo della Mendola attraverso Fondo. Da questo momento la rete ferroviaria trentina non conobbe ulteriori espansioni, se non le distruzioni portate dalla seconda guerra mondiale. La provincia di Trento, come pure quella di Bolzano uscirono da questo conflitto assai provate. Nei venti mesi dell’Alpenvorland (1943-1945) i centri abitati di 91 comuni trentini subirono globalmente 591 bombardamenti aerei da parte dell’aviazione angloamericana. I principali obiettivi erano stati i ponti sull’Adige, gli scali ferroviari, le opere stradali e ferroviarie, ma anche gli incroci stradali esistenti nelle valli secondarie del Trentino. Il ripristino delle vie di comunicazione, dopo i bombardamenti, fu assicurato dai genieri tedeschi, coadiuvati dagli speciali reparti di operai militarizzati facenti parte dell’Organizzazione Todt. L’opera di ricostruzione post bellica subì qualche ritardo dovuto al difficile approvvigionamento del cemento, ma anche al reperimento degli inerti necessari per la formazione dei conglomerati e delle massicciate stradali. Ultimata la ricostruzione si pensò di migliorare la rete delle comunicazioni con le province italiane e con quelle d’Oltralpe, in modo da favorire il turismo e gli scambi commerciali. All’epoca si preferì incrementare l’uso delle autovetture e il trasporto su gomma; a farne le spese fu la rete ferroviaria trentina che, nel tracciato, era rimasta quella di sessant’anni anni prima, con tempi di percorrenza ancora troppo lenti. Inoltre la crescente motorizzazione del Paese, favorita dal boom economico degli anni cinquanta e sessanta, ridusse progressivamente il ricorso alle ferrovie a scartamento ridotto, sia per il vetusto armamento delle linee, sia per l’eccessivo logorio del materiale rotabile subito nel corso della guerra, ma soprattutto per il particolare scartamento da 80 cm adottato solamente dall’Austria-Ungheria, rispetto a quello da 76 o 100 cm normalmente impiegato in tutto il resto del mondo, per cui era impossibile trovare parti di ricambio. Anche la rete ferroviaria a trazione elettrica, risultando in condizioni precarie, fu smantellata nel secondo dopoguerra. L’unica ferrovia a trazione elettrica destinata a sopravvivere fu quella della val di Non, proverbiale per la sua scarsa velocità, e per i segnali acustici sonori delle motrici che sembravano “muggiti di mucca” piuttosto che avvisi di pericolo, per cui né derivò l’appellativo di Vaca nonesa. L’attaccamento alla ferrovia da parte della popola-
zione locale si scontrò duramente con chiunque in più occasioni espresse la volontà di recidere l’”ultimo ramo secco” del sistema ferroviario trentino, riuscendo così a traghettarlo verso il suo primo secolo di vita, sempre lungo il vecchio tracciato, ma con una nuova flotta di treni formata da 14 moderni convogli trainati da potenti elettrotreni Alstom Coradia ETi 8/8, che collegano le principali località turistiche e sciistiche esistenti lungo il tracciato che va dalla stazione di partenza delle funivie di Marileva 900, capolinea in val di Sole, a quella nuova della Trento-Malè (adiacente alla stazione ferroviaria di Trento). Da qui si può proseguire fino a Borgo Valsugana grazie alla trasforma-
zione, di un altro “ramo secco” delle ferrovie italiane, in “metropolitana leggera di superficie”, gestita da Trenitalia, ma con convogli a trazione diesel e scartamento normale, tipo Alstom ETi 8/8 Minuetto forniti a Trenitalia dalla Trentino Trasporti. La storia delle comunicazioni ferroviarie in Trentino non finisce certo qui. Nuove importanti tappe attendono di essere raggiunte, tra cui quella della nuova linea ferroviaria del Brennero, i cui lavori per la costruzione della Galleria di Base del Brennero/Brenner Basistunnel, o semplicemente con l’acronimo europeo di BBT, sono in corso d’opera già da tre anni e secondo le previsioni dureranno fino al 2020-2022.
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino “Comodamente seduti nelle nostre carrozze elettriche”: centrali sul Novella e ferrovia dell’Alta Anaunia (1898-1940), di Maurizio Visintin (Romeno, Associazione culturale G. B. Lampi-Alta Anaunia, 2001) Nel primo decennio del Novecento due avvenimenti catapultarono la sperduta e sonnolenta Alta Anaunia all’avanguardia dello sviluppo economico trentino: l’inaugurazione – nel 1901 – della centrale sul rio Novella delle Officine elettrico industriali dell’Alta Anaunia e l’apertura al pubblico – nel 1909 – della ferrovia elettrica Dermulo-Mendola. Se la maggiore centrale idroelettrica consorziale del Trentino e un’importante linea ferroviaria di montagna vennero realizzate proprio in Alta Anaunia, ciò fu
dovuto soprattutto all’intraprendenza e alla tenacia di uno dei figli più illustri e discussi di questa terra: l’ingegner Emanuele Lanzerotti di Romeno. Egli afferrò prima e meglio di altri le enormi potenzialità del “carbone bianco” e del trasporto ferroviario nelle aree di montagna e comprese che solo lo strumento della cooperazione avrebbe consentito di attuare progetti tanto ambiziosi in un territorio povero e marginale. Il lavoro di ricerca di Maurizio Visintin, accompagnato da un apparato fotografico e documentaristico in gran parte inedito e poco conosciuto, ripercorre questo importante momento di ripresa economica dell’Alta val di Non agli inizi del XX secolo e contribuisce alla conoscenza degli aspetti meno noti e appariscenti di questa zona.
La ferrovia della Valsugana, di Gian Piero Sciocchetti; contributi di Pietro Nervi e Rodolfo Taiani (Pergine Valsugana, Associazione Amici della storia, 1998) Il volume ripercorre la storia della Ferrovia della Valsugana, la cui ideazione risale agli anni trenta dell’Ottocento, praticamente agli inizi della costruzione delle ferrovie europee. Questo tratto di linea era considerato uno dei più importanti delle prime grandi linee internazionali al fine del collegamento della nazioni del Centro-Nord europeo con i paesi del bacino del Mediterraneo e con il Medio Oriente. La sua realizzazione interessava particolarmente due tra le più grandi potenze mondiali
impegnate nell’espansione coloniale dei propri Imperi: la Gran Bretagna e la Prussia. Entrambi i loro governi stavano studiando il sistema di collegare i porti della Manica con quello di Venezia attraversando, il più brevemente o marginalmente possibile, i territori austriaci e francesi. Da questa situazione scaturirono una serie di avvenimenti in seguito ai quali alcune vallate dell’attuale regione Trentino-Alto Adige vennero favorite dal passaggio delle ferrovie, mentre altre dovettero battersi per ottenere la concessione per poterle costruire sobbarcandosi gran parte delle spese, come accadde ai Comuni della Valsugana, di cui Sciocchetti parla in questo libro.
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“Trasportati nell’aria” sopra le montagne
“È una sensazione particolare rapporto che avevano con le e affascinante, finanche un piaferrovie di montagna ed il loro cere estetico, essere trasporesser state un elemento fontati nell’aria, sollevati da terra”, damentale per lo sviluppo del alcune note sulle funivie scrive poeticamente lo scrittore moderno turismo alpino. Da qui in Trentino-Alto Adige e studioso bolzanino Karl Felix nasce un nuovo tipo di turismo, Wolff nel 1913 nella sua guida basato sull’appagamento esteMeran, Lana und die Vigiljochtico legato alla vista del paedi Claudio Ambrosi e Paul Rösch bahn. Fino a quel momento il saggio montano: inizialmente i “volo” tra le montagne era stato turisti erano portati in quota da appannaggio di chi viaggiava in trenini a cremagliera, poi fu la mongolfiera o in aereo. Certo, viaggiare sospesi su volta delle funicolari. In Tirolo la prima cremagliera precipizi richiedeva un po’ d’abitudine, e inizialmente fu quella dell’Achensee, che dal 1889 portava da la paura era parte integrante del prezzo pagato dai Jenbach alla località di Seespitz, e aveva una coincipasseggeri per il viaggio. La necessità di rassicurare denza con il battello a vapore che collegava diversi i passeggeri spiega perché la parola filovia, usata hotel situati sulle rive del lago. Nel 1906 fu portata a inizialmente in italiano per designare la Schwebe- termine la Hungerburgbahn, che partiva dal centro bahn, venne in seguito sostitudi Innsbruck e divenne subito ita dalla parola funivia (fune = un’attrazione turistica. Seil), che rende maggiormente Nel 1903 fu inaugurata in Alto l’idea della stabilità. Adige la cremagliera della MenAllo stesso modo è più chiaro dola, che portava da Caldaro al il motivo per cui nei dépliant passo a 1.363 metri di quota, pubblicitari delle funivie dove, tra gli altri, si trovava pagine intere fossero dedicate anche il Grand Hotel Penegal. a descrizioni tecniche: l’intento A partire dal 1907, dal centro di era quello di tranquillizzare i Bolzano si potevano raggiunpasseggeri e infondere sicugere, con la cremagliera, sia il rezza. Sono, in ogni caso, l’enRenon che il Virgolo. tusiasmo e la voglia di moderMa il desiderio era quello di nità che aiutano in realtà a vinrealizzare linee di trasporto in cere la paura, e così, in linea montagna ancora più ardite; con la filosofia della società qui ci si scontrava però con i industriale del tempo, sulla pericoli dell’alta quota (frane e Neue Freie Presse del 1926 si smottamenti in estate e valanscriveva: “è moderno salire ghe d’inverno) e per superare appesi a una fune”. questi ostacoli esistevano Prima della loro diffusione sulle sostanzialmente due modi: o si montagne, le funivie fanno la costruiva dentro la montagna loro apparizione sulle giostre (un esempio impressionante di e nei parchi di divertimento questa tipologia è la Jungfraudelle grandi esposizioni. Le bahn con la sua stazione d’arfunivie orizzontali diffuse dal rivo in galleria a 3.454 metri) o 1890 collegavano singole zone si facevano passare le cabine della superficie espositiva; i il più alto possibile rispetto al visitatori avevano la possibilità suolo. Era inoltre evidente che di avere una visione d’insieme le linee sospese comportadall’alto. Il fatto che alla dimensione del progresso vano costi di costruzione e gestione inferiori rispetto tecnico si accompagnasse l’aspetto ludico è testimo- a quelle interne alla montagna, per le quali erano niato dall’accurata decorazione delle diverse parti di necessarie maggiori strutture artificiali. queste strutture. I primi impianti a fune hanno origine Fatte queste premesse i tempi sembravano ormai nel mondo dei parchi-divertimento e sono legati a maturi per le funivie in alta montagna. Mancava però una grande considerazione per il mondo della tec- la soluzione ad un ultimo problema: la controversa nica. “questione della fune” su cui si dibatte ampiamente La diffusione delle funicolari sulle Alpi è legata al nei circoli tecnico-scientifici internazionali. L’ostacolo
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era posto dall’impossibilità di verifica tecnica della trazione e rottura delle funi in impianti destinati a un uso intenso nel trasporto di persone. Solo dopo la Grande Guerra si trovarono soluzioni soddisfacenti e dal 1925 si riprese la realizzazione di impianti a fune, dando inizio a un vero e proprio boom. Ci si basò anche sulle innovazioni tecnologiche sviluppate durante la prima guerra mondiale sul fronte delle Alpi: le postazioni militari della guerra in montagna necessitavano, infatti, di un trasporto veloce e sicuro di uomini e materiali. La possibilità di sperimentare, lontani dai rigidi controlli delle autorità ferroviarie austriache permise, a pionieri come l’ingegner Luis Zuegg, di basarsi sulle esperienze fatte sul fronte dolomitico, così da sviluppare alcuni brevetti nel campo della costruzione di impianti a fune, in collaborazione con la nota ditta Adolf Bleichert di Lipsia, per arrivare ad un sistema di trasporto divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di BleichertZuegg. L’impianto di Avelengo, presso Merano, costruito da questo pioniere, rappresentò una pietra miliare nel settore e divenne presto un esempio da imitare. Egli sfruttò tutte le esperienze fatte durante la prima guerra mondiale per la costruzione di questa “funiviamodello”, entrata in funzione nell’ottobre del 1923. Venne poi il Trentino, con la funivia Trento-Sardagna, inaugurata nel 1925 e progettata dall’ingegner Othmar Haas. Lo stesso anno fu realizzato anche il progetto, già pronto prima della Grande Guerra, della Zambana-Fai, opera di Anton Visnickas, a cui si deve anche la funivia Fai-RoccaDosso Larici, aperta nel 1929. Cortina ebbe la sua prima funivia, che portava sul Pocol, nel 1926, ad opera della ditta milanese Ceretti & Tanfani. In Alto Adige si dovette attendere il 1935 per assistere alla costruzione di un nuovo impianto, quello che porta da Ortisei (val Gardena) all’Alpe di Siusi, realizzato proprio da Luis Zuegg. A Zuegg si deve anche la funivia di San Genesio, inaugurata nel 1937. Ceretti & Tanfani invece costruirono, poco prima della seconda guerra mondiale, l’impianto Cortina-Mandres-
Faloria, entrato in funzione nel gennaio del 1939. In quegli stessi anni si andava sempre più sviluppando la pratica dello sci, che da sport d’élite, grazie al cinema e a gare spettacolari, divenne sempre più popolare. L’ampiezza di questo fenomeno sportivo andò a incidere, a partire dal secondo dopoguerra, anche sulla rapida evoluzione negli impianti funiviari, arrivando fino a una metamorfosi della loro destinazione d’uso primaria: la tipologia fin qui trattata lasciò spazio ad altre più adatte a rispondere alla crescente domanda che proveniva dall’industria dello sci. Negli anni cinquanta furono intraprese importanti iniziative volte alla ripresa dell’industria del turismo; in particolare si cercò di dare impulso alla crescente diffusione degli sport invernali (nel periodo 1946-1954
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l’afflusso di turisti in regione vedeva la preminenza degli ospiti estivi rispetto a quelli della stagione fredda) intraprendendo un energico lavoro dedito al potenziamento delle dotazioni infrastrutturali e rivolgendo particolare attenzione all’incremento e miglioramento degli impianti a fune. L’industria dello sci aveva bisogno di strutture che velocizzassero l’accesso alle piste, che permettessero, prima di tutto, di aumentare la portata oraria. Tale aumento era possibile non solo grazie a una maggior velocità – che peraltro non poteva comunque superare una certa soglia – ma anche grazie ad una nuova impostazione che vedeva le “vecchie” funivie bifune (nelle quali il veicolo viene mosso da una fune traente su una fune portante con cosiddetto “movimento va e vieni” che comporta la salita e discesa dei passeggeri a veicoli fermi) sostituite da altre tipologie aventi in comune la caratteristica di far ruotare senza interruzioni le cabine, seggiole ecc. così da aumentarne la portata oraria fino a che l’evoluzione tecnica giunse alle versioni monofune (ad ammorsamento automatico) che permettono salita e discesa dei passeggeri senza che ciò richieda fermate all’impianto. Le bifune, dopo la crescita costante fra le due guerre, segnano quindi il passo (in Trentino nel 1970 risultavano essere 17 per calare a 12 nel 2005), mentre si assiste alla crescita del nuovo modello monofune che, avendo sempre come riferimento il Trentino, passa dall’unica del 1970 alle 65 nel 2005! In apparente moto contraddittorio, a partire dagli anni ottanta, il numero complessivo degli impianti andò calando tanto che nel 2006 in Trentino erano presenti 236 impianti contro i 314 del 1990; questo è accaduto anche per il vicino Alto Adige dove nello stesso arco temporale gli impianti passeranno da 430 a 375. In realtà spariscono gli impianti obsoleti, di vecchia concezione, mentre altri vengono rinnovati, aggregati e trasformati in impianti ad ammorsamento automatico. Tant’è, che la portata oraria andrà di anno in anno aumentando: se nel 1990 in Trentino la portata media era di 884 nel 2006 si arriverà a 1.366, andando a superare anche il vicino Alto Adige che, nello stesso periodo, è passato da 888 a 1.304. Va ricordato che se la diminuzione, nel corso degli anni, del numero degli impianti sembra mostrare un minor impatto sul territorio, l’aumento della portata oraria significa una accresciuta velocità con cui sono trasportati in quota i passeggeri, e un conseguente aumento di porzione di territorio che essi occupano per la discesa, pena un affollamento eccessivo delle piste. Alla maggior portata oraria corrispondono maggiori piste da discesa o il loro allargamento. Se i tralicci producono “solo” un danno estetico e
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la moltitudine di persone reca disturbo “solo” alla fauna, le piste da sci comportano danni ambientali difficilmente sanabili: non solo la loro realizzazione conduce al mutamento della morfologia dei monti e danni difficilmente reversibili (cui si sommano quelli causati dall’innevamento artificiale) ma, a quelle quote, la cotica erbosa e molte specie floristiche vengono irrimediabilmente compromesse. Una maggior pressione antropica comporta inoltre anche la necessità di ampliare le strutture di ristoro, le strade e i parcheggi che servono l’accesso agli impianti. La storia degli impianti funiviari mostra il venir meno dell’interesse per questa esperienza aerea fine a se stessa, sostituita, invece, da un uso strumentale che ne ha cancellato l’esperienza poetica, per lasciare spazio allo sfruttamento intensivo della montagna. L’utilizzo di questi impianti, nati per il giocoso piacere estetico d’essere trasportati nell’aria, si ridimensiona anno dopo anno. Così, ai giorni nostri, le funivie bifune presenti sul territorio del Trentino-Alto Adige testimoniano la marginalizzazione di questo tipo di “avventura”, il cui calo d’interesse si estende anche ad una realtà più vasta, che riguarda l’intero Tirolo, così come il Voralberg e il salisburghese.
Territorio alpino e mobilità
sporto funiviario. Negli ultimi venti anni la logica è stata quella di aumentare l’offerta turistica sotto l’aspetto interviste con della quantità. Piergiorgio Motter, Si è cioè cercato di portare Claudio Bassetti in Trentino un numero sempre più elevato di persone. e Alberto Pacher Per farlo è stata incrementata l’offerta di posti letto e sono a cura di Paola Bertoldi stati riammodernati e costruiti nuovi impianti di risalita: oggi nel territorio provinciale è possibile trasportare in quota Se prendiamo in considera- Il difficile rapporto fra viabilità e rispetto di 300.000 persone l’ora grazie zione gli interventi in tema un ambiente fragile come quello montano agli impianti a fune. di trasporto e mobilità, quali occupano costantemente le agende del (M) In questo c’è ovviamente sono stati nel passato le opere confronto politico e infervorano il dibattito un circolo vizioso, che periodiche più hanno inciso negati- all’interno della società civile. Le proposte camente viene alimentato: venvamente dal punto di vista avanzate e le soluzioni adottate per sod- gono costruiti nuovi impianti, dell’equilibrio del territorio e disfare la crescente domanda di sposta- che poi richiedono l’aumento del rispetto per l’ambiente? mento da un lato, e la tutela del paesaggio del numero delle piste, l’incre(M) Storicamente, uno dei set- dall’altro, rappresentano altrettante sfide mento dei parcheggi, l’allargatori che ha subito interventi più epocali che potrebbero contribuire in futu- mento delle strade di accesso vistosi e pesanti è stato quello ro a disegnare scenari inediti. Ne abbia- e così via. delle strade di penetrazione mo parlato con Piergiorgio Motter e Clau- Di conseguenza arrivano più in alta montagna, cioè le fore- dio Bassetti, rispettivamente presidente e turisti, e questo richiede nuostali. In Trentino ne sono state vicepresidente della SAT, e con Alberto vamente la realizzazione di altri realizzate parecchie, tanto che Pacher, assessore della Provincia di Tren- impianti. Un esempio è il Lagoabbiamo il reticolo di strade to ai lavori pubblici, ambiente e trasporti. rai: nonostante il nostro tentaforestali più fitto d’Europa: tivo di arrivare a un parco natucirca 5.000 km su una superrale si continuano a costruire ficie forestale di 3.000 km quadrati. Ancora oggi, si nuove strutture in Brocon. costruisce non per necessità di servizio, ma per la A questo proposito, com’è possibile conciliare le volontà di collegare ogni maso e ogni malga. Ad necessità ambientali con le esigenze turistiche di esempio, quello che si è cercato di fare in val dei un territorio come il nostro? Mocheni, con la strada che arriva fino al lago di Erde- (B) Il problema è capire qual è il limite. Ad oggi in molo e altri luoghi quali Plaza Bela, è inqualificabile. Trentino abbiamo 25 milioni di presenze all’anno, Ma gli esempi si sprecano. Il risultato è di portare ma è un dato che non include chi affitta un appartasempre più in alto il limite della frequentazione moto- mento o possiede una seconda casa. Arrivano 5 o 6 milioni di persone l’anno su una popolazione di 500 rizzata della montagna. (B) Il problema riguarda anche i fondovalle. Diversa- mila abitanti: è chiaro che la politica di aumentare il mente da Svizzera e Austria il mezzo privato la fa da flusso turistico ha per forza un suo limite. Il problema nasce da una realtà: il Trentino offre quasi ovunque padrone. La richiesta di strade sempre più veloci porta a gli stessi servizi, perciò le uniche strategie messe in intensificare la superficie occupata dalle vie di scor- campo sono quella di puntare sul numero di arrivi rimento: basta pensare alla zona di Lavis e la Rota- oppure quella di abbassare i prezzi (è il caso delle liana che è interessata dalla bretella della Rocchetta, settimane low cost del passo Brocon). Noi crediamo dall’autostrada e dalla statale del Brennero. Ma tutte che la soluzione da cercare sia un’altra e vada nella le valli trentine sono o saranno percorse da strade ad direzione di differenziare l’offerta delle valli del Trentino. Ogni località dovrebbe valorizzare la propria alta velocità. Questo migliora la viabilità, anche per i residenti, ma specificità e identità e puntare su quella. A Folgaria, modifica la tipologia di frequentazione della monta- per esempio, si stanno costruendo impianti di risagna: abbiamo un turismo da tempi assai più ristretti, lita e piste a quote troppo basse, ridicole se consicui si lega l’intervento decisamente invasivo del tra- deriamo le precipitazioni nevose; inoltre, per farlo, Piergiorgio Motter (M): “Parlando di mobilità e di rispetto per l’ambiente, sarebbe importante cercare di incentivare le iniziative che vanno nella direzione giusta”. Claudio Bassetti (B): “Si può e si deve avere il coraggio di ragionare sugli errori ed essere capaci anche di tornare indietro”.
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si stanno distruggendo malghe e pascoli splendidi, per non parlare delle tracce della Grande Guerra, un patrimonio dal valore immenso. Tra l’altro, nonostante il Consiglio provinciale abbia già espresso due volte il suo voto contrario, la giunta è intenzionata a portare a termine un collegamento a fune fra il passo Coe e il Veneto, con l’ipotesi non remota di costruire un impianto di arroccamento dove si prevede di realizzare l’autostrada della Valdastico. Questo porterà in pochissimo tempo migliaia di persone sull’altipiano, un turismo pendolare, con le evidenti conseguenze negative. Come mai si continua a puntare sulla realizzazione di strutture così impattanti? (M) L’idea di continuare a costruire nuovi “collegamenti” è in realtà un escamotage per fingere il risanamento dei debiti. È noto che praticamente tutti gli impianti del Trentino (fanno eccezione Campiglio e Sella Ronda) sono fortemente indebitati. Grazie alla progettazione di opere che mettono in connessione strutture già esistenti è possibile accedere ai fondi dell’Unione europea. Ma se guardiamo quali sono gli interventi in cantiere, Pinzolo-Campiglio, MolvenoAndalo, Brentonico-Malcesine, è evidente che si stanno aggirando le indicazioni comunitarie, perché è più veloce usare l’auto che non questi presunti collegamenti. Parlando di mobilità e di rispetto per l’ambiente, sarebbe importante cercare di incentivare le iniziative che vanno nella direzione giusta. Nei parchi naturali si sono attivati bus navetta e corse per limi-
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tare l’accesso con le automobili (pensiamo alla val di Genova). I recenti tagli ai bilanci dei parchi però, danneggiano e disincentivano questo tipo di azioni. (B) Sembra purtroppo che non ci si fermi a riflettere, ma che si agisca senza sviluppare una strategia più intelligente e compatibile con l’ambiente. Si parla di un collegamento a fune dalla Polsa (Brentonico) fino al Baldo e Malcesine. Ma non si capisce che senso abbia voler portare nel più breve tempo possibile i turisti dal Garda alle piste, perché questo non valorizza certo il nostro territorio. È solo scenario, teatro, stadio ma non luogo da vivere, percorrere, conoscere, frequentare. Le aziende che gestiscono gli impianti hanno parecchi debiti, d’altro canto non sono mai a capitali e gestione completamente privata, ma c’è una sempre più forte partecipazione pubblica. I problemi finanziari però non contribuiscono a fermarne l’espansione, perché si pensa che le strutture servano per supportare un sistema economico generale. Quindi non si va nella direzione giusta? (M) Purtroppo ci sono diversi segnali negativi, anche da Roma. Qualche mese fa, infatti, è stato stralciato il “Protocollo trasporti” dalla Convenzione delle Alpi, cioè il primo accordo internazionale per la protezione e la promozione dello sviluppo sostenibile di una regione di montagna transfrontaliera. Si è trattato di una scelta miope per almeno tre motivi. Anzitutto, per un discorso di tipo ambientale, visto che il traffico transalpino di persone e merci, e il traf-
fico regionale e locale all’interno del territorio alpino, determinano inquinamento acustico, atmosferico e del suolo che provocano conseguenze incalcolabili sulla popolazione alpina. Il protocollo trasporti, ratificato da Austria, Germania, Liechtenstein, Francia, Slovenia, è la risposta che i Paesi alpini hanno dato a questa emergenza e impegna le parti ad astenersi dal costruire strade di grande comunicazione, rispettando condizioni di sostenibilità ambientale. In secondo luogo, ci sono motivazioni economiche; perché puntare sul trasporto su gomma è una scelta che penalizza la ricerca di altre soluzioni. Il trasporto su rotaia è garanzia di attraversamento morbido e a basso impatto ambientale, ancora di più per il trasporto merci. Infine, non vanno dimenticate le ragioni politiche, perché tale decisione allontana l’Italia dalle scelte degli altri paesi alpini, impedisce la ricerca di buone pratiche e la marginalizza. Non ratificare il protocollo trasporti non consentirà di aprire nuovi corridoi verso i paesi confinanti e ci condanna a un ruolo minore nelle scelte strategiche. L’Italia ha il 27% del territorio alpino ed una responsabilità nei confronti dell’ambiente e della popolazione che lo abita che deve essere almeno pari alla sua estensione geografica. Ci sono dei segnali positivi che facciano pensare ad un cambio di rotta rispetto alle politiche attuali? (B) Possiamo dire di aver raggiunto un buon risultato con la questione del progetto Passo Rolle-San Martino di Castrozza. L’ipotesi dell’impianto sopra i laghi di Colbricon all’interno di un parco naturale è stata accantonata anche grazie ai nostri interventi e al ricorso all’Unione europea. Al posto del nuovo impianto sarà realizzata una cremagliera, un trenino che permetterà di lasciare la macchina a San Martino e raggiungere il passo Rolle, con un impatto sul paesaggio e sull’ambiente decisamente ridotto. L’idea di puntare sui trenini di superficie è vincente perché permette di modificare la pianificazione turistica. Oggi purtroppo il turista che viene da fuori arriva in Trentino, vede i soliti pochi posti e poi se ne va. In questo modo non riesce ad apprezzare la bellezza e la ricchezza che il nostro territorio offre. Ecco perché si dovrebbe puntare su soluzioni come il trenino della val Venosta e cambiare idea su progetti come quello del collegamento superveloce in val di Fiemme. Bisogna fare in modo che i turisti vedano il Trentino e ne possano cogliere le sue diverse identità, promuovendo un turismo meno frenetico e più rilassato. Bisogna dare ai visitatori un motivo per restare e per tornare. (M) A questo proposito noi siamo favorevoli alla chiusura dei passi dolomitici: poter camminare in silenzio senza il frastuono dei motori di automobili e
motociclette sarebbe una grande conquista. Le alternative proposte, come quella di far pagare il pedaggio, servono solo a battere cassa, ma non risolvono il problema. Andrebbero anche introdotte norme più severe su attività come le moto da cross e i quad su sentieri e strade forestali. Noi abbiamo preso una posizione chiara, negando la nostra autorizzazione, come gestori, affinché un sentiero SAT nella zona di Pozza di Fassa diventasse una pista da downhill. Come giudicate un progetto come quello di Metroland? (M) Metroland è un tentativo che va nel verso giusto, quello di dire basta alle infrastrutture stradali e potenziare in maniera decisa la ferrovia. Noi concordiamo sull’idea di base, anche se ovviamente bisogna poi vedere come sarà declinata. È chiaro che per raggiungere un effettivo cambio di mentalità su questi temi bisogna mettere in moto una vera strategia educativa e iniziare con interventi seri fin dalle scuole elementari. Altrimenti sarà difficile pretendere risultati. Si parla anche di car-pooling ma sono in pochi a metterlo in pratica. (B) La storia di Metroland è un esempio di come a volte si riesca anche a tornare indietro su certe decisioni a favore di scelte più oculate. Giudico, infatti, molto sensata l’idea di eliminare dal progetto la tratta Borgo-Calvalese e di “deviarla” per la val di Cembra. Questa variazione consentirà di recuperare una parte di potenziali passeggeri che sarebbero invece rimasti in qualche modo tagliati fuori con il tracciato precedente. Il fatto che le Dolomiti siano entrate a far parte del patrimonio dell’Unesco avrà qualche effetto sensibile sul tema dei trasporti e della mobilità? (M) È di sicuro uno stimolo in più per mantenere intatto e salvaguardare il territorio. È anche vero che vanno segnalate alcune criticità: dalle zone patrimonio dell’Unesco sono state escluse le piccole Dolomiti, il Sella e il Sassolungo. Viene da pensare che una delle cause possa risiedere proprio nella volontà di realizzare in quei posti opere ancora più impattanti di quelle che ci sono adesso. (B) Il riconoscimento da parte dell’Unesco è certamente una grande responsabilità e aiuta a diffondere la coscienza che le Dolomiti non sono solo le nostre montagne, ma appartengono all’umanità. E questo può aiutare a rispettarle di più. Certo, è ora importante attivarsi per conservare questo importante traguardo con azioni e interventi ragionati. Dresda era patrimonio dell’Unesco, ma le è stata tolta la qualifica proprio per un motivo legato alla viabilità: è, infatti, stato approvato un progetto per costruire un ponte sull’Elba, giudicato troppo impattante. La SAT gestisce molti rifugi, a diverse quote. Com’è la situazione delle vie di accesso a queste strutture
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e come evolveranno le cose in futuro? (M) In Trentino ci sono 130 rifugi, la SAT ne gestisce 35, mentre gli altri, la maggior parte, sono privati. Da molti anni la SAT chiede filtri di accesso alla montagna e si oppone alla costruzione di strade che portino in quota gli escursionisti. È chiaro che il rischio c’è, come pure le spinte per costruire strade o liberalizzarne l’uso da parte di alcuni gestori privati per portare nei rifugi più gente possibile. Di conseguenza si creano realtà come la costruzione indiscriminata delle vie di accesso e la concessione di troppi permessi per transitare sulle strade forestali. In questo una parte di responsabilità è anche delle amministrazioni locali, che a volte agiscono secondo logiche diverse dalla salvaguardia del territorio. Poi ovviamente ogni rifugio è un caso a sé, e molto dipende dal tipo di gestione e dalle scelte che vengono privilegiate. Al Gardeccia, per esempio, è stato realizzato un grande parco giochi in plastica che non c’entra niente con i pascoli circostanti e gli scenari del Catinaccio. In questo modo si perde il legame col territorio e la capacità della gente di riscoprire le proprie radici. (B) Noi sappiamo bene che il Trentino non è più quello di una volta, fatto di piccoli paesi che vivevano sull’agricoltura. Però dobbiamo fare molta attenzione a non snaturare troppo l’ambiente, a non impoverirlo perché altrimenti perde la sua ricchezza e anche la sua attrattiva turistica. Proprio nella zona di Gardeccia nominata prima c’è un ambizioso progetto di riordino paesaggistico, sottoscritto da amministrazioni pubbliche e associazioni fra le quali la SAT (Carta del Catinaccio) per ridare alla conca il fascino e lo splendore di decenni fa. Si può e si deve avere il coraggio di ragionare sugli errori ed essere capaci anche di tornare indietro. Alberto Pacher: “Quello che dobbiamo fare è costruire un sistema davvero alternativo alla mobilità privata: solo così daremo una reale possibilità di scegliere e disincentiveremo l’uso delle auto”. Parlando di mobilità e trasporti è possibile tracciare un rapido excursus storico per mettere a fuoco le principali fasi che hanno segnato il Trentino? Dalla seconda metà dell’Ottocento fino all’inizio del Novecento il Trentino ha conosciuto una fase di infrastrutturazione molto importante. Sono stati realizzati collegamenti ferroviari come quello del Brennero e di Malè, la Valsugana, la linea Rovereto-Riva del Garda e la Ora-Predazzo. Nel giro di un secolo quindi il Trentino si è ritrovato con un territorio molto strutturato dal punto di vista ferroviario per vari motivi legati alle strategie politiche e militari dell’impero austroungarico, che necessitava di snodi e vie di
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comunicazione nei territori di confine. Dal secondo dopoguerra in poi invece c’è stato il boom della mobilità privata con la conseguente obsolescenza e smaltimento delle vecchie linee ferroviarie. I due esempi più significativi sono rappresentati dalle linee di Rovereto e Ora e, in misura minore, dalla Valsugana. Sempre in questo periodo assume una sempre maggiore rilevanza l’autostrada A22 il cui utilizzo cresce progressivamente. Oggi l’asse del Brennero è il principale canale di attraversamento dell’arco alpino: si stima che ogni anno vi transitino 70 milioni di veicoli, 20 milioni dei quali sono mezzi pesanti. Inoltre, fra autostrada e ferrovia, annualmente vengono trasportati lungo la valle dell’Adige 45 milioni di merci. Dalla metà degli anni ottanta in poi, anche grazie alla sensibilità dell’Unione Europea, si è manifestata una sempre maggiore attenzione alle tematiche ambientali e di conseguenza ci si è mossi per sviluppare soluzioni nella direzione di una mobilità alternativa pubblica, al posto del mezzo privato. Che tipo di conseguenze ha prodotto questo nuovo approccio volto al rispetto dell’ambiente e alle fonti di energia alternative sui progetti a livello locale e sovranazionale? Alla fine degli anni novanta sono stati individuati alcuni grandi corridoi europei, cioè sistemi integrati automobilistici e ferroviari. Trento è baricentrico rispetto al corridoio 1 (Berlino-Palermo) e al corridoio 5 (Lione-Budapest, passando per Torino, Venezia e Trieste). Ecco perché è stato programmato il quadruplicamento della ferrovia del Brennero, per trasferire il trasporto merci su rotaia. Accanto a questa dimensione più ampia ed europea, stiamo puntando sul locale con il progetto Metroland volto a collegare con efficacia le valli del Trentino. Lo scopo è ricostruire e migliorare il sistema ferroviario capillare per mettere in comunicazione il fondovalle con i punti più periferici, attraverso alcune direttrici principali. Al momento gli assi nord-ovest e sud-est funzionano bene, grazie alla Valsugana e alla Trento-Malè, mentre va potenziata la linea delle valli di Fiemme e Fassa e quella di Rovereto e Riva del Garda: la scommessa è su questo tipo di operazione, per riuscire a passare in modo significativo dalla macchina al treno. Il progetto Metroland è ovviamente molto ambizioso, tuttavia va tenuto presente che ha un senso non solo nella sua totalità ma anche se considerato nelle sue parti. Ad esempio, il collegamento fra Trento e Riva del Garda è inserito nella rete di Metroland, ma ha una sua logica anche se pensato come opera a sé. Quali sono gli altri interventi in tema di mobilità che l’amministrazione ha in calendario per i prossimi anni? Per quanto riguarda la rete stradale non sono in pro-
gramma nuove costruzioni, ma solo opere di completamento, per evitare lo strozzamento del traffico e portare le automobili fuori dai centri abitati. In quest’ottica si giustificano la variante di Pinzolo o la tangenziale di Rovereto. Per quanto riguarda gli impianti a fune invece, vorrei menzionare in particolare il nuovo sistema ideato per il collegamento San Martino-passo Rolle. Abbiamo respinto il discutibile progetto precedente, che prevedeva un impianto sopra gli splendidi laghetti di Colbricon. Abbiamo preferito una soluzione diversa, meno impattante: verrà costruito un trenino, una cremagliera alimentata dalla rete elettrica a zero emissioni e zero impatto ambientale. In questo modo i turisti potranno lasciare la macchina in appositi parcheggi a San Martino di Castrozza e raggiungere il passo Rolle senza le auto. Non abbiamo invece intenzione di programmare interventi per quanto riguarda il trasporto aereo. Siamo partner dell’aeroporto di Verona, il Catullo, che fra poco attiverà gli apprezzati voli low cost, ed è quello il nostro riferimento più vicino. L’aeroporto Caproni vicino a Mattarello manterrà la sua vocazione aperta al traffico aereo turistico, ma non ci sono progetti per avere in Trentino un aeroporto pubblico con aerei di linea. Quali sono le altre operazioni per favorire la mobilità alternativa che l’amministrazione provinciale sta mettendo in campo? I progetti delle piste ciclabili stanno andando avanti molto bene e sono molto importanti perché vogliono favorire la ciclabilità funzionale, cioè quella quotidiana, abitudinaria, diversa da quella turistica e domenicale. Appena chiuderemo l’accordo con le Ferrovie dello Stato saranno realizzati parcheggi e servizi per le biciclette in corrispondenza delle stazioni, in modo da favorire l’integrazione fra i due mezzi. Fra le altre iniziative in tema di mobilità alternativa c’è il car sharing che sta iniziando a dare i suoi frutti, anche se naturalmente è un concetto che si deve sedimentare e entrare nella mentalità collettiva. A
questo proposito stiamo attivando diverse idee per sostenerlo. C’è poi jungo, il sistema di autostop coordinato che garantisce sicurezza e convenienza a tutti i soggetti che partecipano. Quello che dobbiamo fare è costruire un sistema davvero alternativo alla mobilità privata: solo così daremo una reale possibilità di scegliere e disincentiveremo l’uso delle auto. Un obiettivo di questo tipo dovrà necessariamente avvalersi di una costante collaborazione fra i vari soggetti del territorio. Naturalmente. E questo vale sia nei confronti delle azioni coordinate con gli attori locali, sia nelle strategie elaborate insieme a enti sovranazionali e comunitari. Saranno potenziati i mezzi di Trentino Trasporti con veicoli sempre più ecologici e lavoriamo per arrivare a soluzioni sempre più sostenibili anche insieme al Comune di Trento, che presto elaborerà il Piano urbano della mobilità. A questo proposito trovo scandaloso che il governo abbia stralciato il “Protocollo trasporti” dalla Convenzione delle Alpi, che rappresenta un importante accordo internazionale per lo sviluppo sostenibile di una regione di montagna. Per questo noi agiremo come se il Protocollo fosse stato approvato. Jungo, l’autostop sicuro Jungo è una strategia fondata sul principio che è possibile ridurre drasticamente il traffico, semplicemente creando le condizioni per dare un passaggio a chi fa autostop in condizioni di sicurezza e convenienza reciproca. Ogni aderente è, infatti, munito di una Card personale che garantisce l’assenza di precedenti penali e stradali significativi. Auto elettriche, ecomobili È un servizio di noleggio gratuito di auto elettriche per l’ingresso in zone a traffico limitato per carico/ scarico di merce ingombrante o per accompagnare persone con difficoltà motoria, bambini e donne in stato di gravidanza. Il servizio è disponibile per tutto il territorio comunale di Trento; gli utilizzatori della eco-mobile possono sostare gratuitamente sugli spazi di parcheggio a pagamento (parcheggi blu); il tempo di utilizzo è di massimo 2 ore. Car sharing trentino Il car sharing è il servizio che prevede l’uso collettivo di un parco auto messo a disposizione ad un gruppo di utenti che le utilizzano grazie a un sistema di prenotazione e a un costo proporzionale all’utilizzo.
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Più leggere dell’aria
Le mongolfiere, affascinanti veima nel corso degli anni accadde coli più leggeri dell’aria, cominpiù volte che palloni vagabondi storie di mongolfiere ciarono a solcare i cieli tirolesi toccassero terra in modo un po’ ben prima degli aerei: il 31 luglio burrascoso. Nel luglio 1907 una in Sudtirolo 1898 si esibì a Innsbruck l’esperto mongolfiera con due persone aeronauta bolognese Giacomo a bordo atterrò sull’altipiano di Maurizio Visintin Merighi e il 28 ottobre 1900, del Renon: il Tiroler raccolse alle quattro del pomeriggio, una inizialmente la voce che si tratmongolfiera prese il volo anche tasse di un pallone appartenente a Bolzano. Si trattava probabilalla sezione aerostati militari mente di un pallone frenato – cioè vincolato al suolo di Trento, ma in realtà l’aeromobile era decollata a da una fune – dato che il pilota non prese posto nel Milano e trasportava i signori Borsalino e Usuelli. consueto cesto, ma preferì pendere liberamente da Trattati inizialmente da spie, seppero poi giustificarsi un trapezio: un’acrobazia pericolosa e sostanzial- e vennero rilasciati con tante scuse. mente insensata, in quanto il pubblico era molto più Era proprio una mongolfiera dell’esercito austroungainteressato al volo dell’aerostato che al coraggio del rico, invece, quella che atterrò il 7 luglio 1912 vicino funambolo. ai Grandi Alberghi della Mendola: “verso l’una del Questi timidi slanci avevano il merito di familiarizzare pomeriggio – scrisse la rivista Adige e Adria – si il grande pubblico con la novità del volo, ma ave- librava alto negli spazi aerei il pallone militare “Iris” vano lo spessore di esibizioni circensi: non a caso proveniente dai gruppi di Brenta e dell’Adamello. Da Giacomo Merighi si definiva “artista ambulante” e principio lo si vedeva appena e pareva quasi fermo; volava frequentemente con palloni sponsorizzati a poscia lo si vide benissimo drizzarsi verso la cima scopo pubblicitario. Oltretutto non tutte le ciambelle del Penegal. Ma una violenta corrente d’aria trascinò riuscivano col buco: sempre a Bolzano – scrisse il il pallone con una velocità vertiginosa a parecchi Tiroler Volksblatt del 23 novembre 1904 - “un pal- mila metri d’altezza, ed una nuvolaglia temporalesca lone aerostatico che avrebbe dovuto prendere quota che minacciava da un momento all’altro costrinse gli aveva richiamato gran pubblico. Poco prima che il aeronauti ad una rapida discesa. Tutti gli ospiti che riempimento venisse completato, tuttavia, nell’in- nel frattempo erano stati edotti del fatto, videro il volucro di seta si aprì uno squarcio e così la mon- pallone da 3.000 metri precipitare verso terra ed in golfiera si afflosciò davanti agli occhi del pubblico pochi minuti lo videro atterrare in mezzo al bosco, deluso. Alle 16 si fece un nuovo tentativo, che riuscì proprio nelle vicinanze dell’hotel Penegal. Ambea metà. Il pallone si alzò da terra, ma ben poco”. due gli ufficiali aviatori lanciarono nella direzione di Nel frattempo le mongolfiere erano state persino Trento due piccioni viaggiatori con notizie e dopo protagoniste di un pesce d’aprile: una fonte con- aver assicurato il pallone, si recarono a rifocillarsi. fidenziale aveva rivelato alla Meraner Zeitung del Tutti gli abitatori del Grand Hotel Penegal furono lieti primo aprile 1903 che il paese di Tirolo stava orga- di aver ricevuto dall’aria i primi viaggiatori aerei”. nizzando in gran segreto una stupefacente innova- Dalle mongolfiere vennero anche scattate le prime zione turistica, ovvero il primo servizio aerostatico di fotografie aeree del paesaggio sudtirolese: gli stessi linea di tutto il Tirolo. La rotta prevista sarebbe par- Borsalino e Usuelli vennero inizialmente sospettati tita da Merano, avrebbe sorvolato i laghi di Sopranes di spionaggio perché avevano a bordo un apparece sarebbe approdata a Plan in fondo alla val Passi- chio fotografico, ma poi si scoprì che avevano scatria. Il primo viaggio di prova era programmato per tato solo immagini panoramiche dell’Ortles e di altre il 31 aprile (giornata che, com’è noto, non esiste in cime alpine. La mattina del 31 marzo 1912 Leo Bähnessun calendario). In verità gli aerostati avevano rendt – noto fotografo della Merano dei tempi d’oro già cominciato a trovare qualche impiego “serio” in – affidò la sua macchina panoramica Kodak ai signori campo scientifico e militare, ma era impossibile uti- Michael Landtmann e Leo Putz, che decollarono dal lizzarli per il trasporto di persone su un tragitto pre- campo sportivo di Maia Bassa a bordo del pallone definito a causa di una loro caratteristica intrinseca: “Tirol” pilotato dal capitano Perathoner. Il volo di “c’è però un guaio – scrisse infatti un esperto qual- quasi cinque ore si concluse piuttosto bruscamente che anno più tardi – ed è che i palloni sferici viag- sui monti del Tirolo orientale, ma fruttò alcune immagiano soltanto se portati dal vento e quindi vanno un gini decisamente spettacolari, per quanto qualitativapo’ ove voglion loro e gli uomini che sono a bordo si mente imperfette. trovano molte volte di fronte a grandi pericoli”. La mongolfiera “Tirol”, di proprietà di un’associaDi avventure realmente brutte capitate ad aeronauti zione di appassionati del volo in pallone fondata ad sudtirolesi – fortunatamente – non abbiamo notizia, Innsbruck nel 1910, era l’aerostato più grande di tutta
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l’Austria. Veniva utilizzato frequentemente anche per voli aventi finalità scientifiche e di studio. A partire dal novembre 1910 decollò abbastanza regolarmente dal campo sportivo di Maia Bassa, destando sempre l’ammirazione dei meranesi e dei forestieri. La mattina del 5 settembre 1911 il “Tirol” prese il volo a Innsbruck, riempito con 2.070 metri cubi di gas e pilotato dal professor Heinz von Ficker, con un apprendista pilota e due ospiti a bordo. Scavalcato in un paio d’ore lo spartiacque alpino, prese terra senza grossi problemi a poche centinaia di metri da Campo Tures. La sostanziale ingovernabilità degli aerostati li rendeva in un certo senso uno spettacolo “democratico”: i decolli – infatti – erano primizie riservate alla popolazione cittadina e ai turisti, ma per ammirare un atterraggio bastava essere al posto giusto al momento giusto. Nel novembre 1912, per esempio, una mongolfiera che s’era alzata in volo da Innsbruck con cinque persone a bordo prese terra a Settequerce: “una gran folla – scrisse il Tiroler – accorse dai dintorni per assistere a questo evento mai visto”. Dopo la Grande Guerra le mongolfiere persero notevolmente d’importanza, soppiantate dai dirigibili – che a differenza dei palloni potevano essere pilotati – e soprattutto degli aeroplani. Non scomparvero comunque da un giorno all’altro: il 19 settembre 1927 una mongolfiera errante venne individuata sulla verticale di San Leonardo in Passiria. Dopo aver sorvolato alla ricerca di un punto d’approdo buona parte della vallata, prese terra a Rifiano. Dai colori dello stemma era stato preso inizialmente per un aerostato italiano, ma in realtà – scrisse La Provincia di Bolzano – si trattava di “un pallone militare svizzero perdutosi nelle nubi e che in conseguenza al raffreddamento del gas dovette cercare un luogo d’atterramento forzato”. “Dalla navicella discese sano e salvo un ufficiale svizzero”, che si consegnò immediatamente alle autorità “in attesa dell’evasione delle pratiche necessarie per il suo ritorno in patria”.
Il 27 maggio 1931 transitò per i cieli dell’Alto Adige anche la celebre mongolfiera di Auguste Piccard, che aveva appena battuto il record mondiale di altitudine raggiungendo i 15.785 metri di quota. Piccard – scienziato ed esploratore svizzero – aveva progettato e realizzato un pallone dotato di una cabina stagna equipaggiata con avanzatissimi strumenti scientifici, in grado di raggiungere per la prima volta la stratosfera e studiare i raggi cosmici e la radioattività atmosferica. L’aerostato, a bordo del quale si trovava anche l’ingegner Paul Kipfer, era decollato ad Augsburg, in Germania, e dopo aver vagabondato nei cieli di Francia, Austria e Italia era atterrato in emergenza in un punto imprecisato delle Alpi tirolesi. Sia a nord che a sud del confine scattarono le operazioni di soccorso con l’impiego di squadre di alta montagna, motociclette ed aerei. Nel corso della nottata successiva si diffuse la voce che la mongolfiera di Piccard e Kipfer aveva preso terra nel Burgraviato: numerosi meranesi, scrisse infatti La Provincia di Bolzano, avevano notato “lo sferico immobile sullo sfondo grigio del cielo sopra il monte Cima Muta a nord della città. L’oscurità aveva interposto una cortina fra gli occhi dei curiosi e l’aerostato, il quale – secondo le dichiarazioni di alcuni montanari – aveva interrotto improvvisamente la lenta discesa verso il sud perché sospinto da un’impetuosa ventata soffiante in direzione della val Passiria”. All’alba del 28 maggio due aerei decollarono dal campo d’aviazione di San Giacomo e sorvolarono la Passiria in lungo e in largo, ma in realtà il pallone aveva superato lo spartiacque ed era atterrato senza gravi conseguenze sul ghiacciaio Großer Gurgler Ferner, nella Ötztal. A causa dell’ora tarda i due trasvolatori furono costretti a pernottare in quota e vennero raggiunti dai soccorritori solo la mattina seguente. Il pubblico internazionale, che aveva trattenuto il fiato per 24 ore, venne prontamente informato.
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L’aviazione conquisterà il Tirolo!
“L’aviazione conquisterà il mondo L’Austria sconfitta venne sanzioe nessuno deve opporvisi, pernata con un divieto delle attività ché lo farebbe solo a proprio aeronautiche fino al 1922 e solo danno ed entro l’anno 2000 Innil trasporto aereo nell’area nel 1925 fu inaugurato il nuovo sbruck, Bolzano, Merano, Trento, aeroporto di Innsbruck, subito alpina nel periodo tra Bressanone, Malles, Brunico, utilizzato come scalo sulla linea le due guerre San Candido o Dobbiaco e Lienz Parigi-Vienna da una compagnia avranno a disposizione un campo francese, mentre una compagnia d’aviazione”. Questa la premonibavarese collegava il capoluogo di Sergio Trevisan zione sugli sviluppi commerciali tirolese con Monaco. dell’aeronautica espressa da Max In Italia invece stagnazione ecoValier, temerario pioniere aeronomica, carenze infrastrutturali e spaziale bolzanino, sul Tiroler Anzeiger il 2 aprile diffidenza verso i primi velivoli in legno e tela ritar1918, a conflitto mondiale ancora aperto. Se Inn- darono l’avvio di voli di linea regolari fino al 1926, sbruck non avesse sfruttato la sua posizione centrale quando degli idrovolanti avviarono un collegamento lungo le rotte che uniscono Berlino a Roma e Parigi da Torino a Trieste lungo il Po e le lagune adriatiche. a Vienna, il Tirolo sarebbe stato semplicemente sor- Quella stessa estate fu attivato il primo collegamento volato e quindi escluso dalla futura rete del trasporto transalpino Venezia-Klagenfurt-Vienna, gestito dalla aereo, concludeva Valier, all’epoca ufficiale pilota Società anonima di navigazione aerea Transadriatica, collaudatore. patrocinata dal costruttore aeronautico Junkers, che Un anno dopo l’appello di Valier, saranno proprio gli impiegava naturalmente i Junkers F.13, caratteristici instabili biplani militari svenduti come surplus bellici monomotori terrestri, rivestiti in lamiera ondulata a favorire ardite iniziative commerciali, dai circhi vo- d’alluminio, con cabina per quattro passeggeri. lanti che furoreggiavano negli Stati Uniti alla prima Dal primo maggio del 1927 la compagnia ALI, Avio linea aerea regolare della storia, la Londra-Parigi av- Linee Italiane, costituita dalla Fiat e basata a Milano viata nell’agosto 1919. Taliedo, faceva scalo a Gardolo, dov’era ubicato il Le Alpi, avare di pascoli pianeggianti da adattare ad primo aeroporto di Trento con annesse le officine aviosuperfici o campi di fortuna, ma ricche di laghi, aeronautiche della Caproni. Le linea della Ali prosevennero aperte al traffico commerciale regolare gra- guiva poi per Monaco sfidando le correnti che spazzie ad idrocaccia Macchi, riconvertiti al trasporto zano il Brennero grazie all’affidabile potenza fornita passeggeri. Dal 1920 questi idrovolanti consentirono dai tre motori dei Fokker F.VII prodotti in Olanda e alla pioneristica compagnia elvetica Ad astra, di tra- capaci di otto/dieci passeggeri. In autunno la linea fu sportare temerari turisti e fretprolungata fino a Roma. tolosi uomini d’affari tra il lago Nella sua Guida di un viaggiadi Ginevra e quello di Zurigo. La tore aereo il giornalista Otello Ad astra nel 1931 darà origine Cavara offre un’efficace descrialla Swissair, unica compagnia zione delle cabine passeggeri dell’arco alpino impegnata a svidei velivoli degli anni venti: “La luppare e gestire voli diretti tra cabina è un oblungo salottino i quattro angoli del mondo e le con poltroncine di cuoio o di vipiste da sci e gli sportelli banmini. Ognuna col suo finestrino, cari. il cui vetro si può abbassare, Finita la Grande Guerra, l’area tiognuna col suo vasetto per i rolese dovette aspettare ancora fiori appeso alla parete. In alto qualche anno prima di essere le reticelle [per riporre borsette servita dai voli di linea, benché e cappelli] costituiscono i primi il Brennero costituisca un corelementi di conforto per le siridoio aereo naturale per quei gnore”. velivoli che non dispongono Nel 1930 fu la volta della neodi una quota di tangenza sufficostituita Deutsche Luft Hansa ciente a sorvolare in sicurezza le a sfruttare il corridoio del Brencime delle Alpi e quindi gli scali nero, prolungando tre volte a di Innsbruck, Bolzano e Trento settimana il suo collegamento avrebbero potuto supportare Monaco-Innsbruck fino a Milogisticamente questa rotta. lano nel periodo 1 maggio-30
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settembre. Una decisione talmente rapida quella della Luft Hansa, da non figurare neppure sull’orario estivo delle linee aeree del Reich, come giustamente sottolinea la ricercatrice tirolese Tanja Chraust nel suo volume Das Innsbrucker Flugwesen. Il monomotore Fokker F.III della Luft Hansa, con a bordo pilota e cinque passeggeri, sorvolava il Brennero ad appena 600 metri di altezza ad una velocità di crociera di circa 130 chilometri all’ora. L’aereo effettuava brevi scali a Bolzano e Trento, poi, sorvolati il Garda e Bergamo, puntava su Milano. L’intero tragitto veniva compiuto in quattro ore e mezzo, scali compresi. Nei tre anni seguenti questa linea estiva venne gestita dalla Luft Hansa con la collaborazione delle compagnie Österreichische Luftverkehr e Avio linee italiane. Quest’ultima utilizzava i prestanti trimotori Fokker F.VII, che trasportavano 8 passeggeri a 180 chilometri all’ora. Un biglietto da Innsbruck a Trento costava tra i quaranta e i cinquanta scellini, da Innsbruck a Milano il prezzo saliva intorno agli ottanta scellini. Nel 1933 la linea Monaco-Milano venne attivata solo dal 1 giugno a fine settembre, l’estate successiva fu definitivamente cancellata per scarsità di passeggeri in seguito alla crisi economica e al calo del turismo. La breve epopea dei dirigibili Sempre dalle rive di un bacino dell’area alpina, da
Friedrichshafen sul lago di Costanza, si alzavano maestosamente in volo gli Zeppelin, i dirigibili che negli anni venti sostituirono il loro carico originario di bombe con quello costituito da comitive di facoltosi passeggeri. Queste aeronavi galleggiavano nell’aria grazie all’immenso involucro riempito di gas, che consentiva un’autonomia transatlantica. Per contro le dimensioni dei dirigibili ne limitavano la manovrabilità, elevando la resistenza aerodinamica e limitando la velocità e la quota di tangenza. Sconsigliabile quindi, dopo il decollo da Friedrichhafen, infilarsi nelle valli per attraversare le Alpi, che andavano aggirate a ovest sorvolando la Provenza anche quando la destinazione finale era il Medio Oriente. I dirigibili vennero rottamati già alla fine degli anni trenta, sia per gli incidenti che ne travagliarono l’attività, che per le prestazioni superiori offerte dagli aeroplani a costi minori. Dalla fine degli anni venti alla metà degli anni trenta gli Zeppelin offrivano peraltro i richiestissimi voli giornalieri sulle Alpi, per ammirare il panorama dalle vetrate del salone ristorante gustando una coscia di cervo ai finferli e mirtilli rossi preparata a bordo. Uno sfizio cui devono rinunciare i turisti che dal 2000 possono nuovamente sorvolare il lago di Costanza sullo Zeppelin NT di nuova generazione, decisamente meno spazioso rispetto ai predecessori.
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Volare? Con quel vento? “Sabato mattina, sotto uno splendido cielo azzurro, ulteriore regalo per il trionfo del podestà, poiché sino alla sera prima il tempo era stato umido e nebbioso, l’aereo arrivò al cospetto di molto popolo. Parecchi tra gli spettatori, per tempo, avevano preso posto sul marciapiede della stazione. Morti di fame: ma per una volta il podestà pensò che andava bene così. Il convoglio, speciale, bucò il buio della galleria alle dieci precise. Tre carrimerci. Sul primo la carlinga. Sul secondo le ali. Sul terzo le rimanenti parti meccaniche, eliche e timoni di coda. Uno scrosciante applauso salutò la frenata che si perdeva nell’aria. Molti tra i presenti non avevano mai visto un aereo se non in fotografia”. Nel suo romanzo La figlia del Podestà Andrea Vitali immagina così l’inglorioso arrivo in treno a Bellano, sul Lago di Como, dell’idrovolante destinato a collegare nel 1931 il paesino rivierasco al capoluogo Como e magari persino a Lugano. La narrazione di Vitali può essere letta coma un’istruttiva parabola sulle ambiziose aspettative e le oggettive difficoltà che frenano la diffusione di collegamenti aerei nell’area alpina: dagli imprevisti tecnici alla dipendenza dalle
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sovvenzioni pubbliche, dalla carenza di piloti abilitati ad operare in fondovalle alle scoraggianti incognite metereologiche, come vedremo. Perchè l’idrovolante commissionato dal Podestà di Bellano viaggia imballato sul merci e necessita poi di rimontaggio e alaggio in darsena, invece che arrivare in volo? Per evitare le incognite metereologiche, che infatti ritardano di giorno in giorno il fatidico volo inaugurale: “Martedì, vento teso. [...] Volare? Con quel vento? Nemmeno a parlarne. Bisognava che calasse. Calò, martedì notte. Ma una coltre di nuvole gravide di cupi colori incappucciò la cinta delle montagne. [...] Cominciò a piovere. Le nubi si abbassarono fino a precludere la vista della sponda opposta. Volare? Passi, con la pioggia. Ma con la nebbia, no. Venivano a mancare i punti di riferimento. Piovve tutto mercoledì e giovedì. [...] Così che venerdì, quando l’alba sorse su un mattino senza pioggia, la superfice del lago, mossa da un’onda lunga e sinuosa, pullulava di tronchi d’albero portati a valle dalla piena. Ci mancava di prenderne uno e danneggiare un galleggiante!” Esattamente come l’idrovolate del Podestà, il primo aereo esibitosi a Innsbruck nel 1913 arrivò sui carri merci, idem per quello che in epoca pionieristica decollava dai prati del Talvera a Bolzano. Persino il primo aereo costruito nel Tirolo storico, quello progettato ad Arco da Gianni Caproni, venne prudentemente imballato e spedito per ferrovia fino alla piana di Malpensa, dove fu messo a punto prima di levarsi per un traballante primo volo nel 1910. Nei primi decenni dell’aviazione era frequente dover rinunciare al volo per avverse condizioni meteo e ripiegare sui mezzi terrestri. I moderni radioausilii alla navigazione hanno ridotto soste forzate e dirottamenti, ma gli aeroporti confinati in fondovalle, come quello di Bolzano, sono soggetti a chiusure temporanee causate dalle nuvole basse, temporali e nevicate. Negli anni sessanta lo storico aeroporto di Trento Gardolo fu chiuso per via delle turbolente correnti discendenti pomeridiane generate dall’Ora del Garda. Nonostante le ricorrenti proposte per l’avvio di voli di linea, sul nuovo aeroporto di Trento Mattarello non è praticabile l’installazione di affidabili impianti di avvicinamento strumentale per via degli ostacoli orografici che lo soffocano. Nel 1976 è stato definitivamente chiuso per ragioni di sicurezza l’aeroporto di Cortina, che dal 1962 offriva ardimentosi voli di linea a vista per Venezia, Milano e Bolzano. La dipendenza del traffico aereo dalle condizioni meteo si è recentemente manifestata su scala continentale grazie alla nuvola vulcanica, che ha saturato la capacità delle ferrovie europee prese d’assalto dai passeggeri rimasti a terra.
Le diligenze a motore
Quando, nei primi anni del Novelinea Rovereto-Schio) e velocento, fecero la loro comparsa cità massima di 22 km l’ora. Il gli autotrasporti sulle strade le prime automobili e primo viaggio fu festeggiato con i primi mezzi a motore, non caugrande esultanza; le auto venin Trentino sarono soltanto un certo timore nero bardate a festa con nastri, nella gente, ma anche la curioghirlande e frasche, così come si di Elena Corradini sità di veder soddisfatte necesusava con i cavalli in occasione sità di spostamento più rapido delle cerimonie più importanti. ed efficiente. Da tempo nel Tirolo Le testimonianze giornalistiche meridionale era attivo un servizio riferiscono che le vetture erano postale internazionale per mezzo confortevoli, dotate di soffici di diligenze, gestito attraverso le sedili di bambagia e protette da stazioni di posta di San Michele all’Adige, Trento, eccessivi scossoni; se chiuse erano provviste addiRovereto e Ala. Oltre alla corrispondenza, il sistema rittura di un reparto fumatori. garantiva anche il trasporto di persone. Lungo le direttrici alpine, nei primi anni le corse venCon l’avvento della trazione a motore, uno dei primi nero organizzate soltanto nei mesi estivi. Il regolaservizi che si pensò di potenziare in loco fu proprio il mento di viaggio era molto simile a quello attuale del trasporto di persone anche lungo direttrici apparen- trasporto aereo, con limitazioni per il trasporto del temente secondarie. Il primo collegamento di nuova bagaglio (10 kg, ogni chilo extra era a pagamento) e generazione fu inaugurato così il primo luglio 1906: di eventuali oggetti potenzialmente causa di disagio la Società automobilistica Schio SpA, della quale o pericolo; inoltre erano previste norme particolari facevano parte anche alcuni soci trentini, attivò la per l’acquisto e l’utilizzo del biglietto, nonché una linea transfrontaliera fra Rovereto e Schio. garanzia per il bagaglio al seguito. Raggiungere da Rovereto il valico delle Piccole Dolo- Sempre nel 1907 fu anche costituita la Società automiti in due ore e mezzo fu considerato un enorme mobilistica trentina, allo scopo di attivare in tutto il successo, decretato dalle autorità presenti con Trentino delle “automessaggerie”. Le prime furono la apprezzamenti agli autisti, proSarche-Riva e la Trento-Pinzolo. venienti dalla scuola militare di Nello stesso anno, si costituì a chauffeurs di Torino. Oltre alla Riva del Garda la Società autosoddisfazione delle autorità, vi messaggerie Zontini e Leonardi, fu anche quella della Società, che si avvalsero di mezzi Fiat che trasportò, soltanto nel come quelli già in servizio sulla primo mese di servizio, circa Rovereto-Riva, in particolare del 2.000 persone. Tre anni dopo, la modello 28-40 HP 1908 Bibloch, linea poteva contare su cinque che raggiungeva i 18 km l’ora e mezzi ed era annoverata fra le poteva trasportare 16 persone, 11 linee che ricevevano incen8 in prima classe su sedili in tivi dallo Stato italiano per il servelluto e 8 in seconda classe vizio offerto. su panche di legno. Il mezzo La risposta da parte del governo disponeva inoltre di un cassone austriaco non si fece attendere: per la posta. La prima linea nel mese di agosto del 1907 fu Trento-Sarche-Tione fu inaugudeciso di attivare quattro linee rata il 23 luglio 1908. I racconti automobilistiche sperimentali dell’epoca narrano di un viaggio per la consegna della posta e della durata di poco più di due per il trasporto persone. Una ore, mentre in carrozza con tiro di queste, la prima progettata a a due ci sarebbero volute oltre tale scopo, fu la Egna-Predazzo. sei ore. Come riportato ne L’Eco Su questa linea furono utilizzate del Baldo, il 29 marzo 1909 ci tre automobili, più un furgone fu la corsa di prova della Rivaper il trasporto di eventuali Sarche-Tione-Caffaro, effettuata bagagli. Erano autobus di fabdalla Ditta Zontini e Leonardi, bricazione Daimler, da 19 posti, che già gestiva la Trento-Sarcon potenza di 28 cavalli (pochi che-Tione-Pinzolo. Su quest’ulse confrontati ai 40 cavalli della tima linea, dalla fine di luglio al
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dicembre 1908 transitarono 11.441 viaggiatori, di cui 2.593 in prima classe, con 17.496 kg di bagaglio. Al 31 dicembre 1911 la rete stradale percorsa dagli automezzi della ditta Zontini-Leonardi raggiungeva i 151 km, mentre 700 erano i km di linea percorsi giornalmente: un vero e proprio primato all’interno dell’Impero, anche se il servizio conobbe brevi periodi di interruzione a causa di qualche crisi passeggera. Il numero di persone interessate al servizio aumentava, e così pure il numero di vetture a disposizione. L’officina rivana, oltre ad occuparsi della manutenzione dei veicoli, riuscì anche a produrre il primo autobus trentino, che entrò in servizio il primo giugno del 1913 e poteva trasportare fino a 38 persone. Scoppiò la guerra e il primo agosto 1914 tutti i 29 autobus della società furono requisiti, personale compreso, e posti a disposizione dell’esercito che li spostò sul fronte russo. Un avviso relativo alla mobilitazione generale di quell’anno rivela che si trattava di 19 Postomnibusse, 5 Tourenautos e 5 Lastwagen. Anche le altre linee, come ad esempio la RoveretoSchio, furono costrette a sospendere l’attività a causa del conflitto. Subito dopo la requisizione dei mezzi, si cercò di supplire al servizio con delle macchine private ma la soluzione fu presto abbandonata per l’obbiettiva difficoltà a proseguire. Allo scoppio della prima guerra mondiale le linee attive in Trentino-Alto Adige erano le seguenti (fonte: Paolo Marini, Dalla diligenza alla corriera: storia del
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trasporto pubblico passeggeri nella Provincia di Trento, Trento, UCT, 2009): Trento-Vezzano-SarchePonte Arche-Tione-Pinzolo-Madonna di Campiglio (km 77, Zontini-Leonardi), Madonna di CampiglioCampo Carlo Magno-Val di Sole-Malé (km 23, Zontini-Leonardi), Riva-Tione-Ponte Caffaro Zontini-Leonardi Rovereto-Vallarsa-Pian delle Fugazze-Valle dei Signori-Recoaro-Schio (km 61, Società RoveretoSchio), Egna-Predazzo (km 38, Poste di Innsbruck), Predazzo-Paneveggio-Passo Rolle-San Martino di Castrozza-Primiero (km 43) Bolzano-Egna-PredazzoCanazei-Passo Pordoi-Arabba-Cortina d’Ampezzo (km 144) e Rovereto-Calliano-Folgaria-CarbonareLavarone (km 36). Al termine del conflitto la situazione si presentava ancora più difficile: la rete viaria versava in pessime condizioni, ma allo stesso tempo era cresciuta la consapevolezza di ripristinarla e migliorarla quanto prima, per consentire nuovamente la circolazione dei mezzi di trasporto. In questo caso furono i mezzi militari ad essere utilizzati per il trasporto merci e passeggeri. Nel 1920 venne costituita la Società trasporti automobilistici Trento (STAT), con un parco mezzi di 66 autobus, 50 camion e 17 rimorchi. Le prime linee ripristinate furono linee alternative ai collegamenti ferroviari esistenti, ovvero la Trento-Riva lungo la destra Adige, la Trento-Canazei via Cembra, la Trento-Rovereto passando per Lavarone e Folgaria, la Malè-Vermiglio e la Trento-Fondo. L’attività di questa società si diffuse all’Alto Adige, al Cadore, al Feltrino, al Bresciano e alla Vallagarina. Nello stesso
periodo, venne costituita un’altra società, l’Impresa servizi automobilistici trentini (ISAT), che effettuava la Trento-Storo, la Tione-Storo, la Trento-Pinzolo e Trento-Malé. La competizione fra le due società si affievolirà soltanto quando si comincerà a parlare della loro fusione in un’unica e nuova società. Si trattava della Società automobilistica atesina (SAA), che poteva godere di un certo volume di traffico, anche internazionale, grazie al monopolio quasi esclusivo dei trasporti nella Venezia Tridentina e la possibilità di effettuare corse verso l’Austria e la Svizzera. Società analoghe sorsero anche negli anni immediatamente successivi in po’ ovunque per soddisfare una domanda di trasporto da parte della popolazione sempre più crescente. È una domanda cui risponde dapprima debolmente, ma viepiù concretamente e largamente la progressiva diffusione delle automobili fra i privati – ne parla in questo numero di Altrestorie Maurizio Visintin con riferimento all’Alto Adige –, dapprima solo fra i ceti benestanti, e successivamente anche fra le classi più popolari: se negli anni venti, infatti, le immagini fotografiche mostrano come l’automobile fosse appannaggio quasi esclusivamente di alte personalità politico-istituzionali, alla fine degli anni trenta le foto immortalano affollate cerimonie di benedizione delle automobili, che si accompagnano a quelle tradizionali dei cavalli o di altri animali da tiro. Fu soltanto nel secondo dopoguerra, tuttavia, con l’avvio di una produzione industriale di automobili a basso costo e dunque più accessibili anche a famiglie di reddito medio-basso, che si iniziò a percepire l’impatto che il massiccio ricorso a questo mezzo di trasporto avrebbe comportato. Fino ad allora, e lo sarebbe stato ancora a lungo, il mezzo di spostamento più diffuso era rimasto la bicicletta, ma stava crescendo nel frattempo la circolazione di un altro veicolo di grande successo: la motocicletta. Nel 1956, Enrico Vittorelli della Camera di commer-
cio, industria e agricoltura della provincia di Bolzano notò un’accelerazione nella diffusione di mezzi di trasporto individuali, a scapito della più razionale motorizzazione collettiva attraverso i mezzi pubblici (Enrico Vittorelli, Autoveicoli e circolazione nel Trentino-Alto Adige, in: Studi sulle comunicazioni e i trasporti nel Trentino-Alto Adige. A cura di Giuseppe Carone, Trento, Regione Trentino-Alto Adige, Assessorato industria, commercio, turismo e trasportiUfficio coordinamento statistiche e studi, Rovereto, Manfrini, 1956, vol. 1, pp. 457-478). La motocicletta, lo scooter e l’autovettura privata, oltre che i motocarri e gli autocarri aziendali, erano in costante aumento, seppur con intensità inferiore rispetto ad altre regioni. I dati registrano due fenomeni distinti, ovvero un deciso aumento dei mezzi individuali (motocicli e autovetture), in parte destinati anche a fini commerciali (giardinette) e un aumento altrettanto deciso dei mezzi di trasporto merci leggeri, mentre uno sviluppo lento, se non una stagnazione, dei mezzi di trasporto collettivi (persone e merci). Le automobili iniziarono a diffondersi in Trentino grosso modo con l’introduzione sul mercato della Fiat Seicento (1955). In questi anni la fisionomia urbana si modifica e si cominciano a vedere i primi distributori di carburante nei centri abitati. Un vero e proprio boom si ebbe nei primi anni sessanta, tanto che se nel 1950 in tutto il Trentino circolavano circa 8.000 automobili, nel 1955 erano già raddoppiate e nel 1964 fu consegnata la targa numero 60.000. All’aumentare dei mezzi circolanti, aumentavano anche i problemi di viabilità. Una delle prime risposte significative fu la realizzazione dell’Autostrada del Brennero, che costituì il punto di raccordo fra le grandi vie di circolazione internazionali e quelle italiane. Ma qui si entra in un’altra storia, quella del trasporto privato, dei tanti problemi a questo collegato, e della costante ricerca e adozione di soluzioni in grado di porvi rimedio.
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Il bus alla conquista delle montagne, di Rolando Cembran (Ora, 2010) Quando il trasporto privato era appannaggio solo di pochi ricchi, la corriera rappresentava l’unico mezzo per raggiungere le vallate e le località turistiche dolomitiche. Questo volume, riccamente illustrato, traccia la storia del trasporto pubblico in Trentino e in particolare in val di Fiemme, partendo dalla prima linea automobilistica postale dell’Impero Austroungarico che, agli inizi del Novecento, collegava Egna a Predazzo, per arrivare ad alcune riflessioni sull’attuale adozione degli autobus ecologici e a metano.
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Atesina vicende di una società automobilistica
La società Atesina è in un certo Landeck. Negli anni trenta i mezsenso sinonimo della storia degli zi potevano essere chiusi (omniautotrasporti pubblici in Trentibus), aperti (torpedoni) oppure no. Le sue origini risiedono nella metà chiusi e metà aperti (carri Società trasporti automobilistici alpini). Oltre alle linee ordinarie e Trento (STAT) e nell’Impresa seralle linee gran turismo iniziarono di Elena Corradini vizi automobilistici trentini (ISAT), anche i viaggi per gite organizzadue società di trasporti private te, ad esempio dal Touring Club nate dopo il primo conflitto monItaliano. diale. Dal 1927, anno di costituzione La STAT fu costituita nel 1919 della nuova provincia di Bolzaa Verona e tra no, la SAA lasciò alla Società aui suoi azionitomobilistica Dolomiti (SAD) il sti di maggioBellunese e l’Alranza vi erano to Adige, elegVico Bonfioli gendo a terrie la Banca potorio d’interespolare di Trense principale il to. La sua seTrentino, dode operative arrivò nel va principale 1939 a gestire era a Trento, ben 122 linee. ma aveva seFra il 1943 e il di periferiche 1945 molti audotate di oftobus furono requificina a Rovesiti dal comando militare tereto, Primiero, Vedesco, fattore che impedì nel primo dostone e Cortina d’Ampezzo. In Trentino garantiva i poguerra il pieno ripristino dei servizi. La situazione collegamenti fra Trento e Riva sulla destra Adige, fra rimase molto incerta, almeno fino alla fine degli anni Trento a Canazei passando da Cembra, fra Trento e quaranta. Rovereto passando per l’altopiano di Lavarone e in- Gli anni cinquanta furono invece positivi, tanto che fine fra Trento e Fondo. si superarono le 350 linee, i 1.600 km di percorsi L’ISAT (inizialmente Cis & Mengoni) fu invece costi- coperti, i 200 addetti. Fra le circostanze favorevoli tuita a Milano con partecipazione in larga parte della vi furono gli accordi con l’Associazione albergatoPirelli. La sua sede era a Trento e aveva sedi opera- ri e le Aziende di soggiorno per corse speciali turitive in Valsugana e a Riva del Garda. Da Trento viag- stiche. Questo promettente sviluppo fu minato dalgiava verso le Giudicarie (Storo e Pinzolo), passando la diffusione dell’automobile, che fece rapidamente dalle Sarche e da Riva, e verso la Valsugana. diminuire, nel corso degli anni sessanta, il numero La nuova realtà societaria, la Società automobilistica di viaggiatori trasportati. Successivamente, gli anni atesina (SAA), nacque proprio dalla fusione di STAT settanta videro la società contrattare con la Provincia e ISAT. Nel maggio 1921 il comune di Trento appro- le condizioni di servizio, sia dal punto di vista politivò l’istituzione di un servizio di trasporti regionali co che economico, mentre durante gli anni ottanta con automessaggerie. Il 4 marzo 1922 venne costi- cercò di concentrarsi sul miglioramento dei servizi tuita la società anonima per azioni con sede a Tren- urbani di Trento e Rovereto e sulle linee dove la doto. Gli azionisti erano la Giunta provinciale di Trento manda di servizi era maggiore. Negli anni novanta e il Comune di Trento entrambi per il 43%, la Banca l’azienda contava più di 800 dipendenti. cooperativa di Trento per il 9,5%, la Banca cattolica La vicenda della società Atesina si conclude nel 2002 trentina per il 4,5%. quando viene deliberata la sua fusione con la FerLa STAT e l’ISAT vennero poste in liquidazione e rovia Trento-Malè (FTM). Nasce così la Trentino Trachiuse definitivamente nel 1927. La SAA ereditò tut- sporti SpA, che comprende come soci fondatori la te le linee precedentemente attivate e le convenzioni Provincia autonoma di Trento con il 73,75% delle con le FS per le linee di gran turismo. Con i suoi mez- quote, il Comune di Trento (18,75%), Trentino Trazi copriva tutto il Trentino, la provincia di Bolzano, il sporti SpA (azioni proprie) per il 6,91%, altri Comuni Feltrino, l’Ampezzano con Cortina d’Ampezzo, giun- e Comprensori della Provincia di Trento (0,58%), altri gendo addirittura a Venezia, Saint Moritz, Zernez e soci privati per lo 0,01%.
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Le carrozze del diavolo
Tra le svariate novità che i più un rumore di vecchia ferraglia. I facoltosi e spregiudicati turisti pacifici cittadini che si voltarono pionieri dell’automobile a così insolito baccano, rimasero introdussero nel Sudtirolo di fine Ottocento vi erano anche i primi allibiti. Contornata da un nugolo in Sudtirolo esemplari di automobile. Nell’agodi ragazzi avanzava ‘la carrozza sto del 1895 alcuni forestieri dei senza cavalli’, sopra la quale trodi Maurizio Visintin quali non ci è stato tramandato neggiava impassibile l’egregio il nome raggiunsero Bolzano a signor Mattesen. A lungo si parlò bordo di una “carrozza a motore” dell’apparizione con ammirafabbricata dalla ditta Benz di Manzione, ma anche con una punta di nheim, destando l’accesa curiosuperstizione. Si riteneva infatti di sità della popolazione locale. Il riscontrare nell’avvenimento qualmotore, la trasmissione e la molcosa di diabolico”. Qualche tempo tiplica – spiegò la Bozner Zeitung – erano alloggiati dopo lo imitò un fotografo di nome Fiatscher, che era tra le ruote posteriori, mentre il volante, i freni e le bersagliato dalle facezie dei bolzanini in quanto non trombe di segnalazione acustica si trovavano nella percorreva mai più di cento metri senza essere bloczona dei sedili. Gli innovativi forestieri utilizzarono la cato da problemi meccanici. loro automobile per svariate escursioni nel circon- La prima automobile meranese fu probabilmente dario: per raggiungere Merano impiegarono appena quella dell’imprenditore edile Pietro “Peter” Deluun’ora e mezza, consumando un fiorino e mezzo di gan, che era originario di Ziano di Fiemme, ma si era benzina. In seguito si lanciarono lungo lo stradone stabilito nella città del Passirio fin dal 1893. La sua erariale della Mendola, che era stato inaugurato nove florida impresa realizzò a Merano decine di celebri anni prima: il tragitto da costruzioni, dal teatro Bolzano ai Grand Hotel civico al Kursaal, dall’hodel passo richiese circa tel Palace al complesso quattro ore di viaggio, Plankenstein. Egli acquiintervallate da qualche stò l’automobile nel 1902 trascurabile noia meccae la utilizzò soprattutto nica. lungo il tragitto da Ziano L’acquisto di un’autoa Merano, che percormobile comportava un reva frequentemente per ragguardevole investiragioni familiari e profesmento iniziale e ulteriori sionali. Fu probabilmente spese e tanta pazienza l’autovettura di Delugan per la manutenzione, ma che, verso la fine del 1902, la sorprendente appaspaventò alcuni passanti rizione dell’autovettura nella Habsburgerstrasse germanica incoraggiò i di Merano (oggi corso bolzanini più danarosi e Libertà): “la cosa – scrisse progressisti a lanciarsi il giornale Der Burgnella nuova avventura. Il gräfler – ha destato non primo automobilista del poche apprensione fra gli capoluogo – a quanto smarriti pedoni, abituati a pare – fu un certo signor guardarsi solo dai carretti Mattesen, proprietario o al massimo da qualche di una pensione a Gries: carrozzella di turisti”. Ma in una bella giornata del tutto si concluse felice1898, “mentre intenso mente: “si può dire con era il via-vai di pedoni in gioia – annotò il giornalipiazza delle Erbe – racsta – che non è successo contò un giornale qualnessun incidente”. che anno più tardi – si La prima automobile sentì un rauco suono della parte orientale della di tromba, uno sternuprovincia fu invece una tire possente di valvole, vetturetta monocilindrica
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usata, di fabbricazione francese, acquistata dall’imprenditore Josef Beikircher. Costruita dalla De Dion-Bouton di Parigi nel 1900, venne trasformata da automobile di lusso in veicolo di servizio, con tanto di attrezzi a bordo. A partire dal 1903-1904 venne impiegata da Beikircher e dai suoi figli per raggiungere tempestivamente le località pusteresi, dove erano richieste le loro capacità di tecnici provetti. Nella Valle di Tures l’apparizione del rumoroso mostro meccanico spaventò la popolazione e incontrò la decisa opposizione dei contadini, mentre conquistò l’ammirazione degli operatori turistici. A parte il caso particolare dei Beikircher, nei primi anni del Novecento l’automobile rimaneva soprattutto un lussuoso giocattolo per notabili: nel 1910, secondo una fonte, ne esistevano appena sette in tutto il Sudtirolo tedesco. Cominciava invece ad avere un certo rilievo il turismo motorizzato: in una giornata d’agosto del 1911, all’ora di pranzo il corrispondente da Vipiteno del Burggräfler contò ben 13 automobili di forestieri parcheggiate davanti all’albergo “Alte Post”, mentre altre sei auto attraversarono la città senza sostare. Le automobili destavano ovunque notevole curiosità, ma non erano molto ben viste a causa della rumorosità e dell’oggettiva pericolosità, che era determinata soprattutto dall’inesperienza dei piloti e dal disorientamento che la loro apparizione provocava sia negli uomini che negli animali. A partire dal 1906, comunque, gli automobilisti vennero chiamati a dimostrare le loro conoscenze teoriche e capacità pratiche riguardo all’automobile, in quelli che possiamo considerare i primi esami per la patente. Per lo svolgimento di questi esami venne nominato anche un commissario competente per Bolzano, che risiedeva a Romeno in valle di Non. Solo le migliori strade di fondovalle si prestavano al traffico automobilistico e il transito delle autovetture venne esplicitamente interdetto in molte arterie periferiche, come la strada della val d’Ega. Nel 1911 le Bozner Nachrichten lamentarono che diversi automobilisti non rispettavano il divieto e chiesero l’intervento delle autorità competenti. Altra strada vietata era quella della val Passiria: un avviso affisso all’inizio della strada – alla porta Passiria di Merano – spiegava che la decisione non era stata adottata a causa di un atteggiamento ostile nei confronti del nuovo mezzo di trasporto, ma per la ristrettezza della sede stradale che rendeva troppo pericolose le manovre di incrocio. La strada della Passiria venne ampliata solo dopo l’apertura del nuovo stradone del Giovo, che venne percorso per la prima volta in automobile il 23 agosto 1911 dal consigliere aulico Krapf, responsabile dei lavori pubblici alla Luogotenenza di Innsbruck. Il completamento della strada
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del Giovo consentì alla stampa locale di confrontare le prestazioni dei diversi mezzi di locomozione: i 39 chilometri da Vipiteno a San Leonardo in Passiria potevano essere coperti in sei ore con la carrozza e in sole due ore e mezza con l’automobile. Il percorso inverso richiedeva sette ore in carrozza e tre in auto. Dopo la prima guerra mondiale la situazione non cambiò in modo apprezzabile: nel 1920 risultavano immatricolate in provincia di Bolzano appena una cinquantina di auto, mentre la parte del leone – specie in piena estate – continuavano a farla le vetture dei turisti. Nell’agosto del 1924 la Commissione movimento forestieri comunicò che ogni giorno transitavano nella zona di Carezza non meno di 500 automobili, mentre nel 1927 il corrispondente da Silandro della Provincia di Bolzano sostenne che durante il periodo di Ferragosto erano transitate in val Venosta più di mille vetture al giorno, una al minuto durante la giornata e parecchie anche nella notte. La maggior parte proveniva dalle provincie di Milano e Brescia, soprattutto attraverso il passo dello Stelvio. Non si erano verificati incidenti di sorta, ma “per gli ordinari ciclisti e pedoni – concludeva il giornalista – non era stato, a dir vero, un divertimento”. Un reclamo ricorrente degli ospiti motorizzati riguardava il pagamento dei pedaggi ancora previsti su numerose strade dell’Alto Adige. Nell’agosto 1927 un iscritto del Reale Automobile Club d’Italia si lamentò di aver sborsato complessivamente 80 lire per percorrere quattro volte la tratta da Bolzano a Castelrotto, dove villeggiava con la famiglia: “domando se questa tassa sia legale e se non è il caso di prendere provvedimenti per questa e per altre curiose abitudini che sono state ereditate dal defunto I.R. Governo Austriaco”. La rivista ufficiale del RACI gli rispose che un regio decreto del 31 dicembre 1923 aveva effettivamente proibito di introdurre nuovi pedaggi, ma non aveva abolito quelli preesistenti. Il ministero dei Lavori pubblici interveniva comunque periodicamente per eliminare almeno quelli riguardanti le strade più frequentate: era stato appena soppresso quello della strada delle Dolomiti nel tratto Bolzano-Carezza-Costalunga-Vigo di Fassa e nel novembre successivo la prefettura avrebbe ordinato la sospensione delle riscossioni sulla strada della val d’Ultimo, sulla Lana-Marlengo e sulla Lana-Postal. Negli anni venti iniziò a crescere notevolmente anche il numero degli automobilisti altoatesini – sia professionali che da diporto – e presero piede i servizi loro dedicati: nella primavera del 1925 ben tre imprenditori meranesi chiesero al comune il permesso di erigere una pompa di benzina e in settembre aprì effettivamente al pubblico in via Palade il distributore di Franz Bertoldi. Sempre a Merano, il primo agosto successivo iniziarono i corsi di guida del signor Puccini. Nel luglio 1926 il Genio civile presentò il primo
progetto di una “autostrada” da Bolzano a Merano, che doveva percorrere la riva destra dell’Adige. Nel 1927, questa volta a Bolzano, la Camera di commercio accordò al signor Giuseppe Pavesio la prima licenza per un’automobile a tassametro. Con l’istituzione del Pubblico registro automobilistico (PRA) le targhe dei veicoli a motore iniziarono ad essere contraddistinte da due lettere che identificavano la provincia di provenienza: cominciavano a circolare le automobili targate BZ, mentre tra le vetture dei forestieri continuavano a predominare quelle con targa MI. Nel febbraio 1929 un comunicato del RACI di Merano riassunse a beneficio di tutti gli automobilisti le principali norme contenute nel nuovo Codice della strada: “nella parte anteriore dell’autoveicolo devono essere riprodotti il numero e la sigla della provincia”; “il veicolo deve tenere costantemente la destra e sorpassare a sinistra. È vietato sorpassare in curva”; “ogni autoveicolo deve essere fornito di una tromba a forte suono. È proibito di servirsi senza necessità nei centri abitati delle segnalazioni acustiche ausiliarie”; “negli incroci con altri veicoli o animali è fatto obbligo di attenuare le luci abbaglianti e altrettanto negli abitati dotati di sufficiente illuminazione”. Non tutte le strade secondarie erano ancora accessibili al traffico automobilistico, ma nessun ostacolo sembrava poter intralciare le agili motociclette. Nell’agosto del 1927 il dottor Pollak di Bolzano si spinse fino a Collalbo: “è la prima volta – scrisse La Provincia di Bolzano – che la piazza del paesino del Renon è pervasa dal rombo di un motore”. In seguito venne espugnato il colle di Bolzano e nel luglio 1931 Egon Kaspar di Terlano raggiunse in sella a una Guzzi la vetta del Penegal: “i turisti che in quel giorno hanno visto il motociclista proseguire a balzi e a saltelloni lungo il sentiero – commentò il quotidiano locale – hanno certamente pensato che anche il Penegal ha dovuto cedere all’attacco del mezzo meccanico che segna la marcia progressiva, lenta, ma inesorabile, delle conquiste umane”.
Le statistiche cominciavano a registrare cifre piuttosto ragguardevoli: il 4 maggio 1928, secondo il Genio civile, transitarono in centro a Merano – all’incrocio tra via delle Corse e via Portici – ben 169 automobili, 65 motociclette, 61 autocarri e 49 autobus, ma la parte del leone la facevano ancora i 243 carretti, le 83 carrozze e le 634 biciclette. Alla fine del 1932 si contavano nell’intera provincia di Bolzano (che all’epoca non comprendeva la Bassa Atesina) 1.668 autovetture, delle quali 1.388 per uso privato e 280 in servizio di piazza o da noleggio, 97 autobus, 441 autocarri, 87 rimorchi, 47 trattrici stradali e 1.094 motocicli (escluse lo motoleggere). Inevitabile che fioccasse qualche lamentela, il più delle volte a causa della velocità sconsiderata degli automobilisti, ma talvolta anche per il disturbo arrecato dai gas di scarico e dai rumori. Nel marzo del 1925 un giornale meranese lanciò l’allarme contro l’inquinamento: “automobile 73.618! Attenzione allo scappamento! Ieri pomeriggio verso le cinque questa auto di lusso ha lasciato dietro di sé nubi di gas bluastro e puzzolente mentre transitava sulla Reichsbrücke! Quand’è che ci si porrà finalmente rimedio con una multaccia”? Nel luglio 1931 la Provincia di Bolzano scagliò un anatema contro il fracasso notturno provocato dai giovanotti motorizzati: “Il dilettante ‘chauffeur’ – tronfio della sua ‘10 o 20 cavalli’ – non si limiterà a pavoneggiarsi al volante. Ma si fermerà dinanzi alla casa della pulzella del suo cuore premendo a distesa il bottone del ‘clacson’, per rendere più efficace e … sonoro il suo saluto. Ripartirà, naturalmente, massacrando i ‘cambi’, premendo a tutto spiano sull’acceleratore, affinché il motore rombi affannosamente, così che l’automobile riveli le proprie doti di macchina da corsa”. “Sullo stesso piano vanno messi i motociclisti, che sembrano prendere un gusto matto a far scoppiettare il motore, magari con lo ‘scappamento’ aperto, per una più efficace dimostrazione di potenza”. Non sembra successo ieri sera?
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Vite in movimento
Si narra che i venditori ambulanti ta”. “In uscita” sappiamo che già tesini di pietre focaie per archinel XIII secolo c’erano montanale rotte degli bugi si spostassero a piedi verso ri, dalle valli di Fassa e Fiemme i territori delle attuali Germania, e dal Tesino, che spostavano emigranti trentini Ungheria e Polonia, caricando la le loro greggi. I primi le facevaloro merce nella fodera del pano svernare nei terreni paludodi Renzo Maria Grosselli strano, nel Cinquecento. Il mosi della valle d’Adige, i secondi léta Massimo Ballardini Ciarìn di iniziavano la secolare tradizione Preore invece spingeva a mano il della transumanza: Valsugana, suo argagn quando il 17 gennaio poi nel Padovano, quindi sino a 1885 partì verso l’Est: arrivò in Chioggia e nel Friuli. Col tempo Grecia, Turchia e Egitto. È chiaro nacque in montagna anche una che vasti tratti di mare li coprì in nave, come in nave mobilità di minor tragitto. Quella ad esempio che si spostò verso l’India, quattro anni dopo, il vendito- portò i contadini a vendere qualche loro prodotto nei re di stampe tesino Tommaso Marchetto che poi fu borghi più grandi delle vallate, poi nelle città. Verso in Birmania, Malesia, Singapore e finì in Vietnam. Si il XIII secolo c’erano fassani che frequentavano le narra che tra Ottocento e Novecento qualche aise- fiere di Bolzano: vi portavano qualche merce ma, mpóner, lavoratore alle ferrate, si spostasse a piedi soprattutto vi lavoravano come facchini, commessi, spingendo per lunghi tratti la carriola su cui erano interpreti, agenti. Poi via, coi loro padroni, in mercaricati i ferri del mestiere. Nello stesso periodo i cati maggiori, da Bergamo a Venezia, Trieste, Lucca, klòmeri di Castelfondo raggiungevano Sudtirolo, Napoli, San Gallo, Monaco e l’Olanda. In secoli sucCarinzia e Vorarlberg a bordo di carri trainati dal ca- cessivi si diffuse un altro tipo di mobilità. Quella di vallo, per vendere la loro merce: stoffe ma anche ra- certi lavoratori “specializzati” che si spostavano di mina, padelle e utensili da cucina in rame. I venditori paese in paese, di casa in casa, per portare i loro ambulanti, così anche gli arrotini, a partire dagli anni saperi artigianali. Dal funadro al sarto, dal careghéta venti del Novecento, comperarono qualche biciclet- al calderaio, i segantini. E naturalmente i muratori. ta e, davanti o dietro, ci attaccarono qualche carret- Se già nel XIV secolo abbiamo la prova che molti catino. Negli Stati Uniti a quel tempo i moléte trentini pifamiglia della montagna erano “assenti giustificati” si spostavano già con furgoni e camioncini, i trucks. alle pubbliche convocazioni delle Regole, sappiamo Per giungere a ieri, gli anni novanta del Novecento, anche che nel Seicento gruppi di uomini solandri e ricordiamo che ancora un pugno di krumer della val- dell’Alta valle di Non si mettevano in cammino verle dei Mocheni batteva le vallate dell’Alto Adige per so la Germania (Magonza, Treviri, Wisburgo) per la vendita di maso in maso. Qualcuno, come Stefano farvi i muratori. Nonesi e solandri che anche duCorn, partiva con la corriera da Fierozzo, saliva sul rante il Settecento e l’Ottocento vennero attratti nel treno a Trento e poi batteva le vallate a piedi, cari- Bolzanino e Meranese per lavori di edilizia. La stessa cando sulle spalle la krakz su cui era appoggiato il fonte dice pure che “molti altri esercitando l’arte del pach carico di camicie, pancalzolaio o di sarto, durante taloni, calzini. Altri partivano l’inverno si recano sul quel coi loro furgoncini su cui cadi Brescia o di Bergamo”. ricavano materassi e coperIn altra parte del Trentino, te. le Giudicarie, negli anni atLe Alpi non furono mai territorno al 1635 si spostavano tori su cui l’uomo abbia vissuverso la Padana in periodo to in isolamento. Del Trentino invernale più di settemila sappiamo che le sue vallate persone, un terzo della poerano state già colonizzate polazione: facchini, segantia partire dal XIV secolo. Lo ni, vendemmiatori, cantinieavevano fatto genti venute ri, pelarini in seguito (racdal Sud e dal Nord, contadini coglitori di foglie di gelso). della Pianura Padana e tiroSempre dal Trentino occilesi, bavaresi e persino podentale abbiamo notizie, nel polazioni ceche, condotte su Cinquecento, di presenze di queste montagne per curarvi valligiani nella Repubblica di miniere o rendere coltivabili Venezia, incrementatesi nel le foreste. Questo “in entraSeicento: da Ledro, Chiese,
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Pieve di Bono, Basso Sarca e Lagarina. Durante quei secoli peraltro, in alcune vallate erano nate delle tradizioni migranti che possono riferirsi a quella che lo studioso svizzero Paul Guichonnet definì “emigrazione di qualità”. I pastori transumanti tesini si erano anche trasformati in venditori di acciarini, poi di stampe e di libri da risma (cioè da rilegare da parte dell’acquirente) prodotti dalla grande stamperia di Bassano dei Remondini. Mentre in valle di Sole rimonta almeno al Seicento la comparsa dei parolóti che aggiustavano e costruivano padelle ed attrezzi di cucina in rame e poi anche in ferro. Ma fu a cavallo di Sette e Ottocento che la mobilità delle popolazioni alpine si dilatò. Sviluppo demografico, campagne napoleoniche e tornata di lavori pubblici di grandi dimensioni. Poi l’industrializzazione e l’avanzata del capitalismo in Europa continentale, l’inizio della crisi della società tradizionale, accelerata anche nella seconda parte dell’Ottocento da alcune straordinarie contingenze negative dell’economia trentina, misero sulla strada, accanto agli “emigranti stagionali o di mestiere” anche gli “emigranti di crisi” che dovevano fare in modo di mettere assieme un reddito da aggiungere a quello della loro campagna per sfamare le famiglie. E di coloro che la terra, a causa anche della imposta fondiaria, la stavano perdendo. Cambiarono la mobilità, direzioni, ma anche luoghi di partenza. Sino ad allora si era trattato soprattutto di alte valli (sopra i 700 metri di altitudine, dove non si possono coltivare vite e gelso, le cui foglie sono l’alimento del baco da seta, e dove fatica la maturazione del mais, tre prodotti “principe” dell’agricoltura trentina tra Sette e Novecento). Da allora, ancor più dalla metà dell’Ottocento, emigrazione stagionale ed emigrazione di crisi, temporanea o definitiva, si sommeranno. Cosicché, nell’ultimo decennio dell’Ottocento si poteva valutare che dalla stazione ferroviaria di Trento
partissero annualmente 45.000 persone. Non tutte ma in gran parte emigranti. Qual è la carta geografica su cui si mossero i migranti trentini? Dipese, naturalmente, dalle epoche. I venditori di stampe del Tesino tra Sei-Settecento si erano spinti fino nel Meridione d’Italia, nella Penisola iberica, in tutta l’Europa continentale e settentrionale, in Ucraina, Bielorussia e Russia, a Odessa sul mar Nero e poi in Astrakan e sul mar Caspio, a Kazan e di qui fino alla lontana Siberia; qualcuno arrivò in Finlandia, Norvegia, Danimarca, altri in Persia. I parolóti solandri in epoca napoleonica si spostavano tra Liguria e Friuli, Lombardia, Veneto e Stati Pontifici. Le compagnie di suonatori fassani (violino, viola, basso oppure cetra) si recavano ad allietare feste e matrimoni tra Veneto, Tirolo e Germania, sin da prima del Seicento. Dallo stesso secolo partivano stagionalmente per la pianura veneta i torcolòti (vendemmiatori e cantinieri) della “busa” di Tione. I segantini solandri si spargevano tra Veneto, Lombardia, Germania e Francia (in terra tedesca frequentarono le foreste dell’Harz), quelli giudicariesi andavano nella Pianura Padana anche se i primi ed i secondi lasciarono tracce corpose in Piemonte e Ticino. I segantini di Tesero e Fiemme, stavolta specializzati come operatori di seghe alla veneziana, tra Otto e Novecento operarono dalla val Pusteria alla Carinzia. Gli spazzacamini nonesi, di Bleggio, Banale e Vezzanese nell’Ottocento, si portavano dal Piemonte alla Lombardia, poi l’Emilia e sino a Roma e talvolta a Napoli, quelli solandri anche in Francia. Se i moleta di Cinte Tesino privilegiarono l’Italia, dal Piemonte a Napoli, quelli del Bleggio sappiamo che a questa meta aggiunsero Germania e Inghilterra. Sempre nell’Ottocento, l’aristocrazia dei moleta, dalla Rendena e da Montagne, Ragoli, Preore oltreché in quasi tutta Italia (con Sardegna ma anche Corsica) si spinsero in Austria, Svizzera, Germania, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Olanda, Belgio e Francia. Qualcuno di
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loro frequentò i territori dell’Est: Ungheria, Croazia, Slovenia, Albania, Bosnia, Montenegro, quindi Grecia e qualcuno anche Turchia ed Egitto, altri in Tunisia e Algeria. Ci fu chi giunse in Bessarabia. Poi gli Stati Uniti (meno in America meridionale, Argentina, Perù, Paraguay). Negli Usa i molétà di Rendena operarono coast to coast, da New York, a Chicago a San Francisco. Poi il Canada. Qualche arrotino si stabilì pure in Australia e Nuova Zelanda. L’America Latina, invece, i venditori di stampe del Tesino l’avevano coperta quasi interamente nell’Ottocento, dal Messico alla Tierra del Fuego. Con qualche spedizione, abbiamo visto, anche in India ed Estremo Oriente. E ancora, i carbonai di Valvestino, Bleggio, Lomaso e Sole operarono nel Bresciano, Liguria, Piemonte e nelle Savoie (Francia). Da Tione e paesi limitrofi, oltre ai torcoloti partivano nell’Ottocento, stagionalmente, anche i salumai, per recarsi nella Padana e sino a Genova e Trieste, la Dalmazia, arrivavano nel Varesotto, Torino, Cuneo, Alessandria, Savona, Imola, Pisa, Livorno, Siena e nel Reatino. I pittori e decoratori di val di Fassa privilegiavano la Svizzera, poi certe aree dell’Impero austroungarico. I venditori di mercerie, prodotti ottici e poi anche di stoffe (da valle di Non, Primiero, Tesino e Valsugana soprattutto) ebbero tra Otto e Novecento come orizzonti Pianura Padana, Piemonte, Lazio, poi Svizzera, Baviera, Carinzia, Stira, Salisburghese, Vorarlberg, Francia e Belgio (i venditori di sementi in seguito frequenteranno anche la Valle d’Aosta e la zona di Trieste, mentre botteghe di prodotti ottici di tesini le troviamo in una vasta zona, da Spalato a Bruges, da Bruxelles a Klagenfurt). Le zone del Gers e del Doubs, in Francia, furono privilegiate dagli ambulanti di Samone mentre, se tra Sette e Ottocento i venditori mocheni di statuine di cristallo compravano la loro mercanzia in Boemia e la vendevano tra Ungheria, Polonia, Transilvania, fino ai confini dell’impero ottomano, nell’Ottocento la loro area d’azione diminuì. Si allargò alla Francia, Belgio, Lussemburgo, Alsazia invece, il raggio d’azione dei careghéte di Sagron Mis (nel lungo periodo sarà per loro scelta preferenziale la Padana, l’Emi-
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lia soprattutto, poi in Italia anche Umbria, Toscana e Piemonte). Pur fingendo di dimenticare che nella seconda metà dell’Ottocento per alte e bassi valli trentine si era aperta anche l’emigrazione temporanea femminile, ad esempio le serve si spargeranno in Italia sino a Roma e Napoli, poi in Tirolo e anche in Svizzera (e qualcuna seguendo facoltosi padroni girò il globo), non possiamo esimerci dal proporre una rapida carrellata di destinazioni degli aisempóneri trentini, diciamo dal 1850 al 1914. Parteciparono alla realizzazione di pressoché tutta la rete ferroviaria dell’Europa continentale, per arrivare al Caucaso. Minatori, scalpellini e tagliapietre, falegnami e carpentieri, fabbri o semplici sterratori e manovali, muratori parteciparono alla realizzazione di tutti i trafori alpini, dal Frejus all’Arlberg. Come scrisse Pietro Pedrotti “tra Otto e Novecento l’operaio trentino si trovava un po’ ovunque. Il suo nome e la sua attività sono legati alle più grandi imprese mondiali, dalla Transiberiana e dalla Transandina a quelle delle linee dei Tauri e della Caravanche; dai lavori portuali di Rio de Janeiro, Buenos Aires, Bahia Blanca, a quelli del Canale di Panama e perfino dell’Africa Occidentale tedesca”. Lavoratori alle ferrate furono in Cina e il Giappone cercò in Trentino operai per fortificazioni da costruire in Manciuria e Corea, si era nel 1906. Senza dimenticare che pochi decenni prima, piccoli gruppi di trentini avevano partecipato alle “corse dell’oro” in Australia e anche in Alaska. Il mondo come orizzonte, nell’Ottocento. Che fu anche secolo di imponenti flussi migratori definitivi dal Trentino. Ma questi non hanno strettamente a che vedere con una mobilità alpina fatta di andate e ritorni, aperta a ciò che dall’estero, in economia ma anche in cultura, potevano apportare i “viandanti”. Si dimentica che una percentuale notevole (a volte il 30% e persino il 50%) degli emigranti suppostamente definitivi, dopo un periodo, rientravano in patria. Da Usa e Canada, ma anche da Argentina, Uruguay, Brasile e così da Messico e Guatemala, dove i trentini si recarono, oltreché in mezza Europa e in Australia. A fare i minatori, gli operai e i contadini. Ma in qualche caso, ne abbiamo le prove, anche i bottai sulle baleniere californiane o i palombari nei porti sudamericani.
INFOM U S E O MAGGIO 2010 Trentoduemilatrento Il 4 maggio le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato l’inaugurazione della mostra “Trentoduemilatrento”, realizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Trento e aperta fino al 30 maggio. Gli allievi architetti-ingegneri che frequentano il corso di laurea in Ingegneria edile-architettura dell’Università di Trento hanno esposto i loro contributi originali e innovativi sui temi più caldi dell’urbanistica e del paesaggio comunale, provinciale, regionale: contenimento dell’espansione urbana, maggiore qualità e diffusione di spazi pubblici, piazze, parchi e aree verdi, rottamazione urbanistica di aree degradate; ma anche la restituzione all’Adige del suo ruolo di grande cordone naturale della città e l’eliminazione dell’effetto periferia, puntando sulla costruzione di nuove e suggestive città-paesaggio. Dopo l’inaugurazione della mostra, il vicepresidente della Fondazione Museo storico del Trentino, Stefano Graiff, ha introdotto il seminario “Trentoduemilatrento: prove di sviluppo tra attori e registi della scena urbana, riflessioni sulla città presente e sugli scenari futuri, sperimentazioni, progetti, proposte, visioni”, al quale hanno
partecipato Paolo Biasioli, assessore all’Urbanistica del Comune di Trento, Alberto Winterle (Commissione cultura architetti trentini), Ugo Bazzanella (presidente Citrac), Giorgio Antoniacomi (responsabile Piano strategico di Trento), Melchiore Redolfi (presidente della Circoscrizione Centro storico/Piedicastello), Ugo Morelli (Trentino School Management), Claudia Battano, Giovanna Massari e Giuseppe Scaglione (Università degli studi di Trento), Josè Madrigal (Università Pessoa, Oporto), Alessandro Franceschini (Casacittà).
dalla Fondazione. In serata, al cinema Modena di Trento, è stato invece proiettato il documentario “Il richiamo di Klondike”, selezionato dal Trento Film Festival nella sezione Orizzonti, realizzato da Paola Rosà e Antonio Senter. Girato interamente in Canada, tra British Columbia e Yukon, nell’estate del 2009, il documentario ripercorre lo stesso viaggio dei fratelli trentini Silvio e Clemente Boldrini che a fine Ottocento presero parte alla leggendaria “gold rush” del Klondike. Da Vancouver sulle acque dell’Oceano Pacifico, attraverso il White Pass e lungo il corso del fiume Yukon, sino a Dawson City, “Il fiume che non c’è” e “Il richia- cittadina ai confini con l’Alaska, il viaggio dei vecchi cercatori d’oro mo del Klondike” vive grazie al resoconto di Silvio Boldrini e alle spiegazioni dei protagonisti attuali.
La via segreta dei nazisti
Due sono stati gli eventi organizzati sabato 8 maggio che hanno visto la partecipazione della Fondazione. A partire dal primo pomeriggio il Borgo di San Martino a Trento è stato animato dalla seconda edizione de “Il fiume che non c’è”, la festa del quartiere in cui le varie realtà cooperative, economiche, sociali e culturali del borgo hanno dato vita a una serie di iniziative nelle strade e nelle piazzette attorno a via San Martino. La Fondazione Museo storico del Trentino era presente, presso il parco della Predara, con una bancarella con le proprie pubblicazioni. Sono state inoltre proiettate sulle pareti della cava le fotografie degli abitanti del quartiere, frutto della campagna di raccolta promossa
Il Libro di di Gerald Steinacher “La via segreta dei nazisti: come l’Italia e il Vaticano salvarono i criminali di guerra” (Milano, Rizzoli, 2010) è stato presentato il 12 maggio nella biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino. Oltre all’autore sono intervenuti Gustavo Corni dell’Università di Trento e Andrea Di Michele dell’Archivio provinciale di Bolzano.
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La libellula
I sensi delle Dolomiti
Il 13 maggio Arcigay del Trentino, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, ha presentato l’esordio narrativo di Bert d’Arragon “La libellula” (Pistoia, Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea, 2010). All’evento, presso la biblioteca del Museo storico, assieme all’autore e al moderatore Stefano Cò, hanno partecipato Rodolfo Taiani della Fondazione Museo storico del Trentino e Giuseppe Colangelo, storico e critico. Lukas Antoniolli ha proposto la lettura di alcune pagine del libro che dipinge un quadro sorprendente degli anni tra l’attentato a Giacomo Matteotti e la fine della seconda guerra mondiale, raccontando la vita di due ragazzi omosessuali.
L’editore indipendente Professionaldreamers ha organizzato il seminario dal titolo “I sensi delle Dolomiti: nature, tecniche e culture di un patrimonio dell’umanità”.
Ciascuno dei quattro incontri è partito da un “senso” specifico, connettendo l’esperienza individuale al tessuto sociale, culturale ed economico passando per il cibo, lo spazio edificato, il turismo, lo sport, l’alpinismo, gli antichi e i nuovi saperi nel tentativo di risalire all’immaginario e al vissuto delIl fascismo attraverso diari e let- le Dolomiti. Nell’ambito di questa tere iniziativa, il 14 maggio le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato Il Dipartimento di Scienze umane e l’incontro condotto da Christian sociali dell’Università degli studi di Arnoldi dedicato alla vista. Trento, ha proposto il 18 maggio, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino un Una sinfonia per la liberazione appuntamento con il prof. Christopher Duggan dell’University of Nell’ambito della mostra “Una sinReading, che ha presentato la sua fonia per la liberazione: dal Tirreno ricerca in corso “Il fascismo attra- al Garda coi mountainers americaverso le scritture private: diari, let- ni” il 19 maggio alle Gallerie di Pietere”. L’incontro è stato introdotto dicastello si è tenuto un incontro da Gustavo Corni dell’Università di di approfondimento a cura di Lorenzo Gardumi e Nino Mazzocchi. Trento.
Il Museo storico al Salone internazionale del libro di Torino Anche quest’anno, le pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino sono state presenti al Salone internazionale del libro di Torino, giunto alla sua XXIII edizione; motivo conduttore è stato La memoria, svelata.
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Raccontarsi: alla biografia
dall’autobiografia
La Fondazione Museo storico del Trentino ha organizzato per il 24 maggio l’incontro “Raccontarsi: dall’autobiografia alla biografia: la memoria come bisogno sociale delle comunità”. Il seminario è stato tenuto dalla dott.ssa Ludovica Danieli, docente della Libera Università di Anghiari e funzionaria della Provincia di Brescia nel campo della ricerca sociale.
GIUGNO 2010 Il Museo storico e il Festival dell’Economia Il primo giugno in Piazza Pasi a Trento, è stato inaugurato Archiviofestival, spazio e installazione multimediale che si avvale di innovative tecnologie “no touch screen”, curato dalla Fondazione Museo storico del Trentino in occasione del Festival dell’Economia. L’installazione ha documentato le quattro edizioni precedenti del Festival dell’Economia attraverso video e rassegne stampa, ma ha permesso anche di dialogare con i contenuti dei due percorsi permanenti “Storicamente ABC” e “L’invenzione di un territorio”, visitabili presso Le Gallerie di Piedicastello.
La scrittura popolare all’Università La Sapienza Il 7 giugno l’Università “La Sapienza” di Roma ha ospitato il seminario dal titolo “Dalla scrittura popolare alla scrittura di massa”, nell’ambito del quale è stato presentato il volume curato da Quinto Antonelli e Anna Iuso “Scrivere agli idoli” (Trento, Museo storico in Trento, 2007). È intervenuto con i curatori il prof. Tullio De Mauro.
La storia a teatro La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con l’ITCS Primo Levi di Bollate, il Teatro Periferico di Cassano Vacuvia e il Centro Servizi Anziani di Trento, il 7 giugno hanno proposto lo spettacolo teatrale “Storia e storie” per la regia di Paola Manfredi e Dario Villa: una lunga narrazione, realizzata con il metodo dell’intervista, che si snoda tra il ventennio fascista e la fine degli anni cinquanta e parla di fame, di emigrazione, della vita in cascina, della scuola, della guerra, della Resistenza, del dopoguerra, delle sale da ballo. Gli studenti-attori che si sono cimentati sul palcoscenico, alcuni alla loro prima esperienza, sono stati: Mohammad Alì Akram, Rim Arfaoui, Fabio Bartola, Mara Bortolini, Leonie Cardillo, Federica Di Pilato, Simone Gugliandolo, Gaetano Russello, Erika Schieppati, Jacopo Terragni, Nadia Zineddine.
che non è solo un ricordo o una rivisitazione storica, ma che può contribuire a risvegliare quel senso di appartenenza a una comunità, a degli ideali, a degli obiettivi che oggi sembra assopito”. Con l’autrice Maria Elisabetta Montagni erano presenti in sala Mario Cossali, Anna Maria Marchionne e Lorenzo Pevarello.
dente dell’Autostrada del Brennero: l’archivio dell’A22 è stato affidato alla Fondazione Museo storico che provvederà al suo riordino e alla sua valorizzazione.
Documentario su De Gasperi Si è tenuta il 22 giugno al Cinema Astra di Trento la proiezione del documentario “La strada di De Gasperi” girato da Elena Negriolli. Il filmato, attraverso una serie di testimonianze, racconta la parabola umana di Alcide De Gasperi in modo non cronologico ma geografico, seguendo l’evento straordinario che fu il viaggio della sua salma da Sella Valsugana a Roma. Assieme alla regista erano presenti in sala Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Enrico Galvan, assessore alla Cultura del Comune di Borgo Valsugana e Giuseppe Zorzi, direttore della Fondazione Trentina Alcide De Gasperi.
La storia nei fumetti di Sergio Toppi Il 25 giugno nelle Gallerie di Piedicastello è stata inaugurata la mostra temporanea “Sergio Toppi: il segno della storia”. Nicola Galli Laforest dell’Associazione culturale Hamelin di Bologna ha dialogato con il fumettista e illustratore Toppi che conta ormai più di quarant’anni di lavoro: dalle importanti collaborazioni con Sergio Bonelli per la serie “Un uomo, un’avventura”, alle rivoluzionarie storie comparse via via su “Linus”, “Alter Alter”, “Corto Maltese”, “Il Giornalino”, “L’Eternauta”, “Comic Art”, ai lavori più recenti. L’esposizione, rimasta aperta fino al 25 luglio, ha presentato al pubblico circa 200 opere, tra fumetti e illustrazioni, suddivise in due grandi filoni tematici: il tema del conflitto e il rapporto tra Storia e Fantastico.
Sguardi sul ‘68 Il 10 giugno, presso il cinema Astra di Trento, è stata proposta una serata dedicata al ’68. Alle 18.00 è stato proiettato il documentario di Lorenzo Pevarello “Le due città: il ’68 a Trento e dintorni”, in cui si ricostruisce visivamente il luogo, la cultura, le dinamiche del movimento studentesco a Trento. Successivamente è stato presentato il volume “Caro ‘68” (Edizioni Albatros, Il Filo, 2010), “un libro
Accordo con l’Autostrada del Brennero Lunedì 21 giugno, presso la Provincia autonoma di Trento, è stato siglato un accordo programmatico tra il presidente della Fondazione Museo storico del Trentino Lorenzo Dellai e Paolo Duiella, presi-
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seo storico del Trentino, 2010), mentre Renzo Maria Grosselli ha anticipato i contenuti di un suo volume in corso di pubblicazione Le Gallerie come luogo della me- sempre presso la Fondazione Mumoria seo storico del Trentino (“Un urlo Nell’ambito del Simposio inter- da San Ramon: la colonizzazione nazionale “I luoghi della memo- trentina in Cile 1951-1968”). ria nell’area di confine: dall’autodescrizione nazionale all’identità democratica”, promosso dall’Uni- Le scritture di montagna versità di Dresda e dall’Universi- Hanno preso il via domenica 11 tà degli studi di Trento, martedì 6 luglio gli ormai tradizionali inconluglio Giuseppe Ferrandi, direttore tri estivi sulle ricerche storiche e generale della Fondazione Museo antropologiche nelle valli di Pristorico del Trentino, ha presentato miero, presso la “Frabica” delle la relazione dal titolo “Le Gallerie: scritture di montagna, al termine sotto il Mausoleo di Battisti, per dell’itinerario storico-naturalistico raccontare la storia”. che da Tonadico porta al Cimerlo. La storica Giuseppina Bernardin ha parlato di “Scrittura e comunità alpine: simboli, marchi, figuLa Festa dell’emigrazione re”. Successivamente, l’8 agosto, Si è svolta nel fine settimana del Angelo Longo, che ha seguito per 10 e 11 luglio a Fornace la tradizioanni un’indagine sull’alimentazionale Festa dell’emigrazione. ne di montagna, ha parlato della “Cucina orale e scritta”. L’ultimo appuntamento, in programma il 5 di settembre, ha visto Quinto Antonelli presentare qualche anticipazione su una ricerca in corso dal FORNACE - 10/11 luglio 2010 titolo “Quando il popolo cominciò Programma a leggere... Note sull’alfabetizzazione del Trentino”.
LUGLIO 2010
Provincia Autonoma di Trento
festa provinciale dell’emigrazione Sabato 10 luglio 11.00 Apertura mostre e proiezioni tematiche nelle sale a piano terra del Castello Roccabruna 14.00 La Fondazione Museo Storico del Trentino presenta nel loggiato del Castello il libro “Un urlo da San Ramon: la colonizzazione trentina in Cile 1951-1968” di Renzo Maria Grosselli il cd-book “Con il piccone, il badile, i carretti: identità musicale dei discendenti trentini in Vorarlberg” di Barbara Kostner e Paolo Vinati 15.30 “Calendario delle leggende trentine” narrazione a cura dell’autore Mauro Neri 16.00 Viagio de sol andata (1) testimonianze e racconti di immigrazione 18.00 Viagio de sol andata (2) in Teatro spettacolo teatrale sull’emigrazione trentina in Brasile, a cura della Filodrammatica San Martino di Fornace 19.30 Momento conviviale in piazza con proposte multietniche 21.00 Sulle ali del mondo - Recital di musiche popolari e poesie presso la sala pubblica delle Scuole Elementari Intervengono: Carla Madrid Lazzeri soprano - Messico Corale Laboratorio S. Cecilia di Fornace, diretta da Mauro Cristelli Accompagnamento musicale a cura della pianista Valentina Moser Le poesie saranno recitate da giovani oriundi trentini provenienti da Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Paraguay, Perù, Guatemala, Messico; Stati Uniti, Australia e Spagna, partecipanti alla 12a edizione del “programma interscambi giovanili” promosso dalla Provincia autonoma di Trento
Domenica 11 luglio Area Vigili del Fuoco 9.30 Ritrovo di tutti i partecipanti 10.15 Breve sfilata con il Corpo Bandistico S. Valentino di Faver, i sodalizi Trentini e altre Rappresentanze per raggiungere la Chiesa Parrocchiale di San Martino 10.30 Santa Messa celebrata da Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Trento, Mons. Luigi Bressan 11.30 Proseguimento sfilata dalla Chiesa Parrocchiale di San Martino all’area Vigili del Fuoco 12.30 Interventi delle Autorità, del Presidente della Provincia, Lorenzo Dellai e delle Associazioni 13.00 Pranzo presso il Centro Polifunzionale – Zona sportiva 15.00 “Danzare il mondo” - animazione multiculturale a cura di Vincenzo Barba dell’Associazione Danzare la Pace
Per questa occasione il Centro di documentazione sulla storia dell’emigrazione della Fondazione Museo storico del Trentino ha allestito una mostra fotografica sul tema, curata dal professionista Massimo Zarucco e accompagnata dalla proiezione dei documentari sull’emigrazione prodotti dalla Fondazione. Nel loggiato del Castello di Fornace è stato presentato inoltre il volume “Identità musicale dei discendenti trentini in Vorarlberg” di Barbara Kostner e Paolo Vinati (Trento, Fondazione muL’evento, promosso dalla Provincia autonoma di Trento in collaborazione con l’Associazione Trentini nel Mondo onlus, l’Unione delle Famiglie Trentine all’Estero onlus, la Fondazione Museo Storico del Trentino, è organizzato dal Comune di Fornace, in collaborazione con le associazioni ed i gruppi di volontariato locali (A.N.A., Vigili del Fuoco, gruppi culturali, sportivi, ricreativi ecc.) e l’A.P.T. Piné Cembra e Pro Loco Fornace.
Comune di Fornace
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Memoria e rinascita: 25 anni dalla catastrofe di Stava All’interno delle celebrazioni per il XXV anniversario della catastrofe di Stava, domenica 18 luglio il teatro comunale di Tesero ha ospi-
tato il convegno “Memoria e rinascita”. Nel corso dell’incontro è stato illustrato il “progetto memoria” realizzato dalla Fondazione Stava 1985 onlus assieme alla Fondazione Museo storico del Trentino e al Servizio audiovisivi della Provincia autonoma di Trento. Per la Fondazione Museo storico è intervenuta Elena Tonezzer.
L’epopea di Santa Giustina Il documentario di Lorenzo Pevarello “L’epopea di Santa Giustina: storia di una valle”, prodotto dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con la Provincia autonoma di Trento, è stato proiettato il 22 luglio presso l’Auditorium del Comune di Taio. Hanno partecipato alla serata Alessandro de Bertolini, ricercatore della Fondazione Museo storico del Trentino, Stefano Cova, sindaco di Taio, Stefano Graiff, vicepresidente della Fondazione Museo storico del Trentino, Assessore alla Cultura e Turismo della Valle di Non. Anteprima della mostra sul paesaggio agrario
Il 30 luglio, presso il Caseificio sociale di Fondo la Fondazione Museo storico del Trentino ha organizzato un’anteprima della mostra “Paesaggi agrari: il cambiamento: cento anni di storia in val di Non”, inaugurata il 13 agosto. Sono intervenuti Remo Bonadiman, sindaco di Fondo, Gabriele Calliari, vice-presidente della Camera di Commercio di Trento e presidente del Caseificio
sociale di Fondo, Stefano Graiff, vice-presende della Fondazione Museo storico del Trentino e assessore alla Cultura e turismo della Comunità della val di Non, Alessandro de Bertolini, curatore della mostra, Marco Rauzi e Anna Sarcletti del progetto “Valle di Non lab. 1”. Nel corso dell’incontro è stato proiettato il documentario girato da Lorenzo Pevarello “Paesaggi in movimento: storia e agricoltura in val di Non”: attraverso le testimonianze di chi ha vissuto la trasformazione, il documentario racconta la storia del cambiamento del paesaggio agrario e del mestiere dell’agricoltore. La serata è stata allietata dalle note del Coro Roen di Don, diretto da Aldo Lorenzi.
dalle forze di occupazione nazifasciste tra l’estate e l’autunno 1944. Il percorso espositivo, prevalentemente fotografico e cartografico, è accompagnato da video-proiezioni con filmati originali tratti dall’Archivio cinematografico dell’Istituto Luce e da una serie di riproduzioni audio-video di interviste a protagonisti, civili e partigiani, dell’epoca. Completa il percorso un videoglossario di carattere informativo e di approfondimento. Cento anni di agricoltura in val di Non
Il 13 agosto, presso il Portale della storia e della memoria della valle di Non (Tassullo, località Santa Giustina, palazzina Edison) si è inaugurata la mostra “Paesaggi agrari: il cambiamento: cento anni AGOSTO 2010 di storia in val di Non”, curata da Alessandro de Bertolini della Fondazione Museo storico del Trentino e visitabile fino al 31 ottobre Feuer! 2010. Abbracciando oltre un secoSi è aperta il primo agosto lo di storia, l’esposizione racconta presso Maso Spilzi di Costa la trasformazione agraria e sociale di Folgaria la mostra “Feuer! che ha interessato la valle di Non tra la fine dell’Ottocento e la fine del Novecento, utilizzando testi, immagini di oggi e di ieri, fotografie aeree, filmati amatoriali d’epoiani ti antipartig ca e video-interviste ai testimoni. en m lla re andi rast I gr 1944 dell’estate e Trentino tra Veneto settembre 2010 20 – to os Spilzi 1 ag lgaria, Maso Costa di Fo
66. anniversario dell’eccidio di Malga Zonta
tino. Quest’anno, dopo gli interventi del sindaco di Schio Luigi Dalla Via, del sindaco di Folgaria Maurizio Toller e del direttore della Fondazione Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi, l’On. Rosy Bindi, Vice Presidente della Camera e Presidente del Partito democratico, ha tenuto l’orazione ufficiale. La Farmacia Maturi È stata inaugurata venerdì 20 agosto nelle sale di Palazzo Eccheli-Baisi di Brentonico la mostra “Farmacisti di famiglia: la farmacia Maturi”, curata da Rodolfo Taiani della Fondazione Museo storico del Trentino e aperta al pubblico fino al 21 gennaio 2012. La farmacia Maturi – pregevole esempio di farmacia rurale d’inizio Novecento, trasferita dalla sede originaria di Condino a Palazzo Eccheli Baisi di Brentonico nel 2009 – e la mostra costruita intorno ad essa rappresentano il primo nucleo di una più ampia esposizione dedicata alla storia della professione farmaceutica in Trentino, a sua volta parte di un più ambizioso progetto che vede in Brentonico e nel suo palazzo lo snodo principale di un centro iniziative dedicato ai temi della storia della farmacia, delle arti sanitarie e del concetto di benessere declinati in chiave inter/ multidisciplinare.
Mostra a cura di Lorenzo Gardumi Ingresso libero Orario: da lunedì a venerdì 16-19 sabato e domenica 10-12 16-19 Per informazioni: Fondazione Museo storico del Trentino 0461 230482 info@museostorico.it Comune di Folgaria 0464 729318
I grandi rastrellamenti antipartigiani dell’estate 1944 tra Veneto e Trentino”, curata da Lorenzo Gardumi della Fondazione Museo storico del Trentino e visitabile fino al 20 settembre 2010. La mostra pone sotto una diversa e più approfondita luce i “rastrellamenti antipartigiani” organizzati
Il 15 agosto ricorre l’anniversario dell’eccidio nazifascista di Malga Zonta, uno dei momenti più cruenti e significativi della Resistenza sulle montagne tra Veneto e Tren-
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EDIZIONI
Günther Pallaver e Michael Gehler (a cura di), Università e nazionalismi: Innsbruck 1904 e l’assalto della Facoltà di giurisprudenza italiana, pp. 272, € 20,00 (Quaderni di Archivio trentino, 25)
hi con una canzone di scherno? La presente sto fenomeno e offre attraverso l’elaborazione ni in Vorarlberg» per la prima volta un’ampia anzoni di scherno, chiamate Italienerlieder, io, che viene integrato attraverso canti d’ambito orali.
der Universität Bologna (DAMS) und Querflöte am e hat Feldforschungen in der Lombardei, im Trentino, mehrere Bücher, Essays und CDs publiziert. Sie ist em der ladinischen Kultur der Dolomitentäler.
AMS di Bologna e si è diplomata in flauto traverso nto. Ha pubblicato libri, saggi e CD di carattere ca soprattutto alle dinamiche culturali delle vallate
r Universität Bologna studiert (DAMS). Er hat tirol, in Österreich und Montenegro durchgeführt und Si è laureato al DAMS di Bologna in etnomusicologia.
Nella sua pur breve vita, Angelo Confalonieri (1813-1848) ha scritto una pagina importante nella storia dei contatti fra le culture europea e aborigena d’Australia e, più in generale, fra missionari cattolici e popoli indigeni. I contributi raccolti in questo volume, elaborati da studiosi di diversa estrazione disciplinare, hanno svelato sia i tratti di una vicenda di straordinario spessore culturale, religioso e umano sia la ricchezza della personalità di un missionario trentino che nella prima metà dell’Ottocento decise di dedicare la propria vita alle popolazioni aborigene e alla loro evangelizzazione.
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«Giovanni Prati» di Trento e presso la Casa circondariale di Trento. È autore di alcuni libri fra i quali L’altra guancia, educare alla nonviolenza (Varese 2005). In qualità di presidente dell’Associazione Trentino insieme sta operando in Amazzonia per la creazione di una struttura a favore dei nativi dell’area di Xixuaù-Xiparinha.
La questione dell’istituzione nell’ambito della monarchia austriaca di un’università italiana autonoma o, in alternativa, di una facoltà italiana fu sollevata a più riprese a partire dal 1848 e dibattuta in maniera serrata a livello governativo a partire dal 1903. Le ipotesi prese in considerazione al riguardo furono molteplici – Trieste, Rovereto o Innsbruck –, ma da ultimo mancò una presa di decisione univoca e coerente. Si finì pertanto per ripiegare sulla creazione, nel capoluogo tirolese, di una Facoltà italiana di giurisprudenza, collegata in maniera piuttosto informale con l’Università. Ne nacquero cruenti scontri di piazza che culminarono il 4 novembre 1904 nella distruzione della Facoltà italiana stessa inaugurata appena il giorno prima. Il bilancio dei tumulti fu di un morto e di numerosi feriti. A distanza di oltre un secolo da questi episodi, storici austriaci e storici italiani cercano di fare luce insieme sull’evento, di analizzarlo scientificamente e
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GRENZEN/CONFINI
Nagoyo, la vita di don Angelo Confalonieri fra gli Aborigeni d’Australia - 1846-1848
Nagoyo, la vita di don Angelo Confalonieri fra gli Aborigeni d’Australia - 1846-1848
ROLANDO PIZZINI
ROLANDO PIZZINI
Rolando Pizzini, nato a Bolzano nel 1961, insegna religione presso il Liceo classico
VESTI DEL RICORDO
GRENZEN/CONFINI
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GRENZEN/CONFINI
Barbara Kostner e Paolo Vinati (a cura di), Musikalische Identität der Trentiner Nachkommen in Vorarlberg = Identità musicale dei discendenti trentini in Vorarlberg, pp. 80 con CD audio allegato, € 15,00 (Vesti del ricordo, 11)
a cura di ROLANDO PIZZINI
Nagoyo lonieri lo Confa on Ange ’Australia d i d a it d la v borigeni fra gli A 846-1848 1
ISBN 978-88-7197-125-4
con CD audio
€ 18,00
BARBARA KOSTNER PAOLO VINATI
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VESTI DEL RICORDO Musikalische Identität der Trentiner Nachkommen in Vorarlberg Identità musicale dei discendenti trentini in Vorarlberg
t einem Spottlied identifiziert? Die vorliegende en nach und bietet durch die Aufarbeitung der mmen in Vorarlberg» erstmalig eine umfassende der, Italienerlieder genannt, sind nur ein Teil der aus dem häuslichen Bereich, traditionelle
Rolando Pizzini (a cura di), Nagoyo: la vita di don Angelo Confalonieri fra gli aborigeni d’Australia (1846-1848), pp. 240, € 18,00 (Grenzen/Confini, 14)
NOVITÀ
TI
er Nachkommen in Vorarlberg trentini in Vorarlberg
di fornire così un contributo alla comune interpretazione di una pagina buia della storia del Tirolo asburgico.
bardia, in Trentino-Alto Adige, in Austria e in Montenegro
BARBARA KOSTNER PAOLO VINATI
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Com’è possibile che un gruppo si identifichi con una canzone di scherno? La presente pubblicazione esplora, fra gli altri, anche questo fenomeno e offre attraverso l’elaborazione dell’”identità musicale dei discendenti trentini in Vorarlberg” per la prima volta un’ampia documentazione di questa musica. Le canzoni di scherno, chiamate Italienerlieder, rappresentano soltanto una parte del repertorio, che viene integrato attraverso canti d’ambito domestico, canti tradizionali italiani e canti corali.
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Nella sua pur breve vita, Angelo Confalonieri (1813-1848) ha scritto una pagina importante nella storia dei contatti fra le culture europea e aborigena d’Australia e, più in generale, fra missionari cattolici e popoli indigeni. La ricerca elaborata da un gruppo di studiosi di diversa estrazione disciplinare ha svelato i tratti di una vicenda di straordinario spessore umano prima ancora che religioso sulla quale molto ancora andrebbe approfondito e indagato. In tal senso il volume, nel proporre i primi risultati di un’indagine obiettivamente complessa, offre al tempo stesso tanti spunti da sviluppare per cogliere appieno la ricca personalità di un missionario che nella prima metà dell’Ottocento decise di dedicare l’intera propria vita alle popolazioni aborigene e alla loro conversione.
Andrea Petrella, L’oro bianco di Darzo. Ritratto di un paese, pp. 136 con DVD allegato, (minör/ minatori, regia di Micol Cossali) € 16,00 (Vesti del ricordo, 15)
La chiusura nel 2009 della miniera di Marìgole, vicino a Darzo in Trentino, rappresenta l’ennesima, inevitabile tappa di un percorso economico e sociale iniziato nel lontano 1894. Da allora, Darzo ha cambiato aspetto, ha conosciuto sorprendenti livelli di benessere, è stato uno dei luoghi della grande industria italiana e ha saputo attirare nuove popolazioni, nuovi lavoratori e nuove famiglie. Da allora, le gallerie – prima poche, poi molte, infine una sola – sono sempre state lì, sui monti che sovrastano il paese e un po’ lo proteggono, quasi come fossero un tratto inscindibile del paesaggio, scavate nella roccia ma anche nelle memorie dei darzesi. Ora che anche l’ultimo cunicolo ha cessato di fornire la barite, l’oro bianco di Darzo, e gli stabilimenti a valle hanno notevolmente abbassato i ritmi di lavoro, il timore di vedere svanire questo complesso di ricordi o di voltare pagina troppo rapidamente ha stimolato una preziosa ed encomiabile opera di recupero e di valorizzazione degli
aspetti materiali ed immateriali relativi all’attività mineraria del paese. Il volume che raccoglie le testimonianze di alcuni protagonisti di questa vicenda, segna un ulteriore tappa in questa direzione.
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Andreas Oberhofer, Andreas Hofer (1777-1810): dalle fonti alla storia, pp. 416, € 22,00 (Grenzen/Confini, 13)
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Il volume è il frutto di un paziente lavoro di ricerca condotto dall’Autore presso archivi e biblioteche di numerosi paesi. Si tratta della raccolta sistematica di tutti gli scritti autografi di Andreas Hofer e di quelli da lui firmati. La ricca documentazione così individuata, introdotta da una biografia del celebre comandante dell’insurrezione tirolese del 1809, costituisce un’importante base dalla quale partire per un’attenta ricostruzione storica del personaggio e degli eventi ai quali partecipò. Un contributo utile per comprendere le ragioni e le condizioni nelle quali è maturato un mito profondamente radicato nella cultura locale e che attende ancor oggi di pervenire a un più pacato e distaccato giudizio storico.
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