La terra Serena: l'emigrazione trentina in Cile: documenti: (1950-1974)

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L’EMIGRAZIONE TRENTINA IN CILE (1950-1974) a cura di Mariaviola Grigolli

Centro di documentazione per la storia dell’Emigrazione trentina

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VESTI DEL RICORDO

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a cura di Mariaviola Grigolli

La terra Serena l’emigrazione trentina in Cile documenti (1950-1974)

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Premessa Agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso numerose famiglie trentine lasciarono i propri paesi d’origine per raggiungere il Cile, per la precisione la provincia di Coquimbo. Le partenze s’inserivano nel progetto di colonizzazione predisposto e seguito prima dall’Istituto di credito per il lavoro italiano all’estero (ICLE) e dalla Regione Trentino-Alto Adige e successivamente dalla Compagnia italo-cilena di colonizzazione agricola (CITAL). Alla base dell’intervento risiedevano gli accordi seguiti fra il presidente della repubblica cilena Gabriel Gonzalez Videla e il primo ministro italiano Alcide De Gasperi. Al loro arrivo i coloni trentini avrebbero dovuto trovare abitazioni nuove in cui alloggiare e terra da coltivare. In realtà la situazione non si presentò così favorevole come i piani avevano fatto immaginare. Le case promesse non erano state ancora terminate e il terreno risultava difficile da lavorare ignorandone composizione e resa. Lo stato delle cose apparve subito assai difficile e non tutti riuscirono a far fronte all’emergenza, o almeno a sostenerla il tempo sufficiente per poter cominciare a cogliere i primi frutti del grande investimento di risorse fisiche ed economiche richiesto. Questo in estrema sintesi il filo della vicenda lungo il quale si snoda il volume curato da Mariaviola Grigolli. Un testo che volutamente ha preferito offrire anziché una ricostruzione storiografica, una selezione di documenti particolarmente significativa. La lettura permette di cogliere i molteplici risvolti di una pagina di storia poco conosciuta, dando il giusto riconoscimento al «sacrificio» di centinaia di persone che emigrando in Cile hanno inseguito un sogno di benessere spesso irrealizzato. Un’avventura alla quale i più furono spinti dalle condizioni di grave crisi economica in cui versava il Trentino del dopoguerra, uscito stremato dal secondo conflitto mondiale, e soprattutto progettata sulla base dei nuovi equilibri internazionali che il conflitto stesso aveva contribuito a disegnare. Non è frutto di una fortuita coincidenza o di rapporti interpersonali parti-

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colarmente cordiali il fatto che all’epoca il paese d’origine degli immigrati e il paese di arrivo coincidessero con le terre natali di due dei massimi esponenti istituzionali delle nazioni coinvolte: il presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi da una parte e il presidente della Repubblica Gabriel Gonzalez Videla dall’altra. Ed è anche in questo passaggio apparentemente estraneo o lontano dalle vicende dei singoli individui coinvolti, che i documenti mostrano tutta la loro forza evocativa, in grado di suggerire insospettabili prospettive di ricerca specie nella lettura di un secolo nel quale le vicende del singolo risultano sempre più ed inesorabilmente legate ad eventi fuori dalla portata della semplice volontà o capacità personale. Il volume di Mariaviola Grigolli e l’ampia raccolta di documenti proposta sottolineano infine nel migliore dei modi anche la funzione che dovrà svolgere il neoistituito Centro di documentazione per la storia dell’Emigrazione trentina: ossia un’azione rivolta con costanza e capillarità sì al recupero della memoria dei tanti singoli protagonisti, ma allo stesso tempo alla comprensione la più ampia possibile dei contesti locale e internazionale, nei quali si snodarono le loro vicende fatte di successi e insuccessi, di soddisfazioni e delusioni, di gioie e dolori. L’assessore all’emigrazione solidarietà internazionale sport e pari opportunità

IVA BERASI

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Introduzione

Tra il 1951 e i primi mesi del 1953 oltre centoventi famiglie partirono per raggiungere i dintorni di La Serena, città situata nella provincia di Coquimbo. Agli inizi degli anni cinquanta il Trentino registrava un incremento demografico inferiore del 2,9% rispetto alla media italiana, attestata al 7,2%: segno inequivocabile di disagio economico, confermato pure dall’indice di addensamento inferiore del 59,5% rispetto alla media nazionale, che era di 157,8 abitanti per chilometro quadrato. Il dato trentino, tuttavia, raddoppia il proprio valore se lo si applica alla distribuzione altimetrica della popolazione esplicitando uno dei fattori di maggiore criticità del Trentino: l’eccessivo popolamento delle zone sotto i 750 metri s.l.m., che rappresentavano solo il 17,7% del territorio. Quindi, paradossalmente, una popolazione con un basso tasso di incremento risultava comunque eccedente rispetto al territorio destinato all’agricoltura, attività principale dell’economia regionale, esercitata da oltre il 40% della forza lavoro. La proprietà era caratterizzata da piccoli possedimenti, derivati da un sistema ereditario che ad ogni passaggio generazionale contribuiva alla «polverizzazione» dei fondi, al punto che sul finire degli anni quaranta il 66,5% delle proprietà aveva un’estensione massima di 2 ha e nemmeno il 3% delle proprietà superava i 10 ha1. A fronte di questa situazione le estensioni del Cile apparivano sterminate; nei progetti di colonizzazione si offrivano, infatti, appezzamenti almeno di 7 ha. Sullo sfondo di questo stato di cose strutturalmente negativo, gli effetti del secondo dopoguerra, ulteriormente aggravati in Trentino dal periodo di annessione all’Alpenvorland, furono dirompenti per una popolazione che,

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TREZZI, 1999: 564-567.

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come si è ricordato, risultava eccedente rispetto alla terra2. L’industria locale era formata in prevalenza da aziende di piccole o piccolissime dimensioni; più che di industrie si trattava di imprese artigiane che risentirono fortemente dei problemi sorti conseguentemente alla guerra3. Nel 1951 esistevano in Trentino 7.565 unità operative classificabili come piccole e medie industrie ed aziende artigiane. Il 90% delle unità censite era da considerarsi azienda artigianale: ben 6.536 avevano meno di cinque dipendenti. Anche il settore commerciale era caratterizzato da medi o piccoli esercizi: vi erano circa 13.000 aziende con due o tre dipendenti che spesso erano famigliari del titolare. A queste ditte individuali si affiancava un notevole numero di famiglie cooperative di consumo4. La bilancia commerciale trentina presentava un sensibile deficit, derivato dallo squilibrio tra la produzione ed il fabbisogno locale. Si acquistavano fuori provincia alimenti, manufatti, vestiario, filati e tessuti, ma mancavano anche i prodotti farmaceutici di base e vi era una forte carenza di materie prime per la produzione industriale5. In provincia la disoccupazione era un fenomeno strutturale, aggravato nel dopoguerra dalla quota di disoccupazione congiunturale. La media mensile calcolata per il 1949 ed il primo semestre del 1950 era di 15.398 disoccupati, ma anche nel periodo prebellico si era assestata su livelli preoccupanti: nel 1938 era stata di 9.680 disoccupati. Nell’immediato dopoguerra le difficoltà erano tali da non consentire né un potenziamento dell’agricoltura, né l’avvio di un processo di industrializzazione consono alle necessità locali, né la garanzia di un’occupazione ai molti disoccupati o sottooccupati. L’emigrazione costituiva pertanto una vera e propria valvola di sfogo per una situazione altrimenti insostenibile. Per quanto riguarda il Cile, vi fu fatto ricorso da parte delle stesse autorità regionali. Nel periodo esaminato, la superficie considerata agricola del paese andino era di circa 21.391.000 ha, così suddivisi: 5,6 milioni di ha di potenziale 2 3

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TRENTINO 1952. TREZZI 1999: 581-586. MATTEDI 1949: 41-43. CENTRO BOLOGNA 1955. BERTOLDI 1954: 17-20. MATTEDI 1950: 24-26.

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STUDI IN

TRENTO

DELL’UNIVERSITÀ DI

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arativo, pari a circa il 26% della superficie agricola (coltivati solo per il 23%); 191mila ha occupati da piante da frutto e vigne, pari a circa l’1%; infine 15,6 milioni di ettari ricoperti da boschi e prati naturali. Il settore primario, dunque, offriva ampie possibilità di sfruttamento rispetto alle sue potenzialità poco valorizzate. Lo stesso si poteva affermare rispetto al settore secondario, assolutamente inadeguato sia in relazione alle risorse, sia alle necessità del paese. Per quanto riguardava l’industria, il paese si divideva in tre zone: la zona settentrionale, scarsamente importante in questo settore, quella centrale, in cui si concentrava l’attività industriale del paese e la parte meridionale, che pur non avendo un’industria sviluppata come la zona precedente, vantava alcuni centri importanti6. Il Cile era dunque suscettibile di uno sviluppo notevole, grazie alle molte risorse disponibili, e di ciò si erano resi conto anche i governi radicali che guidarono il paese dal 1938 al 1952. Questi avevano avviato una pianificazione di lungo periodo, volta a stimolare il processo di industrializzazione ed a sostituire le importazioni attraverso un’espansione dell’offerta interna, nel tentativo di migliorare i livelli di vita della popolazione. Nel 1939 era stata creata la Corporación de Fomento de la Producción (CORFO), un istituto statale per lo sviluppo dell’industria con uno spettro d’azione molto ampio, che includeva anche i settori del credito e del commercio con l’estero. L’intervento statale investiva anche il settore agricolo, ma il tentativo di orientare la produzione agricola su coltivazioni intensive al fine di indurre un’espansione accelerata del settore, non diede risultati positivi7. L’ultimo presidente radicale fu Gabriel Gonzalez Videla, originario di La Serena, che ricoprì l’incarico dal 1946 al 1952. Egli, come i suoi predecessori compagni di partito, credette possibile uno sviluppo del paese tale da estendere i vantaggi a tutta la società. Videla aveva promosso lo sviluppo della zona di La Serena attraverso il Plan de fomento y urbanización para las Provincias de Chile8, volto a mi-

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CARVALLO HEDERRA 1947-1948: 31-43; CORONA PELLEGRINI 1987: 246-248; CORFO 1965. STABILI 1991: 58-66. SAGUES 1956; COBO CONTRERAS 1994; TORRENT 2001.

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gliorare le condizioni di vita nella sua regione natale. Il presidente Videla pensava ad un progetto proiettato oltre la sua legislatura, che diventasse un modello per la futura amministrazione dello stato. Il fine del Plan era quello di creare uno sviluppo decentrato, che permettesse alle varie regioni di trattenere i propri abitanti, migliorando le prospettive economiche, le condizioni di vita e l’ambiente circostante, facilitando le comunicazioni e bloccando così l’ininterrotto esodo verso la capitale9. Dal 1948 La Serena era stata oggetto di una sostanziale modifica urbana, economica e sociale. Il Plan si proponeva di aumentare la produzione agricola, l’allevamento, la costruzione di canali per l’irrigazione, il rimboschimento di colline semidesertiche e delle rive del vicino Rio Elqui, nonché di favorire l’industrializzazione tramite la costruzione d’impianti idroelettrici e termoelettrici, non escludendo la promozione del turismo, con la progettazione di una rete di hotel e stabilimenti balneari attrezzati. Inoltre, estendeva la rete viaria, con la costruzione della Carretera Panamericana e del Camino Internacional de San Juan, che collegavano la regione con l’Argentina. Non ultimo, la città subiva importanti interventi architettonici mirati ad una profonda ristrutturazione urbana in relazione alla nascente industria turistica10. Particolare importanza fu data alla bonifica di ampi terreni paludosi circostanti la città, denominati Las Vegas, il cui risanamento era stato progettato fin dal 1805, ma non era mai stata compiuto11. Una parte dei terreni bonificati doveva a costituire la base di un altro aspetto del Plan: l’immigrazione e colonizzazione agricola nella zona. Il Plan includeva, infatti, un’importante politica di immigrazione nell’area interessata, che prevedeva come esperimento iniziale l’arrivo di venti famiglie italiane, cui assegnare altrettanti appezzamenti nelle zone bonificate, cui sarebbe poi seguito l’arrivo di altri contingenti d’immigrati italiani e tedeschi. Le famiglie italiane sarebbero giunte dal Trentino, configurando così una situazione in cui paese d’origine degli emigranti e luogo d’arrivo coincidevano con le terre natale di due importanti rappresentanti istituzio-

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GONZALEZ VIDELA 1975: 1525-1530. SAGUES 1956; COBO CONTRERAS 1994; TORRENT 2001. GONZALES VIDELA 1975: 1155-1164.

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nali: rispettivamente il presidente del consiglio Alcide Degasperi e il Presidente della Repubblica Gabriel Gonzalez Videla12. L’emigrazione trentina in Cile fu possibile grazie ai fondi messi a disposizione dall’European Recovery Programme13, il cui obiettivo era quello di favorire la ripresa economica in Europa. All’Italia furono assegnati 11.300.000 dollari per progetti di emigrazione14. La gestione di tali fondi venne assegnata all’Istituto di credito per il lavoro italiano all’estero (ICLE)15, allora diretto dall’avvocato Tomazzoli, oriundo noneso. Il flusso emigratorio del 1951 fu seguito esclusivamente dall’ICLE e dalla Regione Trentino-Alto Adige. I due enti, in collaborazione con la Caja de Colonización Agrícola16, prepararono un progetto di colonizzazione ed inviarono venti famiglie appositamente selezionate in altrettanti appezzamenti di Las Vegas Sur de La Serena. Il secondo flusso del 1952 fu invece gestito da un nuovo ente, creato all’uopo, denominato Compagnia italo-cilena di colonizzazione agricola (CITAL), formato dall’ICLE, dalla Caja de Colonización e dalla Corporacción de Fomento de la Producción (CORFO)17. La Regione in questo caso non assunse nessun impegno preciso, ma prestò il suo nome ed i suoi uomini all’organizzazione, fungendo da intermediario nella publicizzazione del progetto e nel reclutamento delle famiglie.

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Lo stesso Videla nelle sue memorie ricordava l’importanza delle relazioni personali con il presidente democristiano per la riuscita degli accordi: «La inmigración fue posible gracias a los acuerdos suscritos con el Gobierno de Italia, a los medios que proporcionó el Plan Marshall y a las gestiones personales que yo hiciera con el Primer Ministro De Gasperi, interesado en radicar en Chile a un grupo de campesinos de su tierra natal» (GONZALES VIDELAS 1975: 1165). Conosciuto anche come Piano Marshall. AGA ROSSI 1983; SPAGNOLO 2001. Istituto creato nel 1923 (ma riconosciuto legalmente solo nel 1925) sulle spoglie del defunto Istituto nazionale per la colonizzazione e le Imprese di lavoratori all’estero (INCILE); aveva il compito di finanziare progetti di colonizzazione italiana all’estero, poteva anticipare i fondi necessari alla costruzione di opere all’estero qualora vi partecipassero lavoratori italiani e garantire appoggio alle cooperative e alle collettività italiane che esercitavano la loro attività fuori dal paese. La Caja de Colonización Agricola era stata creata nel 1928 allo scopo di accelerare il processo di suddivisione dei latifondi per mezzo della colonizzazione di terre demaniali o, previa espropriazione, di grandi proprietà private mal coltivate. La CORFO era il più importante organo di credito cileno per le necessità inerenti l’agricoltura. Le sue attività miravano all’incremento della produzione nazionale nel campo dell’industria mineraria, siderurgica, petrolifera e idroelettrica e, anche se in modo subalterno, nel settore agricolo.

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L’emigrazione del 1951 aveva coinvolto venti nuclei familiari, quella del 1952 più di cento, suddivisi in cinque gruppi di partenza. All’arrivo in terra cilena sia i coloni del primo flusso, sia quelli dell’anno seguente furono accolti con grandi manifestazioni di giubilo, ma ben presto si trovarono ad affrontare un mare di problemi. La realtà si presentò ben diversa da quella prospettata nei progetti nonché nei contratti firmati alla partenza: la terra era di difficile lavorazione, mancava l’acqua per l’irrigazione, le case non erano ancora pronte, mancavano i necessari finanziamenti e l’assistenza da parte di tecnici competenti. Il testo proposto ripercorre le tappe di questa vicenda attraverso i documenti prodotti nel corso dell’organizzazione e dello sviluppo del progetto di emigrazione. I documenti sono stati divisi in tre sezioni: la prima riguarda l’organizzazione dell’emigrazione e comprende i progetti di colonizzazione stilati dai tecnici, le attività di promozione dell’Assessorato alle Attività Sociali e Sanità, la relazione dell’arrivo dei coloni in Cile, la legge di approvazione del flusso del 1951, i documenti ad essa connessi ed i contratti firmati prima della partenza dall’Italia. Della seconda sezione fanno parte i documenti riguardanti la permanenza in terra cilena, le ispezioni degli osservatori, i moduli per la richiesta di prestiti e le promesse di pagamento, i tentativi di trovare una soluzione alla difficile situazione nella quale si erano venuti a trovare i coloni. La terza parte riguarda infine gli scambi epistolari intercorsi tra autorità provinciali, regionali, nazionali e consolari nei primi anni settanta, quando, a seguito delle difficoltà insorte nel paese andino a causa dell’elezione del socialista Salvador Allende alla carica di Presidente della Repubblica, diversi trentini scelsero di rientrare in Italia. Nel volume si propongono anche una selezione di articoli comparsi su periodici italiani e cileni relativi all’emigrazione in terra cilena ed alcune foto.

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I documenti presentati rispecchiano i contenuti dei fondi archivistici cui è stato possibile accedere e attingono alla tesi di laurea discussa dalla curatrice presso la Facoltà di sociologia dell’Univesità degli studi di Trento nell’anno accademico 2002/2003 (relatrice: Casimira Grandi). Gran parte dei documenti è depositata in copia presso il Museo storico in Trento (fondo emigrati in Cile). Altri documenti sono stati messi a disposizione da privati. Nella trascrizione è stata rispettata la forma originale; solo raramente, in presenza di macroscopici errori di battitura, si è intervenuti correggendo. È stato altresì scelto di uniformare tutte le sigle delle unità di misura e capacità all’uso odierno. Per facilitare la lettura si è

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fatto ricorso anche ad alcuni accorgimenti grafici, specie nell’uso del corsivo e del maiuscoletto. Desidero ringraziare la prof.ssa Casimira Grandi e il dott. Rodolfo Taiani per il costante supporto e i preziosi suggerimenti offerti. Ringrazio inoltre Stefano Brichetti, don Vittorio Cristelli, il dott. Giorgio Erler, Lucia Fontana, il dott. Bruno Fronza, il dott. Giorgio Grigolli, Ermete Zandonai, le famiglie Giovannella, Divina e Dossi, nonché l’Associazione Trentini nel Mondo. Un ringraziamento particolare va alle famiglie Modena, Dossi e Delpero, alla signora Elsa Valentini Dossi, al prof. Renato Alberini e a Mario Gonzales per l’appoggio che mi hanno fornito in Cile. Ringrazio anche tutti coloro che hanno accettato, senza voler essere nominati, di raccontarmi la loro avventura migratoria e che mi hanno aiutata a districare i fili della complessa vicenda dei trentini in Cile. Non sarebbe stato possibile infine pubblicare questo lavoro senza la disponibilità del Museo storico in Trento, del suo direttore dott. Giuseppe Ferrandi e del suo personale, in particolare Alessandro Pedrotti.

CAPOFAMIGLIA SELEZIONATI PER LA COLONIZZAZIONE DI LA SERENA NEL 1951 Capofamiglia Baldessari Davide Bertolla Egidio Bonani Davide Bonani Liduina Bortolotti Fabio Dallaserra Antonio Dossi Viglio Eccher Vito Giovanella Mario Leita Giacinto Nardon Stefano Nicolodi Giuseppe Olivier Lino Paris Silvestro Petri Costante Pomarolli Mario Pomarolli Silvio Rizzolli Amedeo Rossi Mario Sega Silvio

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Componenti

Provenienza

Occupazione

10 9 9 7 8 13 5 5 9 6 10 9 12 4 6 4 5 13 7 2

Rumo Rumo Rumo Rumo Meano di Trento Rabbi Corne di Brentonico Rumo Cembra Rumo Cembra Cembra Dimaro Rumo Segonzano Ville di Giovo Ton Verla di Giovo Verla di Giovo Sabbionara di Avio

Agricoltore Agricoltore Agricoltore Domestica Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Autista Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore Agricoltore

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CAPOFAMIGLIA SELEZIONATI PER IL 1952

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Capofamiglia

Componenti

Capofamiglia

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Micheli Damiano Piffer Giulio Bertolini Giovanni Migazzi Dario Monti Manfredo Moreschini Primo Tonolli Mario Pedrazzolli Giovanni Stablum Romano Pezzani Alberto Panizza Rodolfo Valentini Luigi Bocher Silvio Rosso Lino Kessler Renato Mengoni Antonio Conforti Mario Costanzi Ernesto Brentegani Enrico Albasini Ernesto Flaim Bruno Galvagni Attilio Bagattini Giuseppe Bettinazzi Luigi Faissingher Carlo Uez Arturo Panizza Massimo Valentini Beniamino Giovannazzi G. Batta Dalbosco Giuseppe Campostrini Fausto Baldo Francesco Erler Decimo

8 7 4 4 7 3 12 4 7 6 12 9 9 5 11 9 8 13 7 11 5 10 9 9 7 7 12 10 10 10 5 9 10

Darigo Giacomo Debortolios Urbano Misseroni Pietro Secchi Severino Gennara Carlo Bello Angelo Cimonetti Danilo Albertini Damiano Delpero Livio Divina Mario Flaim Raffaele Modena Angelo Misseroni Germano Broll Domenico Oliva Enrico Saltori Giuseppe Panizza Mario Cazzanelli Enrico Rossi Mario Abolis Albino Albasini Mario Albertini Annibale Saltori Ezio Albasini Oreste Dallatorre Felice Andrighi Valerio Francesconi Vito Campestrini Olindo Baruzzo Giovanni Gottardi Ferdinando Cavallar Augusto Endrizzi Celestino Svanauer Guglielmo

8 7 13 9 11 14 11 12 10 8 8 9 11 9 5 10 11 8 10 8 9 9 3 8 5 8 8 8 5 5 5 8 3

Capofamiglia Delpero Natale Panizza Francesco Gabrielli Attilio Gabrielli Vittorio Gabrielli Bonaventura Seppi Edoardo Vanzi Erminio Formolo Albino Monti Angelo Lattisi Nemorino Zanoni Aldo Gonzo Guido Pomarolli Donato Giuliani Silvio Slomp Pietro Grazioli Paolo Zandonai Mario Dallaserra Giovanni Panizza Arturo Cova Giusto Dapra Francesco Pangrazzi Carlo Cappellina (squalif) Slanzi Damiano Olivieri Masè Orsola Jori Ermenegildo Delpero Desiderio Delpero Giovanni Tavonatti Dante Masè Anselmo Loss Arcangelo Delpero Giovanni

Fonte: Museo storico in Trento, Fondo emigrati in Cile.

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Componenti 4 5 6 7 6 8 5 7 4 3 5 8 5 6 4 8 16 13 11 14 10 7 4 5 6 9 8 11 8 8 4


Il progetto di colonizzazione

1. Progetto di colonizzazione agricola in «La Vega Sur de La Serena», Cile, redatto dall’Istituto di credito per il lavoro italiano all’estero, 18 novembre 1950 Premessa

La Colonia agricola denominata «La Vega Sur de La Serena», organizzata dalla Caja de Colonización Agrícola Cilena (ente autonomo parastatale di colonizzazione), costituisce un comprensorio irriguo della superficie di 849 ettari, suddiviso in 78 unità colturali, 20 delle quali, per complessivi 239,6 ettari, sono state poste a disposizione della Regione Trentino Alto Adige per il pronto insediamento di altrettante famiglie coloniche. La colonia agricola è situata nella provincia di Coquimbo, Departimento de La Serena, nel tratto compreso tra le città di Coquimbo e La Serena. Tutto il territorio che sta alle spalle delle due cittadine costiere, presenta sicure ed effettive possibilità per una futura colonizzazione italiana, la quale potrà anche assumere forme e aspetti rilevanti. L’esistenza dell’acqua irrigua, elemento determinante di queste possibilità colonizzatrici, non potrà poi non imprimere particolari indirizzi alle attività agricole che verranno sviluppandosi in seno a questa colonizazione.

PARTE PRIMA – L’AMBIENTE Il clima

La zona di La Serena è caratterizzata da clima caldo steppico, con una temperatura media annuale di 14,5° C. (massima 30° C e minima 0° C); l’escursione diurna raramente raggiunge i 10° C. La pioggia è fenomeno raro, tanto che la media annuale delle precipitazioni,

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Il progetto alla prova dei fatti

1. «Relazione presentata dal sig. Giuseppe Andreaus* in merito al suo viaggio effettuato nei giorni 7-17 marzo 1952 in Cile allo scopo di visitare la Colonia Trentina de ‘La Serena’, prendere contatti con la Compagnia Italo-Cilena di Colonizzazione ed Autorità locali, per lo studio di future eventuali possibilità di ulteriori trasferimenti di nostre famiglie in Cile», Trento, 1 luglio 1952 Premessa – La Giunta Regionale Trentino-Alto Adige, a conoscenza che lo scrivente doveva, per ragioni sue personali, effettuare un viaggio nel Sud America (Brasile-Uruguay-Argentina) con nota dd. 14 febbraio 1952, su proposta dell’Assessore alle Attività Sociali, dava allo stesso incarico di ispezionare la colonia Trentina in Cile della Serena per prendere contatti con i coloni stessi e studiare la loro situazione e le ulteriori possibilità di emigrazione di nostri coltivatori. Tale ispezione poté venire effettuata nel periodo 7-17 marzo con il seguente programma: 7/3/52 = Arrivo a Santiago ore 14 – Pomeriggio contatti con Uffici della Compagnia Italo Cilena di Colonizzazione – Santiago (Calle New York 25, 7° piano, Direttore dott. Mariottini) 8/3/52 = Viaggio da Santiago alla Serena e primi contatti con il sig. Zoffoli, elemento di fiducia della Compagnia 8-9/3/52 = Visita alle varie parcelle ed alle famiglie coloniche 10/3/52 = Visita alla nuova zona oggetto di colonizzazione (Vega Norte) e contatto con autorità ed elementi locali 11/3/52 = Idem, indi ritorno a Santiago 12/3/52 = Viaggio a Temuco 13-14/3 = Visita alla zona di Temuco, Freire, Petruquen ed in particolare * Giuseppe Andreaus, perito agrario trentino, nel 1952 durante un viaggio in Sud America effettuato per motivi personali, era stato in visita a La Serena, su richiesta della Regione.

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dell’azienda di 10.000 ettari «Nuova Etruria» oggetto di studio da parte della Compagnia per l’acquisto a scopo di colonizzazione = Viaggio da Temuco a Chillian e Parral = Visita dell’Azienda di San Manuel di proprietà della Compagnia e nella quale sono in corso i preparativi per la nuova colonizzazione = Ritorno a Santiago = Visita ai dirigenti la Compagnia e viaggio di ritorno a Buenos Ayres.

Descrizione della zona nella quale sono stati installati i nostri coloni Come è già noto, i nostri coloni occupano 20 delle 68 parcelle della cosiddetta «Vega Sur» fascia di terreno che si trova fra le due città di La Serena e Coquimbo. Queste due cittadine distano, l’una dall’altra, circa 7 chilometri, per cui parte delle parcelle, pur essendo per la massima parte riunite e continue, si vengono a trovare vicine all’una o all’altra delle due cittadine citate. Questi due centri sono collegati fra di loro oltrechè dalla ferrovia, anche da un servizio continuo di autocorriere che percorrono la distanza in 20 minuti circa. La strada che collega le due cittadine è tutta piana, comodissima ed asfaltata e tutte le parcelle assegnate ai nostri coloni hanno una fronte su tale strada, per cui le comunicazioni ed accessi sono fra i più comodi e facili. Degno di nota il fatto che, a metà strada fra le due città, per espressa volontà del Presidente, è ora sorto un nuovo centro urbano denominato «Peruela» sito lungo il mare e popolato con una ventina di belle casette destinate ai pescatori. Tale centro è dotato di nuovi fabbricati destinati a chiesa, scuole, teatro ed abitazioni per gli insegnanti e per il sacerdote. Salvo due o tre, tutte le parcelle dei nostri coloni sono assai vicine a tale centro costruito ex novo appositamente per i pescatori ed i coloni. Data la sua posizione, tale zona è già ora, ma lo diverrà ancor più in un futuro non molto lontano, un centro balneare di notevole importanza. Tutte le parcelle sono dotate di casa colonica ed una superficie di terreno varia da 9 a 14 ettari. Le casette coloniche, pur avendo i loro difetti, sono confortevoli ed assai decorose. Se si può avanzare qualche osservazione, questa può essere fatta nei riguardi dei locali rurali accessori che mancano assolutamente (magazzini, tettoia, attrezzai, stalla) e per l’acqua potabile che non è molto buona. Manca l’illuminazione, ma la linea passa a poca distanza, per cui in seguito, i singoli potranno derivarla. Per l’acqua invece, a mio avviso, sarà possibile ovviare all’inconveniente aumen-

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I rientri degli anni settanta

1. Le problematiche del Cile studiate dall’assistente sociale Lucia Fontana, Trento, 27 marzo 1972 Un gruppo di venti famiglie rimpatriate dal Cile da circa due anni a questa parte si sono riunite in un Comitato allo scopo di presentare alle Autorità regionali e provinciali i loro problemi. L’Ispettorato previdenza sociale e sanità della Regione è stato incaricato di avvicinare famiglia per famiglia per esaminare i problemi di ciascuno nucleo e presentarli al Presidente Grigolli. L’incarico di tale lavoro è stato affidato il 24 febbraio u.s. all’Assistente sociale Lucia Fontana* che lo sta svolgendo con la collaborazione di due allieve del terzo corso della Scuola Superiore di Servizio sociale. L’analisi delle varie situazioni è in via di ultimazione, per cui fino a questo

* Inizialmente l’assistente sociale Lucia Fontana, dipendente del Centro Regionale di Servizio Sociale, svolgeva tali compiti da sola, supportata da due allieve della scuola di Assistente Sociale di Trento. In seguito fu affiancata dal collega Stefano Brichetti. Era stata una delle prime diplomate della Scuola di Assistenti Sociali di Trento con una tesi dal titolo «Nascite irregolari e rimedi sociali». Subito dopo il diploma si era trasferita in Abruzzo per lavorare nei villaggi distrutti dalla guerra alle dipendenze dell’UNRRACasas. Nel 1952 era stata assunta dal Centro Regionale di Servizio Sociale presso il quale si era occupata di minori per una decina d’anni; in seguito era stata incaricata di servizi in vari settori assistenziali, tra cui una ricerca sulla situazione economicosociale della zona di Mezzolombardo e Mezzocorona in collaborazione con il Centro Studi Economico-Sociali. Nei mesi di novembre e dicembre 1963, si era recata in Valtellina per assistere le popolazioni sfollate in seguito alla sciagura del Vajont. Tornata in Trentino, aveva continuato la sua attività occupandosi delle conseguenze dell’inquinamento industriale sulla popolazione e dello studio di nuovi metodi di assistenza che si erano concretizzati nel «minimo vitale» e nei «servizi a domicilio». Si era trasferita poi presso l’Assessorato regionale all’Assistenza e alla Sanità e dal 1972 si era occupata dell’Ufficio emigrazione.

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momento non si può ancora dare una quantificazione completa dei problemi emersi. Si può invece esprimere una valutazione sulla tipologia degli stessi in ordine di importanza: Problema casa: le famiglie degli immigrati quasi nella loro totalità aspirano ad avere un’abitazione in proprietà, possibilmente in edificio unifamiliare. Per questo chiedono mutui agevolati attraverso leggi emanate appositamente per loro. Solo alcuni di coloro che risiedono attualmente nel comprensorio dell’Adige si accingeranno ad inoltrare domanda di alloggio in locazione in base al Decreto del Presidente della Giunta provinciale n. 8/1369 del 7 marzo 1972. Delle quattro famiglie che hanno presentato domanda sulla legge provinciale 20 agosto 1971, n. 10, tre l’hanno inoltrata in ritardo. Ciò perché ritenevano che per loro il termine ultimo per l’inoltro della domanda fosse quello per gli emigranti e cioè il 15 novembre 1971. L’unica domanda presentata entro i termini è stata accolta favorevolmente. Problema Lavoro: quasi tutti i rimpatriati, non avendo una qualifica professionale e provenendo per lo più dall’agricoltura, hanno trovato lavoro in aziende con lavorazioni pesanti e comunque a bassa retribuzione. Essi reclamano dalla Regione posti di lavoro in Enti pubblici (Comuni, Regione, Provincia, autostrada, cartiera, ecc.), ove possano avere una retribuzione adeguata al mantenimento della famiglia i cui componenti a carico variano mediamente da un minimo di tre ad un massimo di sette, otto figli. Problema previdenziale: i capofamiglia che hanno un’età di 40/50 anni, oltre alla difficoltà di trovare un’occupazione, sono preoccupati per l’impossibilità di ottenere in un domani una pensione adeguata. Si impone il problema di una convenzione fra lo Stato italiano e quello cileno per il riconoscimento dei contributi previdenziali versati in Cile alla «Caja empleados particolares» ed alla «Seguro Hobrero», nonché il riconoscimento degli anni nei quali i coloni hanno lavorato nell’agricoltura. Problema scuola: questo problema è risultato meno pressante dei precedenti. Gli alunni non hanno perso più di uno o due anni di retrocessione nelle classi italiane rispetto a quelle cilene. Tuttalpiù vengono rivolte delle domande per assegni di studio e per l’acquisto dei testi scolastici.

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Echi della stampa

1. Articoli della stampa italiana Una missione regionale si recherà prossimamente nel Cile. Concreta azione dell’on. Helfer per l’emigrazione trentina (Il Popolo Trentino, 11 dicembre 1949). Il problema dell’emigrazione pur essendo tra quelli fondamentali anche la vita della nostra regione, non è certo da poter essere affrontato a cuor leggero per la complessità degli aspetti umani e sociali che esso coinvolge. Pure è ferma intenzione degli organi competenti di giungere anche in questo campo a delle realizzazioni durature partendo dalla triste considerazione che purtroppo il nostro paese non sarà mai in grado di assorbire l’esuberanza della manodopera e di risolvere quindi all’interno il penoso problema della disoccupazione. A conoscenza della passione con cui l’on. Helfer sta studiando il problema ci siamo voluti recare da lui per avere notizia di una recentissima iniziativa che si sta avviando alla sua realizzazione, iniziativa di cui l’onorevole è l’anima appassionata e intelligente. Scartata la possibilità di una emigrazione di manodopera qualificata per l’industria, per il limitatissimo numero di operai specializzati di cui possiamo disporre, esclusa la possibilità di inviare manovalanza negli Stati Uniti, nel Canada, nel Sud Africa e nella Australia per le difficoltà frapposte da questi paese, esclusa la possibilità di assorbimento delle colonie, e soprattutto di quanto d’esse ci rimane, si è esaminata la possibilità di una colonizzazione agricola in quelle regioni che presentassero maggiori possibilità di sfruttamento. Della cosa si è interessato personalmente il Presidente del Consiglio che ha sempre espresso la propria angoscia per il dilagare pauroso del fenomeno della disoccupazione e che ha dato tutto il suo appoggio agli studi che l’on. Helfer andava compiendo in questo campo. È convinzione dell’on. Helfer che anche la emigrazione deve adeguarsi ai tempi mutati e deve sostanzialmente essere seguita e guidata dal Governo

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stesso nonché modellata su forme agili, puntando su elementi capaci e con impiego di vasti mezzi finanziari tali da assicurare iniziali condizioni di vita agli emigranti. I milioni di dollari a disposizione del Governo attraverso il Piano ERP se valgono a creare l’equilibrio nella bilancia commerciale del paese non sono però tali da risolvere il problema della disoccupazione italiana. Si è pensato quindi di chiederne una integrazione e di utilizzarne in parte i risparmi in questa direzione, in modo che l’America venisse a dare il capitale occorrente, l’Italia la manodopera necessaria, il Sud America con le sue affinità ambientali e spirituali rappresentasse il terreno di sfogo di questa esuberanza di manodopera. Ma anche tra i paesi dell’America del Sud non era facile scegliere il più opportuno per un esperimento così impegnativo. Si andò anche qui per via di esclusione: l’Argentina presentava delle difficoltà di ordine politico e finanziario, il Brasile difficoltà di ordine psicologico, il Venezuela difficoltà di clima. Ci si fermò sul Cile che per la sua posizione geografica offre vaste possibilità di sfruttamento agricolo, mentre ha innanzi a sé brillanti possibilità di sfruttamento industriale nei preziosi giacimenti di minerali delle sue montagne. Attraverso il consolato cileno a Genova si intavolarono le prime trattative e il console si dimostrò molto comprensivo delle nostre necessità, proprio delle nostre necessità regionali, accettando che la prima manodopera fosse trentina. Anche le autorità cilene si dichiararono disposte a contribuire con proprio capitale per il controvalore del capitale impegnato dallo stato o da privati o enti italiani. Accertata la buona disposizione l’on. Helfer studiò la procedura più sbrigativa per giungere a risultati concreti. Risultando presumibilmente troppo lenta la normale via ufficiale, si è pensato che lo avvio avrebbe potuto essere curato direttamente da forze regionali, tanto più che la Regione dispone dell’autorità di un competente assessorato per tentare un esperimento pilota, (o indicativo), servendosi di mezzi locali e di manodopera locale, naturalmente solo per il settore agricolo e dello sfruttamento del bosco. Si trovava in quell’epoca nel Cile l’on. Viola che per la approfondita conoscenza dell’ambiente aveva potuto concludere con personali trattative un accordo per una colonizzazione agricola da parte di forze italiane con il

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Le testimonianze dei protagonisti

Ogni persona emigrata ha una storia personale da raccontare ed un suo modo di rileggere gli eventi e le avventure vissute. Eppure nei racconti degli emigrati in Cile nel 1951 e 1952 si ritrova uno sfondo comune, i racconti si richiamano l’un l’altro, supportandosi a vicenda ed acquisendo in questo modo maggior forza. I protagonisti intervistati testimoniano una sorta di storia comune, sulla quale si innestano vicende personali e punti di vista differenti*. La signora E.V. racconta del viaggio in nave dal Trentino a La Serena come una delle avventure più difficili ed allo stesso tempo più affascinanti della sua vita. Partita dal Trentino il 31 ottobre 1952 con il marito e tre figli, si accorge solo sulla nave di essere in attesa del quarto figlio. La prima parte del viaggio in mare non è affatto tranquilla: non appena passato lo stretto di Gibilterra, l’imbarcazione affronta una grossa tempesta. I passeggeri, tutti inesperti naviganti, temono di finire in acqua da una momento all’altro e li si può immaginare mentre pregano a voce bassa, tentano di rassicurare i bambini in lacrime, sapendo di non poter far nulla per evitare l’eventuale catastrofe. E.V. sostiene che nel suo paese natale, Dimaro, proprio quel giorno si era sparsa la voce che la nave fosse naufragata. Una volta superato il fortunale, il mare ritorna calmo «como un vaso de leche», piatto come un bicchiere di latte. In prossimità delle coste americane arriva la parte più entusiasmante e straordinaria del viaggio: la traversata del canale di Panama. I contadini trentini non hanno mai visto in vita loro niente di simile ed E.V. ricorda

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Le interviste cui si fa riferimento sono state efettuate in Cile, a La Serena e Coquimbo, tra il settembre e l’ottobre 2002 e nel corso dello stesso anno anche in Trentino. Nelle due città cilene sono state raccolte nove interviste, mentre quelle condotte in Trentino sono state cinque. Le registrazioni sono conservate presso il Museo storico in Trento.

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Le testimonianze dei protagonisti

Ogni persona emigrata ha una storia personale da raccontare ed un suo modo di rileggere gli eventi e le avventure vissute. Eppure nei racconti degli emigrati in Cile nel 1951 e 1952 si ritrova uno sfondo comune, i racconti si richiamano l’un l’altro, supportandosi a vicenda ed acquisendo in questo modo maggior forza. I protagonisti intervistati testimoniano una sorta di storia comune, sulla quale si innestano vicende personali e punti di vista differenti*. La signora E.V. racconta del viaggio in nave dal Trentino a La Serena come una delle avventure più difficili ed allo stesso tempo più affascinanti della sua vita. Partita dal Trentino il 31 ottobre 1952 con il marito e tre figli, si accorge solo sulla nave di essere in attesa del quarto figlio. La prima parte del viaggio in mare non è affatto tranquilla: non appena passato lo stretto di Gibilterra, l’imbarcazione affronta una grossa tempesta. I passeggeri, tutti inesperti naviganti, temono di finire in acqua da una momento all’altro e li si può immaginare mentre pregano a voce bassa, tentano di rassicurare i bambini in lacrime, sapendo di non poter far nulla per evitare l’eventuale catastrofe. E.V. sostiene che nel suo paese natale, Dimaro, proprio quel giorno si era sparsa la voce che la nave fosse naufragata. Una volta superato il fortunale, il mare ritorna calmo «como un vaso de leche», piatto come un bicchiere di latte. In prossimità delle coste americane arriva la parte più entusiasmante e straordinaria del viaggio: la traversata del canale di Panama. I contadini trentini non hanno mai visto in vita loro niente di simile ed E.V. ricorda

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Le interviste cui si fa riferimento sono state efettuate in Cile, a La Serena e Coquimbo, tra il settembre e l’ottobre 2002 e nel corso dello stesso anno anche in Trentino. Nelle due città cilene sono state raccolte nove interviste, mentre quelle condotte in Trentino sono state cinque. Le registrazioni sono conservate presso il Museo storico in Trento.

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come il capitano stesso fosse sceso nelle stive invitandoli a salire a vedere, perché «l’era una dele sete meraviglie del mondo». E.V. e gli altri passeggeri non nascondono il loro stupore di fronte a questa sorta di miracolo della della tecnica. Le navi entravano in una chiusa e grazie all’acqua che «bolliva sotto» venivano innalzate e spostate in una chiusa posta ad un livello più alto, così per tre volte: «Andavamo en una depresa seca – racconta la testimone nella sua parlata mistilingue –, se levantava el barco co l’acqua che boliva de soto, fino che era a l’alteza de poter andare ne l’altra cierra e poi entrava e dopo si faceva il medesimo gioco e dopo si apriva la terzera e entrava la nave, era ancora asciutto, veniva l’acqua e lì eravamo a la terzera […]. Era una cosa meravigliosa che bisognava propri vederla per crederla, na meraviglia». Una volta passati nell’Oceano Pacifico la nave riprende la sua rotta verso le coste cilene, facendo tappa in Equador ed in Perù. Una volta giunti a destinazione, l’imbarcazione non entra direttamente nel porto di Coquimbo, ma si ferma al largo e fa trasbordare i passeggeri su barche normalmente adibite al trasporto di animali. È in questo momento che gli emigranti entrano in contatto con i cileni per la prima volta. E.V., come altri intervistati, ricorda come già da quel primo impatto abbia ricavato l’impressione di avere a che fare con «buona gente». I viaggiatori sono finalmente giunti a destinazione; la traversata era stata lunga – un mese di viaggio in alto mare – e la stanchezza si fa sentire. E.V., anche a causa del suo stato di gravidanza, si sente talmente stanca da sfogarsi col marito e dirgli «gotami al mar perché no sirvo para far niente», buttami a mare perché non mi sento in grado di fare nulla. Molti testimoni ricordano l’arrivo a Coquimbo come «una cosa meravigliosa e nel medesimo tempo disastrosa». Alle spalle del porto la cittadina sale verso la collina, le casette sono abbarbicate sulla montagna e, con il calar del sole, sembrano tanti presepi, ma, allo stesso tempo, più da vicino appaiono «tute casupole come le tane dei orsi, diciamo», un’immagine certo assai meno poetica. Dal giugno 1951 al febbraio 1953 ci registrano sette arrivi di trentini ed ogni nuovo gruppo si trova ad affrontare immediatamente le problematiche legate alla casa ed alla terra. Le case non sono ancora terminate, mancano la luce elettrica e l’acqua potabile, alcuni immigrati trovano ospitalità in casa di altri compagni di viaggio, un folto gruppo è costretto ad alloggiare addirittura nel convitto dei Padri Barnabiti di La Serena. Inoltre le dimore

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Partenza degli emigranti dal porto di Genova, 1952 (foto di Roberto Divina)

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Indice

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5 Premessa

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7 Introduzione

pag. 19 Il progetto di colonizzazione pag. 97 Il progetto alla prova dei fatti pag. 185 I rientri degli anni settanta pag. 235 Echi della stampa pag. 293 Le testimonianze dei protagonisti

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Agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso numerose famiglie trentine lasciarono i propri paesi d’origine per raggiungere il Cile, per la precisione la provincia di Coquimbo. Le partenze s’inserivano nel progetto di colonizzazione predisposto e seguito prima dall’Istituto di credito per il lavoro italiano all’estero (ICLE) e dalla Regione TrentinoAlto Adige e successivamente dalla Compagnia italo-cilena di colonizzazione agricola (CITAL). Alla base dell’intervento risiedevano gli accordi seguiti fra il presidente della repubblica cilena Gabriel Gonzalez Videla e il primo ministro italiano Alcide De Gasperi. Al loro arrivo i coloni trentini avrebbero dovuto trovare abitazioni nuove in cui alloggiare e terra da coltivare. In realtà la situazione non si presentò così favorevole come i piani avevano fatto immaginare. Le case promesse non erano state ancora terminate e il terreno risultava difficile da lavorare ignorandone composizione e resa. Lo stato delle cose apparve subito assai difficile e non tutti riuscirono a far fronte all’emergenza, o almeno a sostenerla il tempo sufficiente per poter cominciare a cogliere i primi frutti del grande investimento di risorse fisiche ed economiche richiesto. Questo in estrema sintesi il filo della vicenda lungo il quale si snoda il volume curato da Mariaviola Grigolli. Un testo che volutamente ha preferito offrire anziché una ricostruzione storiografica, una selezione di documenti particolarmente significativa. La sua lettura permette di cogliere i molteplici risvolti di una pagina di storia poco conosciuta, dando il giusto riconoscimento al «sacrificio» di centinaia di persone che emigrando in Cile hanno inseguito un sogno di benessere spesso irrealizzato. Sommario: Premessa. Introduzione. Il progetto di colonizzazione. Il progetto alla prova dei fatti. I rientri degli anni settanta. Echi della stampa. Le testimonianze dei protagonisti. Mariaviola Grigolli, laureata presso la Facoltà di sociologia dell’Università degli studi di Trento, collabora con il Museo storico in Trento in progetti di ricerca sui temi di storia dell’emigrazione trentina.

ISBN-10 88-7197-073-X ISBN-13 978-88-7197-073-8 E 20,00

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MUSEO STORICO IN TRENTO ONLUS www.museostorico.it – info@museostorico.it telefono 0461.230482 – fax 0461.237418

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