Lorenzo Gardumi
Lorenzo Gardumi Collabora con la Fondazione Museo storico del Trentino. Ha concentrato la sua ricerca sul periodo della seconda guerra mondiale, approfondendo in particolare lo studio delle stragi di civili nella fase finale del conflitto.
ISBN 978-88-7197-105-6
E 19,50
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Lorenzo Gardumi
Sommario Prefazione di Gustavo Corni; Introduzione; Violenza e popolazione civile in Trentino alla fine della seconda guerra mondiale; La strage di Ziano di Fiemme 2-3 maggio 1945; Preludio alla tragedia: Le Waffen SS verso Stramentizzo e Molina di Fiemme; Il perché di una strage: lo scontro di Miravalle, 3 maggio 1945; Ieri e oggi, la strage di Stramentizzo a sessant’anni di distanza: una ricostruzione attendibile; La memoria delle stragi; Epilogo; Riferimenti bibliografici; Elenchi; Indice dei nomi.
Maggio 1945 «a nemico che fugge ponti d’oro» Lorenzo Gardumi
12 VESTI DEL RICORDO
Il volume propone una ricca ed articolata ricostruzione delle stragi perpetrate nel maggio 1945 nei paesi trentini di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme dalle truppe tedesche in ritirata. Furono protagonisti di questo dramma la popolazione civile, vittima di una guerra votata strategicamente a instaurare il terrore come mezzo di controllo e sottomissione, ma anche i partigiani, i soldati tedeschi e i loro ufficiali. Le stragi della valle di Fiemme, come gli altri luttuosi episodi registrati ovunque sull’intero teatro bellico, riflettono così la realtà delle guerre moderne tese a colpire in primo luogo e programmaticamente i cittadini comuni. Costoro, inconsapevoli comparse sulla scena dei conflitti, ignorano spesso le ragioni e le dinamiche della guerra, in attesa semplicemente della sua fine.
Maggio 1945
Maggio 1945 «a nemico che fugge ponti d’oro»
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vesti del ricordo
Lorenzo Gardumi
Maggio 1945 a nemico che fugge ponti d’oro la memoria popolare e le stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme prefazione di
Gustavo Corni
Fondazione Museo storico del Trentino 2008
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Prefazione Quando finisce una guerra? Quando i generali si incontrano per firmare l’armistizio? Quando il re, o capo di stato, o dittatore di turno, afferma pubblicamente che è finita? Le date che i libri di storia riportano, 4 novembre, 8 maggio, 25 aprile, sono convenzionali; occorre esserne consapevoli. In molti casi, una guerra continua anche oltre la data fatidica scritta nei libri di storia o proclamata dai vincitori. Uno dei più clamorosi esempi recenti è la guerra in Irak, dichiarata ufficialmente e pomposamente terminata dal presidente statunitense Bush nel 2003, alla caduta del dittatore Saddam Hussein; ma noi sappiamo che invece proprio da quel momento è iniziata un’altra guerra, che nessuno ha dichiarato, ma che cionondimeno costa vittime, risorse, lutti, e contribuisce a destabilizzare le relazioni internazionali nell’area mediorientale. Occorre avere chiaro in mente che un conflitto armato nel XX e nel XXI secolo è solo in parte una faccenda che riguarda gli eserciti, i governi, i generali e i dittatori. Le guerre recenti, dalla seconda guerra mondiale in poi, hanno pesantemente coinvolto i civili. Li hanno coinvolti soprattutto come vittime; ma li hanno coinvolti anche come partigiani, come combattenti, come spie, come delatori, come collaborazionisti, schierati dall’una o dall’altra parte per motivi ideologici o nazionali (o di opportunismo). Ed occorre quindi porsi dal punto di vista della gente comune, quando si affrontano le vicende finali di una guerra – come fa Gardumi in questo libro. La scena che egli descrive si svolge nei primi giorni di maggio del 1945 nelle estreme valli settentrionali del Trentino, percorse in quei giorni da colonne di soldati tedeschi in ritirata. Non sono colonne sbandate e disperate; o meglio, disperate lo sono, ma continuano ad avere una notevole potenza di fuoco ed una determinazione feroce a raggiungere ad ogni costo il proprio obiettivo, che è quello di giungere quanto prima entro i confini del Reich per mettersi in salvo. Sono reparti che hanno duramente combattuto sul fronte italiano, ma che alle spalle hanno una lunga esperienza di guerra su altri fronti, soprattutto su quello orientale, nel quale fin dall’inizio sono venuti meno tutti i vincoli alla violenza imposti dalle convenzioni di guerra.
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Insomma, sono soldati sconfitti, ma che da anni sono abituati a comandare, a non temere nessuno ed a colpire con estrema durezza tutti coloro che si oppongono, o che si prevede possano farlo. Questi reparti in ritirata hanno lasciato dietro di sé uno strascico di sangue, colpendo in decine di stragi, piccole e grandi, nelle valli del Nord-est, che stanno percorrendo, per spazzare via qualsiasi minaccia; e ad essere colpiti sono stati i civili, con villaggi bruciati, innocenti messi al muro e fucilati. Gardumi analizza con grande attenzione e con partecipata acribia le stragi nella val di Fiemme, che hanno lasciato fino ad oggi un vivo ricordo in quelle popolazioni, per la loro insensatezza, per la loro inutilità. La memoria di quelle stragi ha seguito il percorso comune a gran parte delle memorie di stragi di civili avvenute in altre regioni d’Italia nel periodo precedente; pensiamo al sanguinoso ciclo delle stragi in Toscana ed Emilia nell’estate del 1944. Il ricordo dolente, talora esacerbato, si è appuntato soprattutto sulle colpe dei partigiani, di coloro che con le loro azioni di guerriglia, o con la loro mera presenza, avrebbero provocato quelle stragi. Ciò è avvenuto anche per le stragi che Gardumi esamina in questo bel libro. Incontriamo quindi i secondi protagonisti principali del dramma che si consuma sulle strade della ritirata: i partigiani. Anche qui occorre essere attenti e cauti e tenere conto del fatto che «partigiano» non è un dato essenziale, ontologico; solo una lettura schematica (e storiograficamente insostenibile) può farci ritenere che i partigiani fossero i buoni, impegnati senza tentennamenti nella nobile impresa di liberare la propria patria invasa, sconfiggendo (o contribuendo a sconfiggere) il «nemico nazifascista» – come spesso si scrive. Schierarsi con i partigiani è frutto di una complessa ed ambigua dinamica, in cui giocano molteplici fattori, fra cui in primo luogo i poderosi istinti della sopravvivenza; per molti, andare «sui monti» significava in primo luogo evitare la deportazione, o l’arruolamento nelle milizie fasciste, e quindi in sostanza significava sfuggire alla guerra. Poi, e non per tutti, ma attraverso un processo faticoso di presa di coscienza, di politicizzazione, i partigiani hanno iniziato ad agire, ad operare sul territorio, contro un nemico molto meglio armato e meglio organizzato. In questo complesso fenomeno – sul quale oltre quindici anni fa ci ha dato magistrali lezioni Claudio Pavone – stanno anche i partigiani dell’ultima ora, gli opportunisti, i voltagabbana, di cui è pieno il mondo (e non solo l’Italia del 1945). Ci stanno anche gli avventati che pensano magari di conquistarsi un momento di gloria, attaccando l’odiato occupante in ritirata. Teniamo
presente che nel Trentino fino a quel momento la presenza militare tedesca era stata piuttosto marginale, anche perché non vi erano motivi di mettere a ferro ed a fuoco una regione in cui (a differenza, ad esempio, del vicino Veneto settentrionale) non vi era un movimento partigiano significativo e davvero minaccioso. Ma i reparti tedeschi in ritirata continuano a ragionare in termini di controllo del territorio, in questo caso per garantirsi un sicuro corridoio di fuga verso Nord; formati da militari ben addestrati e usi ad esercitare il monopolio della violenza sulla popolazione inerme, sono pronti a tutto. Ci troviamo di fronte perciò ad un aspetto dello scontro fra soldati e partigiani, che ha le sue peculiarità, fra cui da parte dei secondi la convinzione (l’illusione) che il nemico in fuga sia più debole e più malleabile. Gardumi ha compiuto un’approfondita analisi di tutta la documentazione disponibile – credo – attingendo soprattutto a fonti giudiziarie, ma servendosi anche con intelligenza di fonti orali. È così in grado di darci una ricca ed articolata ricostruzione delle stragi; certo, i moventi dei partigiani restano indistinti sullo sfondo, e così anche i moventi dei comandanti dei reparti tedeschi in ritirata. Tuttavia, con cadenze quasi da docufition l’Autore propone una serrata e convincente ricostruzione; da essa emerge la complessità della vicenda, che non può essere ristretta alla deprecazione per le «ragazzate» di qualche partigiano dell’ultima ora, che sono costate tanto sangue e tante lacrime. Nel contesto di una guerra programmaticamente volta a terrorizzare le popolazioni civili per sfruttarle e sottometterle, i protagonisti del dramma sono almeno due: i partigiani ed i soldati e ufficiali tedeschi. Le vittime sono in larga misura civili indifesi ed innocenti, che non avevano alcuna idea di cosa significasse guerra partigiana e che attendevano semplicemente che la guerra finisse. In questo senso, le stragi della val di Fiemme riflettono la realtà delle guerre moderne, che colpiscono in primo luogo e programmaticamente la popolazione civile e indifesa. Gustavo Corni
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Introduzione
«C’era il paese di Potkum1 via in cima a un grande pianoro che poteva starci un aeroporto, bello grande, e sulla fronte, di fronte alla strada che passava, c’era tutto il paese, disteso così, un bel paese di contadini e era là tutto che bruciava. Allora abbiamo chiesto cosa succede, han detto che è arrivato il battaglione Mussolini2 che era comandato da un certo Mazzuccato3 di Trieste. Quelli là venivano, circondavano il paese di notte e poi con gli altoparlanti facevano uscire i vecchi, le donne, i bambini e chi portava una veste talare, li facevano uscire dal paese, li accantonavano in un luogo separato e poi incominciavano a mitragliare, a incendiare, e chi restava dentro bruciato oppure usciva veniva falciato dalla mitragliatrice»4. Nel caso di Stramentizzo e Molina di Fiemme e, più in generale, di tutto il Trentino, si può dire che la pressoché totale assenza di un forte e attivo movimento partigiano dal punto di vista operativo, tra il 1943 e il 1945, ha costituito un’ulteriore ragione per criticare le azioni compiute dai partigiani a fine guerra. Si tratta di un’argomentazione assai diffusa, relativa alla reale efficacia della Resistenza in Trentino: se non si è potuto contrastare l’inva È possibile che Denardi faccia riferimento alla strage avvenuta presso il villaggio croato di Podhum presso Fiume (Rijeka), dove, a seguito dell’uccisione di due insegnanti elementari italiani, il mattino del 12 luglio 1942, il paese fu occupato da mezzi blindati italiani, gli uomini vennero arrestati e sottoposti a una selezione. Tutti quelli che avevano tra i 16 e i 60 anni – 120 in totale – furono mitragliati di fronte al resto della popolazione mentre il villaggio fu dato alle fiamme. 2 Nel 1939 sei battaglioni della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN) parteciparono all’invasione dell’Albania. Su tale fronte, nel 1941, furono costituiti alcuni battaglioni d’élite di assaltatori, i cosiddetti battaglioni Mussolini o, più semplicemente, M. 3 Sull’esistenza di tale Mazzuccato di Trieste, è emerso che, nel febbraio del 1944, il Prefetto di Trieste, Tullio Tamburini, nominò maresciallo lo squadrista Sigfrido Mazzuccato, incaricandolo di costituire un reparto di polizia ausiliaria – la squadra politica che avrà sede in via San Michele, nota anche come squadra Olivares. Il reparto fu sciolto nel settembre del 1944 per ordine delle autorità germaniche. 4 Intervista ad Alfredo Denardi realizzata da Lorenzo Gardumi e Matteo Gentilini, 26 maggio 2005.
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sore tedesco per tutta la durata della sua occupazione, per quale motivo scendere in campo quando questi si sta ritirando e sta abbandonando il suolo italiano, sconfitto? Quello che la maggior parte dei Trentini attendeva, come ha sottolineato il partigiano Mario Bernardo riferendosi alle popolazioni delle vallate alpine, non era tanto la liberazione quanto l’arrivo degli Americani. «Più su saliva [l’ondata insurrezionale] e più doveva accorgersi con rammarico che, contro ogni aspettativa, buona parte della popolazione attendeva gli Americani, e non tanto la liberazione»5. Un’attesa che anche tra gli abitanti della val di Fiemme è palpabile: il parroco di Ziano di Fiemme, don Modesto Lunelli6, spiegando i motivi per cui la popolazione locale rimase presso le proprie abitazioni nonostante i tragici eventi del 2 maggio 1945, poneva queste considerazioni. «I più però pensavano che la rappresaglia fosse finita, e aspettavano gli americani, che si dicevano vicini [mentre, invece] l’attesa degli americani si dovette prolungare fino al sabato dopo pranzo»7. Aspettare gli americani, questa è la parola d’ordine per la comunità trentina: la liberazione sarebbe venuta esclusivamente dalle loro mani ed insidiare le truppe tedesche in ritirata avrebbe fornito solo un pretesto per inutili rappresaglie che avrebbero potuto mietere vittime tra la popolazione civile. In tal senso, l’affermazione a nemico che fugge ponti d’oro doveva rappresentare l’imperativo categorico che i partigiani trentini avrebbero dovuto seguire. Nelle interviste raccolte sul campo, quest’adagio ha rappresentato un po’ il filo conduttore di tutti i testimoni, siano essi stati semplici civili o attivi partigiani. Tutti, a sessant’anni di distanza dagli eventi conclusivi la seconda guerra mondiale, sembravano condividere quest’affermazione: bisognava che il nemico se ne andasse indisturbato, facilitandone la fuga ed evitando di intraprendere azioni avventate. Partigiani e civili, tuttavia, trascuravano un aspetto fondamentale: di fronte a soldati abituati all’uso della violenza e guidati da uomini talmente fanatici da non prendere affatto in considerazione l’imminente conclusione del conflitto, a poco sarebbe servita qualsiasi precauzione si 5
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Bernardo 1969: 171. Calavino (Trento), 21 giugno 1906. Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, Testimonianza di don Modesto Lunelli, fasc. 163/1995 Reg. mod. 44.
fosse presa per evitare scontri e vittime innocenti. I risultati emersi dalla ricerca relativamente alla fase finale del conflitto in Trentino forniscono un quadro di violenze e d’illegalità che contribuisce ad allargare e arricchire la visione sin qui percepita di quegli ultimi giorni. Una situazione che, per certi aspetti, accomuna la provincia al resto del panorama nazionale dove l’occupazione nazista fu ben più dura, brutale e protratta nel tempo. La comunità trentina, nel complesso, non subì le stesse pratiche violente per un periodo di tempo prolungato: tutto si risolse, fortunatamente, nel giro di pochi giorni, poco più di una settimana, quella a cavallo tra la fine di aprile – 26 aprile – e i primi di maggio del 1945 – 4 maggio8. Ciò nonostante, se gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca si caratterizzarono per un livello di ferocia contro la popolazione civile elevato rispetto ad una permanenza delle truppe tutto sommato transitoria, chissà cosa sarebbe accaduto se i tedeschi fossero riusciti a costituire una nuova linea difensiva, quella tanto temuta ridotta delle Alpi (Alpen Festung) che turbava il sonno dei comandanti alleati. «La guerra partigiana e l’organizzazione di ridotte9, fortificazioni nelle quali fanatici nazisti avrebbero combattuto a oltranza, potevano rendere molto ardua una totale vittoria alleata e praticamente impossibile una piena pacificazione. I minacciosi avvertimenti di Goebbels10 che gli alleati, una volta che avessero varcato i confini della Germania, avrebbero incontrato una fanatica resistenza popolare organizzata dalle formazioni segrete Wehrwolf11, si erano dimostrati inconsistenti, ma i dirigenti occidentali erano ancora preoccupati dalla possibilità che le ridotte, soprattutto sulle Alpi, potessero servire da punto di riferimento per formazioni di élite come le SS12»13. Dover affrontare nuovi sacrifici proprio quando era evidente che il conflitto 8
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Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, fasc. 46/1996 Reg. mod. 44. Fra virgolette nel testo. Paul Joseph Goebbels (Eheydt, 29 ottobre 1897-Berlino, 1 maggio 1945), uno dei massimi dirigenti nazisti. Dal 1933 fino al 1945, fu Ministro della propaganda. Organizzazione clandestina predisposta dai nazisti sul finire del conflitto che avrebbe dovuto operare, con azioni di sabotaggio e guerriglia, dietro le linee nemiche. Il corsivo è mio. Le Schutzstaffel furono inizialmente squadre di partito a difesa dei comizi nazisti; dopo l’avvento di Hitler al potere, controllarono e dominarono tutta l’area poliziesca trasformandosi in formazione militare d’élite con l’inizio del conflitto e, soprattutto, con il suo proseguire. Aga-Rossi – Smith 2005: 34.
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volgeva al termine era una prospettiva che preoccupava enormemente i comandi alleati e in particolare americani. «Sebbene i comandanti tedeschi sul fronte italiano non vi dessero molto credito, […], le loro controparti anglo-americane erano terrorizzate all’idea di doversi aprire la strada combattendo sulle Alpi italiane e austriache»14. Se le truppe tedesche fossero riuscite a stabilizzare il fronte sulle montagne trentine per più di qualche giorno, il territorio alle spalle di quella linea sarebbe diventato immediata retrovia con tutte le conseguenze che tale situazione avrebbe implicato: altri bombardamenti da parte alleata – questa volta anche con l’uso di artiglierie pesanti campali – ma soprattutto si sarebbe fatta sentire la scarsità di generi alimentari. I militari tedeschi avrebbero imperversato nelle valli facendo un uso indiscriminato della violenza in cerca di generi di sussistenza e di risorse per proseguire la guerra. Questo saggio rappresenta il tentativo di porre sotto una nuova luce gli ultimi giorni del conflitto in Trentino. Si è cercato di evidenziare le peculiarità della situazione locale confrontandola, nei limiti del possibile, alla ben più drammatica realtà di ciò che era stato fino a quel momento il conflitto a livello nazionale e internazionale. Ricostruire quegli ultimi giorni del conflitto è stato possibile grazie ad un «uso combinato di memoria e storia». «L’uso integrato di storia e memoria si rivela interessante soprattutto nei casi in cui il ricorso alla memoria dei sopravvissuti arricchisce e complica il quadro della ricostruzione dei fatti: la storia dei massacri, la complessa vicenda della deportazione nei campi di concentramento […], la Shoah, prima di essere esperienze storiche, sono state esperienze soggettive, tragiche per come sono avvenute, ma anche per l’indifferenza e la diffidenza con cui la storiografia ufficiale le ha [tardivamente] recepite»15. Il ricordo dei testimoni si è dimostrato di estrema utilità per ricavare nuovi elementi che forniscono informazioni oggettive di confronto con la documentazione cartacea, permettendo di allargare lo scenario considerato. Emerge il difficile rapporto tra popolazione civile e partigiani e si rivela nella sua interezza una delle questioni maggiormente legate alle stragi nazifasciste, quella dell’elaborazione di una «memoria divisa»16 che, a partire dal maggio 1945, trovò spazio anche a Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme.
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Aga-Rossi – Smith 2005: 35. Lussana 2000: 1079. Contini 1997.
«In presenza di fatti storici eccezionali per la loro gravità e per le conseguenze che hanno provocato, la memoria diventa, come si è visto nel caso dei massacri, una fonte indispensabile, il cui scopo è misurare la soglia del dramma e del dolore e dar voce alla soggettività dei testimoni. Ma, proprio a partire dalla loro enormità e dalle ferite profonde che solcano il tessuto umano e civile di intere comunità, la materia dei massacri come quella della Shoah, prima di confluire nelle categorie storiografiche che rilevano omogeneità, analogie, cause ed effetti, sono irrinunciabilmente materia del ricordo che rileva invece discontinuità, fratture, irrazionalità della macchina dell’orrore»17. D’altra parte, ricorrere alla memoria orale ha inteso «risarcire» gli stessi testimoni dell’oblio in cui la storiografia ufficiale – ma non quella locale – li aveva abbandonati. Ha voluto «rendere giustizia» dando espressione «alla loro memoria» per troppo tempo isolata rispetto ad un quadro storico ed esperienziale molto più complesso e vario. La raccolta e lo studio delle testimonianze orali, poi, non si sono limitate a quelle relative le stragi della val di Fiemme e hanno inteso recuperare anche informazioni provenienti da altre aree del Trentino interessate dalla ritirata tedesca tra l’aprile e il maggio 1945. Tuttavia, la sola memoria non è sufficiente perché il rischio sarebbe quello di abusarne eccessivamente, d’inventare il passato o di cancellarne una parte: si è quindi cercato di ancorare i ricordi dei sopravvissuti ad una solida base storiografica e metodologica che ha potuto utilizzare documenti prima d’ora mai analizzati. Nel corso del 2005, proprio grazie al proficuo rapporto instauratosi tra il Museo storico in Trento e la Procura militare della Repubblica di Verona, nella persona del Procuratore militare Bartolomeo Costantini, è stato possibile gettare le premesse per questa ricerca. È stato possibile così entrare in possesso, in particolare, dei documenti raccolti dalle autorità civili e dal Comitato di liberazione nazionale (CLN)18 di Cavalese – in parte già conservati dal Museo storico – dei risultati dell’inchiesta condotta dalle autorità militari alleate e delle indagini dei Carabinieri.
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Lussana 2000: 1071. Comitato di liberazione nazionale, organo politico e dirigente della Resistenza italiana costituito a Roma il 9 settembre 1943, immediatamente dopo l’armistizio. Dalla capitale si moltiplicò clandestinamente in ogni metropoli, città e centro abitato del Paese assumendosi la responsabilità di attivare, sostenere e guidare, a livello locale, le formazioni partigiane. Dopo il giugno 1944 e la liberazione della capitale, responsabile per la lotta partigiana nell’Italia ancora occupata dai nazifascisti fu il Comitato di liberazione nazionale regionale di Milano che, da quel momento, mutò in Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia (CLNAI).
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La collaborazione con il procuratore Costantini ha consentito l’acquisizione di due elenchi – redatti, l’uno nell’ottobre 194519 e l’altro nel gennaio 194620, dalla Legione Carabinieri Reali di Bolzano – riguardanti le violenze compiute dai tedeschi contro la popolazione civile durante la loro dominazione nella provincia di Trento. La ricerca si è così indirizzata ad ampliare gli orizzonti delle stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina, venendo a creare i presupposti per una ricostruzione di più ampio respiro che cercasse di delineare con maggiore precisione la situazione del Trentino nei momenti finali del conflitto21. Di grande aiuto è stata la documentazione curata da Carlo Gentile e posta on line a disposizione di ricercatori e semplici appassionati sul sito dell’Istituto storico germanico di Roma (Deutsches Historisches Institut, DHI, in Rom)22. Il materiale riguarda la presenza militare germanica in Italia tra il 1943 e il 1945 ed il suo utilizzo ha permesso di creare una sorta di mappa – in appendice – della dislocazione dei reparti di stanza o di passaggio in Trentino tra il 1943 e il 1945 e, soprattutto, nell’aprile 1945. Per ciò che riguarda, invece, le fonti tedesche è stato inevitabile riprendere la relazione, redatta il 5 maggio 1945, dal tenente colonnello (Obersturmbannführer) Herbert Kappler23. La commissione d’indagine24,
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Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, fasc. 46/1996 Reg. mod. 44. Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, fasc. 163/1995 Reg. mod. 44. L’intera documentazione è conservata in copia presso il Museo storico in Trento: Archivio AB, II parte, busta 20, fasc. 1. Il sito è <www.dhi-Roma.it>, pubblicazioni on line, La presenza militare tedesca in Italia 1943-1945. Soltau (Stoccarda), 23 settembre 1907-9 febbraio 1978. Nominato comandante del Servizio di sicurezza speciale delle SS (Sicherheitsdienst) a Roma nel 1939, cooperò con la polizia fascista durante la guerra. Assunse grande potere in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i tedeschi s’impadronirono della capitale. Responsabile della deportazione di gran parte della comunità ebrea romana, fu nominato comandante della Gestapo di Roma all’inizio del 1944. A seguito dell’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, Kappler fu il maggior responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine in cui persero la vita 335 persone tra detenuti, prigionieri politici ed ebrei rastrellati subito dopo l’attentato. Al termine del conflitto, fu assegnato alla custodia delle autorità italiane nel 1947 e condannato da un tribunale militare al carcere a vita. Nel 1977, riuscì a fuggire durante il ricovero in un ospedale della capitale. In seguito alle stragi, rappresentanti italiani e tedeschi organizzarono una Commissione d’indagine mista, composta appunto dal colonnello Herbert Kappler e dal dottor Marcello Caminiti: la Commissione avrebbe ispezionato i luoghi delle stragi tra il 5 e il 6 maggio 1945.
composta da Kappler e, per il Comitato di liberazione nazionale di Bolzano, da Marcello Caminiti25, produsse due relazioni26 i cui risultati sono stati confrontati con il nuovo materiale a disposizione: indagini che contenevano una breve ricostruzione degli episodi di violenza precedenti alle stragi di Stramentizzo e Molina giungendo, così, a considerare anche lo scontro di Ziano del 2 maggio 1945. In qualche caso, è stato possibile utilizzare la documentazione conservata presso l’Archivio della Corte d’appello di Trento relativa ai procedimenti per collaborazionismo avviati nel dopoguerra e del Tribunale civile di Rovereto. Tutta la ricerca, inoltre, ha dovuto tener conto – e non poteva essere altrimenti – delle più recenti pubblicazioni in materia, di livello sia nazionale sia internazionale, che hanno prodotto nuove metodologie nell’analisi di tali eventi, non tralasciando, tuttavia, di approfondire quelle d’ambito strettamente locale. Tra queste, la più importante è sicuramente quella curata da Giuseppe Pantozzi Il Minotauro argentato: contributi alla conoscenza del movimento di resistenza di val di Fiemme sulla cui scorta di riflessioni intende proseguire il presente saggio.
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Socialista, partecipò alla Resistenza, catturato e rinchiuso nel campo di concentramento di Bolzano, al momento della liberazione entrò nella Prefettura di Bolzano. Museo storico in Trento, Archivio della Resistenza, Relazione concernente il conflitto a fuoco fra le forze del C.L.N. e unità tedesche nella località di Predazzo in Val di Cembra e Relazione in seguito a sopraluogo sui fatti di sangue avvenuti in val di Fiemme nei giorni di maggio 1945, I parte, busta 5, fasc. 8.
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Capitolo Primo
Violenza e popolazione civile in Trentino alla fine della seconda guerra mondiale «Quando sono arrivati i mongoli, a Vezzano è stato un disastro: in piazza, se c’era una ragazza, una donna te la portavano via, così; […] una donna da Fraveggio, una Bressan, l’hanno presa in tre, l’hanno portata dentro nel portico dell’albergo e volevano violentarla e fargli roba. Per fortuna che il Carlo Garbari – era un pezzo d’uomo – ha chiamato l’aiuto di qualcheduno e gliel’hanno tirata via dalle mani. ‘Sta povera donna tremava come una foglia»1.
1. Introduzione Per la particolare situazione geo-politica in cui venne a trovarsi, il Trentino, se posto a confronto con ciò che accadde nel resto del Paese e, più in generale, in Europa, non ebbe a soffrire «troppo pesantemente» l’occupazione militare tedesca. Certo, nel periodo compreso tra il 1943 e il 1945, atti violenti si verificarono ma furono in gran parte rivolti verso coloro che, adottando forme di resistenza attiva o passiva2, cercavano di opporsi al regime d’occupazione. Conseguentemente, si trattò di azioni tese al mantenimento dell’ordine. L’importanza che la linea ferroviaria del Brennero rivestiva per i rifornimenti 1 2
Intervista a Mirta Benigni realizzata da Ettore Parisi, 25 febbraio 2005. Giuliano 2003.
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in uomini e mezzi alle truppe impegnate sul fronte meridionale italiano rappresentava un aspetto sin troppo evidente ai Comandi germanici e al Gauleiter Franz Hofer3. È possibile porre, quindi, una distinzione sull’uso della violenza in Trentino rispetto alle regioni circostanti da parte delle autorità germaniche: nel biennio 1943-1945, l’intervento violento si rivelò strumentale alla politica di basso profilo adottata dagli organi di potere tedeschi. Rispetto al resto del contesto nazionale e in particolare alle regioni confinanti quali il Veneto e la Lombardia, in Trentino non si assiste ad un uso della violenza generalizzato, sistematico, semmai ad un suo uso mirato. Gli eccidi del 28 giugno 19444 e di malga Zonta, avvenuto il 12 agosto 19445, rientrano così nelle coordinate di un’azione militare preventiva tesa, da un lato, a ridurre i rischi di un ulteriore salto di qualità del movimento resistenziale, dall’altro, trattandosi di operazioni di polizia chirurgiche, a non terrorizzare la popolazione civile nel suo complesso. «Terrorismo ‹mirato› insomma: solo sul perimetro di confine della provincia la violenza e l’esazione vennero esercitate nelle forme usuali (per evidenti ragioni profilattiche). E, dato fondamentale, il controllo tedesco sul territorio trentino fu a rete fittissima, asfissiante pari al rilievo strategico della provincia, chiave della principale via di comunicazione tra la Germania e il fronte italiano e delle sue linee d’arroccamento (Valsugana e Val di Non soprattutto)»6. Se, da una parte, si ha netta la sensazione che le vittime del 28 giugno, ad
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Bad Hofgastein (Salisburgo), 27 novembre 1902-Mülheim an der Ruhr, 18 febbraio 1975. Iscritto al partito nazista sin dal 1931, nel 1932 fu nominato dirigente per il distretto di Innsbruck e, successivamente, per la regione del Tirolo-Voralberg. Spostatosi in Germania, una volta che il partito nazista fu dichiarato illegale in Austria, fu incaricato dapprima della guida dei gruppi nazionalsocialisti illegali del Tirolo e, dal 1937, dell’assistenza ai nazisti austriaci rifugiatisi nel Reich; nel maggio del 1938, a seguito dell’annessione dell’Austria alla Germania, divenne Gauleiter nel Tirolo-Voralberg, cioè rappresentante del partito e capo del governo regionale. Dopo l’armistizio italiano del settembre 1943, fu incaricato dell’amministrazione della Zona d’operazioni Alpenvorland o delle Prealpi comprendente le province di Trento, Bolzano e Belluno. In un solo giorno, grazie alla delazione di un infiltrato, Fiore Lutterotti, la Gestapo e le SS organizzarono un’operazione di polizia allargata sul territorio che portò alla cattura e all’uccisione sul posto a Rovereto, Riva del Garda, Trento, Nago e Torbole di numerosi appartenenti al movimento resistenziale trentino. Nell’estate del 1944, i comandi germanici dettero avvio ad una serie di rastrellamenti ed operazioni antipartigiane in tutto il nord Italia. A malga Zonta, nei pressi di Folgaria, 17 persone tra partigiani vicentini, in attesa di un lancio alleato, e malgari furono fucilate dopo essere state accerchiate da forze tedesche preponderanti. Jouvet 2000: I, 580.
esempio, rappresentino per le autorità tedesche un avvertimento rivolto all’opinione pubblica trentina a significare l’ineluttabile destino di chiunque si fosse opposto al regime nazista, contemporaneamente vige la necessità di non attuare una strategia terroristica indiscriminata. L’atteggiamento nazista adottato in Trentino, in relazione all’uso e alle conseguenze della violenza, è, quindi, maggiormente dissimulato. La popolazione locale non fu mai costretta ad assistere a fucilazioni o impiccagioni, a quella rappresentazione voluta della morte attraverso l’esposizione dei cadaveri di partigiani e oppositori, così sinistramente comune, invece, ad altre realtà territoriali dove il movimento partigiano fu più attivo7. «Sul versante della repressione occorre riflettere sulle oggettive specificità risultanti, ci sembra, dalla nostra esposizione: per esempio sullo sterminio di undici resistenti tra Rovereto e Riva il 28 giugno, fulminati ognuno nella rispettiva abitazione o studio professionale con la rinuncia persino all’interrogatorio (oltre che alle consuete esibizioni dei cadaveri suscettibili di risvegliare la commozione popolare) o al simulacro di legalità architettato con processi a pene differenziate»8. Sussiste la volontà di mantenere segreta non tanto la notizia delle uccisioni9 quanto la visione dei cadaveri successiva alle esecuzioni: il decesso di Angelo Bettini10 – tra le vittime dell’eccidio del 28 giugno 1944 – ne è un chiaro esempio. Analizzando la dinamica del suo assassinio, sembra emergere la volontà di mantenere comunque segreta la visione dell’esecuzione – l’omicidio avviene, infatti, non sulla pubblica via ma tra le pareti dello studio legale11 – tanto che la gendarmeria di Rovereto comunicò al 7
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Per restare solo alle regioni confinanti con il Trentino, si pensi, ad esempio, alle impiccagioni di Bassano del Grappa o di Belluno o all’esibizione dei resistenti giustiziati a Piazzale Loreto, a Milano. Jouvet 2000: I, 580. Nelle notizie diffuse a mezzo stampa, anche a distanza di giorni dagli eventi, i resistenti e i partigiani vengono sempre dipinti quali banditi: si veda l’articolo apparso sul quotidiano Il Trentino il 29 luglio 1944, relativo alla condanna a morte dei partigiani Tullio Franch, Armando Bortolotti, Angelo Peruzzo e Manlio Silvestri, dal titolo «Al Tribunale Speciale. Cinque banditi condannati a morte». Rovereto (Trento), 6 settembre 1893-28 giugno 1944. Laureato a Padova in giurisprudenza, esercitò la professione di avvocato. Consigliere comunale socialista di Rovereto tra il 1922 e il 1923, nel 1925 subì violenze da parte dei fascisti e fu poi sottoposto a continue restrizioni nella libertà personale. Attivo nel movimento di resistenza durante l’occupazione tedesca, il 28 giugno 1944 fu ucciso nel corso di una retata contro l’organizzazione resistenziale del Basso Sarca e di Rovereto. Rasera 2004: 23.
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Capitolo Secondo
La strage di Ziano di Fiemme 2-3 maggio 1945 «Ho visto mio padre piangere lì davanti alle case, tutto una rovina, perché i pompieri han potuto far poco, perché insomma è diventato un cumulo di cenere, e mia madre lì. Siamo rimasti senza soldi, siamo rimasti senza casa»1.
1. Introduzione Pur anticipando di poche ore le stragi di Stramentizzo e Molina di Fiemme, i fatti di Ziano del 2 e 3 maggio 1945 presentano, accanto alle evidenti analogie, significative differenze. È chiaro che, come Stramentizzo e Molina, anche Ziano viene ad inserirsi quale episodio di violenza all’interno di una situazione d’incertezza coincidente con la firma dell’armistizio in Italia e la ritirata di reparti dell’esercito germanico verso il Brennero. È proprio lo stesso giorno dell’armistizio che segna la fine delle ostilità sul fronte italiano, il 2 maggio 1945, che si scatena l’azione tedesca a Ziano. Il materiale pervenuto dalla Procura militare di Verona circa questi avvenimenti non è ricco di testimonianze come quello riguardante Stramentizzo e Molina e non presenta, pertanto, i risultati delle indagini condotte dagli Alleati. Gli ufficiali americani ignorarono totalmente ciò che accadde a Ziano. Le quattro testimonianze acquisite rappresentano il risultato del 1
Intervista a Renzo Vanzetta realizzata da Lorenzo Gardumi e Matteo Gentilini, 9 giugno 2005.
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lavoro svolto, nel luglio 1945, dai Carabinieri di Predazzo e dalla Legione dei Carabinieri di Bolzano2; ad ampliare le fonti a disposizione sono le video-interviste condotte sul campo e il materiale memorialistico scritto.
2. La guerra è finita anche a Ziano di Fiemme? Don Modesto Lunelli, nella testimonianza fornita ai carabinieri di Predazzo il 12 luglio 1945, poneva alcune interessanti considerazioni generali sull’atteggiamento complessivo della popolazione locale durante l’intero arco dell’occupazione tedesca tra il settembre 1943 e il maggio 1945. Nonostante «il continuo timore e direi quasi il terrore generato dal comportamento delle truppe tedesche» che «presidiavano la valle», secondo il sacerdote, la comunità si era mantenuta «calma e disciplinata […], aspettando con ansia il giorno della liberazione»3. Lino Svegliado4, nella sua Relazione cronologica ed obiettiva dei fatti successi a Ziano di Fiemme, ricordava che «la popolazione […] di Ziano e Predazzo […] si era mantenuta calma e tranquilla, fin dall’inizio della guerra». [Solo verso la fine del conflitto], «i Tedeschi […] cominciavano ad irritare lentamente la popolazione […]; ma la gente sapeva controllarsi […] soffocando tra le mura domestiche i propri, legittimi risentimenti»5. Questo clima di attesa parve trovare un felice epilogo il 2 maggio 1945: già nel pomeriggio, come rammentò don Lunelli, «circolavano voci di armistizio» che trovarono in parte conferma in una telefonata giunta «al Municipio dalle autorità di Predazzo»6. L’unico evento che Svegliado, al contrario, registrava era l’aumentare del traffico di «automezzi e truppe tedesche»7 in entrambi i sensi di marcia lungo la strada statale che attraversa 2
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Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, fasc. 163/1995 Reg. mod. 44. Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, Testimonianza di don Modesto Lunelli, fasc. 163/1995 Reg. mod. 44. Cittadella (Padova), 4 febbraio 1902. Segretario comunale di Predazzo e di Ziano, dirigente dei servizi annonari e dei due uffici comunali dell’agricoltura. Museo storico in Trento, Archivio della Resistenza, Relazione cronologica ed obiettiva dei fatti successi a Ziano di Fiemme di Lino Svegliado, II parte, busta 20, fasc. 2. Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro ignoti, Testimonianza di don Modesto Lunelli, fasc. 163/1995 Reg. mod. 44. Museo storico in Trento, Archivio della Resistenza, Relazione cronologica ed obiettiva dei fatti successi a Ziano di Fiemme di Lino Svegliado, II parte, busta 20, fasc. 2.
Capitolo Terzo
Preludio alla tragedia le Waffen SS verso Stramentizzo e Molina di Fiemme «Mi ricordo un particolare che avevano un interprete giovane, era in borghese, ed era da Padova, le prime parole che ha detto parlate meno che potete con me, domandarmi proprio quello che è indispensabile. Niente, capita l’antifona, quello che c’era da dire, a parte che noi non dicevamo niente perché comandavano loro, facevano tutto quello che volevano. Però questo qui si vedeva che aveva paura»1.
1. Introduzione Considerata quale cronaca dei fatti svoltisi a Stramentizzo e Molina di Fiemme il 3 e 4 maggio 1945, la seconda parte de Il Minotauro argentato2 di Giuseppe Pantozzi risulta un lavoro approfondito e attento a porre sotto una diversa luce i tragici episodi della val di Fiemme rispetto soprattutto alle pubblicazioni che l’hanno preceduto3. Quello che manca, tuttavia, è il tentativo di ricostruire sin dall’inizio il percorso compiuto dal reparto SS in ritirata dal monte Altissimo, nel Trentino sud-occidentale, dove si trovava ad operare tra la fine d’aprile e i primi di maggio 1945. Questa non vuole essere assolutamente una critica al lavoro compiuto 1
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Intervista ad Albino Pellegrini realizzata da Lorenzo Gardumi e Matteo Gentilini, 9 marzo 2005. Pantozzi 2000: 134-156. Marangoni 1974; Pernbrunner Bazzanella 1987; Bortolotti 1993.
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da Pantozzi. La ricerca intende approfondire ulteriormente, sul solco da lui tracciato, le caratteristiche di quest’unità e allargare le considerazioni in parte poste dall’autore stesso, arricchite dalle informazioni ricavate dai nuovi documenti a disposizione. Per ciò che riguarda l’identificazione del reparto o, meglio, dei reparti che furono responsabili delle stragi avvenute nella val di Fiemme, il materiale proveniente dalla Procura militare di Verona fornisce solo pochi, anche se utili, elementi. Confrontando i dati riportati sul sito dell’Istituto storico germanico di Roma4 con la ricerca condotta da Michael Wedekind5, è stato possibile identificare il reparto delle Waffen SS di stanza nella zona di Predazzo e Moena tra il 1944 e il 1945.
2. Predazzo: la Kampfgruppe Schintlholzer Nei primi mesi dell’occupazione, i Comandi germanici installarono a Predazzo due scuole d’addestramento: la Scuola di guerra alpina delle Waffen SS (Gebirgskampfschule der Waffen SS) e la Scuola d’alta montagna Predazzo (SS Hochgerbirgsschule Predazzo). I soldati tedeschi alloggiavano presso gli stessi locali precedentemente occupati dagli allievi della Scuola alpina della Guardia di Finanza e abbandonati dai militari italiani dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Queste due scuole rappresentavano la sede distaccata di un altro istituto militare con sede a Neustift im Stubaital, località vicino ad Innsbruck: mentre al primo giugno 1944 questa scuola ospitava il 1. Gruppo addestrativo (Lehrgruppe I), quella di Predazzo, oltre alle Waffen SS, accoglieva paracadutisti (Fallschirmjäger) appartenenti al 2. Gruppo addestrativo (Lehrgruppe II)6. Quest’ultimo si presume sia stato il reparto7 responsabile della strage di Ziano. Secondo Carlo Gentile, la Scuola di guerra delle Waffen SS iniziò la sua 4 5 6 7
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<www.dhi-Roma.it>, giugno 2007. Wedekind 2003. <www.dhi-Roma.it>, giugno 2007. È probabile che si trattasse di un reparto di paracadutisti, in addestramento presso la scuola di Predazzo, facente parte dell’organico della famigerata 1. Divisione paracadutisti corazzati Hermann Göring (1. Fallschirmjäger-Panzer-Division Hermann Göring). In particolare, la ricerca di Gentile ha messo in luce un reparto, la Kampfgruppe Schmid, operante durante l’estate del 1944 nel settore orientale della linea gotica, e appartenente alla SS Hochgerbirgsschule. Agli ordini del Comandante regionale delle SS e della Polizia nell’Italia del Nord-Est (SS- und Polizeiführer Oberitalien-Mitte), il reparto si rese responsabile di alcune azioni antipartigiane.
Capitolo Quarto
Il perché d’una strage lo scontro di Miravalle, 3 maggio 1945 «La questione di Stramentizzo […] non dobbiamo dar colpa ai partigiani di Stramentizzo, la colpa è del Miravalle»1.
1. Introduzione Ciò che rimane di Stramentizzo è la sua memoria. Il paese, fisicamente, non esiste più essendo stato inghiottito, nella seconda metà degli anni cinquanta, da un invaso del fiume Avisio2. Non è stato possibile tornare sul luogo del delitto. L’abitato fu fatto saltare con la dinamite e poi sommerso dall’acqua. La comunità originale fu costretta ad abbandonare Stramentizzo vecchio e a disperdersi nei centri abitati lungo la val di Fiemme. In occasione del sessantesimo anniversario della fine della guerra, il canale satellitare «History channel» ha trasmesso il documentario del regista padovano Andrea Prandstraller relativo all’eccidio di Pedescala avvenuto tra il 30 aprile e il 2 maggio 1945. Il documentario, intitolato Anatomia di un massacro, andato in onda il 29 aprile 2005 e riproposto nei mesi successivi, tentava di ricostruire momento per momento, attimo per attimo, ciò che accadde in quelle giornate a Pedescala attraverso le parole dei 1
2
Intervista a Quintino Corradini realizzata da Lorenzo Gardumi e Matteo Gentilini, 6 aprile 2005. Stramentizzo vecchio fu demolito nell’estate del 1956 per creare una centrale per la produzione di energia elettrica: il paese veniva così sacrificato per la modernizzazione industriale ed infrastrutturale dell’intera provincia.
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sopravvissuti, civili e partigiani. Prandstraller ebbe l’opportunità d’essere accompagnato in questa sua ricostruzione dai testimoni. Lungo le vie e tra le case del paese, visitò i luoghi dove persero la vita 82 persone, vittime di una rappresaglia da parte di un reparto tedesco in ritirata. I ricordi dei protagonisti venivano accompagnati dalle riflessioni di Paolo Pezzino, docente di storia presso l’Università degli studi di Pisa, e di Luca Valente, storico locale. Si avvalevano, inoltre, dei contributi dei Procuratori militari di Roma, Antonio Intelisano, e di Padova, Sergio Dini. Le scene si spostavano da Pedescala a Washington e al Bundesarchiv di Friburgo alla ricerca, grazie alla collaborazione di Carlo Gentile, di nuovo materiale e di informazioni direttamente dagli archivi tedeschi. Tutto il dramma e la sua rielaborazione successiva da parte dei sopravvissuti ruotavano intorno un attacco sferrato dai partigiani ad una colonna di militari tedeschi diretta verso Trento: il problema era stabilire chi avesse sparato il cosiddetto primo colpo3. Il confronto tra comunità e partigiani si fondava essenzialmente su questo aspetto. Secondo la comunità di Pedescala, i partigiani erano i veri responsabili della rappresaglia tedesca in quanto, appostati sui monti circostanti, avevano aperto il fuoco su soldati tedeschi; i partigiani, al contrario, ritenevano che il primo colpo fosse stato sparato da qualche giovane irresponsabile del paese. Similmente a quanto accadde a Pedescala, le stragi di Stramentizzo e Molina di Fiemme, nella memoria della comunità e dei partigiani, sono rimaste in parte legate allo scontro avvenuto presso l’albergo Miravalle il 3 maggio 1945. Addirittura, per certi versi, il ricordo si fa confuso tra gli stessi partigiani tanto che la posizione tenuta da alcuni di loro è del tutto simile a quella degli abitanti di Stramentizzo. Silvio Corradini4, Ettore Garzia5 e 3
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Gli esempi di rappresaglie tedesche considerate dalla popolazione civile quali conseguenze di uno scontro o di una sparatoria con i partigiani non mancano – ad esempio, le stragi di Civitella val di Chiana e di Guardistallo avvenute in Toscana nel giugno 1944. Tuttavia, proprio relativamente al caso toscano, la percentuale di stragi compiute a seguito di uno scontro con i partigiani è notevolmente inferiore rispetto alla totalità delle stragi censite. Molina di Fiemme (Trento), 20 aprile 1901-1980. Socialista, tra il 1923 e il 1924, fu arrestato a Milano per aver distribuito clandestinamente volantini di propaganda politica antifascista. Condannato a cinque anni di confino, in quel periodo si avvicinò alle posizioni del Partito comunista anche per le frequentazioni con Umberto Terracini. Rientrato a Molina, dopo l’8 settembre 1943, fu tra gli organizzatori della resistenza in val di Fiemme divenendo commissario politico della formazione operante in quella zona fino alla fine del conflitto. Cavalese (Trento), 25 dicembre 1909.
Capitolo Quinto
Ieri e oggi, la strage di Stramentizzo a sessant’anni di distanza una ricostruzione attendibile «Quando siamo arrivati al ponte l’aria era cupa, era un giorno un po’ pesante, e si sentiva, sentivamo che c’è qualcosa che succede»1.
1. Introduzione Per una ricostruzione il più possibile attendibile si è ritenuto utile confrontare le testimonianze di civili e partigiani raccolte dagli ufficiali americani nell’estate del 1945 con quelle ricavate dalle video-interviste effettuate sul campo. Purtroppo, a sessant’anni di distanza, non è stato possibile avere a disposizione lo stesso numero di testimoni di cui si avvalse l’inchiesta condotta dagli ufficiali alleati tra il maggio e il giugno 1945, e questo per due ragioni. La prima, una ragione per così dire «naturale» legata all’arco limitato della vita umana, non ha permesso di raggiungere la maggior parte di coloro che furono presenti in quei momenti. Questo vale soprattutto per i partigiani che riuscirono a salvarsi alla strage; dei ribelli della val Cadino solo Quintino Corradini ha potuto fornire un suo resoconto che, per quanto importante, non essendo stato presente a Stramentizzo la mattina del 4 maggio, riporta le informazioni ottenute dagli altri partigiani. Rappresenta, quindi, una 1
Intervista a Liduina Pergher realizzata da Lorenzo Gardumi e Matteo Gentilini, 6 aprile 2005.
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152 Stramentizzo e Molina di Fiemme
Capitolo Sesto
La memoria delle stragi «Ognuno aveva una storia diversa da raccontare perché ognuno ha fatto un’esperienza diversa quel giorno: ma noi, che i partigiani vivevano lì vicino, l’abbiamo fatta così»1.
1. Introduzione Non è qui il caso d’impostare un discorso metodologico/storiografico intorno al tema della memoria, sull’utilizzo e sull’interesse suscitati negli ultimi anni dalla raccolta e dallo studio delle fonti orali quali strumento della ricerca storica. L’analisi si limiterà, semmai, ad individuare i perché del formarsi di memorie diverse e contrapposte per le stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme. Pur avendo evidenti punti di contatto con le memorie delle stragi venutesi a delineare in altre zone del Paese colpite dalla «furia» germanica, presentano d’altra parte determinate peculiarità. L’intento, in altre parole, è cercare di comprendere i motivi per cui le comunità della val di Fiemme furono attraversate al loro interno da un’analisi divergente sulle vere responsabilità della strage e perché il loro ricordo rimase così fortemente circoscritto ad un ambito strettamente territoriale.
2. La memoria esterna 2.1 Una giustizia mancata tra le tante
È necessario, innanzitutto, partire da un dato di fondo che ha caratterizzato a livello nazionale tutte le stragi di civili compiute dai nazifascisti in Italia tra Intervista a Liduina Pergher realizzata da Lorenzo Gardumi e Matteo Gentilini, 6 aprile 2005.
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il 1943 e il 1945. L’aver adottato cioè quella che Toni Rovatti ha chiamato «politica della dimenticanza»2, una politica che fonda la sua azione sull’aver negato qualsiasi tipo di giustizia, in primis quella penale, alle comunità colpite dalla violenza nazifascista. «Dei 400 casi di stragi accertate, solo una decina diedero luogo a un processo. Per il resto, tutti i procedimenti furono insabbiati e le 15.000 vittime non ebbero giustizia. Fu una ferita della memoria che a lungo ha pesato sulla possibilità di costruire una visione solidale della tragedia della guerra civile: le vittime possono anche perdonare i carnefici, possono anche comprenderne le ragioni, a patto però che i carnefici paghino le loro colpe, riconoscano i propri torti e che la giustizia sottragga il contenzioso tra torti e ragioni alle faide e ai rancori privati»3. I casi di Stramentizzo e Molina di Fiemme rientrano in questa politica. Nel corso della ricostruzione, si è tentato di portare in evidenza le responsabilità dei partigiani, dei civili e, soprattutto, quelle criminali dei tedeschi. Tuttavia, esistono colpe che, gettando un cono d’ombra negli anni a seguire, a partire da quel 4 maggio 1945 fino ad oggi, contribuirono senz’altro a giustificare, nella memoria e nella coscienza della comunità locale, il rancore dei civili verso i partigiani in maniera tale da essere considerati quali unici responsabili della strage. Prima fra tutte, quella degli Alleati ed in particolare degli ufficiali americani della 5. Armata USA che condussero le indagini nelle settimane successive agli eventi: tra i loro demeriti, quello di colpevolizzare immediatamente i partigiani. In una lettera del 7 maggio 1945 e diretta alla Polizia militare alleata di Predazzo, il Sindaco Giuseppe Morandini, relativamente agli eventi del 2, 3 e 4 maggio, affermava di aver preparato una «dettagliata documentazione fotografica». Invitava le autorità militari alleate ad agire subito anche perché «i colpevoli membri delle SS tedesche sono ora presso i loro accantonamenti qui a Predazzo e possono essere identificati da molte persone». Il Sindaco, «a nome della popolazione valligiana e del Comitato di Liberazione nazionale di Trento»4, sollecitava le indagini affinché «nel momento in cui i membri delle SS saranno condotti via da Predazzo in qualità di prigionieri, siano consegnati ad un tribunale di guerra come 2
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3 4
Rovatti 2004: 121. De Luna 2006: 140. Procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, Procedimento penale contro Alois Schintlholzer, fasc. 776/1996 Reg. mod. 22.
Capitolo Settimo
Epilogo 1. Introduzione Ha ragione Paolo Pezzino quando, trattando dei civili vittime delle rappresaglie tedesche, afferma con forza che si tratta di «uno stravolgimento del giudizio storico addebitare in linea di principio la responsabilità di quei costi ai partigiani»1, una posizione questa sostenuta anche da altri storici2. Utilizzare unicamente la categoria della rappresaglia per spiegare i massacri di civili compiuti dai reparti germanici non è sufficiente e dal punto di vista dell’analisi storiografica ormai è assolutamente inaccettabile – anche perché in nessun caso era prevista dal diritto e dalla legislazione internazionale di guerra3. Le motivazioni che sono alla base delle atrocità e delle violenze contro la popolazione civile sono diverse e variano a seconda del territorio in cui i reparti vengono ad operare. Nel caso delle stragi di civili avvenute in val di Fiemme nel maggio 1945, s’incrociano, pertanto, differenti valutazioni da parte dei comandanti militari tedeschi sul campo che fanno riferimento a precise «esigenze militari»4. A queste se ne aggiungono altre predominanti, contraddistinte da sentimenti quali rabbia e sete di vendetta per la sconfitta ormai palese. Dall’altra parte, invece, vi è la sostanziale impreparazione e l’irresponsabile leggerezza con cui i partigiani tentano di bloccare il flusso di truppe tedesche in ripiegamento e, soprattutto, di disarmarle con azioni che, organizzate nelle vicinanze dei centri abitati, mettono in pericolo l’incolumità degli abitanti. 1 2 3 4
Pezzino 1997: 216. Focardi 2003: 420-421; Tognarini 2002: LXII. Gallo 2000: I. Gribaudi 2005: 69.
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Allo stesso modo bisogna confutare la versione che per molti decenni in Trentino ha dipinto i tedeschi, durante il periodo dell’Alpenvorland, unicamente quali rigidi fautori dell’ordine costituito, di un’autorità che non era nemmeno lontanamente parente di quella tradizione asburgica tanto rimpianta dalla comunità locale. Nel biennio 1943-1945, la politica tedesca in Trentino si fondò su specifiche coordinate, indirizzi particolari sia nella gestione delle risorse locali sia, soprattutto, in un uso meditato e mirato della violenza. Si trattava di contrastare sul nascere qualsiasi sviluppo di lotta armata mostrando il vero volto dell’occupante solo alla fine del conflitto.
2. L’esperienza di guerra dei partigiani... Nella prima parte de Il Minotauro argentato, Giuseppe Pantozzi pone una ricostruzione lucida ed efficace del movimento partigiano fiemmese prendendo in considerazione l’intero periodo d’attività, dai momenti successivi l’armistizio del settembre 1943 fino all’arrivo degli americani. Quello che emerge con chiarezza dalla sua analisi sono le difficoltà operative del movimento, la sua capacità nel fare o meno progressi e, soprattutto, la sua debolezza dinnanzi ai colpi sferrati dai tedeschi con stupefacente precisione. È necessario, quindi, fare brevemente riferimento, sulla base della pubblicazione di Pantozzi, allo sviluppo del movimento resistenziale della val di Fiemme al fine di comprenderne meglio natura e deficienze proprio nei momenti finali della guerra. La raccolta di armi e il comporsi dei primi contatti iniziarono già subito dopo l’8 settembre e proseguirono nell’autunno 1943. Solo nel gennaio 1944 nacque a Cavalese il primo CLN con la partecipazione di Ariele Marangoni, Mario Leoni, Andrea Mascagni, Giovanni Tosca, Giovanni Franzellin5 e Anna Clauser Bosin6. «Tre dei componenti di quel comitato erano trentini (Bosin, Franzellin, Leoni), due erano bolzanini sfollati in Fiemme (Marangoni, Mascagni), uno era un emiliano trovatosi al nord per il servizio militare (Tosca)»7. Dal punto di vista ideologico, il gruppo era sostanzialmente omogeneo, non vi era cioè la predominanza di una fazione politica sulle altre: rappresentanti 5
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6 7
Cavalese (Trento), 26 ottobre 1900-1960. Farmacista. Fu tra i primi ad aderire al movimento di opposizione fornendo un notevole contributo sul piano ideale e materiale. Cavalese (Trento), 11 giugno 1911-1968. Pantozzi 2000: 27.
Indice
Prefazione di Gustavo Corni
5
Premessa
9
Capitolo Primo: Violenza e popolazione civile in Trentino alla fine della seconda guerra mondiale
17
1. Introduzione
47
2. Violenze ai danni di civili precedenti alla fine della guerra: maggio 1944-marzo 1945
22
3. Depredazioni, rapine e popolazione civile: aprile-maggio 1945
27
3.1 Valle dei Laghi
27
3.2 Valli Giudicarie
30
3.3 Valsugana
30
4. Uccisioni individuali di civili in Trentino: aprile-maggio 1945
35
5. L’ultima vendetta: le uccisioni dell’aprile-maggio 1945
38
5.1 I resistenti
38
5.2 Sconfitta e diserzione
41
5.3 Tre esempi di «rappresaglia minacciata»: Revò, Andalo, Vezzano
46
5.4 Uccisioni di civili e partigiani: i casi di Verla di Giovo, Aldeno e Vigolo Vattaro 6. Conclusioni
49 61
363
364
Capitolo Secondo: La strage di Ziano di Fiemme: 2-3 maggio 1945
63
1. Introduzione
63
2. La guerra è finita anche a Ziano di Fiemme?
64
3. La giornata del 2 maggio 1945: un tentativo di disarmo
67
3.1 La relazione dei Carabinieri di Bolzano
67
3.2 La versione tedesca
68
3.3 ...e quella italiana
69
4. 3 maggio 1945: ostaggi dei tedeschi
80
5. Conclusioni
95
Capitolo Terzo: Preludio alla tragedia: le Waffen SS verso Stramentizzo e Molina di Fiemme
101
1. Introduzione
101
2. Predazzo: la Kampfgruppe Schintlholzer
102
3. Dalla «linea blu» alla val di Cembra: la Kampfgruppe Schintlholzer negli ultimi giorni di guerra
111
3.1 Sul monte Altissimo
111
3.2 A Verla di Giovo
117
6. Conclusioni
121
Capitolo Quarto: Il perché di una strage: lo scontro di Miravalle, 3 maggio 1945
127
1. Introduzione
127
2. Stramentizzo: 2-3 maggio 1945
130
3. Miravalle: 3 maggio 1945
133
3.1 Il Vorkommando
133
3.2 La Croce rossa
136
3.3 La resa del Vorkommando
140
3.4 Chi avvertì la Kampfgruppe?
143
4. Conclusioni
147
Capitolo Quinto: Ieri e oggi, la strage di Stramentizzo a sessant’anni di distanza: una ricostruzione attendibile
151
1. Introduzione
151
2. L’esperienza della strage nella memoria dei civili di Stramentizzo...
153
3. ...di Molina…
161
4. ...e nei partigiani
164
5. 60 anni dopo: le stragi della val di Fiemme nella memoria di alcuni sopravvissuti
169
6. Per una ricostruzione delle stragi di Stramentizzo e Molina di Fiemme
179
6.1 La relazione dei Carabinieri di Bolzano
179
6.2 Ore 6.00: l’attacco a Stramentizzo
179
6.3 Ore 10.00: i tedeschi a Molina
191
6.4 Epilogo di una tragedia: le SS da Molina di Fiemme a Predazzo
197
7. Conclusioni
199
Capitolo Sesto: La memoria delle stragi
209
1. Introduzione
209
2. La memoria esterna
209
2.1 Una giustizia mancata tra le tante
209
2.2 La memoria pubblica delle stragi della val di Fiemme
222
3. La memoria interna 3.1 Le memorie divise di Ziano
228 228
365
3.2 La memoria divisa di Stramentizzo
238
3.3 Due «memorie» a confronto
252
4. Conclusioni
259
Capitolo Settimo: Epilogo
269
1. Introduzione
269
2. L’esperienza di guerra dei partigiani…
270
2.1 Le azioni di disarmo: fine d’aprile-primi di maggio 1945
274
3. ...e quella delle Waffen SS della Kampfgruppe Schintlholzer
280
3.1 Le modalità di un massacro
288
4. Consegnarsi agli Alleati o ripiegare?
296
5. Le ragioni di una rappresaglia o di un’operazione di guerra preventiva?
301
5. Conclusioni
313
Riferimenti bibliografici
323
Elenco fotografie
334
Elenco acronimi
336
Elenco delle truppe tedesche presenti in Trentino tra il 1943 e il 1945
338
Elenco delle vittime di guerra in Trentino nel periodo aprile-maggio 1945 343
366
I testimoni
347
Indice dei nomi
348
Lorenzo Gardumi
Lorenzo Gardumi Collabora con la Fondazione Museo storico del Trentino. Ha concentrato la sua ricerca sul periodo della seconda guerra mondiale, approfondendo in particolare lo studio delle stragi di civili nella fase finale del conflitto.
ISBN 978-88-7197-105-6
E 19,50
www.museostorico.it info@museostorico.it Telefon +39.0461.230482 Fax +39.0461.237418
Lorenzo Gardumi
Sommario Prefazione di Gustavo Corni; Introduzione; Violenza e popolazione civile in Trentino alla fine della seconda guerra mondiale; La strage di Ziano di Fiemme 2-3 maggio 1945; Preludio alla tragedia: Le Waffen SS verso Stramentizzo e Molina di Fiemme; Il perché di una strage: lo scontro di Miravalle, 3 maggio 1945; Ieri e oggi, la strage di Stramentizzo a sessant’anni di distanza: una ricostruzione attendibile; La memoria delle stragi; Epilogo; Riferimenti bibliografici; Elenchi; Indice dei nomi.
Maggio 1945 «a nemico che fugge ponti d’oro» Lorenzo Gardumi
12 VESTI DEL RICORDO
Il volume propone una ricca ed articolata ricostruzione delle stragi perpetrate nel maggio 1945 nei paesi trentini di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme dalle truppe tedesche in ritirata. Furono protagonisti di questo dramma la popolazione civile, vittima di una guerra votata strategicamente a instaurare il terrore come mezzo di controllo e sottomissione, ma anche i partigiani, i soldati tedeschi e i loro ufficiali. Le stragi della valle di Fiemme, come gli altri luttuosi episodi registrati ovunque sull’intero teatro bellico, riflettono così la realtà delle guerre moderne tese a colpire in primo luogo e programmaticamente i cittadini comuni. Costoro, inconsapevoli comparse sulla scena dei conflitti, ignorano spesso le ragioni e le dinamiche della guerra, in attesa semplicemente della sua fine.
Maggio 1945
Maggio 1945 «a nemico che fugge ponti d’oro»
12
vesti del ricordo