Marcello Baldi: cinema, cattolici e cultura in Italia

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Marcello Baldi (1923-2008) ha consacrato la sua vita allo spettacolo e alle emozioni. Protagonista della scena culturale italiana nella seconda metà del Novecento, egli ha saputo esprimersi in modo semplice e innovativo utilizzando i linguaggi del cinema, della televisione e del teatro. La sua produzione è stata caratterizzata da un forte legame con la terra natia e in particolare con le «sue» montagne trentine cui ha dedicato anche l’ultima opera Narciso. Il volume, che raccoglie un ricordo del figlio Dario, un primo profilo storico dell’attività di questo poliedrico regista e un’importante filmografia vuol essere oltre che un omaggio a un artista immeritatamente «dimenticato» anche un tentativo di entrare nei percorsi consolidati della storia del cinema italiano per scardinare una pubblicistica da troppo tempo adagiata su passaggi e momenti quasi proverbiali.

Massimo Giraldi, giornalista cinematografico, è titolare della rubrica Cinema sul quotidiano Avvenire-RomaSette. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Giuseppe Bertolucci (Milano 2000), Luc Besson (Roma 2003), I film di Steno (Roma 2007) e Il doppiaggio nel cinema italiano (Roma 2010). È segretario della Commissione nazionale valutazione film della Conferenza episcopale italiana. Laura Bove, laureata in Conservazione dei Beni Culturali collabora con vari enti nella valorizzazione e promozione dei patrimoni culturali, in particolar modo di quelli iconografici. Ha curato per l’Istituto Luigi Sturzo di Roma la mostra fotografica «Frammenti di memoria» e il catalogo L’Archivio Audiovisivo dell’Istituto Luigi Sturzo. Vive e lavora a Roma.

ISBN 978-88-7197-138-4

€ 11,00

Marcello Baldi

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a cura di Massimo Giraldi e Laura Bove

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a cura di MASSIMO GIRALDI e LAURA BOVE

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Marcello Baldi (1923-2008) ha consacrato la sua vita allo spettacolo e alle emozioni. Protagonista della scena culturale italiana nella seconda metà del Novecento, egli ha saputo esprimersi in modo semplice e innovativo utilizzando i linguaggi del cinema, della televisione e del teatro. La sua produzione è stata caratterizzata da un forte legame con la terra natia e in particolare con le «sue» montagne trentine cui ha dedicato anche l’ultima opera Narciso. Il volume, che raccoglie un ricordo del figlio Dario, un primo profilo storico dell’attività di questo poliedrico regista e un’importante filmografia vuol essere oltre che un omaggio a un artista immeritatamente «dimenticato» anche un tentativo di entrare nei percorsi consolidati della storia del cinema italiano per scardinare una pubblicistica da troppo tempo adagiata su passaggi e momenti quasi proverbiali.

Massimo Giraldi, giornalista cinematografico, è titolare della rubrica Cinema sul quotidiano Avvenire-RomaSette. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Giuseppe Bertolucci (Milano 2000), Luc Besson (Roma 2003), I film di Steno (Roma 2007) e Il doppiaggio nel cinema italiano (Roma 2010). È segretario della Commissione nazionale valutazione film della Conferenza episcopale italiana. Laura Bove, laureata in Conservazione dei Beni Culturali collabora con vari enti nella valorizzazione e promozione dei patrimoni culturali, in particolar modo di quelli iconografici. Ha curato per l’Istituto Luigi Sturzo di Roma la mostra fotografica «Frammenti di memoria» e il catalogo L’Archivio Audiovisivo dell’Istituto Luigi Sturzo. Vive e lavora a Roma.

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Sommario

Dario Baldi La rana e il leone Massimo Giraldi Cinema, cattolici e cultura in Italia Riferimenti bibliografici Laura Bove – Pier Luigi Raffaelli Filmografia

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Dario Baldi

Dario baldi

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La rana e il leone

La rana e il leone

Una rana che salta, questa l’immagine che più di tutte mi ricorda mio padre, o che almeno mi piace di più associare a lui. C’è una rana che salta nel suo immaginario, c’è una rana che salta nei miei ricordi, c’è una ranocchia che salta sul primo spezzone di pellicola impressionata da un giovanotto del Trentino, un tipo ingenuo e allegro, un personaggetto coraggioso e pieno di estro, un appassionato di natura e vita, un buffo ragazzo dai capelli rossi: questo era il primo Marcello Baldi cineasta. E con quanto stupore e gioia, a distanza di anni, dopo successi e fallimenti, dopo aver attraversato il secolo tra la guerra, grandi produzioni, eventi straordinari e dolorosi, mio padre mi raccontava dell’emozione vissuta la prima volta che riuscì a sviluppare il negativo dove appunto viveva l’immagine di una simpatica rana che saltava spensierata sul prato di casa sua. Parlare di mio padre non è semplice, racchiuderlo in un elenco di esperienze credo sia quasi impossibile. In ogni periodo nella mia vita c’è un suo nuovo racconto, spesso sorprendente, ad aver interessato me e molti altri ascoltatori, non solo il suo pubblico cinematografico. Marcello amava raccontare, e poi raccontare raccontare e raccontare, ogni volta con lo stesso tono di voce, con le stesse pause, con gli stessi colpi di scena che inchiodavano chiunque lo ascoltasse. In questo si riconosce un uomo che ha dedicato la vita allo spettacolo, alla creazione di emozioni, per sé e soprattutto per gli altri. Ci sono storie che avrò sentito centinaia di volte da lui, magari mentre le illustrava al suo meccanico, e che per centinaia di volte raccontava nello stesso identico modo, senza sbavature. Un po’ come il suo concetto di cinema: semplice ed efficace, privo, sempre, di voli gratuitamente pindarici, ma con l’occhio costantemente teso al racconto, all’avanzamento della storia: inesorabile. 7


Dario Baldi

Da lui e con lui ho imparato ad amare questo nostro strano mestiere, quello di regista, o anche quello di uomo di spettacolo in senso più generale. Da lui e con lui ho imparato subito l’immensa solitudine del regista: sempre circondato da tante persone, e sempre profondamente solo a timonare una nave impazzita già dalla costruzione, fatta di legno intinto nei sogni, legno pregiato e fragilissimo, che rende l’imbarcazione fantasma di un film difficilissima da governare, non solo nel mare in tempesta. Non potrei farne a meno, perché farei a meno anche di lui, che, senza retorica, continua a vivere nelle sue immagini, nelle mie, e in tutte quelle di chi con onestà e anima vuole raccontare qualcosa a un altro, o ad altri milioni di persone, non importa. Nel nome della sostanza, mai della parola gratuita. Spesso si ha l’idea del regista come quella dell’artista eccentrico, svagato ed eclettico, fumoso e complicato, tutto quello che lui non era. Sebbene dotato di una sensibilità fuori dal comune, sono sicuro che anche a lui piacerebbe essere dipinto come un «operaio del cinema», un profondissimo artigiano della settima arte. Proprio in questi giorni mi trovo a catalogare centinaia di sue foto che lo ritraggono sui grandi set dei suoi film biblici, oppure mentre gira immagini nei campi di concentramento, immagini che consegna alla storia, o ancora impegnato in conversazioni con vari capi di stato, o con il Papa, o con personalità che ora conosciamo sui libri e che lui affrontava sempre con lo stesso candore, e con quegli occhi attenti che ci hanno dato tante immagini importanti. Queste foto le scopro solo ora, come solo ora recupero molti dei suoi film del passato. Questo perché lui non era uno che si vantava o stava lì a celebrare le imprese della sua vita. Spesso si dimenticava dei ricordi, dei film, di avvenimenti straordinari ai quali aveva partecipato, impegnato sempre e solo nel presente. Parliamo di un ragazzetto che impudico chiedeva al Papa affacciato su piazza San Pietro di ripetere una benedizione a migliaia di fedeli, perché purtroppo aveva dovuto cambiare pellicola e non lo aveva ripreso, o che di nascosto si trovava tra un’inviperita guardia svizzera e un certo Winston Churchill, tanto per citare alcuni episodi significativi. Papà lo trovavi sempre a scrivere una nuova cosa, a lavorare su altro, a pensare come mettere in piedi un altro progetto, piuttosto che su una poltrona a parlare di ciò che era passato. E cosi è stato, fino all’ultimo, nell’ultimo anno, durante la realizzazione del film che per sua volontà abbiamo girato insieme, e dove tanti vedono il passaggio di testimone, che per me è avvenuto molto prima, in torride estati passate a spiegarmi il mestiere, in nottate di racconti inventati sul momento, nei sorrisi che mi donava dicendomi che si poteva fare qualunque cosa nella vita, con fiducia e lavoro, tanto lavoro. Il film Narciso è stato l’epilogo di una carriera incredibile, e il suo testamento, come sempre 8


La rana e il leone

lo ha inteso: un film che non gli ha fatto nessuno sconto, nel bene e nel male. Non dimenticherò mai il momento in cui abbiamo terminato il montaggio, che è coinciso con l’inizio della discesa emotiva e fisica che in pochi mesi ce lo ha portato via. In fondo credo che sia giusto così e che, alla fine, il sacrificio di una vita intera sia stato ripagato dal semplice fatto che Marcello, Marcello Baldi, vecchio non lo è mai stato, anziano sì, ma vecchio no, ed è morto facendo quello che sapeva fare meglio: emozionare lavorando. Se ne è andato un giorno preciso, il giorno in cui si doveva per la prima volta proiettare il suo film, Narciso, quello più sentito, alla sua gente. Girato nella sua terra, dalla quale era andato via tanti anni prima e nella quale tornava per condividere il suo lavoro e il suo ultimo sogno, quello di parlare del suo amore per la vita, della sua gente, dei suoi profumi di bambino, delle sue immagini di vallate grandi come l’animo umano. Non vollero farlo uscire quel giorno, stava troppo male, e sebbene lui si ribellasse come un ragazzino con medici e amici, mi disse che sarebbe stato buono a letto, in ospedale, dopo il mio invito a riposarsi e a rimettersi in sesto per poi finalmente andare a fare la promozione del film, l’unico argomento che lo dissuase dall’uscire subito. Ma non andò così, quel giorno, il giorno della proiezione, il leone (soprannome identico a quello del suo maestro Blasetti), Marcello, uscì comunque, a modo suo, senza chiedere nulla a nessuno, prese e se ne andò, proprio quel giorno, come nel migliore dei racconti. Non spetta a me mettere insieme la cronologia degli eventi della sua carriera (questo libro è un primo importante passo del quale sono profondamente grato a quanti hanno contribuito a realizzarlo), né giudicarlo come uomo. Spero solo che vi arrivi un vento fresco di montagna, come quello che si alzò inspiegabilmente a Roma il giorno della sua dipartita, e che quel vento vi entri dentro lasciandovi lo spazio per poter guardare alcune cose in maniera diversa, e di potervi non stupire troppo se un giorno vi troverete incantati nell’osservare una rana che, allegra, zompetta.

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Massimo Giraldi

Massimo Giraldi

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Cinema, cattolici e cultura in Italia

Cinema, cattolici e cultura in Italia

Dedichiamo questa pubblicazione a Marcello Baldi, non semplicemente per porre rimedio al silenzio fino a oggi calato sulla sua attività, ma perché (come ha egregiamente detto Tatti Sanguineti a Venezia durante l’ultima edizione della mostra del cinema) va salutata con favore ogni iniziativa volta a entrare nei percorsi consolidati della storia del cinema italiano e a provare a scardinare una pubblicistica da troppo tempo adagiata su passaggi e momenti quasi proverbiali. In particolare, la generazione che ha cominciato ad affacciarsi al cinema tra fine seconda guerra mondiale e primo dopoguerra ha dovuto fare i conti con quel movimento neorealista tanto bruciante e incalzante nei titoli che scardinavano il cinema di «prima» quanto ridotto e limitato nella sua estensione temporale. Quando nel 1951 esce Miracolo a Milano, Vittorio De Sica regista e Cesare Zavattini soggettista e sceneggiatore sembrano dichiarare che il cinema della realtà è ormai prossimo alla fine, e il successivo Umberto D, pur con un occhio più attento agli spinosi problemi della vecchiaia, delle pensioni, del diritto a una vita dignitosa, non sarà sufficiente a cancellare quel finale in cui i poveri, dalla piazza del Duomo meneghina, si alzano in volo a cavallo di una scopa dirigendosi «verso un Paese dove buon giorno vuol dire veramente buon giorno». La critica impegnata insorge con veemenza. Ugo Casiraghi su L’Unità tra fine 1952 e metà 1953 denuncia l’intenzione dei governi democristiani di sostituire all’impegno politico e artistico del realismo il disimpegno di un cinema di evasione avulso dal contesto sociale. In particolare ai primi di dicembre del 1953 si tiene a Parma il «Convegno sul neorealismo». Proprio mentre in sala Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini ottiene il 11


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favoloso incasso di un 1 miliardo e 469.368 lire, e Il ritorno di Don Camillo arriva subito dopo con 893 milioni. Arturo Lanocita, che a suo tempo aveva definito La terra trema «un’opera d’arte mancata» e Miracolo a Milano «una partita dignitosamente persa da De Sica», continua a temere la rischiosa confusione tra narrazione cinematografica e materiale sociale. Con il film di Comencini, le commedie di Dino Risi, i melodrammi mozzafiato di Matarazzo e il dilagare su grande schermo di Totò, per il neorealismo finisce la strada del rapporto commerciale e comincia quella verso gli scaffali delle cineteche. Da Ossessione di Luchino Visconti (girato nel 1942, uscito nel 1943) a Umberto D, 1952: dieci anni di una rivoluzione estetica troppo profonda per diventare duratura, troppo bella per diventare uno stile di vita. Ed è quel decennio segnato da film indimenticabili e da quei pochi nomi ormai entrati nella storia. Visconti, Rossellini, De Sica, Zavattini, per quanto figure debordanti, vitali, di incontenibile umanità e fantasia, non esauriscono però tutto il panorama di quegli anni. Due titoli citati poc’anzi servono a orientarci verso nuove direzioni. Nel portare sullo schermo il contrasto aspro e caparbio tra il sacerdote don Camillo e il sindaco Peppone, si dava la più ampia popolarità ai personaggi inventati da Guareschi, proiezione di quell’Italia divisa tra cattolici e comunisti che era uscita dalla guerra e, subito dopo, aveva trovato conferma nei risultati delle prime elezioni repubblicane del 18 aprile 1948. Nello stesso anno, il 10 novembre 1948, ad Aci Trezza comincia la lavorazione de La terra trema di Luchino Visconti. Sul documento depositato dalla Società Artesa si legge che si tratta di «un film a carattere squisitamente documentario, che ritrae gli aspetti più salienti e caratteristici della vita e dei costumi della regione siciliana». Come primo finanziamento, Visconti ottiene 6 milioni dal Partito comunista, finiti i quali non ne arrivano altri e la lavorazione si interrompe. Il film ha preso una piega poco gradita al PCI che in pratica si ritira. È a questo punto che entra in ballo l’Universalia Film Spa, definita «Organizzazione culturale cattolica». Giuseppe dalla Torre, direttore dell’Osservatore Romano, nel riferire a Luigi Gedda circa le caratteristiche societarie, chiarisce: «Innanzitutto Universalia farà dei film spettacolari di alto livello editoriale, ispirati alle fonti della letteratura cattolica». La società investe 37 milioni di lire che permettono di arrivare alla fine della lavorazione l’11 ottobre 19481. Cattolici, Partito comunista italiano, Vaticano, cinema, Italia: in un quadro mosso e scomposto, dove era appena tornata la libertà di opinione eppure si contrapponevano modi opposti di concepire la società, si muovono tante 1 Queste notizie si trovano nel prezioso libro La storia della Orbis Universalia: cattolici e neorealismo di Emilio Lonero e Aldo Anziano (Lonero – Anziano 2004).

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Marcello Baldi (1923-2008) ha consacrato la sua vita allo spettacolo e alle emozioni. Protagonista della scena culturale italiana nella seconda metà del Novecento, egli ha saputo esprimersi in modo semplice e innovativo utilizzando i linguaggi del cinema, della televisione e del teatro. La sua produzione è stata caratterizzata da un forte legame con la terra natia e in particolare con le «sue» montagne trentine cui ha dedicato anche l’ultima opera Narciso. Il volume, che raccoglie un ricordo del figlio Dario, un primo profilo storico dell’attività di questo poliedrico regista e un’importante filmografia vuol essere oltre che un omaggio a un artista immeritatamente «dimenticato» anche un tentativo di entrare nei percorsi consolidati della storia del cinema italiano per scardinare una pubblicistica da troppo tempo adagiata su passaggi e momenti quasi proverbiali.

Massimo Giraldi, giornalista cinematografico, è titolare della rubrica Cinema sul quotidiano Avvenire-RomaSette. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Giuseppe Bertolucci (Milano 2000), Luc Besson (Roma 2003), I film di Steno (Roma 2007) e Il doppiaggio nel cinema italiano (Roma 2010). È segretario della Commissione nazionale valutazione film della Conferenza episcopale italiana. Laura Bove, laureata in Conservazione dei Beni Culturali collabora con vari enti nella valorizzazione e promozione dei patrimoni culturali, in particolar modo di quelli iconografici. Ha curato per l’Istituto Luigi Sturzo di Roma la mostra fotografica «Frammenti di memoria» e il catalogo L’Archivio Audiovisivo dell’Istituto Luigi Sturzo. Vive e lavora a Roma.

ISBN 978-88-7197-138-4

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