Hartmann Hinterhuber
Uccisi e dimenticati
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GRENZEN CONFINI
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Hartmann Hinterhuber
Uccisi e dimenticati crimini nazisti contro malati psichici e disabili del Nordtirolo e dell’Alto Adige
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Prefazione all’edizione italiana Dal giugno 1933 nei territori del Reich tedesco s’iniziò a praticare la sterilizzazione sistematica dei cosiddetti Erbkranke, ossia individui affetti da malattia di tipo ereditario. Il passo successivo fu, nell’ottobre 1939, l’attivazione per ordine segreto del Führer del «Programma eutanasia», che prevedeva la soppressione dei malati psichici e dei disabili. Più di settantamila persone morirono così nelle camere a gas in nome della Säuberung des Volkserbgutes (epurazione del patrimonio ereditario nazionale). Solo la crescente opposizione interna convinse Hitler stesso dell’opportunità di sospendere il programma con un decreto del 24 agosto 1941. Questa decisione, tuttavia, non comportò un cambio di indirizzo, ma solo di strategia. I disabili e i malati psichici continuarono a cadere vittime della cosiddetta Wilde Euthanasie (eutanasia selvaggia) esercitata attraverso privazioni di ogni genere e la somministrazione letale di medicinali. Ma l’azione contro disabili e malati psichici andò ben oltre, se possibile, le atrocità consumate all’interno dei tanti stabilimenti di morte nei quali si procedeva alla sistematica eliminazione di queste persone: una martellante propaganda svolta nelle scuole e sul territorio sosteneva che quegli individui non erano che «vite senza valore» e di conseguenza un insostenibile ed ingiustificato aggravio per lo stato e l’intera popolazione. Questo, in estrema sintesi, il panorama generale all’interno del quale si colloca la vicenda relativa al Nordtirolo e all’Alto Adige ricostruita nel suo studio da Hartmann Hinterhuber. L’autore recupera dati e testimonianze relativi all’orrendo crimine consumato fra il 1933 e il 1945 dal regime nazista ai danni di tante persone deboli e indifese. Il volume contribuisce, così, a squarciare la spessa cortina di silenzio che avvolgeva e tuttora in parte circonda uno dei capitoli più tristi dell’infamia nazista. Assume, inoltre, un significato assai particolare per il fatto che il suo autore non è uno storico
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di professione, bensì un autorevole psichiatra, elemento che consente di apprezzare ulteriormente, oltre all’indubbio valore documentario del libro, anche l’assenza di falsi pudori o reticenze nell’affrontare la scottante problematica dei rapporti intercorsi fra nazismo e scienze medico-psichiatriche. Hinterhuber è peraltro consapevole della necessità di approfondire lo studio dei temi da lui affrontati affidando questo compito agli storici e ai loro strumenti di ricerca. «Non gli psichiatri – scrive, infatti, Hinterhuber a conclusione del suo scritto –, ma gli storici sono ora chiamati a illuminare con gli strumenti a loro disposizione questo buio capitolo della nostra storia recente». Ed è soprattutto per questa sollecitazione di fondo che anima tutto lo studio, comparso per la prima volta nel 1995 col titolo di Ermordet und vergessen e riproposto oggi nella fedele traduzione, che il libro conserva immutata gran parte della sua attualità, ulteriormente rafforzata, se si vuole, anche dall’inquietante e quanto mai irrisolto interrogativo posto dal presidente della Repubblica austriaca Thomas Klestil nella prefazione alla prima edizione. Costui si chiede le ragioni per le quali, fra tutte le vittime del mostruoso massacro ordinato dal regime nazista, proprio i menomati fisici e psichici sono stati quelli lasciati più a lungo nell’oblio, «immeritevoli» sembrerebbe di ricevere anche il semplice tributo dettato dall’umana pietà. Si tratta, tuttavia, di un processo di rimozione che accompagna l’intera storia di questa categoria di persone e che riemerge puntualmente ogni qualvolta la si affronta, come nel caso del progetto Alla ricerca delle menti perdute: viaggi nell’istituzione manicomiale promosso dal Museo storico in Trento in collaborazione con l’Università degli studi di Trento nel periodo 2000-2003, al cui interno si colloca la scelta di pubblicare il volume di Hinterhuber. Un processo di rimozione, infine, da stigmatizzare ulteriormente, se necessario, in questo anno 2003 eletto ad anno europeo del disabile. Il Museo storico in Trento, prestando fede alla volontà più volte espressa di coniugare la conservazione della memoria storica con l’impegno civile che questa attenzione sempre dovrebbe comportare, non può, pertanto, che esprimere gratitudine nei confronti dell’Autore che ha acconsentito alla riedizione del volume e di tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa iniziativa editoriale. GIUSEPPE FERRANDI
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Direttore del Museo storico in Trento
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Prefazione alla prima edizione Dove i muri parlano, noi dovremmo tacere. I muri del castello di Hartheim gridano tanto forte che non possiamo non sentire. Ed è un grido che ci fa trattenere il respiro per ascoltare la voce del ricordo. «A salvare l'umanità sarà forse solo il ricordo» ha detto ad Auschwitz il premio Nobel per la pace Elie Wiesel. «Solo il ricordo del male potrà servire da scudo contro il male stesso». Ad Hartheim il male fu di casa per quasi cinque anni: un angolo d’inferno sulla terra. Il castello rinascimentale di Hartheim nell'Alta Austria era uno dei più grandi centri di eutanasia del nazionalsocialismo e un centro di sterminio dove furono uccisi i detenuti dei campi di concentramento. Hartheim è il simbolo di un'inconcepibile disumanità. Vi trovarono la morte decine di migliaia di individui, vittime di uno dei maggiori crimini che l’uomo abbia mai inflitto ad un altro uomo. La maggior parte di loro erano austriaci, come quegli stessi aguzzini che li maltrattarono, torturarono e infine uccisero. Dobbiamo vivere con un lutto che è anche una vergogna, ma entrambi – l’incommensurabile dolore e la sconfinata brutalità – debbono rimanere vivi in noi. Di tutti i luoghi dell’orrore che sorsero in Europa nel periodo nazionalsocialista, quelli sul suolo patrio sono i più opprimenti perché questa vicinanza ci confronta inesorabilmente con domande che ancora oggi preferiremmo non porci. E ci confronta anche con la certezza che la storia di quel tempo buio è la nostra storia, in cui non ci sono pagine non scritte e non ci sono scorciatoie. Dobbiamo imparare a vivere con questa verità. Ma c’è qualcos’altro che va sottolineato e vorrei formularlo con una domanda. Perché di tutte le vittime di quella mostruosa carneficina, i malati
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psichici e i disabili sono stati gli ultimi ad essere sottratti all’ombra dell'oblio, riconsegnati al ricordo e alla nostra pietà? Come è stato possibile e quale insegnamento ne deriva per il futuro della nostra società e per noi stessi? Anche su questo dovremmo soffermarci a riflettere. Nella storia di Hartheim, però, c'è anche un altro capitolo; le mura del castello, il cortile e le sue arcate non hanno respirato solo l’acre odore della morte né sono stati solo testimoni del tracollo dell'umanità. Ciò che un’inconcepibile violenza voleva eliminare per sempre – la premurosa cura di malati psichici o disabili – nel frattempo, come una vittoria tardiva sulla follia, qui tra queste mura, ha trovato di nuovo una sua solida dimora. Durante un’indimenticabile visita ho potuto constatare che ad Hartheim è sorto un centro di assistenza e di recupero dei disabili imperniato sull'amore per il prossimo e sul più profondo rispetto per la vita. È dunque possibile dire, sinceramente, che il pericolo è passato, per sempre passato? Che l'uomo non si lascia più irretire da tutto ciò che qui ad Harheim ha portato a un'estrema eclissi dell'umanità e della ragione? Da allora sono trascorsi sessant'anni ma il cammino che ci allontana da questo pericolo è ancora lungo, più lungo di quanto pensassimo, e passa direttamente per il centro della nostra vita quotidiana. THOMAS KLESTIL
Presidente della Repubblica austriaca
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Al posto di una premessa «Non la memoria, l'oblio è e rimane il vero pericolo». RICHARD VON WEIZSÄCKER
Fra il 10 dicembre 1940 e il 31 agosto 1942 a 448 famiglie del Nordtirolo giunse in una stereotipata lettera di circostanze la notizia dell’improvvisa morte dei loro cari: figli, fratelli, compagni, tutti malati psichici. 239 dei 569 malati altoatesini deportati nella Germania meridionale morirono di fame e privazioni ancora prima della fine della guerra. Dei 71 altotesini ospitati negli istituti assistenziali dell'Alta Valle dell’Inn (Distretto di Landeck) e trasportati in seguito all’Ospedale psichiatrico di Hall presso Innsbruck 63 morirono ad Hartheim in Alta Austria e una fu uccisa dal dottor Lonauer a Niedernhart presso Linz. Numerosi furono i parenti che protestarono con la direzione degli istituti ospedalieri, presso medici e sindaci, rappresentanti della Chiesa e dirigenti del partito nazionalsocialista. La consapevolezza di ciò che accadeva in alcune cliniche psichiatriche, in realtà veri e propri centri di sterminio1, si diffuse in tutto il paese, persino gli stessi malati appresero quale destino li attendesse. Protetto dalle tenebre il 26 maggio 1940 un convoglio speciale con 299 altoatesini lasciò la stazione di Pergine Valsugana nel Trentino. I funzionari nazisti avevano rastrellato le case di riposo per anziani e gli istituti per disabili, sia in città che in campagna; i medici avevano registrato i malati dei più sperduti paesini di montagna, firmando ordini di ricovero e di trasferimento degli infermi in istituti psichiatrici o in case di cura per malati mentali. Anche nel Nordtirolo e in Alto Adige erano in molti a conoscere i piani di questo sistema sprezzante di ogni dignità umana, si sapeva dello sterminio pianificato di concittadini disabili e malati psichici. «L’orribile sospetto» venne
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Nell’originale la dizione è Tötungsanstalt, istituto di uccisione, fabbrica della morte (n.d.t.).
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espresso apertamente sulla stampa altoatesina ma a ciò non seguirono né un grido di solidarietà né pubbliche manifestazioni di protesta e neppure azioni di disturbo. Ancor oggi questo capitolo della storia tirolese e il destino dei malati deportati ed uccisi è rimosso o volutamente dimenticato. Nella presente opera si intendono indagare le cause che a partire dal 1940 portarono alla sistematica e reiterata deportazione ed uccisione di migliaia di malati psichici e disabili. La ricerca vuole risalire ai retroscena delle deportazioni e del «Progetto eutanasia» nel Nordtirolo e in Alto Adige e far luce su questo buio capitolo della storia moderna. Il dibattito sugli orrendi crimini della Germania nazista necessita di un’ampia partecipazione: al lavoro di recupero della memoria debbono partecipare tutti i gruppi sociali perché non si può sperare di neutralizzare l’orrore relegandolo nell’ambito scientifico. Molti tirolesi, medici, avvocati, membri del partito e collaboratori al programma di opzione erano coinvolti in quei tragici eventi ben al di là di una semplice complicità. Si voleva inoltre indagare in che misura le vittime e le loro famiglie trovarono aiuto e sostegno tra la popolazione e nella Chiesa. Se riflettiamo sulle colpe di psichiatri, medici e personale sanitario non dobbiamo comunque dimenticare che qualche tempo dopo l’ascesa al potere dei nazionalsocialisti, i medici austriaci di origine ebraica furono sollevati dall'incarico ed espulsi, come nel caso del professor Hans Hoff, ordinario di neurologia e psichiatria alla Facoltà di medicina dell’Università di Vienna. Nel 1941 l’esclusione dei funzionari pubblici ideologicamente non affidabili si era spinta fino a licenziare psichiatri di orientamento cristiano e anche psicoanalitico; il secondo dei tre professori di psichiatria e neurologia presso le facoltà di medicina delle università dell'Austria, Hubert Urban, nel 1939, appena qualche mese dopo essere stato chiamato a ricoprire la cattedra di Innsbruck, fu sollevato dall’incarico a causa della sua fede cattolica e del suo orientamento filoaustriaco. Trattando la nostra opera dei retroscena e degli effetti del «Programma eutanasia» nazista sarà necessario un breve chiarimento circa alcune espressioni ricorrenti nel corso della trattazione. L’uso del termine «eutanasia» è problematico; difatti se da un lato significa l’aiuto umanitario al malato terminale, dall’altro in nome dell’«eutanasia» i nazisti pianificarono e perpetrarono lo sterminio di malati psichici e disabili. Usiamo quindi questo termine nell’accezione negativa di estremo disprezzo per la persona uma-
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na. Anche l’espressione «vita senza valore» viene usata nel senso attribuitole dai nazisti, ben sapendo che ogni vita ha valore in sé e che non esiste una «vita senza valore». La storiografia non si è occupata dei problemi di coscienza del personale infermieristico e di molti medici, della loro disperazione di fronte alla deportazione dei malati affidati alle loro cure. Nella nostra ricerca l’analisi della «storia interiore» delle vittime, dei parenti e del personale infermieristico non è stata oggetto di analisi. Anche dopo la revoca del «Programma eutanasia» i programmi di morte dei nazisti continuarono fino all’8 maggio 1945 soprattutto tramite la somministrazione di farmaci: in questo modo furono uccisi non solo malati cronici e disabili, ma anche lavoratori coatti dell’est europeo, ammalatisi e divenuti perciò improduttivi, nonché i figli nati dai matrimoni fra ebrei e «ariani». Negli ospedali psichiatrici l’alimentazione peggiorò qualitativamente e quantitativamente, in molti istituti vennero introdotti degli speciali «programmi di privazione del cibo». Dai documenti riferentisi alla regione federale tedesca dell'Assia risulta che i maiali delle aziende agricole di proprietà degli istituti erano meglio nutriti dei pazienti. Già dal 1937 il latte intero poteva essere somministrato ai malati psichici solo su specifico ordine medico, mentre fin dal 1936 una disposizione prevedeva di vendere i materassi dei pazienti, che da allora in poi avrebbero dovuto dormire su sacchi di paglia. Negli ospedali (per esempio, a Marburg nell'Assia) la mortalità salì dal 2,5% nel 1935 al 16% nel 1941: a Merxhausen arrivò al 30,6% nell’anno 1944/1945. È impossibile, tuttavia, discriminare coloro che morirono nelle camere a gas o in seguito alla somministrazione di farmaci letali da chi invece morì a causa di una sistematica e intenzionale incuria – una tale differenziazione equivarrebbe ad offendere una parte delle vittime. «Il ricordo non accusa chi non ha una colpa individuale. Il ricordo significa solidarietà con le vittime della storia, in questo caso, la recente storia tedesca e austriaca. L’alternativa al ricordo è la rimozione e la rimozione crea, nel migliore dei casi, una falsa coscienza. Rimuovere gli inconcepibili fatti accaduti nella Germania hitleriana farebbe delle vittime di allora delle nuove vittime» (Claus Nientiedt). Ricordare gli orrori del passato ha un solo senso, quello di porre, alla luce
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di ciò che è stato, le premesse per un futuro migliore, un futuro in cui regnino maggior tolleranza, rispetto e comprensione reciproca. Anche oggi è necessario rapportarsi criticamente alle correnti di pensiero del nostro tempo e denunciare ogni dottrina estremistica che calpesta la dignità umana.
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La ricaduta nella barbarie «Non intendiamo in alcun modo creare una nuova razza umana o un superuomo, bensì solo eliminare gradualmente gli individui inferiori e tarati tramite la sterilizzazione volontaria dei portatori di geni anomali per far sì che un numero crescente di uomini migliori, più sani, più felici e più sociali si moltiplichi sempre di più». AUGUST FOREL 1913
1. L’assunzione delle idee socialdarwinistiche nel nazismo Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo si diffusero a livello mondiale le teorie sull’«igiene della razza»; la sterilizzazione e l’eutanasia furono considerati dei mezzi idonei a conseguire «la promozione del bene del popolo». Nel XIX secolo sulla scia di divulgazioni assai populistiche il patrimonio di idee socialdarwiniste si era esteso dalle cerchie di esperti a tutta la popolazione. Vi erano collegate le concezioni biologistiche della legge del più forte e della selezione naturale. Entrambi i concetti vennero trasposti tout court dal regno animale alla società umana. Infine, sulla base di un calcolo «costi-benefici» in un’ottica di totale disprezzo dell’uomo, si cominciò a definire i malati psichici e i disabili, nonché gli individui inabili al lavoro come «esistenze-zavorra» e «parassiti». Il nazismo era terrorizzato dalla possibilità che la razza degenerasse, la sterilizzazione e l’annientamento delle «vite senza valore» furono pertanto le due misure complementari adottate per la «salvezza del corpo popolare». Utopisti e igienisti della razza celebrarono il nazismo come il garante della «nobilitazione della specie». La sistematica classificazione sotto una stessa etichetta di «intrusi», «parassiti del popolo» e «nemici dello stato» fu il segno distintivo di uno stato che affermava la supremazia della «superiore razza
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Inizio delle azioni di sterminio 1. L’eliminazione delle «vite senza valore» Gli organizzatori del «Programma eutanasia» erano il già menzionato Philip Bouhler, il presidente dei medici del Reich nonché segretario di stato al Ministero della sanità dr. Leonardo Conti e il professore Werner Heyde, comandante generale delle SS e dal 1939 ordinario di neurologia e psichiatria a Würzburg. Il programma fu affidato all’Ufficio II della Cancelleria del Führer, presieduto da Viktor Brack. Secondo le stime di quest'ultimo su ogni mille abitanti vi era un malato psichico («psichicamente già morto») che andava eliminato. Uno sterminio di tali dimensioni poteva essere perpetrato solo se organizzato a livello industriale. Così il 18 novembre 1939 nel bastione VII della fortezza di Poznan si sperimentò per la prima volta la camera a gas per l’eliminazione di malati psichici polacchi. Nel 1940 nella casa di pena di Brandeburgo si eseguirono le prime «uccisioni di prova» sul territorio del Reich. Già qualche mese prima nel Governatorato generale erano stati fucilati in massa malati psichici. Il professor Kranz, docente di igiene della razza all'Università di Giessen e convinto nazista, rivendicò inoltre lo sterminio di un milione di individui che, essendo affetti da disturbi della personalità, egli assimilava agli idioti etichettandoli come «asociali». Dopo la «selezione» era necessaria la loro «eliminazione». A tal scopo vennero istituite tre società fantoccio che senza la diretta partecipazione delle istituzioni statali dovevano portare a termine quest'operazione illegale. Il personale dei centri di sterminio sottostava alla «Fondazione generale degli istituti assistenziali»10, mentre la «Comunità di lavoro degli ospedali psichiatrici del Reich»11 inviava i moduli di registrazione e ordinava le perizie; ad occuparsi del trasporto dei pazienti – definiti «morti psichici», «esistenze-zavorra», «gusci umani senza contenuto» o «pa10
«Allgemeine Stiftung für Anstaltswesen».
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«Reichsarbeitsgemeinschaft Heil- und Pflegeanstalten».
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Una traccia di sangue attraverso l’Austria: i crimini contro malati psichici e disabili nelle regioni austriache «Una congiura del silenzio» (Klaus Dörner) ha impedito che medici e storici potessero indagare i crimini nazisti ai danni di migliaia di malati psichici e disabili sia in Austria che in Germania. Questo capitolo presenta lo stato attuale della ricerca sulle atrocità commesse nelle singole regioni dell'Austria. In base alle minuziose registrazioni fatte da un addetto di Hartheim siamo in grado di quantificare la misura dell’orrore: vi vennero uccisi 18.269 malati psichici e disabili, almeno 14.000 erano pazienti di ospedali e istituti psichiatrici dell’Austria. Il numero delle vittime dell’«eutanasia selvaggia», sotto forma di sistematico abbandono del malato e omissione di cure o dei diabolici «programmi di restrizione alimentare», non può essere quantificato con esattezza.
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All’Ospedale psichiatrico di Salzburg-Lehen i moduli di registrazione vennero introdotti nel giugno 1940. Poco dopo il direttore Leo Wolfer e le Suore di Carità di San Vincenzo, che gestivano Schloss Schernberg presso Schwarzach im Pongau, ricevettero una lettera dell’Ufficio distrettuale di assistenza in cui si affermava che «per motivi di difesa politica» un gran numero di pazienti doveva essere trasferito ad altri istituti. Verso la metà di aprile Wolfer comunicò ai capi reparto che ogni malato inserito nella lista doveva essere trasferito, ogni resistenza o colloquio con i parenti degli assistiti o con estranei era passibile di denuncia alla Gestapo. 265 pazienti vennero condotti alla morte ad Hartheim. Fu durante l’ultimo trasferimen-
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Dimenticati e rimossi: la «politica demografica» nazista nel Nordtirolo e in Alto Adige La nostra ricerca tenta di ricostruire la storia e il destino dei pazienti tirolesi e altoatesini accolti nei vari istituti psichiatrici e assistenziali della Germania e dell’Austria per avere una documentazione il più possibile completa delle vittime del «Programma eutanasia» di una regione con una comune storia e cultura. Per volere dei nazionalsocialisti il Distretto di Lienz nella Pusteria orientale era stato annesso al Gau della Carinzia, perciò i pazienti del Tirolo orientale che fra il 1938 e il 1945 vennero rivoverati negli ospedali psichiatrici di Klagenfurt e dintorni sono elencati tra quelli della Carinzia. Ai fini della nostra ricerca nel Nordtirolo sono state prese in esame non solo la Clinica universitaria di psichiatria e neurologia di Innsbruck e l'Ospedale psichiatrico di Hall ma anche gli ospizi, gli istituti assistenziali e quelli per disabili. Sono stati considerati altoatesini tutti i pazienti aventi la residenza o nati in Alto Adige. La cittadinanza indicata sulle cartelle cliniche per identificare i pazienti altoatesini non era granché rilevante essendo tutti optanti per il Reich. La registrazione «rimpatriato» indicata sui documenti personali stava a indicare che l’optante non aveva ancora una residenza fissa nel Gau del Tirolo e Vorarlberg, quindi i costi del suo soggiorno ospedaliero erano a carico dell’ente assistenziale del distretto. Nella Gauleitung del Tirolo-Vorarlberg venne istituito l’ufficio «Umsiedlung Südtirol» addetto al trasferimento dei sudtirolesi, nelle cui competenze sanitarie rientrava anche una visita medica di accertamento a tutti i malati affetti da manifesti disturbi psichici e a disabili fisici e psichici, che nel caso di una chiara sintomatologia patologica doveva svolgersi presso la Clinica
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Fanatismo e intolleranza l'applicazione dell’«eutanasia selvaggia» in Alto Adige La criminale coerenza e l’occultamento della verità che il nazismo praticò si manifestarono anche nel fatto che malgrado la sospensione del «Programma eutanasia» ordinata da Hitler il 24 agosto 1941 la macchina di morte rimase ufficiosamente attiva. Cambiò in parte la strategia: i dirigenti del partito e i medici incaricati si rivolsero direttamente alle famiglie dei disabili e selezionarono i pazienti negli ospedali e nelle case di riposo. In diversi ospedali i diabolici sostenitori dell’eliminazione delle «vite senza valore» trovarono volonterosi complici o collaboratori ricattabili. È difficile esprimere in cifre la misura dell’orrore. Nonostante il Führer avesse ritrattato le disposizioni sull’eutanasia circa 350 tra malati psichici e disabili dell’Alto Adige furono le vittime dell’eutanasia selvaggia: morirono prevalentemente di fame, incuria e per omissione di cure. 81 dei 455 altoatesini trasferiti all’Ospedale psichiatrico di Hall dal 1941 al 1945 vi morirono in quegli stessi anni: quest’alta rata di mortalità va addebitata almeno in parte all’eutanasia selvaggia, questo riguarda anche 239 dei 569 pazienti altoatesini che si trovavano nel BadenWürttemberg. Dei 32 infermi dell’Istituto di St. Josef di Mils, 22 morirono dopo il 24 agosto 1941. L’«eutanasia selvaggia» trovò complici e seguaci anche in Alto Adige, come dimostra il seguente rapporto di Claus Gatterer nel libro Schöne Welt, böse Leut (Bel paese, gente cattiva) che riferisce dell’uccisione di due bambini disabili e della reazione degli abitanti di Sesto Pusteria.
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«Un orribile sospetto» e le reazioni della popolazione Nello sprezzo più completo per ogni vita umana il dottor Simek che aveva organizzato la deportazione degli altoatesini dall’Ospedale psichiatrico di Pergine, il 18 giugno 1940 informava l’Ufficio stranieri a Berlino che «il carico e lo scarico dei pazzi» si era svolto senza attriti e lodava «la grande disponibilità delle autorità italiane». Al tempo stesso in Alto Adige si stava formando una prima anche se non ufficiale resistenza. Nella diocesi di Bressanone alcuni curatori d’anime – a differenza dei rappresentanti della curia vescovile – si opposero con coraggio ai crimini nazisti contro malati psichici, vecchi e disabili. Meritano speciale menzione personalità come Josef Schguanin, Karl Staudacher, Michael Gamper e il senatore Friedl Volgger. Il 19 dicembre 1940 fu pubblicato sul Volksbote l’articolo «Ein furchtabarer Verdacht» (Un orribile sospetto) in cui si denunciava l’uccisione di anziani e malati. «Il noto organo del Vaticano ‘L’Osservatore romano’ riportava nel numero 6 di questo mese una notizia che dovrebbe sconvolgere profondamente ogni persona civile e soprattutto ogni cristiano. La notizia in breve diceva: ‘Al Santo Uffizio è stato chiesto se sia permesso per ordine delle pubbliche autorità uccidere in piena coscienza e intenzionalmente persone che invero non hanno commesso alcun delitto degno di morte, ma che a causa di un’infermità psichica o fisica non sono più in grado di servire la nazione, e sono dunque ritenute un peso e un ostacolo per la forza ed il vigore della stessa’. Non è forse vero che il suddetto quesito ci lascia col il fiato sospeso e senza parole? La prima reazione è quella di buttare via il giornale, saltar su dalla sedia, camminare avanti e indietro per far sbollire l’indignazione e la giusta collera per il fatto che vengano posti dei quesiti come quelli che sono stati posti al Santo Uffizio. Se non si è proprio dei selvaggi, per giorni e giorni si continuerà a riflettere su questa notizia [...]. Quale perfidissima infamia, quale abiezione sarebbe il voler decidere da un mero punto di vista utilitaristico, come se si trattasse dell’esistenza di una vacca o di un
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Il bilancio dell’orrore I grandi movimenti demografici nel periodo tra il 1939 e il 1945 avvenuti in seguito al trasferimento degli optanti sudtirolesi, che erano stati distribuiti sull’intero territorio controllato dai nazisti; il ricovero di malati e disabili negli ospedali psichiatrici e nelle istituzioni sociosanitarie in Austria, nella Germania meridionale e in Italia; l’alta rata di mortalità a causa dei micidiali «programmi di denutrizione» o per effettiva carenza di alimenti negli ospedali psichiatrici e negli istituti assistenziali nonché il perfetto camuffamento delle diverse «azioni» e «programmi» sono tutti fattori che impediscono di stabilire anche solo approssimativamente il numero delle vittime del nazismo tra i disabili e i malati psichici del Nordtirolo e dell’Alto Adige. Nel libro Widerstand und Verfolgung in Tirol (Resistenza e persecuzione nel Tirolo) Grete Köfler riporta un elenco di nomi con 356 tirolesi, tutti vittime della barbarie nazista. Nel corso di una nuova ricerca condotta sui registri dell’Ospedale psichiatrico del Tirolo, che sono conservati ad Hall, abbiamo esaminato i dati di tutti i pazienti a partire dall’anno 1900. La prima registrazione di trasferimento di pazienti in un centro di sterminio si riferisce a due nordtirolesi ricoverati dal 1917, la prima vittima altoatesina era ricoverata ad Hall dal 1921. I pazienti nordtirolesi assassinati da Lonauer durante la fase dell’eutanasia selvaggia erano stati ricoverati prevalentemente nel 1941, fu portato a Niedernhardt però anche un paziente ospedalizzato dal 1921. Degli altoatesini uccisi a Niedernhart il primo era stato ricoverato nel 1930. Alla fine delle nostre ricerche è emerso un bilancio impressionante: ad Hartheim furono uccisi ben 269 pazienti nordtirolesi e 16 altoatesini! Le vittime dell’eutanasia selvaggia praticata da Lonauer furono 54 nordtirolesi e quattro altoatesini. In totale furono uccisi dai nazisti 343 pazienti dell’Ospedale psichiatrico di Hall.
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Il bilancio dell’orrore I grandi movimenti demografici nel periodo tra il 1939 e il 1945 avvenuti in seguito al trasferimento degli optanti sudtirolesi, che erano stati distribuiti sull’intero territorio controllato dai nazisti; il ricovero di malati e disabili negli ospedali psichiatrici e nelle istituzioni sociosanitarie in Austria, nella Germania meridionale e in Italia; l’alta rata di mortalità a causa dei micidiali «programmi di denutrizione» o per effettiva carenza di alimenti negli ospedali psichiatrici e negli istituti assistenziali nonché il perfetto camuffamento delle diverse «azioni» e «programmi» sono tutti fattori che impediscono di stabilire anche solo approssimativamente il numero delle vittime del nazismo tra i disabili e i malati psichici del Nordtirolo e dell’Alto Adige. Nel libro Widerstand und Verfolgung in Tirol (Resistenza e persecuzione nel Tirolo) Grete Köfler riporta un elenco di nomi con 356 tirolesi, tutti vittime della barbarie nazista. Nel corso di una nuova ricerca condotta sui registri dell’Ospedale psichiatrico del Tirolo, che sono conservati ad Hall, abbiamo esaminato i dati di tutti i pazienti a partire dall’anno 1900. La prima registrazione di trasferimento di pazienti in un centro di sterminio si riferisce a due nordtirolesi ricoverati dal 1917, la prima vittima altoatesina era ricoverata ad Hall dal 1921. I pazienti nordtirolesi assassinati da Lonauer durante la fase dell’eutanasia selvaggia erano stati ricoverati prevalentemente nel 1941, fu portato a Niedernhardt però anche un paziente ospedalizzato dal 1921. Degli altoatesini uccisi a Niedernhart il primo era stato ricoverato nel 1930. Alla fine delle nostre ricerche è emerso un bilancio impressionante: ad Hartheim furono uccisi ben 269 pazienti nordtirolesi e 16 altoatesini! Le vittime dell’eutanasia selvaggia praticata da Lonauer furono 54 nordtirolesi e quattro altoatesini. In totale furono uccisi dai nazisti 343 pazienti dell’Ospedale psichiatrico di Hall.
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La fine Il 9 marzo 1945 il dottor Rudolf Lonauer scrisse al dottor Hans Czermak ad Innsbruck: «Poiché la situazione potrebbe diventare ben presto tutt’altro che piacevole penso di trasferire la mia famiglia, soprattutto i bambini, in una regione più tranquilla. Mi rivolgo a Lei pregandoLa di aiutarmi. Forse conosce un rifugio sicuro. Mia moglie vuole restare qui finché è possibile, ma mi tranquillizzerebbe sapere dove posso andare se saremo evacuati. AvendoLa a suo tempo aiutata a svuotare gli istituti del Tirolo, spero che mi possa trovare almeno in uno dei Suoi istituti un posto per mia moglie e i bambini. Dal dicembre del 1944 sono di nuovo a Niedernhart, perché a novembre sono stato ferito in Serbia per la seconda volta. Mi hanno chiamato qui perché potessi riprendere la mia precedente attività sotto altra forma, e così ho svuotato quasi del tutto Niedernhart, che è ora un grande ospedale militare…». Il 17 aprile 1945 il dottor Hans Czermak rispose al camerata Lonauer: «Ho ricevuto la Sua lettera del 9 marzo dopo un viaggio di quattro settimane e sono ovviamente disposto ad accogliere la Sua richiesta, anche se la cosa si presenta estremamente difficile. Vorrei farLe una proposta un po' avventurosa la cui realizzazione potrebbe servire ai nostri reciproci interessi: si rechi in incognito all’Ospedale di Hall spacciandosi per aiuto medico e – visto che l’istituto è strapieno – organizzi una riduzione del numero dei malati. In questo modo Le sarà certamente possibile sistemare la famiglia nel modo più opportuno…». Lonauer morì suicida il 5 maggio 1945 a Gschwandt dopo aver ucciso sua moglie e i due figli. Hans Czermak, direttore dell’Ufficio distrettuale della sanità fu condannato nel 1949 a otto anni di carcere duro cui furono sottratti i tre anni di carcere preventivo (dal 10 maggio 1945). Nel 1950 fu rilasciato però dal carcere di Garsten «per buona condotta». La sua domanda di riammissione alla professione medica fu perorata sia dalla Camera dei medici del Tirolo come
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Indice
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Premessa all’edizione italiana
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Prefazione Al posto di una premessa
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LA NECESSITÀ DI RICORDARE
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LA RICADUTA NELLA BARBARIE 1. L’assunzione delle idee socialdarwinistiche nel nazismo 2. Educazione sistematica alla disumanità 3. Il decreto del Führer 4. Tracce di un’opposizione
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INIZIO DELLE AZIONI DI STERMINIO 1. L’eliminazione delle «vite senza valore» 2. La fabbrica della morte del dottor Lonauer ad Hartheim 3. Eutanasia selvaggia
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UNA TRACCIA DI SANGUE ATTRAVERSO L’AUSTRIA: I CRIMINI CONTRO
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MALATI PSICHICI E DISABILI NELLE REGIONI AUSTRIACHE
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1. Salisburgo 2. Stiria 3. Carinzia 4. Bassa Austria 5. Alta Austria 6. Voralberg 7. Vienna 8. Burgenland DIMENTICATI E RIMOSSI: LA «POLITICA DEMOGRAFICA» NAZISTA NEL NORDTIROLO E IN ALTO ADIGE 1. La situazione storica del Sudtirolo
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2. La realizzazione del «Programma eutanasia» in Alto Adige 3. L’ospedale psichiatrico di Pergine e i pazienti altoatesini negli ospedali psichiatrici del Baden-Württemberg 4. I pazienti del Nordtirolo e dell’Alto Adige ricoverati alla Clinica universitaria di psichiatria e neurologia di Innsbruck 5. Il destino degli schizofrenici 6. Il destino dei pazienti dell’Ospedale psichiatrico di Hall 7. I trasporti di pazienti nella Germania meridionale. Il destino dei deportati altoatesini 8. I malati psichici altoatesini negli ospedali psichiatrici di Zwiefalten e Schussenried nel Baden-Württemberg (Johannes May) 9. «Un sudtirolese occuperà il posto di due malati precedenti»: lo sterminio di disabili della Franconia come presupposto per creare nuovi spazi per gli optanti altoatesini 10. Pazienti del Nordtirolo e dell’Alto Adige negli istituti assistenziali 11. Pazienti nordtirolesi e altoatesini nell’Ospedale psichiatrico «Valduga» a Rankweil nel Vorarlberg
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F ANATISMO E INTOLLERANZA : L’APPLICAZIONE DELL ’« EUTANASIA SELVAGGIA » IN A LTO A DIGE
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«UN ORRIBILE SOSPETTO» E LE REAZIONI DELLA POPOLAZIONE
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IL BILANCIO DELL’ORRORE
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LA FINE
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UNO SGUARDO AL PASSATO E UNO AL FUTURO
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RIEPILOGO
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RINGRAZIAMENTI
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BIBLIOGRAFIA
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INDICE DEI NOMI
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Dal giugno 1933 nei territori del Reich tedesco s’iniziò a praticare la sterilizzazione sistematica dei cosiddetti Erbkranke, ossia individui affetti da malattia di tipo ereditario. Il passo successivo fu, nell’ottobre 1939, l’attivazione per ordine segreto del Führer del «Programma eutanasia», che prevedeva la soppressione dei malati psichici e dei disabili. Più di settantamila persone morirono così nelle camere a gas in nome della Säuberung des Volkserbgutes (epurazione del patrimonio ereditario nazionale). Solo la crescente opposizione interna convinse Hitler stesso dell’opportunità di sospendere il programma con un decreto del 24 agosto 1941. Questa decisione, tuttavia, non comportò un cambio di indirizzo, ma solo di strategia. I disabili e i malati psichici continuarono a cadere vittime della cosiddetta Wilde Euthanasie (eutanasia selvaggia) esercitata per mezzo di privazioni di ogni genere e la somministrazione letale di medicinali. Questo, in estrema sintesi, il quadro d’insieme all’interno del quale si colloca la vicenda narrata da Hartmann Hinterhuber nel suo libro. Dati e testimonianze alla mano, l’Autore contribuisce a far luce su uno dei più orrendi crimini consumati fra il 1933 e il 1945 dal regime nazista ai danni di tante persone deboli e indifese, con particolare riferimento al Tirolo del nord e all’Alto Adige. Sommario: Al posto di una premessa; La necessità di ricordare; La ricaduta nella barbarie; Inizio delle azioni di sterminio; Una traccia di sangue attraverso l’Austria: i crimini contro malati psichici e disabili nelle regioni austriache; Dimenticati e rimossi: la «politica demografica» nazista nel Nordtirolo e in Alto Adige; Fanatismo e intolleranza: l’applicazione dell’«eutanasia selvaggia» in Alto Adige; «Un orribile sospetto» e le reazioni della popolazione; Il bilancio dell’orrore; La fine; Retrospettive e prospettive; Riepilogo; Ringraziamenti. Hartmann Hinterhuber è direttore della Clinica universitaria di psichiatria e vicedecano della Facoltà di medicina dell’Università Leopold Franzens di Innsbruck. È membro di numerose associazioni nazionali e internazionali di psichiatria. La sua attività di studio e ricerca si è concentrata principalmente sui temi della schizofrenia, delle dipendenze, dell’epidemiologia e della psichiatria sociale. Museo storico in Trento onlus
www.museostorico.it – info@museostorico.it – tel. 0461.230482 - fax 0461.237418
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ISBN 88-7197-062-4 E 13.00