Università e nazionalismi Innsbruck 1904 e l’assalto alla Facoltà di giurisprudenza italiana a cura di
Günther Pallaver e Michael Gehler
2010
Premessa Lo storico altoatesino Claus Gatterer, nel suo Italiani maledetti, maledetti austriaci: l’inimicizia ereditaria (1972), sostiene che solo la verità sul proprio passato è in grado di avvicinare gli uni agli altri. Questa strada è stata imboccata, tra l’altro, con il convegno «4 novembre 1904: i ‹fatti di Innsbruck› o l’assalto alla Facoltà di giurisprudenza italiana», che a cento anni da quell’episodio, che ha scavato un solco così profondo fra le due comunità, ha visto studiosi del Tirolo, Alto Adige e Trentino riunirsi a Innsbruck, nella cornice del Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, per intraprendere un esame critico di quegli eventi. Un secolo di separazione, di contrapposizione, se non di vera e propria ostilità, ha preceduto la riflessione sui «fatti di Innsbruck»: La ricostruzione degli eventi del 1904 è stata oggetto di forzature e di strumentalizzazioni. Grazie alla collaborazione che si è instaurata tra i nostri due Musei con l’apporto fondamentale di autorevoli storici e studiosi, si è riusciti ad impostare e a portare a termine un progetto condiviso. Nel momento in cui si pubblicano questi atti è però importante non rimuovere l’attenzione su quei fattori che hanno impedito per lungo tempo, e che in parte impediscono ancora, nuove letture. Due guerre mondiali, gli effetti nefasti del fascismo e del nazionalsocialismo, le vicende del primo dopoguerra seguite all’Accordo di Parigi, gli anni sessanta, sono elementi che hanno inciso direttamente nella «percezione» dei «fatti di Innsbruck». Anche la storiografia ha assecondato le esigenze della memoria pubblica. Tali difficoltà si sono registrate nello studiare e nell’interpretare i nodi fondamentali di questa «storia regionale». Il lavoro ancora da intraprendere richiede quindi un approccio diverso e l’attivazione di progetti e strumenti comuni. Tutto ciò si inserisce in un nuovo contesto. Dapprima l’Europa unita ha smantellato le barriere mentali, poi l’Accordo di Schengen le ha eliminate anche fisicamente. La libera circolazione senza controlli alle frontiere ha inaugurato in senso traslato la libera circolazione
delle idee e una rielaborazione storica condivisa del passato. I musei, che sono la «coscienza storica» di un territorio e di una comunità, svolgono a questo riguardo un ruolo fondamentale anche in Tirolo. I due musei – il Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck in quanto più antica istituzione museale tirolese (1823) e il Museo storico in Trento (oggi Fondazione Museo storico del Trentino) – non hanno atteso il convegno del 2004 per riportare alla luce un patrimonio culturale condiviso e a lungo oscurato, e avviare su di esso una disamina critica. La funzione ricoperta dai due musei va ben oltre. Unitamente ai Musei provinciali dell’Alto Adige, essi sono espressione simbolica e concreta della memoria storica dei tre territori regionali, i quali, nell’ambito dell’Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino, intendono riallacciarsi a ciò cui si era pensato che la conclusione della prima guerra mondiale avesse messo la parola fine. Un primo esempio concreto dei fecondi rapporti scientifici in ambito di lavoro museale, esistenti da anni fra le varie istituzioni, è stata l’esposizione 1500 circa, tenutasi nel 2000, che per la prima volta ha visto, accanto al Land Tirolo (Lienz, Schloss Bruck) e all’Alto Adige (Bressanone, Museo Diocesano), anche la partecipazione del Trentino (Castel Beseno) a una grande mostra sul Tirolo storico, un evento che è stato anche espressione di una volontà politica condivisa dei tre territori. L’uscita del volume sui «fatti di Innsbruck» segue di poco la conclusione delle celebrazioni per il bicentenario del 1809, foriere di importanti stimoli e impulsi, che ci sollecitano ad alcune riflessioni conclusive di carattere storico. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il nazionalismo è dilagato «in entrambi i fronti» – in maniera del tutto ingiustificata – anche al riguardo del cosiddetto «Anno Nove» e del suo protagonista Andreas Hofer, un uso anti-italiano dell’oste della Val Passiria e un parallelo rifiuto per gli eventi storici targati «Tirolo storico». Il bicentenario, al di là di qualche polemica, ha permesso di lavorare seriamente. Buoni libri di storia ed adeguate iniziative divulgative hanno contribuito a mettere in luce la complessità del personaggio e della fase storica di cui è stato protagonista Nei prossimi anni al capitolo Hofer, e alle positive collaborazioni realizzate in occasione del Bicenntario, devono seguire altre pagine, aggiungendo capitoli nuovi: l’orizzonte è davvero ampio, le ipotesi di ricerca comune sono molteplici. Giuseppe Ferrandi e Meinrad Pizzinini
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Günther Pallaver e Michael Gehler
Introduzione
La questione dell’istituzione di un’università italiana autonoma o, in mancanza di essa, di una facoltà italiana fu sollevata a più riprese nella monarchia austriaca fin dal 1848 e dibattuta in maniera serrata a livello governativo dal 1903. Le ipotesi prese in considerazione al riguardo furono molteplici – Trieste, Rovereto o Innsbruck –, ma da ultimo mancò una presa di decisione univoca e coerente. Si finì pertanto per ripiegare sulla creazione, nel capoluogo tirolese, di una Facoltà italiana di giurisprudenza, collegata in maniera piuttosto informale con l’Università. Il clima di forte contrapposizione nazionalistica, prodottosi già da qualche tempo, innescato da risentimenti nazionali e slogan xenofobi tipo «Fuori gli Italiani!» e «Abbasso l’Austria» e alimentato da provocazioni reciproche, esplose incontenibile il 4 novembre 1904 con la
distruzione della Facoltà italiana di giurisprudenza inaugurata solo il giorno prima. La protesta studentesca degenerò in rivolta. Seguirono violenti scontri tra le due fazioni. Dovette intervenire l’esercito. Il bilancio finale dei tumulti fu di un morto e numerosi feriti. A un secolo da quell’increscioso episodio, che suscitò clamore anche all’esterno dei confini tirolesi, svelando all’opinione pubblica internazionale quale livello di esasperazione avesse oramai toccato, entro la monarchia asburgica, la battaglia per l’autonomia culturale delle nazionalità, si sono incontrati per la prima volta storici austriaci e italiani allo scopo di far luce su questo evento, di analizzarlo e di contribuire ad una interpretazione condivisa di una pagina buia della storia del Tirolo asburgico. In occasione del centenario dei «fatti di Innsbruck» il Tiroler LandesmuIntroduzione
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seum Ferdinandeum e il Museo storico in Trento, in collaborazione con il Tiroler Geschichtsverein e gli Istituti di Scienze politiche e Storia contemporanea dell’Università di Innsbruck, hanno organizzato un convegno, svoltosi a Innsbruck il 4 novembre 2004. In quest’occasione sono stati presentati alcuni contributi cui si sono aggiunti per questo volume i saggi di nuovi autori. Il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azelio Ciampi, ha inviato un saluto in cui, da convinto fautore dell’ideale europeo, ha sottolineato l’importanza di un comune impegno nel segno di una feconda convivenza dei popoli1. Apre il volume il saggio di Michael Gehler dal titolo «Il contesto politico della monarchia asburgica nel 1904». L’Autore esamina gli eventi di Innsbruck a partire dalla riuscita inaugurazione della nuova istituzione accademica, per passare poi a descrivere gli scontri scoppiati l’indomani e culminati nella distruzione degli arredi della Facoltà italiana di giurisprudenza. Gehler inserisce gli accadimenti locali nel più ampio contesto delle vicende e degli scandali propri alla cultura po-
litica di fine secolo. La fallimentare gestione della crisi da parte della monarchia asburgica e le reciproche condanne espresse vicendevolmente dalle autorità di Innsbruck e Vienna evidenziano l’incapacità da parte governativa ad affrontare le problematiche degli studenti italiani, di garantire l’autonomia accademica e culturale nello Stato plurinazionale e di trovare adeguate soluzioni. Irmgard Plattner, nel suo saggio dal titolo «La città di Innsbruck alla svolta del secolo», cerca di appurare quali appigli offrisse una città come Innsbruck a una rivolta di questo genere, quale contesto ideologico agisse alle spalle di questi atti di violenza e quali rapporti sussistessero fra l’Università di Innsbruck e la città. Andreas Bösche, nel suo saggio dal titolo «Studenti e professori nel conflitto sulla Facoltà italiana di giurisprudenza di Innsbruck (1864-1904)», esplora i molteplici scontri nazionalistici insorti fra studenti tedeschi e italiani verificatisi all’Università di Innsbruck prima del novembre 1904. Dimostra così in maniera convincente fino a che punto l’Università d’impronta
1 Ecco il testo del telegramma inviato e letto in sede di convegno da Livio Pranzelores: «Le manifestazioni per il centenario dei fatti di Innsbruck rinnovano nella coscienza collettiva il ricordo di una pagina importante della storia di libertà, di progresso e di democrazia della nostra nazione. La memoria del passato è un dovere, una risorsa ideale che rafforza soprattutto nelle nuove generazioni la consapevolezza dei valori su cui si fonda l’impegno comune per l’armoniosa convivenza fra i popoli e le civiltà. Con questa consapevolezza il presidente della Repubblica esprime apprezzamento agli organizzatori dell’iniziativa e invia alle autorità e a tutti i presenti un saluto partecipe. Da Roma, 4 novembre 2004».
Günther Pallaver e Michael Gehler
nazional-tedesca unitamente alla popolazione di Innsbruck cercasse di scacciare sistematicamente gli italiani dall’Università, ricorrendo talvolta, anche grazie alla copertura garantita dalle autorità, ad azioni di genere violento. «Camerati, commilitoni e complici: struttura organizzativa del movimento studentesco italiano nella monarchia asburgica all’inizio del Novecento»: questo il titolo del saggio di Eva Maria Bauer, che analizza per la prima volta la rete di relazioni nata fra gli studenti italiani della monarchia, la sua capacità di mobilitazione, le diverse associazioni di supporto e l’attivismo subentrato a partire dal 1901 in seno alla monarchia, soprattutto a Innsbruck, ma anche nella parte italiana del Regno. Gli studenti italiani evidenziavano un potenziale di emancipazione ben organizzato e in grado di ricorrere fra le altre cose anche alle provocazioni. Vincenzo Calì, nel suo contributo dal titolo «L’Università della diaspora (1866-1918)», prende in considerazione soprattutto le iniziative promosse dall’«Associazione studenti trentini», delineando inoltre il modo in cui in Trentino si svolse il dibattito sulla questione universitaria nell’arco di tempo compreso fra la fine della Grande Guerra e la nascita di una propria università all’inizio degli anni sessanta del Novecento. Magda Perricelli, nel suo saggio dal
titolo «‹O Trieste o nulla!›: i ‹fatti di Innsbruck› nella stampa quotidiana del Regno d’Italia», testimonia attraverso l’analisi dei numerosi articoli apparsi sulla stampa italiana con quanto interesse fosse seguita la questione dell’università italiana sia sul giornale Il Popolo di Cesare Battisti sia su altri quotidiani del Regno d’Italia. Gli eventi del 4 novembre 1904 ebbero peraltro una risonanza mediatica di rilievo internazionale. Graziano Riccadonna, nel suo saggio «Il mito dell’Università», delinea le diverse fasi di confronto-scontro, dibattito e proposte, come anche le contraddizioni emerse dai dibattiti e dall’atteggiamento degli italiani della monarchia nei confronti della questione universitaria e dal mito che vide successivamente la luce. Günther Pallaver, con un’analisi del contesto politico, si occupa soprattutto di come, in una situazione del tutto nuova, è andata evolvendo la questione dell’università nel primo e nel secondo dopoguerra nei tre Paesi della futura «Euregio», ossia Tirolo, Alto Adige/Südtirol e Trentino. Chiude il volume Livio Pranzelores. In un documento dal tono personale che rievoca l’evento, riferisce i fatti così come gli sono stati raccontati dal padre che vi partecipò in prima persona, dimostrando con ciò l’importanza documentaria che l’argomento rivestiva anche in seno alle famiglie.
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Introduzione
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G端nther Pallaver e Michael Gehler
I «fatti di Innsbruck» rappresentano un evento dalla valenza paradigmatica per quanto riguarda il nazionalismo otto e novecentesco e le battaglie delle nazionalità, portate avanti con ostinazione se non con violenza in seno alla monarchia austroungarica, in cui già alla fine dell’Ottocento erano esplosi i conflitti. Lo scenario creatosi a Innsbruck fu, da questo punto di vista, solo una tardiva ramificazione, un epigono
dei precedenti conflitti e scontri universitari verificatisi a Praga o Vienna. L’analisi di questo evento, inserito nel contesto politico di allora, evidenzia il potenziale esplosivo del nazionalismo in quanto movimento politico e sociale. Il nazionalismo rappresentò una risposta radicale al processo di trasformazione sociale, alle fratture istituzionali come anche all’irruzione della modernità nella monarchia del tempo.
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Introduzione
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Michael Gehler*
Il contesto politico della monarchia asburgica nel 1904
1. Premessa A partire dal 1903 nella monarchia austroungarica si accese a livello governativo un serrato dibattito sull’istituzione di un’Università italiana a sé stante o, in alternativa, di una Facoltà di lingua italiana. Furono avanzate considerazioni e proposte di varia natura, ma non venne presa nessuna decisione chiara e coerente. L’apertura di una
Facoltà italiana di giurisprudenza a Innsbruck, collegata in maniera possibilmente informale con l’Università, doveva rappresentare una soluzione al problema. Innescata da risentimenti nazionali («Fuori gli Italiani!», «Abbasso l’Austria» ecc.) e alimentata da provocazioni reciproche, si delineò un’atmosfera nazionalistica violenta ed esplosiva, che il 4 novembre 1904 sfociò nell’assalto
* Riferimenti bibliografici: Ardelt 1972; Ardelt 1984; Ardelt 1994; Bauer 1923; Bauer 1924; Bauer 1927; Berchtold 1967; Biastoch 1989; Bled 1988; Bösche 2003; Botz 1983; Boyer 1981; Brückmüller 1990; Burger – Wohnout 1996; Burns 1991; Carsten 1977; Charmatz 1911-1912; Drobesch 1991; Ehmer 1982; Ehmer 1986; Ehmer 1994; Frevert 1991; Fuchs 1949; Geehr 1990; Gehler 1994; Gehler 2002; Gehler –Ortner 2006; Gödde-Baumanns 1992; Göhring 1974; Good 1994; Good – Grandner – Mayne 1994; Hanisch 1994; Hanisch 1995; Heindl –Tichy 1990; Hennings 1970; Höbelt 1993; Jerábek 1991; Kann 1964; Kann 1966; Kann 1974; Kann 1990; Kaufmann 1979; Klemperer 1976; Kneussl 1970; Kostner 1970; Kuprian 1996; Kuprian 1997; Leser 1968; Mader 1983; Markus 1986; Mayr 1996; Molisch 1926; Paupié 1960; Pelinka – Reinalter 2002; Pelinka – Scheuch 1989; Pichl 1940; Popp 1984; Preglau-Hämmerle 1986; Rauchensteiner 1994; Rauchensteiner 1996; Reichhold 1989; Rerum 1993; Ronge 1930 Rumpler 1966;; Schneefuss 1949; Spira 1981; Stourzh 1994; Stourzh – Grandner 1986; Sturmayr 1991; Sturmayr 1995; Sutter 1960; Tálos 1981; Thalheimer 1986; Ucakar 1985; Urbanitsch 1990; Wackerle 1970; Weinzierl 1975a; Werkmann 1923; Whiteside 1981; Windisch 1981; Würthle 1975; Zöllner 1979.
Il contesto politico
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e nella distruzione della Facoltà italiana di giurisprudenza inaugurata il giorno prima. La protesta studentesca degenerò in rivolta. Il bilancio dei tumulti che seguirono fu di un morto e di numerosi feriti. A un secolo di distanza da quell’increscioso episodio, che fece scalpore oltre i confini del Tirolo evidenziando a un’opinione pubblica internazionale quale livello di esasperazione avesse toccato entro la monarchia asburgica la battaglia per l’autonomia culturale delle nazionalità, si sono per la prima volta riuniti a Innsbruck storici austriaci e italiani per indagare insieme l’evento e analizzarlo per fornire un contributo alla sua storicizzazione. In questa sede l’episodio, che fu alimentato da spinte nazionalistiche e seppe scatenare passioni patriottiche, verrà non solo ricostruito, ma anche inserito nel più vasto contesto della cultura politica e analizzato sullo sfondo delle vicende e degli scandali politici che segnarono la fine della monarchia. 2. I «dati di fatto» Nel periodo compreso tra l’ultimo decennio di vita della monarchia e il primo dopoguerra, le condizioni di fondo, le cause, i motivi, il decorso, l’effetto e le conseguenze di lungo termine di vicende e scandali politici recano il segno della complessità di fattori immanenti al sistema e dei cambiamenti intervenuti nello Stato, nella società, nel governo e
Michael Gehler
nei mass media. A titolo introduttivo, verrà delineato il mutamento politico intervenuto negli anni del declino della monarchia, esemplificato dalle condizioni statali, sociali, governative e partitiche nonché da quelle specificamente «mediatiche». L’esame delle vicende scandalistiche evidenzia i seguenti livelli o «dati di fatto», che si tratterà ora di illustrare e di analizzare sulla base di esempi: • violazione della ragion di Stato e del principio di legittimità (messa in discussione del sistema di trono e altare e della grazia divina); • crisi del primo parlamentarismo nel segno del conflitto tra le nazionalità; • codice d’onore borghese e duello come strumenti di status o di classe; • primato nazionale ed egemonia culturale come espressione di supremazia politica e ideologica nelle università; • inviolabilità o contestabilità del cattolicesimo politico e scientifico (dibattito sul laicismo e sul modernismo) e postulato della libertà scientifica e dottrinale; • spionaggio e diplomazia segreta con violazione di vincoli posti dal segreto d’ufficio e da quello di alleanza politica; • terrorismo individuale come espressione di onnipotenza politica: violenza e assassinio come mezzi usati nella gestione dei conflitti politici;
Irmgard Plattner*
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La città di Innsbruck alla svolta del secolo Qualsiasi ipotesi sarebbe dilettantesca, e gli risulterebbe opprimente anche il pensiero della fantasia che ci vorrebbe per immaginare come potrebbero essere andate le cose. (Arno Geiger, Va tutto bene, p. 5)
1. I «fatti» «Questa notte degli inermi abitanti tedeschi di Innsbruck sono stati aggrediti da un gruppo armato di studenti italiani. Da tante ferite è sgorgato prezioso sangue tedesco, e un cittadino di lingua tedesca, infilzato alle spalle dai militari, è diventato il capro espiatorio della vostra arte di governo che si rifugia nella baionetta. Il Consiglio comunale e la cittadinanza esigono categoricamente la chiusura della Facoltà italiana e il ritiro dell’infausto decreto in segno di risarcimento almeno parziale per l’inaudito atto di violenza dovuto alla sfrontatezza italiana»1.
Queste le dure parole del telegramma inviato al Primo ministro Koerber, il cui testo era stato approvato all’unanimità dal Consiglio comunale di Innsbruck, riunitosi in seduta straordinaria il 4 novembre 1904. Il motivo della richiesta era giustificato dai violenti scontri verificatisi in occasione dell’apertura della Facoltà italiana di giurisprudenza nella Liebeneggstraße. Al termine della cerimonia ufficiale, in cui tutto era filato liscio, gli studenti e i docenti italiani si erano ritrovati al Weißes Kreuz, una locanda del centro. Alle ventidue e trenta, quando i circa centoquaranta italiani decisero di lasciare il locale, trovarono ad aspettarli in strada un nutrito numero di
* Riferimenti bibliografici: Alter 1985; Blessing 1984; Dietrich 1996; Fontana 1987; HanischFleischer 1986; Hörmann 1909; Kaschuba 1988; Kostner 1970; Nipperdey 1983; Nipperdey 1986; Statistische Zentralkommission 1903-1908; Thaler 1962; Wehler 1975. 1 Innsbrucker Nachrichten. Innsbruck, 4 novembre 1904.
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tedeschi. La polizia, accorsa in tutta fretta, cercò di tenere separati i due gruppi. Fu allora che partirono dei colpi sparati dagli italiani. Undici persone, fra cui anche uno studente italiano, rimasero ferite. La folla dei tedeschi, che era andata crescendo a vista d’occhio e che contava ormai circa duecento persone, risospinse gli italiani verso la locanda all’interno della quale essi si barricarono. A mezzanotte passata giunse sul luogo il sindaco Greil, che cercò di placare la folla eccitata. Allorché i corpi di guardia presero a scortare ad uno ad uno gli italiani in Municipio, si sfiorò il linciaggio, sicché essi decisero di desistere. Dopo la mezzanotte il luogotenente Schwartzenau ordinò all’esercito di intervenire per sgomberare le strade e ristabilire l’ordine. Al comando di «baionetta in asta» i soldati avanzarono in file chiuse contro i manifestanti e li dispersero. Durante l’operazione il pittore ladino August Pezzey morì infilzato da una baionetta. Verso le tre del mattino, gli studenti italiani furono infine liberati dallo stato di assedio in cui si trovavano e condotti in Municipio dalla guardia. Il giorno seguente, 4 novembre, furono prese d’assalto diverse strutture italiane in città. La rabbia per gli incidenti del giorno innanzi e l’eccitazione a livello nazionale degli ultimi anni si riversarono sugli italiani residenti in città e sui tedeschi
Irmgard Plattner
simpatizzanti nei loro confronti, dando luogo a un’ondata di aggressioni indifferenziate. Nelle prime ore del mattino i manifestanti si radunarono davanti all’edificio della Facoltà italiana di giurisprudenza e frantumarono i vetri delle finestre con lanci di pietre; nel primo pomeriggio ritornarono sul luogo e distrussero gli arredi interni sotto gli occhi di una folla di spettatori acclamanti. Una parte di essi si diresse poi verso il Palazzo imperiale per «commentare» con urla e lanci mirati di pietre contro i vetri delle finestre la condotta tenuta il giorno prima dal luogotenente. Dovette intervenire il corpo di guardia. La furia devastatrice si volse quindi contro il palazzo del conte Trapp, noto esponente delle idee cattolico-conservatrici. I vetri delle finestre del suo palazzo andarono in frantumi. Poi fu la volta della Katholische Vereinsbuchhandlung (Cooperativa libraria cattolica), editrice del giornale conservatore Neue Tiroler Stimmen, che subì la stessa sorte. Furono demolite anche due locande bendisposte verso gli italiani, Weißes Kreuz e Steneck. Molti negozi, ambulatori medici e uffici italiani subirono danni materiali. I manifestanti si recarono altresì dal committente dell’edificio della Liebeneggstraße e dal comandante Leuprecht, che il giorno innanzi aveva diretto le operazioni dell’esercito. Furono inoltre danneggiati i locali
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Andreas Bösche*
Studenti e professori nel conflitto sulla Facoltà italiana di giurisprudenza di Innsbruck (1864-1904)
Le dispute in merito ai corsi in lingua italiana all’Università di Innsbruck, proseguite per anni con crescente asprezza da entrambe le parti, offrono una testimonianza, dalla prospettiva del mondo accademico, dell’intensificarsi del conflitto tra le nazionalità in Austria-Ungheria a cavallo dei due secoli, quale si rinviene pure in altre università austriache, in primo luogo Graz e Vienna1. A colpire, anzitutto, sono gli stretti rapporti fra associazioni studentesche, corpo docente e ceto
politico, giacché la disputa coprì per qualche tempo i contrasti politici che nell’Università di Innsbruck opponevano gli studenti e i docenti cattolici a quelli tedesco-nazionali. Non a caso, negli ambienti dell’associazionismo studentesco tedesconazionale prevaleva l’opinione che le tensioni fra nazionalità stessero «senza dubbio al centro degli eventi politici della scena universitaria di Innsbruck nei primi dieci anni del nuovo secolo, per cui si deve essere fieri dell’ener-
* Riferimenti bibliografici: Akademische Verbindung Austria 1914; Akademische Verbindung Vindelicia 1926; Berka 1959; Festschrift 1913; Fontana 1987; Gatterer 1975; Hamann 1996; Knoll 1924; Kostner 1970; Kuprian 1986; Leeb 1967; Leopold 1899; May 1980; Molisch 1939; Oberkofler 1969; Oberkofler 1975; Österreichischen Akademie der Wissenschaften 1957-; Pichler 1976; Ranzi 1961; Scheuer 1910; Schober 1992a; Schober 1992b; Schödl 1928; Schulze – Ssymank 1918; Whiteside 1981. 1 Kostner 1970. Confronta inoltre: Oberkofler 1975; Leeb 1967: 85-159; Schulze – Ssymank 1918: 381-382; Scheuer 1910: 371-372; Knoll 1924: 387-397; Molisch 1939: 55-61; Whiteside 1981: 234-235.
Studenti e professori
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gia mostrata dagli studenti di Innsbruck, tanto più che essa è stata coronata da un successo straordinario, che ha avuto un significato di enorme portata in merito alla difesa della purezza etnica del Tirolo»2. 1. Gli antefatti Nell’imperial-regia monarchia, secondo il censimento del 1910, vivevano 768.422 cittadini di madrelingua italiana, dei quali 367.000 residenti nel Trentino e 8.000 nel Tirolo settentrionale. Degli abitanti di lingua tedesca del Tirolo, 500.000 circa risiedevano nel Tirolo settentrionale e 15.000 nel Trentino3. Comprensibile, pertanto, che anche nell’Università di Innsbruck si tenessero corsi in lingua italiana: lezioni in italiano erano infatti state introdotte a partire dal semestre invernale 1864/1865 nella Facoltà di giurisprudenza dell’ateneo4. Per molto tempo i corsi furono tenuti da insegnanti incaricati di lingua italiana o da liberi docenti e professori di lingua tedesca, e solo dalla metà degli anni novanta diventò corrente la nomina a diverse cattedre di professori ordinari e straordinari di lingua
italiana. Le cattedre erano quelle di Diritto romano (1884), Diritto tedesco (1892), Diritto canonico (1897), Diritto penale austriaco e Procedura penale austriaca (1898), Procedura civile austriaca (1901), Diritto civile austriaco ed Economia politica (1903)5. Uno sviluppo che il Senato accademico commentò in questi termini: «accanto alla crescente moltiplicazione di queste cattedre dovrà comunque essere posta in essere anche un’organizzazione che non metta in pericolo l’omogeneità tedesca del collegio dei docenti e della commissione d’esame per gli studenti tedeschi, e che impedisca l’incubo angosciante di uno sdoppiamento (Utraquisierung)»6. Si trattava di una reazione antitaliana che aveva iniziato a manifestarsi già pochi anni dopo l’introduzione dei corsi paralleli in italiano, allorché l’Università di Innsbruck, nel segno del sorgere del nazionalismo durante la seconda metà del secolo XIX, aveva preso a essere considerata in misura crescente dalla popolazione austrotedesca non più come l’università locale destinata ai tirolesi di lingua tedesca come a quelli di
2 Innsbruck, Archivio privato. Manoscritto: Kurt Ziegler, Geschichte der Burschenschaft Germania Innsbruck, 1932: 90-91. 3 Kostner 1970: 9. 4 Lezioni in lingua italiana avevano luogo anche nella Facoltà di medicina (Kostner 1970: 84). 5 Leeb 1967: 88-89. 6 Leopold 1899: 17.
Andreas Bösche
lingua italiana, bensì come un’istituzione accademica puramente germanica. Al processo contribuirono sostanzialmente gli stessi docenti, provenienti in larga maggioranza da ambienti liberali e in parte da ambienti tedesco-nazionali; del resto, persino i professori ascrivibili al movimento politico cattolico espressero la propria contrarietà all’introduzione del bilinguismo nell’ateneo 7 . Emil Kleinschrod, docente originario della Germania appartenente all’Akademischer Gesangsverein di Innsbruck8, ad esempio, già nel 1869 si dichiarava contrario al bilinguismo: «non per eliminare con la forza la lingua italiana in Tirolo, bensì contro quella pubblica e sistematica opera di latinizzazione del territorio ereditario della corona che comporterebbe una manifesta, e al tempo stesso segreta guerra di distruzione dell’elemento germanico. […] Per questo non deve essere assolutamente trascurato che per la Cisleitania è proprio la lingua tedesca, e con essa lo spirito tedesco, a dover essere curata con grande attenzione, anzitutto per ragioni di natura altamente politica. Trascorsi millenari e obiettivi culturali di prima
grandezza richiamano più che in passato l’Austria contemporanea alla protezione del suo elemento tedesco quale fonte più certa e pura di ogni civiltà. E del resto dove riposano le speranze per il futuro, se vogliamo che esso sia, se non in terra germanica? Per questo appare più opportuno, nell’insieme, mirare a fare in modo che con il tempo in Tirolo non ci sia semplicemente più alcun bisogno di cattedre italiane»9. Nel 1879 e nel 1883 i professori di lingua tedesca della Facoltà di giurisprudenza reclamarono l’abolizione delle lezioni in italiano tenute da insegnanti non abilitati. Nel 1884 la richiesta fu ribadita, e nell’eventualità di conferma di quei corsi si escludeva qualsiasi ulteriore collaborazione con essi. Se tali richieste furono definitivamente respinte nel 1891, non di meno la Facoltà di giurisprudenza rifiutò qualsiasi parificazione dei corsi tenuti da liberi docenti e professori di ruolo di lingua italiana con i restanti corsi per timore dello sdoppiamento dell’Università10. O, per dirla in termini più drastici con le parole del professor Ernst Hruza (1856-1909)11, si vedeva «negli italiani e nei tirolesi di lingua romanza
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Oberkofler 1975: 13-15. Jahresberichte [Akademischer Gesangsverein]. Innsbruck, 1903-1905: 35. 9 Innsbruck, Universitätsarchiv, Jur 140/1869. 10 Kostner 1970: 86-87. 11 Leeb 1967: 245-246. 7 8
Studenti e professori
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Eva M. Bauer*
Camerati, commilitoni e complici struttura organizzativa del movimento studentesco italiano nella monarchia asburgica all’inizio del Novecento
«Il problema universitario era l’idea-principe della politica irredentista; oculatamente applicata, svolgeva ogni genere di servizio. Costringeva gli italiani irredenti all’unità sulla base d’una precisa piattaforma, alla sacra unità; animava la voglia di battersi, quando l’agitazione minacciava di spegnersi; era tirata fuori come ancora di salvezza in ogni situazione critica; dimostrava all’estero che il governo austriaco era maldisposto verso gli italiani e li trattava in modo palesemente ingiusto» Silvio Enea Benco1
Alla fine del XIX secolo iniziò a formarsi in Austria-Ungheria un movimento studentesco il cui intento dichiarato era il miglioramento delle infrastrutture accademiche destinate alla minoranza italiana che viveva nei territori dell’Impero. La cosiddetta questione universitaria, ossia l’istanza di istituire un’università italiana all’interno della Monarchia, forniva tuttavia anche un pretesto
per svolgere un’attiva propaganda irredentista. Dopo la perdita del Veneto, nel 1866, non esisteva più alcuna Università di lingua italiana entro i confini dello stato austroungarico. Un esiguo numero di corsi di giurisprudenza a Innsbruck rappresentava l’unica possibilità che gli austro-italiani avevano di compiere degli studi superiori nella loro lingua madre2. Dalla fine del
* Riferimenti bibliografici: Ara 1974a; Ara 1976; Ara 1987b; Bauer 2008; Calì 1990; Cerwinka 1977; Cohen 1996; Della Porta – Diani 2006; Diani – McAdam 2003; Fournier-Finocchiaro 2006; Frigessi 2003; Gatterer 1967; Gatterer 1986; Gibson 2002; Höbelt 2000; Killinger 2002; Kostner 1970; Mola 1999; Oberkofler 1975; Schusser 1972; Scott 1991; Spadolini 1981; Stimmer 1997; Tilly 1978; Villa 1985; Weinzierl 1975b; Wetherell 1998. 1 Citato in Gatterer 1986: 113-114. Lo scrittore Silvio Enea Benco (1874-1949) fu editore della rivista Il Piccolo. 2 Oberkofler 1975.
Camerati, commilitoni e complici
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XIX secolo fino allo scoppio della prima guerra mondiale la questione universitaria italiana costituì un importante problema della politica interna, una delle tematiche preferite dei deputati italiani del Reichsrat. Gli studenti, dal canto loro, portarono la protesta per le strade per attirare l’attenzione sulla questione grazie a un’imponente presenza sui media. A partire dal 1901, aggrava la situazione l’attivismo politico esasperato degli studenti italiani. Quell’anno, a Innsbruck, in occasione della prolusione del libero docente Francesco Menestrina, si verificarono per la prima volta violenti scontri tra gli studenti tedeschi e quelli italiani. Anche negli anni successivi l’Università di Innsbruck rappresentò il centro dell’azione del movimento. Nel 1902 ci furono delle manifestazioni in occasione dell’inaugurazione da parte del rettore, che si ripeterono nel 1903 a causa del primo corso universitario tenuto da un professore italiano, Giovanni Lorenzoni. In quello stesso anno gli studenti cercarono di prendere in mano la pianificazione degli insegnamenti, programmando una serie di conferenze di studiosi italiani. La soppressione, da parte delle autorità, di questa iniziativa, battezzata «Università libera», sca-
tenò nuove proteste. I disordini più gravi avvennero nel novembre del 1904. L’apertura di una facoltà di giurisprudenza di lingua italiana fu seguita da sanguinosi tumulti che si protrassero per vari giorni nella capitale del Tirolo. Questi eccessi di violenza entrarono nella storia come «i fatti di Innsbruck», l’apice della protesta da parte del movimento studentesco italiano. La ricerca storica ha trattato la questione universitaria soprattutto in un’ottica politico-amministrativa3. Ha analizzato i conflitti studenteschi solamente a margine e come conseguenza di decisioni politiche e amministrative, non attribuendo agli studenti alcun ruolo attivo. Un approccio a questa tematica che si incentri sui protagonisti della vicenda offre la possibilità di osservare gli studenti come una forza politica che prende forma in modo attivo. Un’analisi della struttura dell’organizzazione e del potenziale di mobilitazione del movimento studentesco italiano consente di inserire i conflitti dell’ambiente accademico all’interno di un contesto più ampio e di far luce sui meccanismi che hanno determinato gli atteggiamenti di protesta. Dal momento che l’Università di Innsbruck ha rappresentato il
Kostner 1970; Schusser 1972; Weinzierl 1975b; Ara 1974a. Confronta inoltre: Ara 1976 e Ara 1987b. 3
Eva M. Bauer
centro dell’azione di protesta del movimento a partire dalla fine del secolo fino ai disordini del novembre del 1904, il primo passo sarà l’analisi della composizione della sua popolazione studentesca dal punto di vista statistico. Ciò offrirà la base per comprendere i meccanismi di interazione tra i singoli gruppi etnici nell’ambito accademico e metterà in luce la grande eterogeneità degli studenti italiani. In questo contesto, analizzeremo sia il rapporto numerico tra gli italiani e il complesso degli studenti, per illustrare in quali momenti essi hanno costituito un gruppo rappresentativo all’interno dell’università, sia la loro provenienza regionale. Le organizzazioni portanti del movimento e i loro attori principali saranno al centro del prossimo
paragrafo. La comunità studentesca era organizzata in una quantità di associazioni, il cui carattere ufficiale non ci consente di distinguere con chiarezza a prima vista l’appartenenza a un movimento. Si trattava di associazioni universitarie, ma anche interuniversitarie e internazionali, o di organizzazioni che non avevano la loro origine in un ambito accademico, ma che comunque facevano propri gli argomenti e le istanze degli studenti. Queste ultime erano soprattutto gruppi a forte connotazione irredentista, che cercavano di diffondere la propria ideologia separatista ponendo la questione della disparità di trattamento della minoranza linguistica italiana nella monarchia asburgica. L’analisi dei collegamenti tra i sin-
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4 Per la ricostruzione dei collegamenti tra i singoli protagonisti del movimento studentesco italiano, si sono utilizzate le seguenti fonti: Vienna, Universitätsarchiv e Graz, Universitätsarchiv, documenti del rettorato per gli anni accademici compresi tra il 1900/1901 e il 1915/1916, con particolare riguardo ai documenti della Commissione disciplinare relativi agli studenti italiani e ai documenti relativi all’associazionismo studentesco italiano; Innsbruck, Universitätsarchiv, documenti del rettorato, fascicolo 66 (Associazione universitaria cattolica trentina), fascicolo 67 (Società degli studenti e candidati trentini), fascicolo 68 (Società degli studenti trentini), fascicolo 137 (Unione e progresso), fascicolo Unione accademica e Italienerfaszikel, 1904 compresi gli atti precedenti e seguenti; Innsbruck, Tiroler Landesarchiv, Statthalterei, Fach Polizei, 1893-1915 e Statthalterei-Präsidium, 1901-1915; Graz, Steiermärkisches Landesarchiv, Statthalterei, Vereine 1895-1915 e Statthalterei-Präsidium, 1901-1915; Vienna, Haus-, Hof- Und Staatsarchiv, Informationsbureau, cartone 407, 418, 428, 439, 441, 442, 444, 451, 458 e 477, 1901-1905 e Politisches Archiv, XI Italien, cartone 162, Liasse VII, Informationsbureauakten 1904-1908, betreffend den italienischen Irredentismus und Liasse VII/1, Italienische Irredenta, Politisches Archiv, XI Italien, cartone 125-138 (1901-1907) e Politisches Archiv, XL Interna, cartone 225, Liasse XLVI/1 (Universitätsfrage) 1907-1914, Roma, Archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Serie Politica-P, Pac. 89-112, pos. 15 (1901-1915) e Pac. 540, pos. 166/1-166/4 (Università libera ad Innsbruck, Facoltà italiana a Trieste, Fatti d’Innsbruck), (1904-1914); Calì 1990, epistolario concernente la questione universitaria italiana.
Camerati, commilitoni e complici
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Vincenzo Calì*
L’Università della diaspora (1866-1918)
I tumulti scoppiati all’Università di Innsbruck nel novembre 1904 fra studenti italiani e tedeschi suonarono come una campana a morto per quanti avevano accolto con sincero entusiasmo l’irrompere delle idee internazionaliste sulla scena europea, o avevano coltivato la speranza, attraverso i principi della Rerum novarum, di una nuova fratellanza fra i popoli europei. Si ritrovarono così assieme, nelle carceri austriache, il cattolico De Gasperi e il socialista Battisti, a meditare sulle nefaste conseguenze cui avrebbe portato il riaccendersi del conflitto fra pangermanesimo ed irredentismo; quel conflitto era parso, infatti, fino ad allora alle nuove forze popolari
come peculiare al secolo appena trascorso, destinato ai loro occhi a divenire oggetto di studio per gli storici e non certo argomento di lotta quotidiana. La riprova di quanto il fuoco nazionalista con il suo corollario militarista covasse sotto la cenere si ebbe dalla vasta eco che i «fatti di Innsbruck» ebbero attraverso i numerosi articoli ad essi dedicati dalla stampa non solo italiana: le sonnolente province alpine dell’Impero finirono così al centro della scena geopolitica del tempo, con grande disappunto di chi, come Gaetano Salvemini, vedeva in ciò un grave arretramento della crescita democratica. Egli, agli amici coniugi Battisti che lamentavano lo scarso sostegno
* Riferimenti bibliografici: Adriaticus 1930; Ambrosi 1929; Andreatta 1949; Ara 1973; Ara 1974b; Ara 1987a; Ara 1987b; Battisti 1901; Battisti 1905; Battisti 1923; Battisti 1966; Benvenuti 1985; Bittanti 1938; Bittanti 1950; Bittanti 1957; Bittanti 1966; Calì 1987; Calì 1990; Federazione universitaria cattolica italiana 1996; Galante 1918; Kostner 1970; Lorenzoni 1924; Pasini 1899; Pasini 1910; Pasini 1938; Riccadonna 1999; Sighele 1910; Vadagnini 1988; Vadagnini 1997.
L’Università della diaspora
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dei socialisti italiani alla causa degli studenti trentini, rispondeva che «i fatti di Innsbruck sono in Italia sfruttati dai partiti conservatori in maniera vergognosa […]. voi vi fate ammazzare, e i vostri cari amici irredentisti per mezzo della stampa ufficiosa italiana attribuiscono a sé tutto il merito dell’agitazione nazionale. Il dr. Battisti in Italia è noto non come socialista, ma come irredentista uso Barzilai. E i socialisti non ci capiscono nulla. E io per conto mio non ho tempo di raddrizzar le gambe ai cani. Il convegno, che si era deliberato fra socialisti italiani e austriaci, avrebbe dovuto servire ad illuminare l’opinione pubblica italiana sul vero stato delle cose. Dissi ai compagni di Trieste: dovreste voi e quelli di Trento preparare una relazione documentata sulle cause delle lotte, sull’atteggiamento dei diversi partiti italiani di fronte alla questione nazionale, sulle viltà degli irredentisti vieux jeu ecc.
ecc. Ci penseremmo noi a dare la massima pubblicità alle relazioni. Ma non se ne farà nulla. In poche parole: i fatti di Innsbruck mi sono riesciti moralmente simpatici, politicamente irritanti»1. Sulla questione universitaria nelle terre italiane d’Austria, argomento che occupò nel decennio di inizio secolo le pagine dei quotidiani di mezza Europa, non esiste a tutt’oggi una vastissima letteratura; alcuni notevoli articoli coevi di Cesare Battisti, Scipio Sighele e Francesco Menestrina, brevi saggi di protagonisti fra i quali si distinguono per efficacia quelli di Giovanni Ambrosi e Giovanni Lorenzoni2, un unico lavoro organico di Ferdinando Pasini, pubblicato nella collana dei libri della Voce di Prezzolini ancora nel 1910, quando lo scontro fra studenti di diverse nazionalità dell’Impero austriaco era ancora vivissimo. Recentemente, grazie agli studi di Angelo Ara sugli italiani e l’ultima Austria3 la lacuna è stata colmata, ed è agli studi di Ara in argomento
Calì 1987: 45. Battisti 1905; Adriaticus (pseudonimo di difficile attribuzione) 1930; Lorenzoni 1924; Ambrosi 1929; Sighele 1910; Pasini 1910; Pasini 1938; dello stesso Pasini 1899. Per un’ampia documentazione sulla questione universitaria confronta anche Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Ambrosi. Per una proposta di ricostruzione storica delle vicende trentine, confronta Riccadonna 1999. 3 Ara 1974b: 9-140; Ara 1973: 52-88 e 252-280; Ara 1987a. Particolarmente efficace ci pare il giudizio che Angelo Ara dà dell’intera questione alla luce dei «fatti di Innsbruck»: «Dopo aver raggiunto la fase di tensione acuta, il problema universitario italiano riacquista i contorni più sfumati di uno degli aspetti cronici della lotta nazionale in Austria. È in questo quadro generale, caratterizzato dall’assenza di una chiara impostazione tattica e politica da parte degli austro-italiani; dalla minor sensibilità al problema, derivante dal decrescere 1 2
Vincenzo Calì
che si rinvia per una conoscenza complessiva della complessa questione universitaria negli ultimi anni dell’Austria asburgica. In questa sede, ci limiteremo a considerare i risvolti trentini della vicenda. Che subito dopo il 1866, con la perdita dell’Università di Padova, anche gli italiani d’Austria del Trentino si rendessero consapevoli dell’insorgere della questione universitaria risulta da numerose testimonianze; fra le tante, particolarmente efficace
la seguente, tratta da un passo della lettera che il patriota Scipione Salvotti4 scrisse da Mori ad un amico nel 1871: «Una questione poi, la quale sarebbe comune a noi e a quei fratelli e compagni nostri di sventura [triestini istriani e dalmati], riguarda l’opportunità di creare un’Università italiana per tutti i paesi italiani rimasti sotto l’austriaco dominio. Una siffatta università potrebbe venire
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della tensione, riscontrabile tra i tedeschi; dalla conseguente diminuzione dell’importanza che il governo annette all’istituzione di corsi universitari italiani in Austria, che si spiega il maggior rilievo che viene ad assumere una via d’uscita interlocutoria, quella cioè di un eventuale più ampio riconoscimento di studi compiuti da cittadini austriaci di lingua italiana in università del Regno d’Italia. Ma anche queste ipotesi, che in realtà eludevano il problema più che risolverlo, non sfociano in un risultato positivo: l’autorità governativa – nonostante le pressioni dei deputati italiani – rifiuta ogni concessione che potesse preludere ad un riconoscimento automatico di esami sostenuti in Italia e, pur accettando criteri più larghi che non in precedenza, rimane ferma al principio della decisione caso per caso, ed a quello della necessità di un esame di ‹nostrificazione› per la convalida del titolo di studio. La dimensione della italienische Universitätsfrage come aspetto della lotta nazionale in Austria, inscindibile dal problema nel suo complesso, è il motivo che spiega l’impossibilità di giungere ad un risultato almeno parzialmente positivo anche lungo la via più semplice e modesta del riconoscimento degli studi compiuti nel Regno» (Ara 1973: 253). Per una ricostruzione molto dettagliata delle vicende relative all’Università italiana in Austria, confronta la tesi di dottorato di Kostner 1970. 4 L’autografo da cui è tratto il passo della lettera di Scipione Salvotti a Emiliano Rossi fu donato da Ernesta Bittanti al Museo del Risorgimento di Trento nel febbraio del 1930. Da un appunto della vedova di Battisti – a margine sulla copia dattiloscritta conservata in Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Battisti, (microfilm 101138) – apprendiamo che l’autografo era allegato ad una lettera inviata a Cesare Battisti da Antonio Salvotti nel maggio 1902 nella quale si accennava ai due anni di condanna inflitti a Scipione per il suo impegno patriottico, efficacemente rappresentato dalla chiusa della lettera in questione: «Insomma vediamo di stringerci tutti, Italiani soggetti ancora alla decrepita monarchia austriaca perché nel giorno, forse vicino, in cui ella cada in frantumi, noi possiamo fare ritorno alla madre patria, e non essere inghiottiti dalla prepotente Germania e da Federazioni UngaroSlave. E noi Trentini non lasciamoci per questo egoismo locale stornare dallo stringere rapporti più intimi coi fratelli di Gorizia di Trieste e dell’Istria, anzi possibilmente anche della Dalmazia. Se in Austria strillano gli Sloveni, possono per Dio strillare con maggior diritto gli italiani che tutti compresi rappresentano circa un milione. E se gli sloveni hanno dietro di sé altre popolazioni slave, noi abbiamo tutta l’Italia. Ma strillare bisogna, strillare; e non aver paura ad ogni piè sospinto che il Commissario di Polizia ci arrechi qualche incomodo».
L’Università della diaspora
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Magda Perricelli*
«O Trieste o nulla!» i «fatti di Innsbruck» nella stampa quotidiana del Regno d’Italia
1. L’università in lingua italiana: i primi progetti Nel dicembre del 1867, dopo la costituzione della Duplice monarchia austroungarica, in tutti i territori imperiali fu introdotta la nuova Legge Fondamentale dello Stato che restrinse i poteri dell’Esecutivo. Nella nuova Costituzione furono introdotti anche diversi diritti che avrebbero dovuto essere garantiti, come quelli di eguaglianza di fronte alla legge, la libertà di confessione religiosa e di coscienza e la libertà di stampa e associazione. Determinante per le minoranze nazionali fu l’articolo 19, il quale decretò che «tutti i popoli dello Stato godono gli stessi diritti e
ogni popolo ha il diritto inviolabile di conservare e promuovere la propria nazionalità e lingua». Sulla carta, la Costituzione della Duplice Monarchia appare perciò perfettamente egualitaria, multinazionale e multietnica e ne consegue che ogni nazionalità dell’Impero godesse d’eguali diritti e doveri. Tuttavia l’accoglimento delle istanze esposte dalle singole nazionalità dipendeva dall’approvazione governativa che, nella maggior parte dei casi, valutava le singole petizioni in base a un canone politico e solo in un secondo momento in base alle dichiarazioni d’ogni specifico articolo costituzionale. Erano innanzi tutto
* Riferimenti bibliografici: Battisti 1966; Calì 1990; De Gasperi 1964; Riccadonna 1999; Pasini 1910; Ara 1974.
«O Trieste o nulla!»
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il Governo e il Parlamento a valutare se una determinata nazionalità possedeva o meno i requisiti validi per avvalersi, all’interno dei suoi confini linguistici, di un’istituzione scolastica importante come l’Università; e tali requisiti erano sia d’ordine sociale, economico e culturale, sia di prestigio nazionale. Dopo il 1866, i municipi e spesso anche i singoli cittadini delle aree imperiali di lingua italiana, indirizzarono al Governo numerose petizioni che avevano come unico oggetto la richiesta di un’Università italiana completa a Trieste, in sostituzione di quella patavina passata al Regno d’Italia. La prima petizione, datata 1866, fu sottoposta all’attenzione del Governo di Vienna dalla Dieta triestina1; seguirono gli appelli della Dieta istriana e dei comuni di Zara e della Dalmazia. In zona trentina, invece, furono soprattutto gli enti morali a muoversi in questa direzione, prima tra tutte la società Pro Patria e dopo il suo scioglimento d’autorità, deliberato nel 1890, la Lega Nazionale. Nessuna di queste petizioni e di quelle che seguirono ottenne, tuttavia, risposta, negativa o positiva che fosse; il Governo si limitò a vaghe dimostrazioni di favore, sommando una serie di
voti definiti in un secondo tempo «platonici»2. Il primo progetto di dar vita a un’Univesità in lingua italiana a Trieste risaliva al 1848. Già allora si erano levate molte voci contrarie, tra cui quella del luogotenente della città adriatica Kellersperg. Costui propose, in alternativa, l’istituzione di borse di studio per tutti i giovani del Litorale che si fossero recati in Austria a studiare, escludendo, però, da tale possibilità i giovani triestini. Le motivazioni portate a spiegazione di questa esclusione erano tre: in primo luogo l’agiatezza economica della popolazione di Trieste che non aveva certo bisogno di finanziamenti governativi per istruire i propri figli; in secondo luogo la nazionalità dei triestini che non poteva considerarsi italiana; in terzo luogo la propensione e l’interesse degli abitanti di Trieste, come di tutte le città portuali, per le occupazioni di tipo mercantile e commerciale piuttosto che culturali3. L’Università di Innsbruck offriva fin dall’anno accademico 1864-1865 corsi universitari in lingua italiana. Tali corsi, chiamati paralleli, erano stati istituiti in seguito alle richieste del deputato conte Vincenzo Con-
Pasini 1910: II, 39-41. Pasini 1910: I, 8. 3 Quest’ultima affermazione, come sostiene Angelo Ara, anche se ha un fondamento di verità, è in ogni caso da considerarsi non veritiera e appartenente a quel luogo comune che classifica le città affaristiche come chiuse agli interessi culturali (Ara 1974). 1 2
Magda Perricelli
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Graziano Riccadonna*
Il mito dell’Università
1. Introduzione Fra il 3 e il 4 novembre 1904 avviene ad Innsbruck l’episodio culminante delle lotte universitarie per l’Università italiana nel periodo asburgico. Quel giorno si deve inaugurare la nuova Facoltà giuridica italiana, concessa dal governo austriaco dopo anni di tentennamenti quale primo nucleo di una vera e propria Università di lingua italiana. In un secondo tempo – stando almeno alle intenzioni studentesche – si sarebbe dovuto e potuto spostare la Facoltà a Trieste (o Rovereto) e qui fondare una vera e propria Università completa. Circa duecento studenti italiani si riuniscono in effetti nella palazzina di Wilten la mattina del 3 novembre per l’inaugurazione della Facoltà provvisoria, ma il clima è «surriscal-
dato». Si giunge così in un crescendo di tensione ai «fatti di Innsbruck» con lo scontro fisico fra gli studenti italiani, trentini e triestini, e i cittadini di Innsbruck. Per venire incontro alle esigenze degli studenti italiani lo stesso Governo imperial regio aveva presentato una proposta di legge per l’istituzione di una Facoltà giuridica italiana a Rovereto, ritenendo la città della Quercia meno pericolosa dal punto di vista politico-nazionale, rispetto a Trento o a Trieste. Ma tale progetto naufraga dopo il «gran rifiuto» di Rovereto: la locale borghesia irredentista, schierata sulle posizioni del nazionalismo italiano, rifiutata ogni mediazione e sceglie la linea del «tanto peggio, tanto meglio».
* Riferimenti bibliografici: Boato 1986; Faustini 1996; Fox 1991; Giacomoni 1985; Guarino 1990; Piccoli – Vadagnini 1992; Pranzelores 1981; Riccadonna 1999; Vadagnini 1996; Vivante 1997.
Il mito dell’Università
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Insomma, al centro della vicenda universitaria di oltre un secolo fa, resta il carattere di una storia conflittuale, specie per quanto riguarda i rapporti tra italiani e tedeschi: e tuttavia si tratta della storia di un rapporto che comunque è proseguito, con ben migliori fortune, fino ai giorni nostri, fino alla realizzazione a Trieste negli anni trenta di un’Università di frontiera con il mondo slavo, a Trento nel 1962 di un’Università «libera» che si è posta nella esatta prospettiva di dialogo nell’area italotedesca. Una disposizione duplice quindi all’apertura, al confronto interetnico, che è iscritta nel dna di queste regioni e che anche l’episodio delle «giornate di Innsbruck» serve a mettere in luce. 2. I «fatti di Innsbruck» Dopo l’inaugurazione dell’anno accademico il 3 novembre, gli studenti italiani si ritrovano in centro alla locanda «Weißes Kreuz», ma all’uscita vengono assaliti da una folla di cittadini di Innsbruck. La battaglia viene sedata dall’intervento, seppure tardivo, dell’esercito, che presidia in forze il centro, mentre un dimostrante contro gli studenti italiani viene ucciso da una baionetta militare. Tutti gli studenti italiani, in numero di 138, vengono condotti in carcere quali rivoltosi, dove rimarranno per qualche tempo (Battisti e altri fino al 30 novembre), senza peraltro subire
Graziano Riccadonna
un procedimento giudiziario. I 138 studenti arrestati rappresentano la futura classe dirigente, non solo di Trento, ma anche di Trieste e del Litorale adriatico. L’arresto degli studenti non è però che l’inizio della sommossa antistudentesca e antiitaliana della folla enipontana, che, col diffondersi della notizia dell’uccisione di un dimostrante, inizia una vera e propria caccia all’italiano, abbandonandosi al saccheggio sistematico dei negozi italiani, dopo quello della Facoltà giuridica a Wilten: la Facoltà stessa viene chiusa a tempo indeterminato. 3. I «fatti di Trento», un parallelo Ma come è possibile spiegare tale clamoroso scontro di piazza cittadini-studenti? C’è al proposito un significativo parallelismo tra scontro di piazza studenti-cittadini tedeschi a Innsbruck e scontro studenti di sociologia-cittadini a Trento. Va notato quindi come tale scontro superi la mera questione irredentistica e di scontro tra etnie diverse e lingue diverse, per riferirsi al tema ben più generale del rapporto della Città con l’Università, da sempre «caldo» ma in questo caso addirittura «scottante». Tale rapporto, in modo del pari drammatico, verrà a riproporsi nella Trento del sessantotto, sfociando in una specie di «rigetto» della città rispetto agli studenti, ai cosiddetti
Günther Pallaver*
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Dai nazionalismi alla cooperazione europea
1. Introduzione Il nazionalismo è un’espressione europea che ha toccato il suo culmine nel passaggio fra Otto e Novecento. È nato come risposta alle crisi strutturali delle società occidentali all’inizio della modernità, le quali nel congedarsi dall’età moderna si trovarono ad affrontare precocemente lunghi e duraturi processi di trasformazione riguardanti la loro concezione del mondo e la loro scala di valori. Il processo di modernizzazione politico, economico, sociale e culturale comportò una crisi di legittimazione del precedente
ordine, che condusse alla graduale delegittimazione dell’antico sistema di potere. A nulla valsero, per superare una crisi di legittimazione così profonda, i tradizionali strumenti di contenimento della violenza, né il tentativo di rifarsi a immagini del mondo di carattere disciplinare, che fino allora avevano funzionato. Il nazionalismo offrì una nuova e diversa soluzione, poiché trasformò le basi della legittimazione. All’ordine antico, il cui potenziale di legittimazione e integrazione si reggeva in gran parte sul principio della Grazia divina, il nazionali-
* Riferimenti bibliografici: Aufschneiter 2008; Barta – Pallaver 2007; Bundesgesetz 1979; Di Michele – Palermo – Pallaver 2003; Durnwalder – Peterlini – Stabler 2008; Eurobs 2009; Freie Universität Bozen 1997; Garbari 1998; Gatterer 1968; Gatterer 1972; Hroch 2003; Institut für Italienisches Recht 2009a; Institut für italienisches Recht 2009b; Kußtatscher 2008; Magnago 2008; Mathà 2008; Oberkofler 1975; Paris – Grosselli 1996; Peterlini 2008a; Peterlini 2008b; Prodi 1974; Resolution der SVP 2008; Riccadonna 1999; Riescher 1998; Südtiroler HochschülerInnenschaft 2008; Vecchio 2005; Wehler 2001; Woelk 2005.
Dai nazionalismi alla cooperazione europea
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smo opponeva le sue nuove basi di legittimazione, caratterizzate da mobilità e integrazione: la nazione sovrana1. A un tempo ideologia e movimento sociale2, il nazionalismo rappresentava la risposta alla crisi di legittimazione del potere. Agli occhi dei tanti teorici che si confrontarono con l’argomento soprattutto prima e dopo la Grande Guerra, la nazione era un’entità pressoché naturale che aveva diritto a un proprio Stato. Il tratto comune di queste rappresentazioni stava in una concezione primordiale della nazione, secondo cui essa rappresentava una categoria ancestrale la cui esistenza oggettiva si poteva, anzi si doveva, rianimare o risvegliare, essendo essa un valore affatto peculiare del genere umano3. Ciò valeva tanto per le nuove nazioni in lotta per un proprio Stato che per quelle vecchie, desiderose di rifondare il loro Stato, ormai sopito. Una volta assurto a Stato, il nazionalismo produsse un proprio sistema di valori, il quale, a sua volta, legittimava la nazione. Essa doveva reggersi su una maggioranza etnica accomunata dagli stessi valori e obiettivi e su una comunità linguistica omogenea. Origine e visioni politico-culturali comuni, come anche un messianismo poliWehler 2001: 7-13. Riescher 1998: 410. 3 Hroch 2003: 13. 4 Wehler 2001: 12. 1 2
Günther Pallaver
tico fortemente secolarizzato erano in grado di riunire tutti i membri della nazione4. La nazione fu elevata a «comunità di destino», cui gli «altri», coloro che non vi facevano parte, dovevano assoggettarsi, per esempio mediante assimilazione volontaria o forzata, oppure esserne esclusi, per esempio mediante trasferimenti di etnie o pulizie etniche. La nazione restava ad ogni modo la massima istanza di giustificazione politica e si poneva sopra i diritti del singolo, riflettendo in ciò l’idea di supremazia della comunità nazionale. Il diritto collettivo della nazione aveva la meglio sul diritto individuale della persona naturale. Per il nazionalismo della fine dell’Otto e dei primi del Novecento, i fatti di Innsbruck possono essere considerati come un evento paradigmatico che, qualora si tenga conto di ciò che lo precede e di ciò che lo segue, rivela tutta una serie di elementi strutturali in cui si riflette lo sviluppo del nazionalismo come ideologia e movimento sociale del Trentino entro la monarchia asburgica fra il 1848 e il 1918. Il ricordo dei fatti del 1904, conservatosi a lungo nella memoria collettiva dei trentini, è oggi notevolmente sbiadito. Grazie alle celebrazioni commemorative,
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Dai nazionalismi alla cooperazione europea
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inscenate ogni anno dai protagonisti degli eventi del 1904 sotto il patronato del regime fascista, la memoria collettiva fu costantemente alimentata e formata. Dopo il 1945 il ricordo degli eventi è andato volatilizzandosi sempre più, e da tempo ormai in Trentino non presenta più lo status di una giornata di memoria nazionale. Una sorte ancora peggiore è toccata alla memoria collettiva dei tirolesi a nord e a sud del Brennero, dove solo gli esperti sono in grado di associare qualcosa a quei fatti. All’affievolirsi della memoria circa i fatti in Trentino fa da contraltare la loro rimozione nel Tirolo settentrionale e meridionale. 2. Il contesto storico-politico È impossibile esaminare i fatti isolandoli dal contesto storico-politico in cui si verificarono, avendo essi una storia anteriore e successiva i cui elementi strutturali si sono a poco a poco avviluppati formando un nodo politico. 2.1 La modernizzazione dello Stato Avviata alla fine del Settecento sotto il regno di Giuseppe II, la modernizzazione delle strutture amministrative nella monarchia asburgica ottocentesca ebbe una serie di ripercussioni sulla vita dei cittadini. Le tendenze accentratrici di 5
Barta – Pallaver 2007.
Günther Pallaver
Vienna toccarono questioni relative al rapporto fra centro e periferia, fra province e Stato e andarono di pari passo con le tendenze di unificazione linguistica. In risposta ad esse fu sollevata la questione dell’autonomia delle singole nazionalità. Se in passato per i membri delle nazioni non dominanti l’ascesa nell’apparato statale era connessa per lo più all’obbligo dell’assimilazione – a titolo di esempio si pensi a Carlo Antonio de Martini (17231800), giurista trentino durante il regno di quattro imperatori austriaci e padre del Codice civile austriaco5 –, alla svolta del secolo le cose mutarono, poiché la borghesia colta di una nazionalità divenne custode dell’identità nazionale. Ciò era vero anzitutto per il risveglio delle «nazioni senza storia» entro la monarchia asburgica, mentre le nazioni storiche occupavano già una posizione privilegiata, come ad esempio quella degli italiani della monarchia. La burocratizzazione inaugurò nuovi ambiti lavorativi non solo all’interno dell’apparato statale, quanto soprattutto nei nascenti settori della comunicazione, quali le Poste e le Ferrovie, dell’amministrazione regionale e comunale e del settore dei servizi privati, quali ad esempio gli studi di avvocati, le fabbriche, le assicurazioni o le
Günther Pallaver*
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Dai nazionalismi alla cooperazione europea
1. Introduzione Il nazionalismo è un’espressione europea che ha toccato il suo culmine nel passaggio fra Otto e Novecento. È nato come risposta alle crisi strutturali delle società occidentali all’inizio della modernità, le quali nel congedarsi dall’età moderna si trovarono ad affrontare precocemente lunghi e duraturi processi di trasformazione riguardanti la loro concezione del mondo e la loro scala di valori. Il processo di modernizzazione politico, economico, sociale e culturale comportò una crisi di legittimazione del precedente
ordine, che condusse alla graduale delegittimazione dell’antico sistema di potere. A nulla valsero, per superare una crisi di legittimazione così profonda, i tradizionali strumenti di contenimento della violenza, né il tentativo di rifarsi a immagini del mondo di carattere disciplinare, che fino allora avevano funzionato. Il nazionalismo offrì una nuova e diversa soluzione, poiché trasformò le basi della legittimazione. All’ordine antico, il cui potenziale di legittimazione e integrazione si reggeva in gran parte sul principio della Grazia divina, il nazionali-
* Riferimenti bibliografici: Aufschneiter 2008; Barta – Pallaver 2007; Bundesgesetz 1979; Di Michele – Palermo – Pallaver 2003; Durnwalder – Peterlini – Stabler 2008; Eurobs 2009; Freie Universität Bozen 1997; Garbari 1998; Gatterer 1968; Gatterer 1972; Hroch 2003; Institut für Italienisches Recht 2009a; Institut für italienisches Recht 2009b; Kußtatscher 2008; Magnago 2008; Mathà 2008; Oberkofler 1975; Paris – Grosselli 1996; Peterlini 2008a; Peterlini 2008b; Prodi 1974; Resolution der SVP 2008; Riccadonna 1999; Riescher 1998; Südtiroler HochschülerInnenschaft 2008; Vecchio 2005; Wehler 2001; Woelk 2005.
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smo opponeva le sue nuove basi di legittimazione, caratterizzate da mobilità e integrazione: la nazione sovrana1. A un tempo ideologia e movimento sociale2, il nazionalismo rappresentava la risposta alla crisi di legittimazione del potere. Agli occhi dei tanti teorici che si confrontarono con l’argomento soprattutto prima e dopo la Grande Guerra, la nazione era un’entità pressoché naturale che aveva diritto a un proprio Stato. Il tratto comune di queste rappresentazioni stava in una concezione primordiale della nazione, secondo cui essa rappresentava una categoria ancestrale la cui esistenza oggettiva si poteva, anzi si doveva, rianimare o risvegliare, essendo essa un valore affatto peculiare del genere umano3. Ciò valeva tanto per le nuove nazioni in lotta per un proprio Stato che per quelle vecchie, desiderose di rifondare il loro Stato, ormai sopito. Una volta assurto a Stato, il nazionalismo produsse un proprio sistema di valori, il quale, a sua volta, legittimava la nazione. Essa doveva reggersi su una maggioranza etnica accomunata dagli stessi valori e obiettivi e su una comunità linguistica omogenea. Origine e visioni politico-culturali comuni, come anche un messianismo poliWehler 2001: 7-13. Riescher 1998: 410. 3 Hroch 2003: 13. 4 Wehler 2001: 12. 1 2
Günther Pallaver
tico fortemente secolarizzato erano in grado di riunire tutti i membri della nazione4. La nazione fu elevata a «comunità di destino», cui gli «altri», coloro che non vi facevano parte, dovevano assoggettarsi, per esempio mediante assimilazione volontaria o forzata, oppure esserne esclusi, per esempio mediante trasferimenti di etnie o pulizie etniche. La nazione restava ad ogni modo la massima istanza di giustificazione politica e si poneva sopra i diritti del singolo, riflettendo in ciò l’idea di supremazia della comunità nazionale. Il diritto collettivo della nazione aveva la meglio sul diritto individuale della persona naturale. Per il nazionalismo della fine dell’Otto e dei primi del Novecento, i fatti di Innsbruck possono essere considerati come un evento paradigmatico che, qualora si tenga conto di ciò che lo precede e di ciò che lo segue, rivela tutta una serie di elementi strutturali in cui si riflette lo sviluppo del nazionalismo come ideologia e movimento sociale del Trentino entro la monarchia asburgica fra il 1848 e il 1918. Il ricordo dei fatti del 1904, conservatosi a lungo nella memoria collettiva dei trentini, è oggi notevolmente sbiadito. Grazie alle celebrazioni commemorative,
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inscenate ogni anno dai protagonisti degli eventi del 1904 sotto il patronato del regime fascista, la memoria collettiva fu costantemente alimentata e formata. Dopo il 1945 il ricordo degli eventi è andato volatilizzandosi sempre più, e da tempo ormai in Trentino non presenta più lo status di una giornata di memoria nazionale. Una sorte ancora peggiore è toccata alla memoria collettiva dei tirolesi a nord e a sud del Brennero, dove solo gli esperti sono in grado di associare qualcosa a quei fatti. All’affievolirsi della memoria circa i fatti in Trentino fa da contraltare la loro rimozione nel Tirolo settentrionale e meridionale. 2. Il contesto storico-politico È impossibile esaminare i fatti isolandoli dal contesto storico-politico in cui si verificarono, avendo essi una storia anteriore e successiva i cui elementi strutturali si sono a poco a poco avviluppati formando un nodo politico. 2.1 La modernizzazione dello Stato Avviata alla fine del Settecento sotto il regno di Giuseppe II, la modernizzazione delle strutture amministrative nella monarchia asburgica ottocentesca ebbe una serie di ripercussioni sulla vita dei cittadini. Le tendenze accentratrici di 5
Barta – Pallaver 2007.
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Vienna toccarono questioni relative al rapporto fra centro e periferia, fra province e Stato e andarono di pari passo con le tendenze di unificazione linguistica. In risposta ad esse fu sollevata la questione dell’autonomia delle singole nazionalità. Se in passato per i membri delle nazioni non dominanti l’ascesa nell’apparato statale era connessa per lo più all’obbligo dell’assimilazione – a titolo di esempio si pensi a Carlo Antonio de Martini (17231800), giurista trentino durante il regno di quattro imperatori austriaci e padre del Codice civile austriaco5 –, alla svolta del secolo le cose mutarono, poiché la borghesia colta di una nazionalità divenne custode dell’identità nazionale. Ciò era vero anzitutto per il risveglio delle «nazioni senza storia» entro la monarchia asburgica, mentre le nazioni storiche occupavano già una posizione privilegiata, come ad esempio quella degli italiani della monarchia. La burocratizzazione inaugurò nuovi ambiti lavorativi non solo all’interno dell’apparato statale, quanto soprattutto nei nascenti settori della comunicazione, quali le Poste e le Ferrovie, dell’amministrazione regionale e comunale e del settore dei servizi privati, quali ad esempio gli studi di avvocati, le fabbriche, le assicurazioni o le
Livio Pranzelores*
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L’Associazione degli studenti trentini una testimonianza
Mi sia consentito d’intervenire brevemente sui «fatti di Innsbruck» prendendo spunto da mio padre Antonio Pranzelores, che oltre un secolo fa fu presente a quell’episodio culminante delle lotte universitarie degli studenti italiani, che vide coinvolti trentini, triestini, dalmati e istriani, tutti sudditi asburgici, nel tentativo, peraltro fallito, di attivare nella città enipontana una «libera» università italiana. Com’è risaputo la drammatica giornata del 4 novembre 1904, contrassegnata dall’intransigenza pangermanista e dall’intolleranza tirolese, registrò oltre alla morte del pittore ladino August Pezzey, anche l’arresto e l’incarcerazione di oltre un centinaio di studenti, tra i quali Cesare Battisti e Alcide De Gasperi.
Non nascondo che a Innsbruck, percorrendo la centrale Maria Theresien Strasse e la Herzog-Friedrich Strasse, alla vista delle insegne della Goldene Rose e della Weisses Kreuz, gli alberghi dove gli studenti trentini, e fra loro mio padre, trovarono riparo dalla folla, sono stato colto da una certa emozione. Liberati dalla polizia, scortati dai militari per evitare il peggio, furono incolonnati e avviati alla prigione accompagnati dall’incalzante e sprezzante grido degli avversari Burschen Heraus e polenta e oseleti, ingiuria rivolta al loro indirizzo perché accusati di mangiare quei pennuti in barba alla legge di tutela. Di quelle lontane vicende mio padre ha scritto copiosamente in svariate occasioni: in articoli di giornali e di
* Riferimenti bibliografici: Riccadonna 1999; Vadagnini 1984; Vadagnini 1989; Vinci 1997.
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riviste dell’epoca, nonché a distanza di anni, dopo la prima guerra mondiale, al Convegno tenuto presso il Castello del Buonconsiglio di Trento per celebrare il XX anniversario con la partecipazione di ex studenti e di professori di allora e al XXV anniversario celebrato successivamente a Trieste, città simbolo di quegli studenti che agli albori del secolo fecero proprio lo slogan Trieste o nulla. Qualche anno fa lo storico trentino Armando Vadagnini tracciava un profilo illuminante di Antonio Pranzelores, auspicandone la rivalutazione. Antonio Pranzelores proveniva da una solida formazione umanistica di matrice democratica e laica che lo aveva portato a vivere intensamente gli ideali irredentistici del primo Novecento accanto a Cesare Battisti e a condividere sinceramente l’entusiasmo per le conoscenze scientifiche del positivismo e dell’evoluzionismo. In quel torno di tempo studenti e studiosi si cimentavano in ricerche storiche sul passato della nostra terra, i cui elaborati erano ospitati sulla prestigiosa rivista Tridentum, fondata e diretta da Cesare Battisti, alla quale collaboravano personaggi di alto profilo culturale come Scipio Sighele, Francesco Menestrina dell’Università di Innsbruck, Giuseppe Gerola, Desiderio Reich, professore di mio padre all’Imperial Regio Ginnasio Superiore di Trento e tanti altri.
Livio Pranzelores
Come ricorda Anna Maria Vinci nella Storia dell’Università di Trieste, gli studenti che per primi si organizzarono, facendo un po’ da volano all’intera protesta universitaria, furono quelli trentini con la creazione nel 1893 della Società degli studenti trentini. Anche mio padre aderì giovanissimo all’Associazione e in vari momenti rivestì un ruolo non secondario. Voglio qui ricordare che al VII congresso tenutosi ad Arco nel settembre del 1900, appena ventenne, mio padre fu nominato segretario del congresso assieme a Gino Onestinghel, che però in quel momento si trovava a Roma per altri impegni. Fu pertanto mio padre a seguire la stesura della relazione per l’Annuario degli studenti. A questa seguì un articolo, «La questione universitaria», apparso sulla prima pagina dell’Alto Adige, giornale al quale collaborava. In quello scritto, appellandosi alla legge dello Stato, tracciava la linea seguita dagli studenti per il riconoscimento dei loro diritti: dall’istituzione di un’università italiana a Trieste, con priorità per quella a indirizzo giuridicolegale, al riconoscimento dei diplomi ottenuti presso le scuole superiori del Regno d’Italia. L’attività dell’Associazione degli studenti prevedeva inoltre l’organizzazione di cicli di lezioni popolari, tenuti a turno dagli studenti, su argomenti vari per tener vivo nel popolo la cultura e il sentimento d’italianità e per contrastare l’azione