Vite internate Katzenau, 1915-1917
I sudditi cosiddetti «malfidi» e i civili di nazionalità nemica bloccati all’interno dei confini austro-ungarici al momento dello scoppio delle ostilità, furono nel corso della Grande Guerra trasferiti in vari campi di internamento. La ricerca dalla quale nasce questo libro si è concentrata su quello di Katzenau (Linz), cercando di definire il quadro sociale e le condizioni di vita degli internati. L’Autore riserva particolare attenzione a quei cittadini austriaci provenienti dal Trentino, che furono trattenuti a Katzenau dall’estate 1915 alla primavera 1917.
Sommario Prefazione; Parte Prima: vita a Katzenau: 1915-1917; Parte Seconda: gli internati trentini; Riferimenti bibliografici. Claudio Ambrosi Lavora presso la Biblioteca della Montagna/SAT con l’incarico di bibliotecario e responsabile dell’archivio storico della Società degli Alpinisti Tridentini. Le sue pubblicazioni vertono soprattutto su temi di storia sociale dell’alpinismo. Nella collana di pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino ha curato con Michael Wedekind il volume L’invenzione di un cosmo borghese: valori sociali e simboli culturali dell’alpinismo nei secoli XIX e XX (Trento 2000).
ISBN 978-88-7197-107-0
E 11,00
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Claudio Ambrosi Vite internate: Katzenau, 1915-1917
Claudio Ambrosi
Vite internate Katzenau, 1915-1917 Claudio Ambrosi
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Claudio Ambrosi
Vite internate Katzenau, 1915-1917
Fondazione Museo storico del Trentino 2008
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Prefazione
I sudditi cosiddetti «malfidi» e i civili di nazionalità nemica bloccati all’interno dei confini austro-ungarici al momento dello scoppio delle ostilità, furono nel corso della Grande Guerra trasferiti in vari campi di internamento. La ricerca dalla quale nascono le pagine che seguono si è concentrata su quello di Katzenau (Linz), rivolgendosi in particolare alla parte di internati costituita dai cittadini austriaci provenienti dal Trentino, che lì fu trattenuta dall’estate 1915 alla primavera 1917. Il campo era diretto da un’autorità civile (nel periodo considerato, dal barone Gustav Reicher) e controllato dai militari sotto il comando dei «profossi»1. Con la fine del conflitto, e via via in crescendo negli anni successivi, la vicenda di Katzenau si è allargata e confusa con quella dei profughi, per divenire spesso, in una lettura di orientamento nazionalista, simbolo estremo dell’oppressione austriaca nei confronti degli italiani di terra trentina, costretti ad abbandonare le loro case. Già nel volume Il martirio del Trentino del 1919 si trovano – esemplarmente – tutti gli elementi che saranno fatti propri dalla memorialistica successiva. La corona di spine, quale filtro emotivo, suggerisce la chiave di lettura di questa rappresentazione. Per questo si è scelto di riproporne l’immagine di copertina, collegandola così a quella che fregia anche il libro Katzenau, edito dieci anni dopo. Questo contributo intende guardare alla storia di Katzenau andando oltre gli elementi proposti dall’abbondante memorialistica e definire con maggiore concretezza il quadro sociale e le condizioni di vita degli internati. Ciò appare possibile anche grazie all’individuazione di parte dell’archivio del campo stesso, rimasto fino ad oggi praticamente sconosciuto. Voglio qui ringraziare Quinto Antonelli, Patrizia Marchesoni, Alessandro Pedrotti e Caterina Tomasi (Fondazione Museo storico del Trentino), Josef Così erano chiamati nell’esercito austro-ungarico i sottufficiali addetti alla sorveglianza dei pri-
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gionieri.
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Goldberger (Oberösterreichisches Landesarchiv, Linz) e Karl Rossa (Österreichisches Staatsarchiv-Kriegsarchiv, Vienna) per l’aiuto offerto. Sono grato a Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, per il sostegno e l’attenzione riservati al mio lavoro. Un ringraziamento particolare, infine, va agli amici Cristian Rossi, Anita Sprenger, Rodolfo Taiani e Michael Wedekind. La stesura di questo testo si è accompagnata all’idea di un filo rosso che collega idealmente la vicenda degli internati trentini di ieri a quella di coloro che oggi finiscono nei cosiddetti «Centri di Permanenza Temporanea», istituiti con la legge 40 del 1998. Sono questi luoghi della sospensione del diritto con cui l’Italia ha disegnato all’interno del proprio territorio spazi detentivi d’eccezione, che non rientrano nel diritto penale. In particolare l’art. 12 prescrive che gli stranieri privi di permesso di soggiorno vi vengano detenuti con un provvedimento del questore se non è possibile disporre immediatamente alla loro espulsione: le persone trattenute non hanno dunque commesso alcun reato se non alla luce del disegno di legge, il cosiddetto «Pacchetto sicurezza», del maggio 2008, che ha introdotto quello di immigrazione clandestina perseguibile con pene detentive da quattro mesi a sei anni. Se lo studio e la conoscenza della storia possono servire, il mio augurio è che insegnino ai figli di tutti gli oppressi di ieri a non essere oppressori oggi.
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Goldberger (Oberösterreichisches Landesarchiv, Linz) e Karl Rossa (Österreichisches Staatsarchiv-Kriegsarchiv, Vienna) per l’aiuto offerto. Sono grato a Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, per il sostegno e l’attenzione riservati al mio lavoro. Un ringraziamento particolare, infine, va agli amici Cristian Rossi, Anita Sprenger, Rodolfo Taiani e Michael Wedekind. La stesura di questo testo si è accompagnata all’idea di un filo rosso che collega idealmente la vicenda degli internati trentini di ieri a quella di coloro che oggi finiscono nei cosiddetti «Centri di Permanenza Temporanea», istituiti con la legge 40 del 1998. Sono questi luoghi della sospensione del diritto con cui l’Italia ha disegnato all’interno del proprio territorio spazi detentivi d’eccezione, che non rientrano nel diritto penale. In particolare l’art. 12 prescrive che gli stranieri privi di permesso di soggiorno vi vengano detenuti con un provvedimento del questore se non è possibile disporre immediatamente alla loro espulsione: le persone trattenute non hanno dunque commesso alcun reato se non alla luce del disegno di legge, il cosiddetto «Pacchetto sicurezza», del maggio 2008, che ha introdotto quello di immigrazione clandestina perseguibile con pene detentive da quattro mesi a sei anni. Se lo studio e la conoscenza della storia possono servire, il mio augurio è che insegnino ai figli di tutti gli oppressi di ieri a non essere oppressori oggi.
Parte Prima
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11 1. «Gott sei Dank! Wir haben keine Gesetze hier!» «A Katzenau il barone Reicher, comandante del Campo, si era acquistato una triste rinomanza per la sua severità e per l’animosità, che aveva verso gl’Italiani. Gli veniva attribuita la seguente frase: ‹Gott sei Dank! Wir haben keine Gesetze hier!› (Ringraziando Dio, qui non abbiamo leggi!)»1. È significativo che l’espressione del barone Reicher venga ricordata da Germano Cetto. Costui era stato consigliere del Tribunale di Trento e quindi per sensibilità professionale particolarmente attento a cogliere situazioni di anomalia giuridica. Al di là della strategia intimidatoria adottata dal Barone, era evidente come Katzenau fosse visto come
strumento per isolare efficacemente dal corpo sociale i cittadini austriaci, e non, ritenuti particolarmente sospetti o pericolosi2. La conseguenza più immediata fu il progressivo consolidamento di una realtà che godeva della condizione di extragiudiziarietà e per la quale unica ragione d’essere era la prevenzione, tramite la segregazione, di ogni possibile ed ipotetico reato. Proprio la condizione giuridica degli internati rappresenta forse il dato più importante poiché, con il venir meno di ogni fondamento legale alla loro detenzione3, segnava anche il progressivo deterioramento del rapporto tra Stato e cittadini. Il campo d’internamento si configura in altri termini come sorta di terra di nessuno dove venivano trattenuti tutti coloro che non potevano essere
1 Cfr. «Verbale n. 56 – Dott. Cetto», in: Trattamento 1920: 664. A proposito di questo testo bisogna dire che si tratta di una pubblicazione edita immediatamente dopo la fine del conflitto e lo spirito degli estensori è ben lontano dalla ricerca di obiettività. Nonostante ciò si tratta di una pubblicazione che contiene molte notizie interessanti e che stranamente è sempre stata trascurata da quanti si sono occupati sin qui delle vicende legate al campo d’internamento di Katzenau. 2 Va ricordato che dentro il campo si trovavano anche cittadini italiani o appartenenti ad altre nazioni sorpresi allo scoppio del conflitto all’interno dei confini austriaci; se non avevano l’età per portare le armi – semplificando, le donne e i bambini – «passavano» per il campo in attesa di essere rimpatriati attraverso la Svizzera. 3 Come ricorda Alcide Degasperi, si andava a cozzare «contro il disposto chiaro e preciso del par. 3 lett. c) della legge 5 maggio 1869 N. 66, B.L.I., la quale ai sensi dell’art. 20 della legge fondamentale dello stato dei 21 dicembre 1867 N. 142 B.L.I., regola le conseguenze della sospensione dei diritti generali dei cittadini in caso di guerra o di imminenti imprese belliche. Secondo la detta legge, nei casi ora accennati, vien data facoltà di sfrattare da luoghi e distretti che non siano quelli di pertinenza; mentre nessuna legge concede all’autorità il diritto di allontanare i cittadini a suo piacimento, o di cacciarli ove vuole, e molto meno di rinchiuderli in campi di concentramento» (Gentilini 1920: 15).
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giudicati dalla giustizia ordinaria, ma che al tempo stesso dovevano essere posti in condizione di non nuocere. Non si trattava di punire crimini accertati e sentenziati, quanto di agire prima che fossero ipoteticamente commessi. Una simile prassi «preventiva» non poteva evidentemente trovare fondamento in alcun sistema giudiziario fondato sul diritto ordinario; da questo punto di vista le veementi critiche sollevate dagli internati di Katzenau contro il comportamento illiberale e repressivo dello Stato austriaco non erano frutto solo di giudizi ideologicamente orientati, ma denunciavano una situazione di effettiva illegalità. L’internamento in speciali campi di detenzione si sarebbe forse potuto ammettere se esercitato solo nei confronti di quelle persone che acquisivano uno status simile a quello dei soldati prigionieri di guerra, in quanto – è il caso dei regnicoli italiani – cittadini di uno stato nemico; ma i trentini, come cittadini austriaci, non rientravano neppure in questa categoria. 2. «Una nuova inconfutabile documentazione» Le prime testimonianze relative all’esperienza d’internamento a Katzenau sono quelle di Romano
Joris 4 e di Enrico Unterveger 5 . Queste, oltre a costituire un ampio e compiuto resoconto, per parole ed immagini, della storia di Katzenau, hanno guadagnato nel tempo anche l’etichetta di cronaca «veritiera» dell’intera vicenda. Il diario di Romano Joris fu pubblicato nel 1929, a dieci anni dalla sua morte. In quelle pagine, come osserva Quinto Antonelli, Joris «descrive minutamente la vita del campo, l’organizzazione interna, i soprusi e le angherie, le perquisizioni, l’arte di arrangiarsi pur di sopravvivere», ma anche lo sfilacciamento, o meglio ancora la fievolezza, di quel sentimento d’italianità che avrebbe dovuto accomunare tutti coloro relegati in quel luogo. Il racconto di Joris diventa così interessante anche «per le ragioni opposte a quelle per cui fu scritto»6: nel suo diario Romano Joris appare, infatti, «amareggiato dall’assenza di amor di patria». In un capitoletto dal titolo significativo «italiani imbarbariti» registra – come osserva ancora Quinto Antonelli – «l’opinione di decine di lavoratori di nazionalità italiana, in Austria per lavoro, indifferenti agli ideali nazionali: la patria è dove si sta bene e non si patisce la fame. La spontanea e devota ammirazione per la causa
Joris 1929. Unterveger 1980. 6 Antonelli segnala, infatti, come Giuseppe Stefenelli nella prefazione presentò il testo di Joris quale «una nuova inconfutabile documentazione dei sentimenti di purissima italianità del nostro popolo». 4 5
nazionale evidentemente non esiste, molti trentini, internati per errore, sono buoni sudditi di Francesco Giuseppe, altri tutto sommato indifferenti parlano ancora della ‹patria tirolese›»7. Le fotografie di Enrico Unterveger, pur rappresentando solo una parte della documentazione iconografica complessiva relativa al campo, sono però quelle che hanno avuto maggior fortuna sia per l’indubbio valore artistico delle immagini sia per la particolarità della situazione nella quale furono scattate. È Unterveger stesso a raccontarlo: «[È] una serie [di fotografie] che illustra l’accampamento di Katzenau giugno-ottobre 1915, epoca più movimentata. Colle restrizioni che gradualmente venivano introdotte nell’accampamento anche la documentazione fotografica di una pagina di storia del martoriato popolo trentino veniva sperduta, se io non avessi previsto che il sequestro avrebbe potuto privarmi dei negativi che avevo raccolto con tanto amore. Quando il ‹Barone› emanava l’ordine di sequestro, gli feci consegnare i miei negativi di ritratti e gruppi, ma trattenni quelli ‹in special modo proibiti, di baracche, interni ed altre che
figurano la vita del campo›. Le 150 lastre fotografiche nascoste e sfuggite alla perquisizione fattami dai profossi, mi tenevano sempre in pericolo e preoccupato. Con un azzardatissimo sistema di preparazione riuscii a far trasportare le lastre a Linz e a depositarle presso il signor Valdagni liberato dall’internamento. Il signor Riccardo Valdagni le custodì gelosamente e con lui peregrinarono in Moravia, Polonia ed in molti luoghi della Monarchia. Egli fu il salvatore di tante memorie fotografiche, che mi costarono rischio, fatica, studio. Qualche fotografia fu colta nascostamente a volo. Quando volevo ritrarre qualche scenetta ricomposta nelle baracche, dovevo prendere con me i soliti fidi amici, che vigilavano alle porte e che gridavano: ‹Spagna›, il segno convenzionale che mi faceva fuggire e smettere di ritrarre, all’avvicinarsi di pericoli»8. Enrico Unterveger e Romano Joris si propongono come attori protagonisti delle vicende narrate, attori schierati senza alcuna ambiguità, a tal punto noti per l’attività irredentista da rimanere stupiti che all’internamento non avesse fatto subito seguito un processo e quindi la condanna al
Antonelli 1983: 22. Lettera di Enrico Unterveger ad Augusto Tommasini del giugno 1926 e pubblicata in: Tommasini 1926: 82-84.
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Sommario Prefazione; Parte Prima: vita a Katzenau: 1915-1917; Parte Seconda: gli internati trentini; Riferimenti bibliografici. Claudio Ambrosi Lavora presso la Biblioteca della Montagna/SAT con l’incarico di bibliotecario e responsabile dell’archivio storico della Società degli Alpinisti Tridentini. Le sue pubblicazioni vertono soprattutto su temi di storia sociale dell’alpinismo. Nella collana di pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino ha curato con Michael Wedekind il volume L’invenzione di un cosmo borghese: valori sociali e simboli culturali dell’alpinismo nei secoli XIX e XX (Trento 2000).
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