Blast

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BLAST MATERIALI PER UN’ESTETICA DELLE ROVINE

© Lorenzo Amaduzzi 2008



INDICE MAPPA DI TRANSITI Introduzione STATEMENT La storia di AZOUZ l'Africano in 2367 parole CONSIDERAZIONI A MARGINE FLANERIE LA FOTOGRAFIA COME INTERFACCIA COGNITIVA NELL'EPOCA DELL'ARTE DIGITALE CONCLUSIONI FOTOGRAFIE Bibliografia Filmografia Sitografia


MAPPA DI TRANSITI


Mappa di transiti Nel disegno toponomastico immaginato, nominare luoghi ed aree di traffico della produzione e del lavoro dismessi equivale rappresentare, nell’attualità del tempo d’oggi, la mappa di eventi occorsi nel silenzio dei margini. Ecco che piazza Romania o via Tunisi, piuttosto che piazza Algeria, oltrepassano il senso puramente descrittivo, per connotare vite in fuga da infausti destini verso ignoti orizzonti di speranza.



INTRODUZIONE


Introduzione BLAST è un’area industriale dismessa della costa Adriatica, a nord di Ancona. Su una superficie di oltre 18 ettari, incuneata tra la statale 16 e la ferrovia, scorrono i monumentali edifici che ospitavano la produzione di concimi chimici, avviata all’inizio dello scorso secolo (1). Come la gran parte degli insediamenti industriali dell’epoca, la collocazione geografica assumeva un valore strategico in relazione al sistema viario di cui entrava a far parte (2). La via marittima da un lato e quella ferroviaria, dall’altro, garantivano la fluidità dei trasporti delle materie prime, in entrata, e dei prodotti finiti, in uscita. Attiva fino alla fine degli anni ’80, la fabbrica giace ora in stato di abbandono, in attesa venga definitivamente portata a termine l’azione di bonifica del terreno e definiti i criteri di recupero di alcune strutture lignee di alto pregio architettonico. Se i tempi della riqualificazione urbanistica si sono dilatati oltre ogni sensata misura di valorizzazione sociale, turistica ed economica del territorio, occorre rilevare che, frattanto, gli edifici più facilmente abitabili, come la palazzina della Direzione o le residenze operaie oltre il perimetro sud, sono stati, in più occasioni e ripetutamente nel tempo, utilizzati come dimora provvisoria da sbandati, nomadi e migranti clandestini. Il fenomeno dell’occupazione abusiva, quanto mai di attualità in questi tempi di profonde e complesse trasformazioni socio-economiche a carattere globale (3), in cui alla condizione di precarietà esistenziale assunta da fasce sempre più ampie di popolazione nazionale – estromessa o rigettata, a diverso titolo, dal lavoro attivo - si vanno ad aggiungere i poveri del mondo (4), attratti dallo sfavillio delle merci d’Occidente, è diventata una diffusa modalità abitativa, specie nelle periferie metropolitane. Tanto che non è difficile riconoscervi, oltre i sintomi di un malessere sociale diffuso, pure il luogo di invenzione e produzione di nuove forme-categorie culturali, specificatamente legate all’universo giovanile, anch’esso travolto, sia pure con effetti di prospettiva, dal disagio della condizione post-modena (5). Entro questo quadro, dai contorni assai incerti, liquidi direbbe Bauman (6), si colloca il lavoro di ricerca in chiave antropologico-visiva (7) qui rappresentato da una


selezione di immagini fotografiche che raccontano, attraverso la specificità del proprio linguaggio, il fascino estetico del manufatto industriale dismesso e le vicende di quanti, frequentandolo alla stregua di un hotel per derelitti, vi hanno lasciato traccia di sé. Il termine BLAST – graffito che compare su una parete interna, al piano terra di quel che resta del reparto impasto – è di natura polisemica poiché, oltre a significare combustione di processo nel gergo tecnico (8), rappresenta la grafia chiusa di un asciutto simbolo di ribellione giovanile ad ascendenza metropolitana (9). E ciò, nella nostra visione, mette in risalto il valore estetico delle rovine. Solo in esse perdiamo l’illusione di possedere il nostro tempo. Il dramma è: come non esserne schiavi? Ovvero, come essere padroni del nostro tempo, senza che altri, od altro, se ne approprino? La risposta non è univoca, ma a noi piace pensare, e dire, che nell’effrazione della lingua e nella rivoluzione sensibile dei significati sia contenuto il segreto individuale - questo sì - di tale ricerca. Altrettanto individuale sarà la risposta, ma diffonderla e condividerla significa attuare un processo di comunicazione senza barriere di luogo, di tempo e di spazio. L’azione, come un colpo di teatro, si compie qui ed ora, ma dilata le sue energie ovunque ci sia un recettore capace di captarne le mosse. E’ l’invisibile ma attivo potere dell’intelligenza collettiva (10) della Rete, luogo virtuale dove anche la nostra sensibilità estetica ha scovato delle affinità (11) e ricavato un’area di connessioni identitarie (12) che confermano l’opportunità di una ricerca analitica sull’attualità di un’Estetica delle Rovine (13). NOTE (1)

Campana Giuseppe, Giacomini Ruggero, Il sito ex Montedison.Storia, situazione, prospettove di recupero, Comune di Falconara Marittima, 2006 (2) AAVV, La macchina arrugginita, Feltrinelli, 1983 (3) Bauman Zigmunt, Dentro la globalizzazione, Editori Laterza, 1999 (4) Bauman Zygmunt, Vite di scarto, Editori Laterza, 2005 (5) Bauman Zigmunt, Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori, 2002


(6) Bauman Zigmunt, Modernità liquida, Editori Laterza, 2004 Bauman Zigmunt, Modus vivendi. Inferno e utopia nel mondo liquido, Editori Laterza, 2007 (7) Canevacci Massimo, Antropologia della comunicazione visuale, costa&nolan, 1995 (8) Sui significati del termine inglese BLAST, si veda: http://en.thinkexist.com/ Blast Meaning and Definition 1. (v. t.) To rend open by any explosive agent, as gunpowder, dynamite, etc.; to shatter; as, to blast rocks. 2. (n.) A flatulent disease of sheep. 3. (n.) A violent gust of wind. 4. (n.) The exhaust steam from and engine, driving a column of air out of a boiler chimney, and thus creating an intense draught through the fire; also, any draught produced by the blast. 5. (v. t.) To injure, as by a noxious wind; to cause to wither; to stop or check the growth of, and prevent from fruitbearing, by some pernicious influence; to blight; to shrivel. 6. (n.) A sudden, pernicious effect, as if by a noxious wind, especially on animals and plants; a blight. 7. (v. i.) To blow; to blow on a trumpet. 8. (v. t.) Hence, to affect with some sudden violence, plague, calamity, or blighting influence, which destroys or causes to fail; to visit with a curse; to curse; to ruin; as, to blast pride, hopes, or character. 9. (v. t.) To confound by a loud blast or din. 10. (n.) A forcible stream of air from an orifice, as from a bellows, the mouth, etc. Hence: The continuous blowing to which one charge of ore or metal is subjected in a furnace; as, to melt so many tons of iron at a blast. 11. (n.) The sound made by blowing a wind instrument; strictly, the sound produces at one breath. 12. (n.) The act of rending, or attempting to rend, heavy masses of rock, earth, etc., by the explosion of gunpowder, dynamite, etc.; also, the charge used for this purpose. 13. (v. i.) To be blighted or withered; as, the bud blasted in the blossom. (9) Branzaglia Carlo, Marginali, Iconografia delle culture alternative, Castelvecchi, 2004 http://www.bbc.co.uk/blast/ (10) Lévi Pierre, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, 1996 Lévy Pierre, Cybercultura, Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, 1997 Dewdney Christopher (a cura di), Derrick de Kerckhove. La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, Feltrinelli, 1996


(11) http://www.99rooms.com (12) Per connessioni identitarie, magari suggestionati da titolo di una delle rare esposizioni italiane di net-art (Connessioni Leggendarie, Mediateca di Santa teresa, Milano, 2005), facciamo riferimento alla biblioteca di link che, in appendice, va sotto il nome, per l’appunto, di connessioni identitarie. (13) La riflessione filosofica sulla materia estetica data pochi secoli della nostra storia e non è che fossero mancati, già dalle origini, pretesti o spunti concreti cui attribuire dignità accademica, se non rigore scientifico. Basti pensare alla fortuna degli studi storico-archeologici. Tuttavia, si vuole qui rimarcare come sia stato di scarsa rilevanza per la disciplina Estetica moderna e contemporanea il tema delle rovine industriali. Da alcuni anni, però, in ragione anche dei rapidi mutamenti indotti dal progesso tecnologico, fioriscono più numerosi i tentativi di rendere sistematica l’emergenza strabordante delle nuove forme artificiali. In ogni caso, il riferimento teorico imprescindibile è e rimane ancora oggi il contributo datato (1966) del breve saggio di Walter Benjamin sulla “Fotografia nell’Epoca della sua riproducibilità tecnica” edito da Einaudi. Ricordiamo: Ave Appiano, Estetica del rottame, Meltemi, 1999; Lea Vergine, Quando i rifiuti diventano arte, TRASH rubbish mongo, Skira, 2006


STATEMENT


Statement (*) Sebbene la presenza umana sia accuratamente evitata nell’immagine di architetture industriali della serie BLAST (1), ciò non significa che il protagonista di quanto vi si narra siano le inerti cose ritratte. Tutt’altro: sono proprio loro, le cose, anche nei dettagli formalmente più estremi, a parlarci dell’azione dell’uomo e dei sentimenti esperiti durante il transito in quel luogo. Oggetti come un casco di protezione, un segnale di attenzione, un armadietto od anche un residuo di macchina qualunque evocano, senza nominarla, la presenza di vita operaia, con tutto il fardello di emozioni individuali e collettive che si porta appresso. Per condizione, per storia. In ultima analisi, per definizione. E ciò basta, a noi, per giustificare la motivazione a darne testimonianza. Ma c’è dell’altro: il taglio spesso frontale dell’inquadratura diventa dato di stile, topos privilegiato di una visione certamente influenzata dalla mediazione culturale - esercitata con discrezione nell’arco di un lungo tempo biografico - dalla Storia dell’Arte. Quella di schiacciare il soggetto, appiattendolo sulla superficie bidimensionale del supporto non è altro, dunque, che un’inclinazione poietica derivata dalle affinità compositive con la Pittura e col progetto d’Architettura, cui spesso ci si compiace di somigliare. Di fotografico rimane tutto il resto, che non è poco. La tecnica innanzitutto, tanto analogica che digitale. La post-produzione numerica, per quanto consente di adattare alle proprie esigenze espressive i vincoli ottico-compositivi dell’azione di ripresa. S’intravede, in questo lavoro di mappatura visuale dell’universo industriale in disuso, il tentativo di rendere esteticamente gradevole, se non bello, il soggetto in rovina, nella consapevolezza, però, del rischio di manifestare una certa ambiguità ideologica durante la fase ermeneutica di attribuzione di senso al prodotto fotografico. Queste ed altre parole intendono darne conto. Nel ribadire la predilezione per il soggetto-oggetto, l’attenzione della nostra ricerca visiva si concentra, con prevalenza, sui luoghi più frequentati della metropoli diffusa (2), gli o le sprawls. Qui, assumendo la fortunata definizione di origine antropologica - ormai parte della vulgata corrente - cioè nei cosidddetti “non luoghi” (3), si concentra quanto di più maledetta-


mente indispensabile a descrivere la condizione contemporanea (4). Intendiamo proprio dire che la tragedia dell’essere si consuma proprio qui, tra gli scaffali di un ipermercato, in una stazione ferroviaria, in una zona industriale, in un motel, in un autogrill, in una stazione di servizio e via dicendo. Abbiamo citato esclusivamente luoghi pubblici. Sì, perché quelli privati, per quanto spiati possano essere, sono raggiungibili dall’occhio del fotografo solo per via di complicità o di simulazione. Poi, quando succede, è al prezzo di una violenza che noi non ci sentiamo di condividere. Basta il mezzo televisivo a documentare, in quantità industriale peraltro, l’orrore segreto delle vicende intime. A chi, come noi, utilizza il mezzo fotografico per interpretare la realtà, non resta che indirizzare lo sguardo sugli uomini per via metonimica. Fissare una scarpa slacciata per dichiarare la morte del soggetto. Evocare senza nominare, dunque. Se non altro, per non uccidere (5) una seconda volta i propri testimoni. Insomma, dobbiamo al linguaggio fotografico (6), alla sua resa immediata l’occasione per tradurre in immagine i percetti (7) di una visione personale, ma assolutamente disincantata. La nostra. Le fotografie che compongono il racconto fotografico denominato BLAST, fanno parte di un archivio di immagini, in parte digitalizzate da pellicola, in parte direttamente riprese in formato digitale, che fu concepito ed iniziò ad essere costruito a partire dal 2005. La selezione qui raccolta testimonia il periodo più recente – Maggio-Ottobre 2007 – pertanto non può dare conto di ambienti dove erano ancora presenti le tracce del lavoro consumato come, ad esempio, attrezzi da falegnameria, scaffali di archiviazione, caschi di protezione, armadietti metallici e tanti altri oggetti di derivazione produttiva. (*) Anziché utilizzare la dizione inglese artist statement per specificare la nostra dichiarazione di intenti, cioè il movente intellettuale che sostiene la lunga e complessa azione di documentazione fotografica intrapresa già dal 2005, preferiamo contare unicamente sul termine statement. Con esso, oltre alla funzione poietica, crediamo di dover esprimere con la necessaria efficacia il portato emozionale scaturito dalla frequentazione del luogo come delle persone che, sia pure con finalità differenti, vi si sono temporaneamente rifugiate in stile nomadico.


NOTE (1) Blast è il primo segmento di un ciclo, denominato mainbody, dedicato al rilievo fotografico con modalità e finalità estetiche di architetture in disuso, industriali e non solo. (2) Il concetto di metropoli diffusa illustra bene il carattere densamente urbano (http://www.blasttheory.co.uk/) di vaste aree di terrritorio, tanto che discipline accademic-progettuali come sociologia urbana ed urbanistica non possono fare a meno di utilizzarlo nelle rispettive descrizioni della città post-moderna. (3) Marc Augè, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, 1993 (4) Tutta l’opera di Jean Baudrillard, dal “Sistema degli oggetti”, passando per “Lo scambio simbolico e la morte” fino all’ultima opera ,“Il patto di lucidità o l’intelligenza del Male” dove, tra l’altro, si sofferma a lungo a considerare l’”avventura dell’arte moderna” e “la violenza fatta all’immagine” - parlando di fotografia - si nutre con intensità delle simbologie virtualizzate e virtualizzanti dell’essere contemporaneo. (5) Che l’atto fotografico si compia attraverso un “delitto”, è stato rilevato a più riprese dalla critica fotografica colta. Due nomi su tutti: Roland Barthes nella “Camera chiara” e Susan Sontag nel suo “Saggio sulla Fotografia”, entrambi di recente riediti da Einaudi. In altre parole, l’istantanea fissa un frammento del continuum temporale congelandone la forma in un passato che non esiste più. Dunque, morto. (6) La fotografia in quanto linguaggio iconico è entrato di diritto al centro dell’interesse di analisi da parte della categoria intellettuale dei semiologi, già agli esordi della disciplina in ambito accademico, intorno agli anni ’60 del secolo scorso. (7) Arnheim Rudolf, Il pensiero visivo, Einaudi, 1974


La storia di Azouz l’Africano in 2367 parole (*) Ho incontrato per la prima volta Azouz (1) nel mese di maggio 2007 durante un mio periodico sopralluogo fotografico. Avevo da poco assestato il cavalletto sul pavimento terroso di quello che fu il reparto acido solforico quando, nel cercare l’inquadratura, mi sono comparse in lontananza nello spazio ottico del mirino due sagome scure. Bisogna precisare che l’ambiente, lungo e stretto (2) è di per sé poco luminoso, rischiarato soltanto dalle fenditure di luce provenienti da delle specie di lucernari e dal portone di ingresso divelto. Ho avuto qualche istante di esitazione prima di decidere di comportarmi come se nulla fosse. Certo è che non era quello il luogo migliore per un incontro imprevisto. Quando fummo a poca distanza tra noi, visto che loro – due giovani uomini di colore - frattanto si erano avvicinati, rivolsi la parola a quello più prossimo. Mi sembrava avesse difficoltà alla postura eretta e nemmeno capiva le parole che gli rivolgevo. Non mi è servito molto tempo per capire che potevo essermi cacciato in un antipatico – suoni come un eufemismo – pasticcio. Fortunatamente, l’amico che lo seguiva a breve distanza si proponeva come traduttore fino a restare interlocutore unico. Era Azouz. Viveva in un minuscolo bunker-abitacolo a forma di cripta (3), con finestra sul lato mare. L’idea di tale soluzione abitativa potrebbe apparire anche suggestiva per quel periodo climatico, se non fosse, tra l’altro, che quello spazio era stato ricavato all’interno di un ex stabilimento chimico, nell’area dove più che certa è la presenza di polvere di pirite, pur se dispersa in anni di abbandono, sul terreno. Avevo già sperimentato in prima persona la conoscenza di analoghe condizioni di vita (4), ma ciò che mi colpì in questa circostanza, fu l’ordine e la cura delle povere cose disposte tra il pavimento in terra battuta e le precarie mensole delle pareti a ferro di cavallo. E questo – il bisogno di un riscatto da un’esistenza più misera e fragile della più comune povertà – fu il tema della conversazione con quello che mi appariva un uomo sconfitto dal proprio destino. Già, perché avevo frattanto accettato l’invito di Azouz a bere un caffè nella sua tana. La ragione di tanta nostalgia per una casa vera stava forse nella presenza, nello stesso luogo, della


sua fidanzata rumena, Alina. Fu lei a prepararci la bevanda calda su un fornello da campeggio ed a versarcelo dentro bicchieri di plastica. Sentimenti di misti di inquietudine, imbarazzo e pena scuotevano la mia comoda sensibilità di indigeno benestante, dinnanzi a tanta dignità ed umile ospitalità tanto che, per un ingiustificabile senso di colpa, mi sono reso disponibile ad aiutarlo a trovare un lavoro. Dopotutto, il mio rapporto di amicizia con il dirigente dell’ufficio del lavoro della mia citta, avrebbe potuto risultare utile, se non decisivo. Prima di salutarlo, promisi ad Azouz che avrei avviato un contatto per fissargli un incontro. Non ci sarebbero stati ostacoli di natura formale, essendo egli in possesso di regolare permesso di soggiorno e potendo esibire le prove dell’attività di carpentiere svolta, in un recente passato, presso un’impresa edile della zona. Fu così, con quest’accordo, cioè, che ci salutammo. Mi sono sentito obbligato da un insolito imperativo morale ed intuivo che la mia disponibilità avrebbe potuto contribuire a strappare quelle due miserabili esistenze alla condizione disumana di reietti. Con tale spirito, l’indomani stesso concordai le modalità di un incotro a breve, ma già dal primo contatto telefonico con Azouz – qualche giorno dopo – percepivo una imperscrutabile forma di resistenza verbale ad onorare l’appuntamento che avevo fissato. Falliti i successivi tentativi di comunicazione, mi sono arreso al tarlo di un faticoso pensiero che mi sorgeva da dentro: quella vita da esclusi indubbiamente favorisce, quando non esige, per mere esigenze di sopravvivenza, il transito attivo nell'illegalità. Non mi restava che dimenticare quest’episodio che, indubbiamente, per il tono di simpatia umana che mi aveva suscitato, tornava alla mia mente ogniqualvolta le cronache quotidiane si fossero occupate del tema immigrazione. Data la stagione, la frequenza con cui apparivano sui media era pressochè quotidiana. Perciò, nonostante la rimozione sia stata lucida e fredda, non potevo eliminare del tutto l’occorrenza, in ragione di quel vissuto squisitamente emotivo, di dover connettere mentalmente un qualunque episodio indiretto alla vicenda umana di Azouz. I mesi passarono, finchè ad Agosto non decisi un ulteriore sopralluogo fotografico nell’area BLAST. Quel giorno, come in precedenza, parcheggiai l’auto sul ciglio della statale in prossimità della fermata degli autobus urbani e di linea, di fronte allo stabilimento. Qui sostava in


attesa un uomo che, per come appariva dall’aspetto – cioè di etnia Africana – lasciava intuire che avesse provvisoria dimora all’interno di qualche edificio industriale, proprio come Azouz. Visto che mi osservava insistentemente, gli rivolsi la parola chedendogli se vivesse “là dentro” e se vi avesse conosciuto Azouz. La risposta fu affermativa e si offerse pure, dopo aver saputo che lo conoscevo, di accompagnarmi da lui. Accettai di buon grado, dal momento che avrei finalmente potuto chiarire, almeno in parte, gli interrogativi che mi ero posto e non avevano ancora ricevuto risposta. Lui pure – non ne ricordo il nome – mi descrisse la propria condizione di immigrato in cerca di lavoro mentre percorrevamo il sentiero per giungere al luogo dove Azouz viveva. Erano le nove di mattino di una limpida giornata di mare. L’incontro avvenne appena fuori dalla sua tana, ma subito m’esortò ad entrare. Dell’ambiente non era cambiato nulla da quando vi entrai la prima volta. C’erano, accomodati sul bordo del letto, alcuni ospiti, che volle presentarmi: un nordafricano e due polacchi, oltrechè il mio accompagnatore e la propria compagna, che se ne stava appartata in un angolo della piccola stanza. Immediatamente si giustificò del lungo silenzio e del telefono tenuto spento così a lungo, mostrandomi una lunga cicatrice sul lato esterno dell’avambraccio sinistro. Si trattava, a sua detta, della conseguenza di una caduta dallo scooter. Non potevo, date le circostanze in cui mi trovavo, dichiarargli la mia incredulità rispetto alle affermazioni fatte. Era evidente che si trattava di una vera e propria ferita da taglio. Mi limitai a manifestare una cordialità di circostanza, per poi salutare ed iniziare il mio lavoro di ripresa che, dopotutto, era la ragione per la quale mi trovavo in quel luogo. Dunque, i sospetti iniziali diventavano, ai miei occhi, una specie di prova - non provata però - che in quell’area si governassero affari poco leciti. Con questo stato d’animo in corpo percorsi, cavalletto alla mano, le restanti zone che volevo ri-esplorare con la fotocamera. Fu così che decisi di interrompere le mie incursioni fotografiche, pago anche della consistena quantitative del materiale accumulato nei mesi precedenti. In effetti, mi dispiaceva non proseguire il lavoro di “ricerca”, poichè mi rendevo conto che col tempo, oltre a mutare lo scenario ambientale – vuoi per interventi materiali della proprietà, vuoi per il transito costante di senzatetto d’ogni


origine etnica, oltrechè di bande giovanili locali – la mia personale visione acquistava una confidenza privilegiata con le cose (5). Cose che sono tracce, ma anche impronte (6) vere e proprie di erranti presenze umane. Erano – e sono – frammenti di vita disseminati nello spazio secondo criteri di occupazione territoriale molto simile alle forme di marcatura animale; equivalgono a caratteristiche abitative provvisorie, certamente nomadi, senza vincoli stanziali. Nei segni deposti all’abbandono, si leggono i significati di passaggi plurimi, a volte sovrapposti, ma con in commune la condizione marginale di chi vuole od è costretto a trasgredire le più elementari regole di convivenza. Le diversità etniche, generazionali e culturali che qui si confrontano, aniziche svolgere un ruolo di rafforzamento dei legami di solidarietà per comunanza di status, che pure esistono, finiscono con l’alimentare il conflitto e la spartizione fisica del territorio con modalità di tipo catastale. Frequentare i luoghi dell’abbandono, specie metropolitani, esige la coscienza di compiere uno sconfinamento. E’ solitamente l’atteggiamento di cui mi servo per attraversarli, il medesimo adottato nei confronti degli occupanti incontrati nell’area BLAST. Oltre ad Azouz, erano presenti, in quel periodo, una numerosa famiglia di Rom rumeni ed un piccolo gruppo, 4 o 5, di giovani polacchi. I primi scandagliavano il sito nelle zone dove più probabile era la presenza di rame, sotto forma di fili elettrici. Una volta, proprio il giorno che conobbi Azouz, mi capitò di vederli all’opera con un lungo coltello mentre tranciavano un fascio di cavi sotterraneo. Alla mia vista non si scomposero per nulla, se non per affermare: “rumeni poveri”. Mi vennero alla mente allora le immagini del cortometraggio di Claudio Bozzatello “Foku” (7) che racconta di un’analoga storia di sopravvivenza ambientata nell’ex stabilimento Falk di Sesto San Giovanni. Se si riflette sulle dinamiche di interazione sociale (8) che possono instaurarsi tra le mura scomposte di una vecchia fabbrica come BLAST, non basta l’immaginazione per metterne a fuoco proprietà e modalità di espressione. Ci soccorrono i fatti di cronaca che vi si verificano periodicamente, quando la locale Questura, magari sollecitata dalla proprietà, esegue uno sgombero. Sta di fatto che, fino a quando perdurerà la condizione di abbandono, sia pure vigilato, i flussi ciclici di occupazione temporanea da parte, soprattutto, di immigrati


clandestini, proseguirà senza sosta perchè l’area possiede un vasto perimetro facilmente vulnerabile in qualunque punto: confina sul lato longitudinale est con la ferrovia e la spiaggia, è collocata geograficamente a breve distana dal porto di Ancona, scalo tutt’altro che immune dall’arrembaggio dei disperati del Sud-Est affamato. Per tutto il periodo, circa un anno, in cui Azouz ha vissuto nella tana di BLAST deve aver assistito e partecipato a numerosi e pesanti episodi di coesistenza forzata. Di uno in particolare è stato involontario e sfortunato protagonista: l’aggressione subita per mano di quegli stessi Rom rumeni che, sin dalla prim’ora, m’aveva confidato essere pericolosamente aggressivi. Fatto sta che quando il conflitto tra loro sfociò in rissa, a farne le spese fu, come già detto, il suo avambraccio sinistro lacerato dal violento colpo di una barra di ferro. Mai sarei venuto a conoscenza dell’accaduto, se non avessi composto il suo numero telefonico mentre mi trovavo casualmente a passare da quelle parti. Era l’Ottobre scorso. Rispondendo alla mia chiamata, ho subito capito che aveva conservato il mio numero di telefono in agenda e che, in qualche misura, la sua condizione era cambiata in meglio. Si trovava a fare il custode-guardiano in un Albergo per cani a pochi chilometri di distanza dal vecchio luogo di residenza. Non mi fu difficile raggiungerlo subito e venire a conoscenza che dopo un breve periodo trascorso in ospedale per curare la ferita patita ed essere rientrato nella tana di BLAST, dallo stesso luogo era stato costretto ad allontanarsi in seguito all’incendio delle sue povere cose perpretato dagli stessi autori dell’aggressione fisica. Era evidente che lo scontro era stato di drammatica intensità tra le due parti. Non mi sono occupato di conoscerne le ragioni, ma è facilmente ipotizzabile che sia scoppiato per una reciproca quanto incompatibile volontà di controllo del territorio. Persa la propria battaglia, anche perchè si trovava, solo, ad affrontare un nemico molto più numeroso, si rifugiò in una casa abbandonata nei pressi del sottovia dell’autostrada. Qui, dopo pochi giorni venne sorpreso dal proprietario dell’immobile il quale, constatatene le miserabili condizioni di vita, gli offerse di lavorare nel proprio canile che si trova a pochi passi. Fu così che la sua vita da cani si trasformò in vita con i cani. Da questo punto inizia un nuovo racconto, meno tragico certo, ma altrettanto amaro, con un‘ombra davanti al futuro, però. Azouz ha 35 anni, non conta


di rivedere mai più i propri genitori, ha una fidanzata rumena da cui aspetta un figlio, ma è quasi certo che verrà lasciato solo perchè, dice, le donne rumene “trattano i figli come stracci da buttare.” NOTE (1) Azouz è il nome di comodo attribuito al protagonista di questo racconto breve, avendo egli espressamente richiesto che non venisse citato il suo vero nome, per il timore di essere riconosciuto nell’eventualità lo scritto fosse stato dato alle stampe. La testimonianza che egli mi ha reso sulla propria vicenda - tra l’altro ricca di inquietanti dettagli sul viatico migratorio che, attraverso la nazione libica, lo condusse a vivere l’accoglienza del nostro paese a Pantelleria, intorno al 2001 – costituisce lo sfondo entro il quale ho potuto dare corpo e sostanza ad una sequenza di immagini che altrimenti avrebbero trattenuto celati i fantasmi da cui erano e sono ancora popolate. Le parole possono, dunque, arricchire di senso lo loro visione, di per sé scarnificata dall’occhio crudo ed impassibile della fotocamera. Almeno nel nostro auspicio. (2) Immagine_49.tif (3) Immagine_53.tif (4) Ricordo, tanto per citare un episodio ancora una volta personale, il piano interrato dell’ex Colonia Bolognese a Riccione (http://holiday-campus.blogspot.com) dove in più occasioni mi è stato dato incontrare giovani extracomunitari sopiti su giacigli di fortuna in pieno giorno. (5) “E’ prassi normale dell’etnografia partire dal presupposto che tutti i beni materiali siano dotati di significati sociali e concentrare la parte principale dell’analisi di una cultura sul loro uso come strumenti per la comunicazione.” Douglas Mary – Baron Isherwood, Il mondo delle cose, Oggetti, valori, consumo, il Mulino, 1984 (6) La fotografia come impronta (index) del reale sostiene l’architettura teorica di molti studi semiotici contemporanei, tra i quali occorre segnalare l’ampio saggio di Philippe Dubois sull’Atto fotografico, pubblicato in Francia da Nathan, nel 1990 e tradotto in italiano da Quattroventi, nel 1997. (7) v.Filmografia essenziale (8) Erwin Goffmann, L’interazione strategica, Il Mulino, 1971 (*) Trattandosi di una vicenda umana legata alla memoria di un luogo che mi trasmette, più di altri, reali sensazioni di familiarità con gli oggetti che lo abitano e le persone che l’attraversano, non potevo non descriverla che adottando la prima persona singolare.


CONSIDERAZIONI A MARGINE


Flanerie Indossato lo spirito del flaneur, (1) abbiamo girovagato nel labirinto (2) della Rete Internet alla ricerca di curiose affinità. Ce n’è di che selezionare, nello scenario virtuale di nicchie nascoste tra le pieghe dell’immensa ragnatela in continuo ed incessante progress.Culto per le rovine industriali, opera per lo più dei cosiddetti esploratori urbani, vere e proprie bande di incursionisti dell’obiettivo (3), i siti che ne rappresentano le vestigia arrugginite vengono quasi sempre classificati dai motori di ricerca nelle categorie, in prevalenza di lingua inglese, di industrial archaeology urban culture, urban decay. Quanto, invece, all’universo fotografico, nelle accezioni più prossime al nostro campo di indagine – ovvero il versante estetico-artistico - la scelta di una traccia disciplinare (4) stabile e certa è quanto mai problematica per la sconfinata mole di informazioni che, nell’andirivieni quotidiano, si agitano lungo le autostrade di bit. Non resta che darne conto secondo una cornice di riferimento assai soggettiva, peraltro anch’essa destinata a mutare continuamente di forma nel tempo, anche breve. Il flusso di dati che entrano in circolo in quel superorganismo (5) collettivo è tale che le competenze che vengono richeste per accedervi con maestria sono sempre più sofisticate, dunque appannaggio prioritario delle generazioni più giovani. Ciò non toglie, però, che l’occorrenza critica richiesta per esplorare con efficacia cognitiva gli archivi spontanei che di continuo si formano sulla Rete, non esiga - di proprio - il possesso di strumenti analitici che vanno ben oltre la padronanza delle pur impegnative tools d’accesso o di gestione. Ci riferiamo ad ambiti disciplinari come la filosofia, l’estetica, la sociologia, l’antropologia e la storia dell’arte. In quest’ordine metodologico oltrechè gnoseologico, il vecchio e caldo supporto cartaceo – il libro – resta ancora ineliminabile per il contributo che continua garantire al progresso della conoscenza. Appunto.


NOTE (1) Nuvolati Giampaolo, Lo sguardo vagabondo, Il flaneur e la città da Baudelaire ai postmoderni, il Mulino, 2006 (2) Sambo Marco Maria, Labirinti, da Cnosso ai videogames, Castelvecchi, 2004 (3) http://www.urbanexplorers.net/ (4) Che l’oggetto della ricerca riguardi artisti, festivals o gallerie specializzate, occorre scendere in profondità tra le maglie dei contenuti e dei riferimenti ipertestuali cui rimandano per individuare un percorso di lettura logico – in ogni caso, individuale, unico, irripetibile - anche dallo stesso autore della ricerca. (5) Lévy Pierre, Le tecnologie dell’intelligenza, A/Traverso, 1990


La fotografia come interfaccia cognitiva nell’epoca dell’Arte Digitale. Col termine fotografia, ci si intende riferire al fenomeno contemporaneo della riproduzione meccanica della realtà: oltre alle immagini fisse, esso contempla quelle in movimento di cinema e televisione, nonché la sintesi di entrambe operata, ormai diffusamente su scala planetaria, dal processo di simulazione digitale (1), che trova nella Rete il luogo virtuale di più torrenziale espansione. Nell’arco degli ultimi tre decenni è totalmente mutato il nostro rapporto percettivo col mondo e le generazioni che sono nate e cresciute in quest’intervallo di tempo hanno sviluppato capacità cognitive, qualità etiche e morali già assai diverse da quelle degli immediati predecessori. Il quadro culturale di riferimento, in Occidente come in Oriente, si chiama Globalizzazione. Tutto origina da un’applicazione tecnologica elementare: il codice binario. La possibilità tecnica di tradurre qualunque dato analogico in forma numerica e quindi di elaborarne lo statuto ontologico, espande oltre ogni limite di realtà preesistente le attribuzioni della nostra fantasia e della nostra immaginazione. Eccolo, dunque, l’esito antropologico meno considerato di questa rivoluzione tecnico-culturale ancora in corso, ma forse destinata a diventare permanente, proprio in ragione del principio generatore che la sostiene: la mutazione di genere (2), i cui esiti sono oggi difficilmente prevedibili. Le nostre vite sembrano scorrere, seppure faticosamente, sul binario imperturbabile della Storia. Non riusciamo a leggere i segni delle trasformazioni in atto se non come disagio esistenziale o fobia dell’altro, senza renderci conto che questi sentimenti sono la conseguenza di un profondo mutamento di paradigma. Rinunciando ad avventurarci nell’infausta pratica della congettura, consideriamo più da vicino, magari anche nel dettaglio morboso della marginalità epistemologica - come potrebbe essere considerato, ad esempio, il riferimento all’uso sociale della videofonino - gli elementi che compongono la mappa degli atti comunicativi agiti attraverso la strumentazione digitale. In quest’ambito, denso di costante innovazione tecnologica da un lato e rapida evoluzione merceologica dall’altro, le pratiche hanno finito per condizionarne le modalità progettuali sia di conte-


nuto (scopi) che di forma (design), in una circolarità di reazioni che va sotto il nome di marketing virale (3). Se ciò interviene è perché le modificazioni neurologiche del cervello indotte dall’utilizzo delle protesi tecnologiche (4) producono, a loro volta, vere e proprie rivoluzioni culturali, che non sempre sono socialmente indolori. Entro questo quadro, che contiene la somma dei segni attivi nell’universo animato, la fotografia svolge un ruolo spesso inconscio (5) di appercezione del reale. Proviamo a pensare cosa succederebbe alla nostra psiche se dovesse improvvisamente rinunciare a conoscere il mondo attraverso la mediazione delle immagini (fotografiche), quando da queste siamo investiti e spesso travolti in ogni istante del nostro quotidiano essere. Di più: il mondo onirico, rispecchiando il vissuto, tende a riprodurre, tenendone traccia mestica, il simulacro visivo della realtà durante il riposo notturno. Che mondo ci si presenterebbe senza l’apparizione di quell’immenso e fantasmatico archivio di immagini cui tutti i giorni ci riferiamo per condurre una esistenza di relazione con il resto dei nostri simili e delle cose che ci circondano? Non v’è dubbio che dovremmo riferirci ad un genere di civiltà completamente diversa da quella che stiamo vivendo. La potremmo immaginare - la letteratura di fantascienza più noir (6) ce l’ha suggerito – ponendo mente ad un passato storico anche recente, quando l’esistenza degli uomini, anche nei grandi centri urbani, si nutriva prevalentemente di sensazioni naturali, od al futuro dopo la catastrofe descritto in molte opere cult (7) della cinematografia contemporanea. Fatto sta che la conoscenza, intesa come necessità per l‘essere, quindi già nel suo stadio più elementare, è indissolubilmente vincolata al corretto utilizzo delle strumentazioni o degli apparati tecnici presenti nel momento storico in cui essa prende forma. Se si affronta il problema da un punto di vista sociologico, si rendono necessarie delle distinzioni nette nelle differenze di accesso all’uso delle tecnologie tra generazioni diverse, dapprima, tra classi sociali ed aree geografiche del mondo (8), in ultima istanza. Va da sé che tanto più è elevata la soglia anagrafica, tanto più ostico risulta l’apprendimento delle funzioni digitali, sia pure nella semplice forma delle interfacce (9) facilitate. Mentre, per contro, l’approccio, anche nei comandi più complessi, non è di ostacolo alle menti giovani che si disimpegnano con estrema


disinvoltura in operazioni non sempre di routine. Ma l’urgenza più allarmante è di ordine politicosociale, cioè investe le differenze di alfabetizzazione informatica tra Nord e Sud del mondo, insomma tra ricchi e poveri. Anche se l’altlante geo-politico va mutando molto in fretta proprio questi tempi, la traiettoria del progresso resta immutata e la storia tende a ripetersi tale e quale: le civiltà, come le società, nascono, crescono e muoiono (10) nello sviluppo circolare della funzione ciclica. NOTE (1) Di Caro Giuliano, Tecnogenerazioni.Intelligenze artificiali, emergenti e simulate, Le Mani, 2005 (2) Yehya Naief, Homo Cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza, Elèutera, 2004 (3) Il consumatore come vettore della comunicazione. Siamo al colmo dell’iperrealtà della merce, direbbe Baudrillard. Per rifarsi lo spirito: Bauman Zygmunt, Homo consumens, Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson, 2007. Per assecondarne le mosse, di Fulvio Carmagnola e Vanni Codeluppi, rispettivamente: Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella fiction economy, Bruno Mondadori, 2006; La vetrinizzazione sociale, Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, 2007 (4) A partire da: Marshall Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, 1967 (5) Vaccari Franco, L’inconscio tecnologico, Punto & Virgola, 1979 (6) Kuhn Tomas, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1969 (6) Si pensi a tutta l’opera di Philip K. Dick (http://www.philipkdick.com/) (7) Uno fra tutti: Blade Runner, di Ridley Scott (http://www.blade-runner.it/) (8) Norris Pippa,Digital Divide, Civic Engagement, Information Poverty, and the Internet Worldwide, Communication, Society and PoliticsHarvard University, Massachusett, http://www.digital-divide.it/ (9) Raskin Jef, Interfacce a misura d’uomo, Apogeo, 2003 (10) Diamond Jared, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, 2005


CONCLUSIONI


Conclusioni Superato il millennio ed oltepassata la fase infantile dell’era digitale la fotografia, in quanto Sistema, estende il proprio dominio all’intero universo simbolico della comunicazione individuale e di massa. Diviene linguaggio universale, ovunque esercitato con le medesime regole. Fatto salvo il vincolo ottico dell’inquadratura, tutto ciò che finisce col rientrarvi altro non è che il prodotto di una cultura e di una visione individuale, ma anche sociale del mondo. Nella stanca arena delle Arti Figurative, la fotografia ha prodotto un varco poietico tanto ampio da aver favorito fiduce mercantili spesso incomprensibili quanto immeritate. Ma, contrariamente alle Arti tradizionali, è priva di un solido sitema teorico di riferimento - chiamiamolo pure Estetica - e stenta, almeno nel nostro paese, a farsi strada una seria prospettiva di analisi critica, non importa quali siano gli strumenti critici adottati. Il nostro compito, qui, è stato quello di aver indicato un possibile campo di indagine sistematico, quello delle Rovine Industriali, elemento e materia sempre più ingombranti nel modello contemporaneo d’uso politico delle aree urbane.


INDICE IMMAGINI








FOTOGRAFIE








































































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FILMOGRAFIA ESSENZIALE


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SITOGRAFIA


Archeologia Industriale-Cultura Urbana Abandonalia Lugares abandonados en Espa単a. Los lugares abandonados tienen un encanto especial... http://www.abandonalia.blogspot.com/ Abandoned Britain This Website is dedicated to documenting and recording the vanishing Industry's of Britain http://www.abandoned-britain.com/ Abandoned places Old buildings, abandoned hospitals, industrial palaces overgrown with plants and trees, the remaining walls decorated with graffiti, smashed windows, rain dripping through the roof... These places have become hard to find, difficult (or illegal) to access, dangerous to explore ... great to spend the day! http://www.abandoned-places.com/ Action Squad In a nutshell, Action Squad explores. This generally occurs late at night, to aid in avoiding other people, particularly those with badges and funny blue uniforms. We climb buildings, sneak into factories, crawl through all kinds of tunnels, spelunk old brewery caves, poke around abandoned buildings, and run across the rooftops. Sometimes we get in full gear, consult maps, make backup plans, and launch major missions into unknown and often dangerous terrain; other times, we'll just happen to see some minor location that begs to be explored and we'll take a casual stroll through the place right then. Anyplace that is challenging to get to or is off limits to be in is a potential target, particularly underground, abandoned, or historic sites. We usually employ no fancy equipment, and having a good time is our first priority. Which brings us to the next hypothetical question ... http://www.actionsquad.org/


Ars Subterranea: The Society for Creative Preservation. Ars Subterranea is comprised of artists, historians, and urban explorers working to create an intersection between art and architectural relics in the New York City area. Our aim is to instigate unique perceptions of New York's history by constructing narratives around the city's forgotten relics. Ars Subterranea encourages its audiences to interact with the city's neglected and ruinous locations by recreating obscure but fascinating aspects of its urban development. Our projects include art installations, history-based scavenger hunts, unusual preservation campaigns, and much more. http://www.creativepreservation.org/ ArtInRuins We at ArtInRuins believe that decay is beautiful, but not necessary. Artists live and work in the buildings that the city or developers have often forgotten, and now that Providence is becoming a hip town (or a suburb of Boston) these buildings and the artists, musicians and businesses who lived and worked in them are getting used for purposes that do not contribute to the community in the same way. We are not against new development, we are only opposed to unsustainable or irresponsible development. Before you get all up in arms, let us define a heated buzz word; Yuppies: (noun and sometimes four-letter word) Conspicuous consumers.. they are not an age group, they are a state of mind. Yuppies aren't all bad, as they buy art and spend money at expensive restaurants. The problem is when there are too many of them, because, by our definition, Yuppies consume, they do not contribute to the larger culture. http://www.artinruins.com/about/ Associazione Aree Urbane Dimesse For years albums of travel photos have occupied a shelf in my California home, unused save infrequent attempts to amuse family and friends with a tedious slide show. Now, thanks to the internet, I can attempt to amuse you. It's vain to think that you would have any interest in my photos of the places I 've been, but vanity is the only excuse I offer. I like my photographs. After all the effort it's comforting to know they are available to others - much more comforting than the thought that, left on the shelf, they may become just another heirloom destined for the trash. http://www.audis.it/index.htm


Associazione Assi L'ASSI è un organismo di ricerca sorto per coordinare le attività di un gruppo di studiosi, di varia estrazione e formazione disciplinare, accomunati dall'interesse per la storia e l'analisi diacronica dell'impresa. La sua area di riferimento preminente è quella della business history, con un'attenzione specifica rivolta a tutte le dimensioni dell'agire d'impresa (dalle strategie alle strutture manageriali, fino alle dinamiche di mercato, dalle relazioni industriali ai modelli culturali). L'impegno maggiore dell'ASSI è posto nella realizzazione di cicli seminariali e di convegni internazionali di studi, oltre che nell'attività editoriale svolta sia attraverso pubblicazioni periodiche (gli "Annali di storia dell'impresa" e "Imprese e storia") sia attraverso volumi monografici. http://www.associazioneassi.it/User/index.php Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale L'Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI), la sola operante in quest'ambito a livello nazionale, è stata fondata nel 1997 da un gruppo di specialisti del patrimonio industriale e da alcune tra le più importanti istituzioni del settore nel Paese. L'Associazione conta oggi oltre 300 soci attivi nelle sezioni regionali presenti in tutto il Paese ed interagisce proficuamente con università, centri di ricerca, fondazioni, musei, organi centrali e periferici dello Stato. http://www.patrimonioindustriale.it/ Asvaip. Associazione per lo Studio e la valorizzazione dell’Archeologia Industriale Pratese. Il 21 gennaio 2004 si è ufficialmente costituita l’Associazione per lo Studio e Valorizzazione dell’Archeologia Industriale Pratese (ASVAIP). L’obbiettivo principale di questa associazione è appunto quello della valorizzazione del patrimonio industriale, da un livello di carattere squisitamente culturale ad uno più operativo, volendosi porre come punto di riferimento per gli operatori del settore e proprietari e al contempo come cerniera tra quest’ultimi ed enti e amministrazioni. L’ambizioso programma è quello di trovare sinergie tra valenze culturali ed economiche, ovvero attraverso la “conoscenza” elevare i vari siti a “patrimonio culturale”, in modo da riscattarne il crescente oblio e degrado, rovesciando così l’attuale processo facendoli divenire da problema a vera e propria risorsa. Si tratta quindi di valorizzare l’enorme patrimonio esistente in tutta la provincia pratese, con una particolare attenzione alla Val del Bisenzio ove queste emergenze del territorio sono ancora integre ma in gran parte sconosciute, per farlo


divenire risorsa essenziale nei processi di governo del territorio, in linea con i principi di sostenibilità. Il riscatto dalla possibile distruzione di questi siti potrebbe quindi fornire da una parte risposte a problematiche attuali e dall’altra far recuperare la memoria di quell’identità storica su cui il territorio pratese è fondato, affinché la si possa trasmettere alle prossime generazioni che altrimenti ne verrebbero private. Ma l’altro elemento di forte novità di questa associazione è il coinvolgimento diretto dei proprietari degli stessi siti storici che s’intende valorizzare, ovvero gli attori principali nei processi di trasformazione, e che per primi sono convinti che tra l’abbandono e la completa cancellazione esista una terza strada culturalmente ed economicamente percorribile. http://asvaip.it/?page=home Bane The clicks in this web-site are about my research in abandoned places, forgotten by everyone. Inside there are tracks of people who worked or lived there, where time seemed to stop. My wish to dicover bring me to know what is hidden behind a rotten wall. Through my photos I tried to give new life at something which died many years ago. You can feel an atmosphere which bring you back in the past into old memories. http://www.ban3.it/ Bernd and Hilla Becher Vernacular industrialized architecture has been the sole subject of Bernd and Hilla Becher's work for some forty years. Their vast photographic inventory now ranges geographically from western Europe through North America and taxonomically across an enormous array of heterogeneous building types, many verging on obsolescence—mine shafts, lime kilns, silos, cooling towers, blast furnaces, tipples, gasometers—all classified by reference to function. The initial impetus that led the young Bernd Becher to begin photographing such subjects in the late 1950s was purely practical: he wanted to use his recordings as raw material for the paintings he was then making in a Neue Sachlichkeit style. In those same years Hilla Becher, née Wobeser, apprenticed and briefly worked in a professional advertising studio, where she developed a passion for photographing technical and mechanistic subjects. Once husband and wife started working together, in 1957, they assumed identical roles: tasks are not separately assigned to one or the other; both are involved in scouting sites, negotiating with the owners and other authorities, setting up the cameras, and printing. The


art they have produced does not fall within conventional categories of documentary photography, though it has many affiliations with that long-standing tradition. The disciplined ethic with which this dedicated German couple defined, then refined, their project of recording for posterity the increasingly neglected relics of the industrial era, with its domestic offshoots, has yielded not just an aesthetic but a vision. From their earliest publication, titled tellingly Anonyme Skulpturen: Eine Typologie technischer Bauten (Anonymous Sculpture: A Typology of Technical Buildings), 1970, the Bechers' work has circulated within the realm of contemporary art practice and discourse. Certain features of their art, the hallmark of which is, in Charles Wright's felicitous phrase, "a controlled beauty," make this positioning particularly apt—though the Bechers themselves do not regard the issue as of great import.1 Typically, their works present each industrial motif in what soon evolved into a rigorous, disciplined signature manner whose focus is an exploration of the relation between the subject's function and the resulting photographic representation. Isolated, centered, and frontally framed, each motif is shot in as objective a manner as possible. The combination of large-format cameras and finely grained black-and-white film ensures a remarkable tonal range in each print. By working only under slightly overcast skies and early in the morning during the seasons of spring and fall, the Bechers are ensured of an even, diffuse light with minimal shadows, a lambent ambience that enhances their intensive focus on the motif, which is revealed in crystalline detail, grounded in a formal factual clarity. All anecdotal incident, such as intrusive foliage, stray animals, and humans, is sedulously avoided: nothing disturbs the systematic ascetic neutrality. Tellingly, the vantage point tends to be subtly elevated. "Looking at an object from a point half way up it [causes] it to appear before you in its full reach and free of distortion," they explain.2 The raised camera position also causes the horizon to appear to recede, the surroundings to become more panoramic, and the object to stand forth prominently so that, while clearly related to its environment, it simultaneously appears somewhat removed, apart, an effect enhanced by the expansive neutral skies. The results evidence a brilliant understanding of scale relations—of how a vast structure can be made to fit a small-sized pictorial format—without rhetoric or expressive distortion. By the mid-1960s the Bechers had also settled on a preferred presentational mode: the grid. Groupings of prints, each print measuring sixteen by twelve inches or smaller, either framed discretely or encased within a single large frame, facilitate direct, immediate comparison between motifs, which are arrayed without hierarchy, according to type, function, and/or material. Juxtaposition permits industrial structures that at first might appear prevailingly similar, even uniform, to register as significantly different one from another. Given that most viewers know little about the economic, engineering, and functional requirements that determine the generic forms and characters of these structures, com-


parison of the several components in any of these multipartite works operates primarily at a formal level—that is, in an aesthetic dimension. Differences and similarities among related motifs consequently appear as variations on an ideal form, given that the structures are family members from the same species. Specific subjects are interpreted as anonymous plastic forms—as anonymous sculpture. In 1989–91, for an exhibition at Dia in New York, the Bechers introduced a second format into their oeuvre: single images that are larger in size—twenty-four by twenty inches—and presented individually rather than as gridded tableaux. Several galleries within this extensive exhibition were devoted to a specific subject, a strategy that allowed new typologies to cohere. This presentational strategy was heralded in part by a series of finely printed publications that they had begun to produce, beginning with Framework Houses, in 1977. This was soon followed by, among others, Water Towers (1988), Blast Furnaces (1990), and Pennsylvania Coal Mine Tipples (1991), the latter timed to mark the Dia show. Devoted to one kind of industrialized plant, this ongoing series of books constitutes a type-by-type corpus documenting a rapidly dying industrial age. The brief texts that the artists wrote to accompany the first books in the series provided information on the genesis of the various typologies, offering a historical positioning that corresponded to the inclusion, in the captions, of the date on which each building was constructed together with the year in which the photograph was taken. In more recent publications this approach has been superseded by accounts that concentrate on how the plants function, an approach paralleled by the elimination of the plants' dates from the captions. Taken together, these decisions further abstract the subjects from their sociohistorical ambience in favor of a concentration on the typological relation of the individual instance to the generic, of the single member to the species or class. For Dia:Beacon the Bechers ring further changes on their presentational modalities by capitalizing on the fact that the gallery they selected for their work is divided into two equal parts. All the photographs in one half of the space are partial views, which are relatively unusual in their oeuvre. Some of these are sequenced by type into small subsets. For example, three of the Winding Towers are installed on one wall; the Blast Furnaces hang on another. A diptych—a format they rarely employ—occupies one of the two short walls that bisect the gallery. Most of these images, which have seldom been exhibited, were recorded in the late 1980s and early 1990s, reflecting a subtle shift of focus in their work. The one "vintage" image, from 1968, is formally no different, testimony both to the roots of this reorientation in certain early forays and to the remarkable consistency and cohesion of their methodology and aesthetic.


The other half of the gallery is devoted to Aggregates, that is, to details of large-scale machinery, pipes, conduits, and metallic containers that belong to a diverse range of plants. A suite of eight lime kilns, vessels of one of the oldest and most commonplace processes long proceeding the onset of the industrial age, and hence frequently found in their archive, are counterpointed by images of plants that involve what are, for them, unusually contemporary procedures and proces-ses窶馬otably, Styrofoam and petrochemical production. Tracing the history of a rapidly declining industrial era many of whose older technical processes and functions are now defunct, and of individual buildings decaying or threatened with destruction, is an important impulse in the Bechers' practice. Well aware of the fine-art and commercial portrayal of industry by previous specialists and by trade photographers alike, they have gradually assembled a second archive to probe and survey the recording of this thematic from other perspectives. Primarily heuristic in function, the counterarchive both expands and focuses their knowledge of their subject matter. In contrast to those predecessors whose work constitutes a traditional industrial archaeology, a particular level of self-conscious awareness and reflexivity defines and distinguishes their enterprise. While foregrounding the urgency of their archival mission, the Bechers also stress their concern for canonical documentary procedures, such as ensuring the legibility of the image: "The photographs should always show all the details and the textures of the materials," they insist,3 adding that they let "the forms speak for themselves and become readable," that they refuse "to hide or exaggerate or depict anything in an untrue fashion."4 Viewed in this light, their work may be placed in a lineage stemming from such early modernist luminaries as Eugティne Atget and August Sander, rather than in relation to artisanal modes of the kind that subtend industrial archaeology. Sander sought to classify into a pictorial catalogue, in a "style devoid of style," the professional and social types that made up modern Germany. The resonant formal uniformity of his lifelong project Menschen des 20. Jahrhunderts (Man in the Twentieth Century) exceeds the strictly documentary, becoming a cornerstone in the history of twentieth-century modernism. The Bechers are today the foremost exponents of that revered legacy. They are nonetheless fully attuned to the contemporaneous practices of many fellow artists who, in the 1960s, began to use the camera as a convenient tool for recording and documenting. Notable among these artists were Robert Smithson, whom they assisted when he arrived in the Ruhr district in 1968 to explore the demise of the industrial era from a very different perspective, and Hanne Darboven, whose project engaging collective cultural memory, Kulturgeschichte


1880–1983 (Cultural History 1880–1983), 1980–83, shares certain impulses, methodologies, and techniques with the Bechers. Other parallels may be drawn with such artists as Sol LeWitt, Donald Judd, Carl Andre, and Ed Ruscha (with his deadpan early book projects), who based their compositional and structural modalities on seriality and permutation. In addition, Judd and many of his peers shared the Bechers' appreciation for and knowledge of anonymous industrial structures, vernacular building types, and early modern as well as contemporary engineering.5 These affinities and confluences generated the discursive context for the initial reception of their work, one that subsumed archaeological, sociological, and strictly photography-based critiques into a late modernist agenda centered in formal, structural, and serial procedures. Highly influential as teachers, the Bechers have in turn shaped another generation of artists both orthodox and aberrant, notable among them Thomas Struth, Candida Höfer, and Thomas Ruff, their former students from the Kunstakademie Düsseldorf. Notes 1. Charles Wright, "Foreword," in Bernd and Hilla Becher, Pennsylvania Coal Mine Tipples (New York: Dia Center for the Arts, 1991), n.p. "The question if this is a work of [fine] art or not is not very interesting for us," Hilla Becher has stated on a number of occasions. See, for example, Carl Andre, "A Note on Bernhard and Hilla Becher," Artforum 11, no. 5 (December 1972), p. 59. 2. Bernd and Hilla Becher, quoted in "Interview mit Bernd und Hilla Becher," in Bernd und Hilla Becher (Munich: WB Verlag, 1989), p. 14. 3. Bernd and Hilla Becher, quoted in Angela Grauerholz and Anne Ramsden, "Photographing Industrial Architecture: An Interview with Bernd and Hilla Becher," Parachute 22 (Spring 1981), p. 15. 4. Ibid., p. 18. 5. Donald Judd's review of the 1964 exhibition "Twentieth Century Engineering" at the Museum of Modern Art, New York, is telling here. See Judd, "Month in Review," Arts Magazine 39, no. 1 (October 1964), reprinted in Donald Judd: Complete Writings 1959–1975 (Halifax: The Press of Nova Scotia College of Art and Design, and New York: New York University Press, 1975), pp. 136–39.


Essay by Lynne Cooke http://www.diacenter.org/exhibs_b/becher/ Blue Tea Almost, but not quite, entirely unrelated to tea. http://bluewyverntea.blogspot.com/ Bryan Papciak & Jeff Sias An experimental, feature-length filmic journey through the rapidly vanishing relics and ruins of Abandoned America. http://www.americanruins.com/ Buffalo Urban Exploration http://buffaloexploration.com/ Carcoke The last complete and historically valuable coke plant in Flanders is Located in the inner harbour of Zeebrugge. The Flemish government 'inherited' the site from the former Cockerill-Sambre Company. OVAM, the Public Waste Agency of Flanders has receivd control of the site, with the purpose to clean it up and to convert it into new industrial area. Although many techniques do exist to conciliate conservation of the unique buildings with the cleaning up of the soil, conservation of any trace of the histry and heritage is not taken into consideration. OVAM plans to demolish all the buildings and to destroy all its fixtures and fittings. The Flemish Association for Industrial Archaeology ( Vlaamse Vereniging voor IndustriĂŤle Archeologie ), the overall oranisation of private and volunteer industrial heritage organisations in Flanders, does vigorously protest against these destruction plans and has formed a platform of individuals and associations to resist the plans of OVAM. The VVIA has also asked the lgal protection of the site under the Flemish monument protection act. http://www.carcoke.be/


Carmen’s Castle Beyond urban exploration photography http://www.carmenscastle.be/ Centro per la cultura d’impresa Associazione sorta presso la Camera di commercio di Milano nell’ottobre 1991 allo scopo di promuovere: * la tutela e la valorizzazione del patrimonio documentale dei propri associati * la cultura d'impresa attraverso l'acquisizione, la tutela diretta e la valorizzazione delle fonti documentali storiche e contemporanee prodotte dalle imprese e dagli altri soggetti economici * la costituzione di archivi economici territoriali e di musei d'impresain collaborazione con le istituzioni locali e con il sistema di rappresentanza degli interessi * la formazione di operatori culturali in grado di intervenire sul patrimonio documentale delle imprese assicurandone la tutela e la valorizzazione * la pubblicazione dei risultati della propria attività Il Centro è un’associazione no-profit di diritto privato riconosciuta dal Ministero per i beni e le attività culturali con decreto del 5 novembre 1997 n.258. L'attività di collaborazione con il Ministero è regolata da una convenzione stipulata con la Direzione generale per gli archivi che consente al Centro di operare in stretto raccordo con le locali Soprintendenze archivistiche. Inoltre, al fine di perseguire le proprie finalità istituzionali, il Centro ha stipulato convenzioni con l’Università degli studi di Milano, con il Politecnico di Milano, con la Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) e con l'Università degli studi di Urbino. Il Centro per la cultura d’impresa ha certificato il proprio Sistema di Gestione per la Qualità in conformità alla norma ISO 9001:2000 a partire dal gennaio 2004 per tutti i settori d’attività. http://www.culturadimpresa.org/ Centro Studi Politici e Sociali F.M: Malfatti Terni archeologia industriale http://www.archeologiaindustriale.org/


Centro Studi sull’Impresa e sul Patrimonio Industriale Scopo del Centro (Vi) è la promozione e lo svolgimento di studi e di ricerche pluridisciplinari sulla storia, la cultura e le realizzazioni imprenditoriali nell'industria, nell'artigianato, nella finanza, nel commercio e nell'agricoltura. http://www.studimpresa.vi.it/ Chris Smart Sito personale http://cydonian.com Christian Brünig Foto- Galerie Industrie- und Kulturlandschaften http://www.christian-bruenig.de/ Coal Mining in the Netherlands This website provides a detailed historic overview of the former coal mines that dominated the South Limburg area in the Netherlands from the beginning of the 20th century to the midst of the 1970's .The mining area was located in the south of the Netherlands, bordering Germany and Belgium. http://www.citg.tudelft.nl/live/pagina.jsp?id=f15cfa0f-f1fc-4b4c-a2e1-c65c75208047&lang=en Christoph Lingg SHUT DOWN - Industrial Ruins in the East http://www.christophlingg.com/ Crace CRACE - Centro Ricerche Ambiente Cultura Economia è una società cooperativa costituitasi nel 1998 per iniziativa di professionisti operanti nel campo della tutela, valorizzazione e promozione di beni culturali, della ricerca storica, economica e ambientale, dell’archivistica e documentalistica, dell’editoria e della comunicazione. Essa si occupa particolarmente di: * redazione di progetti museali riguardanti i beni demo-etnografici, archeologico-industriali e ambientali;


* progetti di fattibilità riguardanti sistemi museali e itinerari turistici; * redazione di itinerari tematici e territoriali; * progettazione di corsi di formazione professionale, qualificazione e aggiornamento nel settore dei beni culturali; * editoria, comunicazione e divulgazione culturale. http://www.crace.it/ Chris Jordan Intolerable Beauty: Portraits of American Mass Consumption Exploring around our country’s shipping ports and industrial yards, where the accumulated detritus of our consumption is exposed to view like eroded layers in the Grand Canyon, I find evidence of a slow-motion apocalypse in progress. I am appalled by these scenes, and yet also drawn into them with awe and fascination. The immense scale of our consumption can appear desolate, macabre, oddly comical and ironic, and even darkly beautiful; for me its consistent feature is a staggering complexity. The pervasiveness of our consumerism holds a seductive kind of mob mentality. Collectively we are committing a vast and unsustainable act of taking, but we each are anonymous and no one is in charge or accountable for the consequences. I fear that in this process we are doing irreparable harm to our planet and to our individual spirits. As an American consumer myself, I am in no position to finger wag; but I do know that when we reflect on a difficult question in the absence of an answer, our attention can turn inward, and in that space may exist the possibility of some evolution of thought or action. So my hope is that these photographs can serve as portals to a kind of cultural selfinquiry. It may not be the most comfortable terrain, but I have heard it said that in risking self-awareness, at least we know that we are awake. http://www.chrisjordan.com/ Culture e Impresa Rivista on-line http://www.cultureimpresa.it/ Dark Oassage A New York-based organization providing blind archaeologist with the finest quality flashlights


http://darkpassage.com Derelict London This site is obviously not taken to illustrate London at its most beautiful or most successful. The name derelict London is a memorable name for a website though not everything within this site is of derelict areas and everyone has their own definition of derelict......99% of these pictures were taken by myself (mainly within the last 3 years) during many miles of walkabouts around the great capital. After years of travelling via car or public transport I realised just how littleI had seen of London. http://www.derelictlondon.com/ Detroit Yes Forums on Detroit http://www.detroityes.com/ Dezafekt Dezafekt is about disused places in, around, and under urban areas, mostly around Paris and the suburbs. The pictures are the result of several urban explorations and night trips with friends http://dezafekt.free.fr/introeng.html Disused Structures Remains of civilization http://www.disused-structures.tk/ Dubtown Industriekultur http://www.dubtown.de/ Dylan Trigg Dylan Trigg is a doctoral student and associate tutor at the University of Sussex. He has published on space and place,


continental philosophy, and aesthetics. His interests includes: the philosophy of architecture (in particular the phenomenology of space and place, place and memory, and the aesthetics of urban ruins); phenomenology (in particular Bachelard, Husserl, Merleau-Ponty, and Heidegger); and the ethical and epistemological limits of representing trauma. Trigg is the author of The Aesthetics of Decay: Nothingness, Nostalgia and the Absence of Reason (New York: Peter Lang, 2006) He has been a visiting scholar at Duquesne University and a guest lecturer at the University of Montana. http://www.dylantrigg.com/ Edifici abbandonati Le idee che le rovine destano in me sono grandi. Tutto si annienta,tutto perisce, tutto passa. Il mondo soltanto resta. Il tempo soltanto dura. Denis Diderot http://www.edificiabbandonati.com/ European Route of Industrial Heritage Europe’s industrial heritage. Where was the first ever factory on Earth? Where was the largest steam engine built? And where can you find the most up-to-date colliery of its time? Industrialisation changed the face of Europe. Consequently it has left us a rich industrial heritage. A gigantic network of sites spread all over the continent. It only has to be brought back to life. That is what the European Route of Industrial Heritage (ERIH) is doing. Come with us on an exciting journey of discovery along the milestones of European industrial history. http://en.erih.net/ Euthanasia Abandoned, industrial, unfinished, different http://design.mykurkino.ru/euth/index.php


Exposed Photography This website started out more dedicated to abandoned factories, mines etc... but my interest shifted to other subjects and these were put gradually online. http://www.exposed-photography.com/ Fondazione Edison La Fondazione Edison ha lo scopo di sostenere e svolgere iniziative nel campo della cultura e della ricerca scientifica per favorire la conoscenza e lo studio degli aspetti socioeconomici, culturali e civili che riguardano i sistemi produttivi locali e i distretti, ivi incluse le connesse problematiche relative alla formazione, alla ricerca e all'innovazione. Particolare attenzione è posta ai rapporti tra piccole-medie imprese e grandi imprese, tra comunità e sviluppo del territorio e ai temi delle infrastrutture e dei servizi alla società civile, anche in relazione ai fenomeni di internazionalizzazione. Queste tematiche sono fondamentali in Italia per la competitività industriale, per la tenuta dell'occupazione e per il saldo della bilancia commerciale cui i distretti di piccole e medie imprese contribuiscono in modo determinante. La Fondazione promuove studi, ricerche, pubblicazioni, manifestazioni, sia autonomamente sia in collaborazione con enti e istituti di ricerca, con fondazioni, associazioni, imprese e singoli cittadini, sia infine concedendo il patrocinio ad iniziative coerenti con i suoi scopi statutari. http://www.fondazioneedison.it/home.html Fondazione Luigi Micheletti Fondazione Biblioteca Archivio Luigi Micheletti http://www.fondazionemicheletti.it/ Forbidden places Urban exploration http://www.forbidden-places.net/ Forgotten Detroit Detroit is known for one of the most stunning collections of pre-depression architecture in the world. The past two decades have seen several of these treasures sit vacant, waiting for economic revival. On these pages you will find informa-


tion about the past, present, and future situations of a few of these landmarks. It is my hope that this information helps you gain an appreciation for the importance of both the history and continued survival of these buildings. http://www.forgottendetroit.com/ Friched Urban & Industrial Archeology http://striped.online.fr/friched/index.html Ghosttownpix This website is dedicated to all those forgotten communities which, whether due to lousy planning, impossible dreams or rotten luck, just didn't make it. http://www.ghosttownpix.com/ GLIAS Greater London industrial archaeology society The Greater London Industrial Archaeology Society (GLIAS) was founded in 1968 to record relics of London's industrial history and to deposit these records with national and local museums, archives, etc; also to advise local authorities and others on the restoration and preservation of historic industrial buildings and machinery. http://www.glias.org.uk/ Gost Towns http://www.ghosttowns.com/ Hours of darkness Night photography Hours of Darkness - Night Photography Hours of Darkness is a constantly expanding online gallery of night / low light photography. Featuring color and black & white photos. The images were created using film and digital cameras. Night photos of various subjects from Architectural, Industrial, Landscape, Nautical, Transportation, and Travel to Abandoned Asylums and Modern Ruins are


displayed here. This site is a trip through our nocturnal world where the stars streak across sky and the clouds dance like apparitions. Where the moon baths darkened landscape with its silvery light, all to be captured by a long exposure creating extraordinary images. The Artists We are self taught photographer based in New York. Night Photography is our primary form of expression. Over the past several years we have attempted to master our technique constantly trying to improve upon the photos we display. We are always trying something new, something out of the ordinary to keep audience intrigued . Why Night Photography? There is just something that draws us out into the darkness. Perhaps it's just the feeling you get on a night where the thermometer doesn't go past 7 degrees Maybe it's that night photography requires more of a commitment one must linger around one location for 3 hours or more just to get one good shot. Whatever it is, we find ourselves out under the full moon with cameras in hand. http://www.hoursofdarkness.com/ Hudson Valley Ruins HUDSON VALLEY RUINS is an online photo essay and travelogue devoted to historic sites in New York's Hudson River Valley that are threatened by neglect. http://www.hudsonvalleyruins.org/rinaldi/PAGES/HVR-MAIN.htm ICSIM Istituto per la Cultura e la Storia d’Impresa “Franco Momigliano” http://www.icsim.it/index.HTM Industrial ruins of Detroit Navigating the Fabulous Ruins http://detroityes.com/toc.htm


IndustrieKultur Fotografie Industrial Heritage 2007-12-27 http://www.industriekultur-fotografie.de/index.php?newlang=english Industriedenkmal Sito personale. http://www.industriedenkmal.de/ Infiltration The zine about going places you’renon supposed to go http://www.infiltration.org/ Jonathan Fritz As it relates to industrial archaeology, I typically take 2-3 trips a year out of state to photograph a few abandoned industrial facilities. Between those trips I ocassionally visit a site or two in Florida as well. My next out of state trip will be at the end of March. Categories are displayed in the frame above. http://www.zahkunst.net/ Jundl Sito personale. http://www.jundl.com Kendall Anderson Photography Projects Each gallery below contains a series of photos presented as photo essays in an attempt to document these locations which may not be around much longer. Typically these are abandoned buildings, industrial sites, derelict structures and other places we've forgotten or ignored over time. http://invisiblethreads.com/potd/index.php


Kirkbride buildings Once state-of-the-art mental healthcare facilities, Kirkbride buildings have long been relics of an obsolete therapeutic method known as Moral Treatment. These massive structures were conceived as ideal sanctuaries for the mentally ill in the latter half of the nineteenth century. Careful attention was given to every detail of their design in order to promote a healthy environment and to convey a sense of respectable decorum. Placed in secluded areas within expansive grounds, many seemed almost palace-like from the outside. But growing populations and insufficient funding led to unfortunate conditions that spoiled their idealistic promise. Within decades of their first conception, new treatment methods and hospital design concepts emerged and the Kirkbride design was eventually discarded. Many existing Kirkbride buildings maintained a central place in the institutions which began within their walls, but by the end of the twentieth century many had been abandoned; several had been destroyed. Although a few have managed to survive into the twenty-first century intact and still in use, many that survive sit abandoned and decaying—their mysterious grandeur intensified by their derelict condition. http://www.kirkbridebuildings.com/ Klaus Lipinski Industriekultur und tote Technik http://www.lipinski.de/ Kohlenpott.org Industriephotographie http://www.kohlenpott.org Lab-Wan Luc Van Den Bosh http://users.pandora.be/lab-wan/index.htm London’s industrial heritage By Peter Marshall http://www.cix.co.uk/~petermarshall/


Lost&least “Il suo è un occhio senza palpebre che osserva, indaga, scruta, senza remore, senza pietà. E nella consunzione degli oggetti, nella loro ostinata persistenza, come nella loro fragile fugacità, scova il loro volto più autentico e segreto. Il volto segreto: è più facile che questo si manifesti quando le luci incalzanti del balletto mondano si sono spente, quando le maschere dell’attimo sono cadute, spazzate via dalla volontà di cancellazione senza scrupoli del tempo.” http://www.lost-least.it/ Marco Mauri Sito personale. http://www.adras.it/ Modern Ruins Photographic Essays I have always had an interest in archaeology and anthropology. On a whim, after taking a college anthropology course, I took a driving trip to New Mexico to "join a dig". Where or what I was going to dig I didn't know. I had visions of joining an excavation to dig for Anasazi pot shards at one of the ancient canyon dwellings, so I went with full intent to spend some weeks or months in this noble occupation. I drove an old buick, in which the heat was stuck on high, from New England down to the south west where it was warm all winter, right? Pulling into Santa Fe during a blinding white out, and kicking the frozen hard ground I discovered the error in my ways. I wouldn't be doing much digging in this. I also like travel, I had traveled to Europe and North Africa between high school and college (a longer than normal interval for me), so I had a taste for other cultures and the architecture and ruins I might find there. After traipsing through catacombs, temples and pyramids I had more questions than I did when I started out. My interest in these subjects morphed into the modern ruins project, not in any direct way, but looking back at how these things came together I can see that it was closely linked to my fidgety travel legs and other interests that had caught my attention. Given a chance I would surely still be making my way around the globe visiting more and more obscure relics of the past, but I was destined to stay closer to home and explore what I could find near at hand, which turned out to be a very rich place to look. I'm also interested in human culture, what we do, where we have been, what we have left behind. Ruins are a window


into human histories, they tell the tales of the past through the architecture and objects left behind. Memories are inscribed on the walls and in the discarded objects; the silent rooms and dust covered furniture recall moments when these places were occupied. Ruins are the containers of events played out, still vibrant and surprisingly alive with the memories of the past. These places are true museums, preserving the past in its unpolished and raw form. The aging surfaces bear the etched marks of former times, memories from the past pulse from the walls. There is a layered meaning in these places, random pieces of a historic and social puzzle are clumped together, confused by years of decay, these ruins are an archaeology of our culture, they reveal unexpected artifacts of a past that seems distant and foreign. Archived in these ruins are the collective memories of a changed culture, the forgotten pieces of the past being preserved as in a time capsule. Modern ruins exist in the fringe landscapes of our cities, places that were once hardwired to the center of the social and industrial infrastructure, now they have become faded shadows hidden behind cyclone fences on the outskirts, along old canals and abandon rail lines. They map an old system of industrial landscapes now encroached upon by office parks, expanding suburban sprawl and industrial enclaves. Hidden in these ruins are myriad rich stories, tales piled, stacked and horded; old collapsing heaps with fragments of stories, subtle and personal at times, told in the cryptic language of empty silent rooms, old machinery, unexpected objects and personal details. Nature is reclaiming these landscapes; the cracked peeling warped shapes are yielding to the sun, wind, water and sea, ironically these old industrial sites have become havens for wildlife in the fastly encroaching suburban landscape. When first visiting ruins I realized that these abandon buildings had an interest and meaning that went beyond the original design intent, that in fact they had become something quite different; the original function had become lost with time and disuse and there had been a transformation over time from a utilitarian structure to one that was void of function. The architectural meanings and interpretations had become skewed, a language that was new and cryptic had emerged. These rooms, buildings and landscapes housed memories of a past in empty silent spaces and relinquished the present to entropy and decay. These places no longer provided shelter. Time was not measured by the rhythms of occupants any longer, but by the peeling of paint, rusting of metal and the crumbling of brick. The slow deterioration and decay made it less like architecture and more a space evoking images of its past, a memory of architecture and inhabitant with its language coming from subtle clues from the past, scrawls on the wall, well worn surfaces; suggestions


of past residents mingling with its highly emotive state of decay. This series of photographic essays is an ongoing project I have been working on since my architectural and industrial design studies during the mid 1980’s. My initial interest in ruins and industrial sites started when I was working at a shipyard on the Mississippi river in New Orleans, I worked on a 18,000 ton dry-dock where we would float oil tankers and cargo ships up out of the brown muddy waters. When out of the water those ships looked like strange massive stranded whales caught on the beach at low tide. I would take photographs at sunset when the warm hazy light was revealing the textures of barnacles, rust and peeling paint on the ships massive underbelly. Since school I have done a lot of traveling to visit some of the great ruins of the world including the Great pyramids of Giza, the Parthenon in Athens, the Mayan ruins of Central America, the great ruined city of Pagan in Burma and others. My main focus however has been to spend time exploring local ruins found in the abandon fringe areas of cities and towns. In many respects the local ruins are more interesting to me, I can understand the history of these places and can read more of the story in these old sites than I can in a thousand year old stone structure whose culture I know much less about. These local ruins tell a history that is quite unique to each one, the fact that most of the ruins I photograph are relatively recent allow them to tell a story that is more poignant, there are more artifacts surviving to give evidence of its past. These places are in many ways like a archaeological site. Part of my goal is to uncover the stories the old hulks tell, and discover what histories are written in the flotsam that is left after the structure is abandon. The architecture remembers much about its own history, there are many stories written in the old boards and bricks and stones and details that can be coaxed out with the camera. Some of our cultural prejudices effect the way we see some of these ruins, the Insane Asylum project is a good example. The architecture is heavily loaded with what the viewer imagines the history of this place might have been. The architecture becomes charged with our own perceptions of what a asylum is and what we have been taught or heard about asylums through books, movies and stories. We imagine what it was like to be there when patients were there and what kinds of suffering or healing may have occurred in those halls, rooms and cells. The psychological impact of architectural spaces is an area that interests me, I try to explore the levels of meaning that are attached to a shared cultural memory, architecture and intimate-public space.


I look for places that have an interesting history behind them, whether it is an insane asylum or a girls orphanage or a abandon Carnegie steel mill. These places have had a profound impact on people’s lives in the past. I look for places that will evoke images and personal meaning to people looking at the photographs. Places, like an insane asylum, that people have heard about but would never dare step foot into themselves but are really curious about. These places have histories behind them, some rather sinister, some quite positive and I try to focus my images on details that tell personal stories about the past of a place. Details like scratches on the cell wall of an insane asylum or a wrench that has been sitting in the same place on a wooden tugboat where it was set down 40 years ago. Photographing these sites is a wonderful experience because of the possibilities of form, light, shadow, texture, content and history. Objects found within these old places are similar to the buildings, the old objects carry the weight of their history with them. They have become charged with the life that has surrounded them, they become symbols of the past and receptacles to contain memories. What once was an ordinary utilitarian object can become a powerful symbol of past events. There is a metamorphosis in the perception of what the object is, its symbolic value is increased, it has passed thru lives, unnoticed, but recording moments in time and bringing these moments into the present. Here is a language that speaks from a different time, it delivers a skewed message from a different era. Many people comment on how scary the places I photograph look and I find that interesting because I have never been really scared in the places I have been, even in the insane asylum alone in the dark black corridors of the basement. It seems that to feel the effects of a "haunted place" you really need to be removed from the place and let your imagination roam, then it can get scary. There are ghosts in these places, but they are ghosts of a different nature, images of lives and personalities emerge from the walls and bits and pieces of detritus left behind in these forgotten spaces. Shaun O'Boyle http://oboylephoto.com/ruins/index.htm Museimpresa Quando l’impresa diventa cultura L`impresa rappresenta uno dei principali agenti di progresso e di modernizzazione nella società contemporanea: genera innovazione e trasmette un insieme di segni materiali e di valori che sono a pieno titolo beni culturali; è espressione diretta di valenze etiche ed estetiche, paradigma di sviluppo sociale e culturale, di conoscenze e formazione.


L`Associazione Italiana Musei e Archivi d`Impresa intende sviluppare la consapevolezza del sistema imprenditoriale nazionale e internazionale su questi temi e incentivare un`aperta e libera cooperazione nello svolgimento di attività di ricerca, divulgazione, aggiornamento e dibattito sulla cultura d`impresa. http://www.museimpresa.com/ Mustard gas party Photographic essay http://b.f11.org/ Natura fluxus Natura Fluxus is a Master-of-Art project produced, directed, photographed and edited in spring 2005 by Peter Andersson and Lars Bosma, students of the program for Culture, Society and Media Production (KSM) at Linkoping University in Sweden. The project was supervised by Lisskulla Moltke-Hoff, lecturer at Linkoping University. Original music score composed by Peter Andersson, known from the dark-ambient-industrial music project raison d’être (on the record label Cold Meat Industry). http://naturafluxus.info/ New England Ruins Photography by Rob Dobi http://www.dobi.nu/photos/ New York underground The Anatomy of a City http://www.newyorkunderground.org/ Opacity Urban ruins. http://www.opacity.us/


Opuszczone Devoted to unusual and mysterious places in Poland this site is the brainchild of two men who set out to find and photograph these abandoned places like no one else before them. We invite you to visit our gallery and look through our photos - perhaps you will see the same hidden beauty in these places as we do. If you enjoy doing this kind of thing on your own, we encourage you to share your experiences and photos with us. [opuszczone means abandoned in Polish] http://www.opuszczone.com/index_en.php?s=home_en Panoramas/Exploration http://www.360icon.com/ Silent Wall http://www.silentwall.com/ Sleepycity Daily dose: It rocks my world http://sleepycity.net/ Society for industrial archeology The SIA is made up of over 1,800 members, world-wide, who have a strong interest in preserving, interpreting and documenting our industrial past and heritage. Whatever your profession or favorite pursuit, if you share our interest in the industrial past, we welcome you to join us. http://www.sia-web.org/ StahlArt Industrial and architectural photography http://www.hfinster.de/StahlArt/index.html


Stalker http://www.stalker-game.com/ Still-alive Marcello Modica http://www.st-al.com/ Sperzone http://www.sperrzone.net/web/sperrzone/sperrzone.nsf/ Tim Edensor - British Industrial Ruins In the past three decades of the 20th century, the Western world has witnessed massive industrial restructuring. New service and information technology industries have replaced the old heavy industries which saw countries such as Britain, workshop of the world and home of the industrial revolution, export its products worldwide. The buildings which house these new industries – the large retail sheds and factory units on new industrial estates – are replacing the often capacious stone and brick-built factories and warehouses which accommodated the assembly lines of mass production. These structures, nestling alongside railways and canals, are suddenly obsolete. Very often they are quickly demolished or converted into upmarket living spaces for the new middle classes, ironically the very personnel who work in the new cultural, service and information industries which are replacing the manufacturing production which was housed in the buildings in which they now live. However, across the old industrial nations, many old factories are evacuated and then left to decay. In the old industrial districts of cities and towns, derelict mills, foundries, engineering workshops and storage depots slowly crumble into disrepair. Especially in those urban areas which lack inward investment to demolish, replace or convert such buildings, these ruins linger, thwarting the attempts of city imagineers and marketers to create new visions that might help to sell their city to potential investors. Most studies of ruins have concentrated on the noble piles of classical antiquity, scenes of rural quaintness or the fake ruins installed in English country estates. Yet the 20th century has produced more ruins than ever before, whether through warfare or as a remorseless, short term-oriented capitalism turns solid things and places into air, rendering the contents and activities housed within industrial buildings instantaneously obsolete. In Britain, at the end of the


1970’s and through the eighties, the government of Margaret Thatcher allowed ‘market forces’ full reign, promoting an orgy of real estate speculation which produced a reconstructed industrial landscape. But not everywhere was able to capitalise on this economic reconstruction and in many areas, as old industries died, the buildings that housed them lay dormant and empty. This process persists and the material legacy of the industrial revolution, in the form of ruins, can still be found in most British cities. These ruins are largely understood – especially by bureaucrats, city promoters and planners - as offensive to the character and aesthetics of the city. The sooner these scars on the landscape are demolished and swept away, effaced in the name of civic order, the better. They are matter out of place, a continuing rebuke to attempts to render urban space productive, smooth and regular. Imagined as sites of urban disorder, dens into which deviant characters – drug-users, gang-members, vandals and the homeless – are drawn, the imperative is to extinguish their decaying features from the urban backdrop. This website is dedicated to putting forward a different view. The following pages feature photographs and text which attempt to provoke a different assessment of these ruined spaces, and stimulate a critique of certain contemporary social and cultural processes. As spaces by the side of the road, ruins can be explored for effects that talk back to the quest to create an impossibly seamless urban fabric, to the uses to which history and heritage are put, to the extensive over-commodification of places and things, to middle-class aesthetics, and to broader tendencies to fix meanings in the service of power. http://www.sci-eng.mmu.ac.uk/british_industrial_ruins/ The Association for Industrial Archaeology A Major Change in Human Evolution. The phrase "industrial archaeology" is 50 years old. Technology? Social relations? The world since the industrial revolution, or industry since the first stone tool? Read how Michael Nevell considers the nature of an increasingly popular branch of archaeology. Britain was the first industrial nation. For the last two centuries industry has had a major influence on the society, environment and landscape in which we live. The AIA is the national organisation for people who share an interest in Britain's industrial past. It brings together people who are researching, recording, preserving and presenting the great variety of this country's industrial heritage. Industrial architecture, mineral extraction, heritage-based tourism, power technology, adaptive re-use of industrial


buildings and transport history are just some of the themes being investigated by our members. http://www.industrial-archaeology.org.uk/ The derelict sensation Derelict spaces provide spaces to live, to explore, to experiment or to party. Sometimes we think of a particular building, sometimes a particular texture or mood. Thoughts about derelict buildings are connected to a particular moment in our lives, often during a time of change. Derelict spaces have a strange power and fascination. They stir up strong memories and cause us to question our sense of the permanence of the built environment that surrounds and shapes us, and our ideas about utility, market values and heritage. http://www.thederelictsensation.com/ Uer Urban Exploration Resource offers articles, photo galleries, stories, and an active forum for the Urban Exploration and Infiltration Community. Information for exploration, vadding and urban vadding, tunnel vadding, steam tunnels, spelunking, urban spelunking, underground tunnels and passages. Information about Canada, Toronto, Ontario, and many other countries. http://www.uer.ca/ Underground exploration Patrimoine industriel, civil, souterrain et religieux [valorisation par la photographie d'architectures mĂŠconnues] http://tchorski.morkitu.org/2/3202-fr.htm Underground Ozarks Underground Ozarks, a site all about urban exploration in the Ozarks area. You'll find information and pictures of abandoned places, sewers and drains, ghost towns, and more. http://www.undergroundozarks.com/index.html


Urbandecay http://www.amelieriis.co.uk/ Urban Exploration uk Hidden throughout the UK and the rest of the world are abandoned buildings. Most people ignore them as they are not something that bothers them. However some people don't ignore them and they are called Urban Explorers. I have been exploring most of my life but have only recently started to take a camera with me. I hope you enjoy my site and my photos. I shall be adding to the site on a regular basis. http://www.guerillaphotography.fotopic.net/ Urban Explorers http://www.urbanexplorers.net/ Urbanexplorers By Geert Donker and Ernst Naezer http://www.urbanexplorers.nl/ Urbanized Urbanized is a collection of urban ruins photography by Robert Stephens http://www.urbanized.us/ Urbex uk Thi site is about the infiltration of derelict structures in uk. http://www.simoncornwell.com/urbex/ Uryevich I'm Uryevich. From my really happy childhood I developed a liking for any rusty metal constructions, cement blocks and for the silence of the wind which walks through this. I like them because there is an infinite life that stays there throughout the years... Most abandoned buildings, plants and areas appeared in the Soviet Russia ('70-'80) because they belonged to the "sta-


te" (meaning nobody) and afterwards ('90) as a result of the economic crisis. But each place has its own story (in which I, to be honest, do not have much interest). I think we are all not indifferent to abandoned things. The Abandoned have some sort of a strong and complicated connection with our souls; some people get scared and try to escape their impressions, some fight with them and try to destroy or rebuild or just leave their own footprint on the abandoned site to prove that they're stronger than this world. And some do not try to do anything - they just look and listen to the Abandoned, enjoying those impressions, feeling the real meaning of time. I am one of them. http://www.abandoned.ru/ Vanshnookenraggen Notes on the urban environmeny. http://www.vanshnookenraggen.com/_index/ Werner Engelin http://users.telenet.be/wernerengelen/index.htm Witness By James Nachtwey "I have been a witness, and these pictures are my testimony. The events I have recorded should not be forgotten and must not be repeated." http://www.jamesnachtwey.com/ Worksongs http://www.worksongs.com/ Zapomniane Strony http://free.of.pl/z/zapomniane/main.htm


Zonesblanches http://www.unsiteblanc.com/ Zone-a http://www.zone-a.com/ Zone Tour Data Base of Urba Exploration http://zonetour.org/


Fotografia Alain Curral http://www.alancurrall.com/ Alec Soth http://www.alecsoth.com/ Ambrosi Marco http://www.marcoambrosi.it/ Amy Adler http://www.amyadler.com/ Ansel Adams http://anseladams.com/ Antoine d’Agata http://www.documentsdartistes.org/artistes/dagata/repro.html Araki http://www.arakinobuyoshi.com/ Armin Linke http://www.arminlinke.com/ Arnaud de Gramont http://web.mac.com/arnauddegramont/Gramont/Introduction.html


Augusto Alves da Silva http://www.galeriapedrooliveira.com/archive/artists/augusto_alves_da_silva/augusto_alves_da_silva.htm Bettina Von Zwehl http://www.bettinavonzwehl.com/main.html Biano-Valente http://www.bianco-valente.com/ Bill Brandt http://www.billbrandt.com/ Brian Kosoff http://www.kosoff.com/ Chris Jordan http://www.chrisjordan.com/ Chopperdliver http://www.choppedliver.info/ Cindy Sherman http://www.cindysherman.com/ Corinne Day http://www.corinneday.co.uk/ David Goldblatt http://www.davidgoldblatt.com/


David Lachapelle.it http://www.davidlachapelle.it/ Marco Delogiu http://www.marcodelogu.com/ Donation Jaques Henri Lartigue http://www.lartigue.org/index.html Dorothy Bohm http://www.dorothybohm.com/ Doug Aitken http://www.dougaitkenworkshop.com/ Edgar Martins http://www.edgarmartins.com/ Eduard Burtynsky http://www.edwardburtynsky.com/ Elina Brotrherus http://www.sag.se/foto/elinabrotherus/elina.html Elinor Carucci http://www.elinorcarucci.com/ Frank Breuer http://www.jousse-entreprise.com/html/art/breuer/breuerev01.html


Frank Horvat http://www.horvatland.com/index.html Gabriele Basilico http://www.fotologie.it/Basilico.html Giacomo Costa http://www.giacomocosta.com/ Giampiero Agostini http://www.giampietroagostini.it/ Gillian Wearing http://www.tate.org.uk/servlet/ArtistWorks?cgroupid=999999961&artistid=2648&page=1 Guido Guidi http://www.iuav.it/Didattica1/pagine-web/facolt--di1/Guido-Guid/index.htm Guy Bourdin http://www.guybourdin.org/ Hannah Collins http://www.hannahcollins.net/ Harry Cock http://www.harrycock.nl/ Hellen Van Meene http://www.hellenvanmeene.com/


Jane Evelyn Atwood http://www.janeevelynatwood.com/index.html Jeanloup Sieff http://www.jeanloupsieff.com/ Joachim Koester http://www.nicolaiwallner.com/artists/joachim/joachim.html Joel Meyerowitz http://www.joelmeyerowitz.com/ John Divola http://www.divola.com/ Journeys in time Site dedicated to the art of blanck and white photography http://www.journeysintime.ca/ Karin Apollonia M端ller http://www.saulgallery.com/muller/statement.html Kim J.Coster http://www.kimkoester.com/ Larry Clark http://www.larryclarkofficialwebsite.com/ Luigi Ghirri http://www.reggiofotografia.it/ghirri.htm


Man Ray Trust http://www.manraytrust.com/ Mark McCarty http://markmccarty.com/ Martin Parr http://www.martinparr.com/ May Ellen Mark http://www.maryellenmark.com/ Massimo Vitali http://www.massimovitali.com/ Masters of photography http://www.mastersofphotography.com/ Michael Wesely http://www.wesely.org/wesely/index.php# Mitch Epstein http://www.mitchepstein.net/ Ni Haifeng http://www.xs4all.nl/~haifeng/ Paolo Gioli http://www.paologioli.it/


Paolo Simonazzi http://www.paolosimonazzi.com/ Paolo Ventura http://www.paoloventura.com/ Paul Ferman http://www.paulferman.com/ Paul Seawright http://www.paulseawright.com/ Peter Lindberg http://www.peterlindbergh.com/ Philip-Lorca DiCorcia http://www.exibart.com/profilo/autoriv2/persona_view.asp/id/6583 Photoarts http://www.photoarts.com/ Richard Avedon http://www.richardavedon.com/ Roger Ballen http://www.rogerballen.com/ Rogge Claudia http://www.claudia-rogge.de/


Sebastiao Salgado http://www.terra.com.br/sebastiaosalgado/inicio.htm Simon Norfolk http://www.simonnorfolk.com/pop.html Sophie Ristelhueber http://www.url.it/ambienti/foto/schede/ristelhueber.htm Stèphanie Annette Boisset http://www.boisset.de/# Stephen Shore http://www.billcharles.com/shore/stephenshore_1.htm Steve McCurry http://www.stevemccurry.com/main.php Susan Lipper http://susanlipper.com/ Tina Modotti http://www.modotti.com/ Todd Deutstch http://www.todddeutsch.com/ Thomas Struth http://www.artnet.com/artist/16228/thomas-struth.html


Vanessa Beecroft http://www.vanessabeecroft.com/ Vee Speers http://www.veespeers.com/Site/Vee_Speers.html Vik Muniz http://www.vikmuniz.net/index.html Wendy McMurdo http://www.wendymcmurdo.com/ Weng Fen http://www.artnet.com/artist/423873873/weng-fen.html William Eggleston http://www.egglestontrust.com/ Zanta Marco http://www.marcozanta.com/index.htm Zhang Huan http://www.zhanghuan.com/


Arte Digitale 5Voltcore http://www.5voltcore.com/ 9 dots En quelques mots, 9dots est un dispositif visuel et sonore qui vous permet d'éditer une séquence de 8 images sur lesquelles vous pouvez afficher ou masquer des points. Chaque image de la séquence est construite sur une grille de 3 points de haut par 3 points de large. (comme celle présenté ci-dessous) Quand le point est affiché, le son qui lui est attribué est joué. Le schéma ci-dessous montre la relation visuel/son, selon la position du point sur la grille, un son spécifique sera joué soit sur une seule enceinte soit sur les deux. La position du point détermine aussi la fréquence du son. http://www.9dots.fr/ 34 North 118 West http://34n118w.net/ Acconci STUDIO http://www.acconci.com/ Actions Reseaux Numerique C'est à la Galerie d'art Pierre Tal Coat d'Hennebont (France), que le groupe d'artistes Actions Réseaux Numériques réalisait, le samedi 07 avril 2001, l'oeuvre Web de téléprésence participative Gestion des Stocks. Sur place, une installation se composait d'un dépôt d'objets fragmenté en quatre zones selon la topométrie archéologique d'un champ de fouilles, d'une chaîne de postes d'observation, d'un dispositif de webcaméras faisant office de relais entre l'espace physique et l'espace virtuel, et d'une plate-forme logicielle, réalisée spécifiquement pour l'occasion, qui permettait non seulement d'interagir avec l'ensemble du dispositif, mais de communiquer aussi avec les organes de contrôle opérants sur le site. La logique de Gestion des Stocks reposait sur une procédure d'identification collective et partagée, par téléprésence,


d'un stock initial d'objets que le public était invité à manipuler par étapes: physiquement d'abord, puis sémantiquement. Connecté au site d'ARN, l'internaute accédait à une vue globale du stock qu'il pouvait resserrer par transmissions de commandes; c'est dans cette seconde image zoomée qu'un objet pouvait être extrait, puis dirigé vers le poste d'observation afin d'y être successivement mesuré, photographié et inventorié comme n'importe quel élément faisant l'objet d'une spéculation ou d'une transaction future. Arrivant en fin de chaîne, l'objet était ensuite dirigé vers l'ultime poste d'exposition et de conditionnement qui rendait possible l'identification par description et par micro-récit. Le recours a un tel procédé économique et scientifique de la prospection et de l'observation conduisait forcément à la production d'une base de données archivistiques contenant autant de fiches signalétiques produites qu'il y eut d'objets traités. Le stock initial, composé d'objets et d'assemblages produits antérieurement par une pratique plastique de recyclage, évoquait un espace-temps différé alors que toute l'infrastructure utilisée convoquait plutôt un présent segmenté. C'est que les technologies de l'information et de la communication étaient ici mises au service d'un dispositif destiné à sonder un processus individuel et collectif, processus au sein duquel l'implication du langage permettait d'entreprendre une relation conversationnelle avec les différentes strates de la réalité. Même si Gestion des Stocks renvoyait, par ailleurs, à la dimension économique et à ses modèles d'organisation, l'installation soulevait aussi l'ambiguité d'une réalité médiatisée à distance avec un mode d'image propre à la télésurveillance, interrogeait les dualités qui se confrontent et se confortent entre monde actuel et monde virtuel, et faisait mesurer, inévitablement, combien l'émergence des réactions de l'espace virtuel peut être opérante sur l'espace physique. C'est d'ailleurs comme figure de relais entre ces deux espaces qu'il faudra sûrement reconsidérer une partie de la communication d'aujourd'hui... comme révélateur d'une "conscience du réel". http://www.x-arn.org/ Acoustic spaces SPECTROGRAPHY is collaboration between the RIXC Center for New Media Culture in Latria and Ellipse artists organisation in France, which includes organising of the sound art residency programme RIX-STUDIO and international symposium on SPECTRUM CARTOGRAPHY. http://acoustic.space.re-lab.net/ Adaweb http://adaweb.walkerart.org/


Adrianne Wortzel Adrianne Wortzel explores a range of new technologies as web works, robotic installations and performance productions. Her Globe Theater Repertory Company of robots were featured in installations in Cooper Union's "Technoseduction" exhibition, Creative Time's "Art in the Anchorage"; Ars Electronic, "Fleshfactor" and Kunstpflug e.V., Berlin "Arreale99". She wrote, produced and designed "Sayonara Diorama", a performance production with robots, live performers and responsive remote performances via videoconferencing, via an Artist-in-Residence Grant at Lehman College Art Gallery in New York funded by the Electronic Media and Film Program of the New York State Council on the Arts. She has organized and produced international performative webcasts, and was co-host and content provider for "Art Dirt" a weekly live video-streamed interview format webcast originating from New York. She is a recipient of a 20002001 National Science Foundation grant awarded for creating a robotic theater at The Cooper Union for the Advancement of Science and Art where she is currently working on her project ELIZA REDUX, a series of webcast and videotaped psychoanalytic sessions between a human and a robot. http://artnetweb.com/wortzel/robotic.html Aether Architecture For the convergence of new media and actual spaces, we do interactive architecture systems and dynamic graphical interfaces, projects where spatial design and technology meet to create cultural experiences. Presented at art, technology and design exhibitions. http://www.aether.hu/ Akustik_Optik http://www.selektion.com/ Aleph http://aleph-arts.org/ Alexi Shulgin http://www.c3.hu/collection/form/


Alphabazar http://www.alphabazar.net/ Alphabeta Alpha Bêta est un site qui regroupe les oeuvres en lignes réalisées par Richard Barbeau, un artiste résidant à Montréal (Québec, Canada) et qui exerce une pratique dans le domaine des arts visuels depuis une quinzaine d'années. Les titres sont énumérés selon le principe de l'abécédaire et s'ajoutent au fur et à mesure des réalisations. Il pourrait y avoir éventuellement une oeuvre pour chaque lettre de l'alphabet! Cela dit, chaque titre peut être considéré comme une oeuvre autonome et indépendante du site Alpha Bêta. http://abcdfghijklmnopqrstuvwxyz.com/ Alterfin http://www.alterfin.com/ Ambient TV .....is a crucible for independent, interdisciplinary practice ranging from installation and performance, through documentary, dance, and gastronomy, to sound and video composition and real-time manipulation. We continue to develop social and technical infrastructure and promote network architectures that facilitate alternatives to current sociopolitical and economic formations. Techniques and effects of live data broadcasting and transmission provide theme, medium, and performative space for many of the works. http://www.ambienttv.net/content/?q= Amy Youngs Amy M. Youngs creates mixed-media, interactive sculptures and digital media works, that explore the complex relationship between technology and our changing concept of nature and self. She has exhibited her works nationally and internationally at venues such as Springfield Museum of Art (Springfield, OH), Pace Digital Gallery (New York, NY), the Biennale of Electronic Arts (Perth, Australia), John Michael Kohler Arts Center (Sheboygan, Wisconsin), Circulo de Bellas Artes (Madrid, Spain), the Visual Arts Museum (New York, NY) the Art Institute of Chicago's Betty Rymer Gallery, Vedanta Gallery, (Chicago, IL), the San Francisco Public Library, Blasthaus, (San Francisco, CA) and Works (San Jose,


CA). Her artwork has been reviewed in publications such as, The Chicago Sun Times, The Chicago Reader, San Francisco Bay Guardian, RealTime and Artweek. Youngs has published several essays, including one on genetic art in the journal Leonardo and another on art, technology and ecology in the international art publication Nouvel Objet in 2001. She has lectured on her work widely, including at the California State University, Long Beach, the Massachusetts Institute of Technology (Boston, Massachusetts), the Australian Center For the Moving Image (Melbourne, Australia) and the Perth Institute for Contemporary Art (Perth, Australia) and has participated in panels at conferences such as the Women’s Caucus for the Arts, the College Arts Association and the Biennale for Electronic Arts in Australia. Youngs was an Artist-in-Residence at the Pilchuck Glass School in 2005 and was awarded an Individual Artist Fellowship Grant from the Ohio Arts Council in 2001. She received a BA from San Francisco State University, graduating Summa Cum Laude and Art Student Honoree of her class. She was awarded a full Merit Scholarship to study at The School of the Art Institute of Chicago, where she completed her MFA in 1999. Youngs currently lives in Columbus, Ohio, where she works as an Assistant Professor in the Department of Art at The Ohio State University. She was born in 1968 in Chico, California. http://accad.osu.edu/~ayoungs/ Amy Alexander Amy Alexander is a software and performance artist and VJ , who has worked in film, video, music, and information technology as well as in digital media art. Her work has been presented on the Internet, in clubs and onCyberSpaceLand! the street as well as in festivals and museums. She is an Associate Professor of Visual Arts at the University of California, San Diego. Besides southern California, she can occasionally be found in Philadelphia and New Jersey. http://amy-alexander.com/ Anders Weber http://www.recycled.se/ Andrea Zapp http://www.azapp.de/


Andrè Michelle http://lab.andre-michelle.com/ Angelidakis Andreas http://www.angelidakis.com/ Annette Weintraub http://www.annetteweintraub.com/ Antonio Muntadas ON TRANSLATION is a series of works exploring issues of transcription, interpretation, and translation. From language to codes from science to technology from subjectivity to objectivity from agreement to war from private to public from semiology to cryptology The role of translation/translators as a visible/invisible fact. http://www.adaweb.com/influx/muntadas/ Apsolutno The association APSOLUTNO was founded in 1993 in Novi Sad, Yugoslavia. The production of the association is created through collaboration of its four members ( Zoran Pantelic, Dragan Rakic, Bojana Petric (and Dragan Miletic from 1995 till 2001) ). Since 1995 the works have been signed APSOLUTNO, without any reference to personal names. The production of APSOLUTNO started in the field of fine arts. Gradually, it has developed to include not only aesthetic, but also cultural, social and political aspects. The work of APSOLUTNO is based on an interdisciplinary research into reality, with the aim to make it open to new readings. The choice of medium is a very important part of the creative process, as APSOLUTNO regards the medium as an equally relevant element of the work. APSOLUTNO is a collective of three members, dealing with interdisciplinary art work and media pluralis http://www.apsolutno.org/


Area3 http://www.area3.net/index.php?t=a3 Armelle Aulestia Armelle Aulestia is an artist, she works with photography, video, sound. she lives in Paris. http://www.aulestia.net/ Artiopensource http://www.artisopensource.net/home.html Artnetweb Art-Directory http://artnetweb.com/ Artport Art-Directory http://artport.whitney.org/ Arts Alliance Laboratory http://www.aalab.net/home.htm Art Statement Markup Language http://espaciosinaire.net/ Asymptote http://www.asymptote.net/# A story of Net Art http://muse.calarts.edu/~line/history.html


Atomic TV http://www.atomictv.com/ Autoportrait http://www.autoportrait.org/ Auger-Loizeau http://www.auger-loizeau.com/ Babel http://www.babel.ca/ Blank & Jeron Joachim Blank and Karl Heinz Jeron are working since 1996 as an artist duo under the name Blank & Jeron. They started working together 1993 in different groups creating artistic and cultural internet projects. They are not only engaged with pure internet works but also create physical items, that materialize as hybrid installations, informed objects and collaborative events. They are interested in artistic strategies of information recycling in the context of the information society. Currently they explore and reflect phenomena of the growing mediatization and economization of art and society using diverse media and techniques. http://www.blankjeron.com/ Blast Theory http://www.blasttheory.co.uk/index.php Blprnt People doing beautiful things with computers. http://www.blprnt.com/


Bodyconfiguration http://databaz.org/xtrm-art/ Boredomresearch http://www.boredomresearch.net/ Chico Macmurtrie http://amorphicrobotworks.org/works/index.htm Carey Young http://www.careyyoung.com/ Carlo Zanni http://www.zanni.org/ Centrifugalforces http://www.centrifugalforces.co.uk/web/index.html Chris Ziegler http://www.movingimages.de/ Counterwork http://www.counterwork.co.uk/index.html Dana Winslow http://www.nextexit.com/ Daniel Wiener http://www.danielwiener.com/


Databaz Poèsie visuelle http://databaz.org/xtrm-art/ Desiderescape http://www.desiredescape.net/ Diane Bertolo http://www.dianebertolo.com/ Digicult New-Media Art_Directory/Digital Magazine http://www.digicult.it/ Dispotheque http://www.dispotheque.org/indexuk.htm Elastic Group http://www.elasticgroup.com/link.html Erich Berger http://randomseed.org/ Eskimo http://www.eskimo.com/~bbrace/bbrace.html Etoy_fanclub http://fanclub.etoy.c3.hu/


Eva & Franco Mattes http://www.0100101110101101.org/ Faith Wilding http://www.andrew.cmu.edu/user/fwild/faithwilding/ Fylkingen Net-Art Directory http://www.fylkingen.se/hz/n8/index.html For the Natural Death of the Work of Art http://www.kunsttot.de/english/ Gary Zebington All web:inhabitable sediments transfigured from larger offline assemblages=== +=+"Artificial Awarenesses & Experimental Beings" http://murlin.va.com.au/eyespace/ Geobodies http://www.geobodies.org/ Golan Levin http://www.flong.com/ Grahame Weinbren http://www.grahameweinbren.net/ Hakim Bey Writings (T.A.Z.) http://www.hermetic.com/bey/


Helen Whitehead http://www.helenwhitehead.com/ Hermenetka Hermenetka is a project of Net Art that generates fortuitous cartographies from search engines in data bases. The starting point of the Hermenetka project is the Mediterranean view as spiritual scenery of thoughts, as method and search of knowledge. Hermenetka is an acronym formed from the association of Hermes, Greek god of communication and exchange; Net, from Internet and "Ka", a very complex part of the symbolism in ancient Egyptian mythology, Ka represents the consciousness and the guide of the invisible world, the kingdom of the dead. In contemporary era, the metaphor of the "sea between territories" (Mediterranean) embodies in the flows and the exchanges of cyberspace. The proposal of the Hermenetka is to generate plural cartographies of the seas of data that populate the quotidian of the cyberculture. The project is constituted by two types of mappings. In the first one, it is possible to generate a map in real time from topics that gravitate around the concept of the Mediterranean. The second possibility consists in answering the question "What is the Mediterranean for you?". In this case, your reply triggers a research in cyberspace for images and texts that will compose a unique map. The aesthetics project associates remixing, transparencies and revisits the watercolor techniques and collage practices of Robert Rauschemberg. In both cases, the image is generated at random and composed of different sizes and levels of transparent overlaying of images and texts. http://www.lucialeao.pro.br/hermenetka/index_en.htm


Interrogative The Interrogative Design Group's goal is to combine art and technology into design while infusing it with emerging cultural issues that play critical roles in our society yet are given the least design attention. http://interrogative.org/ Invisibile Audio Project Invisible-5 investigates the stories of people and communities fighting for environmental justice along the I-5 corridor, through oral histories, field recordings, found sound, recorded music, and archival audio documents. The project also traces natural, social, and economic histories along the route. http://www.invisible5.org/ Irational Discussion Forum http://www.irational.org/cgi-bin/front/front.pl Jaka _eleznikar Poetry, literature and visual art http://www.jaka.org/ Jim Andrews http://vispo.com/ Jody Zellen http://www.jodyzellen.com/ John Maeda http://www.maedastudio.com/index.php http://www.lawsofsimplicity.com/


Kate Armostrong http://www.katearmstrong.com/ Krcf Knowbotic Research (Yvonne Wilhelm, Christian Huebler, Alexander Tuchacek) was established in 1991, and has experimented with formations of information, interface and networked agencies. Their more recent projects present artistic practices in an attempt to find viable forms of intervention in translocal spaces and economies. Since 1998, Knowbotic Research has a professorship and carrying out research in the New Media Department at the University of Art and Design (HGKZ), Zurich, Switzerland. http://www.krcf.org/krcfhome/ Kvb http://www.kvb.com/ Lev Manovich http://manovich.net/ Ludmil Trenkov http://ludmil.com/ Marco Caldioli http://www.internetlandscape.it/ Marina Zerbarini http://www.marina-zerbarini.com.ar/primero.swf Marina Zurkow http://www.o-matic.com/play/play.html


Marius Vatz http://www.unlekker.net/ Mark Allen http://www.markallen.com/index.php Mark Amerika http://www.markamerika.com/ http://www.grammatron.com/ Martin Wattemberg http://www.bewitched.com/ Marumushi Net-Art Directory http://www.marumushi.com/ Mediatopia Net-Art Directory Mediatopia.2 fresh! assembles an exciting mix of recent net-based work by a diverse group of neoteric artists, creatives and thinkers. http://mediatopia.net/ Michael Atavar http://www.atavar.com/ Michael Wilson http://www.mwwilson.net/


Miltos Manetas http://www.manetas.com/ M. River & T.Whid Art Association http://www.mteww.com/ Nanette Wilde http://preneo.com/nwylde/index.html Netarts Net-Art Directory http://www.netarts.org/ Netartreview http://netartreview.net/ Netbase NETBASE / t0 Institute for New Culture Technologies http://www.netbase.org/t0/intro Newmediafix http://newmediafix.net/ Nick Barker http://www.nickbarker.org/ Nicolas Clauss http://www.nicolasclauss.com/


No-org No-org.net is a Jerusalem art network, launched in December 2003. It serves a platform for experimental projects in the area of netbased and digital art and for the exchange of independent information on contemporary art. http://no-org.net/ Organicode N_DREW (aka Andrew Bucksbarg) creates audio-visual/VJ performances and interactive works, exploring organic and abstract forms, live A/V processes and participatory techno-culture, enthralling audiences with images, beats, ambient sounds and pixilated atmospheres. http://organicode.net/welcome.html Peter Angerman http://www.polka.de/ Peter Luining http://www.ctrlaltdel.org/ Phillipp Brunner http://attacksyour.net/pb/ Plancton http://www.plancton.com/ Poetics of digital text http://www.p0es1s.net/poetics/start.html Potatoland http://potatoland.com/


Randy Adams http://tracearchive.ntu.ac.uk/studio/radams/ Rebecca Allen http://rebeccaallen.com/ Rhizome Rhizome supports the creation, presentation, and preservation of contemporary art that uses new technologies in significant ways. http://rhizome.org/ Ricardo Miranda Zuniga http://www.ambriente.com/ Robert Anton Wilson http://www.rawilson.com/ http://www.deepleafaudio.com/ RĂźdiger SchlĂśmer http://www.stromgasse.de/index.html S-77CCR is a tactical urban counter-surveillance systems for ground controlled UAV's (Unmanned Aerial Vehicles) and airborne drones to monitor public space. http://s-77ccr.org/index_en.php San Francisco State University http://www.sfsu.edu/


Sheldon Brown http://www-crca.ucsd.edu/ Shockart http://www.shockart.net/ Sign69 http://www.sign69.com/medialounge/radio.html Simon Biggs http://www.littlepig.org.uk/ Stefan Beck http://www.stefanbeck.de/ Steve Bradley http://userpages.umbc.edu/~sbradley/projects/index.html Shovemedia http://www.shovemedia.com/2005portfolio/ Stephen Wilson http://userwww.sfsu.edu/~swilson/ Stunned org Stunned.org is a Dublin based site dedicated to (mostly) new media art in all it's evolving forms. Started in 1999 by new media artist Conor McGarrigle the site has existed in many different forms, run by voluntary effort, enthusiasm and the occasional Arts Council grant it has always managed to keep going. http://www.stunned.org/


SPC http://bak.spc.org/buckspc/ Stèphanie Annette Boisset http://www.boisset.de/# Superbad http://www.superbad.com/ Tete Alvarez http://w3art.es/tetealvarez/ The Arab Image Foundation http://www.fai.org.lb/ The Atlas Group http://www.theatlasgroup.org/ Theyesmen The Yes Men agree their way into the fortified compounds of commerce, ask questions, and then smuggle out the stories of their hijinks to provide a public glimpse at the behind-the-scenes world of business. In other words, the Yes Men are team players... but they play for the opposing team. http://www.theyesmen.org/ The network Net-Art Directory http://www.nmartproject.net/blog/


Timothy Weaver http://primamateria.org/index.html Turbulence http://turbulence.org/ University of Minnesota College of Liberal Arts http://www2.cla.umn.edu/ Urban Collective http://www.xurban.net/# Valid Raad http://www.theatlasgroup.org/ Ventsislav Zankov http://www.ctrl-z.org/zankov/ Walker Art Net-Art Directory http://walkerart.org/index.wac Wenyon & Gamble http://wengam.com/ Wrongbrowser http://www.wrongbrowser.com/


Wu Ming Foundation Wu Ming Foundation: Who We Are And What We Do This page tells the story of a mysterious collective of guerrillla novelists from Italy. The tale begins from their previous militancy in a loose-knit cultural network named after a Black soccer player. If you want to find info on the Wu Ming Foundation and the Luther Blissett Project, if you enjoyed (or hated) one of Wu Ming's novels and want to know more about the authors, if you want to write a feature article, a review, an essay, a smart-ass blog post or comment, this is the right place to come. http://www.wumingfoundation.com/ Year01 Net-Art Directory http://www.year01.com/ Yugo Nakamura Yugo Nakamura is a creative director, designer and engineer exploring various forms of interactive system in digital and networked environment. http://www.yugop.com/ Zdeno Hlinka http://zden.message.sk/menu.php3# Zefrank http://www.zefrank.com/ Zolabor An Independent Art Label examines virtualities in the input of electronic materials of a transmedial way of breaking out of the classical arts and anti-arts. Technological-artistic situations create cuts. It strives for precision in the experiment and mathematical consideration of sensitivity. http://www.zolabor.de/


MATERIALI PER UN’ESTETICA DELLE ROVINE_Collegamenti ipertestuali. http://amalo-oldmill.blogspot.com/ http://amalo-twintowers.blogspot.com/ http://blackfoundry.blogspot.com/ http://cityforum.blogspot.com/ http://colonieamare.blogspot.com/ http://derelictland.blogspot.com/ http://fancultura.blogspot.com/ http://fanumfortunae.blogspot.com/ http://forumfortunae.blogspot.com/ http://industrialsprawl.blogspot.com/ http://mainbody.blogspot.com/ http://sugarcathedral.blogspot.com/ http://rivieraholidaycamp.blogspot.com/ http://trainingship.blogspot.com/

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