C' era un veliero che viaggiava per tutti i mari che c' erano da navigare, facendo l' amore con tutte le onde che gli si sbattevano contro e baciando tutti i pesci che mordevano la sua chiglia. Mille paesi e mille fiabe poteva raccontare e mai nessuno aveva ad ascoltare perché chi non ha amici non si può sentire solo. Tranquillo come chi cancella ogni cosa per non sentire niente partiva ogni volta, per ripartire un' altra volta. Si svegliò un giorno in un uragano solo perché qualcuno aveva tirato la corda. Resistette ancora una volta per capire che era solo un mozzicone buttato in un water. Capì il suo mondo, baciò la merda e riconoscendo la sua solitudine si lasciò abbracciare da un velo di carta igienica che lo fece affondare. Bisogna avere più rispetto per i mozziconi nei
water.
ZANZARE Tutti le odiano quando già il caldo è troppo. Ma quando non ce la fai proprio a ricordarti di spalmare, ungere, spruzzare o accendere i forni crematori, loro non ti sfiorano neanche. Che sappiano volare anche loro?
ALTRI Gente ubriaca che ride e fa ridere solo uno mi fa piangere una faccia da scemo che so dove vuole arrivare una faccia da scemo riflessa nello specchio.
BAR Amo i posti dove ti diverti anche se non hai un soldo. Un posto dove qualcuno suona sempre e se fai finta di ascoltarlo non ti devi neanche vergognare di essere solo.
GIGI Fuochi d' artificio, un secondo di calma e riesplode la guerra della gioia, è il colmo dei colori più di così non si può perché tutto tra un po' finisce e deve rimanere solo il rimpianto. Fuochi d' artificio non siete come la vita, che la fine è lontana dal culmine ma più vicina ad un letto di ospedale, ad un ospizio o ad una sedia a rotelle. Fuochi d' artificio siete solo la morte di ragazzi pazzi o uomini morti ancora liberi. Alla fine della vita c' è solo una torta con troppe candeline che non hai la forza di spegnere.
Nessun orgasmo di luce o botti o baci nei prati. Fuochi siete solo un artificio.
D.M. Ho un amico che è forse amico solo della mia pietà. I suoi muscoli sono così forti che non riescono a sollevare se stessi. L' energia che ha è quella della sua sedia a rotelle con una batteria grande come i bicipiti di Rambo. Lui sa solo che tra poco morirà, ma quando vede una ragazza, lui non pensa alla morte, pensa alla figa ed ha un' erezione che si ferma nella testa, solo nella testa e non esplode in un bianco ma in un rosso sul volto. Quando siamo diventati amici
un' ape è atterrata sulla sua faccia, si è agitato più che poteva e a me è sembrato un filo d' erba. La troia ha aspettato, ha preso con calma la mira, l'ha punto, ha goduto e poi se ne è andata a impollinare altri fiori. Guarda la natura, impara mi hanno detto, i gigli dei campi…
Se servisse a qualche cosa picchierei una chiesa stanotte. Perche voi quando non vedete più niente, non li chiudete gli occhi ?
Ho lavorato in montagna senza vedere le montagne, senza conoscere gente. Non ho visto niente perché odiavo, odiavo perché ero odio. La montagna era montagna e neanche lei mi ha visto.
Tutto e tutti siamo dei miraggi. Appena ci raggiungi ti accorgi che non siamo niente.
Vorrei essere il sole che al tramonto cade nell' acqua ma non si spegne. Vorrei essere Dio che in mezzo a tutti questi uomini rimane Dio. Vorrei essere felice e in mezzo a tanta tristezza rimanere felice. Vorrei essere felice, abbastanza da non dovermi innamorare più.
STELLA Ieri ti ho vista, ti volevo correre incontro per abbracciarti ma tu eri su in alto nel cielo e io non so ancora volare. Posso solo pensare a come è stato bello vederti e ancor più bello innamorarmi.
QUESTA NOTTE Chissà che cazzo ti ha guardato. Chissà che occhi ti hanno leccato. Chissà che lingua ti ha scopato. Chissà che odori ti hanno bagnato. Forse un uomo, forse due, forse solo un fantasma che si chiama gelosia. A casa sua sono andato e le ho detto: "Sei un pallone gonfiato." Non è vero ha detto lei ed è volata via. Ma sotto le mie coperte aveva lasciato il suo calore,
nei peli del mio petto aveva nascosto il suo odore, nelle ombre di ogni oggetto il suo corpo in amore, nella luce del mattino dei suoi occhi il colore. E proprio perché è stronza si è portata via dalla mia mente tutto ciò che la rendeva stronza.
DISCORSI Parole, parole onde sonore di un mare senza spiaggia. Incomprese, dimenticate. Preferisco il silenzio di un discorso di baci che rimangono sulle tue labbra forse per dieci minuti forse per tutta la vita. In ogni caso restano. E corro più veloce per non farti aspettare. Passo col rosso, scavalco cancelli ma anche se volassi nulla cambierebbe perché tu non mi stai aspettando.
Ed il gabbiano, dopo una bellissima pausa d' amore, riprese il volo verso il sole, la felicità e la più completa pazzia.
Stavo inseguendo il mito della velocità ma lui era dietro di me e mi ha investito perche sono il riccio che attraversa l' autostrada.
TAO Notte ti ho riconosciuta sei l' ombra del mondo. Giorno sei forse l' ombra della notte ? E tu bene sei il riflesso del male o lo fai solo dimenticare? Uomo ama la donna e donna ama l' uomo affinché il tao sia completo senza illusioni, ipocrisia e coerenza.
PREGHIERA Dio fa che i più bei fiori non nascano sempre in mezzo alla cacca.
VITA Tutto e poi la morte inevitabile, protagonista comunque. Come una sigaretta un giorno incontri qualcuno o qualcosa che ti accende e ti brucia tutto. Alla fine ti spegni e rimane solo un mozzicone sporco a terra e del fumo bianco che vola chissà dove.
VECCHIAIA Se diventerò vecchio aspetterò in silenzio la morte pensando a quei bambini che sono morti bambini, a quei ragazzi che sono morti ragazzi.
PALPOESIA Un omino guardò nel caleidoscopio che era pieno di cadaveri che si scambiavano la testa; fece più attenzione e scoprì che era un binocolo. "Ohibò" esclamò e sulla luna se ne andò, ma gli scappava la pipì e c' erano ovunque signore appena uscite dalla messa e neanche un albero per nascondersi. Non poteva certo farsi vedere dalle signore appena uscite dalla messa allora prese un taxi. Il tassista staccò la forza di gravità della luna e in un battibaleno arrivò sulla terra. Per la cronaca fu un battibaleno per modo di dire perché
baleno che era scagliato da un arco gigante e molto colorato lo sorpassò nell'ultima curva e vinse. Comunque il tassista lasciò l'omino in un posto davvero di merda. Sentì una voce al megafono parlare d~l rapido Taranto- Ancona ma visto che era Mario non lo prese. Aprì la porta che sembrava una rubrica telefonica per adulti e disse: Devo smetterla connnnn questa roba E se ne andò a casa a farsi,,,, un, panino con la mortadella
E vuoi bene ad una ragazza perché si alzava a fare la colazione dimenticandoti del resto. Odi il presente che ti lascia ubriacare indifferente. E odi quelli a cui piacciono le tue poesie perché sono solo tue. Quando fai l' amore con la tua ragazza e lei non ti ama più ma tu l'ami troppo per accorgertene e solo quando ti lascia la ricordi immobile che non vede l' ora che tu finisca. Questo è triste. Perché quando Dio scoprì che l' uomo
poteva assuefarsi al dolore fisico, inventò l' amore.
Storia di Gepo.
A Chiara affinché vita ci separi.
E voi cantanti che cantate solitudini, attori che recitate solitudini, poeti che scrivete solitudini, gente comune che piangete solitudini, vi siete mai masturbati col postalmarket?
Il signor Sabato arrivò puntuale. Quasi una settimana era rimasto nascosto tra i libri di scuola ma ora era ovunque e a tutti proponeva nuovi amori, nuovi amici e nuove sbronze. Quando tutti ne furono con- vinti si sedette a guardare. Ogni briciola dello specchio non si era mai sentita così bella. Quando Elena si voltò ci volle qualche secondo prima che ogni minuscolo frammento di vetro si convincesse a cancellare quell’immagine per tornare a diventare insignificante. Inspirò profondamente per conoscere che odore l' avrebbe accompagnata. Un sorriso sancì che tutto era a posto senza bisogno di falsificazioni. I tappi avrebbero ininterrottamente abbracciato le loro boccette di
profumo per quella notte. Un saluto veloce e poi di corsa giù per le scale. Prima di salire in macchina si tastò le tasche. Sì, aveva preso le chiavi di casa, sarebbe potuta tornare all' ora che voleva. Prima tappa al solito bar dove con gli amici avrebbe deciso dove andare. Gli altri erano già arrivati. Chiacchiere felici accompagnavano la musica di sottofondo. Tentativi d'approccio sempre meno celati coloravano i volti di alcuni. Le lancette dell' orologio, inesorabili, ricordarono loro che il magico mondo di quella notte non avrebbe potuto aspettarli in eterno. Dovevano decidere dove andare se non volevano circoscrivere a quei consueti quattro muri i confini delle loro avventure. La situazione economica dei più non lasciava molto spazio alla fantasia. Le coppiette avrebbero resistito ancora mezz'ora, tanto per
far vedere che non si staccavano dal gruppo, poi avrebbero raggiunto i rispettivi ciulodromi di fiducia. Qualcuno era già troppo ubriaco. I silenzi iniziarono a farsi più densi, mischiati alla musica dello stereo che nessuno avrebbe voluto sentire. La nuvoletta dello scazzo si auto invitò immediatamente. Elena iniziava ad innervosirsi e per calmarsi sembrava puntare su un' overdose di birra che le ispirava proposte sempre più pazze che venivano puntualmente scartate. La nuvola era cosi nera che qualcuno iniziò ad andarsene.
E quando vedeva qualcuno che aveva creduto fortemente nelle sue promesse e rimaneva deluso, correva da lui sussurrandogli "andrà meglio la settimana prossima”, senza preoccuparsi se questi poco dopo sarebbe andato dalla signora Domenica a parlare male di lui. Gepo sorrideva sulla porta. Un po' di vento entrò nel locale. I ragazzi corsero ad abbracciarlo offrendogli da bere. Elena vide i suoi amici sotto una luce scura al doppio malto, iniziò ad odiarli e si ripromise che quella sarebbe stata l'ultima volta che sarebbe uscita con quegli sfigati. Di Gepo ce ne è uno in ogni paese. A volte ci sono
paesi dove non trovi il calzolaio o il macellaio o un avvocato ma di sicuro trovi un Gepo. Uno che tutti conoscono, che tutti salutano ma nessuno sa dove abita, come vive, cosa pensa o quanti anni ha. Uno scemo. Uno di quelli che quando i ragazzi del paese diventano grandi e perdono un po' della loro naturale cattiveria verso i più deboli è ancora abbastanza bimbo da prendersi le sassate delle nuove generazioni. Uno che ad un funerale sorride, se lo picchi sorride, se gli offri un bicchiere di vino si ubriaca, inciampa tra i tavoli, cade e quando si rialza sorride. Sorride ma non ride mai. Il bicchiere fu bevuto, la caduta fu clamorosa e le risate si sprecarono. Elena non resistette un secondo di più. "Siete dei figli di puttana. L'unico sano qui dentro è lui voi siete solo dei coglioni. Non voglio più avere niente a che fare con voi!".
"Se l'unico sano qui dentro è lui perché non te lo porti a fare un giro, visto che stasera hai così tanta voglia di vivere?". Di nuovo la musica venne sommersa dalle risate della gente che continuò a scompisciarsi anche quando Elena, preso per mano Gepo, se ne andò. Era brava a guidare la ragazza, poteva permettersi di tenere il piede sul fondo dell' acceleratore e la testa tra le nuvole. Dopo quasi un’ora si fermò. Si era ricordata solo ora che sul sedile al suo fianco c'era Gepo. Si voltò a guardarlo, lui sorrise. Anche lei in fondo non era tanto diversa dai suoi amici. Non aveva mai visto quel ragazzo come una persona capace di provare emozioni. Gli chiese dove abitava. Per un attimo le sembrò che Gepo non stesse più sorridendo. Ebbe paura. Gepo entrò in Elena senza bussare.
Gepo entrò in Elena senza baciare. Gepo entrò in Elena senza annusare. Poteva solo promettere. Poteva dare la forza per andare a ballare o a giocare tutta la notte. Poteva dare speranza, creare possibilità. Ma tutto ciò che poi accadeva non dipendeva da lui. Quel giorno, che era il suo giorno, il signor Sabato piangendo pensò di non tornare più. "La vittima era a conoscenza della situazione mentale del mio cliente. La vittima era anche sì presente nel locale dove quei giovanotti hanno fatto bere il ragazzo peggiorando così la sua già precaria percezione della realtà. Non voglio negare l' azione violenta del mio
assistito ma mettere in risalto il contesto in cui essa si è verificata. Chiedo pertanto che egli possa beneficiare del minimo della pena.". Il giudice tornò in aula con gli incartamenti della sentenza. Pensava a sua figlia che quella sera gli avrebbe chiesto di uscire. "Non si possono smussare i contorni di una vicenda come questa prendendo in considerazione contesti predeterminati dall'ingenuità del soggetto che subisce violenza. Qualsiasi persona ha il sacrosanto diritto, in ogni momento e a prescindere da qualsiasi evento precedentemente verificatosi di fare o non fare l' amore. Condanno dunque il signor Bozzelli Giuseppe ad una pena di sette anni da scontare, conformemente a quanto si evince dalla perizia psichiatrica, in manicomio criminale. Scaduto questo termine il signor Bozzelli verrà
rilasciato solo dietro parere favorevole di chi l'ha tenuto in cura.". Nessuno in aula si sentì sollevato o amareggiato dalla sentenza. La giustizia era arrivata ancora una volta quando tutto era già successo e non le rimaneva che mettere una pezza nell'utopico tentativo di riportare in pari la bilancia. Gepo sorrideva. Il manicomio dava un' idea di pulito, di inutilizzato da quanto era bianco. Bianche erano anche le cinghie che inutilmente tenevano legato Gepo al letto bianco. Bianco il volto dell'uomo sdraiato nel letto in fondo alla stanza bianca. Con gli occhi fissi al soffitto il signor Bolzi lanciò il suo saluto al nuovo compagno di stanza. "Che cazzo ridi scemo!". "Il giudice ha detto che una persona in qualsiasi momento può decidere se fare o non
fare l' amore. lo domani dico all'infermiere che ho deciso di farlo.". L'uomo si alzò di scatto ed andò ad inginocchiarsi vicino al letto di Gepo che sorrideva. "Ragazzo mio tu non hai capito niente. Lasciatelo dire da uno che è qui dentro da più tempo di te. Quelli là dicono che la legge è uguale per tutti, ed è vero, solo che la interpretano in mille modi diversi. Loro fanno finta di non accorgersi cosa fanno quelle troie. Ci violentano con la loro vanità. Si eccitano coi nostri occhi nelle loro scollature o sulle loro gambe. Camminano con i loro piedini a papera apposta per fare una freccia che indica in mezzo alle cosce. Si mettono nude nei manifesti per la strada facendo finta di fare pubblicità a cose che non riesco nemmeno a vedere perché devo pagare per il sangue che mi fanno cadere nel pene. Quando sono belle calde
schioccano le dita per chiamare i loro cazzi selezionati. Nessuna schiocca le dita per noi che dobbiamo affogare il nostro sperma in un water, senza dargli nemmeno una speranza mentre magari urliamo mettetemelo nel culo basta che ci sia qualcuno. E quelle stronze frustrate perché nessuno le ama o perché i loro mariti non le considerano, le odio perché solo io posso sentirmi solo che non ho mai rifiutato nessuno, mentre loro mi hanno sempre evitato. Ma sai amico cosa ti dico, tutte loro spesso si tradiscono. A volte non ce la fanno nemmeno ad essere troie, a volte ogni loro minuscolo poro emana un profumo molto particolare. Quando c’è quel profumo tu non ti devi mai fermare. Un giorno una suora voleva farmi capire che lei ed il suo dio mi amavano. Ma a me non bastava più quell’amore invisibile. Da quando ero nato avevo dovuto imparare a stare
solo e mai un amore di quel tipo sarebbe riuscito a colmare quel vuoto. Adesso volevo qualche cosa da poter toccare, da sentire così mia da poterla rompere. Avevo bisogno di una custodia per il mio cazzo. Avevo bisogno di una custodia che appena io ci entrassi lei urlasse, si muovesse e mi graffiasse pure. Quando le ho detto queste cose lei era spaventata ma non ha saputo più trattenere quell'odore. Lo sentii subito, era dappertutto, limpido e puro, nessuno mi avrebbe potuto castigare. Il giudice fece finta di non capire nulla di tutto questo e accarezzando con occhi pesanti le cosce della dattilografa mi ha sbattuto qua dentro. Quel profumo però c' era, te lo giuro. Forse era solo il suo dio, cosa ne so, ma c' era, era il profumo della sua voglia di fare l'amore con me. Cazzo!". Arrivarono gli infermieri e gli diedero una potente dose di calma.
Gepo sorrideva e cominciò ad annusare. Non era poi così brutto stare in quell'ospedale. Si poteva sorridere a tutto e a tutti senza essere presi in giro. Gli infermieri e i dottori non erano simpatici ma era sufficientemente divertente ascoltare le storie del signor Bolzi. Le attività obbligatorie da svolgere spesso erano noiose ma permisero a Gepo di scoprire una passione a cui dedicarsi completamente. Appena finiti i compiti che gli venivano assegnati, correva nella sua stanza, smetteva di sorridere ed iniziava a dipingere.
Così come un dio che colorò la sua prigione di solitudine con i colori del mondo divenne Dio, un ragazzo scemo non si accorse mai delle sbarre della sua finestra, disegnò scale per superare il muro del suo sorriso e divenne un genio. Le tele diventavano alianti che planavano su gioia ed incubi con le tinte e la precisione della pazzia. Gepo teneva per se i suoi lavori e quando qualcuno li guardava arrossiva Come se lo vedessero nudo. Potevano entrare nella sua mente
con le parole, i fluidi e le polverine ma non con gli occhi. Solo il suo amico Bolzi non lo metteva in imbarazzo. Lui poteva ammirare liberamente le sue opere, era il suo confidente. Un giorno il signor Bolzi gli chiese se poteva disegnargli il profumo di una donna nuda che voleva fare l' amore. Gepo aveva cancellato completamente la sera con Elena. L'unico ricordo di una donna un po' nuda che aveva risaliva a quando tutti i pomeriggi alle cinque correva dalla sua vicina. A quell' ora la signora allattava il suo piccolo. Gepo rimaneva a fissarle il seno incantato. Lei se ne era accorta ma non dava peso più di tanto alla faccenda. Il bimbo iniziò a mangiare le pappe e a Gepo non restò che la convinzione che quelle dovevano essere le cose più morbide del mondo se un essere così piccolo passava così tanto tempo a
baciarle. Invidiava il bambino, gli bastava piangere e le avrebbe avute, lui non poteva fare niente. Questo ricordo non sarebbe bastato per poter realizzare il disegno che gli aveva chiesto il signor Bolzi. Gepo venne trasferito in un reparto per soggetti non pericolosi. Costretto ad abbandonare il suo unico amico, gli lasciò come ricordo un quadro. Il signor Bolzi nudo sdraiato in un prato annusava una margherita. La margherita aveva il velo. Il signor Bolzi sorrise. Il nuovo reparto era più colorato del precedente ma a Gepo interessavano solo i colori delle sue tele. L'unico vantaggio era che in questa ala dell'ospedale c'erano delle infermiere. Gepo quando ne vedeva qualcuna da lontano si concentrava inspirando profondamente. Nessuna aveva però il profumo di chi ha voglia di fare l'amore. Puzzavano
sempre e solo d' ospedale. Un giorno il direttore del manicomio andò a trovare Gepo. "Ciao ragazzo, come va?". Sorrise. "Finalmente posso vedere i tuoi quadri. Sai che tutti ne parlano?". Il colore delle labbra si sparse su tutto il volto. Un uomo distinto con i capelli bianchi guardò Gepo nudo. Senza malizia però. Lo vide in tutti i quadri. Lo vide e se ne innamorò. "Gepo, figliolo, forse tu non mi capirai ma io devo dirti che questi quadri sono troppo belli per rimanere chiusi qui. Tu chiedimi qualsiasi cosa ed io vedrò cosa posso fare, ma ti prego prestami almeno uno dei tuoi quadri. Posso farti partecipare ad una mostra che molta gente visiterà. Sono sicuro che farai successo. Dimmi, cosa vorresti in
cambio?". Era nudo e se doveva rimanere così ancora per molto chiese l'unica cosa che chiede un uomo nudo. "Voglio fare l'amore.". L'anziano sapeva che ciò era impossibile. "Ok farò il possibile. Tu intanto inizia a scegliere il quadro che mi puoi prestare.". Doveva tentare il tutto per tutto. Tre giorni dopo Gepo conobbe Ester. Gli infermieri che gliela portarono ridevano sotto i baffi. "Ecco con questa puoi scopare ogni volta che hai voglia.". Solo quando furono usciti Gepo guardò chi c'era sul letto. Un volto lievemente spaventato lo fissava. Lui l'accarezzò dolcemente. La pelle era morbida ma di- versa da quelle che per errore l'avevano sfiorato. Non aveva il profumo dell'
amore solo un lieve odore di plastica. Il ragazzo la coprì con un lenzuolo e si vendicò di chi gli aveva portato una bambola al posto di una donna. Si innamorò di lei più di quanto avrebbero mai potuto gli infermieri, i dottori e il direttore amare le loro mogli. Col tempo, senza fretta, lei avrebbe avuto il profumo giusto e allora, solo allora, avrebbero fatto l' amore. Nuovi talenti esponevano il loro futuro in mezzo a nomi già affermati. Critici d'arte svolazzavano quasi ovunque come Dio nel giorno del giudizio. Quasi ovunque. In un punto della sala piombavano a terra uno ad uno. In una cornice una stanza. Degli uomini straziati inchiodati alle pareti. Il loro sangue era la loro ombra. Due quadri grandi sembravano tenere per mano due più piccoli nel mezzo della stanza. Come una famigliola ammiravano le opere appese alle pareti.
Gli esperti si guardavano attorno sicuri di poter riconoscere il volto dell' autore di quel quadro senza firma ma in mezzo a tanti pittori tremanti Gepo non c'era. Aveva altro da fare. Stava cercando dei vestiti per Ester. Angelica stava seduta sulla mensola proprio di fronte all’entrata del negozio. Un negozio di giocattoli per chi non si accontenta mai o per chi non ha nessuno per accontentarsi. Salutava tutti i clienti abbracciandoli con le sue gambe divaricate. Gli uomini rispondevano con un certo rigonfiamento dei pantaloni. Era perfetta, bellissima. Ester stava in una postazione più timida, più adatta a lei con quel visino fatto forse, solo per un errore di perversione. Quasi certamente un pezzo unico, uno scarto di un ambiente dove l'unicità non è richiesta, dove si è saltata la fase del
peccato originale per permettere una più disinibita impurità. Madonna e puttana Ester. Appena arrivata fecero accomodare anche lei sulla mensola davanti all'entrata ma non era portata per quella parte, non ne era capace e la gente si imbarazzava per lei. Fortunatamente dopo pochi giorni arrivò il modello Jessica e dopo il modello Angelica che le permisero di rivestirsi di un po' d' ombra. Quando ormai la polvere le teneva caldo come un pullover, Ester incontrò qualcuno che riuscì a farle urlare: "Ehi signore, sono io quello che cerchi.". Sembrava fosse entrato in quel negozio perché l' aveva confuso con quello a fianco e adesso che si era reso conto si sentiva a suo disagio anche peggio di lei. Si voltò di colpo, più per nascondersi che per vederla e quando i loro occhi si incrociarono un
sorriso di rilassamento fu la firma del contratto. L'uomo distinto coi capelli bianchi che aveva visto Ester nuda, senza malizia però, la fece riposare nel baule della sua macchina. Non ebbe mai molta paura anche quando quegli odiosi infermieri l' accompagnarono dentro quell'enorme ospedale e ridendo la buttarono sopra la branda. Sembrava sapere che lì ad aspettarla c'era Gepo, l'essere umano che più tra tutti era simile a lei. L'unica persona che sarebbe riuscita a vedere le sue lacrime invisibili nelle notti in cui lei non aveva la forza necessaria per abbracciarlo così intensamente da mischiarsi o più semplicemente la forza per passargli una mano tra i capelli. Ester dormiva nel letto col pigiama che l'infermiera Anna aveva regalato a Gepo per lei. Da quando era arrivata il ragazzo dormiva sempre per terra. Si svegliava ad ogni
minimo rumore per controllare se per caso lei avesse bisogno di lui. Annusava l' aria, anche, per capire se per caso fosse giunto il momento di poter finalmente dormire con lei. Pensava che Ester non poteva ancora volerlo perché era stato cattivo nella vita, aveva avuto sempre troppa fretta. Troppa fretta di venire al mondo quando uccise sua madre il giorno in cui nacque. Troppa fretta quando violentò Elena senza fermarsi a sentire l'odore di lei che non lo voleva. Adesso avrebbe aspettato. Per ora era sufficiente che Ester lo consolasse a suo modo quando lui la mattina radendosi si tagliava o che gli facesse compagnia mentre dipingeva prati in cui loro correvano felici o mentre dipingeva un neonato che impicca la madre col cordone ombelicale. Non gli importava più nulla che altre persone guardassero i suoi quadri. Non arrossiva
più quando venivano a prendere i suoi dipinti da esporre nelle varie pinacoteche perché se qualcuno avesse urlato: "Ehi, che ci fa quel ragazzo scemo tutto nudo ?" sicuramente gli avrebbero risposto: "Non vedi che è con la sua fidanzata?". Anna non lavorava da molto. Apparteneva a quella vasta fascia di persone che non hanno abbastanza per non vedere chi non ha niente ma che hanno abbastanza da non potersi togliere ogni senso di colpa. Per questo aveva studiato da infermiera. Aiutava gli altri per poter convivere con se stessa. Il destino era stato benevolo a proporle quel lavoro. Sentiva che poteva fare molto per quei poveretti, in particolare per quel ragazzo che impazziva dalla gioia in un sorriso ogni qualvolta lei gli portava un suo vestito. Lo spiava, lo ammirava, si era proprio innamorata ed ormai il suo profumo parlava
di lui. Ora riusciva ad addormentarsi senza passare ore intere a piangere nel letto e l'unico sonnifero efficace era masturbarsi fino a svenire. Gepo sorrideva al corridoio quando sentì arrivare quell'odore. Anna lo salutò dolcemente, come sempre e gli sfiorò una mano. Il ragazzo abbassò lo sguardo e inspirò profondamente. C'era il profumo della voglia di lei di fare l'amore, ma andava oltre, c'era un altro odore. Sangue e viscere. Qualche cosa che lei aveva cullato per quasi un mese ed ora visto che non era servito lei andava a buttarlo. Gepo lo sentiva e sarebbe andato a raccoglierlo. Non per lui. L'avrebbe regalato ad Ester che l'avrebbe baciato ed abbracciato per averle regalato quella virgola di figlio adottivo. Non era difficile entrare nel bagno delle
infermiere. Gepo entrò e si sedette sul water. Svuotò il cestino. La luna era in gran forma in quel periodo ma il ragazzo sapeva che solo uno di quegli scrigni avvolti su se stessi conteneva il suo tesoro. Non poteva certo portare ad Ester un profumo qualsiasi. Non poteva regalarle una puzza di sangue incapace di amarlo o imbastardito dall'odore del sesso di qualcun altro. Con facilità trovò quello che cercava e buttò tutto il resto nel water. Il giorno successivo il bagno delle infermiere era intasato. Solo Anna sapeva perché , e sorrise mentre si lavava le mani nel bagno degli uomini. Anche senza seguirlo lei sapeva sempre cosa faceva lui. Se ora avesse chiuso gli occhi l'avrebbe visto nudo nella sua stanza che accarezzava Ester con il suo assorbente con l'intento di toglierle per sempre quell'odore di plastica. Anna non era
gelosa perché quella bambola aveva i suoi vestiti ed ora anche il suo odore e le sarebbe bastato poco per completare la sostituzione. A Gepo piaceva il nuovo odore di Ester ma non era ancora la voglia di lei di fare l’amore. Quel profumo le sarebbe dovuto venire da dentro, col tempo. Gepo l' avrebbe aspettato pronto a donare o a fare tutto ciò che sarebbe servito alla sua donna per poterlo amare. Quel giorno Ester aveva un vestito nuovo, primaverile. Anna l'aveva anche truccata come era truccata lei. Era proprio bella. Dal borsone l'infermiera non aveva tirato fuori solo il vestito da donna ma anche un completo da uomo, elegante, con delle scarpe lucide come specchi. "Gepo vai in bagno a metterti questo bel vestito. Vedrai che sorpresa farai ad Ester.
Sono sicura che quando tornerai di qui lei ti bacerà e ti porterà a ballare. lo devo scappare, non so se ci rivedremo, ciao.". Gepo andò a cambiarsi. Quando tornò nella stanza Ester, con le lacrime agli occhi, lo baciò scaricando in un attimo tutta la sua passata solitudine. Mano nella mano come una coppia distinta e con l'aiuto del passe-partout di Anna, riuscirono ad uscire, inosservati, dal reparto. Gepo dopo tanti anni respirava finalmente aria non sedativizzata, guardò Ester e si sentì solo, solo come chi ama. "Anna perché ti sei messa il vestito di Ester?". "Non sono Anna sono Ester e ti amo.". "lo voglio Ester, non posso lasciarla sola là dentro.". "Fermati Gepo, ti prego, io ti posso dare tutto quello di cui hai bisogno. Ester è solo una bambola.".
Una freccia colpì la dura armatura della follia ma fece solo passare per pazzo chi la scagliò. "Ester non è una bambola. Si è solo addormentata e sta aspettando che io diventi un principe.". "Tu sei già tutto, sei già un principe, senti cosa riesci a fare dentro me!". Gli prese una mano e si fece accarezzare tutto il corpo fino alla sorgente che avrebbe dovuto battezzare il loro amore. Gepo si sentì un principe, ma un principe senza terra. Il giorno successivo la polizia non trovò nessun principe e nessun organo capace di trasformare qualsiasi uomo in un principe, solo quello che restava del corpo di una donna. Il principe era tornato alla sua terra con un' ampolla per ridonare la vita alla sua bella. Un'ampolla con un frutto della vita che col passare
dei giorni avrebbe odorato di morte ma sarebbe stato facile confondere col profumo dell'amore come quando fai sesso per dei giorni in una scatola e non ti preoccupi di lavarti o di togliere il coperchio. Ester aspettava Gepo nascosta sotto il letto sicura che era andato via solo per portarle dei doni che le avrebbero dato la forza di profumare d'amore. Un profumo col quale l'avrebbe tirato a se fino a mischiarsi, fino a fargli sentire la sua mano passargli tra i capelli. Così avvenne e per molto tempo questo amore fu così grande che nessuno osò più intromettervi si e quando osò ne venne sepolto. Il dottor Rossi entrò senza bussare. Gepo non sarebbe potuto tornare prima di un paio d' ore. Era di turno in mensa. Ester l' aspettava seduta
sul letto. Quando si accorse che non era lui urlò in silenzio ma nessuno la sentì, si limitò a tremare immobile. L'uomo col camice bianco le si sedette accanto e cercò di riprendersi dall' odore spesso che difendeva quella camera dove nessun inserviente era forse mai entrato a fare pulizia. "Finalmente ti riesco a vedere. Era molto tempo che volevo farlo. Volevo capire come mai quello scemo di Gepo da quando sei qua tu sembra la persona più normale dell'ospedale, dottori compresi. Come hai fatto? Tra pochi giorni lo sbatteremo fuori di qui. Il tuo amico, oh scusami, fidanzato, è quasi famoso come Picasso e l'opinione pubblica non sopporta di tenere i geni dietro le sbarre, ne ha già ammazzati tanti e non vuole ripetersi. Sai uno psichiatra non può andare da un altro psichiatra o confidarsi con uno qualunque. Tu hai già avuto un
paziente e l'hai aiutato bene, ora dovrai aiutare anche me. Ascoltami attentamente. Avevo dodici anni quando ho passato un'estate in campagna. Avevo fatto amicizia con un allevatore di mucche e andavo spesso ad aiutarlo nella stalla. Finito il lavoro andavamo a fare la doccia in un capanno vicino. Nella baracca c'era sempre una vecchietta che sembrava si divertisse a guardarci quando noi nudi ci insaponavamo sotto il getto d'acqua. All'inizio mi vergognavo un po' a spogliarmi davanti a lei ma la noncuranza con cui il mandriano si toglieva i vestiti eliminava ogni mia remora. Lui aveva un pene enorme che destava in me una sorta di invidia e ammirazione. A volte mi incantavo a guardarglielo ed un giorno lui se ne accorse. Mi chiese, ridendo, se oltre a guardarlo volevo anche toccarlo. lo mi voltai di scatto, sicuramente rosso in volto,
verso la vecchina come per chiedere aiuto. Lei sorrideva e mi fece un cenno con la testa per incitarmi a toccare quell' esagerazione. Mi avvicinai verso di lui e timidamente lo toccai. Poco dopo lui iniziò a mostrare sul mio corpo cosa dovevo fargli. La vecchia sembrava stesse per scoppiare dalla gioia. Si grattava con le unghie sporche e lunghe in mezzo alle gambe con una forza che non le avrei mai sospettato. Quando il bovaro mi sbatte a terra feci in tempo a vedere la vecchiaccia che con un tronco grosso e ruvido sembrava si volesse cancellare la figa con energia terrificante. Quando il sangue iniziò a coprirle le ginocchia finalmente si fermò ed iniziò a ridere come se avesse ritrovato la sua giovinezza. Subito dopo mi parve che gli occhi mi saltassero fuori dalle orbite. Da quel giorno non sono più riuscito ad andare ne con un
uomo ne con una donna. Ma ora ci sei tu che mi farai dimenticare tutto questo." Il dottor Rossi entrò in Elena senza bussare. Via Via Via Vola Via Ester era già scappata, correva dal suo unico amore. Nessun profumo era in quella stanza, solo una trappola di plastica, per catturare un odore che sarebbe bastato come spiegazione. Gepo tornò, l'annusò e capì tutto. Piansero. Piansero. E dopo piansero. Prepararono un banchetto d' addio. Gepo dopo tanti anni sarebbe tornato libero. Controllato ma libero. Qualche anno prima non gliene sarebbe importato nulla, ora però lì non era più un posto sicuro per Ester. Fuori l'avrebbe potuta difendere sempre, non
l'avrebbe mai più dovuta lasciare sola. Fuori sarebbe stato più facile dimenticare o perlomeno non pensarci più. Erano di nuovo felici. Una macchina con autista mandata dal museo dove erano esposte le sue principali opere li avrebbe accompagnati. Sarebbero tornati a casa, Gepo era impaziente di far conoscere ad Ester suo padre. Quell'uomo che era stato l'unico amico della sua infanzia, l'unico che l'aveva cullato o imboccato e l'unico che aveva bestemmiato quando lui piangeva la notte. Un uomo che era stato emarginato da tutti perché alcolizzato aveva sempre dovuto pagare in contanti ogni persona che faceva l' amore con lui. Quando arrivarono lo trovarono che baciava labbra di vetro dolce whisky. Li accolse come se Gepo fosse tornato dal servizio militare, orgoglioso del figlio e della sua fidanzata. Orgoglio, già troppa gioia per un uomo
che troppi anni prima in un cimitero con il figlio appena nato in braccio, aveva annusato il vento e aveva sentito odore di chiuso. Gepo lo amava ma vide solo stanchezza come unico lampo di vita negli occhi di quell'antico super eroe di cartoni animati mai visti. Ester e Gepo avevano una camera tutta per loro dove facevano l' amore e passavano buona parte del loro tempo a ridere e giocare. Tutta la casa sembrava perdere ogni giorno di più le sembianze di una discarica di solitudini. Dai vasi sui mobili e sul tavolo nascevano fiori. Le altre case del paese con chi le abitava potevano scomparire di botto e nessuno dei due innamorati se ne sarebbe accorto, appagati come erano dai campi e dai boschi che li circondavano. Vecchi ricordi di quadri con corse nei prati finalmente si realizzavano. Ogni tanto venivano a trovarli dei giornalisti. Gepo
non parlava mai loro di Ester. Lei non avrebbe sopportato la luce dei riflettori, era già abbastanza penoso per lui che voleva solo pace. Gepo cercava di far capire a quella gente che era tutto merito di suo padre se riusciva a vedere le cose come poi le dipingeva. I giornalisti guardavano il vecchio ma vedevano solo una larva avvolta nel suo vomito e cercavano sconvolti di cambiare argomento. Il ragazzo li odiava. Come potevano parlare di arte se non riuscivano a vedere la mastodonticità di quel piccolo uomo. Si ripromise che un giorno sarebbero stati costretti a vederlo per quello che era in realtà e l'avrebbero ammirato. Questo avvenne presto. Il muro fece da tela. Gli innamorati i pittori. Martelli e spatole da pennelli. Il cuore, il cervello e tutto il resto del padre i colori. I critici sarebbero stati contenti. Nessun
altro al mondo era riuscito a rappresentare meglio un sacco di pelle che si era svuotato della stanchezza di vivere gettando nell'infinito ogni briciola di se. La larva aveva ricevuto le sue ali. Fuori pioveva, Gepo ed Ester uscirono a lavarsi. Bagnati fradici iniziarono a danzare. Sembrava che lo spirito del padre al colmo della felicità li stesse trascinando con se verso l'alto. Quando tornarono in terra una macchina li aspettava per accompagnarli alla fine della favola. Gepo sorrideva. La ragazza al volante era brava, poteva permettersi di tenere il piede sul fondo dell' acceleratore e la testa tra le nuvole. Gepo abbracciò forte Ester e disse: "Prima il dottor Rossi.". La ragazza sorrise. Angelica vide entrare il dottore con delle persone
che l' avevano seguito dall’ospedale. Strano pensò, non l'aveva mai visto in compagnia di qualcuno. Le sembrava di conoscere una di quelle persone. Doveva chiamarsi Ester, ma quando l' aveva conosciuta lei aveva un odore più simile al suo, era molto timida e non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere. Quando ammazzarono il dottore Angelica non si sentì più sola di quanto lo si sentiva mentre lui la scopava. C'era una casetta abbandonata in fondo alla viuzza di campagna. Una stanza era stata accuratamente pulita ed imbiancata. Nel mezzo della stanza due quadri grandi sembravano tenere per mano due quadri più piccoli. Come una famigliola ammiravano l’opera appesa alla parete. Ester, seduta lì sotto, piangeva lacrime di sangue, ultimo regalo del suo Dio crocefisso. La ragazza posteggiò la macchina. Tastò le tasche.
Si aveva preso le chiavi di casa. Aprì la porta e dopo tanti anni tornò finalmente a casa. E rivolgendosi all'unica persona che viveva con lei disse: "Cosa ci fai ancora alzato a quest'ora? Fila subito a letto!". E se fossimo al cinema a questo punto il volto di un ragazzino si girerebbe dal foglio su cui stava disegnando ed in un ultimo primo piano vi regalerebbe un gigantesco SORRISO.
Perché morte ci unirà per sempre.