Massimiliano Veronesi
Naturale e irrazionale Breve saggio sul numero indicato con la lettera e
Questo volumetto e´ dedicato al mio amico Fulvio1 , che e´ attratto dalle trame e dalle simmetrie e che per il resto.. .. Sa tutto quello che gli occorre sapere.
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Gli eventuali compensi per l’autore di questo breve saggio vengono devoluti a sostegno del centro per disabili C.D.D. ANFFAS di Besozzo (VA), ove lui passa buona parte delle sue giornate.
Prefazione Spesso si sente usare l’espressione “in modo esponenziale”, generalmente a proposito di qualche fenomeno, notizia o costume sociale che si sta ripetendo o diffondendo molto rapidamente. Questo modo di dire e´ entrato nell’uso comune come sinonimo di “a larga scala”, “a vasto raggio” o addirittura “a macchia d’olio”, senza troppo curarsi di cosa vuol dire tecnicamente la parola “esponenziale” e quale vertigine matematica possa celarsi dietro di essa. Peraltro, gli andamenti effettivamente di questo tipo, crescenti ma anche decrescenti, sono piuttosto diffusi in natura: dal decadimento radioattivo, alla diffusione delle epidemie, dalle dinamiche dei processi chimici o termici a quelle delle popolazioni, dal calcolo di interessi bancari alle distribuzioni di probabilit´a, dalla scala di misura dei terremoti al disordine di un gas. Eppure poche volte ci si sofferma a considerare quello che in comune hanno questi andamenti: l’attenzione si fissa maggiormente sulla variabile (o le variabili) che figura come esponente lasciando in secondo piano la base che per´o spesso e´ lo stesso numero, un numero con infinite cifre dopo la virgola, che viene indicato con la lettera e. Perch´e proprio questo strano numero ? Quanto vale ? Da dove arriva ? Questo breve saggio ha lo scopo di illustrare la sua natura, perch´e lo ritroviamo cos´ı spesso e di conseguenza come mai questo numero sia in qualche modo incastonato nella descrizione che siamo in grado di dare al nostro mondo e ai fenomeni che possiamo percepire e misurare. Partendo dall’ideazione dei logaritmi da parte di John Napier (1550-1617) e dalla introduzione del numero e da parte del grande Leonhard Euler (1707-1783) - dei quali si daranno alcuni cenni biografici - si proceder´a 2
alla spiegazione delle propriet´a delle funzioni esponenziale e logaritmica, per poi illustrare i casi pi´u eclatanti ove questo numero gioca un ruolo fondamentale. Si avr´a cos´ı l’occasione di avvicinarsi ad aspetti applicativi della matematica, una scienza che sempre pi´u si connota come disciplina rivolta alla costruzione di modelli della realt´a che ci circonda. Dalla meccanica alla termodinamica, dall’ecologia alla fisiologia, dalla geometria alla statistica, il numero e fa la sua comparsa e spesso non si tratta di ruoli secondari. Le formule in cui esso compare sono pi´u o meno importanti ma hanno tutte qualche cosa in comune: la dinamica esponenziale. E pensare che e´ un numero che non possiamo rappresentare con una quantit´a finita delle nostre cifre, a conferma, forse, dei nostri limiti nella comprensione dei disegni del Progettista Celeste, se esiste. Alla trattazione, che pur rimane di natura tecnico-scientifica, ho cercato di dare un carattere divulgativo e interdisciplinare. Alcuni approfondimenti di dettaglio, riportati in qualsiasi testo di analisi matematica, sono stati relegati in una Appendice, in modo da dover essere affrontati solo dai lettori pi´u abituati al formalismo necessario. Il testo e´ rivolto pertanto ad un pubblico eterogeneo di non specialisti, interessati al sapere tecnico-scientifico e curiosi di capire come funziona la realt´a che ci circonda e perch´e la matematica gioca un ruolo cos´ı importante nella sua comprensione e nella descrizione che possiamo fare di essa. Gli eventuali addetti ai lavori che si trovino ad intrattenersi con questa breve lettura mi perdoneranno per aver omesso talvolta qualche ulteriore precisazione. D’altra parte qui non si vuole trattare nessuna delle materie esposte in modo completo ma solo, con la scusa di raccontare la storia e gli impieghi del numero e, catturarne gli aspetti essenziali per avvicinare i giovani lettori alla matematica e al suo potere di rappresentazione della realt´a. Chi invece conosce gi´a gli argomenti potr´a forse trovare piacevole averli raccolti in una trattazione unica che pu´o far apprezzare il legame di parentela che il linguaggio della matematica consente di stabilire tra discipline anche molto diverse. Avendo dedicato parte della mia vita agli studi tecnico-scientifici, sono stato co-autore e autore di alcune (semplici) pubblicazioni attraverso le quali ho cercato di dare il mio modestissimo contributo alla ricerca e alla didattica in uno dei mille ruscelli che alimentano l’ampio e incessante
flusso del progresso tecnologico. Questo breve saggio rappresenta invece il mio (altrettanto modesto) contributo alla divulgazione scientifica, un ambito al quale, in un contesto storico in cui molte energie vengono sprecate nell’artificioso e nell’effimero, attribuisco una importanza educativa e pertanto sociale almeno potenzialmente non secondaria. Alcuni amici sono stati cos´ı gentili da segnalarmi qualche incomprensione o qualche spunto di approfondimento, dopo aver visionato la prima bozza di questo libro. A tutti va pertanto la mia riconoscenza per il tempo dedicato ad una lettura che probabilmente non sarebbe rientrata esattamente tra le loro priorit´a ed in particolare a Riccardo ed Antonio un sincero ringraziamento per gli spunti che mi hanno segnalato. Prezioso anche, da parte di Alessandro, il supporto alla impaginazione e al confezionamento di queste pagine. A mia moglie Lucia, infine, vanno i miei ringraziamenti finali perch´e da questa mia indagine e´ rimasta incuriosita e mi ha incoraggiato a proseguirla fino a farla diventare un breve saggio. Il simpatico adulto bambino cui esso e´ dedicato e´ suo fratello.
Essere naturali e´ una posa cos´ı difficile da mantenere Oscar Wilde, Un marito ideale
Indice Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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I Naturale e irrazionale
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1 Infiniti.. ma limitati
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2 Il trucco dell’Highlander
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3 Il piu´ bravo e la piu´ bella
25
4 Gli viene naturale
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5 e-sempi nella vita di tutti i giorni
39
6 Spirali frattali
47
7 Reazioni e radiazioni
53
8 Popolazioni modello
61
9 Ordine e disordine
73
10 Informazioni, segreti, misteri
83
11 Siamo tutti logaritmici ?
93 7
II Approfondimenti e Bibliografia
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1 Richiami di Analisi Matematica 102 1 x 1.1 La funzione 1 + x . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 1.2 Irrazionalit´a di e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 1.3 Il caso dell’interesse 6= 100% . . . . . . . . . . . . . . . 106 1.4 L’equazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 1.5 Le derivate di ex e ln(x) . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 1.6 Integrazione vs. derivazione . . . . . . . . . . . . . . . 110 1.7 Equazioni differenziali lineari . . . . . . . . . . . . . . 112 1.7.1 Equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti113 1.8 La trasformazione di Laplace . . . . . . . . . . . . . . . 114 2 Bibliografia utilizzata
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Parte I
Naturale e irrazionale
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Capitolo 1
Infiniti.. ma limitati Fu tutto inutile: tra il frontespizio e la mano c’erano sempre varie pagine. Era come se spuntassero dal libro J.L. Borges, Il libro di sabbia
Supponete di essere stati cos`ı fortunati da trovare un istitutio di credito che vi conceda un tasso di interesse annuale del 100% sul vostro capitale investito, strategia che non e` mai stata in linea con le intenzioni dei banchieri. A questo punto potreste limitarvi ad investire anche solo 50 monete per avere, dopo un anno 50 × (1 + 100 %) = 100 monete, dopo due anni poi 50 × (1 + 100 %) × (1 + 100 %) = 50 × (1 + 1 )2 = 200 monete. Dopo tre anni 400 monete e dopo n anni avrete dunque un capitale pari a quello iniziale moltiplicato per (1 + 100 %)n . Se l’interesse vi fosse riconosciuto mensilmente anzich`e alla fine dell’ anno, le cose andrebbero ancora meglio perch`e la base del coefficiente moltiplicativo non sarebbe pari a (1 + 1)n ma a (1 + 1/m)m con m = 12, ovvero circa 2.613. Su base giornaliera esso varrebbe allora (1 + 1/g)g con g = 365, che vale circa 2.7145674820.
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Capitolo 1
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Figura 1.1: Il funzionario illustra l’andamento degli interessi Spingendo al massimo la risoluzione del calcolo si dovrebbe valutare la quantit`a limite (1+1/x)x per x sempre pi`u grande (figura 1.2). Ebbene questa quantit`a converge ad un certo valore con infinite cifre decimali, 2.7182812845..., indicato convenzionalmente con la lettera e. Si definisce cio`e 1 x =e limx→+∞ 1 + x
(1.1)
Figura 1.2: La successione converge ad e
Se la banca riconoscesse l’interesse su base istantanea il capitale dopo n anni sarebbe allora pari a quello iniziale moltiplicato per en . Con la scrittura “lim”, si vuole significare come la quantit`a e sia appunto il limite a cui converge la successione (1 + 1/k)k al tendere di k all’infinito, un numero strano in quanto non esprimibile come rapporto (dal latino ratio) 11
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Infiniti.. ma limitati
di altri due numeri interi e, pertanto, classificabile tra i numeri non razionali ovvero irrazionali. Ci`o significa che, a differenza di quanto accade in figura 1.3, non e` possibile trovare due numeri interi tali che uno sia e volte l’altro.
Figura 1.3: Commensurabilit`a
Questa e` l’essenza stessa dell’incommensurabilit`a che rende i numeri irrazionali cos`ı sfuggenti e inafferrabili e perci`o mise in imbarazzo i pitagorici quando scoprirono che tale era la natura della misura della √ semplice diagonale di un quadrato di lato unitario. A differenza della 2, il numero e non si riesce nemmeno ad ottenere come soluzione di una equazione algebrica a coefficienti interi. Per questo motivo esso entra nella speciale categoria dei numeri irrazionali trascendenti; per questo risultato si e` per`o dovuto attendere Charles Hermite, nella seconda met`a del XIX secolo. I numeri irrazionali possono evocare in qualche modo l’abisso. Siamo infatti abituati a rappresentare il concetto di infinit`a attraverso una successione senza fine di elementi numerabili come ad esempio i numeri interi (o anche naturali il cui insieme viene indicato con N). Paradossalmente sono infiniti dello stesso ordine anche l’insieme dei numeri pari (o dispari) e anche dei numeri razionali (indicato con Q); entrambi infatti, pur sembrando rispettivamente in quantit`a inferiore e superiore rispetto ai numeri naturali, possono essere messi in corrispondenza biunivoca con 12
Capitolo 1
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gli interi. Dato infatti che si pu`o andare avanti a contare per sempre, esiste sempre un numero intero n tale per cui un certo numero razionale risulta l’n-esimo della sua successione. Trattare con gli infiniti e` dunque molto insidioso perch`e un insieme pu`o essere equipotente (ovvero avere la stessa cardinalit`a) con uno dei suoi sottoinsiemi. L’insieme, indicato infine con R , dei numeri reali (che contiene, oltre ai precedenti, anche gli irrazionali) non risulta per`o equipotente con quello dei naturali. La loro cardinalit`a e` infatti dello stesso ordine di quella dei punti di un segmento, cosa che invece non si pu`o dire per i numeri naturali: si tratta perci`o di una infinit`a non numerabile. Per questi risultati siamo debitori a Georg Cantor, insigne matematico nato a San Pietroburgo da padre danese e madre austriaca ma formatosi in scuole svizzere e tedesche, che affront`o questi studi verso la fine dell’Ottocento, prima di rimanere vittima prima di varie depressioni ed infine delle avversit`a economiche legate alla Grande Guerra della quale non vide il termine, morendo nell’ospedale psichiatrico di Halle nel gennaio del 1918. La sua ipotesi che non esistano infiniti di ordine intermedio tra quello dei numeri interi e quello dei reali, nota come l’ ipotesi del continuo rimase a lungo tempo oggetto di indagine finch`e non fu dimostrato (da P.J. Cohen, nella seconda met`a del ’900) che essa rientra in quella inafferrabile cerchia di asserzioni (la cui esistenza fu introdotta da Kurt G¨odel negli anni ’30 del secolo scorso) che sono appunto indimostrabili (nell’ambito della teoria assiomatica degli insiemi). Ci`o non deve turbare pi`u di tanto perch`e se un sistema formale e` logicamente coerente (ovvero non contiene enunciati che si contraddicono), la sua non contraddittoriet`a non pu`o essere dimostrata stando all’interno del sistema stesso; questo e´ stato dimostrato (rivoluzionando per sempre la logica matematica) da G¨odel, celebre logico matematico (e anche filosofo) nato in Moravia, formatosi negli ambienti del Circolo di Vienna e dalla II Guerra Mondiale in poi vissuto a Princeton (ove usava passeggiare amichevolmente con Albert Einstein) prima di rimanere praticamente ucciso dalla sua stessa patologica ipocondria verso gli alimenti, che lo aveva accompagnato praticamente dalla febbre reumatica contratta all’et`a di otto anni. Il ragionamento “diagonale” di Cantor (considerato giustamente il padre della moderna teoria degli insiemi) circa la non numerabilit`a dei reali e` 13
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Infiniti.. ma limitati
piuttosto celebre e val la pena di essere riportato qui di seguito. Si consideri un elenco qualunque di numeri reali scelti a caso, come ad esempio: 0.24268493.. 0,546583912.. 0.704873694.. 0.468948208.. 0.905783740.. Si prenda ora la prima cifra decimale del primo numero, la seconda del secondo, la terza del terzo e cos`ı via: si otterr`a un nuovo numero reale (0.24498. . . ). Si cambi infine a caso ognuna delle cifre di questo numero cos`ı ottenuto: e` evidente che si ottiene un nuovo numero che differisce per almeno una cifra da ogni numero precedente. Ci`o dimostra come qualsiasi elenco di numeri reali debba essere incompleto, ovvero come il loro insieme non sia numerabile. Non si possono cio`e mettere i numeri reali in fila per uno (come si farebbe con gli interi) perch`e tra due successivi elementi della ipotetica successione ci possono sempre stare altri infiniti elementi, anzi infinite altre successioni. Ma torniamo ora al nostro numero irrazionale preferito, ovvero e. Il grafico di figura 1.4 rappresenta l’andamento della funzione f (x) = (1 + 1/x)x , per x ≥ 0. Il lettore pu`o facilmente verificare che per x → −∞ la funzione tende ancora ad e (ma questa volta arrivandoci dall’alto) oppure dare un’occhiata ai i Richiami di Analisi Matematica riportati nella II parte. Le prime tracce di studio intorno alla convergenza di questa successione si trovano in alcuni scritti di Jacob Bernoulli (16541705), celebre matematico e fisico ed esponente di una famiglia che forse pi`u di ogni altra ha regalato talenti alla scienza. Strano destino, quindi, quello della quantit`a (1 + 1/x)x . Da un lato si sarebbe portati a pensare che, per x → +∞, essa debba valere 1: infatti 1/x diventa sempre pi`u piccolo e quindi quello che viene elevato a x e` sostanzialmente 1 (che elevato a qualsiasi cosa fa sempre comunque 1). Dall’altro per`o (1 + 1/x) non e` mai esattamente pari a 1 ed e` noto che in tal caso elevando la quantit`a ad un esponente a sua volta maggiore di 1, il risultato diverge verso infinito. Come spesso accade in questi casi, che appunto vengono detti forme 14
Capitolo 1
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Figura 1.4: L’andamento di f (x) = (1 + 1/x)x , per x ≥ 0
indeterminate, si verifica un conflitto tra due tendenze opposte, un conflitto che viene risolto solo attraverso il concetto di limite. Per x → +∞ le due forze contrarie trovano un compromesso che in questo particolare, ma fondamentale, caso vale proprio e. Vale la pena di sottolineare quanto il limite sia sfuggente: esso non viene infatti mai effettivamente raggiunto; quello che accade e` che, proseguendo per x sempre pi`u grande, il valore della funzione si avvicina sempre pi`u a quello del limite ma attraverso il contributo di cifre decimali sempre meno significative. La differenza tra i due valori pu`o essere piccola a piacere, pur di andare abbastanza avanti nell’asse delle ascisse. Questo e` il motivo per cui per le rette cui le funzioni tendono (y = e, nel nostro caso) e` stato scelto il nome di asintoti, che in greco significa “che non si incontrano”. Verso le cifre decimali meno significative non e` prudente peraltro avere atteggiamenti di frettolosa sufficienza. Ad una operazione di troncamento si deve infatti l’esplosione in volo del razzo Ariane 5, avvenuta il 4 giugno del 1996 a soli 36 secondi dal decollo e costata alla NASA alcune centinaia di milioni di dollari. In tal caso l’errore fu dovuto alla 15
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Infiniti.. ma limitati
errata rappresentazione del numero con un numero insufficiente di bit (16 invece di 64) causata dal riutilizzo di software implementato per Ariane 4, ove per`o il risultato dell’operazione non veniva utilizzato durante il decollo; il valore in realt`a dotato di cifre dopo la virgola divenne cos`ı un intero troppo elevato che indusse il microprocessore a generale una operation exception che venne a sua volta convertita in un errato messaggio di diagnostica interpretato come dato relativo alle condizioni di volo. Di qui il disastro. A differenza di suoi “colleghi” pi`u illustri quali π (pi-greco) e φ (la sezione aurea), il numero e non gode della stessa popolarit`a. Ci`o e` dovuto probabilmente al fatto che i primi due trovano il loro significato nelle pi`u intuitive scienze geometriche mentre e viene definito nell’ambito dell’arido e astratto calcolo numerico. Il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il suo diametro, π, ricorre infatti in innumerevoli aspetti della geometria piana e, proprio per questo, mantiene un significato facilmente visualizzabile; analogamente la sezione aurea, definita come la proporzione tale per cui l’intero sta alla parte maggiore come quella maggiore sta alla minore, risulta facilmente ricavabile per via grafica e rimane pertanto largamente impiegato da architetti e geometri. Pur provenendo da un contesto pi`u astratto e meno intuitivo il numero e e` forse per`o quello che risulta pi`u presente in contesti scientifici del tutto eterogenei, e con un ruolo piuttosto concreto. Vedremo quali, ma prima un po’ di fondamenti matematici e anche storici. Per inciso, se l’interesse non fosse del 100% ma pari ad λ, il limite della successione sarebbe eλ . Il lettore pu`o facilmente provarlo oppure consultare i Richiami di Analisi Matematica riportati nella II parte.
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Capitolo 2
Il trucco dell’Highlander Facesti come quei che va di notte che porta il lume e s´e non giova, ma dopo s´e fa le persone dotte Dante Alighieri, Purgatorio, Canto XXII
Era il 1549 e Archibald Napier aveva solo quindici anni quando, dopo aver sposato la figlia dell’Arcivescovo di Orkney, la port´o a vivere con se al castello di Merchiston, presso Edimburgo, che la sua famiglia possedeva sin dal 1430. L’anno seguente nasceva John (o meglio Jhone, come si usava all’epoca), destinato ad essere ricordato a lungo nella storia della matematica, con il nome italianizzato di Giovanni Nepero. Mentre il padre diventava un membro influente della comunit´a locale, fu proprio il nonno Arcivescovo a fare a John da tutore per i primi anni. Quando ne ebbe undici egli sugger´ı caldamente al padre di John di indirizzarlo agli studi, mandandolo in qualche scuola autorevole, magari in Francia o nelle Fiandre. La madre di John, Janet Bothwell, riusc´ı a farlo entrare all’Universit´a di St. Andrews, appena prima di morire, quando il ragazzo aveva solo 13 anni. Tuttavia John non appare nelle liste dei laureati di St. Andrews per cui si suppone abbia terminato gli studi in qualche scuola europea, probabilmente a Parigi. 17
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Il trucco dell’Highlander
Anglicano fervente, egli dedic´o i suoi interessi alla teologia anche dopo essere tornato in Scozia, nel 1571, per sposarsi con Elizabeth Sterling, dalla quale ebbe due figli. Tracce sono rimaste delle sue posizioni ostili alla chiesa cattolica di Roma, quando sembrava possibile un’invasione della sua terra da parte di Filippo Re di Spagna. Nel 1579 la moglie mor´ı ma John si rispos´o quasi subito con Agnes Chisholm dalla quale ebbe altri 10 figli. Invecchiando il padre, John inizi´o a dedicarsi agli interessi familiari, abbandonando la teologia: le sue attenzioni furono principalmente dedicate a questioni pratiche di agronomia e di meccanica; tuttavia egli riconobbe nella matematica un utile strumento di lavoro e vi si dedic´o con l’intento di trovare formule e metodi che rendessero pi´u agevole fare i calcoli complessi. E` in quest’ambito che concep´ı l’invenzione del logaritmo, per la quale sar´a destinato ad essere ricordato, probabilmente per sempre. Ispirato, pare, dalle formule di prostaferesi gi´a usate nell’ambito della trigonometria, egli pens´o semplicemente di sfruttare i risultati che si ottengono associando una progressione aritmetica ad una geometrica. Si consideri ad esempio la sequenza (geometrica) nk+1 = 7nk , che,
Figura 2.1: John Napier
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Capitolo 2
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partendo da n0 = 1, porta alla successione 1, 7, 49, 343, 2401, . Si associ ora semplicemente a questa successione quella (aritmetica) dei numeri pari 0, 2, 4, 6, 8, e si stabilisca per convenzione che 0=log(1), 2=log(7), 4=log(49), 6=log(343), 8=log(2401), etc. A questo punto non e´ difficile accorgersi che, per fare il prodotto di (7 × 343) basta sommare (2+6), una operazione decisamente pi´u semplice della moltiplicazione, e andare a vedere quanto vale il log del risultato dell’addizione. Il problema e´ solo che se la ragione della progressione geometrica (pari a 7 nel nostro esempio) e´ maggiore di 1, molti numeri intermedi non possono essere rappresentati in questo modo. John decise allora di utilizzare una ragione appena inferiore ad 1, pari a (1 − 10−7 ), associandola alla serie dei numeri interi 1, 2, 3, In questo modo ciascun numero N compreso tra 0 e 107 pu´o essere associato al suo logaritmo L tale che (1 − 10−7 )L × 107 = N . Ad esempio: (.9999999)0 107 (.9999999)1 107 (.9999999)2 107 (.9999999)3 107 ...
= 107 = 9999999 = 9999998.1 = 9999997.1
(2.1)
E´ facile dunque constatare che il prodotto (o il rapporto) tra due numeri N1 ed N2 (a destra dell’uguale), pu´o essere valutato andando a cercare, nella tabella delle corrispondenze, quanto vale la somma degli esponenti L1 + L2 (o la differenza L1 − L2 ). Nepero pubblic´o i risultati della sua ricerca nel celebre Mirifici logarithmorum canonis descriptio ove diede a questi esponenti il nome divenuto immortale di logaritmo, che deriva dal greco rapporto numerico. La sua definizione in latino fu la seguente: “logarithmi sunt numeri qui proportionalibus adjuncti aequales servant differentias” (i logaritmi sono numeri che fanno corrispondere uguali differenze a numeri tra loro proporzionali). Di seguito invece una traduzione libera dal latino originario di uno dei tratti iniziali del suo testo: Vedendo che non c’´e nulla (ben noto agli studiosi di matematica) di cos´ı problematico per la pratica del calcolo ne pi´u 19
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Il trucco dell’Highlander molesto e noioso delle moltiplicazioni, divisioni, radici quadrate e cubiche di numeri elevati, che, a parte la notevole perdita di tempo, sono in gran parte soggette a numerosi viscidi errori, cominciai perci´o a considerare nella mia mente con quale arte poter rimuovere tali impedimenti. Ed avendo pensato a molte cose a questo scopo, trovai alcune eccellenti regole di cui trattare qui di seguito. Ma tra tutte, nessuna e´ pi´u profittevole di questa che insieme alle noiose moltiplicazioni, divisioni ed estrazioni di radice, elimina dal lavoro gli stessi grandi numeri che devono essere moltiplicati, divisi e posti sotto radice, rimpiazzandoli con altri numeri sui quali praticare giusto addizioni, sottrazioni, divisioni per due o per tre.
Figura 2.2: La pubblicazione che contiene l’invenzione dei logaritmi
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Capitolo 2
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Era il 1614. John Napier mor´ı solo tre anni dopo, nel 1617, nel castello di Gartness, presso Edimburgo, ove si era trasferito con la sua famiglia. La sua idea era invece destinata a diventare una delle basi della matematica di tutti i tempi, rappresentando un passo avanti nel progresso delle conoscenze per tutta l’umanit´a. Con lui si chiudeva un secolo, il ’500, che aveva visto la rinascita delle grandi imprese scientifiche dopo i secoli bui del medio evo, il secolo delle esplorazioni geografiche di Magellano, della rivoluzione eliocentrica di Copernico, Galileo e Keplero. Cos´ı si esprimeva Edmond Halley, lo scopritore dell’omonima cometa, nelle sue Philosophical Transactions1 , solo alla fine del medesimo secolo: The invention of the Logarithms is justly esteemed one of the most useful discoveries in the art of numbers, and accordingly has had an universal reception and applause [. . .] [. . .] these artificial numbers, which have rendred their construction much more facile than by those operose methods at first used by their truly noble inventer the Lord Napier and our worthy country-man, Mr. Briggs. Henry Briggs, professore di matematica ad Oxford, entusiasmato dall’idea di Nepero, si rec´o a fargli visita e dalla collaborazione tra i due naquero le prime Tavole dei logaritmi. Negli anni successivi Briggs inquadr´o meglio il ruolo di base svolto dalla ragione della progressione geometrica e sugger´ı di utilizzarne una pi´u pratica pari a 10. Nel 1624 pubblic´o la sua Arithmetica Logarithmica, che conteneva gi´a i logaritmi dei primi 20000 numeri interi e di quelli tra 90000 e 10000, approssimati fino alla 14-esima cifra decimale. Nel frattempo altre tavole dei logaritmi apparvero in Europa, tra le quali quelle di Joost Brgi, che pare vi fosse pervenuto indipendentemente. Le tabelle erano piuttosto complesse perch´e riportavano solo la parte decimale del logaritmo, detta mantissa; ad essa andava aggiunto un intero (detto caratteristica) pari alla potenza di 10 che permette al numero di 1
E. Halley - Philosophical Transactions, Vol.19, 1695-97, pp.58-67. Tratto da JSTOR, www.jstor.org
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Il trucco dell’Highlander
cui si cerca il logaritmo di essere scritto con una sola cifra prima della virgola. Ad esempio per il numero 8192 la caratteristica sarebbe 3 per cui, essendo la mantissa pari a 0,95, il suo logaritmo in base 10 vale 3,95. Nel 1620 il matematico londinese Edmund Gunnter disegn´o su una asticella di legno una linea numerata in cui la posizione dei numeri era proporzionale al loro logaritmo (quindi diradati sulla sinistra e ammucchiati sulla destra), rendendo cos´ı agevole moltiplicare e dividere misurando semplicemente le distanze con un compasso. Era il precursore del regolo calcolatore, realizzato solo due anni dopo dal pastore anglicano William Oughtred e poi perfezionato nel corso dei secoli sino a diventare un insostituibile ausilio al calcolo per ingegneri, chimici e fisici e divenuto molto popolare nella seconda met´a dell’Ottocento quando i calcoli di balistica durante le guerre resero particolarmente utile la rapida disponibilit´a del risultato resa possibile dall’introduzione di un cursore mobile (ad opera di un tenente dell’artiglieria francese, tale Amedee Mannheim); si veda ad esempio quello in figura 2.3. Altri pi´u potenti e ingegnosi strumenti basati su scale logaritmiche circolari concentriche e scorrevoli oppure avvolte ad elica attorno a cilindretti pi´u o meno tascabili proliferarono per ancora un secolo, sino all’avvento delle calcolatrici elettroniche, che li hanno resi immediatamente oggetti da museo; con essi se ne andava il calcolo analogico e anche una certa consapevolezza sul significato dei risultati, sacrificata inesorabilmente sull’altare della velocit´a e della maggiore accuratezza di elaborazione.
Figura 2.3: Esemplare di regolo calcolatore
La considerazione, che oggi ci pare elementare, per cui trasformando i numeri in potenze della stessa base le operazioni di prodotto e divisione diventano somme e sottrazioni, era gi´a nota ad Archimede e noi la impariamo sin dalla scuola media, condensandola nelle semplici formule: 22
Capitolo 2
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ab = ab−c (2.2) ac Tuttavia gli antichi greci, pi´u attenti alle discipline geometriche, non individuarono la potenzialit´a di queste propriet´a e non fecero pertanto il salto di qualit´a che avvenne cos´ı solo molti secoli dopo. Il logaritmo in base a di b, essendo dunque l’esponente da dare ad a per ottenere b, rappresenta un operazione inversa a quella di elevamento a potenza. Essa non ha senso per a = 0 ne per a = 1 poich`e infatti, qualsiasi esponente si dia a questi numeri si ottiene sempre rispettivamente 0 o 1. Dalla sua definizione derivano invece utili espressioni quali: ab × ac = ab+c
loga (1) = 0 ∀a loga (0) = −∞ ∀a > 1 loga (0) = +∞ ∀a : 0 < a < 1 loga (b × c) = loga (b) + loga (c) loga ( bc ) = loga (b) − loga (c) loga (bc ) = c × loga (b) logb (c) = logb (a) × loga (c) bc = ac×loga (b)
(2.3)
Come la funzione esponenziale y = ax risulta crescente per a > 1 ma decrescente se 0 < a < 1, lo stesso accade per la funzione logaritmica y = loga (x). Come si pu´o facilmente intuire dalla figura 2.4, mentre la crescita di tipo esponenziale e´ molto rapida quella logaritmica e´ invece molto lenta.
Figura 2.4: Andamenti esponenziali e logaritmici 23
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Capitolo 3
Il piu´ bravo e la piu´ bella Gli uomini di genio sono meteore destinate a bruciare per illuminare il loro secolo Napoleone Bonaparte, Discorso di Lione, 1791
Il Settecento, secolo dei Lumi, vide l’affermazione dell’intelletto umano in molti campi delle scienze teoriche ed applicate. In quello del calcolo spicca il contributo di Leonhard Euler, in realt´a uno dei pi´u grandi matematici di tutti i tempi e sicuramente il pi´u produttivo fino ad ora. Nato nel 1707 a Basilea, in Svizzera, ebbe la fortuna di studiare la matematica grazie all’intuito di Johann Bernoulli, amico di suo padre dai tempi dell’adolescenza, quando entrambi furono ospitati per qualche tempo nella casa di Jacob Bernoulli, prima che i rapporti tra i due fratelli si deteriorassero proprio a causa di alcune dispute scientifiche. Johann infatti, gi´a professore, colse il talento del giovane Leonhard, gli sugger´ı numerosi testi da studiare e gli concesse di fargli visita liberamente ogni domenica per approfondire gli argomenti pi´u ostici. Dopo aver accontentato suo padre completando gli studi di filosofia e teologia, quest’ultimo, grazie anche al persuasivo intervento dell’amico Johann, acconsent´ı a fargli intraprendere la carriera scientifica. A 17 anni di et´a e in soli 2 anni, Leonhard si laure´o all’universit´a di Basilea, producendo gi´a numerosi lavori tra i quali quello che gli valse 25
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il secondo premio dell’Accademia di Parigi nel 1727 (il primo lo vinse altre due volte, pi´u tardi nel 1730 e 1740). Nello stesso anno, alla morte di Nicolaus II, figlio di Johann, Eulero accett´o di prendere il suo posto di professore di fisica all’Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo, anche perch´e le sue prospettive di carriera in Svizzera sembravano piuttosto ferme. Viceversa il nuovo istituto, fondato solo due anni prima da Caterina di Russia, moglie di Pietro il Grande, si rivel´o un ambiente fertile e adatto per coltivare gli scambi culturali con altri illustri scienziati tra i quali lo stesso Daniel Bernoulli, altro figlio di Johann e amico di Leonhard. Quando Daniel lasci´o l’Accademia per far ritorno in Svizzera, Eulero prese il suo posto come professore di matematica e poco dopo (era il 1734) si spos´o con un’altra emigrata svizzera, Katharina Gsell dalla quale ebbe 13 figli dei quali solo 5 spravvissero ai primi anni di vita. E´ questo il periodo pi´u prolifico della vita di Leonhard, nel quale egli, dotato di una memoria prodigiosa e di una capacit´a di concentrazione fuori del comune, si distingue in numerosi campi della matematica teorica ed applicata, prima che i problemi agli occhi inizino ad accompagnarlo per il resto della vita. Nel 1740, per motivi politici, i tempi iniziarono a farsi difficili in
Figura 3.1: Leonhard Euler
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Russia per gli stranieri e fu cos´ı che Eulero accett´o a malincuore l’invito di Federico il Grande di Prussia e si trasfer´ı a Berlino, ove divenne grande amico del Presidente dell’Accademia delle Scienze, Maupertuis (l’ideatore del principio di minima azione). Nonostante i numerosi incarichi di tipo gestionale, Eulero non smise mai di produrre libri, saggi ed articoli nei quali la matematica risolveva problemi relativi alla meccanica, alla nautica, alla balistica, all’astronomia. Alla morte nel 1759 di Maupertuis, ad Eulero non fu offerta la carica di Presidente dell’accademia, a causa di alcuni suoi contrasti con d’Alembert che godeva invece i favori del Re Federico. Fu cos´ı che, lasciando il posto a Lagrange, nel 1766 decise di tornarsene a S. Pietroburgo, accettando l’invito che questa volta veniva da Caterina II, la Grande. I problemi di salute (stava diventando cieco), la morte della moglie e un incendio della casa, non gli impedirono peraltro di produrre idee e contributi per altri 15 anni, grazie anche all’aiuto dei suoi figli e dei suoi assistenti. Il 18 settembre del 1783 Leonhard Euler si spense qualche ora dopo aver perso conoscenza a causa di una emorragia cerebrale. I suoi lavori inediti continuarono ad essere pubblicati per molti anni dopo la sua morte mentre la comunit´a scientifica gli rimarr´a debitrice per sempre. Eulero e´ tra gli immortali della matematica e gli svizzeri lo onorano tutt’ora del loro tributo mettendone il ritratto su una delle banconote della loro preziosa valuta (figura 3.2). Bench`e il calcolo differenziale sia stato introdotto da Newton e Liebniz, si pu´o sostenere che l’Analisi Matematica inizia con Eulero. Nel suo Introductio in analysis infinitorum (1748) egli svincola lo studio delle funzioni dall’ambito della geometria analitica e introduce quelle di variabile complessa; poi in Istitutiones calculi differentialis (1755) e Institutiones calculi integralis (1770) d´a importanti contributi alla teoria delle equazioni differenziali e a quella del calcolo integrale. Si potrebbe soffermarsi a lungo a celebrare Eulero ma per quello che riguarda gli scopi di questa breve trattazione e´ sufficiente ricordare che si deve al grande svizzero l’introduzione di e (che lui stesso dimostr´o essere irrazionale) come base per i logaritmi, che a partire da allora iniziarono ad essere chiamati naturali (e indicati con ln). 27
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Figura 3.2: Il retro della banconota da 10 franchi svizzeri
Sebbene si possa pensare che l’insigne matematico abbia scelto la lettera e in quanto iniziale del suo stesso nome, e´ pi´u probabile, data la natura schiva e modesta dell’uomo, che l’associazione sia venuta spontanea tra il numero e e la parola “esponenziale”. Figli suoi sono anche i simboli che oggi utilizziamo per il rapporto tra la lunghezza di una semicirconferenza e il suo raggio (π) e per l’unit´a immaginaria pari alla radice quadrata di -1 (i ). I numeri immaginari, pur essendo stati etichettati con un nome che non aiuta a farceli percepire come entit´a reali, non devono turbare pi´u di quanto non accada per i numeri negativi o per quelli irrazionali. Al pari di questi ultimi infatti si tratta di oggetti numerici non visualizzabili attraverso una operazione di conteggio: non si possono infatti concretamente sottrarre 5 mele da 3 mele e, analogamente, s’´e visto quanto sia sfuggente quantificare un numero con infinite cifre (non periodiche) dopo la virgola che pure ha un significato geometrico semplice come la diagonale di un quadrato. Parimenti non si deve esitare a dare ai numeri complessi cittadinanza come entit´a matematiche ben definite e persino molto utili nell’ambito delle tecnologie reali (come ad esempio l’ingegneria elettrotecnica ed elettronica). Come infatti i numeri negativi consentono di definire delle soluzioni per delle equazioni del tipo x=3-5, che altrimenti dovrebbero essere dichiarate, con un certo imbarazzo, impossibili allo stesso modo gli irrazionali permettono di esprimere le soluzioni di 28
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Figura 3.3: Rappresentazione dei numeri complessi
equazioni del tipo x2 = 2. Ma e´ solo grazie all’introduzione dei numeri immaginari che risulta possibile dare un senso alle soluzioni di qualsiasi equazione polinomiale (come ad esempio x2 + x + 1 = 0). Secondo il teorema fondamentale dell’algebra (dovuto a C.F. Gauss), infatti, ogni equazione di grado n ammette n soluzioni reali o complesse. Una soluzione reale e´ un numero reale mentre un numero complesso e´ composto √ da una parte reale e una immaginaria, come ad esempio (− 12 , ±i 23 ) che sono le due soluzioni dell’ultima equazione. Per questo motivo e´ impossibile riportarli sulla retta reale mentre, come ci ha insegnato C.F. Gauss, e´ utile rappresentarli come oggetti bidimensionali in un piano (il piano complesso, appunto) nel quale all’asse reale orizzontale la cui unit´ √ a vale 1, si aggiunge l’asse immaginario verticale, la cui unit´a vale i = −1 (si veda la figura 3.3). Gi´a alcuni matematici italiani del ’500 (Bombelli, Cardano, Tartaglia) avevano riconosciuto l’utilit´a di introdurre l’unit´a immaginaria ma considerandola pi´u che altro un comodo espediente per poter esprimere le soluzioni complete di alcune equazioni che altrimenti ne avrebbero avute di serie A (quelle reali) e di serie B (quelle complesse). Fu invece Eulero 29
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a riconoscerne la vera e propria esistenza e sua e´ anche quella che molti matematici considerano l’equazione pi´u bella di tutte: eπi + 1 = 0
(3.1)
Probabilmente, come ha sostenuto l’insigne matematico Leopold Kronecker, “Dio ha creato i numeri interi, tutto il resto e´ opera dell’uomo”. Tuttavia non si pu´o non riconoscere il fascino di questa semplice scrittura nella quale compaiono i pi´u importanti numeri della matematica: 0, 1, e, π , ed i, cementati tra loro dal segno di uguaglianza. Un suggestivo modo di leggerla e´ quello di notare che l’esponente immaginario e´ l’unico modo per cui la funzione esponenziale riesce a diventare negativa, passando cos´ı il muro rappresentato, nel campo reale, dall’asse delle ascisse. La derivazione dell’equazione e´ peraltro piuttosto semplice (per noi oggi) ma, comportando il calcolo di derivate delle quali non si e´ ancora parlato, si rimanda il lettore interessato ai Richiami di Analisi Matematica riportati nella II parte. Con Eulero il numero e esce dalla mischia delle sue varie approssimazioni finite ed assume il preciso significato come limite di una serie numerica ed al contempo come numero il cui logaritmo iperbolico vale 1. Da una lettera1 di Eulero del 1731 gi´a si legge, infatti, e denotat numerum cuius logarithmus hyperbolicus=1 Nel suo Mechanica, del 1736 si trova invece Ponamus autem brevitatis gratia pro numero hoc 2.718281828459 etc. constanter litteram e, quae ergo denotabit basin logarithmorum naturalium seu hyperbolicorum [...]; sive haec 1 1 + 3·2·1 + littera e quoque exprimet summam serie 1 + 2·1 1 4·3·2·1 +etc in infinitum
1
Tratto da U.G.Mitchell, M.Strain - The number e, Osiris, Vol.1, Jan.1936, pp.476497. Disponibile su JSTOR, www.jstor.org
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Gli viene naturale Il matematico e´ impegnato in un gioco di cui si scrive da solo le regole, mentre il fisico gioca con le regole fornite dalla natura. Ma con il passare del tempo appare sempre pi´u evidente che le regole che un matematico trova interessanti sono proprio le stesse scelte dalla natura Paul Adrien Maurice Dirac
Perch`e Eulero aveva etichettato come naturale proprio il logaritmo in base e ? Perch`e proprio questo numero irrazionale e non un pi´u semplice numero intero ? La risposta sta proprio nel fatto che non c’´e in realt´a un numero pi´u naturale di e. Per capire come mai e´ per´o necessario introdurre il concetto di derivata. La derivata di una grandezza (e quindi anche di una funzione, che non e´ altro che una grandezza che cambia in funzione appunto di - almeno - una variabile indipendente) rispetto ad un parametro da cui essa dipende, e´ una misura della modalit´a con la quale essa varia in funzione di quel parametro (ad esempio il tempo). Sir Issac Newton, che all’inizio del XVIII secolo per primo aveva gi´a introdotto il concetto, la chiamava flussione in riferimento alle quantit´a variabili che invece chiamava fluenti; fu infatti il tedesco Gottfried W. Leibniz, che indipendentemente dallo scienziato inglese svilupp´o l’idea, 31
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Gli viene naturale
Figura 4.1: Significato geometrico della derivata
ad introdurre la terminologia e anche parte della simbologia che tuttora impieghiamo. L’accesa disputa tra i due per la paternit`a del calcolo infinitesimale e` una testimonianza di quanto dalle contese scientifiche non siano al riparo nemmeno i “giganti”come loro, sicuramente del calibro di quelli sulle spalle dei quali lo stesso Newton sostenne di essersi issato per vedere cos`ı lontano. La velocit´a di un’auto, ad esempio, non e´ altro che la misura di come lo spazio percorso aumenta in funzione del tempo impiegato; analogamente l’accelerazione e´ la misura di quanto la velocit´a varia in funzione del tempo. Pertanto la velocit´a e´ la derivata dello spazio rispetto al tempo e l’accelerazione quella della velocit´a rispetto al tempo. Matematicamente, dovendo introdurre un certo formalismo, la derivata di una funzione f (x) si definisce come il valore limite di un particolare rapporto, detto rapporto incrementale, al tendere a zero dell’incremento. Tale rapporto esprime appunto la misura in cui la funzione e´ variata avendo incrementato di un poco la variabile indipendente (x). Indicando, come ci ha poi insegnato il francese (di origini italiane) Giuseppe Luigi Lagrange, la prima derivata della funzione con f 0 (x) si scrive quindi
f 0 (x) = lim∆x→0
f (x + ∆x) − f (x) ∆x
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(4.1)
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Non e´ difficile allora, per chi ha studiato anche solo le basi della geometria (analitica), riconoscere nella derivata la tangente dell’angolo (ovvero quello che si usa chiamare il coefficiente angolare) compreso tra l’orizzontale e la retta tangente alla curva f (x) nel punto di ascissa x (si veda la figura 4.1). Per questo motivo la derivata rappresenta quindi l’indicazione della tendenza che la funzione ha in quel punto. In altri termini, se da l´ı in poi essa venisse lasciata variare linearmente, allora dopo ∆x varrebbe f (x) + f 0 (x)∆x. Consideriamo ad esempio il caso in cui x = 0 e ∆x = 1: sia la funzione f (x) = x + 1 che la funzione ex valgono dunque 1 ma mentre la prima, variando linearmente, per x = 10 vale solo f (10) = 11 la seconda varr´a invece e10 ∼ = 22003, 640 che e´ molto pi´u elevato. In particolare, se la variabile indipendente e´ il tempo, la derivata di una funzione (rispetto al tempo) ci informa quindi sulla velocit´a con la quale essa varia nel tempo. Indicando con y la grandezza, la sua derivata rispetto al tempo si usa simboleggiare con y. ˙ Secondo una leggenda, una volta un re, per vincere una importante battaglia dai cui esiti sarebbero dipese le sorti del suo regno, dovette compiere un’azione in cui perse la vita suo figlio, valoroso guerriero ed erede al trono. Da quel giorno il re non si diede piu´ pace, continuando a rivedere lo schema della battaglia, ma senza trovarne uno che gli avrebbe consentito di non sacrificare la vita del figlio. Nessuno riusciva piu´ a cavare un sorriso dal re finche´ un giorno venne al palazzo un bramino, Lahur Sessa, che gli insegno´ un nuovo gioco che aveva inventato: il gioco degli scacchi. Appassionandosi a questo gioco, il re cap´ı che non esisteva un modo di vincere quella battaglia senza sacrificare un pezzo, suo figlio. Piu´ a posto con la sua coscienza, il re chiese allora a Lahur Sessa quale voleva che fosse la sua ricompensa: ricchezze, un palazzo, una provincia ´ ma il re insistette per giorni, finche´ alla o qualunque altra cosa. Il monaco rifiuto, fine Lahur Sessa, guardando la scacchiera, gli disse che gli sarebbero bastate un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e cos´ı via. Il re rise di questa richiesta, pensando che il bramino si accontentasse di cos´ı poco. Il giorno dopo i contabili di corte andarono dal re e gli dissero che per adempiere alla richiesta del monaco (264 chicchi) non sarebbero bastati i raccolti di tutto il regno per ottocento anni. A questo punto
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Gli viene naturale
Figura 4.2: La crescita esponenziale
alcune versioni della leggenda vogliono che il re, sentitosi preso in giro, avesse ordinato la decapitazione del bramino, altre solo la sua espulsione dal regno, altre invece che il Re, riconoscendo l’acume del monaco, lo tenesse come Consigliere.
Analogamente, senza ricorrere ad aneddoti, volendo contattare una persona qualunque nel mondo sarebbe sufficiente chiedere ad una decina di amici se la conosce e in caso contrario di chiedere di fare lo stesso con altri diversi dieci amici a cui chiedere di fare lo stesso: nel giro di solo dieci passaggi si troverebbe l’interlocutore cercato perch´e 1010 e´ superiore al numero di persone che ci sono sul pianeta. Naturalmente non bisogna farsi prendere la mano perch´e altrimenti, ad esempio, considerando che ciascuno di noi ha due genitori ciascuno dei quali ha a sua volta due genitori e cos´ı via, si sarebbe indotti a pensare che anche solo qualche generazione fa ci fosse sul pianeta pi´u gente di quanta non ce ne sia adesso e ci´o naturalmente non e´ vero perch´e non sono stati generati sempre e solo figli unici di genitori diversi per cui sono in in realt´a molto meno le stesse persone dalle quali tutti in qualche modo discendiamo. Applicando la definizione alla funzione esponenziale bx , si scopre che la sua derivata e´ ancora ln(b)bx . La funzione esponenziale e´ dunque l’unica la cui variazione e´ proporzionale a se stessa ma solo se la base b vale e, allora essa e´ proprio uguale. Non intendendo costringere il lettore a seguire tutti passaggi, si rimanda ancora una volta gli interessati ai Richiami di Analisi Matematica riportati nella II Parte. E´ questo il motivo 34
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per cui le variazioni esponenziali sono le cos´ı rapide: per quanto piccolo sia l’incremento della variabile indipendente, la grandezza varia cio´e proporzionalmente al suo stesso valore attuale. Pi´u il valore e´ elevato e pi´u rapidamente quindi aumenta giungendo presto a valori elevatissimi. Lo stesso vale dunque per tutte le derivate successive conferendo alla funzione ex una certa natura frattale. La modalit´a di variazione in proporzione al proprio stesso valore fa s´ı che l’andamento esponenziale sia pi´u rapido di qualunque andamento polinomiale, per qualsiasi valore finito degli esponenti che figurano nel polinomio. Pn Ci´oj significa che qualunque sia il valore di n la funzione p(x ) = j =0 pj x verr´a prima o poi, nella sua corsa verso l’infinito, superata dalla funzione ex . E´ proprio il fatto di avere la derivata uguale al valore della funzione stessa il motivo per cui la base e si merita l’appellativo di naturale. Vedremo infatti come siano numerosi e significativi i casi in cui certe variabili o grandezze fisiche varino proporzionalmente a se stessi ovvero secondo quella che si dice una dinamica esponenziale. Ma che ne e´ del logaritmo? Utilizzando la base e anch’esso riceve l’appellativo di naturale (simboleggiato da ln) che peraltro mostra subito di meritarsi: e´ infatti solo con questa base che la sua derivata e´ pari a 1/x (si veda la II Parte) quando invece, utilizzando una base diversa b, essa 160 ex
140
2x x2
120
ln(x) 100 80
60 40 20 0
−20
0
0.5
1
1.5
2
2.5 x
3
3.5
4
4.5
5
Figura 4.3: Confronto tra andamenti crescenti
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Gli viene naturale
1 sarebbe pari a xln(b) . Ci´o significa, com’era lecito attendersi, che le sue variazioni sono lente e rallentano sempre pi´u al crescere di x, esattamente l’opposto di quel che accade alla funzione ex . In altri termini, dualmente a quanto accade per l’esponenziale, la crescita di tipo polinomiale superer´a sempre prima o poi, nella sua corsa verso l’infinito, quella di tipo logaritmico. Si consideri una funzione limitata f (x) valutata in n punti x1 , x2 , . . . xn ; si considerino ora i prodotti tra il valori della funzione, f (xk ), e l’ampiezza degli intervalli δ = xk+1 −xk . L’integrale della funzione, relativamente ad un intervallo di valori della variabile indipendente compresi tra a e b, e´ definito come il valore limite, per δ → 0, della somma dei valori di tali prodotti e risulta una grandezza molto utilizzata in fisica (si veda la figura 4.4). Si consideri ad esempio il calcolo del lavoro effettuato da una forza, per semplicit´a agente su una massa rigida. Definito come il prodotto della forza per lo spostamento della massa da essa provocato, esso, relativamente a uno spostamento infinitesimo dx, vale pertanto dL = F × dx; ma allora, relativamente a uno spostamento finito dalla posizione A alla posizione B, esso vale appunto l’integrale del prodotto valutato tra i punti A e B. Ancora pi´u immediato e´ il caso dell’integrazione di una portata per ottenere il volume totale di fluido transitato. Se infatti w(t) e´ la legge con la quale esso flusce all’interno di una tubatura, e´ piuttosto evidente come la quantit´a totale di liquido transitato sia espressa dalla somma di tutte le portate istantanee per tutta la durata del periodo in questione, il che non e´ altro che il valore dell’integrale di w(t) tra l’inizio e la fine dell’intervallo di tempo considerato. In base alla definizione data non e´ difficile accorgersi come l’integrale di una funzione f (x) possa rappresentare una misura dell’area sottesa dalla curva e compresa nell’intervallo (a, b). Pertanto, il modo duale di leggere la relazione che esprime l’integrale della funzione y = 1/x e´ quello di constatare come l’area compresa tra l’iperbole rettangolare di equazione xy = 1 e l’asse delle ascisse (y = 0) segua una crescita progressiva di tipo logaritmico (ln(x)). Per ragioni relativamente alle quali si rimanda il lettore ai Richiami di Analisi Matematica riportati nella II Parte, il valore dell’integrale di una funzione f (x) si valuta attraverso il calcolo della funzione (detta primitiva) della quale essa risulta essere la derivata: per questo motivo l’integrazione e´ una operazione praticamente
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Capitolo 4
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Figura 4.4: Definizione di integrale
duale a quella di derivazione. La primitiva della funzione y = 1/x risulta essere, come si visto, proprio il logaritmo naturale per cui un interessante risvolto e´ rappresentato dal fatto che l’integrale tra 1 ed e della curva y = 1/x vale proprio 1. Accade cio´e che: Z
1
e
1 dx = ln(e) − ln(1) = 1 x
(4.2)
Una volta assimilato il concetto di limite, di derivata e di integrale, risulta abbastanza comodo lavorare con le quantit´a infinitesime, normalmente dette differenziali come se fossero quantit´a finite. Ad esempio, se la variazione infinitesima della grandezza y, ovvero dy, risulta proporzionale a quella della grandezza x, ovvero dx, secondo un coefficiente c, allora si pu´o scrivere che dy/dx = c. L’effettiva variazione finita della grandezza y si deve ottenere poi integrando (ovvero passando dalla relazione di tipo differenziale a quella di tipo algebrico) la relazione e ottenendo, in questo semplice caso, ∆y = c∆x. Nei casi meno banali di quest’ultimo, il rapporto tra i due differenziali risulta essere non costante ma a sua volta funzione delle due variabili o 37
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Gli viene naturale
addirittura delle loro derivate. Il processo di integrazione comporta allora la soluzione di quelle che si chiamano equazioni differenziali, ovvero equazioni in cui figura anche la derivata - almeno la prima - dell’incognita. Tra le pi´u facilmente risolubili per quadrature ci sono le equazioni differenziali lineari che sono quelle in cui la funzione incognita e le sue derivate figurano sempre con esponente pari ad 1. Ebbene il nostro numero e risulta al centro della scena anche qui: le soluzioni di ogni equazione differenziale lineare sono infatti sempre funzioni di tipo esponenziale. Il lettore non dovrebbe stupirsi pi´u di tanto, dal momento in cui abbiamo sottolineato che la dinamica esponenziale e´ in agguato ogni volta che una grandezza varia proporzionalmente a se stessa (tuttavia, se non si fida, pu´o sempre fare un salto ai Richiami di Analisi Matematica riportati nella II parte). E´ proprio questo il motivo per cui e risulta comparire nella descrizione di molti fenomeni naturali, come quelli che passeremo in rassegna nel corso dei prossimi capitoli.
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Capitolo 5
e-sempi nella vita di tutti i giorni Il presente sarebbe pieno di tutti i futuri se il passato non vi proiettasse gi´a una storia Gide, I nutrimenti terrestri
A dispetto dei luoghi comuni che la vogliono lontana ed astratta, la matematica gioca un ruolo fondamentale nella comprensione della realt´a che ci circonda. Il fatto e´ invece che spesso e´ in anticipo sui tempi: i matematici (e talvolta anche i fisici) si occupano spesso di elaborare teorie ma alcune cessano di essere tali non appena la tecnologia disponibile rende possibile provarle e applicarle. E´ stato questo il destino di numerosi casi. I numeri complessi, ad esempio, emblematico esempio di “non-realt´a”, sono impiegatissimi in elettrotecnica. Gli studi di logica matematica e teoria dei numeri sono diventati la base per molti risultati dell’informatica nella seconda met`a del XX Secolo. Le geometrie non euclidee, che ammettono che linee parallele possano incontrarsi, sono tornate utili per spiegare la curvatura dello spazio-tempo introdotta da Albert Einstein con la teoria della relativit´a generale; non c’´e bisogno peraltro di scomodare un argomento cos´ı arduo per mostrare al lettore come queste geometrie siano vicine 39
e -sempi nella vita di tutti i giorni
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dall’esperienza comune: basta infatti accorgersi che, stando all’equatore e incamminandosi parallelamente a distanza di un metro da un compagno di viaggio si finisce poi per incontrarsi ad uno dei poli. Ad onore della categoria che l’autore rappresenta, bisogna ammettere che spesso questo passaggio dalla teoria alla pratica viene compiuto dagli ingegneri e che i loro studi contribuiscono a consolidare e qualche volta anche ampliare i risultati teorici iniziali. Un sistema e´ un insieme di elementi legati tra loro da certi fenomeni. Attraverso la matematica (ed in particolare l’analisi, che ne rappresenta una delle branche pi´u applicative) si possono tradurre i fenomeni in leggi fisiche e rappresentare il sistema attraverso relazioni tra le grandezze in gioco che nel loro complesso costituiscono il cosiddetto modello del sistema. Un modello introduce sempre una certa semplificazione, legata alla rappresentazione per forza di cose ideale di una realt´a complessa; tuttavia un buon modello ha il pregio di cogliere l’essenza del comportamento del sistema e di consentirne cos´ı una trattazione formale e quantitativa che permette di fare delle generalizzazioni altrimenti impossibili se basate sui soli risultati sperimentali. Quando si studia un problema e´ infatti opportuno cercare di formalizzarlo attraverso equazioni e relazioni la cui soluzione consenta di ricavarne la soluzione teorica. Il confronto con i dati empirici degli esperimenti che si possono fare costituisce poi la validazione del modello: se esso si accorda con i dati e consente di fare previsioni corrette allora viene ritenuto valido, altrimenti deve essere modificato oppure abbandonato. E´ l’essenza del metodo scientifico sin dai tempi di Galileo Galilei. La realt´a che ci circonda obbedisce a leggi fisiche note che riguardano grandezze come forze, velocit´a, temperature etc. Quando le leggi riguardano non solo lo stato delle cose (come la statica o la scienza delle costruzioni) ma l’evolversi delle situazioni, allora le leggi coinvolgono non solo le grandezze fisiche ma anche le loro derivate. Per questo motivo i modelli che si costruiscono fanno uso di equazioni differenziali e sono detti pertanto sistemi dinamici, eventualmente vincolati da altre relazioni algebriche che le variabili in gioco devono soddisfare. Si consideri ad esempio il semplice caso di una massa m in caduta 40
Capitolo 5
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libera sotto l’effetto della gravit´a terrestre (g = 9, 81m/sec2 ). A causa dell’attrito viscoso dell’aria, al moto si oppone una forza proporzionale alla velocit´a stessa secondo un coefficiente di attrito k (in kg/sec). Pertanto, sulla base dell’equazione fondamentale della dinamica (forza = massa · accelerazione) e indicando con v la velocit´a, l’equazione del moto pu´o essere scritta come mv˙ = mg − kv
(5.1)
Si tratta dunque di una equazione differenziale lineare di primo grado e come tale e´ risolta da una funzione di tipo esponenziale. In questo caso, se la massa parte da ferma, la soluzione e´ v(t) =
mg kt (1 − e− m ) k
(5.2)
ove con t si indica il tempo trascorso da quando il grave viene lasciato cadere. Ci´o significa che la velocit´a aumenta in modo esponenziale fino al valore mg/k e lo fa tanto pi´u velocemente quanto pi´u il rapporto k/m e´ elevato. Se ne deduce allora che la velocit´a del grave in caduta libera (non nel vuoto) non aumenta indefinitamente ma si assesta su di un valore limite che dipende dalla sua massa e da quanta resistenza la sua forma gli consente di opporre al moto a causa dell’attrito viscoso con il fluido che attraversa. La costante (in questo caso pari a k/m) che figura come esponente di e nell’espressione della soluzione e´ piuttosto significativa in quanto legata alla rapidit´a con la quale la dinamica si esaurisce. Il suo reciproco ha sempre le dimensioni di un tempo e infatti tipicamente viene detto costante di tempo o, in inglese, lag: pi´u e´ basso e pi´u rapidamente il valore di regime verr´a raggiunto. Oltre al significato geometrico deducibile dalla figura 5.1 il valore del lag e´ anche il tempo impiegato dalla grandezza per variare del 63.2 % (rispetto a quella che sar´a la sua variazione finale). Per t = m/k si ha infatti 1 − e−1 ∼ = 0.632 per cui al tempo t = m/k la variazione sar´a stata 0.632 volte quella complessiva (che vale mg/k). Non e´ diverso il caso di una massa m agganciata ad un albero rotante 41
e -sempi nella vita di tutti i giorni
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Figura 5.1: Velocit´a di caduta libera
con velocit´a angolare ω (figura 5.2). La relazione tra la velocit´a e la coppia costante c applicata all’albero, nella quale per´o entra in gioco anche l’attrito viscoso, e´ infatti J ω˙ = c − kω
(5.3)
ove con J si indica il momento d’inerzia della massa (pari al prodotto della massa per il quadrato della sua distanza radiale dall’asse di rotazione). La modalit´a di variazione della velocit´a angolare e´ pertanto esattamente lo stesso di quella lineare nel caso precedente. Il valore di regime questa volta vale c/k mentre la costante di tempo e´ J/k.
Figura 5.2: Velocit´a angolare di rotazione attorno a un albero
42
Capitolo 5
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Figura 5.3: Invaso alpino
Si consideri ora un invaso alpino contenente un volume x(t) di acqua e regolato da un condotto di deflusso la cui portata e´ proporzionale, secondo un coefficiente k, proprio al liquido contenuto (figura 5.3). Indicando con u(t) la portata delle precipitazioni atmosferiche la situazione pu´o essere descritta dall’equazione x˙ = u − kx
(5.4)
Come si nota quindi la dinamica e´ sempre la stessa: in caso di pioggia il livello del bacino si innalzer´a con andamento di tipo esponenziale finch´e la portata di deflusso non eguaglia quella in ingresso. Ed ora un esempio domestico (figura 5.4). Si consideri una pentola sul fornello di casa, contenente una prelibata bistecca di massa m e calore specifico c (che si ricorda essere pari alla quantit´a di calore necessaria perch´e 1 grammo della sostanza aumenti la sua temperatura di 1°C). Indicando con q il calore ricevuto dalla fiamma, con T la temperatura della bistecca e con Ta quella dell’ambiente esterno, la dinamica termica evolver´a conformemente all’equazione cmT˙ = q + k (Ta − T )
(5.5)
ove k e´ il coefficiente di scambio termico (dipendente dalla superficie di contatto) con l’ambiente. 43
e -sempi nella vita di tutti i giorni
44
Nessuno si mette a risolvere equazioni differenziali prima di cucinare ma comunque e´ interessante sapere che la dinamica della temperatura e´ ancora una volta di tipo esponenziale. Il suo valore finale sar´a pari a Ta + kq e la rapidit´a con cui verr´a raggiunto dipende dal rapporto cm k . Ad onor del vero questo risultato rappresenta solo una grossolana approssimazione. Un modello pi´u fedele alla realt´a dovrebbe tener conto anche dello scambio termico con il materiale di cui e´ fatta la pentola, che avr´a una sua capacit´a termica diversa da quella della carne. Ci´o comporta di introdurre una seconda equazione di bilancio di energia e quindi poi una seconda costante di tempo. In ogni caso questi esempi mostrano come le dinamiche di tipo esponenziale, e quindi il numero e, siano pi´u o meno nascoste negli aspetti pi´u normali della vita di tutti i giorni. Chi invece ha studiato elettronica non avr´a problemi a riconoscere nello stesso tipo di modello (equazione differenziale lineare del primo ordine) anche quello che rappresenta la dinamica della tensione in un semplice circuito resistenza + condensatore in parallelo. Questi tipi di modelli sono molto utili nell’ambito delle applicazioni di controllo automatico tipiche della robotica e dell’automazione industriale. Tramite questi approcci e´ infatti possibile calcolare il comportamento dei sistemi dinamici (bracci meccanici, processi chimici o termici) e controllarlo attraverso opportuni algoritmi di regolazione.
Figura 5.4: Dinamica termica
44
Capitolo 5
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Figura 5.5: Richiamo elastico
Si consideri ora il semplice caso di una massa m appoggiata su un piano e agganciata ad una molla (figura 5.5). La forza di richiamo della molla e´ generalmente proporzionale, secondo un coefficiente moltiplicativo h, alla distanza x della massa dalla sua posizione di riposo. Ma allora, una volta lasciata la molla libera di richiamare la massa, quest’ultima si muover´a secondo una equazione oraria che dipende dal bilancio tra il richiamo della molla e l’attrito sulla superficie del piano (che si assume proporzionale alla velocit´a). Il secondo principio della dinamica d´a dunque, questa volta m¨ x = −hx + kx˙
(5.6)
Questa semplice equazione differenziale del secondo ordine riassume il fatto che l’accelerazione diminuisce fino a un punto in cui l’attrito controbilancia esattamente il richiamo da parte della molla, quando hx = kx. ˙ La dinamica con cui ci´o avviene, pu´o essere diversa a secondo del valore delle costanti h e k. Si ha infatti che la soluzione dell’equazione differenziale e´ una combinazione di esponenziali dipendente dalle radici dell’equazione algebrica di secondo grado ms2 − ks + h = 0. Se esse sono reali, si avr´a un richiamo graduale verso la posizione di equilibrio; ma se sono complesse, grazie all’equazione di Eulero, si avr´a una dinamica di tipo oscillatorio, con ampiezza delle oscillazioni proporzionale alla parte immaginaria delle due radici. In generale, la soluzione delle equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti e´ una combinazione lineare di esponenziali dipendenti 45
e -sempi nella vita di tutti i giorni
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dalle soluzioni della cosiddetta equazione caratteristica che si ottiene sostituendo semplicemente in ciascun termine all’incognita e alle sue varie derivate una incognita algebrica (cio´e non una funzione) elevata ad un esponente pari all’ordine della derivata. E´ un po’ come considerare la derivata come operatore ∂ e scrivere l’equazione differenziale come m∂ 2 x − k∂x + hx = (m∂ 2 − k∂ + h)x = 0. A parte la soluzione banale rappresentata da x = 0, essa ammette come soluzioni quelle dell’equazione algebrica tra parentesi in ∂; siano esse s1 ed s2 . Ci´o si traduce nel fatto che una combinazione lineare delle due funzioni (esponenziali) tali per cui ∂x = s1 x e ∂x = s2 x risolve l’equazione differenziale di partenza. Questo approccio e´ lo stesso reso possibile in modo molto pi´u rigoroso attraverso la trasformazione di Laplace, un cambiamento di variabili che, consentendo di trattare le equazioni differenziali attraverso le corrispondenti equazioni algebriche, risulta largamente impiagato nella robotica, nell’elettronica e nell’automazione. Il lettore interessato pu´o trovare qualche dettaglio in pi´u tra i Richiami di Analisi Matematica riportati nella II parte. E´ allora attraverso il concetto di limite che, infine, possiamo dare un fondamento formale al celebre paradosso di Zenone di Elea relativo ad Achille e la tartaruga. Supponendo che Achille deceleri linearmente man mano che si avvicina al traguardo, il modello da applicare e´ allora quello di un corpo (Achille) che si muove con velocit´a che diminuisce proporzionalmente alla distanza ancora da percorrere. Indicata quest’ultima con x e con d la lunghezza totale del tragitto, l’equazione e´ dunque x˙ = d − x. Adesso per´o sappiamo calcolare che x(t) = d(1 − e−t ), per cui sappiamo che la distanza d verr´a effettivamente coperta ma solo in un tempo teoricamente infinito. La tartaruga allora aveva proprio ragione.. o no ?! Si ricordi il concetto di limite.. Vi sono altri casi in cui il numero e entra in gioco nella descrizione matematica del mondo che ci circonda. Poich´e per´o sono meno banali, vi dedichiamo i prossimi capitoli.
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Capitolo 6
Spirali frattali Un viaggio di mille miglia deve iniziare con un solo passo Lao Tz`e, Tao T´e Ching
La geometria, che studia i rapporti tra le forme, e´ il regno incontrastato di π. Tuttavia anche il numero e compare in almeno un paio di circostanze notevoli. Si immagini di iniziare con il compasso a tracciare una circonferenza ma di far aumentare via via il suo raggio in funzione dell’angolo percorso. Se la funzione e´ quella esponenziale la curva risultante pu´o essere rappresentata dall’equazione r = eaθ , con r appunto il raggio e θ l’angolo. La figura 6.1 illustra quella che viene comunemente chiamata spirale logaritmica. Per a > 0 il raggio aumenta girando in senso antiorario, viceversa per a < 0 decresce. Si nota facilmente che per uguali variazioni dell’angolo, il raggio aumenta (o diminuisce) nel medesimo rapporto. Ci´o deriva direttamente dalle propriet´a della funzione esponenziale. Siano infatti r1 = eaθ1 ed r2 = eaθ2 , con θ2 = θ1 + ∆θ; allora r2 /r1 = ea(θ2 −θ1 ) = ea∆θ . Un’altra propriet´a della curva e´ quella per cui ogni retta che passa per il suo centro la interseca infinite volte sempre con lo stesso angolo. 47
48
Spirali e catene
La spirale logaritmica, gi´a nota a Ren´e Descartes e a Evengelista Torricelli, e´ dunque un tipico esempio di oggetto frattale, ovvero di forma geometrica che si ripete uguale a s´e stessa per qualsiasi fattore di scala. E´ questo il motivo per cui Jacques Bernoulli avrebbe voluto che sulla sua lapide (nel cimitero di Basilea) essa fosse riportata insieme alla frase “Eadem numero mutata resurgo” (mutata nella dimensione risorgo sempre uguale); purtroppo per´o l’incisione venne realizzata in modo molto approssimativo e il celebre motto non vi fu nemmeno riportato. Ancora una volta il numero e si rivela avere un curioso legame con la natura, probabilmente per via di un accrescimento proporzionale alla dimensione stessa: la crescita a spirale logaritmica risulta infatti la preferita in alcune forme di vita quali i girasoli, i cavolfiori, le conchiglie. Non si pu´o negare infine come sia la forma geometrica in cui tendono a disporsi numerose tra le galassie da noi osservabili nel nostro sconfinato universo (si veda figura 6.2). Per una particolare scelta del coefficiente a, la curva si “imparenta” con la celebre sezione aurea. Qualora ce ne fosse bisogno, si ricorda che la sezione aurea, comunemente indicata con φ, e´ quella proporzione che divide un segmento di lunghezza unitaria in modo tale che il rapporto tra la parte minore e quella maggiore sia uguale a quello tra la maggiore e l’intero segmento. Ci´o non significa altro che essa risolve l’equazione (1 − φ)/φ = φ, ovvero φ2 + φ − 1 = 0. Il suo√valore e´ dunque pari alla radice positiva dell’equazione, che vale (−1 + 5)/2 ∼ = 0.618. a= − 0.1
a= 0.1
1
20
0.8
15
0.6
10
0.4
5
0.2
0
0
−5
−0.2
−10
−0.4
−15
−0.6
−0.8 −1
−20
−0.5
0
0.5
1
−25 −20
−10
0
10
20
Figura 6.1: Spirali logaritmiche
48
Capitolo 6
49
Figura 6.2: Spirali in natura
Il rapporto aureo, noto sin dagli antichi greci, risulta particolarmente usato in architettura e nelle arti figurative in quanto conferisce una impressione di particolare equilibrio alle grandezze che ne rispettano la proporzione. Se ne trovano infatti tracce nella facciata del Partenone di Atene, in alcuni lavori di Leonardo da Vinci (L’uomo vitruviano) e probabilmente gi´a nella piramide di Cheope (come rapporto tra l’altezza e met´a della base). Si consideri ora la sequenza di numeri tali per cui, partendo da 1 e 2, il successivo e´ pari alla somma dei due precedenti: 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34,... Tale successione fu introdotta verso la fine del Medio Evo dal matematico italiano Leonardo Pisano, pi´u noto come Fibonacci (Filius Bonacci), che rappresenta uno dei primi esempi di intelletto dedicato alle materie scientifiche sul finire dei secoli bui. Formatosi sui testi matematici musulmani (tra cui quelli di Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, che ritroveremo) con i quali era entrato in contatto grazie ai viaggi del mercante suo padre presso Algeri e Costantinopoli, visse poi in Italia alla corte di Federico II; e´ proprio attraverso il suo Liber Abaci che divenne popolare in Europa la numerazione araba usiamo tutt’oggi, che lui chiamava indiana, dato che il segno 0, in latino zephirus, deriva dall’arabo sifr, ripreso a sua volta dal termine indiano s´ u¯ nya, che significa vuoto. 49
50
Spirali e catene
Figura 6.3: Costruzione geometrica della spirale logaritmica
Curiosamente (ma non troppo, visto che l’intero e´ comunque pari alla somma delle sue due parti) la sezione aurea risulta anche pari al limite cui tende il rapporto tra due consecutivi numeri di Fibonacci; gi´a solo 21/34 vale infatti 0.6176470... Se si inizia a giustapporre rettangoli con lati di lunghezza pari ai numeri di Fibonacci, esiste una spirale logaritmica che ne congiunge tutti i vertici (figura 6.3). Non e´ difficile ricavare quale imponendo che ad ogni incremento angolare di π/2 il raggio rispetti la regola di Fibonacci ovvero sia ea(θ+π/2) = eaθ + ea(θ−π/2) , da cui si ricava che la particolare spirale e´ quella tale per cui il parametro a soddisfa l’equazione eaπ/2 − e−aπ/2 = 1. La funzione
eθ − e−θ (6.1) 2 e´ detta seno iperbolico (di θ) e viene indicata con sinh(θ). Come accade in trigonometria esiste anche un coseno iperbolico, definito come cosh(θ) = (eθ + e−θ )/2 (si veda la figura 6.4). La ragione di questi nomi deriva dal fatto che le coordinate dei punti dell’iperbole equilatera di equazione x2 − y 2 = 1 (avente per asintoti obliqui le rette y = ±x) possono essere espresse appunto come seno e coseno iperbolici, similmente a quanto accade per i punti di una circonferenza con i normali seni e coseni che si studiano alle scuole superiori. f (θ) =
50
Capitolo 6
51
sinh(x)
cosh(x)
100
100 sinh(x)
cosh(x) 90
exp(x)
80
exp(−x)
exp(x) exp(−x)
80
60 70 40 60 20
50
0
40 30
−20 20 −40 10 −60
0
−80 −5
0
−10 −5
5
0
5
Figura 6.4: Seno e coseno iperbolici
Le analogie, riscontrate per la prima volta nel ’700 dal gesuita Vincenzo Riccati, non finiscono qui perch´e le due funzioni iperboliche risultano avere tutta una serie di propriet´a del tutto simili a quelle delle omonime trigonometriche. Opportuno comunque sottolineare che in questo caso θ e´ solo un parametro e non l’angolo compreso tra l’asse delle ascisse e la retta per l’origine e il punto dell’iperbole (come invece accade nelle equazioni parametriche della circonferenza). Il valore di a tale per cui sinh(aπ/2) = 1/2 e´ dunque quello per cui il raggio della spirale logaritmica di equazione r = eaθ vale, ad ogni incremento di π/2, uno dei numeri della sequenza di Fibonacci. Ricordando che il rapporto tra due numeri consecutivi di tale sequenza tende al valore della sezione aurea si pu´o ricavare il valore del parametro a imponendo che sia tale il valore del rapporto tra due raggi della spirale sfasati di π/2. Siano cio´e rk = eaθk e rk+1 = ea(θk +π/2) ; si impone allora che sia rk rk+1
=
eaθk a(θk + π2 )
e
51
π
= e−a 2 = φ
(6.2)
Figura 6.5: Uno scorcio di S. Coloma, Barcellona
da cui, dunque, si ricava il valore ricercato del parametro a = − π2 ln(φ). Si noti come allo stesso risultato si possa pervenire considerando la spirale che cresce in senso orario. In tal caso si ricaverebbe per´o eaπ/2 = 1/φ. Sostituendo il valore ricavato di a nella relazione sinh(aπ/2) = 1/2 si trova la relazione φ−1 − φ = 1, ovvero la nota propriet´a della sezione aurea di essere l’unico numero il cui inverso e´ pari a se stesso pi´u uno. Anche il coseno iperbolico ha un ruolo nella descrizione di un fenomeno naturale. Esso infatti, come rilevato per la prima volta dall’olandese Christiaan Huygens, descrive la curva (detta appunto catenaria) su cui si adagia ogni corda, fune o catena fissata alle estremit´a sotto l’influenza del suo solo peso (o in generale di un peso uniformemente distribuito per unit´a di arco). E` proprio alla catenaria (rovesciata) che si ispirano alcune forme architettoniche come ad esempio le volte della Cattedrale di Santa Coloma, in Barcellona (figura 6.5), progettata dal celebre architetto catalano Antoni Gaud´ı. Molto pi´u banalmente, invece, percorrendo le nostre strade lungo le quali numerosi pali sostengono i cavi della corrente e del telefono, siamo circondati da espressioni della presenza del numero e senza nemmeno accorgercene.
52
Capitolo 7
Reazioni e radiazioni Non penso mai al futuro. Arriva cos´ı presto Albert Einstein, Intervista del 1930
La radioattivit´a, osservata per la prima volta agli inizi del ’900 da Henri Becquerel e dai coniugi Pierre e Marie Curie, e´ la propriet´a di certi elementi chimici, tipicamente isotopi (ovvero elementi con un diverso numero di neutroni rispetto all’elemento base sulla tavola periodica di Mendeleiev), di emettere radiazioni, trasformandosi gradualmente in elementi pi´u leggeri fino a stabilizzarsi. Tali emissioni sono state classificate in raggi α (due protoni + due neutroni, ovvero nuclei di elio), β (elettroni a velocit´a prossime a quella della luce) e γ (radiazioni elettromagnetiche di frequenza molto elevata). Dato un atomo di una sostanza radioattiva, non e´ possibile prevedere quando avverr´a la disintegrazione. Tuttavia per ogni sostanza e´ possibile valutare statisticamente il cosiddetto tempo di dimezzamento, ovvero il tempo dopo il quale sono decaduti la met´a degli atomi. Sperimentalmente si e´ infatti rilevato che il numero di disintegrazioni e´ proporzionale, secondo un coefficiente λ dipendente dall’elemento considerato, al numero N totale di atomi radioattivi. Ci´o significa allora che quest’ultimo diminuisce secondo la legge 53
54
Radiazioni e reazioni a catena
dN = −λN dt
(7.1)
integrando la quale si ottiene N (t) = N (0)e−λt , ovvero anche, indicando con No il numero iniziale di atomi radioattivi, ln(N (t)/No ) = −λt. Non e´ difficile allora valutare il tempo, trascorso il quale, il numero di atomi radioattivi si e´ dimezzato come t1/2 = −λ−1 ln(0.5) ∼ = 0.693/λ. Il tempo di dimezzamento pu´o variare considerevolmente in natura, dai 47000 milioni di anni del rubidio-87 (che decade in stronzio-87), ai 723 milioni di anni dell’uranio-235 (che decade in piombo-207), ai soli 5730 anni del carbonio-14 (che decade in azoto-14, con emissione una particella β). Quest’ultimo viene continuamente prodotto nell’alta atmosfera ad opera dei raggi cosmici; queste particelle ad alta energia provenienti dallo spazio colpiscono i nuclei dei gas spezzandoli: i neutroni che si liberano vengono in parte catturati dall’azoto-14 (un comune isotopo dell’azoto) che di contro espelle un protone originando cos´ı un elemento con numero atomico inferiore, il carbono-14, che, in quanto radioattivo, viene anche detto radiocarbonio. Legandosi immediatamente con l’ossigeno ad originare anidride carbonica, esso viene assimilato facilmente dalle piante e quindi dagli animali che se ne cibano. Finch´e un organismo vive il suo radiocarbonio che decade, viene rimpiazzato da altro radiocarbonio, rimanendo cos´ı pressoch`e costante. Quando per´o l’essere vivente muore, esso non viene pi´u rimpiazzato ed inizia cos´ı a diminuire secondo la sua caratteristica legge esponenziale (figura 7.1).
La relativa rapidit´a di questo decadimento ha reso popolare l’impiego del carbonio-14 per risalire all’et´a di rocce, minerali e sostanze contenenti isotopi radioattivi, attraverso appunto il metodo della datazione radiometrica. Misurando infatti la quantit´a di isotopo radioattivo e quella di isotopo stabile presenti in un campione di materiale, risulta piuttosto immediato risalire all’et´a di quest’ultimo. E` un po’ come valutare il tempo con una clessidra: conoscendo il tempo che la sabbia impiega per passare da un comparto all’altro e misurando il rapporto tra le quantit´a attualmente contenute nei due comparti e´ agevole calcolare quanto tempo e´ passato fino ad ora. Si noti pertanto che non e´ necessario conoscere il numero di atomi radioattivi contenuti inizialmente. 54
Capitolo 7
55
Figura 7.1: Decadimento radioattivo
In realt´a, pur essendo il principio relativamente semplice, il procedimento pratico e´ piuttosto complesso perch´e la determinazione precisa delle quantit´a dei due isotopi (radioattivo e stabile) e´ alquanto delicata; in secondo luogo la situazione e´ ulteriormente complicata dal fatto che spesso l’isotopo stabile non si origina direttamente dal decadimento di quello radioattivo ma da una serie di altri isotopi intermedi, ciascuno con il suo tempo di dimezzamento. In ogni caso i metodi di datazione radiometrica hanno permesso di determinare la data di numerosi eventi accaduti sul nostro pianeta, contribuendo al progresso delle scienze naturali e in qualche caso anche delle conoscenze storiche. Ancora nell’ambito della radioattivit´a, la dinamica esponenziale e´ anche quella delle reazioni a catena. Queste si innescano bombardando l’isotopo (ad esempio l’uranio-235) con neutroni (lenti). Accade infatti che l’atomo cattura la particella diventando per´o cos´ı instabile e spaccandosi in due altri differenti elementi; il processo comporta anche la liberazione di una notevole quantit´a di energia (termica ma anche in forma di radiazione β e/o γ), nonch`e di altri neutroni. A questo punto allora, se almeno uno di questi altri neutroni provoca un’altra fissione nucleare, si innesca una reazione a catena, altrimenti il processo si interrompe. Se infatti ogni fissione induce altre k fissioni il numero di fissioni 55
56
Radiazioni e reazioni a catena
(e quindi l’energia liberata) varia (finch´e ci sono atomi, ovvero finch´e il combustibile non si esaurisce) secondo la relazione dn/dt = kn, che porta ad un andamento esponenziale del tipo n = ekt . E` evidente quindi come il processo possa liberare enormi quantit´a di energia in brevissimo tempo, anche perch´e ognuna delle fissioni ne libera una quantit´a proporzionale alla massa perduta secondo un coefficiente molto elevato, che e´ il quadrato della velocit´a della luce nel vuoto (c ∼ = 3 × 108 m/sec), in base alla pi´u celebre delle equazioni della fisica e cio´e quella di Albert Einstein secondo cui E = mc2 . Questo e´ quanto e´ tristemente successo il 6 e il 9 Agosto 1945 a Hiroshima e Nagasaki quando pochi chilogrammi di uranio furono in grado di uccidere pi´u di 100.000 persone. Viceversa e´ proprio tenendo nel tempo il valore di k prossimo a 1 che si riesce a tenere la reazione a catena sotto controllo. Ci´o e´ stato fatto per la prima volta dal gruppo di Enrico Fermi (a Chicago, nel 1942) ed e´ quello che accade ancora oggi nelle moderne centrali nucleari, ove, attraverso altre sostanze in grado di assorbire con rapidit´a i neutroni, la reazione a catena viene opportunamente controllata fino a poter essere anche arrestata. Trasformando poi in lavoro parte del calore prodotto dalla fissione, si ricava da essa energia utile per la vita delle moderne societ´a come quelle in cui viviamo. Sempre in ambito chimico-fisico il numero e compare in almeno un’altra circostanza notevole, legata alla cinetica delle reazioni. Ogni reazione chimica avviene infatti attraverso gli urti tra le molecole dei reagenti che causano poi un riarrangiamento degli elettroni in nuove strutture a contenuto energetico minore. Prima che ci´o accada e´ per´o necessario che il processo si inneschi attraverso la formazione preliminare del cosiddetto complesso attivato ad un livello energetico maggiore, che avviene quando le molecole reagenti sono in possesso dell’energia necessaria per vincere la barriera di potenziale da superare. Non e´ difficile intuire allora come la velocit´a della reazione sia legata al numero di molecole che posseggono l’energia sufficiente. La distribuzione dell’energia cinetica (definita come la met´a del prodotto tra la massa e il quadrato della velocit´a) tra le molecole e´ espressa 56
Capitolo 7
57
Figura 7.2: Distribuzione dell’energia
dalla legge di Maxwell-Boltzmann secondo la quale il rapporto tra il numero N di moli in possesso di energia E e il numero totale di moli e´ proporzionale alla quantit´a E e− RT (7.2) ove T e´ la temperatura assoluta (o K) mentre R e´ una importante costante della fisica nota come costante universale dei gas e pari al lavoro compiuto da una mole di un gas ideale che, alla pressione costante di 1 atm, si espande a seguito di un aumento di temperatura di 1o C. Si ricorda come una mole sia la quantit´a di materia che contiene tanti atomi quanti quelli contenuti in 0.012 kg di una sostanza di riferimento, che si e´ scelto essere il Carbonio-12. Secondo la celebre legge di Avogradro, volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di pressione e temperatura contengono lo stesso numero di molecole, che vale Na ∼ = 6.02205 × 1023 . Ne segue allora che anche il rapporto R/Na e´ una costante: essa vale circa 1.3807 × 10−23 J/o K ed e´ comunemente nota come costante di Boltzmann (kB ). Si deve a S.A. Arrhenius l’esplicitazione del fatto che la velocit´a di una reazione chimica dipende quindi dalla temperatura. Normalmente la sua legge, che deriva direttamente dalle considerazioni precedenti, viene per´o espressa in forma logaritmica: il logaritmo della velocit´a di reazione risulta cio´e inversamente proporzionale alla temperatura alla quale essa ha luogo. Indicando con vr la velocit´a di reazione e con Ea l’energia di 57
58
Radiazioni e reazioni a catena
attivazione, si ha infatti: ln(vr ) = −
Ea + cost. RT
(7.3)
Generalmente i prodotti di una reazione chimica possono a loro volta dare luogo alla reazione inversa; pertanto quella che viene effettivamente misurata e´ la differenza tra le velocit´a delle due reazioni. In ogni caso essa e´ definita come variazione della concentrazione di un componente nell’unit´a di tempo e spesso risulta a sua volte proporzionale alla concentrazione stessa della molecola. Ritroviamo allora l’andamento esponenziale riscontrato nell’ambito della radioattivit´a: man mano che la concentrazione diminuisce le sue variazioni nell’unit´a di tempo sono sempre pi´u piccole, dando luogo ad una diminuzione dei reagenti di tipo esponenziale. Considerazioni analoghe governano i cambiamenti di fase, quali i passaggi di stato di certe sostanze da liquido a vapore (evaporazione) o da solido a liquido (fusione). La cosiddetta tensione di vapore (ovvero la pressione esercitata dalle molecole che evaporano) e´ infatti proporzionale al numero di molecole che evaporano, che si scopre essere proporzionale ancora alla quantit´a e−E/RT , con E, questa volta, a rappresentare l’energia da somministrare sotto forma di calore perch´e il cambiamento di fase abbia luogo. In generale, la pressione e la temperatura relative a un cambiamento di fase di una singola specie chimica (ovvero quando le diverse fasi hanno la stessa composizione) sono tra loro legate dalla relazione (nota come equazione di Clapeyron): dP ∆H =− dT T ∆V
(7.4)
ove ∆H e´ la variazione di energia legata al cambiamento di fase mentre ∆V e´ la varazione di volume. Si consideri ad esempio la fusione di un blocco di ghiaccio. In tal caso il calore da somministrare vale 80 cal/g mentre i volumi specifici del solido e del liquido sono rispettivamente 1.0907 cm3 /g e 1.00013 cm3 /g; 58
Capitolo 7
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(si ricorda che lo stato solido dell’acqua occupa pi´u volume dello stato liquido); alla temperatura T=273.1o K si ricava quindi dP/dT = -134 atm/o K. Ci´o non significa altro che un aumento di pressione di 134 atm abbassa di un grado il punto di fusione del ghiaccio, contrariamente a quanto accade per la maggior parte delle sostanze il cui stato solido e´ pi´u denso di quello liquido. E´ proprio per questo che i ghiacciai si muovono: l’intensa pressione del ghiaccio contro le rocce ne provoca infatti la fusione a temperature inferiori allo zero consentendo agli strati superiori di scivolare su quello di acqua; una volta sottrattosi alla pressione, il liquido congela poi di nuovo. Nel caso una delle due fasi sia quella gassosa (ovvero nel caso di evaporazione o di sublimazione), si pu´o sfruttare la nota equazione dei gas perfetti (P V = RT , per una singola mole) e pervenire cos´ı per altra via alla relazione di proporzionalit´a tra la pressione ed e−E/RT . La funzione esponenziale, dunque, gioca un ruolo interessante nella chimica moderna, influenzando la cinetica delle reazioni e con essa gli equilibri chimici e le modalit´a dei cambiamenti di fase. Altre testimonianze della presenza del numero e nella termodinamica saranno fornite pi´u avanti a proposito dell’entropia.
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Capitolo 8
Popolazioni modello Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono pi`u uguali di altri George Orwell, La fattoria degli animali
Sebbene possa sembrare che la coscienza ecologica si sia risvegliata solo negli ultimi decenni, gli studi sulla distribuzione nello spazio e sulle variazioni nel tempo delle popolazioni animali e vegetali hanno una lunga tradizione, che ha visto i suoi capisaldi nell’iniziale Saggio sulle popolazioni dell’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus (1798), negli studi del matematico e statistico Pierre Franc¸ois Verhulst (1838) che iniziano a tener conto della competizione per le risorse, e poi nei risultati dell’americano Pierre Franois Lotka e dell’italiano Vito Volterra in merito ai sistemi preda-predatore (1925-26). La scala temporale considerata e´ in genere tale da non dover tenere conto delle variazioni della popolazione dovute all’evoluzione naturale: ci´o peraltro pu´o voler dire migliaia di anni per alcune popolazioni o solo pochi anni per altre. Un altro aspetto da considerare e´ l’estrema variet´a delle forme di vita (produttori, compositori, decompositori) e le innumerevoli interazioni che possono instaurarsi tra loro. Ci´o, unitamente alle difficolt´a di poter riprodurre in laboratorio le condizioni ambientali 61
Popolazioni modello
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(e le loro variazioni) presenti in natura, rende praticamente impossibile ricostruire artificialmente un intero ecosistema. Il metodo galileiano di elaborazione di ipotesi e loro verifica sperimentale, non pu´o pertanto essere applicato in modo rigoroso. Tuttavia ci´o non ha impedito agli studiosi di formalizzare dei modelli matematici della realt´a che poi hanno provato la loro validit´a attraverso campagne di misurazione e campionamento condotte direttamente in natura (e poi rielaborate con opportuni metodi statistici). Come popolazione si designa in genere un insieme di organismi viventi della stessa specie, nell’ambito di un certo ecosistema. Quello che interessa e´ studiare l’andamento nel tempo del numero di individui (dimensione della popolazione) e la loro distribuzione spaziale. Il primo risultato, osservato da Malthus, e´ che in certe condizioni le popolazioni possono crescere in modo esponenziale, tanto che malthusiano, e´ diventato, per gli addetti ai lavori, un vero e proprio sinonimo di esponenziale. Ci´o e´ vero solo se - l’ambiente riesce ad assicurare costantemente a tutti gli individui la medesima disponibilit´a di risorse a prescindere dal loro numero - la popolazione e´ isolata, ovvero non vi sono emigrazione o immigrazione - gli individui non si danneggiano tra di loro Sotto tali ipotesi non e´ difficile infatti accorgersi come ogni madre possa mettere al mondo un certo numero di figlie, delle quali una certa frazione sopravvive fino all’et´a fertile per poi mettere al mondo un certo numero di figlie e cos´ı via (il numero dei maschi pu´o assumersi ad ogni generazione pari a quello delle femmine). Il numero Nk degli individui della generazione k-esima, dunque, risulta semplicemente proporzionale a quello della generazione precedente, Nk−1 , attraverso un coefficiente, λ, detto tasso finito di crescita, che riassume in s`e il bilancio tra la natalit´a e la mortalit´a della popolazione. Se λ > 1 il numero di individui esplode, se invece λ < 1, la popolazione si estingue. Ma ci´o allora non significa altro che il numero degli individui evolve secondo una dinamica esponenziale 62
Capitolo 8
63
Nk = λNk−1 = λ2 Nk−2 = . . . = λk N0
(8.1)
Si noti che, considerando un allevamento in cui ogni anno una coppia adulta ne genera un’altra che per´o deve attendere un anno per diventare adulta, il numero delle coppie evolve secondo la sequenza di Fibonacci, ovvero secondo una dinamica gi´a incontrata che al limite diventa esponenziale con λ che vale il rapporto aureo. Queste considerazioni si possono fare per specie che evolvono in maniera ciclica, nascendo, riproducendosi e morendo all’interno di un certo periodo (ad esempio l’anno); in tal caso e´ immediato ricavare a partire dalla registrazione del numero di individui in almeno 2 cicli attraverso la nota tecnica della regressione lineare sull’equazione log(Nk ) = klog(λ) + log(N0 ), ottenuta applicando semplicemente l’operatore di logaritmo alla precedente. Nel caso generale (e pi´u reale) di dinamica continua non c’´e altro da fare che passare alle derivate scrivendo N˙ = rN
(8.2)
con r il tasso istantaneo di crescita, pari alla differenza tra i tassi istantanei di natalit´a e mortalit´a della popolazione. Come e´ ormai chiaro questa semplice equazione differenziale indica che il numero di individui all’istante t sia N (t) = N (0)ert
(8.3)
ovvero come la relazione tra il tasso finito di crescita e quello istantaneo sia semplicemente λ = er (una relazione che spesso si incontra nel passaggio dal discreto al continuo). In tal caso dunque la popolazione diverge in modo esponenziale se r > 0 (ovvero, come e´ ragionevole attendersi, se nuovi nati sono di pi´u dei morti) mentre si estingue se r < 0. Nella vita reale i tassi di natalit´a e mortalit´a non rimangono costanti nel tempo e con essi varia dunque il tasso istantaneo di crescita. Bisogna allora tenere conto della probabilit´a di sopravvivenza in funzione dell’et´a, della distribuzione dell’et´a alla morte, della funzione di maternit´a in dipendenza dell’et´a. Nonostante tutto per´o si riesce a ricavare che la dinamica della popolazione e´ ancora di tipo esponenziale - con il tasso 63
Popolazioni modello
64
Figura 8.1: Popolazioni malthusiane
istantaneo di riproduzione che deve soddisfare una equazione nella quale guarda caso compare il numero e. In realt´a ci´o e´ rigorosamente vero solo se il numero di individui alle varie et´a rimane pressoch`e costante nel tempo (pur non trattandosi ovviamente degli stessi individui). Tuttavia si pu´o dimostrare che per t sufficientemente elevato tutte le soluzioni tendono a comportarsi come quella con distribuzione d’et´a invariante; ci´o e´ provato anche in natura dal fatto che in effetti le popolazioni tendono ad assumere una distribuzione stabile d’et´a. E´ interessante dunque osservare come la dinamica puramente esponenziale sia alla base dello sviluppo delle popolazioni lasciate libere di evolversi in un ambiente benigno e prodigo di risorse, ove gli individui non si danneggino tra loro e non vengano influenzati da contributi esterni, positivi come la colonizzazione da parte di nuovi gruppi o negativi come l’emigrazione o la predazione da parte di altre specie (figura 8.1). Tuttavia il mondo l´a fuori non e´ cos´ı facile. In genere infatti, non e´ affatto lecito assumere che gli individui non si influenzino tra loro, potendo ci´o essere vero solo per i primi tempi dello sviluppo di una popolazione (quando gli individui sono pochi). Occorre allora studiare gli effetti della cosiddetta dipendenza da densit´a.Tra essi vanno registrati quelli negativi come la competizione per le risorse alimentari e per la riproduzione del 64
Capitolo 8
65
Figura 8.2: Dipendenza da densit´a
patrimonio genetico, e poi quelli positivi derivanti da fenomeni di mutua cooperazione o addirittura da attitudine alla formazione di strutture sociali. In definitiva, occorre introdurre, per il tasso intrinseco di crescita, la dipendenza dal numero stesso degli individui della popolazione, scrivendo cio´e N˙ = r(N )N
(8.4)
L’andamento di r(N ) deve essere necessariamente positivo per N basso, altrimenti la popolazione non potrebbe nemmeno svilupparsi, per poi diventare negativo per N elevato, altrimenti la popolazione crescerebbe sempre in modo indefinito. Ne segue allora che deve esistere (almeno) un valore di N per cui r(N ) si annulla. Esso viene detto capacit´a portante (C) della popolazione e rappresenta per essa un equilibrio stabile: per N < C, N tende infatti a crescere (la sua derivata e´ positiva) mentre per N > C esso tende a decrescere. Si veda la figura 8.2. Ovviamente le forme dei diversi andamenti dipendono dalle popolazioni in esame e possono essere anche molto diverse tra loro. Inoltre e´ bene prestare molta cautela nel trattare con i sistemi non lineari a tempo discreto perch´e dietro equazioni apparentemente anche molto semplici possono celarsi comportamenti del tutto caotici. Un buon modello capace di rendere conto della dinamica in caso di competizione per interferenza negativa e´ quello in cui si suppone che la 65
Popolazioni modello
66
capacit´a di sopravvivenza e di riproduzione di ogni individuo venga diminuita ogniqualvolta esso ne incontra un altro; e´ ragionevole infatti considerare che l’incontro tra i due sottragga a entrambi risorse o tempo per procurarsele. Assumendo allora che gli incontri siano del tutto casuali, si deve introdurre un fattore negativo proporzionale al quadrato del numero di individui, scrivendo quella che viene comunemente detta equazione logistica (Verhulst, 1838): N˙ = ρN − βN 2
(8.5)
Ci´o corrisponde ad assumere un tasso intrinseco di crescita linearmente decrescente con N , r(N ) = ρ − βN , essendo ρ il tasso istantaneo di crescita in assenza di competizione. Eguagliando a zero la derivata di N , si determina immediatamente la capacit´a portante C = ρ/β, per cui l’equazione logistica si pu´o riscrivere come N N˙ = ρ(1 − )N C
(8.6)
la cui soluzione e´ N (t) =
N (0)Ceρt C − N (0)(1 − eρt )
(8.7)
Il modello logistico si rivela adeguato anche per descrivere la competizione per sfruttamento di risorse comuni (da supporre sempre disponibili). In tal caso per´o il punto di flesso nell’andamento di tipo sigmoide si presenta per N < C/2 in ch`e significa che gli effetti negativi della dipendenza da densit´a intervengono pi´u presto. Diverso invece il caso in cui si voglia tenere conto anche dei predatori. In tal caso infatti il modello di riferimento e´ quello di Lotka e Volterra, secondo il quale sia le prede che i predatori si assumono separatamente malthusiani e l’incontro tra i due (proporzionale al prodotto delle due concentrazioni, come accadrebbe per le molecole di due gas) si traduce in un danno per il numero di prede e a un premio per il numero dei predatori. Matematicamente perci´o, indicato con N1 il numero delle prede e con N2 quello dei predatori, si pu´o scrivere 66
Capitolo 8
67
N˙ 1 = r1 N1 − pN1 N2 N˙ 2 = −r2 N2 + ηpN1 N2
(8.8)
Si noti che tutti i coefficienti in gioco sono positivi: il segno meno davanti a r2 significa pertanto che in assenza di prede i predatori si estinguono rapidamente (tasso di crescita negativo); η infine rappresenta l’efficienza con cui i predatori sfruttano le prede. Il punto di equilibrio (a parte quello banale con prede e predatori pari a zero) e´ allora rappresentato da ¯2 = r1 /p. ¯1 = r2 /ηp e N N Dividendo poi membro a membro la prima equazione per la seconda e integrando il risultato si pu´o ottenere ¯1 ln(N1 ) + 1 (N2 − N ¯2 ln(N2 )) = cost. N1 − N η
(8.9)
Quest’ultima relazione rappresenta la famiglia delle cosiddette traiettorie del sistema dinamico, ovvero il luogo geometrico che le coppie (N1 , N2 ) descrivono nel tempo. In questo caso si tratta di curve chiuse concentriche nel punto di equilibrio; quale di esse sia effettivamente la soluzione dipende dalle condizioni iniziali delle due popolazioni. Quello che conta per´o e´ che entrambe oscilleranno periodicamente tra un valore minimo e uno massimo, senza mai divergere ma senza nemmeno stabilizzarsi verso un valore costante. Tutto ci´o e´ ragionevole se si pensa che quando le prede sono tante i predatori hanno modo di svilupparsi e proliferare fino a, essendo troppi, far diminuire le prede; con poche prede anche i predatori crolleranno dando cos´ı modo alle prede sopravvissute di ricominciare un nuovo ciclo (figura 8.3). Poich´e per´o s’´e visto che considerare gli andamenti di tipo malthusiano pu´o andar bene solo in certe limitate condizioni, e´ pi´u opportuno introdurre per le prede una dinamica di tipo logistico (con capacit´a portante C1 ). In tal caso le equazioni del modello diventano 1 N˙ 1 = r1 (1 − N C1 )N1 − pN1 N2 N˙ 2 = −r2 N2 + ηpN1 N2
(8.10)
Gli equilibri del sistema dinamico staranno allora all’intersezione delle rette N1 = r2 /(ηp) (verticale) e N2 = (r1 /p)(1 − N1 /C1 ) (obliqua 67
Popolazioni modello
68
Figura 8.3: Dinamiche preda-predatore di tipo ciclico
discendente). Allora, se la capacit´a portante delle prede e´ inferiore al livello cui si stabilisce l’equilibrio con i predatori (C1 < r2 /ηp) allora si avranno la stabilizzazione delle prede su C1 e l’estinzione dei predatori. Nel caso opposto, invece, tale equilibrio sar´a ancora possibile ma instabile (una piccola perturbazione e´ sufficiente per allontanarvisi); viceversa la vera situazione di regime cui il sistema tende sar´a effettivamente quella all’intersezione delle due rette (come ad esempio in figura 8.4), che per´o essa potrebbe essere raggiunta anche senza oscillazioni a secondo del valore dei parametri. Infine non e´ nemmeno lecito considerare il consumo di prede semplicemente proporzionale al loro numero perch´e infatti ciascun predatore, una volta sazio, non prosegue nella caccia anche se le prede nei dintorni sono molte. In luogo del coefficiente , andrebbe quindi usata una diversa espressione che renda conto di tale cosiddetta saturazione: il contributo della predazione alla variazione dei predatori pu´o essere ritenuto proporzionale al numero di prede per un po’ ma poi si assesta su un valore limite al di sopra del quale i predatori cessano di consumare prede. Ci´o comporta una notevole complicazione dei calcoli al termine dei quali si scopre che l’instaurarsi di oscillazioni permanenti rimane solo una delle possibili dinamiche del sistema preda-predatore, accanto alla quale, in base ai valori dei parametri, possono esserci anche esiti quali l’estinzione dei soli predatori o una coesistenza stabile senza oscillazioni. 68
69
1
N2
N ,N
2
Capitolo 8
r2/(ηp)
N =(r /p)(1−N /C ) 2
t
1
1
1
N
1
Figura 8.4: Dinamiche preda-predatore di tipo aciclico
In generale dei sistemi dinamici, lineari o meno, si pu´o dare una trattazione assolutamente formale e rigorosa, basata su precise definizioni matematiche di equilibrio e di stabilit´a. Tutto ci´o va sicuramente al di l´a delle pretese di questo breve saggio il cui scopo e´ semplicemente quello di sensibilizzare il lettore in merito alla potenza della modellistica nella trattazione dei problemi, specialmente quando la sperimentazione reale debba richiedere tempi lunghi per provare l’esito di certe scelte. E` questo proprio il caso dell’ecologia, un ambito nel quale poter fare previsioni quantitative pu´o essere determinante per non intraprendere politiche sbagliate alle quali poi deve essere costretti a far fronte attraverso provvedimenti drastici e costosi. Modelli del tipo di quelli descritti, nei quali le dinamiche di tipo esponenziale sono la norma, rappresentano adeguatamente la competizione di pi´u specie per lo sfruttamento di risorse comuni (ove si scopre che in caso di totale sovrapposizione delle nicchie ecologiche, quella che le sfrutta meno efficientemente e´ destinata all’estinzione oppure ad un adattamento che la porta a differenziare la propria dieta) e sono quindi di notevole efficacia nell’ambito della pianificazione dello sfruttamento delle risorse 69
Popolazioni modello
70
naturali da parte delle comunit´a umane. Interessanti altres´ı, nell’ambito della medicina, i modelli matematici della diffusione dei virus, impiegati per la prima volta gi`a da Daniel Bernoulli per studiare la diffusione del vaiolo nella seconda met`a del XVIII secolo. Il pi´u noto tra essi, dovuto circa 150 anni dopo a W.O. Kermack e A.G. McKendrick, risulta applicato anche negli studi della propagazione dei virus informatici nelle reti di computers ed e´ valido anche per rappresentare la dinamica della diffusione di pettegolezzi e dicerie. Esso strettamente valido nell’intervallo in cui la popolazione totale e il fattore di contagio possano ritenersi costanti e assumendo che tutti siano inizialmente suscettibili e il periodo di incubazione tra la contrazione e il manifestarsi della malattia sia nullo. Sotto queste ipotesi si pu´o scrivere S˙ = −βIS I˙ = βIS − ρI
(8.11)
ove S(t) e I(t) sono l’andamento rispettivamente dei suscettibili e quello degli infettati mentre β rappresenta il tasso di contagio (che deve riassumere in s´e sia la probabilit´a del contatto che la infettivit´a del virus e che quindi pu´o essere ridotto attraverso le quarantene e le vaccinazioni) e ρ il tasso di rimozione dallo stato di malattia per guarigione o decesso. Secondo le ipotesi fatte allora S(t) + I(t) = Ntot = S(0) + I(0). Dato che I˙ = (βS − ρ)I, si deduce facilmente che la malattia si estingue rapidamente (I˙ < 0) da sola se se S(0) < βρ altrimenti (vedi Nota 1) quello diventa il valore di stazionariet´a in corrispondenza del quale il numero degli infettati e´ massimo. Il modello predice quindi un numero massimo di infettati pari a ! ρ ρ Imax = Ntot − 1 − ln (8.13) β βS(0) 1
Dividendo la seconda equazione del modello per la prima e quindi integrando si ottiene ρ S(t) I(t) = I(0) + S(0) − S(t) + ln (8.12) β S(0)
70
Capitolo 8
71
Suscettibili Infettati N −S tot
0 S
safe
− (ρ/β)ln(S/βS(0))
S
safe
Figura 8.5: Andamento di suscettibili e infettati
e anche che, quando I(t → ∞) = 0, rimarr´a sempre una frazione di Ssaf e di popolazione che non sar´a infettata, corrispondente alla soluzione (non ottenibile per via analitica ma con buona approssimazione per via grafica) dell’equazione ρ Ssaf e Ntot − Ssaf e = − ln β βS(0)
(8.14)
Naturalmente se la numerosit´a della popolazione non sufficiente elevata da poter essere trattata da variabile continua, tale frazione potrebbe essere troppo piccola per rappresentare anche un solo individuo intero per cui in tal caso nessuno riuscirebbe in realt´a a sfuggire al contagio.
71
72
Capitolo 9
Ordine e disordine Certo, certissimo, anzi probabile Ennio Flaiano, Diario notturno
L’ordine e il disordine influenzano la nostra vita tutti i giorni. E` naturale dunque che in ambito scientifico si sia cercato di definire il concetto formalizzando la materia in modo da consentirne una trattazione quantitativa. L’ordine sembra legato alla certezza di trovare una cosa in un certo luogo e, viceversa, la nostra conoscenza di un sistema e´ tanto minore quanto maggiore e´ il suo disordine. Quest’ultimo e´ certamente legato al numero di possibili disposizioni degli elementi che costituiscono il sistema, il quale dipende in modo esponenziale dal numero stesso degli elementi. Ad esempio, il numero di possibili disposizioni di N palline in due recipienti comunicanti e´ pari a 2N per cui la probabilit´a che, dopo aver agitato un po’ il contenitore, si trovino tutte in uno solo dei due vani, diminuisce molto rapidamente all’aumentare di N . Il grande fisico austriaco Ludwig Eduard Boltzmann, attorno al 1900, propose allora di misurare il disordine del sistema attraverso il numero w degli stati in cui pu´o trovarsi (macrostati) ed introdusse l’entropia 73
74
Ordine e disordine
S = kB ln(w)
(9.1)
come quantificatore del disordine (kB e´ la gi´a incontrata costante di Boltzmann); e´ proprio per questo che il secondo principio della termodinamica risulta legato all’aumento del disordine. Vittima del disurbo bipolare e di non buone condizioni di salute lo scienziato fin´ı per impiccarsi a Duino (Trieste) ma la sua pi´u celebre equazione rimane letteralmente scolpita nella pietra e non solo quella della sua lapide a Vienna.
Figura 9.1: Epigrafe in cima alla tomba di L.E. Boltzmann
Il logaritmo serve proprio per poter trattare con numeri ragionevoli nonostante il numero degli stati possibili sia funzione esponenziale del numero di elementi (ad esempio atomi, nel caso di un gas) che compongono il sistema. L’entropia di un sistema che, da uno stato avente un 74
Capitolo 9
75
Figura 9.2: Aumento di entropia
numero w1 di configurazioni possibili, passa ad un altro caratterizzato da w2 possibili disposizioni dei suoi elementi costitutivi varia allora di una quantit´a ∆S = S2 − S1 = kB ln(
w2 ) w1
(9.2)
Ad esempio (figura 9.2), mettendo in comunicazione i due vani del recipiente contenente le N palline e agitandolo, l’entropia del sistema varia di una quantit´a S = kB ln(2N /1) = kB N ln(2). Lo stesso identico risultato si troverebbe mettendo in comunicazione una bombola di gas con un’altra di eguale volume. In tal caso, essendo il numero di molecole pari a un multiplo del numero di Avogadro, la variazione di entropia risulta pari a un multiplo di Rln(2). La termodinamica rappresenta quel settore di indagine scientifica che si occupa principalmente di trasformazioni di calore in lavoro meccanico e viceversa. E` solo verso la met´a dell’Ottocento che, dopo i risultati di S.N. Carnot relativi ai cicli termodinamici, che si e´ cessato di considerare il calore come una specie di fluido responsabile delle variazioni termiche, riconoscendo invece in esso una forma di energia come lo e´ il lavoro compiuto da una forza. Il fattore chiave per comprendere tale equivalenza si e´ poi rivelata essere l’interpretazione cinetica che riduce tutti i fenomeni termici a disordinati movimenti di atomi e molecole. Tuttavia il punto di vista termodinamico che trascura la descrizione dettagliata del moto delle particelle considerando invece le sole propriet´a medie dei loro insiemi, ha 75
76
Ordine e disordine
Figura 9.3: Lavoro di un gas in espansione
consentito di raggiungere in modo relativamente semplice risultati molto significativi a prescindere dal meccanismo cinetico dei fenomeni. Un semplice risultato di tale approccio, nel quale compare il numero e, e´ rappresentato dal calcolo del lavoro compiuto da un gas che si espande in un contenitore indeformabile. Essendo definito come il prodotto (scalare) di una forza per uno spostamento (di ogni singola particella) esso risulta pari anche al prodotto della pressione (= forza / superficie) per la variazione di volume (= superficie × spostamento). Dunque il lavoro infinitesimo si pu´o esprimere come dL = P dV . Si consideri la figura 9.3. Assumendo di poter trattare il gas come ideale, si pu´o utilizzare l’equazione P V = nRT che esprime la relazione tra le tre variabili di stato (n e´ invece il numero di moli del gas). Il lavoro compiuto dal gas nella sua espansione da un volume V1 a un volume V2 vale allora L=
Z
V2
V1
P dV =
Z
V2 V1
nRT V2 dV = nRT ln( ) V V1
(9.3)
Data dunque la relazione di proporzionalit´a inversa tra pressione e volume, entra in gioco il logaritmo che rende quindi necessarie ampie variazioni di volume del gas per poterne ricavare un lavoro significativo. E´ proprio una espansione del vapore che, nelle turbine delle centrali 76
Capitolo 9
77
termoelettriche, produce il lavoro necessario a produrre energia elettrica utile per la nostra vita di tutti i giorni. Il primo principio della termodinamica, che tutti impariamo sin dalle scuole superiori, esprime sostanzialmente la conservazione dell’energia, dicendoci che la variazione di energia interna (∆U ) di un sistema durante una trasformazione eguaglia la differenza tra l’energia ricevuta dall’esterno (sotto forma di calore, Q o lavoro L) e quella ceduta verso l’esterno (sotto forma di lavoro, L o calore Q). Per un gas ideale l’energia interna si scopre essere dipendente solo dalla temperatura, e si tratta in particolare di una semplice proporzionalit´a attraverso un coefficiente Cv che non e´ altro che la capacit´a termica del gas (ovvero il rapporto tra calore assorbito e corrispondente incremento di temperatura) a volume costante (ovvero misurata quando il gas viene scaldato mantenendone costante il volume). Per questo motivo il primo principio, relativamente a una trasformazione infinitesima di un gas ideale, si pu´o formulare come Cv dT = dQ − pdV oppure anche, sfruttando la gi´a citata equazione per una mole di gas perfetto, Cv dT = dQ − RT dV /V . Si tenga presente che quello del gas ideale e´ un modello valido per i gas ad alte temperature e/o basse pressioni; in altre condizioni (ad esempio in prossimit´a delle condensazioni) e´ opportuno far riferimento ad altre equazioni (di Van der Waals), che comunque non mutano di moltissimo i risultati concettuali. Dal punto di vista termodinamico la variazione infinitesima di entropia e´ definita come dS = dQ/T . Ne segue allora che essa, per un gas ideale, vale dS = dQ/T = Cv dT /T + RdV /V da cui, integrando, S = Cv ln(T ) + Rln(V ) + cost.
(9.4)
Il numero e sembra quindi incastonato nella natura dell’entropia. Dal secondo principio della termodinamica sappiamo infine che non e´ possibile trasformare integralmente il calore in lavoro in quanto il primo e´ in un certo senso una forma di energia disordinata (come i movimenti caotici delle molecole di un gas che, riscaldato si espande sollevando il pistone) mentre il secondo ne rappresenta una forma ordinata (come il movimento delle molecole che, sottoposte alla sola forza di gravit´a, fanno abbassare il pistone). L’aumento dell’entropia e´ una misura di questa 77
78
Ordine e disordine
impossibilit´a, che in ultima analisi decreta la sentenza di morte per tutti gli esseri viventi basati sul metabolismo, in quanto trasformazione di energia. L’entropia pu´o rimanere costante solo nel caso di trasformazioni idealmente reversibili ma per tutte quelle spontanee (irreversibili) essa aumenta sempre. E´ interessante osservare quindi come la spontaneit´a delle trasformazioni naturali sia legata alla misura del disordine attraverso una relazione di tipo esponenziale. In altri termini, cio´e, pi´u uno stato risulta disordinato e pi´u spontaneamente viene raggiunto: l’aumento dell’entropia e´ infatti funzione esponenziale crescente del numero di configurazioni possibili associate a quello stato. Il numero e entra in gioco anche in un altro ambito, sempre legato alla descrizione statistica dei fenomeni naturali. Spesso accade infatti che, dato un campione rappresentativo di un certo fenomeno, i risultati simili al valore medio sono pi´u numerosi mentre quelli che pi´u se ne discostano lo sono via via sempre meno. In altri termini, cio´e, allontanandosi dal valore medio il numero di elementi diminuisce, secondo una caratteristica distribuzione dalla forma a campana. L’esempio pi´u tipico e´ quello relativo alle misurazioni di una certa grandezza fisica, come ad esempio la concentrazione di una particolare molecola in una soluzione, la temperatura di una sostanza, la velocit´a di un corpo in movimento. Gli errori casuali di misura, all’aumentare del numero di misure, tendono infatti a disporsi in modo tale che quelli piccoli sono pi´u numerosi di quelli elevati e tutti sono pi´u o meno simmetrici rispetto allo zero (misura corretta). Volendo descrivere questo tipo di distribuzione attraverso una formula chiusa, occorre una curva dotata di un punto di massima probabilit´a e tendente a zero per x → ±∞ ma senza mai annullarsi veramente perch´e l’eventualit´a di uno scarto elevato non e´ mai del tutto impossibile. La funzione che meglio rappresenta questo tipo di comportamento intorno allo zero e´ anche detta gaussiana in quanto introdotta nella prima met´a dell’800 da Carl Friedrich Gauss (anche se gi´a nota a A. De Moivre un secolo prima), matematico, fisico, astronomo tedesco e sicuramente uno dei pi´u grandi uomini di scienza di tutti i tempi al quale dobbiamo il 78
Capitolo 9
79
Figura 9.4: Distribuzione gaussiana
teorema fondamentale dell’algebra, il concepimento della geometria differenziale, l’introduzione dell’aritmetica modulare, il teorema del flusso e molti altri importanti risultati in ambiti diversi. Essa e´ illustrata in figura 9.4. Definito come scarto la differenza (δi) tra il valore reale (µ) e il valore della sua i-esima misura (xi ), la media di tutti gli scarti e´ in genere nulla ma non cos´ı accade per la quantit´a N 1X 2 ¯ δi2 δ = N
(9.5)
i=1
denominato scarto quadratico medio (N e´ invece il numero di misure effettuate). La sua radice quadrata rappresenta la cosiddetta deviazione standard, indicata normalmente con σx , ed e´ un parametro indicativo della distribuzione dei dati intorno al valore medio. Pi´u essa e´ elevata e meno gli errori casuali sono raccolti attorno allo zero; pi´u e´ bassa e minore invece e´ l’incidenza degli scarti elevati. Accade infatti che circa 2 misure su 3 siano comprese tra −σx e + σx (ovviamente rispetto al valore medio, qualora questo non fosse nullo). 79
80
Ordine e disordine
La funzione gaussiana, il modello che meglio rende conto di questo tipo di distribuzioni, e´ espressa come: f (x) = p
1 2πσx2
1 x−µ 2 ) σx
e− 2 (
(9.6)
Essa rappresenta cio´e la frequenza della misura x ed e´ sempre trasformabile in una gaussiana di media nulla e varianza unitaria se scritta in funzione della variabile z = (x − µ)/σx . Date due misure x1 e x2 qualsiasi, il numero totale di quelle tra esse comprese sar´a allora dato dall’integrale √ della funzione gaussiana tra x1 e x2 . Il coefficiente moltiplicativo 1/ 2π e´ stato introdotto proprio al fine che l’integrale tra −∞ e +∞ dia come risultato l’unit´a; in tale intervallo sono infatti contenute tutte le misure possibili. Dato un certo numero n di prove (ad esempio il lancio di due dadi) ed un risultato (ad esempio l’uscita del numero 7, che come e´ noto e´ il pi´u probabile) avente una probabilit´a costante p di verificarsi (dato che 6 combinazioni su 36 danno come risultato 7, in questo caso p vale ogni volta sempre 6/36=1/6) si dice scarto il valore x = nr − pn ove nr e´ il numero di volte in cui il risultato si e´ verificato. Vista da un’altra angolazione l’equazione della distribuzione normale descrive anche la probabilit´a che si verifichi lo scarto x su n prove. Data la dipendenza da x di tipo esponenziale, si noti quindi come, all’aumentare dei lanci, la probabilit´a di scarti elevati sia bassa. Quello gaussiano non rappresenta l’unico modello di distribuzione di probabilit´a. Ad esempio quella dei fenomeni casuali dall’esito di tipo binario (come quella di un certo numero x di successi su un certo numero n di prove) viene normalmente descritta dalla distribuzione binomiale, una cui impiegata approssimazione, nel caso specifico la probabilit´a p di un successo sia particolarmente bassa (come ad esempio l’estrazione di una particolare carta in un mazzo intero) e´ rappresentata dalla distribuzione di Poisson (detta appunto degli eventi rari) f (x) =
(µ)x e−µ x!
ove µ = pn. 80
(9.7)
Capitolo 9
81
In ogni caso, all’aumentare della numerosit´a dei campioni, la distribuzione normale gaussiana costituisce una approssimazione sempre migliore delle altre. Inoltre, sotto condizioni piuttosto generali, vale il noto teorema centrale del limite secondo cui la somma di n variabili casuali (ovvero grandezze che, all’interno di un determinato intervallo, possono assumere un valore casuale) indipendenti converge verso una che invece ha una distribuzione normale. Quest’ultima, pertanto, risulta certamente uno dei modelli pi´u utilizzati nell’ambito degli studi statistici utilizzati in ambiti molto eterogenei quali la medicina, le scienze naturali, la sociologia, l’economia, fino alla matematica del gioco d’azzardo. Curioso quindi osservare come anche per i fenomeni aleatori, il nostro numero e concorra a rappresentare piuttosto bene la realt´a. In ambito pi´u deterministico la funzione gaussiana viene impiegata per descrivere la concentrazione di inquinanti emessi da una ciminiera (o da un comignolo). Ipotizzando che la velocit´a u del vento sia costante (in intensit´a, direzione e verso) cos´ı come pure il tasso di emissione q, e prendendo gli assi cartesiani come in figura 9.5 si ha infatti che la concentrazione C(x, y, z) dell’inquinante nel punto di coordinate (x, y, z) pu´o essere approssimata da
C(x, y, z) =
1 q u 2πσy σz
y2 z2 − + 2σy2 2σz2 e
(9.8)
Prendendo invece l’origine degli assi in modo che l’emissione si trovi ad altezza hm , il termine z 2 dovr´a essere sostituito da (z −hm )2 . Naturalmente ci´o valido fino a quando l’inquinante non tocca il suolo in quanto dopo occorrerebbe tener conto di un contributo aggiuntivo di riflessione (positivo) o di assorbimento (negativo) che pu´o essere modellizzato facendo finta che ci sia una sorgente virtuale identica anche a quota negativa −hm . I coefficienti σy e σz che determinano l’ammontare della dispersione sono in generale crescenti con la distanza x del punto dalla sorgente inquinante, tanto pi´u rapidamente quanto pi´u instabile e´ l’atmosfera, in modo tale che naturalmente la concentrazione sia una funzione 81
82
Ordine e disordine
Figura 9.5: Modello di dispersione (vento costantemente diretto come l’asse x)
decrescente della distanza x; in caso di inversione termica in quota lo sar´a dopo aver aver raggiunto un massimo, tanto pi´u elevato e pi´u vicino quanto pi´u bassa la velocit´a del vento. Naturalmente poi instabilit´a atmosferiche, turbolenze convettive, nonch´e la tendenza stessa delle particelle a cedere al suolo (soprattutto rilevante trattando di particolato) rendono la realt´a fisica molto pi´u complessa; tuttavia il modello gaussiano pu´o essere adattato per tenere conto di parecchi tra questi fattori, rappresentando dunque un utile riferimento teorico di base.
82
Capitolo 10
Informazioni, segreti, misteri La teoria ci aiuta a sopportare la nostra ignoranza dei fatti George Santayana, Il senso della bellezza
Generalmente si etichetta come matematica computazionale quella implementata dei calcolatori elettronici attraverso opportuni algoritmi, una parola derivante dall’ultima parte del nome dello studioso persiano vissuto intorno all’800 d.c. Abu Ja’far Mohammed ibn M´us´a alKhowarizmi, con la quale si indica un generico insieme di precise istruzioni per l’esecuzione sequenziale di operazioni. Gli algoritmi, formalizzati attraverso linguaggi dipendenti dai microprocessori che li eseguono, si celano sotto i programmi delle lavatrici e delle lavastoviglie, nei sistemi di controllo per impianti industriali o linee di automazione, nei motori di ricerca dei database di uso comune negli uffici di tutto il mondo, nelle centraline delle automobili o degli aeroplani, nei dispositivi di instradamento delle comunicazioni digitali (reti di calcolatori o reti televisive via cavo), finanche nei comuni navigatori satellitari. Talvolta il ricorso agli algoritmi e´ addirittura necessario onde pervenire alle soluzioni: e´ il caso in cui il problema non ammette (o e´ troppo difficile trovarla) una soluzione esplicita, che rende opportuno calcolare una soluzione numerica approssimata ma soddisfacente. 83
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Informazioni, segreti, misteri
Il passaggio dal continuo teorico (ove i numeri sono reali) al discreto dei calcolatori (ove sono disponibili solo un certo numero finito di cifre), pu´o rivelarsi particolarmente insidioso per alcuni tipi di problemi. In certi casi, infatti, condizioni iniziali quasi uguali possono originare scenari completamente diversi tra loro un po’ come accade per le palle da biliardo concentrate al centro del tavolo: e´ praticamente impossibile colpirne il mucchio generando due volte lo stesso effetto. Tuttavia nella maggior parte dei casi gli algoritmi numerici svolgono affidabilmente il loro prezioso lavoro e senza di loro la rivoluzione digitale degli ultimi 30 anni del secolo scorso avrebbe fatto assai meno strada. In questo vasto ambito la dinamica esponenziale e´ legata alla possibile esplosione computazionale del numero di passaggi da elaborare in funzione della numerosit´a dei dati da processare. In alcuni casi, infatti, anche problemi ben posti non possono essere risolti in un tempo accettabile attraverso le tecnologie attualmente disponibili (e probabilmente nemmeno attraverso quelle del prossimo futuro). L’attesa del risultato dipende certamente dalla rapidit´a dell’hardware e dalle risorse di memoria del dispositivo di elaborazione; tuttavia si tratta di una semplice dipendenza di tipo lineare. Quello che conta e´ il numero di operazioni da eseguire, in funzione dei dati; e questo e´ indipendente dalla tecnologia impiegata essendo invece una caratteristica intrinseca del problema in esame che potrebbe essere affrontato anche attraverso la teorica Macchina del geniale Alan Turing, da lui proposta negli anni ’30 del Novecento e tutt’ora, secondo la tesi di Church-Turing, valida come modello concettuale di ogni moderno calcolatore programmabile in grado di eseguire operazioni ripetitive in sequenza. Nonostante il suo prezioso servizio presso il gruppo di crittografi inglesi stabilitosi a Bletchley Park durante la seconda guerra mondiale per decifrare i messaggi inviati dalla macchina tedesca denominata Enigma, il governo inglese di quel tempo fu inflessibile nel perseguire la sua ammessa omosessualit´a imponendogli cure che lo condussero all’impotenza e poi presumibilmente al suicidio (che attu´o mangiando una mela avvelenata); non aveva neanche 42 anni ma le sue opere erano gi state sufficienti a farlo considerare uno dei padri dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Proprio a seguito di una petizione su Internet, uno degli sviluppi tecnologici resi possibili da Alan, il governo britannico produsse 55 anni dopo scuse ufficiali ammettendo il suo 84
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trattamento omofobico e nel centenario della sua nascita venne dedicato un francobollo a “Alan Turing 1912-1954 Mathematician and WWII code breaker ”. Ma forse pi´u di questo riconoscimento gli avrebbe fatto piacere l’omaggio resogli da una nota azienda di elettronica e informatica, che della mela addentata ha fatto il suo celebre Logo. La macchina di Turing non e´ altro che un dispositivo (a prescindere dalla tecnologia con la quale e´ realizzato) in grado di leggere una informazione scritta con un alfabeto predefinito (per esempio il codice binario), modificare il suo stato in funzione dell’informazione ricevuta e infine proseguire a leggere l’informazione successiva. Come si pu´o notare, concettualmente, non e´ molto diverso da quello che fanno i programmi che leggono i supporti di memoria o eseguono istruzioni sequenziali. E´ proprio il tipo di dipendenza del numero di operazioni da quello dei dati del problema che, insieme alla quantit´a di memoria necessaria, determina la cosiddetta complessit´a computazionale dell’algoritmo. Si consideri il noto problema di ricerca di un record in un database, come ad esempio un nome in un elenco telefonico. Un approccio elementare consiste nel confronto del nome cercato con ognuno di quelli presenti. Nel caso peggiore, dunque, in cui il nome sia l’ultimo della lista o non vi compaia neppure, l’algoritmo comporta l’effettuazione di un numero di confronti pari alla dimensione dell’elenco; la complessit´a computazionale di questo algoritmo e´ pertanto dell’ordine di N , essendo N la numerosit´a dei dati. Se per´o i nomi sono stati inseriti nell’elenco in modo ordinato, ovvero in ordine alfabetico, e´ possibile partire dalla met´a dell’elenco e confrontare il nome che vi si trova con quello cercato: se per caso e´ proprio quello allora si e´ stati fortunati altrimenti si pu´o sempre ripetere il procedimento solo sulla met´a dell’elenco che pu´o contenere il nome cercato, scartando in un colpo solo tutta l’altra (figura 32). In tal caso l’algoritmo verr´a ripetuto al pi´u 2k volte, ove k e´ il pi´u piccolo intero tale che 2k > N : la complessit´a computazionale di questo algoritmo (detto di ricerca ad albero binario) crolla cos´ı a log2 N , il ch´e significa che per un elenco di un milione di nomi non servono un milione di confronti ma ne bastano 20 (infatti 219 < 106 < 220 ). La figura 10.1 illustra il procedimento. Se la dipendenza del numero di operazioni da quello dei dati e´ di tipo polinomiale o addirittura logaritmica un algoritmo che risolve il problema riesce a farlo in tempi accettabili; viceversa, se e´ di 85
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Figura 10.1: Algoritmo di ricerca binaria
tipo esponenziale, anche per un numero di dati assolutamente ragionevole, pu´o doverci impiegare un tempo superiore all’et´a dell’universo. Tali problemi, pur rientrando nella categoria di quelli computabili (o anche decidibili), vengono comunemente detti intrattabili. Una terza categoria di problemi e´ quella nota come Non-determistic Polinomial, brevemente indicati con NP. Si tratta di problemi risolvibili in tempo polinomiale ma solo da algoritmi di tipo non-deterministico ovvero contenenti istruzioni che prevedono l’effettuazione di scelte di tipo casuale: se la scelta e´ quella giusta allora la soluzione e´ quella ottima. Pu´o sembrare che alcuni di questi problemi vadano poco al di l´a della matematica ricreativa ma invece molti di essi emergono nelle comuni applicazioni reali. Se ne trovano infatti esempi nei normali problemi di allocazione delle risorse come quello degli operai nei diversi turni, dei professori nelle diverse classi, o degli autisti sui diversi automezzi. Un tipico esempio e´ costituito dal celebre problema del commesso viaggiatore che consiste nel trovare un cammino (di costo) minimo che congiunga tutti i nodi di un grafo arbitrario tornando al punto di partenza (e passando per tutti gli altri una sola volta). Probabilmente nessun funzionario commerciale nel mondo pianifica la sua settimana cercando di risolverlo; tuttavia la disponibilit´a di una soluzione fa molto comodo ai robot che devono praticare un elevato numero di buchi sulle schede 86
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elettroniche, ove poi verranno posizionati i vari componenti. Trovare infatti il percorso che consente di fare tutti i buchi facendo la strada pi´u corta (e quindi nel minor tempo possibile) pu´o consentire di incrementare la produttivit´a in modo significativo. Un discorso analogo vale per il problema dell’instradamento dei pacchetti di dati sulle reti di comunicazione: un algoritmo efficiente consente di ridurre i tempi di attesa delle informazioni, che sono uno dei beni pi´u preziosi nell’epoca in cui viviamo. Diverso e´ invece il problema, da non confondere con il precedente, di trovare semplicemente il cammino di costo minimo tra una partenza ed una destinazione assegnate: in questo caso infatti l’algoritmo polinomiale e´ gi´a stato trovato (dall’informatico olandese E.W. Dijkstra, insignito del Premio Turing nel 1972) ed e´ normalmente implementato sui comuni navigatori satellitari. E´ stato dimostrato (da Stephen Cook, negli anni Settanta del Novecento) che tutti i problemi NP possono essere ricondotti ad una unica categoria, detta degli NP-Completi, che ne contiene tutte le caratteristiche. Riuscire a trovare un algoritmo di tipo polinomiale per uno di essi equivarrebbe allora ad averlo trovato per tutti (e viceversa, qualora si riuscisse a determinare un limite inferiore non polinomiale, non ci sarebbe pi´u speranza per nessuno). Questo e´ il motivo per cui la questione P = N P e´ una i quelle che il Clay Mathematics Institute, fondato da Landon T. Clay, ha ritenuto di dover inserire tra i sette problemi che attualmente rappresentano l’ultima frontiera del sapere matematico, mettendo in palio per la soluzione di ciascuno di essi un premio di un milione di dollari. Ma cosa c’entra in tutto questo il nostro numero e ? Praticamente nulla, se non l’attinenza con le dinamiche di tipo esponenziale; il lettore tollerante per questa digressione sar´a comunque ripagato nel finale. Il numero fondamentale dell’informatica e´ infatti certamente il 2, in virt´u della natura assolutamente binaria dell’elettronica digitale. La capacit´a di memorie e dischi fissi e le velocit´a di comunicazione sono tutte misurate in bit (o bit/sec), la nota BInary uniT che pu´o assumere solo i due valori 0 o 1, in corrispondenza dello stato On/Off dei transistors. Sin dai tempi di Claude Shannon (matematico ed ingegnere americano che pass´o la sua vita tra i laboratori Bell e il MIT fondando e sviluppando la teoria dell’informazione e della comunicazione), le potenze 87
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di base due dominano l’informatica ed e´ proprio grazie alla dipendenza di tipo logaritmico che le tecnologie digitali risultano cos´ı potenti; infatti, bastano pochi bit per rappresentare numeri molto elevati: ad esempio con solo 16 si pu´o arrivare fino a 216 = 65536. E´ questo il motivo per cui le memorie sono in grado di immagazzinare cos´ı tanta informazione: una grandezza fisica che, per essere rappresentata in modo analogico occuperebbe uno spazio x, nella sua forma digitale richiede solo log2 (x) bit. E´ un po’ come dover rappresentare una quantit´a di 64 litri: in forma analogica avremmo bisogno di un recipiente di capacit´a per l’appunto analoga ma in forma digitale ci bastano 6 bottiglie da 2 litri ciascuna poich´e 2 + 21 + 22 + 23 + 24 + 25 = 64. Usando la convenzione che ad ogni posizione della bottiglia associa la corrispondente potenza di due possiamo dunque risparmiare 64-12=52 litri. Per lo stesso motivo i canali di comunicazione digitali sono molto pi´u capacitivi di quelli analogici mentre i CD-Audio possono contenere molta pi´u musica dei vecchi dischi di vinile. A parte quindi l’indubbio vantaggio rappresentato dalla maggiore flessibilit´a dei dispositivi programmabili a microprocessore, ecco dunque che l’idea di Nepero torna dopo cinque secoli e ci consente di addomesticare le quantit´a elevate lavorando con i loro logaritmi. Uno dei problemi che a lungo si e´ ritenuto essere NP, e´ rappresentato dal test di primalit´a ovvero dalla determinazione se un numero dato e´ primo oppure no (e se no come e´ composto). Lungi dall’essere interessante solo per gli esperti di teoria dei numeri, la questione riveste un ruolo di importanza vitale nell’ambito della sicurezza delle comunicazioni digitali nel mondo. La pi´u efficace tecnica di cifratura dei messaggi, nota come RSA (dalle iniziali dei tre ideatori R.Rivest, A. Shamir, L. Adleman), si basa infatti sull’impiego di una coppia di primi molto elevati (almeno 100 cifre) oltre che sull’idea geniale della chiave pubblica, che ha eliminato il terribile problema di doversi comunicare la chiave per la decifrazione del messaggio inviato. Le tecniche di cifratura per sostituzione, nelle quali i caratteri del messaggio vengono sostituiti con altri simboli, si prestano ad essere agevolmente decrittati attraverso analisi statistiche sulle ricorrenze dei vari caratteri. Tecniche pi´u sofisticate sono meno facilmente attaccabili ma comportano comunque la conoscenza delle chiavi di decifrazione sia da parte del mittente che da parte del ricevente: la distribuzione delle chiavi e´ rimasto un problema fino all’avvento della RSA. 88
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Supponete di voler mandare un messaggio ad un destinatario senza che il corriere possa accedere all’informazione. Se chiudeste il messaggio in un cofanetto dovreste fare in modo che il destinatario possa entrare in possesso di una copia della chiave. Se per´o il cofanetto si chiudesse semplicemente a scatto senza poter essere riaperto se non da chi possiede una chiave, allora non ci sarebbe bisogno di distribuire le chiavi. E´ questa l’idea di base della crittografia a chiave pubblica: chiunque, in possesso dei cofanetti dei quali solo voi avete la chiave, pu´o inviarvi messaggi con la sicurezza che solo voi potrete leggerli. Purtroppo convertire questa semplice idea in una metodologia applicabile ai messaggi che viaggiano in rete, occorre trovare una trasformazione che conservi l’informazione (che ai matematici piace chiamare isomorfismo) non (facilmente) invertibile: una funzione adatta e´ rappresentata dell’operatore mod, che restituisce il resto della divisione. Dati cio´e n ed m interi a = nmod(m) ⇔ n/m = x + a (x razionale, a intero). L’operatore ci e´ pi´u familiare di quanto immaginiamo, essendo l’operazione che facciamo mentalmente ogni volta che ci chiedono l’ora nel pomeriggio: generalmente rispondiamo con un numero da uno a 12 e quel numero e´ appunto il resto della divisione dell’ora vera (ad es. le 17) per 12 (che e´ appunto 5). L’aritmetica dei moduli non e´ molto diversa da quella dell’orologio e a fronte di tanta semplicit´a l’operatore, abbinato alla funzione esponenziale, rende del tutto imprevedibile il comportamento del risultato e quindi pu´o essere usato per realizzare una trasformazione unidirezionale. Senza voler entrare nei dettagli dell’algoritmo, basti sapere che, attraverso l’uso dei numeri primi, della funzione modulo e della funzione esponenziale, potete realizzare una coppia di chiavi di cifratura (pubblica) e di decifrazione (privata) in modo tale che, chiunque voglia comunicare con voi possa cifrare il messaggio in un modo che solo voi poi potete interpretare. Gi´a Euclide aveva dimostrato che i numeri primi sono infiniti ed Eratostene, gran bibliotecario di Alessandria d’Egitto, aveva escogitato un modo per ricavare tutti quelli compresi tra 0 e un numero arbitrario N; sfortunatamente per´o il cosiddetto crivello di Eratostene, basato sull’idea di partire da 2, eliminare tutti i suoi multipli, per poi fare lo stesso con quelli del 3, del 5 e cos´ı via, per N elevato diventa intrattabile. Nessuno e´ riuscito a entrare nella testa dei celebri gemelli autistici 89
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raccontati da Oliver Sacks (nel suo libro L’uomo che scambi´o sua moglie per un cappello), che traevano divertimento nel dirsi l’un l’altro numeri primi sempre pi´u elevati ricavandoli a mente. Da allora, quindi, il problema del test di primalit´a ha resistito fino al 2002, quando i matematici indiani M.Agrawal, N. Kayal e N. Safena hanno pubblicato un articolo intitolato Primes in P, illustrandovi una tecnica per risolverlo con complessit´a computazionale dell’ordine del log(p)12 , con p appunto il numero di cui stabilire la primalit´a. Ancora nessuna traccia esplicita del numero e. Ma la pazienza del lettore viene premiata dal fatto che il protagonista di questo breve saggio entra in gioco proprio in una delle questioni pi´u importanti (e tutt’ora in qualche modo aperte) della matematica: la distribuzione dei numeri primi. Da sempre infatti i matematici di tutto il mondo si interrogano sulle caratteristiche dell’insieme dei numeri primi e sulla loro distribuzione nella sequenza infinita dei numeri interi. Sebbene sia abbastanza intuitivo constatare come essi diventino sempre pi´u rari man mano si procede a contare, anche i numeri primi costituiscono un insieme infinito come pure accade per i numeri pari o per quelli dispari. E´ piuttosto banale accorgersi che, dato un numero dispari N , ci sono esattamente (N + 1)/2 numeri pari minori di esso, mentre sono esattamente N/2 se N e´ pari. In ambo i casi il rapporto tra il loro numero e lo stesso N tende a 0.5 per n → +∞. Si dice allora che i numeri pari (o quelli dispari) rappresentano un insieme infinito con densit´a limite pari a 0.5. Altrettanto facile non e´ invece stabilire quanti sono i numeri primi minori di N (la quantit´a viene generalmente indicata con π(N )) e quanto valga la loro densit´a limite (sempre che il limite esista). Risale al matematico francese A. M. Legendre, allievo di Eulero e Lagrange, la dimostrazione che la densit´a limite dei numeri primi e´ pari a zero mentre e´ stato ancora C.F. Gauss il primo a proporre che i numeri primi minori di N siano approssimativamente N/ln(N ), ovvero che la loro densit´a limite valga 1/ln(N ). La sua idea e´ diventata poi un teorema dimostrato da Hadamard e de la Valle Poussin (alla fine dell’Ottocento), secondo il quale limN →+∞
π(N ) =1 N/ln(N ) 90
(10.1)
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Figura 10.2: Andamento dei numeri primi
In realt´a Gauss aveva proposto che una buona stima del numero dei primi minori di N potesse essere rappresentata dalla quantit´a li(N ) =
Z
N
0
1 dν ln(ν)
(10.2)
comunemente detta logaritmo integrale. Sfortunatamente per´o, li(N ) non pu´o essere esplicitamente espresso funzione di N perch´e 1/ln(N ) non possiede primitive esprimibili in una forma analitica semplice. Tuttavia, grazie all’analisi matematica, sappiamo che due funzioni le cui derivate si comportano in modo simile all’infinito, si comportano anch’esse in modo tra loro simile all’infinito. La funzione N/ln(N ) ha derivata pari a 1/ln(N ) − 1/ln2 (N ), che per N → +∞, tende a 1/ln(N ), come pure, per definizione, quella del li(N ). E´ proprio per questo motivo che N/ln(N ) risulta essere una buona approssimazione del logaritmo integrale, per N → +∞. E con essa del numero dei primi minori di N (figura 10.2). Ecco quindi il numero naturale e fare la sua comparsa anche nell’ambito di uno dei pi´u grandi misteri dell’aritmetica, quello della distribuzione dei numeri primi. La quantit´a infinita di questi atomi isolati della matematica, “misurabili solo dall’unit´a”, come li definiva Euclide, ma dal prodotto dei quali tutti gli altri numeri interi possono essere generati, 91
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e´ dello stesso ordine di una funzione in cui compare il logaritmo, quello naturale. Sulla distribuzione dei numeri primi non e´ ancora stata detta l’ultima parola. La partita e´ infatti tutt’ora aperta perch´e una congettura circa una certa propriet´a che essi sembrano tutti possedere (fin’ora non si e´ trovato alcun contro-esempio) deve essere ancora formalmente dimostrata. Si tratta dell’ ipotesi di Riemann, sicuramente il pi´u noto e amb´ıto dei gi´a menzionati problemi del millennio e l’unico tra essi ad essere sopravvissuto agli assalti di un secolo, da quando gi´a nell’anno 1900 era stata indicata dall’autorevole matematico David Hilbert, in occasione di un celebre congresso permeato di positivismo, come uno dei problemi pi´u importanti da risolvere. La congettura dovuta a Bernhard Riemann, celebre matematico tedesco (che ha dato importanti contributi anche sugli spazi non euclidei) morto di tubercolosi a soli quarant’anni a Selasca, nei pressi di Pisa. Secondo essa tutti gli zeri (ovvero i punti per i quali la funzione si annulla) della funzione complessa di variabile complessa (s), nota come Zeta di Riemann ed definita come ζ(s) =
∞ X 1 = ns
n=1
Y
p primo
1 1 − p−s
(10.3)
hanno la propriet´a di avere parte reale pari ad 0.5 ; essi cio´e, nel piano complesso, giacciono tutti sulla retta x = 12 . Si noti che l’espressione della ζ(s) in forma di produttoria era stata ricavata ancora una volta gi´a da Eulero. In realt´a la serie cos´ı definita converge solo per s > 1. Tuttavia esistono modi per estenderla all’intero piano complesso, a prezzo di introdurre alcuni altri zeri banali che non importano per la questione fondamentale: l’insieme degli zeri della Zeta di Riemann si rivela la chiave per dare una identit´a alla natura dei numeri primi e per ricavare lo scostamento del loro numero rispetto all’approssimazione costituita, per N finito, dal logaritmo integrale.
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Siamo tutti logaritmici ? Dubitare di tutto o credere tutto sono due soluzioni egualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere Henri Poincar´e, La scienza e l’ipotesi
Fin dai suoi inizi le analisi sulla psicologia sono state accompagnate da studi su come quantificare le senzazioni. Le prime formalizzazioni risalgono alle idee ottocentesche di E.H. Weber, rese esplicite da G.T. Fechner, secondo cui il valore (∆s) da aggiungere (o togliere) a una stimolazione (s) perch´e venga effettivamente percepita una variazione (∆p), risulta proporzionale all’ ampiezza della stimolazione stessa. Matematicamente cio´e ∆s (11.1) s Weber scopr´ı che il valore della costante di proporzionalit´a k non varia sensibilmente pur di rimanere nell’ambito dello stesso tipo di senzazioni. Ad esempio per l’intensit´a sonora k ∼ = 0.1, per quella tattile ∼ ∼ k = 0.14, per la valutazione di un peso k = 0.02. Un altro modo di vedere la relazione e´ quella di scriverla in forma logaritmica: ∆p = k
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Siamo tutti logaritmici ?
Figura 11.1: Curva di reazione agli stimoli
percezione = k × ln(stimolo)
(11.2)
A stimolazioni che variano in modo lineare corrispondono dunque senzazioni soggettive sempre pi´u simili tra loro. La percezione e´ sempre percezione di differenze e variazioni uguali vengono percepite sempre pi´u debolmente man mano si aumenta l’intensit´a dello stimolo. Estremizzando si potrebbe dire che una stimolazione sempre costante equivale ad una assenza di percezione. Torna dunque l’idea di Nepero, secondo la quale le differenze uguali sono associate a variazioni nello stesso rapporto: la percezione varia di ∆p se lo stimolo vale ∆p/k volte quello iniziale, raddoppia quindi se lo stimolo e´ il quadrato di quello iniziale. Per questo motivo torna utile, talvolta, far ricorso a una scala logaritmica ovvero a rappresentare la variabile indipendente in modo tale che ad intervalli uguali corrispondano potenze successive (e non multipli) della base del logaritmo. In questo modo l’andamento logaritmico e´ infatti rappresentato da una retta (e non da una curva). L’operatore di logaritmo, che rende lineare la crescita esplosiva degli andamenti esponenziali, torna comodo anche quando viene applicato artificiosamente per esprimere alcune misure; ne sono esempio il grado di acidit´a delle soluzioni, costituito dal pH, che e´ proporzionale al logaritmo della concentrazione degli ioni idrogeno presenti, e l’intensit´a dei terremoti: la scala Richter e´ infatti logaritmica per cui ad ogni aumento di una 94
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unit´a nella scala corrisponde un sisma di intensit´a 10 volte superiore. Persino i nostri stessi neuroni, capolinea del nostro sistema sensoriale e deputati anche alle attivit´a mnemoniche e cognitive, hanno una caratteristica funzionale di tipo esponenziale. I primi studi documentati sul funzionamento del cervello risalgono ad Ippocrate e nuove scoperte si sono susseguite nei secoli; tuttavia ancora molto e´ quello che resta da capire. Un fatto assodato e´ comunque che l’encefalo e´ composto da una decina di miliardi di speciali cellule interconnesse tra loro, dette neuroni; si ritiene che l’ intelligenza sia una funzione della rete dei neuroni, come digerire e´ quella dello stomaco, respirare e´ quella dei polmoni e pompare il sangue e´ quella del cuore. Ispirandosi all’anatomia umana, e´ possibile pervenire alla seguente descrizione funzionale di un neurone: - vari rami (dendriti) portano, ciascuno con un diverso peso, i segnali di natura elettrochimica (dell’ordine dei mV, legati alla variazione del flusso di ioni attraverso la membrana cellulare) verso il corpo cellulare - nel nucleo centrale del corpo cellulare ha sede una semplice elaborazione dell’informazione basata sulla somma dei segnali in ingresso e su una semplice operazione di “sogliatura ”del risultato - dal nucleo parte una diramazione (assone) che porta il risultato di tale elaborazione verso altri neuroni, attraverso opportune connessioni (sinapsi) con altri dendriti. Ebbene, la risposta funzionale di ogni neurone alla somma degli stimoli che ciascuno di essi riceve da quelli cui e´ collegato e´ rappresentata efficacemente della funzione di tipo “sigmoide ” 1
output =
(11.3) 1+ Ci´o non significa altro, allora, che l’ampiezza dell’impulso in uscita dal neurone (detto potenziale d’azione) risulta legato alla somma pesata di quelli in ingresso attraverso una caratteristica funzionale nella quale ek×input
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Figura 11.2: Relazione ingresso-uscita di un neurone artificiale
compare il numero e. Pi´u la costante k e´ elevata e pi´u la curva sigmoide assomiglia a un gradino (figura 11.2). Lo studio delle reti neurali, iniziato con i lavori di W.S. McCulloch e W. Pitts nel 1943, e´ un tema di grande attualit´a nell’ambito di discipline scientifiche diverse, dalla fisiologia alla psicologia o alla robotica. Comprendere i meccanismi dell’apprendimento e della memoria (prima ancora che quelli del ragionamento) risulta infatti un obiettivo importante non solo per i medici che studiano i processi mentali e cognitivi, ma anche per gli ingegneri che perseguono la realizzazione dell’intelligenza artificiale. In quest’ultimo ambito gi´a numerose si contano le applicazioni delle reti neurali, specialmente legate al riconoscimento automatico di immagini digitalizzate e all’identificazione di modelli non lineari a partire dai dati. Una caratteristica delle reti neurali artificiali e´ quella di non dover essere programmate bens´ı addestrate attraverso la presentazione di numerosi esempi ed opportuni algoritmi di adattamento dei pesi sinaptici sulla base degli errori. Questa loro capacit´a di apprendere (le relazioni tra i dati) le rende cos´ı diverse dal modo di funzionamento dei tradizionali calcolatori elettronici: la loro intelligenza e la loro memoria non sono infatti codificate in un qualche complesso algoritmo bens´ı esse risultano parallelamente distribuite tra i neuroni della rete. Dal punto di vista della 96
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rapidit´a di esecuzione di una singola operazione la CPU di un computer risulta almeno un milione di volte pi´u veloce; tuttavia la struttura ed il funzionamento di una rete neurale la rendono molto pi´u tollerante nei riguardi del trattamento di informazioni incomplete o errate. E per concludere il caso pi´u suggestivo. A prescindere dalle attitudini comportamentali e dal contesto competitivo, non si pu´o negare che in generale e´ raro che gli animali piccoli abbiano una vita molto lunga; per contro e´ frequente trovare esempi di longevit´a in quelli pi´u grandi, come ad esempio l’elefante. In un certo senso per´o, tutti hanno vissuto la stessa “quantit´a di vita” perch´e infatti il metabolismo risulta proporzionale alla massa (elevata a 0.75 per la precisione) dell’animale; in altre parole dunque, il topo e l’elefante compiono pi´u o meno lo stesso numero di respiri e battiti cardiaci, solo che nel topo tutto e´ pi´u accelerato perch´e pi´u elevato e´ il ritmo al quale le sue cellule bruciano energia. La relazione tra il metabolismo e le dimensioni sono state ipotizzate gi´a alla fine dell’800 dal fisiologo tedesco Max Rubner ma l’esponente 3 4 (che poi vuol dire elevare al cubo e fare due volte la radice quadrata) e´ stato introdotto successivamente, dal biologo Max Kleibner negli anni Trenta del XX secolo. Da allora la legge e´ stata confermata dai microbi alle balene ovvero per forme di vita che differiscono per 21 ordini di grandezza. Per una spiegazione convincente si e´ per´o dovuto aspettare fino a quando i due biologi Brian Enquist e James Brown e il fisico Geoffrey West capirono che il tasso metabolico di un animale dipende da quanto efficacemente riesce ad alimentare le sue cellule e trovarono che all’aumentare del volume tale efficacia diminuisce a causa della maggiore superficie da coprire. Ne segue che per gli esseri pi´u grandi il metabolismo e´ pi´u lento e ci´o si traduce in una vita apparentemente pi´u lunga. L’ulteriore contributo di James Gillooly ha consentito di tenere conto anche della temperatura, all’aumentare della quale avvengono pi´u rapidamente le reazioni biochimiche nelle cellule. L’influenza di quest’ultima e´ del tutto simile a quella che essa ha nell’ambito della cinetica chimica. 97
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Figura 11.3: Dipendenza del metabolismo dalla temperatura
Si ha infatti che il metabolismo di un essere vivente pu´o essere valutato come 3
− k ET
B = b0 m 4 e
B
(11.4)
Oltre alla massa (m) e alla temperatura (T ), kB e´ la gi´a incontrata costante di Boltzmann mentre E e´ l’energia media di attivazioni delle reazioni biochimiche tipiche del metabolismo (E ∼ = 0.65eV ). Questa equazione esprime in qualche modo il ticchettio di un orologio molecolare che risulta uguale per tutti dipendendo non gi´a dal tempo che passa ma dal consumo di energie per unit´a di tempo. Ancora una volta questa dipendenza passa attraverso il numero e. Si consideri che l’andamento di B in funzione della sola temperatura e´ ancora del tipo sigmoide (figura 11.3). Ci´o concorda con il fatto che le temperature pi´u elevate accelerano le reazioni metaboliche e con esse il deperimento. Alcune ipotesi mettono in relazione il tasso di mutazioni nel patrimonio genetico con i danni causati dai radicali liberi prodotti con le attivit´a metaboliche. Sembra quindi che il numero e sia scritto dentro la straordinaria storia evolutiva degli organismi viventi, incastonato nelle modalit´a con le quali il DNA replica se stesso commettendo degli errori che talvolta si rivelano vincenti per il miglioramento delle specie (a questo, nelle pi´u evolute, concorre anche il meccanismo dell’incrocio attraverso la riproduzione sessuata). Dopodich´e l’essere vivente sente, elabora ed 98
Capitolo 11
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agisce attraverso processi biochimici e il cosiddetto libero arbitrio altro non e´ che l’espressione comportamentale del codice genetico, impegnato nel sopravvivere e replicarsi massimizzando i benefici e riducendo i costi (e memorizzando le esperienze) nel contesto di vincoli tempo-varianti ed eventi esogeni che accadono e influenzano l’esistenza. Nonostante l’incredibile diversit´a della vita, dunque, sembra che questa equazione del metabolismo venga rispettata, almeno sul nostro pianeta. In essa trova posto il numero e, che quindi si pu´o candidare a buon diritto a numero eletto o che viene “dritto dal libro”, come amava dire in questi casi l’eccentrico ed eclettico matematico ungherese Paul Erd˝os (vissuto nel Novecento e secondo solo ad Eulero per numero di pubblicazioni); il libro che contiene il progetto dell’universo in cui viviamo. Forse facendo parte della realt´a non ci e´ possibile comprenderne il motore primo (nel senso immortale datogli da Aristotele); forse, come sosteneva Platone, stando dentro alla caverna non possiamo che vedere e cercare di interpretare le ombre. Se e´ cos´ı non ci sar´a facile capire se l’universo sia stato progettato (e perch´e proprio in questo modo, con queste leggi fisiche e questo valore dei parametri) o se sia addirittura finalizzato a qualche scopo (e preveda magari lo sviluppo dall’interno della capacit´a di comprendere s´e stesso). Tuttavia anche per i pi´u semplici che (come chi scrive) si accontentano che tutto sia frutto di Caos e Ananke (il Caso1 e la Necessit´a degli antichi Greci), rimane comunque suggestivo considerare come il meccanismo con il quale la materia si e´ organizzata ed evoluta fino a maturare l’autocoscienza di ci´o che noi chiamiamo vita, riveli al suo interno alcune proporzioni, alcune simmetrie, alcune strutture delle quali abbiamo saputo trovare, se non delle convincenti motivazioni, almeno delle buone descrizioni. Ogni volta che ne cogliamo una, forse proprio perch´e riguarda in qualche modo la nostra stessa natura, non possiamo quindi che rimanerne incantati.
1
Per Caso si intende qui il Caos deterministico, ovvero la combinazione di eventi e circostanze (talvolta molto diverse anche se a partire da condizioni iniziali poco differenti) che in un contesto di elevata complessit´a, occorrono normalmente.
99
100
Parte II
Approfondimenti e Bibliografia
101
Appendice 1
Richiami di Analisi Matematica Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fermalvi entro; ch´e non fa scienza, senza lo ritenere, avere inteso. Dante Alighieri, Paradiso, Canto V (Beatrice a Dante)
Per svelare al lettore pi´u appassionato i motivi per i quali il numero e si trova cos´ı spesso nell’analisi matematica, e´ opportuno far riferimento ad alcune giustificazioni come quelle che si trovano in questa seconda parte. Ho pensato non fosse il caso di riportare integralmente le complete dimostrazioni disponibili su ogni testo di analisi (come ad esempio quelli indicati nelle fonti bibliografiche): quanto segue non ha pertanto le pretese dell’ estremo rigore formale con il quale si ricavano da assiomi elementari tutti gli enunciati successivi. Piuttosto, lo scopo e´ stato quello di raccogliere insieme i risultati che riguardano il mumero e, consentendo al giovane lettore di farsi un’idea del modo di ragionare e degli sforzi necessari per pervenire ad essi. Una certa familiarit´a con l’analisi matematica che si impara negli ultimi anni delle scuole superiori e´ pertanto necessaria per affrontare la trattazione.
102
Capitolo 1
103
1.1 La funzione 1 +
1 x x
Poich´e s’´e detto che la crescita esponenziale e´ la pi´u rapida di tutte il n lettore non dovrebbe stupirsi se si sostiene che la successione 1 + n1 e´ crescente: ogni termine tra parentesi infatti sempre minore del precedente ma pur sempre maggiore di 1 per cui l’elevamento a una potenza superiore lo fa essere complessivamente maggiore del precedente. Una dimostrazione rigorosa di questo fatto basata sullo sviluppo della potenza del binomio, che, fatti gli opportuni raccoglimenti, porta a poter scrivere ! n X Y 1 k−1 1 n h 1+ =2+ 1− (A.1) n k! n k=2
h=1
dalla quale si evince che ogni termine della successione aggiunge al precedente un contributo via via sempre pi´u piccolo e quindi che la successione crescente. Dalla (A.1) si deduce anche che 1 1+ n
!n
1 1 1 1 1 <2+ + 1 + + 2 + . . . + n−3 2 6 4 4 4
!
(A.2)
Poich´e quella tra parentesi una progressione (di n-3 termini) geometrica di ragione 14 essa vale 1−
1
1 n−2 4 − 14
<
4 3
(A.3)
La successione, monotona crescente, e´ dunque limitata superiormente e quindi il suo limite per n → +∞ tende a un valore finito, che viene simboleggiato appunto con e. Lo studio dei limiti e delle derivate della funzione consente poi di ricavarne l’andamento raffigurato. Si noti come essa non sia definita in ambito reale per x compreso tra -1 e 0 (figura A.1).
103
104
Approfondimenti e bibliografia
Figura A.1: La funzione 1 +
1 x x
1.2 Irrazionalit´a di e Lo sviluppo in serie di Taylor e´ un risultato di fondamentale importanza per l’analisi matematica e le sue applicazioni. Esso deriva dal teorema di Lagrange di cui alla Sezione 1.6 e rappresenta un utile modo per approssimare qualsiasi funzione continua e derivabile nell’intorno di un punto come somma di una serie di funzioni semplicemente polinomiali. Secondo Taylor, infatti, data una f (x) continua in un intervallo [a, b] insieme alle sue prime n − 1 derivate, ∀x0 ∈ [a, b] f (x) ∼ = f (x0 ) +
n−1 X k=1
(x − x0 )k hki f (x0 ) k!
(A.4)
ove con f hki (x0 ) si e´ indicata la derivata k-esima valutata per x = x0 . Sviluppando intorno a x = 0 la funzione ex in serie di Taylor si ottiene pertanto 104
Capitolo 1
105
ex = 1 +
+∞ j X x j=1
j!
(A.5)
Considerando in caso di x = 1, ci prova ancora una volta che e e´ il limite della successione crescente +∞ X 1 e =1+ j!
(A.6)
j=1
Si supponga ora che e sia un numero razionale, quindi esprimibile come rapporto pq tra due interi. Moltiplicando ambo i termini della (A.6) per q! si ottiene dunque q!e = q! +
q! q! q! q! + + + . . . + + resto 1! 2! 3! q!
(A.7)
Ma se P e = p/q allora q!e = (q − 1)!p e´ un intero, come pure lo e´ q! . Ne seque allora che anche il resto deve essere un la somma qk=1 k! intero, che indichiamo con R. Esso per´o vale q! q! q! + + ... = (q + 1)! (q + 2)! (q + 3)! 1 1 1 = + + ... = q + 1 (q + 1)(q + 2) (q + 1)(q + 2)(q + 3) ! 1 1 1 1 1 1 < + + = 1+ + + ... q + 1 (q + 1)2 (q + 1)3 q+1 q + 1 (q + 1)2 (A.8) Il contenuto tra parentesi nell’ultima espressione e´ la somma di una 1 progressione geometrica di ragione z = q+1 < 1, che, come noto, vale 1 1−z . Pertanto si ha che ! 1 1 q+1 1 1 R< = = (A.9) 1 q + 1 1 − q+1 q+1 q q R=
105
106
Approfondimenti e bibliografia
Dato che q un intero 1q e´ compreso tra 0 e 1. R quindi non pu a sua volta essere un intero compreso tra 0 e 1q . L’ipotesi che e sia razionale ha portato dunque a una contraddizione e quindi va scartata: e deve essere pertanto irrazionale.
1.3 Il caso dell’interesse 6= 100% Dovendo calcolare il lim
n→+∞
α 1+ n
!n
si ponga m = α/n. Non difficile allora riconoscervi il !αm 1 limm→+∞ 1 + = m !m !α 1 = limm→+∞ 1 + = eα m
106
(A.10)
(A.11)
Capitolo 1
107
Figura A.2: Numero complesso in coordinate cartesiane e polari
1.4 L’equazione di Eulero Ogni numero complesso z = x+iy pu´o essere scritto in coordinate polari (si veda la figura A.2) come z = ρ(cos θ + i · sin θ)
(A.12)
Derivando rispetto a θ, si ottiene quindi dz = ρ(− sin θ + i · cos θ) = dy = ρ · i(i · sin θ + cos θ) = = iz
(A.13)
ma allora, essendo una funziona di θ proporzionale alla sua derivata, deve essere z = Ceiθ ove per´o C = ρ (per z = ρ , con θ = 0, si ottiene appunto il valore della costante C). Per θ = π, si ottiene allora l’equazione di Eulero eiπ = −1. π Con z = i si ha invece i = ei 2 da cui, elevando ambo i membri π ad i, si ottiene ii = e− 2 : la quantit´a ii , che parrebbe aver natura molto immaginaria, e´ invece un numero reale, che vale circa 0.2079. 107
108
Approfondimenti e bibliografia
1.5 Le derivate di ex e ln(x) Relativamente alla funzione f (x) = ax si consideri il caso non banale in cui a = 1 e si indichi per comodit con h l’incremento della variabile indipendente. Il rapporto incrementale vale allora f (x + h) − f (x) ax+h − ax ah − 1 = = ax h h h Posto allora b = ah − 1 = eln(a) Dunque
h
− 1, se ne ricava h =
(A.14) ln(1 + b) . ln(a)
ah − 1 b ln(a) = limb→0 = h ln(1 + b) 1 1 = ln(a) limb→0 1 = ln(a) limb→0 1 ln(1 + b) b b ln(1 + b) limh→0
(A.15)
1
Ma limb→0 (1 + b) b = e per cui ah − 1 ln(a) = = ln(a) h→0 h ln(e) lim
(A.16)
La derivata della funzione esponenziale f (x) = ax vale allora f 0 (x) = pertanto solo per a = e che uguale a se stessa.
ax ln(a),
Si consideri ora la funzione logaritmica y = loga (x). dx Si ha dunque che x = ay per cui = ay ln(a). Ma allora dy dy 1 1 = = (A.17) dx ay ln a x ln a Pertanto, ancora una volta, solo per a = e che la derivata della funzione logaritmica pari esattamente ad 1/x. Basandosi sul calcolo della derivata e´ possibile mostrare che il numex ro e e´ il limite della successione 1 + x1 . Posto che e esista, si consideri 108
Capitolo 1
109
infatti la funzione f (x) = ln(x); derivando si ottiene ln(x + h) − ln(x) 1 = limh→0 = x h ! 1 h = limh→0 ln 1 + h x
f 0 (x) =
(A.18)
Ma allora 1 x
e = limh→0 = limn→+∞
!1 h h = 1+ x !n z 1+ n
dove z = x1 ed h = n1 . Pertanto con x = z = 1 si ritrova la definizione di e.
109
(A.19)
110
Approfondimenti e bibliografia
1.6 Integrazione vs. derivazione Il teorema di Lagrange sostiene che se una funzione f (x) e´ continua e derivabile in un intervallo [a, b], allora in esso esiste (almeno) un punto (ξ) in cui la tangente e´ parallela alla retta passante per i due estremi dell’intervallo (a; f (a)) e (b; f (b)), un punto in cui, pertanto, la de(a) rivata vale f 0 (ξ) = f (b)−f . Si omette la dimostrazione formale del b−a teorema ritenendo che, per gli scopi di questo volume, l’intituitivit´a della sua interpretazione geometrica (fornita dalla figura A.3) possa essere sufficiente. Si indichi allora con F (x) la funzione, detta primitiva di cui f (x) rappresenta la derivata. E´ evidente che, qualsiasi sia la primitiva F (x), si possono prendere arbitrariamente a < x1 < x2 < . . . < xk = x tali P che F (x) − F (a) = ki=1 (F (xi ) − F (xi−1 )); ci´o, infatti, non significa altro che la differenza dei valori estremi pu´o essere valutata come somma delle differenze intermedie. Ma allora, per il teorema di Lagrange (e poich´e F 0 (x) = f (x)),
Figura A.3: Interpretazione geometrica del teorema di Lagrange
110
Capitolo 1
111
F (x) − F (a) =
k X i=1
(f (ξi )(xk − xk−1 ))
(A.20)
Facendo tendere k a ∞ (e quindi rimpicciolendo sempre pi´u la differenza xk −xk−1 ) si riconosce a destra del segno di uguaglianza l’integrale della funzione f (x). Pertanto: Z x F (x) − F (a) = f (t)dt (A.21) a
da cui banalmente, per x = b Z
a
b
f (t)dt = F (b) − F (a)
(A.22)
Questo e´ il motivo per cui il calcolo dell’area si fa valutando la differenza tra i valori della primitiva nei due estremi dell’intervallo di integrazione.
111
112
Approfondimenti e bibliografia
1.7 Equazioni differenziali lineari Una generica equazione differenziale lineare pu´o essere rappresentata con l’espressione y˙ = yϕ(x) + ψ(x) Dato che e−
R
e−
ϕ(x)dx R
(A.23)
6= 0, si pu´o allora scrivere che
ϕ(x)dx
(y˙ − yϕ(x)) = ψ(x)e−
R
ϕ(x)dx
(A.24)
Ma quello che c’´e a sinistraR del segno di uguaglianza non altro che la derivata della funzione y(x)e− ϕ(x)dx , pertanto deve esserlo anche ci che rimasto a destra, che quindi, a meno di una costante, ne deve costituire l’integrale. Ci´o significa allora che Z R R − ϕ(x)dx y(x)e = ψ(x)e− ϕ(x)dx dx + C (A.25) da cui dunque R
y(x) = e
ϕ(x)dx
C+
Z
ψ(x)e−
R
ϕ(x)dx
dx
(A.26)
la soluzione dell’equazione differenziale di partenza Ad esempio, allora, la soluzione di ogni equazione differenziale lineare del tipo y˙ = ay + b sar´a ax
y(x) = e
C+b
Z
−ax
e
dx
= Ceax −
b a
(A.27)
In condizioni iniziali nulle si ha Ce0 − ab = 0 per cui C = ab . Pertanto ogni soluzione pu essere scritta nella forma y(x) =
b ax (e − 1) a
112
(A.28)
Capitolo 1
113
1.7.1 Equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti Queste si possono scrivere genericamente nella forma n X
ai y hii = 0
(A.29)
i=0
ove con y hii si indica la i-esima derivata della funzione y(x). Un metodo dovuto ad Eulero si basa sull’imposizione che la soluzione sia della forma y(x) = eλx ; ci´o significa che si pu´o scrivere ! n X (A.30) eλx ai λi = 0 i=0
Essa e´ dunque soddisfatta solo se si annulla il fattore tra parentesi, detto polinomio caratteristico. Indicate con λ1 . . . n le sue n radici si hanno allorsa n soluzioni (eλi x , i = 1 . . . n) dell’equazione differenziale di partenza. L’integrale generale pu quindi essere scritto come loro combinazione lineare nella forma y(x) =
n X
Ci eλi x
(A.31)
i=0
ove C1 . . . Cn sono costanti da determinare sulla base delle condizioni iniziali (della funzione e delle sue derivate). In corrispondenza di ogni radice multipla λi = µ, con molteplicit´a m, si hanno invece m integrali particolari xm−k eµx , k = 1 . . . m. Il numero totale di soluzioni rimane dunque n. In corrispondenza invece di radici complesse coniugate λi = α ± jβ, di molteplicit m, si hanno integrali particolari Axk e(α+jβ)x e Bxk e(α−jβ)x con k = 0 . . . m − 1. Grazie all’equazione di Eulero si pu´o allora riportare ciascuno di essi nella forma xk eαx [Ccos(βx) + Dsen(βx)], con C = A + B e D = A − B.
113
114
Approfondimenti e bibliografia
1.8 La trasformazione di Laplace La trasformazione di Laplace una formula matematica che consente di riscrivere le equazioni differenziali come semplici equazioni algebriche (estremamente pi´u maneggevoli) ma di variabile complessa (che normalmente viene indicata con “s”). Dato un segnale x che varia nel tempo t secondo l’andamento x(t), la formula di trasformazione la seguente: Λ {x(t)} =
Z
+∞
x(t)e−st dt
(A.32)
0
Applicando la definizione si possono ricavare alcuni interessanti esempi come i seguenti: Λ eat =
1 s−a
ω s2 + ω 2 s Λ {cos ωt} = 2 s + ω2 (A.33) −sL Λ {x(t − L)} = Λ {x(t)} e ( ) dx(t) Λ = sΛ {x(t)} − x(0) dt nR o 1 t Λ 0 x(τ )dτ = Λ {x(t)} s Si usa dire funzione di trasferimento di un sistema dinamico il rapporto tra le trasformate di Laplace della sua ucita e del suo ingresso. Nel dominio delle trasformate possibile fare numerose valutazioni sull’andamento delle variabili che soddisfano le equazioni differenziali che descrivono le dinamiche di un sistema, senza doverle esplicitamente risolvere. Ad esempio, e´ possibile calcolare il valore di un segnale a transitorio esaurito (ovvero per t → +∞) attraverso un’operazione di passaggio al limite sulla sua trasformata di Laplace. E´ possibile prevedere se l’andamento sar´a monotono, oscillante o addirittura instabile sulla base delle radici del denominatore della funzione di trasferimento di un Λ {sin ωt} =
114
Capitolo 1
115
sistema, che si pu´o ricavare direttamente dalle equazioni differenziali che lo descrivono. Nell’ambito della teoria del controllo, che rappresenta il fondamento matematico dell’automatica e della robotica, grazie all’introduzione della trasformata di Laplace, le prestazioni di un sistema controllato possono cos´ı essere tradotte in requisiti sulle funzioni di trasferimento, su alcuni parametri derivanti dalla loro analisi, su quale tipo di andamento nel piano complesso viene descritto al variare di s dalla funzione di trasferimento d’anello (pari al prodotto tra quella del sistema e quella del controllore).
115
116
Appendice 2
Bibliografia utilizzata Oggigiorno tutte le informazioni contenute in questo breve saggio sono pi´u o meno reperibili in rete (sono riportati direttamente nel testo un paio di riferimenti a JSTOR, la biblioteca virtuale statunitense che conserva la versione digitale di molti periodici e pubblicazioni accademiche). Tuttavia per correttezza mi pare opportuno segnalare alcune fonti che ho incontrato nel corso degli studi e dei miei approfondimenti sulla letteratura scientifica divulgativa; in questo ultimo ambito posso segnalare gli ottimi L’enigma dei numeri primi di M. du Sautoy, Codici e segreti di S. Singh e I problemi del millennio di K. Devlin. Per quanto riguara le parti pi´u tecniche, mi limito a citare solo quelli da me utilizzati per costruire la mia formazione scolastica e professionale. - L. Amerio - Analisi I e Analisi II, Utet - E. Fermi - Termodinamica, Boringhieri - P. Silvestroni - Fondamenti di chimica, Veschi Editore - M. Gatto - Introduzione all’ecologia delle popolazioni, Clup Gli argomenti del penultimo capitolo sono invece ispirati ad una pubblicazione speciale di Sciecntific American, ripreso in Italia dal periodico Le scienze: - Matematica computazionale, Le Scienze, I Quaderni - Nr. 84 117
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Approfondimenti e bibliografia combinata con l’interessante saggio - Computer a responsabilit´a limitata di D. Harel ed. Einaudi
Un articolo divulgativo e´ stato infine il punto di partenza per il contributi riguardanti la fisiologia, nell’ultimo capitolo. Si tratta di - B. Enquist - L’equazione di Dio ?, Newton, Nr. 11 Un celebre testo in lingua inglese sul numero e, cui si deve riconoscere qualche debito specialmente in merito ai cenni biografici su John Napier e Leonhard Euler, e´ rappresentato da - Eli Maor - e: history of a number, Princeton University Press
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Nella rappresentazione che la scienza, attraverso il linguaggio della matematica, ha costruito della realt´a che ci circonda, ricorrono alcuni numeri ed alcune costanti che impariamo sin dalle scuole medie ma sulla natura dei quali spesso si smette piuttosto presto di interrogarsi. Alcuni di questi numeri, come ad esempio l’accelerazione di gravit´a o lo zero termico assoluto, sono accompagnati da una unit´a di misura, legata al loro significato fisico. Altri invece, come ad esempio p-greco (π) sono numeri cosiddetti puri ed il loro significato va cercato altrove, nell’ambito della geometria e della matematica. E´ questo anche il caso del numero rappresentato con la lettera e, legato indissolubilmente alla nozione di logaritmo e alle dinamiche di tipo esponenziale. Questo breve saggio si propone di illustrare le origini, matematiche ma anche storiche, del numero e, consentendo di comprendere perch´e esso ricorre in cos´ı tante circostanze, apparentemente molto eterogenee, nella realt´a che ci circonda. Si avr´a cos´ı l’opportunit´a di fare una passeggiata nel corridoio delle scienze, fermandosi di volta in volta nelle stanze della termodinamica, della chimica, della geometria, della dinamica dei corpi e di quella delle popolazioni, della teoria dell’informazione e dando una rapida occhiata persino in quelle della fisiologia, della biologia e dell’architettura. Il bagaglio matematico acquisito alle scuole superiori e´ sufficiente per affrontare e comprendere la trattazione, che rimane di carattere divulgativo. Per il lettore interessato a maggiori spiegazioni o dettagli, e´ disponibile una Appendice che riporta alcuni richiami di analisi matematica.
Massimiliano Veronesi, che ha conseguito una laura magistrale in ingegneria elettronica e un dottorato in ingegneria dell’informazione, lavora da sempre nell’automazione industriale degli impianti di produzione. In collaborazione con alcuni Dipartimenti Universitari contribuisce alla ricerca in automatica ed e´ pertanto autore o co-autore di due testi di carattere specialistico su impiegati algoritmi di controllo e di pubblicazioni tecnico-scientifiche nazionali e internazionali.