Il mito e la sua rappresentazione: la grotta di Tiberio a Sperlonga e i suoi complessi scultorei

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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Architettura Dipartimento di Progettazione dell’Architettura a.a.2008-09

Tesi di Laurea

IL MITO E LA SUA RAPPRESENTAZIONE: LA GROTTA DI TIBERIO A SPERLONGA E I SUOI COMPLESSI SCULTOREI

Relatore: PROF: GIORGIO VERDIANI Correlatrice: GIOVANNA PATTI Laureanda: NATASCIA CACCETTA


Alla mia famiglia, e in particolar modo alla mia cara nonna.


Indice

Abstract ……………………………………………………………………….....................2 1. Brevi cenni sulla vita dell’imperatore Tiberio……………………………….…..…..4 2. Inquadramento territoriale e storico …………………………....……………….......7 3. “Praetorium speluncae”: la villa di tiberio a sperlonga……………………......... 10 3.1 – Il complesso residenziale……………………………………………...….13 3.2 – La grotta…………………………………………………………………...…18 4. La cosiddetta “Odissea di marmo”………………………………………………....26 4.1 – Storia dei ritrovamenti ………………………………………………..……26 4.2 – L’allestimento scenografico della grotta……………………………….…28 4.3 – La “nave Argo”.………………………………………………………………32 4.4 – Il c.d. gruppo di “Pasquino”……………………………………….………..33 4.5 – Il gruppo del “Ratto del Palladio”…………………………….…………….35 4.6 – Il gruppo dell’ “accecamento di Polifemo”…………………………….…..38 4.7 – Il gruppo di “Scilla”…………………………………………….…………….42 4.8 – Ganimede………………………………………………………….…………45 5. “Antra Cyclopis”………………………………………………………………….…….47 5.1 – Un probabile spunto per Tiberio: il gruppo di statue del ninfeo di Pollio……………………………….…….48 5.2 – Il ninfeo di Claudio a Baia……………………………………………….….50 5.3 – La sala voltata della Domus Aurea di Nerone……………………………54 5.4 – Il ninfeo Bergantino dell’imperatore Domiziano………………………….55 5.5 – L’area del c.d. Serapeo-Canopo di Villa Adriana a Tivoli……………….57 6. Il rilievo digitale laserscan e il trattamento del dato………………………………..59 6.1 – Il rilievo………………………………………………………………………..59 6.2 – Il trattamento del dato……………………………………………………….60


Conclusioni…………………………………………………………………………………64 Bibliografia………………………………………………………………………………….68


Abstract

Con questo lavoro di ricerca si è cercato di approfondire, attraverso l’utilizzo di nuove tecniche di indagine non invasive come il rilievo digitale, la conoscenza dell’Antro di Tiberio a Sperlonga. Questo luogo per molti anni ha affascinato, incuriosito e stupito studiosi e non, e ancora oggi, nonostante i numerosi studi effettuati continua a rivelarsi fonte di sorprese. L’antro, conosciuto anche come Grotta di Tiberio, è una cavità naturale di orine carsica, facente parte della villa marittima imperiale appunto nota come Villa di Tiberio. La grotta, nel complesso della villa, assume la funzione di ninfeo-triclinio, ed è esemplare nel suo genere. A renderla unica e inimitabile è l’allestimento scultoreo che in epoca imperiale rendeva la grotta teatro delle più avvincenti imprese dell’eroe Ulisse. Conosciuto come “l’Odissea di marmo”, l’intero allestimento è composto da cinque gruppi scultorei, quattro dei quali erano dislocati all’interno della grotta e uno (il Ganimede) era posto sulla sommità dell’imboccatura. Studiando la grotta nella sua distribuzione spaziale, si è evidenziato come sia divenuta un vero e proprio esempio tipologico, Antra Cyclopis per eccellenza,

a cui faranno

riferimento le future coenatio imperiali. Negli anni avvenire saranno infatti numerosi i tentativi di emulazione nelle ville dei ricchi aristocratici e degli imperatori. Claudio nella sua villa a Baia, Nerone nella Domus Aurea, Domiziano a Castelgandolfo, Adriano nella villa di Tivoli, tutti in qualche modo cercheranno di ricreare un ambiente simile a quello di Sperlonga, ma nessuno di loro riuscirà ad eguagliarne la peculiare magnificenza. Un accurato rilievo digitale è stato effettuato anche su due dei cinque gruppi statuari che un tempo adornavano la grotta, e che attualmente sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga. Esattamente sono stati rilevati il gruppo di Scilla che attacca la nave di Ulisse e quello di Ulisse che acceca Polifemo. Di quest’ultimo gruppo, attraverso l’elaborazione dei dati raccolti, si è potuto realizzare un modello digitale tridimensionale che è stato virtualmente ricollocato nella sua ambientazione antica, cercando in qualche modo di ricreare parte dell’originale apparato scenico della coenatio 2


di Sperlonga. Inoltre, grazie a questo lavoro di ricostruzione virtuale è stato possibile dimostrare l’effettiva presenza delle statue nei luoghi e nelle posizioni supposte finora dagli archeologi. L’approccio strettamente digitale ha permesso di studiare il complesso architettonico in ogni sua parte. Grazie allo strumento laser è stato possibile rilevare e analizzare ciò che è molto difficile, e a volte impossibile, raggiungere fisicamente, come ad esempio, nel nostro caso, l’ intradosso della grotta, il quale si è rivelato un oggetto di studio molto interessante. Attraverso la produzione di curve di livello, che sezionano la calotta intradossale, si è individuata una zona crollata che gli archeologi non avevano ancora identificato e che ha suscitato particolare interesse riaprendo di fatto una possibile discussione sulle vicissitudini storiche degli eventi avvenuti in quel luogo.

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1 Brevi cenni sulla vita dell’imperatore Tiberio

Tiberio nacque nel 42 a.C., rampollo della nobilissima famiglia dei Claudii. Sua madre, la straordinariamente bella ed importante Livia Drusilla, sposò in seconde nozze, quando il bambino aveva già tre anni,Ottaviano, divenuto poi l’imperatore Augusto. Tiberio, che doveva diventare il più grande condottiero del suo tempo e che, per incarico di Augusto, portò vittoriosamente a termine numerose campagne, fu trascurato dal patrigno quando si venne

alla

regolamentazione

della

successione.

Dapprima fu prescelto come successore Agrippa, e, dopo la morte di questi, i suoi due figli,Gaio e Lucio Cesare, che Figura 1: Busto di Tiberio, Parigi, erano nipoti di Augusto in quanto nati dalla figlia Giulia.

Museo del Louvre.

Per non intralciarli, nel 6 a.C. Tiberio si ritirò in esilio volontario a Rodi, dove si dedicò a studi di letteratura, filosofia e belle arti. Oltre alla conduzione delle guerre, questa fu l’altra sua occupazione, con la quale cercò di lenire il pungente dolore per essere stato messo da parte. Poiché la sua sicurezza a Rodi non era garantita, su preghiera di sua madre Tiberio tornò a Roma nel 2 d.C., non prima d’averne chiesto il permesso al presumibile successore di Augusto, Gaio Cesare, che, dopo la morte, avvenuta poco prima, del fratello Lucio, era l’unico pretendente al trono. Gaio Cesare aveva solo ventidue anni. Tiberio, che ne aveva il doppio, sembrava escluso dalla successione. Eppure il destino aveva prescelto lui:ed infatti, nel 4 d.C., gaio Cesare morì per una ferita che aveva subito davanti ad Artagira, durante la spedizione in Armenia. Così Tiberio era sopravvissuto a tutti gli uomini designati da Augusto come possibili successori, e fu per l’impegno perseverante di sua madre Livia che, alla fine, Augusto fu indotto ad adottare Tiberio, nel 4 d.C., e ad utilizzarlo nuovamente come suo generale. Con questo, Tiberio fu portato sulla via della successione ad Augusto, che egli assunse alla sua morte nel 14 d.C., dunque quando aveva già 55 anni e solo dopo lunghe esitazioni. Il periodo del principato di quest’uomo diffidente fu sin dall’inizio segnato da 4


eventi sfortunati in seno alla sua famiglia, nella politica interna ed estera, e soprattutto dalle dispute per il potere nella sua stessa casa. Livia, che con disposizione testamentaria era stata fatta Augusta dal suo sposo, rinfacciava al figlio quello che aveva fatto per lui, e si assicurava la partecipazione al potere, cosa che amareggiò Tiberio e ne guastò il primo periodo di governo. Egli si allontanava più spesso che poteva dalla capitale, ed anzi la abbandonò definitivamente nel 21 d.C. Probabilmente, Tiberio si trasferì nella villa di Sperlonga, in maniera da non essere eccessivamente distante dal centro del potere. Qui vi rimase fino al 26 d.C., anno in cui si verificò un tragico incidente che segnò particolarmente la vita dell’imperatore, e di cui ci raccontano Tacito1 e Svetonio2. Accadde che, durante un banchetto, nella grotta adiacente alla villa, un’improvvisa caduta di massi dall’intradosso, uccise diverse persone. Tiberio si salvò solo grazie all’intervento del suo prefetto Seiano, il quale non esitò ad utilizzare il suo corpo come scudo, per proteggere l’imperatore dalla violenza delle rocce. Con questo gesto Seiano conquistò la piena fiducia dell’imperatore, il quale decise di affidargli pieni poteri di governo, e di ritirarsi, così, per sempre, dalla vita politica. Tiberio, che dopo il terribile episodio del crollo, non riusciva più ad apprezzare la dimora di Sperlonga, decise di trasferirsi definitivamente a Capri, dove trascorse il resto della sua vita. Qui fece costruire dodici ville, per poi risiedere in quella che preferiva, la Villa Jovis. Nel 37, Tiberio lasciò Capri, come aveva già fatto in precedenza, forse con l'idea di rientrare finalmente in Roma per trascorrervi i suoi ultimi giorni; intimorito però dalle reazioni che il popolo avrebbe avuto, si fermò a sole sette miglia dall'Urbe, e decise di tornare indietro verso la Campania3. Qui fu colto da malore, e trasportato nella villa di Lucullo a Miseno; dopo un iniziale miglioramento, il 16 marzo cadde in uno stato di delirio e fu creduto morto. Mentre molti già si apprestavano a festeggiare l'ascesa di Caligola, Tiberio si riprese ancora una volta, suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore; il prefetto Macrone, tuttavia, mantenendo la lucidità, ordinò

1

TACITO, Annali, IV 59, 1-5.

2

SVETONIO, Tiberio 39.

3

A. SPINOSA, Tiberio, p. 214.

5


che Tiberio fosse soffocato tra le coperte4. Il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire, spirò all'età di settantasette anni. La plebe romana reagì con grande gioia alla notizia della morte di Tiberio, festeggiandone

la

scomparsa.

Molti

monumenti

che

celebravano

le

imprese

dell'imperatore furono distrutti, così come numerose statue che lo raffiguravano. In molti tentarono di far cremare il corpo di Tiberio a Miseno, ma fu comunque possibile trasportarlo a Roma, dove fu cremato nel Campo Marzio e sepolto, tra le ingiurie, nel Mausoleo di Augusto il 4 aprile, presidiato dai pretoriani5. Mentre l'imperatore defunto riceveva queste modeste onoranze funebri il 29 marzo, Caligola era già stato acclamato princeps dal senato.

4

TACITO, Annales, VI, 50.

5

A. SPINOSA, 'Tiberio, p. 220.

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2 Inquadramento territoriale e storico La grotta di Tiberio si trova sul litorale tra Terracina e Gaeta (fig.2), a circa 1500m a SE dal promontorio di Amyclae6 (propaggine dei monti Ausoni), sul quale è situata la cittadina di Sperlonga (fig.3), la quale prende appunto il nome dalla spelunca. Questa è una delle zone più suggestive del Lazio sia da un punto di vista storico-culturale che per morfologia e paesaggio7.

Figura 2: La fascia costiera.

Se da Sperlonga si volge lo sguardo a NO, si scorge all’orizzonte il monte Circeo (fig.4), così sporgente sul mare, tanto da apparire come un’isola. Con questo monte viene identificata, secondo i racconti epici, la leggendaria isola di Aiaia (Eea), dimora della maga

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Leggendaria colonia lacedone, cioè di Sparta, la cui fondazione è attribuita a Castore e Polluce, i Dioscuri partoriti dall'uovo di Leda, frutto dell'amplesso che Zeus in forma di cigno ottenne furtivamente dalla splendida moglie di Tindaro. Di Amyclae parla Virgilio nell'Eneide, e ne parla il suo commentatore, Servio, ne parla Plinio, nella Naturalis Historia, ed evidenzia i luoghi in successione: dopo il Circeo, il fiumen Augentum, supra quod Tarracina... et ubi fiere Amyclae sive Amynclae... Plinio lamenta anche la decadenza della qualità del vino Cecubo, frutto della coltivazione dei vitigni attorno al Sinus Amyclanus, così era chiamato il golfo di Sperlonga. Secondo il mito, la città sarebbe stata distrutta a causa del voto al silenzio degli abitanti. 7

“Su questo pittoresco tratto della costiera tirrenica ai confini tra il Lazio e la Campania, a metà tra le sedi delle Sirene partenopee, della Sibilla Cumana, del lago d’Averno da un lato e il Circeo, la selva laurentina, le foci del Tevere dall’altro, aleggiavano ancora i miti preellenici, quelli greci e quelli romani, le leggende omeriche degli errori di Ulisse, con Circe e i Lestrigoni, il passaggio degli Argonauti, le tappe del fatale viaggio di Enea”(G.Iacopi, I ritrovamenti dell’antro cosiddetto di Tiberio a Sperlonga, Roma 1958).

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Circe. Qui, secondo l’ epos omerico, Ulisse procreò con lei il figlio Telegono, successivamente venerato come il fondatore della città di Tusculum8. In età protoimperiale la linea costiera laziale e campana diviene luogo preferito dagli imperatori e dall’aristocrazia romana per trascorrere il tempo libero lontano dalla vita convulsa della città. Originariamente la “villa” romana sorge come azienda di ricchi possidenti che risiedono in città, e costituisce un organismo autosufficiente e redditizio. Inizialmente è abitata solo dai lavoratori che coltivano orti, vigneti e uliveti e allevano animali da cortile ma anche specie più rare e pesci pregiati destinati a raffinati banchetti. La gestione economica della proprietà è affidata al villicus, un servitore che sovrintende a tutte le attività produttive della villa e risponde dell'amministrazione direttamente al padrone. A partire dal I sec. a.C. l’idea di “villa” cambia, così quella che una volta era solo una azienda agricola diventa anche un luogo di soggiorno, di lusso e di otium9. Le forme architettoniche, conseguentemente, si trasformano: l’essenzialità e la funzionalità delle prime strutture cedono il passo ad ambienti architettonici più complessi ed elaborati. Le ville si arricchiscono di spazi creati appositamente per allietare il soggiorno dei padroni e dei loro ospiti: sale da pranzo, triclini, belvedere, ampi giardini, viali e porticati per le passeggiate, servizi termali, padiglioni, tempietti, grotte e ninfei con giochi d’acqua diventano elementi fondamentali per la villa. Le pareti vengono rivestite con intonaci dipinti, stucchi e mosaici, e gli ambienti accolgono statue, gruppi scultorei, rilievi lapidei, anfore, maschere. Tutte opere collezionate non per sincero amore dell’arte, ma come affermazione e dimostrazione di un raggiunto status sociale. Notevole importanza assume anche la biblioteca, dove si custodiscono rari manoscritti letterari e scientifici. La tipologia della villa marittima gode del suo massimo splendore a partire dal I sec. a.C e per tutto il I sec. d.C. Le ville sono spesso dotate di un porticciolo privato, in quanto, generalmente, l’ingresso ad esse avveniva anche via mare. Elemento caratterizzante sono le peschiere (stagna, vivaria, piscinae) che servivano per l’allevamento di pesci pregiati e di molluschi. Anche queste, pur non perdendo la loro originaria funzione di sostentamento, erano divenute piuttosto una moda. L’itticoltura in 8

B. ANDREAE, Praetorium Speluncae, Catanzaro 1995.

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Per i romani termine otium voleva significare il distacco, da parte degli uomini politici, dagli impegni della vita lavorativa per dedicarsi alla vita intellettuale, alla contemplazione interiore e alla cura del proprio corpo (N. CASSIERI, La Grotta di Tiberio e il Museo Archeologico Nazionale, Roma 2006).

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questo periodo è uno dei passatempi degli aristocratici, che non disdegnano di occuparsi delle proprie peschiere e per la loro costruzione impegnano cifre esorbitanti. Al di sopra di esse vengono costruite sale da pranzo, come nel caso di Sperlonga10, consentendo cosÏ agli invitati di scegliere direttamente le qualità di pesce da destinare al banchetto.

Figura 3: Il promontorio di Amycle su cui sorge Sperlonga

Figura 4: Il Monte Circeo visto da Sperlonga.

10

N. CASSIERI, La Grotta di Tiberio e il Museo Archeologico Nazionale, Sperlonga, Roma 2006

9


3. “Praetorium speluncae”: la villa di tiberio a sperlonga Con il nome di spelunca, Tacito (Annales, IV, 59) e Svetonio (Tiberius, 39, 2) fanno riferimento alla villa, nei loro scritti, per ricordare un triste episodio avvenuto nell’ottobre del 26 d.C., e di cui l’imperatore Tiberio fu protagonista. Mentre nella grotta si svolgeva un banchetto, un improvviso distaccamento di rocce dall’intradosso provocò la morte di molti dei presenti. L’imperatore si salvò solo grazie all’intervento del suo prefetto Seiano, al quale, proprio grazie a questo gesto, affidò pieni poteri di governo per i successivi cinque anni11, ritirandosi quasi definitivamente dall’Urbe. Si tratta di un episodio che segnò particolarmente la vita di Tiberio, tanto da costringerlo a lasciare Sperlonga e a trasferirsi definitivamente a Capri, dove fece costruire ben dodici residenze. Secondo gli storici l’Imperatore ereditò la villa di Sperloga dalla madre Livia, che discendeva da una famiglia dell’ager fundanus. Probabilmente il primitivo impianto apparteneva a M. Aufidius Lucro, bisnonno di Tiberio da parte materna. Infatti, a giudicare dalla muratura in opus incertum12 e dai pavimenti in cocciopesto13 (fig.7), la villa probabilmente fu costruita già in epoca tardo repubblicana (prima metà del I sec. a.C.).

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Durante i cinque anni di potere, Seiano non fece altro che tramare alle spalle dell’Imperatore per impossessarsi del regno. Tiberio,avvertito dalla cognata Antonia, denunziò Seiano al Senato, che lo condannò a morte insieme a tutta la sua famiglia (N. CASSIERI, La Grotta di Tiberio e il Museo Archeologico Nazionale, Sperlonga, Roma 2006, p. 14). 12

L’opus incertum, (o opera incerta) rientra tra le tecniche murarie ordinarie di pietrame naturale a pezzatura irregolare. Il materiale era quello generalmente reperibile sul posto, anche di qualità e tipi vari (…). La forma degli scapoli dipendeva dalla frantumazione naturale o dalla conformazione del banco di estrazione(…). E’ naturale che il reticolo esterno della cortina muraria fosse determinato dalla forma del materiale usato, così è possibile trovare, accanto all’opera incerta canonica, strutture considerate “quasi reticolate” (…). (da CAIROLI FULVIO GIULIANI, L’edilizia nell’antichità, Urbino 1995, pp. 177-178)

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Normalmente nella letteratura archeologica si confonde con l’opus signinum, che invece è un composto del tutto diverso. Il coccio pesto è un impasto di calce, sabbia o pozzolana e frantumi di laterizio più o meno grandi, ma comunque omogenei. Aveva caratteristiche idrauliche favorite sia dalla pozzolana (quando c’era) sia dal tritume di laterizio che, mescolato alla calce conferiva alla malta proprietà idrauliche. Da questo deriva anche il suo impiego come strato impermeabilizzante delle strutture. (…). E’ difficile comunque considerare il cocciopesto tra gli intonaci, anche se fu utilizzato in prevalenza come rivestimento di murature oppure come masso pavimentale. In realtà le sue qualità meccaniche ne fanno quasi un conglomerato. Proprio grazie alle sue qualità impermeabilizzanti veniva impiegato nei luoghi umidi e nei rivestimenti delle cisterne, nelle suspensurae dei sistemi di riscaldamento in genere, nei rivestimenti delle superfici

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Sono riconoscibili diverse fasi edilizie, che insieme ai materiali rinvenuti testimoniano un arco di vita molto lungo che perdura fino al V-VI secolo. L’ultima fase certa di occupazione risale all’ VIII secolo, quando una comunità di monaci si insediò in una zona del complesso. Incerta risulta ancora l’epoca di abbandono: forse il gruppo di religiosi si spostò poco più a Nord, spaventato dalle incursioni saracene, e non si esclude che possa aver dato origine all’odierna cittadina di Sperlonga.

Figura 5: Resti della villa di Tiberio: in primo piano la caserma dei pretoriani e sullo sfondo la caenatio.

estradossali delle volte, delle terrazze, in tutti quei posti insomma dove oggi si usa la guaina bituminosa. (ivi., pp. 171-172)

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Figura 6: Pavimentazione in opus spicatum in una latrina.

Figura 7: Cubiculum con decorazione musiva pavimentale in cocciopesto rosso impreziosito con tesserine in marmo bianco. Si noti inoltre, nell’angolo in alto a sinistra, la parete affrescata.

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3.1 – Il complesso residenziale La villa era quindi in gran parte già edificata quando Tiberio, tornato dal suo esilio volontario a Rodi14, e nominato successore al trono nel 4 d.C., la trasformò in praetorium15. L’imperatore soggiornò qui molto spesso16, e anche per lunghi periodi. Sembra che la usasse come residenza in senso proprio, poiché nel complesso non si trova nessun’altra villa signorile. Sul versante Sud del Monte Ciannito è situata un’altra grande villa, probabilmente utilizzata per alloggiare il seguito. All’impianto iniziale appartengono quasi sicuramente gli ambienti in opera incerta della zona Nord, e la caenatio in prossimità del mare. E’ interessante notare l’impostazione assiale di quest’ultima, che conferma come già nell’impianto repubblicano la visuale fosse diretta ad inquadrare la spelunca. La ristrutturazione e l’ampliamento che conferirono alla villa l’assetto attuale vennero di certo effettuati in età augustea, e forse alcuni lavori furono commissionati ancor prima di Tiberio. La zona sul terrazzamento superiore venne riservata ad una funzione di servizio, e forse nella grande costruzione rettangolare, l’imperatore aveva voluto una caserma per i soldati della guardia; nella zona più vicina al mare,invece, si realizzarono nuovi spazi di rappresentanza e il sistema di piscinae per l’itticoltura. Sul lato NE del grande cortile rettangolare sono riconoscibili dei modesti impianti termali, delimitati da murature realizzate con materiale di risulta. Questi sono limitati a due soli ambienti, anche di ridotte dimensioni: il frigidarium17 e il calidarium18. Data la loro modestia si suppone che questi impianti fossero destinati al personale di servizio. Nel cortile interno sono presenti tracce di un colonnato laterizio relativo a un portico non più esistente. 14

Non si conoscono con certezza i motivi dell’esilio di Tiberio. Fatto è che l’imperatore trascorse otto anni della sua vita sull’isola di Rodi, dal 6 a.C. al 2 a.C. 15

Generalmente il termine latino praetorium significa palazzo imperiale.

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Stando alle parole di Tacito, la villa deve essere stata uno dei luoghi che Tiberio usava frequentemente abitare, dopo aver lasciato per sempre Roma nel 21 d.C. e prima di ritirarsi definitivamente a Capri nel 2627. Tacito scrive testualmente che tra il 19 e il 26 Tiberio soggiornava vicino Roma, in campagna o sul mare: propinquo rure aut litore. (da B. ANDREAE, Praetorium Speluncae, Catanzaro1995, p.20) 17

Sala termale dotata di vasca per il bagno freddo.

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Sala termale riscaldata, in genere provvista di vasca per bagni caldi.

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Di particolare interesse risulta il piano pavimentale, in opus spicatum19, di una latrina (fig.6) posta all’estremità sinistra del lato SO del cortile. Questo tipo di pavimentazione venne introdotta verso la metà del I sec. a.C. ed ebbe largo utilizzo per tutta l’epoca romana, soprattutto nei locali umidi e di servizio. Alle spalle di questo ambiente si sviluppa un lungo corridoio, lungo il quale si affaccia una serie di dodici stanze tutte uguali, i cui muri, addossati alla parete posteriore di un portico, formano una L. Secondo l’archeologo Bernard Andreae, si tratta di stalle per cavalli, in quanto in due di questi ambienti è ancora presente la mangiatoia20. Per rendere appartata l’area della villa dalle stalle e dalle stanze di servizio, Tiberio costruì sul lato verso il mare un portico colonnato a due navate, che avanzava in linea retta verso il pendio della montagna (fig.8). Forse si trattava di un ginnasio, luogo dove i romani, passeggiando, discutevano e si dedicavano all’attività letteraria. Era consuetudine infatti effettuare lunghe e metodiche passeggiate indipendentemente dalle stagioni e dalle condizioni atmosferiche. Si trattava di una pratica igienica particolarmente seguita dai Romani che ne avevano stabilito la lunghezza ideale in mille passi. Questo doppio corridoio porticato terminava con un ninfeo, i cui resti sono oggi protetti da una tettoia. E’ un elemento particolarmente interessante, in quanto rivela la sovrapposizione di due diverse sistemazioni. Qui, in un primo momento, il ninfeo venne sistemato rivestendo la parte inferiore della roccia con un muro in reticolato di tufo (fig. 9), mentre nella parte superiore vennero create una serie di nicchie scandite da pilastrini rivestiti da mosaici in pasta vitrea con fondo blu e filari di conchiglie (fig.10). In epoca successiva questa sistemazione venne occultata con la costruzione di un secondo muro caratterizzato questa volta da nicchie rettangolari, aventi davanzale e zoccolo marmorei, alternate a pilastri in stucco scanalato. Il tutto è affrescato con sfondi in giallo e nero (fig.9-10). Lateralmente al ninfeo invece, a concludere il viale sistemato a giardino che fiancheggiava il portico, si trovava una grotticella naturale (fig. 11) detta oecus, trasformata in un vano rettangolare con copertura a botte. Tutto l’ambiente era rivestito in opus reticulatum tufaceo, intonacato e affrescato. Il pavimento è costituito da un fine mosaico con

tessere bianche, mentre la volta era probabilmente rivestita con un mosaico

policromo a motivi geometrici e vegetali incorniciati da conchiglie allettate su uno strato di 19

Opus spicatum: pavimento o paramento esterno con mattoncini disposti a spina di pesce. (da H. MIELSCH, La villa romana, Firenze 1990, p. 207) 20

B. ANDREAE, Praetorium Speluncae, Catanzaro 1995

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intonaco dipinto di rosso. Tutto intorno al perimetro dell’aula sporge, a sottolineare l’imposta della volta, una doppia fila di mattoni con profilo ricurvo. A circa un quinto della profondità sono visibili i resti di una parete che delimitava l’interno dell’aula, e sulla quale vi era un’apertura con porta e lunetta soprastante dove ricorre la stessa decorazione musiva. E’ interessante notare come il tipo di decorazione con mosaico a pasta vitrea e conchiglie, sia motivo ricorrente in varie parti della villa. Questo sistema ornamentale si afferma all’inizio dell’età imperiale, per poi trovare larga diffusione a partire dalla prima metà del I sec. a.C. In prossimità dell’arenile troviamo la cosiddetta cenatio (fig.12). Questa costruzione che, come accennato in precedenza, punta lo sguardo verso la grotta, si sviluppava su due livelli21 e, come era usanza all’epoca, racchiudeva in sé diverse sale da pranzo utilizzate secondo la stagione o le circostanze. Qui si trova un cubicolo dove sono presenti, una decorazione musiva pavimentale in cocciopesto rosso, impreziosito con tesserine in marmo bianco, e una parete che conserva ancora una parte di intonaco affrescato (fig. 7).

Figura 8: Il portico a due navate. 21

(…)la cosiddetta cenatio doveva svilupparsi su due piani con diversi ambienti, in parte coperti a botte come si desume dalla sopravvivenza di alcune imposte. (da N. CASSIERI, La Grotta di Tiberio e il Museo Archeologico Nazionale, Sperlonga, Roma 2006, pp. 41).

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Figura 9: Il ninfeo di testa al portico: risulta ben visibile il muro in reticolato della sistemazione precedente.

Figura 10: Il rivestimento in mosaici di pasta vitrea e conchiglie che decoravano i vecchi pilastrini del ninfeo.

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Figura 11: La piccola grotta, trasformata in vano rettangolare, verrĂ successivamente utilizzata dalla comunitĂ di monaci come cappella cristiana.

Figura 12: La cenatio

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3.2 – La grotta

Figura 13: Vista frontale dell'antro

Già in età ellenistica, fra gli elementi paesaggistici che si inserivano nelle residenze di campagna dei sovrani, si trovavano grotte e sorgenti: nella cultura delle ville della tarda repubblica esse diventano particolarmente richieste, ma l’esempio in assoluto più grandioso di un antro naturale come parte integrante, anzi come centro di una villa, lo offre solo il praetorium di Sperlonga22. La grotta costituisce, infatti, l’oggetto di maggiore interesse di tutto il complesso, tanto da oscurare l’importanza della villa stessa. Probabilmente la sua sistemazione avvenne in età imperiale, nell’ambito della grande fase di ristrutturazione e di ampliamento del complesso residenziale. La sua trasformazione in ninfeo-triclinio potrebbe essere avvenuta in occasione della collocazione dei monumentali gruppi scultorei di soggetto

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B. ANDREAE, Praetorim Speluncae,Catanzaro 1995

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omerico, oggi conosciuti come “Odissea di marmo”. La grotta, infatti, è famosa per essere stata teatro delle imprese più ardue di Ulisse, leggendario eroe di Troia. Probabilmente Tiberio aveva concepito la scenografia dell’antro ispirandosi ai cosiddetti “parchi di sculture” di Rodi. Proprio in quest’isola infatti, dove Tiberio aveva trascorso otto anni di esilio volontario, nacque in età ellenistica il “parco pubblico”: la natura selvaggia veniva domata dall’uomo attraverso la costruzione di viali che la rendevano facilmente accessibile. Qui i percorsi venivano animati da statue che avevano lo scopo di sorprendere e stupire il visitatore. L’antro si trova nella zona più a sud del complesso, ed è preceduto da una grande vasca d’acqua di forma rettangolare con, al centro, una struttura che probabilmente veniva utilizzata come triclinio estivo (fig.13). Questa struttura, anch’essa di forma rettangolare23, ha l’asse maggiore coincidente con l’asse centrale della grotta. E’ suddivisa in due settori: quello più a est, ripartito ancora in quattro scomparti cavi e pieni d’acqua, utilizzato per l’allevamento dei pesci; e quello rivolto verso la grotta, riconosciuto come cenatio marittima, provvisto di una piccola rientranza per l’approdo di una barca, e di una piccola vasca decorata, in origine, da putti marmorei. Sul muro perimetrale di questo triclinio sono presenti delle cavità realizzate con l’inserimento di fondi di anfore, le quali servivano probabilmente ad incastrare dei montanti che reggessero un velarium24. Lo spazio con piano di calpestio, che misura 7,70m x 8,40m, poteva essere ampliato all’occorrenza, posizionando sulla peschiera degli elementi lignei di copertura pavimentale. In questo modo si arrivava ad avere una superficie calpestabile di quasi 150mq. Da questa isola artificiale i convitati potevano apprezzare, durante i loro banchetti, la magnifica rappresentazione marmorea delle avventure di Ulisse, inquadrata dalla splendida cornice naturale della grotta. Ovviamente all’imperatore era riservato il posto d’onore: dal lato sinistro della piccola vasca decorata di putti, Tiberio poteva godere di una vista completa su ogni singolo gruppo25.

23

In realtà non si tratta di un rettangolo geometricamente corretto, ma di un parallelogramma il cui lato corto infatti è inclinato di 4° rispetto alla perpendicolare. 24

Tendaggio di lino sottilissimo che copriva i padiglioni per riparare i convitati dai raggi del sole, dalle brezze o dall’umidità della sera. (N. CASSIERI op. cit., p.48) 25

E’ stato Bernard Andreae a riconoscere nel cornu sisnistro della cenatio il punto di vista privilegiato, dedicato all’imperatore. Come vedremo in seguito, infatti, anche il basamento del “gruppo di Scilla” subirà una traslazione verso nord, per non occultare il “gruppo di Polifemo” situato alle sue spalle.

19


L’imboccatura dell’antro, inoltre era incorniciata da un monumentale prospetto architettonico, di cui oggi, purtroppo, rimane ben poco. A testimonianza di ciò troviamo sul lato destro alcune strutture in reticolato di tufo e in opera vittata26, residui di un ambulacro coperto con una volta a botte. Proseguendo con lo sguardo verso la sommità dell’apertura della grotta, incontriamo, a fare da sfondo alla statua di Ganimede27, ancora resti di queste murature, che proseguono fino a saldarsi, sul lato sinistro, ai podi antistanti la grotticella minore. Sempre sul lato sinistro è presente uno sperone di roccia scolpito a prua di nave (fig.14), un tempo rivestito con mosaico in vetro, di cui rimangono cospicui tratti, attualmente conservati al museo. Uno di essi, a sfondo rosso e bordo bianco, reca l’iscrizione Navis Argo PH, realizzata con tessere lapidee bianche.

La “nave” separa la

grotta principale da una piccola piscina artificiale di forma ovale28, in cui sgorga una sorgente di acqua dolce, e che probabilmente faceva parte del sistema di peschiere. Su entrambi i lati, in corrispondenza dell’ingresso della grotta, furono incassate nella roccia delle sedute di forma semicircolare (fig.15), cinque per parte, intonacate e successivamente rivestite di cocciopesto.

26

Il nucleo cementizio è rivestito da un paramento di blocchetti di travertino o tufo di forma parallelepipeda, disposti in assise piane. Non sono documentate intere murature realizzate in questa tecnica,che risulta invece impiegata per la costruzione di cantonali e di stipiti .Il suo uso più antico è riferibile agli anni 70 a.C., quando viene impiegata per la costruzione dei piedritti delle arcate cieche dell’Anfiteatro; caratterizza alcuni fra i più rilevanti edifici pubblici costruiti durante l’età augustea, quali l’Edificio di Eumachia e il Tempio del Genio di Augusto.( F. PESANDO M.P. GUIDOBALDI, Le tecniche edilizie, Asterischi Laterza) 27

La statua rappresenta Ganimede che viene rapito dall’aquila di Giove. Oggi è sostituita da una copia, in quanto l’originale è custodita al Museo.

28

Questa piscina era in comunicazione con la vasca rettangolare attraverso una saracinesca che regolava il flusso di acqua. E’ presumibile che nel sistema di piscinae intercomunicanti, di forme differenti, e con fondo e pareti dotate di cavità in cui i pesci potessero trovare rifugio dal calore del sole, debba riconoscersi uno di quei costosi e raffinati vivaria che gli aristocratici romani usarono predisporre per l’itticoltura pregiata e i frutti di mare. (N. CASSIERI, op. cit., p.46)

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Figura 14: La "nave Argo"e la piscina artificiale.

Figura 15: I sedili incassati nella roccia (lato Nord).

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Collegata alla grande piscina rettangolare, una vasca dal perimetro perfettamente circolare, si introduce all’interno della grotta. Il raggio misura 10,60m ed è interessante notare che questa misura corrisponde esattamente all’altezza del punto più alto dell’imboccatura dell’antro. Profonda circa 1,50m, al momento dello scavo risultò avere il fondo rivestito di opus sectile29 di marmi colorati, e le pareti foderate in basso di marmi e in alto da mosaici. A fare da filtro tra le due vasche, due piattaforme quasi triangolari derivanti dall’innesto del cerchio nel rettangolo. Su queste due piattaforme probabilmente erano posizionati due gruppi di sculture: il “gruppo del Pasquino” a sinistra e il “gruppo del ratto del Palladio” a destra. Al centro della piscina un basamento in opus caementicium30(fig.16), alquanto deteriorato, che ha perso quasi la sua originaria forma prismatica. Questo era la base di appoggio del gruppo rappresentante il mostro di Scilla che attacca la nave di Ulisse. Il basamento, che misura 3,00m x 2,50m, non è posto esattamente in corrispondenza del centro del cerchio, ma è leggermente traslato verso nord, per non ostacolare la visione dal triclinio, del “gruppo di Polifemo” che si trovava subito dietro. Due anfrattuosità secondarie si dispongono rispettivamente a sinistra e a destra del catino absidale. Si tratta di due grotte più piccole che durante i lavori di sistemazione hanno subito delle differenti modificazioni. La prima, quella situata a NE (fig.16), venne trasformata in un regolare ambiente dalla pianta ellittica, con gli assi rispettivamente di 10m e 8,70m. Il piano di calpestio venne rialzato, forse per essere livellato, e si trova a circa 70 cm dal piano di calpestio intorno alla vasca. Probabilmente era pavimentato con lastre di marmo di cui restano ancora le impronte. Lungo tutta la parete corre uno zoccolo che, data la sua altezza farebbe pensare ad una panca. Sulla sua base sono presenti dei fori cilindrici, posti ad intervalli regolari. B. Andreae ha supposto che fossero delle nicchie destinate a vasi con piante. Tutt’intorno,

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Decorazione pavimentale o parietale a tarsie marmoree policrome, geometriche o figurate. (H. MIELSCH, op. cit. p.207) 30

Il nome deriva dai caementa, i frammenti uniti alla malta a formare un impasto. Da solo l’impasto è quasi sempre usato nelle fondazioni, più raramente negli alzati delle cisterne(opus signinum) o piccoli edifici, ma di regola è adoperato come nucleo interno dei muri in abbinamento con tutte le cortine tradizionalmente note, tanto di grande che di piccola pezzatura. Le modalità di confezione erano due: gettando l’impasto premescolato (meno frequente) o allettando a mano i caementa,e affogandoli poi nella malta molto liquida. (da C.F.GIULIANI, op. cit., p.171)

22


Figura 16: Al centro della vasca, in primo piano, il basamento di Scilla; sullo sfondo a sinistra la sala a pianta ellittica.

Figura 17: Ciò che rimane del basamento del gruppo di Polifemo.

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nella parte superiore della parete vi erano delle maschere di marmo. L’archeologo Giulio Jacopi avanzò l’ipotesi che queste venissero utilizzate come schermi di lampade: inserendo le lucerne dietro al volto, la luce veniva filtrata attraverso occhi, naso e bocca. Sull’angolo anteriore sinistro di questa sala ovale è stata realizzata nella parete una grande nicchia circolare, probabilmente destinata ad accogliere una scultura. La destinazione d’uso di questa sala31 non è ancora chiara: alcuni l’hanno interpretata come il famoso triclinio dove avvenne il drastico episodio del crollo; altri, supportati dal fatto che proprio qui vennero rinvenute le maschere marmoree, credono che fosse usata come scena teatrale. Forse l’ultima ipotesi è quella più convincente, in primis perché durante i banchetti romani era usanza allietare la cena con spettacoli di danza, musica e teatro, e poi perché risulterebbe utile la presenza della panchina che corre lungo tutto il perimetro della sala, per dare posto ad eventuali spettatori o attori. Alle spalle della sala è stato ricavato un ambiente di pianta cruciforme, dove attorno ad un quadrato di 2m x 2m, si dispongono tre bracci rettangolari di 2m x 1m. Sui pilastri dell’entrata sono presenti tracce di mosaico in tessere vitree bianche e blu, contornati da conchiglie. Questo ambiente (detto cubicolo) aveva un pavimento musivo bianco riquadrato da fasce nere a tessitura molto minuta, e le pareti intonacate. Probabilmente la sua funzione era quella di offrire un ambiente un po’ più intimo e riservato, lontano dalla baldoria del banchetto. Una seconda grotta si apre verso sud, e presenta caratteristiche molto diverse da quella appena descritta. Innanzitutto è di dimensioni molto maggiori (una profondità di circa 24,50m, per una larghezza variabile da 6 a 15m), poi la sua forma non ha subito forti sconvolgimenti, ma è stata regolarizzata solo in parte. In questa grotta era collocato il colossale gruppo dell’accecamento di Polifemo: infatti i lavori eseguiti in questa parte dell’antro avevano come scopo quello di realizzare una adeguata ambientazione per le sculture. A circa un terzo della profondità dell’anfratto venne realizzato un podio (fig.17) con un altezza di circa 1m , sul quale si sarebbero collocate le sculture. Dietro di esso, un muro di scherma faceva da sfondo a due delle statue e allo stesso tempo teneva in alto, di un altro metro, la statua di Ulisse. Dietro questo muro di scherma, un secondo muro, realizzato in forma di due semicerchi fortemente incurvati, fungeva da contenimento al 31

B. Andreae ha avanzato l’ipotesi che questa sala ospitasse un ulteriore gruppo scultoreo, rappresentante l’episodio precedente all’accecamento di Polifemo, e cioè quello dell’offerta del vino. Di questo ipotetico gruppo però non sono state rinvenute tracce.

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riempimento retrostante. Nella parte più interna, infatti, era stata creata una terrazza, rialzata di circa 1,50m rispetto al livello della piscina centrale. Pavimentata con lastre di marmo, ora scomparse, questa terrazza era provvista di un pozzetto, il quale raccoglie tuttora le acque sgorganti da una piccola fonte situata sul fondo della cavità, e le convoglia nella piscina circolare. Una scala realizzata in reticolato di tufo collega il livello della piscina con il terrazzamento. E’ interessante notare come tutti questi lavori siano stati eseguiti con il massimo rispetto per il contesto naturale, facendo in modo di integrare quanto più possibile le costruzioni con la roccia. Infatti le superfici delle murature furono rivestite di tritume di pomici o lapilli, per rendere quanto meno evidente l’intervento dell’uomo. Ad esempio, la sala ovale venne rivestita con un intonaco di malta, tritume di lapilli e frammenti di marmo, mentre sul podio del Polifemo vennero utilizzate incrostazioni di pomice. La grotta nel complesso risultava essere un meraviglioso spettacolo naturale arricchito e valorizzato da una vivace policromia, derivante dalle tinte utilizzate per le decorazioni (dove l’ocra, colore dominante, si accostava al rosso, al verde-azzurro e al blu), dai marmi dei rivestimenti, dalle colorazioni delle statue, nonché dal luccichio dei dettagli di metallo di cui spesso queste ultime erano dotate.

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4. La cosiddetta “Odissea di marmo” 4.1 - Storia dei ritrovamenti Il sito aveva fortuitamente restituito reperti archeologici fin dall’Ottocento, tra cui una statua di Apollo e un’erma di Dioniso recuperata dal fondo del mare nel 1879, e attualmente custodita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Importanti ritrovamenti di statue si erano verificati, secondo G. Conte Colino, verso la fine del secolo, anche nei pressi della caverna, durante l’impianto di un vigneto. Sfortunatamente, l’uso di ricavare pestelli e mortai da frammenti di marmo, ha comportato la distruzione di molti reperti, tra cui, stando alle testimonianze dell’epoca, anche di una grossa testa con folta capigliatura, ritrovata nel 1928, la quale era probabilmente riconducibile ai gruppi odissiaci. Tra i pochi esemplari scampati alla barbara usanza, una statua di Andromeda rinvenuta in mare legata a una roccia caduta dal monte Ciannito. Con la seconda guerra mondiale i ritrovamenti si interruppero e la grotta venne dimenticata. Negli anni Cinquanta cominciarono i lavori per la costruzione dell’attuale via Flacca32, strada litoranea che unisce Terracina a Gaeta (fig.2). Alcune indagini di scavo, effettuate nel 1953-54, dalla Sovraintendenza alle Antichità di Roma, avevano rinvenuto, alle falde meridionali del monte Ciannito (esattamente alle spalle della grotta), dei resti di un complesso residenziale, che, vista la datazione delle strutture, avevano identificato come la “villa di Tiberio”. Nel settembre del 1957, quando la strada era quasi terminata, l’ingegner Erno Bellante, direttore del tronco stradale, e il Sovraintendente alle Antichità, Giulio Jacopi decisero di intraprendere un’ispezione all’interno della grande grotta, che si trovava esattamente sul versante opposto del monte Ciannito. Al tempo la grotta era utilizzata come ricovero per barche. L’indagine, ampiamente documentata, evidenziò all’interno della grotta una grande vasca circolare, nella quale vi era un gran numero di frammenti di sculture, alcuni di dimensioni spropositate. I primi ritrovamenti riguardarono un torso di marmo, una testa

32

La via è così chiamata in quanto ricalca per buona parte l’antico tracciato della via romana.

26


giovanile, pezzi di spire di un enorme serpente, una mano in atto di afferrare una spira, e una coscia e un piede di dimensioni colossali. Il Sovraintendente Giulio Jacopi, riferendosi all’ing. Bellante racconta: “I suoi lavori, iniziati il 6 settembre, erano presto coronati dal ritrovamento di copiosi frammenti di sculture in marmo, onde, ad un primo sopraluogo, mi fu dato di rendermi conto immediatamente della grande importanza che veniva assumendo l’esplorazione (…)”.33

Continua poi parlando del suo, forse più importante, ritrovamento: “La

determinazione

fu

presa

soprattutto

in

considerazione

dell’identificazione,

immediatamente fatta, di alcuni frammenti epigrafici greci in cui potevo integrare

da

me

i nomi di

Atanodoro figlio di Agesandro, e di Agesandro figlio di un tale il cui nome terminava in …nio: due degli scultori che, insieme con Polidoro, avevano, al dir di Plinio, creato il famoso gruppo del Laocoonte. La qualità del marmo e caratteri paleografici non mi lasciavan dubbio che fossimo in presenza della firma autografa degli artisti, incisa su quel λιϑος λαρτος «pietra di Lartos», di cui si serviva la scuola rodia, e che appariva identica per qualità al marmo dei frammenti sculturali. Questi ultimi mostravano fin dall’inizio alcuni busti dall’eccellente anatomia, una testa patetica in atteggiamento di torsione violenta e dolorosa, una mano in atto di afferrare le spire di una serpe: tutte le caratteristiche delle figure minori del famoso gruppo del Laocoonte vaticano. Le figure erano in grandezza superiore di poco alla naturale. Successivamente si recuperavano un piede e resti di una gamba e d’una mano colossali, che per proporzioni avrebbero potuto appartenere alla figura centrale di un gruppo analogo a quello nominato: nonché altri frammenti del capo, del petto e del corpo di due fantastici mostri anguiformi, che stanno in mezzo tra il lucertolone, il verme ed il serpente, da ciascuno dei quali essi desumono qualche caratteristica: mostri che a prima vista risponderebbero all’idea, che, dalla lettura di Vergilio e di Plinio, uno si fa dei due « dracones » inviati da Posidone a sterminare i figli del sacerdote troiano, oppostosi all’introduzione del cavallo di legno nella cittadella. Emisi allora l’ipotesi che fossimo in presenza d’una versione (non dico l’unica né la prima) del mito di Laocoonte, rappresentato in proporzioni colossali, tali da giustificare l’annotazione ammirativa di Plinio, esser cioè il Laocoonte fatto «ex uno lapide», anche se tale particolare si fosse dovuto riferire alla sola figura del sacerdote troiano. Com’è noto, il gruppo vaticano non è monolitico, e non risponde in ciò al testo pliniano, e per giunta non è firmato.”34

33

G. JACOPI, I ritrovamenti dell’antro cosiddetto di Tiberio a Sperlonga, Roma 1958, pp.13-14.

34

Ibid.

27


Dopo poco più di un mese, gli studiosi A. Maiuri e G. Lugli avanzarono l’ipotesi che questi ritrovamenti avrebbero potuto far parte ad uno o più gruppi raffiguranti le peripezie di Ulisse. Questa ipotesi venne presto confermata dal rinvenimento di una lapide in marmo italico di forma pressappoco quadrata (50cm x 56 cm), riportante un’iscrizione in esametri latini, composta da un certo Faustinus Felix35, nella quale venivano descritte e esaltate le opere d’arte da lui ammirate nell’antro. Sulla tavola c’è scritto: «Se Mantova potesse restituirci il divino poeta [Virgilio], questi, impressionato dall’immensità dell’opera, si allontanerebbe vinto dall’antro ed egli stesso riconoscerebbe che nessuna poesia potrebbe rappresentare gli inganni dell’Itacense, le fiamme e l’occhio strappato dal semiferino [Polifemo] parimenti appesantito dal vino e dal sonno, le spelonche e i vivi laghi e le ciclopiche rocce, la crudeltà di Scilla e la poppa della nave spezzata dal vortice così come le ha rese l’abilità dell’artista che solo la Natura[maestra e genitrice di esse] supera. Faustino con gioia [dedica] ai suoi signori »36. Lo Jacopi riconosce, inoltre, nei “signori” proprietari della villa l’imperatore Domiziano e sua moglie. In realtà la datazione di questa lapide è incerta e controversa, e ricopre un arco di tempo abbastanza ampio: tra l’età augustea e la fine del III sec. d.C. Nonostante l’incerta datazione la lapide costituisce un elemento di fondamentale importanza per la comprensione e la ricomposizione dei gruppi scultorei di Sperlonga.

4.2 – L’allestimento scenografico della grotta Dopo anni di studi e in seguito a un paziente lavoro di restauro, che ha permesso la ricomposizione delle migliaia di pezzi rinvenuti, la dislocazione dei gruppi scultorei all’interno della grotta può ritenersi sufficientemente certa. Rimangono invece, motivo di discussione tra gli esperti, la cronologia e la provenienza dei reperti. Alcuni sostengono che si possa trattare di originali greci medio-tardo ellenistici (II-I sec. a.C.), altri ritengono che si tratti di più tarde creazioni eclettiche, realizzate espressamente per la decorazione del sito, quindi collocano le sculture nel I sec. a.C., tra l’età tiberina e, al massimo, quella flavia. Purtroppo nemmeno la tavoletta con le firme degli autori risulta essere di grande aiuto. Che si tratti di scultori Rodii è cosa certa, il problema della datazione però rimane, a causa del reiterarsi di nomi uguali da padre in figlio. 35

Faustinus Felix viene identificato dallo Jacopi come “un agiato proprietario di ville nell’agro terracinese, dilettante di poesia e amico di Marziale(39-103 d. C.)”. 36

Traduzione da N.CASSIERI, op. cit. p.111.

28


Altri studiosi, tra cui B. Andreae, credono che ci si trovi dinnanzi a copie37 tratte da originali ellenistici bronzei, probabilmente ammirati da Tiberio durante il suo soggiorno a Rodi. A supportare quest’ultima ipotesi vi è il fatto che i gruppi scultorei di Sperlonga presentano un gran numero di puntelli38, segnale questo che l’originale di ogni singolo gruppo era stato concepito per essere realizzato con un materiale duttile come il bronzo, e non fragile come il marmo. Probabilmente Atanodoro, Agesandro e Polidoro appartenevano a una famiglia di copisti specializzati nella trasposizione in marmo di monumentali sculture ellenistiche. Essi dovettero essere apprezzati a tal punto da lasciare Rodi per trasferirsi in Italia, dove lavorarono intensamente tra Roma e la Campania durante la prima età imperiale. Infatti, in una villa di Capri, quasi sicuramente appartenuta a Tiberio, è stata rinvenuta una base con l’iscrizione del nome di Athanodoros figlio di Hagesandros di Rodi. Anche delle statue, rinvenute nel ninfeo di Claudio a Baia, presentano numerose analogie sia con il Laocoonte che con i gruppi di Sperlonga. Comunque, anche se si riuscisse a dare una datazione certa alle sculture, rimarrebbe il dubbio se queste siano state realizzate altrove e poi trasportate a Sperlonga, oppure lavorate in loco con marmo importato dall’Asia Minore. L’ultima ipotesi sembra essere la più convincente, tanto che c’è chi afferma che il rivestimento in opus sectile della piscina circolare, sia stato realizzato con le scaglie marmoree residue della lavorazione del gruppo di Scilla.39 Come già accennato, l’unica cosa finora certa è la disposizione dei gruppi. In primo piano, in un’ambientazione non realistica, sono collocati, sulle piattaforme triangolari, rispettivamente a sinistra e a destra, il “gruppo di Pasquino” e quello del “Ratto del Palladio”. Composti da due figure ognuno, rievocano l’antefatto delle peregrinazioni di Odisseo, ossia la guerra di Troia: il primo rappresenta il recupero della salma di Achille e 37

Va precisato che la moderna opinione riduttiva della «copia», quale mera riproduzione di un soggetto artistico, non era condivisa nel mondo antico tant’è che essa veniva apprezzata quanto il capolavoro replicato. La mancanza di un metodo «meccanico» di duplicazione dava vita infatti a un prodotto sempre «unico» perché mediato dalla capacità, dall’esperienza e dal gusto interpretativo dell’autore che non di rado aggiungeva o eliminava dettagli rielaborando, anche secondo i gusti della clientela, il modello originario. Questo fece si che , sebbene da un prototipo venissero tratte molteplici repliche, queste risultavano spesso anche notevolmente differenziate tra di loro. (da N. CASSIERI, op. cit. p115) 38

In genere i puntelli venivano successivamente occultati attraverso uno strato pittorico con una tonalità molto scura. 39

A. VISCOGLIESI, Ulisse, il mito e la memoria, Roma 1996, p.259

29


delle sue armi, senza le quali Troia non avrebbe potuto essere sconfitta; il secondo rappresenta il furto della statuetta di Atena, in conseguenza del quale Troia venne privata della protezione divina. Al centro e sullo sfondo sono rappresentati con sorprendente realismo i due ostacoli più gravi che Ulisse deve superare nel suo viaggio di ritorno a casa: Scilla e Polifemo. Il progetto dell’allestimento della grotta fu condotto certamente sulla base di una collaborazione tra committente, architetto e scultori. Prendendo spunto da Omero e probabilmente anche da Ovidio (42 a.C.-17 d.C.), Tiberio formulò la sua intenzione di porre in risalto la figura di Ulisse. Come si è già detto, è probabile che l’ispirazione potrebbe essere derivata da Rodi, laddove, in quelli che H. Lauter ha definito «parchi rodi», piccole grotte erano trasformate in teatri naturali mediante la collocazione di statue al loro interno. Sembra che l’imperatore, per creare la sua “Odissea di marmo”, abbia scelto composizioni ellenistiche di gruppo, concepite per luoghi di esposizione diversi, adattandole alle caratteristiche specifiche della grotta. Secondo B. Andreae, quando l’imperatore scelse le scene da rappresentare, lo fece ispirandosi soprattutto alle Metamorfosi di Ovidio (composte verso il 4 d.C.); il che, spiegherebbe la presenza di alcuni episodi, come il rapimento di Ganimede da parte dell’aquila di Giove, il recupero delle armi di Achille e il ratto del Palladio, che invece non trovano posto nell’Odissea. Sicuramente, lo scopo primo di questo teatro di sculture era quello di celebrare la figura di Ulisse come esempio di uomo nuovo40. Forse però, ulteriore intenzione di Tiberio era

40

Sono molti gli scrittori che, a partire dall’ VIII sec. a.C., raccontano del personaggio di Ulisse, ma la sua figura si discosta molto dall’ideale greco, in quanto il suo modo di agire viene considerato furbesco e riprovevole. La sua figura assume valori etici discordanti a seconda del periodo e dell’autore che lo propone. Solo Omero dà ad Ulisse l’aspetto di un uomo nuovo: egli lo considera il primo essere umano a decidere delle proprie azioni, e a non dipendere più esclusivamente dal fato o dalla volontà degli dèi. Questo concetto diviene chiaro soprattutto se si paragona la sua figura a quella dell’eroe protagonista dell’altro poema omerico,e cioè all’Achille dell’Iliade. Achille non pensa mai alle conseguenze delle sue azioni, agisce senza riflettere, dando semplicemente ascolto alla sua collera e alla sua sete di vendetta. Così il suo personaggio è spesso controllato dal volere degli dèi, che, nei racconti dell’Iliade, intervengono per mettere freno ai suoi impulsi. Anche Ulisse viene attratto da potenti impulsi interni, ma riesce a sottometterli alla sua visione razionale e alla sua volontà. Anche a lui non mancano forza e coraggio, ma la sua personalità si concretizza non nella lotta diretta con nemici eroici a lui pari per valore, ma nell’intelligenza, o meglio nell’astuzia.

30


anche quella di celebrare l’unione, nella sua persona, delle due più gloriose stirpi, Giulia e Claudia, discendenti rispettivamente da Enea e da Ulisse41.

41

Tiberio venerava come suoi antenati, da parte di madre, Ulisse e Telegono, capostipiti della famiglia dei Claudi e fondatori della città di Tusculum; invece, da parte di suo padre adottivo Augusto, Enea e Iulo, fondatori della città di Roma e capostipiti della gens Julia.

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4.3 – La “nave Argo” Sul lato sinistro dell’ingresso della grotta, è scolpita nella roccia la forma di una nave. Questa un tempo era ricoperta di mosaici in vetro. A testimonianza di ciò, qui è stata rinvenuta un’iscrizione (fig.18), in origine apposta sulla roccia, composta da tesserine musive bianche su sfondo rosso, contornata da una cornice bianca e gialla., che dice: NAVIS ARGO PH. La parola Argo molto probabilmente si riferisce alla nave di Giasone, chiamata appunto Argo, oppure agli stessi Argonauti. Presumibilmente quindi, la roccia scolpita a prua di nave stava a ricordare il mito delle Plancte, ossia le rocce distruttrici, alle quali solo Giasone con l’aiuto di Era, era riuscito a sfuggire. Controverso invece è il significato della sigla “PH”: secondo G. Jacopi, sempre tenendo in considerazione il mito degli Argonauti, sarebbe l’abbreviazione di Ph(tia), altro nome della Tessaglia, la terra da cui essi erano partiti, oppure Ph(asia) o Ph(asiaca), appellativo lirico della Colchide, meta della spedizione del loro viaggio. La “nave” è stata fatta risalire all’età flavia, anche a giudicare dalla tecnica esecutiva. Ciò vorrebbe significare che la sua realizzazione sarebbe posteriore al 26 d.C. B. Andreae invece, riconoscendo in questa roccia scolpita una componente integrante dell’allestimento protoimperiale, sostiene che la sigla PH sia un erudito riferimento all’Ars Amatoria di Ovidio, opera pubblicata nell’anno 1 d.C., e che qualsiasi uomo sufficientemente colto dell’epoca avrebbe saputo interpretare come P(uppis) H(aemonia), appellativo della nave Argo.

Figura 18: Decorazione musiva, originariamente posta ad ornamento della (foto da N. Cassieri, 2000)

roccia scolpita a prua di nave.

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4.4 – Il c.d. gruppo di “Pasquino” Il cospicuo numero di frammenti conservatisi dei quattro gruppi omerici in questione consente, mediante il confronto con altre repliche, di risalire agli originali ellenistici in bronzo. Da questo punto di vista quello che pone minori problemi è quello c. d. del Pasquino, che doveva rispondere in modo molto preciso alle intenzioni del committente. Di questa composizione (fig.19), nota da oltre dieci repliche romane e che secondo un’opinione unanime rappresenta il ratto del corpo di Patroclo da parte di Menelao, si conservano la testa con elmo e il braccio sinistro del guerriero, la mano sinistra del defunto e le gambe trascinate, a partire dai glutei e dall’inguine, la sinistra mancante di metà femore, ginocchio e tibia, la destra della punta del piede. Il viso del guerriero è molto danneggiato, tuttavia la lavorazione a rilievo dell’elmo, permette di riconoscere nella scultura una replica fedele, anche nelle dimensioni, di un modello noto nelle copie di Palazzo Braschi a Roma, di Palazzo Pitti a Firenze, del Vaticano (da Villa Adriana) e di Varsavia. Il piede sinistro di Patroclo, conservatosi in altre due copie di identiche dimensioni al Vaticano (da Villa Adriana) e in una terza a Budapest, presenta nei confronti di queste ultime, esattamente concordi e dunque aderenti alla versione originale, una significativa particolarità, che per forza di cose ha come conseguenza una diversa identificazione delle figure: nel piede sinistro della scultura in esame il tendine achilleo è reciso, cosicché il tallone poggia sul pavimento in maniera decisamente innaturale (fig.20), tale che neanche lo scultore era riuscito a controllare del tutto. Invece in tutte le altre repliche, come è normale nel caso in cui il tendine achilleo sia teso, il tallone è distaccato dal pavimento. Il prototipo del gruppo di Sperlonga è stato senza dubbio trasformato in un gruppo nel quale Ulisse recupera la salma di Achille colpito al tallone, allo scopo di condurlo fuori dal campo di battaglia. La vista del piede di Achille con il tendine spezzato ci riporta alla mente le parole di Ovidio (Met., XIII, 283) fa dire a Odisseo: «His umeris, his inquam, umeris ego corpus Achillis, et simul arma tuli» («Su queste spalle, dico, su queste io portai la salma di Achille e al contempo le armi»). Probabilmente il corpo del guerriero morto, i cui glutei non sembra siano stati levigati, ma soltanto scalpellati, era ricoperto da una corazza bronzea; ciò comprova l’ipotesi che il gruppo non rappresenti Patroclo derubato delle armi, bensì Achille, messo in salvo insieme alle sue armi da Ulisse, come vuole la versione del mito tramandata da Ovidio. Nel suo fondamentale studio sulla composizione del gruppo, B. Schweitzer ha dimostrato in modo inconfutabile che l’originale era in 33


bronzo, poiché nelle copie in marmo sono utilizzati puntelli quadrangolari sistemati di volta in volta in punti diversi, dunque assenti nell’originale.

Figura 19: Ricostruzione in gesso del c.d. gruppo del “Pasquino” ad opera di B. Schweitzer. (foto da B. Andreae, 1983)

Figura 20: Frammenti delle gambe e della mano del guerriero morto del c.d. gruppo del “Pasquino”. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale (foto da B. Andreae, 1983). Si noti la posizione innaturale del tallone.

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4.5 – Il gruppo del “Ratto del Palladio” Il gruppo del Ratto del Palladio, collocato sul basamento opposto a quello del Pasquino, presenta caratteristiche completamente diverse. La composizione rappresenta Diomede e Ulisse che hanno appena trafugato l’immagine sacra di Atena, dal tempio della dea situato sulla rocca di Troia. Durante il ritorno al campo, mentre Diomede lo precede con la spada sguainata, Ulisse medita di colpire il compagno per impossessarsi dell’idolo, alla cui presenza sono intimamente legate le sorti della città, e attribuirsi il merito della caduta di Troia. Ma, forse per il luccichio della spada, o per la sua ombra, o perché improvvisamente il Palladio prende vita, Diomede si volta prontamente e puntando la spada verso Ulisse, lo costringerà a stargli davanti fino all’arrivo all’accampamento. Probabilmente l’istante scelto per la rappresentazione di Sperlonga è quello in cui Ulisse concepisce l’agguato e sta per prendere in mano la sua arma e Diomede spaventato stringe a sé il Palladio fissando intensamente l’amico traditore. Del gruppo si conservano la testa di Diomede e il suo braccio sinistro che stringe la statuetta di Atena (fig.21), e il corpo di Ulisse (fig.22). Di quest’ultimo esistono altre due copie di uguali dimensioni nel Museo Nazionale Romano e nel Palazzo Mattei a Roma, esattamente concordi tra loro nella resa di un importante particolare, che nella replica di Sperlonga è rappresentato in maniera differente. Questo particolare riguarda la clamide di Ulisse, che nella scultura di Sperlonga presenta un movimento quasi innaturale, forse dovuto alla necessità di conferire maggiore energia alla composizione, in modo da bilanciarla rispetto al gruppo simmetrico del Pasquino. La ricomposizione del gruppo è stata eseguita basandosi sulla scena riprodotta su un’osteoteca di marmo proveniente da Megiste (Asia Minore) del 140-160 d.C., oggi conservata al Museo Nazionale di Atene (fig.23).

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Figura 21: Testa e braccio sinistro di Diomede con il Palladio, frammenti del gruppo del “Ratto del Palladio”. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale (foto da N. Cassieri, 2000)

Figura 22: Corpo di Ulisse, frammento del gruppo del “Ratto del Palladio”. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale. (foto da N. Cassieri, 2000)

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Figura 23: Il “Ratto del Palladio” (particolare di osteoteca dell’Asia Minore), da Megiste, c. 140-160 d.C. Atene Museo Nazionele. (foto da B. Andreae,1983)

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4.6 – Il gruppo dell’ “accecamento di Polifemo” Tra i cinque gruppi in questione, sicuramente quello di Polifemo, date le sue dimensioni, risalta per imponenza e maestosità. La composizione riproduce la scena, narrata nel IX libro dell’Odissea, in cui Ulisse e i suoi compagni, dopo aver fatto ubriacare il Ciclope che li tiene prigionieri in una grotta, lo accecano con un palo di legno appuntito e arroventato (fig.24).

Figura 24: I calchi dei frammenti del “Gruppo di Polifemo” in una loro prima ricomposizione realizzata nel 1969 da Luigi Mercatali, sotto la direzione di B. Andreae. (foto da B. Andreae, 1983)

Nell’arte greca questo mito non trova significative trasposizioni scultoree, risulta invece soggetto ricorrente nella primitiva pittura vascolare, a partire dal momento in cui si diffonde il poema dell’Odissea, ossia dagli inizi del VII sec. a.C. La raffigurazione più antica infatti dell’episodio dell’accecamento si trova su un’anfora protoattica di Eleusi (fig.25), risalente al 680-670 a.C. Quasi contemporanee (670 a.C.) altre due pitture, una ad Argo su un vaso argivo (fig.26), e l’altra sul cratere da Cerveteri che riporta la firma di Aristonothos. In età classica le rappresentazioni del mito subirono un’interruzione dovuta al fatto che l’arte di questo periodo rigettava la sproporzione tra il gigante e gli uomini; ma il motivo ha sicuramente anche a che fare con la diversa valutazione della figura di Ulisse da parte dei poeti classici (come Pindaro, Sofocle ed Euripide), che vi vedono non il dinamico “uomo 38


Figura 25: Anfora protoattica (particolare), 680-670 a.C., Eleusi, Museo. (foto da B. Andreae, 1983)

Figura 26: Frammento di cratere argivo, attorno al 670 a.C. Argo, Museo. (foto da B.Andreae, 1983)

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nuovo”, ma un personaggio furbo e scaltro, decisamente contrapposto all’ideale eroico rappresentato da Achille o da Aiace. E’ in età ellenistica che verrà riportato alla luce questo mito. E’ interessante però notare che, da allora e fino all’età romana, si preferiva rappresentare il momento precedente all’azione dell’accecamento, e cioè quello dell’offerta del vino. Forse perché meglio metteva in risalto l’ ingegno del protagonista. Infatti le rappresentazioni note dell’accecamento del Ciclope, tra le quali emerge per sontuosità quella di Sperlonga, risultano di gran lunga inferiori42 a quelle dell’offerta del vino. La ricostruzione del gruppo di Sperlonga è stata resa possibile dall’applicazione di tre criteri. Il primo è consistito nel confronto con un rilievo presente su un sarcofago risalente al 180 d.C., attualmente a Catania (fig.27), sul quale è rappresentata l’episodio dell’accecamento. Anche se su questo rilievo la scena segue uno sviluppo in orizzontale, e i rapporti dimensionali sono diversi, il confronto si è rivelato comunque un ottimo punto di partenza per la ricostruzione. Il secondo criterio ricostruttivo ha cercato di stabilire la posizione delle figure in base alla concatenazione dei loro movimenti; il terzo, studiando i punti di appoggio offerti dal sito di esposizione. Il gruppo, di cui si conserva poco più della metà, ha una struttura a piramide tipica dell’arte rodio-pergamena. Centro della composizione è il corpo inerme del Ciclope che giace ubriaco, sdraiato diagonalmente sulla roccia, e con il capo chino all’indietro. Dalla mano gli è appena scivolata la coppa dove Ulisse per tre volte gli ha servito il vino. Del gigante restano: la gamba sinistra allungata, la destra in posizione flessa, il braccio sinistro disteso e l’altro che doveva essere posto di traverso sull’addome. Alla sinistra della composizione vi sono i due compagni che reggono l’estremità del palo, di cui rimane il corpo acefalo di uno e gli arti inferiori dell’altro. Ulisse occupa il posto in cima al triangolo, ed è raffigurato mentre è intento a ficcare la punta di legno arroventata nell’occhio del Polifemo. Alla destra del gigante, a concludere la composizione, vi è il compagno con l’otre, in un chiaro atteggiamento di terrore e paura. Originariamente il gruppo era collocato su un podio, espressamente realizzato, all’interno dell’anfrattuosità meridionale della grotta. Qui la composizione poteva essere ammirata da vari punti di vista, precedentemente studiati dall’artefice dell’opera. Innanzitutto, come accennato in precedenza, grazie alla leggera traslazione verso nord del 42

Il rapporto è di venti raffigurazioni dell’offerta del vino, contro quattro dell’accecamento.

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gruppo di Scilla, il gruppo di Polifemo poteva essere ampiamente ammirato dalla cenatio marittima. In prossimità del podio invece vi erano dei punti di vista quasi obbligati. Come osserva B. Andreae, stando di fronte, sul bordo della vasca, ad una distanza di sei metri, era impossibile avere una piena visione del gruppo. Così, per apprezzarlo nella sua interezza, si era costretti a girargli intorno. Il sedile di roccia nell’angolo sinistro della grotta offre un’ottima visuale che mette in primo piano gli uomini che brandiscono il palo, Polifemo in secondo piano, e di sfondo, ma chiaramente visibile, il compagno con l’otre. Un punto di vista alquanto privilegiato si poteva avere sulla terrazza creata alle splle del podio. Da qui, ponendosi esattamente dietro la testa del Ciclope, si poteva vedere frontalmente Ulisse e dietro di lui i suoi compagni, e si poteva cogliere l’estrema tensione del momento dell’accecamento.

Figura 27: Rilievo del lato minore di un sarcofago con il “gruppo di Polifemo”, c. 180 d.C. Catania, Castello Ursino, Museo Civico. (foto da B. Andreae, 1983)

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4.7 – Il gruppo di “Scilla” Nel XII libro dell’Odissea, Ulisse racconta alla corte di Alcinoo la più grande sventura che gli sia capitata durante il viaggio di ritorno a Itaca. Alla partenza da Aiaia, Circe lo aveva avvertito riguardo i pericoli che avrebbe incontrato durante la navigazione. Ella lo aveva messo in guardia dalle sirene e dalle Plancte, rocce che si chiudono l’una contro l’altra e impossibili da attraversare. Queste erano state superare solo da Argo, nave di Giasone, con l’aiuto di Era. Nella direzione opposta altri due pericoli: Scilla e Cariddi, entrambi invincibili: nel gorgo di Cariddi sarebbe affondata l’intera nave e con essa tutto l’equipaggio; invece il mostro Scilla avrebbe attaccato la nave con i suoi tentacoli. Tra tutti questi pericoli Scilla era sicuramente quello minore, anche se in questo episodio Ulisse perse ben sei dei suoi compagni di viaggio.

Figura 28: Proposta di ricostruzione del “gruppo di Scilla”, realizzata da B. Andreae, in occasione della mostra dedicata alla figura di Ulisse, tenutasi a Roma nel 1996. Oggi questa ricomposizione si trova al Museo della Civiltà Romana. (foto da N. Cassieri, 2000)

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In età classica, periodo in cui le rappresentazioni del mito di Polifemo quasi scompaiono, gli artisti figurativi si dimostrano molto interessati al suddetto episodio. Sin dal principio però il mostro viene raffigurato in maniera differente da come Omero lo descrive nell’Odissea. Il soggetto subisce tre sostanziali cambiamenti. A ciò che Omero descriveva, sostanzialmente, come una gigantesca piovra con dodici tentacoli e sei teste, gli artisti aggiunsero la parte superiore di un corpo di donna, cambiarono le teste con parti anteriori di cani, e dietro alla parte inferiore del corpo fecero nascere una coda di pesce. Scilla è così raffigurata sin dalle sue più antiche rappresentazioni, e così rimane fino alla più tarda romanità e oltre. La scultura di Sperlonga resta in assoluto la più audace rappresentazione del mostro giunta fino a noi. E’ infatti la prima elaborazione dell’episodio omerico nella scultura a tutto tondo. E’ inoltre arricchita con l’aggiunta della nave, della quale, essendo impossibile una raffigurazione completa, è stata riprodotta simbolicamente solo la parte posteriore. Purtroppo per questo gruppo non esistono riproduzioni esatte pervenuteci dall’antichità. Della parte superiore della statua si è salvato ben poco: il busto è stato distrutto nel secolo scorso, e restano soltanto alcuni frammenti delle braccia, la mano destra che afferra il nocchiero e la mano sinistra con cui probabilmente brandiva il timone strappato dalla nave di Ulisse. Secondo B. Andreae e B. Conticello, la Scilla di Sperlonga non aveva un aspetto del tutto mostruoso (fig.28), ma avrebbe assunto le sembianze dell’omonima figlia di Nisos, re di Megara, vittima di un incantesimo da parte di Circe a causa del suo amore per Glaukos. La maga aveva avvelenato l’acqua dove la fanciulla soleva fare il bagno. Così quando la ragazza si immerse nell’acqua,le gambe le si trasformarono in lunghe code di serpente, e dal corpo le spuntarono una cerchia di protomi canine. Probabilmente la Scilla di Sperlonga è da riconoscersi in una statuetta conservata nel Museo di Afyon vicino all’antica Dokimeion-Synnada (oggi Iscehissar, in Turchia) dove sorgono le cave di marmo frigio, utilizzato sia per il Laocoonte vaticano sia per i gruppi di Sperlonga. Secondo B. Andreae la statuetta sarebbe da considerare una replica assai ridotta di un originale bronzeo. Della composizione Sperlongana rimane un confuso groviglio di uomini aggrediti dalle protomi canine del mostro. Di particolare risalto è la figura del timoniere (fig.29) che cerca

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di reggersi con forza all’aphlaston43 , e a causa della forza d’inerzia della nave il suo corpo viene schiacciato contro la ruota di poppa e le sue gambe sollevate in aria. La statua conserva tracce di colore sulle labbra (rosso) e sugli occhi (blu). E’ probabile che il personaggio di Ulisse fosse situato sul castello di poppa, e tentasse di scagliare la sua lancia contro il mostro. Questa scena trova precisi raffronti in un mosaico del I sec. a.C. rinvenuto in una domus a Gubbio. Alla nave appartiene la tavoletta rinvenuta da Giulio Jacopi all’inizio degli scavi, la quale reca le firme degli artisti Rodii, Atanodoro, Agesandro e Polidoro (fig.30).

Figura 29: Il timoniere che a causa della forza di inerzia della nave viene schiacciato contro la ruota di poppa. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale. (foto da N. Cassieri, 2000)

Figura 30: La tavoletta di marmo rinvenuta da G. Jacopi, sulla quale sono incisi i nomi degli artisti rodii Atanodoro, Agesandro e Polidoro. Probabilmente si tratta degli stessi scultori del Laocoonte. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale. (foto da N. Cassieri, 2000) 43

Ornamento curvo della poppa della nave.

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4.8 – Ganimede Secondo la mitologia, Ganimede era un giovane principe troiano, di una bellezza tale che Zeus se ne innamorò. Il dio si trasformò in aquila e lo rapì, portandolo con sé sull’Olimpo e scatenando l’ira di sua moglie Era44. La scultura di Sperlonga, raffigura il momento in cui Zeus, trasformatosi in aquila, arriva alle spalle del giovane per portarlo via. Il ragazzo porta un abbigliamento tipico orientale con tunica manicata e pantaloni attillati, dietro le spalle porta una clamide, e in testa il berretto frigio. La statua è alta 2,25m ed era posizionata sulla sommità dell’apertura della grotta, su un basamento, ancora presente, che ne ha confermato l’originaria sistemazione, e sul quale oggi è collocata una copia. Essendo stata realizza per essere guardata dal basso, la statua è caratterizzata da una leggera sproporzione, cioè presenta la testa e la parte superiore del corpo di dimensioni maggiori rispetto a tutto il resto. Inoltre, sempre per lo stesso motivo, la sua posizione, sull’originario basamento,era inclinata di sette gradi in avanti rispetto alla verticale. La scultura, che oggi possiamo ammirare quasi nella sua totalità, è il risultato di un paziente lavoro di ricomposizione di più di 360 frammenti. E’ stata realizzata con due tipi di marmo differenti: il corpo (fig.32) è in “pavonazzetto”45, mentre la testa (fig.31) è in marmo frigio bianco46. C’è chi ritiene che le due parti non appartengano alla stessa statua, perché le dimensioni del collo non sembrano combaciare con quelle dell’incavo predisposto per alloggiare la testa. Alcuni sostengono che questa imperfezione derivi dal fatto che corpo e capo, essendo realizzati con marmi diversi, siano stati commissionati anche a scultori diversi. Non vi è ancora la certezza comunque che questa scultura sia contemporanea al ciclo odissiaco, o se sia stata aggiunta in una fase successiva.

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Secondo la mitologia l’ira di Era fu la prima causa della distruzione di Troia.

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Marmo microasiatico così denominato dai Romani a causa della sua colorazione rossiccia.

46

Entrambi i marmi provenivano dalle cave dell’antica Dokimeion, l’attuale Ischehisar in Turchia, che erano di proprietà imperiale.

45


Figura 31: La testa di Ganimede. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale. (foto da N. Cassieri, 2000)

Figura 32: Il corpo di Ganimede, realizzato in marmo “pavonazzetto”. Sperlonga, Museo archeologico Nazionale. (foto da N. Cassieri, 2000)

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5. “Antra Cyclopis” La maestosità, la raffinatezza e lo sfarzo raggiunti nell’allestimento scenografico della grotta di Tiberio a Sperlonga saranno, negli anni a venire, oggetto di emulazione da parte dei ricchi aristocratici e soprattutto dei futuri imperatori. Il tema omerico dell’avventura del gigante Polifemo, sovente accompagnato da quello di Scilla, diventerà motivo ricorrente di soggetti scultorei posti a decorazione di ninfei e fontane, e l’antrum cyclopis costituirà un modello tipologico tale, che la sua presenza all’interno delle coenatio imperiali, sarà quasi un obbligo. Le scene che in genere si potevano rappresentate erano tre: l’offerta del vino, l’accecamento del Ciclope e la della fuga dall’antro. Di solito era preferita quella dell’offerta del vino in quanto esaltava, sicuramente meglio delle altre, l’ingegno dell’eroe Ulisse. Si afferma così nelle ville imperiali, questa classe di ambienti, in genere accomunati da una serie di elementi: una disposizione spaziale che nasce dalla combinazione di più ambienti, interni ed esterni; la presenza quasi ossessiva dell’acqua; il richiamo alla grotta; e infine una ricca decorazione musiva e scultorea imperniata sul Ciclope. Dopo la grotta dell’imperatore Tiberio (4-37 d.C.) a Sperlonga, ambienti simili sono noti nel palazzo di Claudio (41-54 d.C.) a Baia, e nella Domus Aurea dell’imperatore Nerone (54-68 d.C.) a Roma, che dopo di lui abitarono anche gli imperatori Ottone (69 d.C.) e Tito (69-81 d.C.). Anche il fratello e successore di Tito, Domiziano (81-96 d.C.) si era costruito nella sua villa sul lago Albano un antrum cyclopis nel cosiddetto ninfeo Bergantino. Non è noto nulla di simile per Nerva (96-98 d.C.) che resse l’impero solo due anni, né per Traiano (98-117 d.C.), che passò la maggior parte del suo tempo come soldato negli accampamenti militari, ma l’imperatore Adriano (117-138 d.C.) ha ripreso questa idea e l’ha realizzata in maniera particolare, con sfarzo ancora maggiore dei suoi predecessori. Con lui, per quanto sappiamo, la serie si interrompe; ma ancora nella tarda villa imperiale di Piazza Armerina un ambiente è adornato con una dettagliata

raffigurazione

dell’episodio di Polifemo in un mosaico pavimentale, databile agli inizi de IV sec. d.C.

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5.1 –Un probabile spunto per Tiberio: il gruppo di statue del ninfeo di Pollio Probabilmente l’imperatore Tiberio, nel concepire l’allestimento della grotta, fece si riferimento ai parchi rodii, per quanto riguarda l’inserimento di sculture in un’ambientazione naturale, ma probabilmente, per quanto concerne la scelta dei soggetti, potrebbe essersi ispirato alle statue, commissionate da suo zio Marco Antonio, destinate alla decorazione del frontone del tempio dedicato a Dioniso ad Efeso(fig.33). Queste statue, in realtà, ebbero poi una diversa destinazione, furono utilizzate cioè da Domiziano come ornamento del cosiddetto Ninfeo di Pollio (databile al 93 d.C.)47, sempre ad Efeso (fig.34-35). Che la destinazione originaria di queste statue non fosse la fontana, lo dimostrano i fori praticati e la rozza aggiunta di tubi su di esse. A giudicare anche dallo stile strettamente connesso ai rilievi del monumento di Memmio a Efeso, le sculture sarebbero databili attorno al 34 a.C.48 Il gruppo di sculture rappresenta una sequenza di scene in una composizione piramidale: a sinistra ci sono due compagni che si apprestano a passare il vino ad Ulisse, al centro vi è Ulisse che porge la coppa di vino al gigante, a destra altri due compagni pensano ad appuntire il palo, per portare a conclusione il piano. Ai lati della composizioni due altri compagni giacciono sdraiati a terra. Spetta a B. Andreae e H. Schroeteler la ricomposizione di tutte le figure all’interno del frontone.

Figura 33:Proposta di ricostruzione grafica del tempio di Dioniso nell’agorà di Efeso. (B. Andreae, 1983) 47

B. ANDREAE, L’immagine di Ulisse, Torino 1983, p.53.

48

Ibid.

48


Figura 34:Proposta di ricostruzione in fotomontaggio della fontana di Domiziano, ad Efeso, decorata con il “gruppo di Polifemo”. (B.Andreae,1983)

Figura 35: I resti del c.d. Ninfeo di Pollio ad Efeso, 92-93 d.C.

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5.2 – Il ninfeo di Claudio a Baia Alla categoria degli antra cyclopis appartiene sicuramente il ninfeo di Punta dell’Epitaffio a Baia, risalente alla metà del I sec. a.C. (fig.36). Con l’avvento di Augusto, Baia divenne residenza imperiale, e le fonti testimoniano la presenza particolarmente assidua di Claudio, Nerone, Caligola e Domiziano e di altri imperatori del II e III sec. d.C.49 Proprio all’imperatore Claudio è attribuita la sontuosa villa della quale faceva parte il suddetto ninfeo. Essendo la località soggetta al fenomeno del bradisismo, la villa, e di conseguenza il ninfeo in questione, oggi si trovano a sette metri sotto il livello del mare. I ritrovamenti infatti, avvennero casualmente nel 1969, in seguito a una mareggiata che fece emergere dal fondale sabbioso i muri dell’abside del ninfeo, e due statue di marmo che occupavano ancora la loro ubicazione originaria. Le statue, che purtroppo hanno la parte superiore erosa dai molluschi (detti litodomi50), fanno chiaramente parte dell’episodio dell’offerta del vino a Polifemo. Una di esse, completamente acefala, raffigura Ulisse che porge la coppa di vino al Ciclope (fig.37); l’altra rappresenta il compagno con l’otre, di nome Baios, mitico fondatore di Baia51(fig.38). All’interno delle statue erano collocate fistule di piombo da cui sgorgava l’acqua. Nel 1981 invece, grazie ai finanziamenti di una fondazione privata, si poté finalmente liberare il ninfeo dalla sabbia. Il ninfeo, al quale si accedeva via mare tramite due ingressi posti simmetricamente nella parte anteriore, è costituito da una sala rettangolare di 18m x 9m. Presenta sul lato corto a nord un’abside, nella quale era collocato il gruppo di Polifemo. Sui lati lunghi sono presenti delle nicchie, quattro per parte, in corrispondenza delle quali sono state ritrovate quattro ulteriori statue, estranee però al mito del Ciclope52. L’abside e le nicchie sono ad una quota più elevata rispetto al piano pavimentale della sala. Al di sotto di esse correva un canale destinato a raccogliere l’acqua che zampillava dalla statue. Al centro vi era una grande vasca d’acqua di forma rettangolare (9m x 3m) intorno alla quale si sviluppava su 49

Fra i numerosi imperatori menzionati dalle fonti si ricorda anche Adriano che morì a Baia nel 138 d.C.

50

Letteralmente “divoratori di pietra”.

51

B. ANDREAE, op. cit. p.72.

52

Le statue raffigurano rispettivamente: Antonia Minore madre di Claudio, Ottavia, piccola figlia dell’imperatore prematuramente morta, e due diverse sculture di Dioniso.

50


tre lati un grande triclinio ligneo, che si concludeva sul davanti della sala con due splendide spalliere in marmo (klinai) finemente decorate. Il piano pavimentale era rivestito

 Figura 36: Pianta del ninfeo di Claudio a Baia. Le statue sono state rappresentate nel luogo di caduta. (da H. Mielsch, 1990)

51


Figura 37: Ulisse, c. 45 d.C. Baia, Castello. (foto da B. Andreae, 1983)

Figura 38: Compagno con l’otre, c.45 d.C. Baia, Castello. (foto da B. Andreae, 1983)

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di lastre in marmo bianco, come anche le pareti. Probabilmente la sala era coperta da una volta a botte, di cui purtroppo non rimangono tracce. Tra una nicchia e l’altra vi erano lesene in marmo bianco scanalate che poggiavano su un basamento leggermente più avanzato ed erano coronate da capitelli compositi , al di sopra dei quali correva un fregio di marmi colorati (opus sectile). Sotto il rivestimento marmoreo sono state rinvenute delle precedenti decorazioni che molto hanno a che fare con la grotta di Sperlonga: sembra infatti che nella prima fase costruttiva del ninfeo di Baia, le pareti fossero rivestite da mosaici policromi in pasta vitrea riquadrati con file di conchiglie, mentre l’interno delle nicchie e dell’abside era invece rivestito da frammenti calcarei, per ricordare l’elemento grotta.53 Attualmente è possibile ammirare una ricostruzione del ninfeo (fig.39), all’interno della sala del Castello Aragonese del Museo Archeologico dei Campi Flegrei.

Figura 39:Plastico del ninfeo sommerso,Museo Archeologico dei Campi Flegrei, Baia, Castello. (da L’archeologo Subacqueo, III,2,1997)

53

E. GUGLIELMO, Artifici d’acqua e giardini, Firenze 1999, pp.25-27

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5.3 – La sala voltata della Domus Aurea di Nerone La presenza di un mosaico, con lo stesso tema omerico dell’offerta del vino, sulla volta di una grande aula della Domus Aurea, dimostra come l’antrum cyclopis fosse ormai divenuto un elemento indispensabile all’interno di una residenza imperiale. Il mosaico invetriato, da collocare tra il 64 e il 68 d.C., ha una forma ottagonale, e spicca al centro di una grande volta che un tempo era completamente rivestita di pezzi di pomice dorati. La volta era posta a copertura di una grande sala sistemata a ninfeo. Nel mosaico sono visibili Ulisse e Polifemo nella solita scena dell’offerta del vino (fig.40). Oltre a dimostrare come l’episodio di Polifemo fosse già divenuto un soggetto canonico per la decorazione di grotte-ninfei, il mosaico in questione dà un’importante informazione riguardo la discussa originalità dei gruppi scultorei di Sperlonga. Qui le figure non sono rese con la solita policromia delle scene mitiche riprodotte a mosaico, ma con un colore bronzeo dai riflessi metallici. E’ chiaro che qui non viene immediatamente riprodotta una scena mitica, bensì un antico gruppo bronzeo evidentemente noto. Il che supporta l’ipotesi che i gruppi scultorei del mito di Polifemo, sia di Sperlonga che di Baia, non fossero degli originali, ma delle copie di prototipi bronzei ellenistici.

Figura 40: Mosaico della volta della sala per banchetti nella Domus Aurea dell’imperatore Nerone a Roma, 64-68 d.C.

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5.4 – Il ninfeo Bergantino dell’imperatore Domiziano Il ninfeo Bergantino (fig.41-42) si apre verso il lago Albano, al di sotto del paese di Castel Gandolfo. E’ stato voluto dall’imperatore Domiziano, che si è liberamente ispirato alla grotta di Sperlonga. La somiglianza dell’impianto è in effetti sconcertante. Sicuramente l’imperatore, avrà voluto ricreare l’ambiente sperlongano, in un luogo meno distante dalla sede del potere, quindi più spesso raggiungibile. Se si osserva la disposizione degli ambienti, il ninfeo Bergantino ricalca esattamente, ma in una scala minore, quella di Sperlonga. Gli spazi si articolano attorno ad un bacino circolare di quasi 13m di diametro. Nel fondo due grotte minori precedute da un basamento e a sinistra si apre un ambiente circolare che sembra richiamare la sala ovale di Sperlonga. Anche qui la decorazione scultorea si incentra sul tema del gigante Polifemo e di Scilla (fig.43-44). Anche la collocazione delle sculture viene ricalcata. Un basamento al centro del bacino circolare per la Scilla e un podio nell’anfrattuosità sullo sfondo per il gruppo di Polifemo.

Figura 41: Piante del ninfeo Bergantino: a sinistra pianta di Francesco Piranesi(1758-1810), figlio di Giovan Battista; a destr pianta di B. Andreae.

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Figura 42: Veduta del ninfeo Bergantino nella villa dell’imperatore Domiziano(81-96 d.C.) presso Castel Gandolfo. (foto da B. Andreae, 1983)

Figura 43: Frammento della parte superiore di un Polifemo giacente, dal ninfeo Bergantino, Castel Gandolfo. (foto da B. Andreae, 1983)

Figura 44: Frammento di un “gruppo di Scilla”dal ninfeo Bergantino, Castel Gandolfo. (foto da B. Andreae, 1983)

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5.5 – L’area del c.d. Serapeo-Canopo di Villa Adriana a Tivoli Probabilmente, dopo l’esempio del ninfeo Bergantino, la tipologia degli antra cyclopis tende quasi a svanire, fino ad una trionfale ricomparsa nella villa tiburtina di Adriano. Qui l’idea del ninfeo-triclinio nata a Sperlonga, subisce una forte rielaborazione. Sono presenti sì dei richiami, ma gli elementi canonici assumono una forma più artificiosa e innaturale. La grotta viene trasformata in una grande edificio absidato (fig.45-46), coperto a volta, che si affaccia su uno specchio d’acqua immobile, ma senza accoglierlo al suo interno.All’interno dell’edificio voltato sono presenti dei letti tricliniari che ne attestano la funzione di coenatio. Qui, il catino absidale presenta tracce di un mosaico blu-verde, che è il tipo di decorazione ricorrente a Sperlonga. Il ritrovamento di tre teste dei compagni di Ulisse fanno presumere la presenza di un gruppo di Polifemo non ancora rinvenuto. Archeologi diversi sostengono questa ipotesi, ma la disposizione spazialele e le dimensioni di quest’ultimo rendono la presenza del gruppo alquanto improbabile. Certa invece, è la esistenza di due raffigurazioni uguali del mostro Scilla, poste alle estremità della grande vasca in posizione simmetrica, su due zoccoli di forma cubica.54 Un recente rilievo digitale laserscan55, diretto dal Prof. Giorgio Verdiani, ha permesso di effettuare importanti considerazioni circa la collocazione di elementi statuari nel complesso del Serapeo: «Come prima cosa è possibile stabilire che un eventuale gruppo statuario posto nel c.d. Ninfeo non può estendersi oltre la larghezza di quattro metri e trenta centimetri: infatti le misure verificate all’interno del Ninfeo non vanno oltre i quattro metri e quaranta. Questa considerazione, di tipo metrico, viene avvalorata dalla visualizzazione in prospettiva, che consente di escludere il posizionamento di un gruppo statuario distribuito secondo la profondità del Ninfeo, in quanto questo risulterebbe poco

54

B. ANDREAE, op. cit., p.174

55

Il rilievo si è tenuto nella prima settimana del settembre 2007, in occasione dell’inizio de lworkshop internazionale di museografia “Premio Piranesi”. Le operazioni di rilievosono state condotte per il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura di Firenze dal seguente team: Responsabile: prof. Giorgio Verdiani; Gruppo operativo: Giorgio Verdiani, Francesco Tioli, Mauro Giannini, Carlo Battini, Sergio Di Tondo, Filippo Fantini, Silvia Nicoli,Stefania Pini, Stefania Iurilli. Le operazioni laser scanner si sono tenute in collaborazione con Alessandro Peruzzi di Area 3D Livorno e con la partecipazione di Mirka Scattin. Responsabile per il workshop “Premio Piranesi”: prof. Pier Federico Caliari.

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visibile dai punti di vista sia lontani che vicini, costituendo al tempo stesso una pesante occlusione verso le nicchie poste ai lati del Ninfeo stesso».56

Figura 45: Il Canopo di Villa Adriana.

Figura 46: Il cosiddetto Serapeo. 56

G. VERDIANI, Università degli studi di Roma “Tor Vergata” Facoltà di Lettere e Filosofia, Annali del Dipartimento di Storia, 4/2008

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6. Il rilievo digitale laserscan e il trattamento del dato In questi ultimi anni, il rilievo laserscan ha rivoluzionato le procedure di approccio alla documentazione dei Beni Culturali. Questa nuova tecnologia permette la realizzazione di un modello virtuale tridimensionale, geometricamente fedele all’oggetto reale, e offre una precisione del dato rilevato superiore a qualsiasi altro sistema di misurazione. Le operazioni legate a questo tipo di rilievo richiedono tuttavia un’ adeguata competenza operativa, sia per quanto riguarda il rilievo sul campo, sia per quanto riguarda la successiva elaborazione dei dati raccolti.

6.1 – Il rilievo La campagna di rilievo digitale laserscan, eseguita presso la Grotta di Tiberio a Sperlonga nel settembre 2008, è stata condotta, in accordo con la Sovraintendenza Archeologica del Lazio, da una squadra operativa coordinata dal Prof. Giorgio Verdiani e composta dall’Arch. Sergio Di Tondo e dall’Arch. Filippo Fantini, e supportata, per quanto riguarda il rilievo topografico, dall’Arch. Francesco Tioli. Durante la campagna è stato effettuato anche il rilievo di due dei gruppi scultorei che un tempo decoravano la grotta: rispettivamente il gruppo di Scilla e di Polifemo. Per le scansioni è stato utilizzato uno scanner Zoller+Fröhlich 500357, strumento basato su un sistema di misurazione a variazione di fase (la distanza tra il punto e lo scanner viene misurata confrontando la variazione di fase, appunto, dell’onda riflessa rispetto a 57

Il sistema di misura è composto da un emettitore laser (LARA) che viene riflesso in due dimensioni: verticalmente da uno specchio riflettente rotante, orizzontalmente dal movimento di rotazione dell’intero sistema di misura. La mappa di distanza acquisita rappresenta la geometria degli oggetti presenti nell’intorno. La mappa della riflettanza viene utilizzata non solo per l’identificazione degli oggetti e per un’ispezione visiva, ma anche per la classificazione delle superfici degli oggetti e a scopo documentativo. Le immagini di riflettenza sono molto simili a immagini video con la solo differenza che sono indipendenti dalle condizioni di luce ambientali. In un tempo molto breve il laser esegue un rilievo ad altissima risoluzione con un campo di vista di 360° sull’orizzontale e 310° sulla verticale (circa 50° sono nascosti dal treppiede e dallo scanner stesso). Con una velocità di acquisizione di 625.000 punti per secondo il numero totale di punti rilevati è fino a 720 milioni per scansione. È possibile in una fase di elaborazione successiva modificare, processare e ridurre tale risoluzione dove necessario. I dati a più alta risoluzione sono in questo modo sempre disponibili anche in una fase successiva, senza la necessità di scansionare di nuovo.

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quella inviata). Per ogni scansione sono stati posizionati un numero di target58 sufficiente per permettere il montaggio del modello. Alle scansioni laser è seguito uno specifico rilievo topografico59, effettuato per rilevare la posizione dei target registrati dallo scanner, e metterli in relazione ad una serie di punti fiduciali. Il rilievo topografico si rende necessario per poter ricomporre le singole scansioni in un unico modello e con un unico sistema di riferimento. I dati raccolti si presentano nella forma di una nuvola di punti che riproducono, in uno spazio digitale tridimensionale, l’esatta forma e dimensione dell’oggetto rilevato. Grazie poi all’acquisizione, da parte dello scanner, della mappa della riflettenza, è possibile distinguere in questa nuvola anche le varie superfici di diversa natura. A partire dal modello in forma di nuvola di punti, realizzato con il montaggio delle singole scansioni, è possibile estrarre le piante, le sezioni e tutti gli elaborati che si ritengono necessari per un approfondito studio dell’oggetto.

6.2 – Il trattamento del dato Una volta terminate le scansioni, ovviamente effettuate in numero sufficiente da poter ricostruire l’oggetto nella sua interezza60, si procede con loro messa a registro. Mettere a registro vuol dire rimontare le nuvole delle singole scansioni, in un’unica nuvola di punti che abbia quante meno lacune possibili. Come accennato in precedenza questa operazione viene effettuata grazie al riconoscimento dei target da parte del software. Il software utilizzato per eseguire la suddetta operazione è stato Leica Geosystem Cyclone® nella versione 6.0.3. I dati raccolti dalle scansioni sono stati importati in Cyclone in formato PTX . La messa a registro della nuvola di Sperlonga è stata effettuata unendo sedici diverse scansioni, ossia sedici file PTX. In ogni file sono stati individuati e rinominati i singoli target (fig.47). Ovviamente, tra un file e l’altro, a tutti i target con la stessa posizione è stato assegnato lo stesso nome. Lo scopo di questa operazione, infatti, è

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I target sono le mire che lo scanner registra e che vengono utilizzate come punti omologhi per montare le diverse scansioni. Se la superficie dell’oggetto da rilevare lo permette, i target vengono applicati sulla stessa. Nel caso di Sperlonga, data la discontinuità della parete rocciosa, si è fatto ricorso a supporti estranei all’oggetto (come, ad esempio, delle semplici scatole di cartone). 59

Il rilievo topografico è stato effettuato utilizzando una stazione Leyca Neoprisma.

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Nel caso specifico di Sperlonga, alla fine della campagna di rilievo erano state effettuate trentadue scansioni, di cui sedici ad alta definizione e sedici a media.

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quello di creare dei punti corrispondenti tra le diverse scansioni. Per unire due scansioni si ha necessità di avere almeno tre punti omologhi, ma in genere, per una più corretta esecuzione della messa a registro se ne cercano almeno cinque. Terminata la ricerca dei target, è bene dare una “ripulita” alle scansioni. Ogni presa dello scanner ovviamente, oltre a rilevare l’oggetto

interesse di studio, rileva anche tutto ciò che, al momento della

scansione, è presente attorno ad esso. E’ bene quindi cancellare dalla nuvola tutti quegli elementi che non interessano il rilievo e sono di intralcio ad una corretta visualizzazione dell’oggetto. Nonché le zone marginali dello stesso, dove la densità della nuvola diminuisce e, data la lontananza della stazione, il rilievo potrebbe avere una precisione inferiore. Concluse le suddette operazioni si può cominciare la procedura di registrazione, “incatenando” l’una all’altra le nuvole che hanno in comune gli stessi target. Si comincia con l’unione di due scansioni o, più precisamente in questo contesto, di due scanworld, che dopo la registrazione risulteranno uno solo. Quando questi vengono caricati per la registrazione, il primo dei due resterà fermo, mentre l’altro si sposterà per posizionarsi sul primo. Cyclone riconoscere automaticamente i target comuni e con un semplice comando fa combaciare le due scansioni. Al temine di questa operazione (chiamata auto-add constrains) il software mostrerà l’errore riscontrato nella sovrapposizione di ogni punto. In genere, l’errore di allineamento su ogni punto, non deve superare il centimetro. Se dovesse presentarsi un errore maggiore si può effettuare una correzione sul punto interessato, diminuendo la sua incidenza sull’allineamento. In questa maniera Cyclone baserà la sua registrazione maggiormente sui target che risultano combaciare più precisamente. Unite le prime due nuvole, se ne potrà aggiungere un’altra e poi un’altra ancora e così via. Il percorso in questo senso comunque non è obbligato, infatti si può decidere la sequenza di sovrapposizione che più si ritiene opportuna, aggregando magari dieci nuvole da una parte e dieci dall’altra e poi unirle a loro volta. Completata la messa a registro si ottiene un unico modelspace (fig.48)che contiene tutte le scansioni, e che permette una visualizzazione dell’oggetto in tutte le sue parti e da tutti i punti di vista. Giunti a questo punto è molto semplice studiare l’oggetto, in quanto Cyclone permette di fare delle sezioni, tramite piani di taglio (cutplane) che possono essere posizionati dove meglio si crede. In questo modo si possono ottenere nell’immediato spaccati assonometrici, e posizionando il cutplane perpendicolarmente al 61


punto di vista dell’ossertore, si possono ottenere piante e sezioni. Un’altra opportunità offerta da Cyclone è quella di poter visualizzare solo i bordi delle sezioni. In realtà non si tratta di linee

Figura 47: Schermate di Cyclone® relative alle singole scansioni effettuate dallo scanner. Le scritte in giallo che compaiono sulla nuvola sono i nomi che assegnati ai vari target.

Figura 48: Schermate di Cyclone® relative al modello di nuvola di punti dopo la messa a registro.

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continue, ma della solita nuvola di punti che viene visualizzata per uno spessore minimo61, sopra e sotto il piano di taglio,e prende il nome di slice (porzione, fetta). Il processo di realizzazione di piante e sezioni è tanto semplice quanto lungo: semplice in quanto, come accennato in precedenza, Cyclone permette una visualizzazione immediata degli spaccati e delle slice; purtroppo però consente di salvare le immagini visualizzate solo attraverso snapshot, ossia immagini che riportano la stessa risoluzione del monitor, quindi di una qualità molto bassa. Per questo motivo, se si vuole ottenere un’immagine di una qualità dignitosa, è necessario suddividere l’oggetto e fare un’elevata quantità di snapshot, in modo da avere in ogni schermata un dettaglio maggiore. Per fare ciò è consigliabile utilizzare la griglia del reference plane62 , in quanto velocizza di molto le operazioni di assemblaggio degli snapshot. Nel caso specifico del rilievo della grotta di Sperlonga, per la sola pianta sono stati salvati e rimontati 216 snapshot, effettuati su una griglia di 2m x 2m63. Il lavoro di ricomposizione è stato effettuato con la versione Cs4 Extended di PhotoShop®. Per quanto riguarda, invece, la costruzione dei bordi delle sezioni, a partire dalle slice, il lavoro è stato più veloce. Non avendo necessità di dettaglio, ogni slice è stata salvata su un unico snapshot, e successivamente ribattuta in AutoCAD®64. Anche in questo caso si è fatto uso della griglia del reference plane, che ha permesso di scalare a dovere l’immagine bitmap salvata con Cyclone.

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Lo spessore può essere variato in base ai diversi casi: nel caso di Sperlonga dove la nuvola era molto fitta è stato utilizzato uno spessore anche di un solo centimetro, mentre dove la densità della nuvola era minore lo slice thickness è stato impostato anche su valori di 10cm. Comunque, incrementando fino a 60milioni il numero di punti visualizzati sullo schermo, è stato possibile migliorare di molto la qualità della linea di sezione. 62

Il refernce plane è un piano di riferimento che può essere posizionato e settato secondo le varie esigenze.

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Ogni snapshot riproduceva un’area di 6mx2m.

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E’ stata utilizzata la versione Autodesk AutoCAD®2009

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Conclusioni L’antro di Tiberio a Sperlonga, data la sua naturale conformazione,è stato finora un elemento molto difficile e fastidioso da sottoporre a rilievo. Lo scanner laser, diventa quindi, in questo particolare caso, strumento ancora più utile a facilitare l’acquisizione del dato dimensionale e a conoscere precisamente l’oggetto in tutte le sue parti e con tutte le sue naturali irregolarità. E’ stato dunque possibile studiare approfonditamente, oltre che l’apparato architettonico integrato nella grotta, la grotta stessa. Lo scanner, infatti, permette di rilevare ciò che è molto difficile, e a volte impossibile, raggiungere fisicamente, come ad esempio, nel nostro caso, l’ intradosso della grotta, il quale si è rivelato un oggetto di studio molto interessante. Qui, durante l’elaborazione delle sezioni, è stata riscontrata un’anomalia che ha destato un’immediata curiosità (fig.49). Si tratta di una forte discontinuità che interferisce col regolare andamento curvilineo della volta naturale. Tale disturbo è stato immediatamente visibile in due diverse sezioni: una longitudinale,che taglia l’anfrattuosità meridionale per lungo, e l’altra trasversale, con la quale si seziona la grotta immediatamente di fronte al basamento del Polifemo. La posizione del “disturbo” può essere localizzata in pianta all’incrocio delle suddette sezioni. Anche nella visualizzazione, in Cyclone, del modello a nuvola di punti, è chiaramente evidente la presenza di uno squarcio che contrasta con la superficie regolare del resto dell’intradosso (fig.51). Elaborando uno spaccato assonometrico della superficie intradossale di tutta la grotta, in questa zona risalta una macchia nera. Sintomo che lo scanner ha rilevato una cavità Per studiare meglio la questione si è ritenuto opportuno realizzare due serie di curve di livello, una in direzione parallela al suolo e l’altra perpendicolare (parallelamente all’ingresso dell’antro). Entrambe le serie, che in un secondo momento sono state sovrapposte (fig.50), evidenziano la presenza di questa irregolarità. Per evidenziare l’eventuale presenza di ulteriori squarci nel resto della calotta, si è ritenuto di suddividere la serie di curve perpendicolari al suolo in cinque sottogruppi di cinque isoipse ognuno. Questa suddivisione ha dimostrato, ancora più chiaramente, un regolare65 andamento della superficie intradossale quasi ovunque, tranne che nella zona precedentemente 65

Relativamente alle normali discontinuità dovute alla naturale conformazione irregolare della roccia.

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citata, le cui isoipse presentano evidenti cuspidi. E’ ovvio che tutta la calotta, data la naturale

Figura 49: Le sezioni che hanno immediatamente messo in evidenza lo squarcio.

Figura 50: Le due serie sovrapposte di curve di livello.

Figura 51: La nuvola di punti mostra chiaramente lo squarcio che contrasta con la superficie regolare del resto dell’intradosso.

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conformazione irregolare della roccia, sia interessata da punti di discontinuità, ma non così eccessive come nella zona in questione. Anche in Cyclone, visualizzando la parte estradossale della pellicola di nuvola di punti, si può notare come non siano presenti ulteriori squarci nella calotta. Si suppone quindi che la parte interessata da questo squarcio sia stata soggetta ad un possibile crollo, le cui cause potrebbero derivare da: -

un naturale fenomeno di percolazione, essendo la roccia in questione di origine carsica,

-

un intervento umano, che in conseguenza a operazioni di costruzione o di ristrutturazioni, ha involontariamente provocato nella roccia sollecitazioni tali da determinare un dissesto.

A questo punto sorge il dubbio se il crollo, di cui Tacito66 e Svetonio67 fanno menzione nei loro scritti, possa o meno localizzarsi nell’area individuata durante l’elaborazione dei dati del rilievo. Quest’area, che interessa la parte antistante il basamento di Polifemo, ricade nel punto opposto a dove finora gli studiosi avevano ipotizzato il drammatico episodio. Se si effettua un breve calcolo si può facilmente quantificare, in maniera approssimata, il volume, e di conseguenza il peso, della roccia interessata dall’ipotetico distacco. Si tratta di un’area pressappoco circolare con un diametro variabile da 2,50m a 4,00m, che si sviluppa per un’altezza di 3,50m circa, quindi: -

raggio medio:

rmedio = (R + r)/2 → rmedio =(1.25 +2.00 )m/2 →

rmedio = 1.625m

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Tacito riferisce: «Era nel suo possedimento detto di Spelunca, che sta tra il mare di Amunclae ed i monti di Fondi, e pranzava in una grotta naturale. Improvvisame dei massi caddero sull’ingresso ed uccisero alcuni servi: tutti furono presi dalla paura, e coloro che partecipavano al banchetto fuggirono. Seiano invece si piegò sulle ginocchia sopra all’imperatore e lo riparò con la testa e con le mani, opponendo se stesso alle pietre che cadevano». (TACITO, Annali, IV 59, 1-5)

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In Svetonio si leggono gli stessi fatti nel modo seguente: «Dopo che gli furono morti entrambi i figli, Germanico in Siria, Druso a Roma, egli si ritirò in Campania, e quasi tutti pensarono e dissero che non sarebbe più tornato a Roma, e che presto anch’egli sarebbe morto. Ed in effetti egli non tornò più a Roma, e pochi giorni dopo la sua partenza, mentre presso Terracina cenava in una villa che si chiama Spelonca, molti enormi massi precipitarono casualmente dalle sovrastanti rocce, per cui molti ospiti e servi rimasero uccisi ed egli stesso ne scampò, contro ogni speranza, illeso ». (SVETONIO, Tiberio 39)

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-

volume:

V = r2 x π x h → V = 1.6252 m2 x 3.14 x 3.50 m → V = 29 m3

Se consideriamo il peso specifico di una roccia carsica (2500 Kg/m3), e lo moltiplichiamo per il volume precedentemente ottenuto, possiamo ricavare il peso complessivo dei supposti massi caduti: -

peso: P = V x pesospecifico → P = 29 m3 ≈ 30 m3 x 2500 Kg/m3 → P = 75000 Kg

Ovviamente non cadde un intero corpo di roccia, ma l’intero volume si sgretolò in massi di diverse dimensioni, alcuni dei quali però di grandezza e peso sufficienti per uccidere un uomo. Se supponiamo, infatti, di dividere il volume in un centinaio di pezzi, otterremo come peso medio di un masso 750 kg. Questa profonda lacerazione individuata nel tessuto intradossale della grotta, sembrerebbe, dalle analisi effettuate, avere i requisiti per essere riconosciuta come una probabile zona del famoso crollo. A rafforzare questa ipotesi vi è il fatto che non sono state rilevate ulteriori parti mancanti di roccia di una consistenza tale che il loro distaccamento avrebbe potuto scatenare un disastro.

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Bibliografia JACOPI G., I ritrovamenti dell’antro cosiddetto “di Tiberio” a Sperlonga. Roma, Istituto di studi romani, 1958 CASSIERI N., La grotta di Tiberio e il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Libreria dello Stato. Roma 2000. ANDREAE B., L’immagine di Ulisse nell’arte antica, in Ulisse il mito e la memoria, Catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle esposizioni, 22 febbraio-2 settembre 1996), Roma 1996. ANDREAE B., Praetorium Speluncae. L’antro di Tiberio a Sperlonga ed Ovidio, Catanzaro 1995 ANDREAE B., L’immagine di Ulisse. Mito e archeologia. Torino 1983 ANDREAE B., Enciclopedia Italiana Treccani, s.v. Sperlonga CONTICELLO B. e ANDREAE B., I gruppi scultorei di soggetto mitologico a Sperlonga, 1974 ALVINO G., Ulisse. Il mito e la memoria. (Con schede di Bernard Andreae), Roma 1996 MIELSCH H., La villa romana, Firenze 1990 CAIROLI F. G., L’edilizia nell’antichità, Roma 1995 SVETONIO, Vite dei Cesari, Tiberio, 39 TACITO, Annali, IV, 59.1-2 G. VERDIANI, Università degli studi di Roma “Tor Vergata” Facoltà di Lettere e Filosofia, Annali del Dipartimento di Storia, 4/2008 E. GUGLIELMO, Artifici d’acqua e giardini, Firenze 1999 F. PESANDO M.P. GUIDOBALDI, Le tecniche edilizie, Asterischi Laterza

Ringrazio il Prof. Giorgio Verdiani per la sua infinita pazienza e disponibilità; la Dott.ssa Nicoletta Cassieri (Sovraintendenza ai Beni Archeologici del Lazio) per la gentile concessione ad effettuare sopralluoghi nella grotta; la mia correlatrice Giovanna Patti per avermi aiutato a “limitare gli errori”; Graziano Corsaro per i suoi schietti pareri e per i fondamentali, nonché scaltri, insegnamenti; Mirco Pucci sempre disponibile e molto preparato; Filippo Fantini per la messa a registro del “gruppo di Polifemo”; tutti coloro che si sono offerti di darmi una mano; e ringrazio il mio Giuseppe per il vitale sostegno che ogni giorno mi ha offerto.

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