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Le streghe del Tenchia
from Sentieri dannati
di Vincenzo Marino
Su le cime de la Tenca
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Per le fate è un bel danzar, Un tappeto di smeraldo Sotto al cielo il monte par. [#giosuècarducci]
Cercivento è un punto di partenza ideale per escursioni e passeggiate più o meno impegnative, tutte in contesto naturalistico, ma conla presenza anche di siti di interesse storico, culturale e di tradizione locale. Uno di questi è il meraviglioso e magico percorso del Pian delle Streghe, un luogo avvolto dal mistero. Esso infatti trae il nome dalla leggenda, cantata anche dal Carducci, che narra degli incontri segreti tenuti in questo pianoro tra le streghe locali e quelle nordiche. Sui passi delle loro danze incantate si diceva sbocciassero in cerchi concentrici fiori d’aglio orsino.
In Carnia, come in genere in tutti i paesi di montagna, fino a non molto tempo fa, si viveva soprattutto di allevamento del bestiame. Attorno al villaggio c’erano i prati coltivati dai quali si ricavava il foraggio per l’inverno. Più in alto c’era la “mont”, la montagna, cioè i prati di mezza o di alta montagna, con gli stavoli nei quali si ricoveravano le mucche prima o dopo il periodo dell’alpeggio.
Un anziano paesano, seduto sulla panchina della piazzetta del paese, incuriosito dalla mia attività fotografica, mi fa cenno di raggiungerlo. Sbiascica qualche frase incomprensibile in lingua friulana con forte intonazione alcoolica. Sorrido facendo finta di aver capito, ma mi accorgo subito che è più furbo di quanto pensassi. Inizia a parlare in italiano, con la stessa intonazione alcoolica. Mi dice di chiamarsi Bruno e mi chiede se sono un giornalista, ma senza attendere risposta mi domanda se ho voglia di ascoltare una storia. Ovviamente non vedo l’ora di ascoltarlo e per non deluderlo non smentisco di occuparmi di giornalismo. Mi siedo al suo fianco e inizio a registrare.
Il Tenchia, la “mont” del paese di Cercivento era l’unica a non avere né stavoli né staipe, perché a Cercivento a differenza di tutti gli altri paesi c’era l’usanza di portarsi il fieno in paese, di giorno in giorno, d’estate nel periodo delle fienagione. Ma non perché quelli di Cercivento fossero meno organizzati degli altri. È che a Cercivento si guardava con paura al Tenchia! Se non fosse stato perché del fieno dei suoi prati si aveva assolutamente bisogno, per mantenere le bestie e far vivere la famiglia, tutti avrebbero fatto volentieri a meno d’andare a falciare sulla montagna. Era una fatica improba doversi caricare i fasci di fieno sulla slitta e scendere fino in paese per poi risalire con la slitta in spalla sotto il sole di luglio, due o tre volte nello stesso giorno! Ma di fermarsi lassù la notte non era il caso di pensarci! E non era neppure il caso di lasciare lassù il fieno a lungo, sarebbe stato stregato… Si perché sul Tenchia ballavano le streghe! Nessuno le aveva viste. Ma tutti avevano potuto constatare di persona i cerchi che avevano lasciato nell’erba con i loro girotondi. Sul pianoro che prende il nome appunto di piano delle streghe capitava spesso alla mattina, dopo le notti nelle quali avevano infuriato i temporali, di vedere delle strisce di erba bruciata a forma di cerchio.
Era come se ci fosse stato un girotondo di tante persone, e l’erba sotto ai loro piedi non solo era stata calpestata ma si era avvizzita, bruciacchiata. Non c’era altra spiegazione possibile che nel girotondo delle streghe!
«Deve esserci un’altra la spiegazione! Per forza! Non fosse altro perché le streghe non esistono», continuava a ribattere Pacifico. I suoi compaesani lo prendevano per pazzo e lo lasciavano dire. Pacifico che da giovane aveva fatto per molti anni l’emigrante in Romania, insisteva spiegando che anche lì aveva potuto constatare di persona come tutte le storie sul conte Dracula, fossero solo delle favole e anche questa storia non poteva corrispondere a verità.
Pacifico che a dispetto del nome era un uomo deciso e cocciuto si mise in testa di sfatare la leggenda. Visto che con le parole e con il ragionamento otteneva soltanto il risultato di essere preso per pazzo, decise di passare ai fatti: si mise a costruire sul Tenchia quello che oggi si chiamerebbe uno chalet. Cominciò i lavori a primavera. Da solo. Perché nessuno aveva voluto lasciarsi coinvolgere in quella che, si capiva, voleva essere una sfida alle streghe, da bravo muratore quale era, in un paio di mesi tirò su una casetta niente male. Ai primi di giugno cominciò ad abitarvi.
In paese evidentemente non si parlava d’altro, tutti l’avevano sconsigliato, avevano cercato di fermarlo, perché di certo si stava mettendo in un brutto guaio Ora poi che era anche andato ad abitare sul Tenchia, tutti s’aspettavano di giorno in giorno di sapere quale sarebbe stata la vendetta delle streghe.
A dispetto di tutti i racconti a Pacifico tuttavia non capitava niente. Scendeva in paese ogni due o tre giorni, ma parlava soltanto dei tramonti incantevoli e delle notti piene di stelle che si potevano contemplare da lassù. I paesani tuttavia erano certi che la loro attesa non poteva andare delusa, era solo questione di tempo… ed infatti un mattino allo spuntar dell’alba, dopo una notte nella quale c’era stato un fortissimo temporale e sul Tenchia s’era scatenata una iradiddio di fulmini, lo videro arrivare trafelato.
«Le ho viste!»
«Cosa? Le streghe?»
«No, le Agàne»
«Cosa sono?»
«Non so»
Era l’ora in cui dalle case stava uscendo la gente per andare a falciare in montagna, e in un momento tutto il paese fu attorno a lui che raccontava.
«Avete visto il temporale?»
Certo! Non s’erano mai visti tanti fulmini! Tutte le donne s’erano alzate ad accendere un ramoscello d’ulivo benedetto sulla porta di casa, e avevano guardato al Tenchia che pareva incendiarsi ed a lui lassù che aveva fatto la pazzia di fermarsi a dormire in mezzo all’incendio.
«Beh! Lassù ad ogni fulmine la montagna pareva tremasse come colpita da un terremoto. Avevi l’impressione, si potesse squarciare, andare in pezzi…»
Pacifico era sempre stato bravo nel raccontare, ma certo non doveva essere stato molto piacevole trovarsi in mezzo a tutti quei fulmini!
«Non esagero! Era un finimondo! Guardavo dalla finestra e devo dire che avevo paura. Non delle streghe, ma d’un fulmine che mi cadesse sulla casa e mi incenerisse. Avevo paura di morire! E ad un certo punto mi convinsi d’essere già morto e d’essere già nell’aldilà, quando un fulmine più forte degli altri si scaricò proprio sul prato davanti a me, ruotando su se stesso come una matita che disegna un cerchio. Nel tempo fu un attimo, ma era come se fossi già nell’eternità e quell’attimo durò un tempo infinito. Il fulmine mi si trasformò in una sorta di processione di angeli o di fate non capivo bene, che scendeva dal cielo e si disponeva a cerchio sul prato. Era un cerchio, ma era costituito da una infinità di punti di luce, ed ogni punto di luce era in realtà una bellissima donna. Il cerchio prese a muoversi vertiginosamente lasciando uscire, come se fosse un disco, una melodia dolcissima. Cantavano. Ma non riuscivo ad afferrare il senso delle parole. Capivo soltanto in una sorta di ritornello che dicevano “siamo le Agane”… »
Quando il racconto di Pacifico giunse finalmente alle orecchio di Don Mattia il parroco di Sutrio che era un uomo colto e che sapeva tutto sulla storia della Carnia, il vecchio prete si precipitò a Cercivento per sentirlo raccontare di persona.
«Cosa sai delle Agane?»
«E’ un nome, se l’ho ben capito, che ho sentito per la prima volta, stanotte sul Tenchia. E lei, don Mattia?»
«E’ il nome delle fate dell’acqua. Nelle tradizioni di tanti paesi della Carnia si racconta della loro presenza. Ma prima del Concilio di Trento. Dopo nessuno ne ha mai più viste. Nessuno ne ha mai più parlato.»
Don Mattia era un uomo di fede, ma a lungo andare a forza di discutere con i suoi parrocchiani di Sutrio, era diventato anche un uomo di scienza. Come uomo di fede avrebbe dovuto limitarsi a dare a Pacifico una buona benedizione, come uomo di scienza voleva invece riuscire a capire. Se anche quel cristiano si fosse inventato tutto, come aveva potuto inventarsi persino quel nome, che diceva di non aver mai sentito prima! Gli chiese così se poteva passare la notte con lui lassù, ad aspettare il prossimo temporale.
Si era alla fine di giugno, il periodo in cui in Carnia i temporali si ripetono quasi quotidianamente. Infatti la sera stessa sul Tenchia ci fu un infuriare di fulmini ed un ribollire di tuoni ancora più spaventoso del finimondo della notte precedente.
Pacifico e don Mattia stavano alla finestra quando ad un certo punto Pacifico gridò:
«Le vede? Eccole!»
«Dio mio, perdonami, mormorò don Mattia, sono proprio le streghe. Sono orribili!»
«Ma come orribili non vede che sono bellissime?»
«Orribili!» continuava a ripetere stralunato don Mattia.
«Ma come orribili?» ripeté Pacifico e quasi a convincerlo prese la mano del prete scuotendola.
Al contatto con la mano di don Mattia la scena cambiò improvvisamente anche per lui. Quelle che aveva visto come bellissime fanciulle, erano diventate come d’incanto vecchie storpie con il viso rinsecchito che pareva quello delle mummie di Venzone.
All’alba, visto che comunque dovevano salire a falciare, il paese era tutto davanti alla casetta di Pacifico a sentire come era andata. Sentendo che anche don Mattia, pur non confermando completamente la versione di Pacifico, diceva comunque d’aver visto le streghe, ed a sentire il discorso di Pacifico sulle fate che s’erano tramutate in streghe quando aveva preso la mano del prete, gli abitanti di Cercivento non sapevano più cosa pensare, se non mettersi a recitare scongiuri.
Don Mattia chiese loro di non dir nulla a nessuno, almeno per quel giorno. Si sarebbe fermato ancora una notte a dormire sul Tenchia per avere conferma di quello che aveva visto e poi ne avrebbe parlato con i suoi superiori e con il Vescovo. La notte seguente era quella di S. Giovanni. Sul Tenchia si scatenò l’inferno. La gente di Cercivento guardava in su e pregava. Ad un certo punto al piano delle streghe s’accese un enorme falò.
«Non c’erano dubbi», pensarono tutti: era lo stavolo di don Mattia che bruciava colpito da un fulmine…
All’indomani recuperando tra le macerie i poveri resti di don Mattia e di Pacifico, li trovarono affiancati vicino alla finestra. Chissà se avevano rivisto la scena? Chissà se anche don Mattia aveva visto le Agane?
Comunque sia andata, se prima gli abitanti di Cercivento avevano dei dubbi se costruire o meno i fienili sul Tenchia, dopo la vicenda di Pacifico si confermò la convinzione che comunque quella fosse una montagna stregata. Finché non si arrivò ai giorni nostri, quando nessuno crede più a niente e tutti vedono solo quello che fa loro comodo. Nel frattempo sulla vetta del Tenchia sono stati posti dei ripetitori per i telefoni e le televisioni. I soliti ambientalisti, a suo tempo, si erano anche opposti sostenendo che i “campi magnetici avrebbero inquinato l’erba dei prati” . Ma dato che non c’era più nessuno che andava a falciare e raccogliere il fieno sul Tenchia, la protesta si smorzò subito davanti alle esigenze del progresso. Sono stati collocati degli enormi tralicci, forse poco estetici, ma protetti da potenti parafulmini che attraggono tutti i fulmini della montagna. A Cercivento si sostiene che è per merito del sacrifico di Pacifico e di don Mattia che con la loro morte hanno “scongiurato” le streghe. A Sutrio dove sono più laici, si sostiene che è per effetto del campo magnetico che ha allontanato i fulmini. Sta di fatto, che le streghe sul Tenchia non ci sono più. Dormire sulla montagna non fa più paura a nessuno. Anzi, i primi che vi hanno dormito, hanno raccontato di benefici influssi. Ai maschi pare di sentirsi dentro il richiamo delle bellissime Agane ed hanno così delle performaces incredibili. Quelli di Sutrio continuano a dire che è solo l’effetto del magnetismo dei tralicci. Sia come sia, pare che a Cercivento si registri il più alto tasso di natalità in Carnia ��
L’escursione
Da Tolmezzo si imbocca la statale n.52 bis verso Arta e la si percorre fino al bivio a sinistra per Cercivento. Dopo avere sfiorato Sutrio si prosegue lungo la strada principale ma la si abbandona quasi subito per entrare a destra a Cercivento. Dal paese si risale la lunga e tortuosa rotabile che si alza sulle boscose pendici del monte Tenchia. Giunti alle distese prative del Pian delle Streghe si parcheggia presso il tornante a quota 1.524 (in seguito la strada si fa sterrata e sconnessa). Si prosegue a piedi lungo la stessa strada o, in alternativa, lungo il più ripido sentiero CAI 154, raggiungendo in circa un’ora l’osservatorio meteorologico sul Monte Tenchia (1.900 m.). La strada prosegue quindi in falsopiano fino a raggiungere in breve i laghetti di Zoufplan; è possibile proseguire ulteriormente lungo un sentiero ripido ma breve che conduce alla vetta del Cimon di Crasuline (2.104 m.). Si rientra al punto di partenza lungo lo stesso percorso.
DATI TECNICI
Meta: Monte Tenchia e laghetti di Zoufplan
Lunghezza: 8,5 km
Dislivello: 580 m
Difficoltà: E
Altitudine massima: 2.000 m slm
Tipo di percorso: A/R
Tempi netti: 4h 15m
Attrezzatura: normale da escursionismo
Carta: Tabacco 09
Traccia gpx: disponibile a richiesta
Conclusioni (forse… ) di Vincenzo Marino
Non è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata. Il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali. [#emilydickinson]
Siamo normalmente abituati a considerare l’Inquisizione come un fenomeno tipico del Medioevo. Ed è sbagliato. È vero che il primo tribunale dedicato a giudicare le cause legali di natura religiosa risalga al XIII secolo, ma l’Inquisizione che tutti noi conosciamo – quelladei processi, delle torture e delle condanne al rogo tanto per intenderci – svolse la sua massima attività tra Cinquecento e Seicento, in epoca moderna quindi. Chiariamo che vi furono vari tipi di Inquisizione: quella spagnola (forse la più tristementenotaacausadellasua disumanaferocia) che operò per 250 anni, tra il 1478 e il 1834; quella portoghese (1536-1821); ed infine quella romana, la cui attività iniziò con il Concilio di Trento (1542) e che ufficialmente è ancora attiva, benché con un altro nome, Congregazione per laDottrina dellaFede, e con ben altri scopi e soprattutto metodi.
Il Friuli Venezia Giulia fu ampiamente interessato dal fenomeno inquisitoriale, le biblioteche del
Sant’Uffizio di Trieste, Udine e soprattutto Venezia traboccano dei resoconti dei processi tenutisi in Regione e che hanno segnato indelebilmente la toponomastica e la cultura dei friulani.
Girando per i sentieri montani e per i borghi del Friuli, chiedendo alla gente anziana del luogo di raccontarti qualche storia del loro paese, ti accorgi chelacredenzanellarealeesistenzaeneipoteridelle streghe è rimasta in Regione fino a oggi. Le tracce, seppurlabili,sonoevidentinellepersonepiùanziane e meno colte.
Un tempo, donne anziane, brutte o deformi, ma a volte anche giovani e “troppo” belle, erano ritenute la causa principale di malattie e morte di uomini e animali domestici, di disgrazie, carestie e calamità. Il malocchio, i rapporti con il demonio e il sabba periodico delle streghe erano considerati concretamente esistenti e operanti. In realtà si trattava di una modalità distorta del pensiero primitivo pre-scientifico, che portava a credere, senza ombra di dubbio, nella magia e cercava in determinate persone le origini delle loro disgrazie.
Della lotta alle streghe, in Friuli, si occupò fino al ‘800, il Tribunale della Santa Inquisizione, senza però discostarsi di molto dalla mentalità popolare e perseguitando migliaia di donne, solo raramente però bruciate sul rogo e più spesso torturate o incarcerate.
La colpa di queste donne, dappertutto in Europa, non solo in Friuli, era solo di “essere streghe”. Una vera e propria “pulizia etnica” che tra il Cinquecento e il Settecento, costrinse all’estinzione le detentrici di un sapere tutto femminile. Il motivo era semplice: quelle che venivano considerate streghe erano donne che si erano tramandate di madre in figlia una conoscenza approfondita delle erbe e dei cicli della natura, del corpo umano e, non da ultimo, dei riti pagani pre-cristiani di Iside e Diana. La colpa di queste donne fu che non si riconoscevano nell’ufficialità maschile, “intoccabile”, di scienza e religioneeperseguivanoviealternative.Eranodonne libere, abili, autonome, non si adeguavano al modello femminile dominante del tempo e rappresentavano tutto quello che l’uomo (inteso come genere) dell’epoca non riusciva a spiegare. E forse ancora oggi continua a non riuscirci.
Il pensiero primitivo non è mutato di molto, ancora oggi le rappresentiamo brutte e sgraziate. D’altronde è una tattica comune quella di attaccare una donna sull’aspetto fisico quando la si vuole sminuire, ora lo chiamiamo body-shaming, ma nella sostanza non è cambiato nulla. Delle donne accusate di stregoneria non si temeva però l’esteriorità quanto il loro sapere, un know-how che, malgrado roghi e persecuzioni, in qualche modo è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Quelle donne considerate esseri immondi infatti erano in realtà persone colte, spesso appartenenti a ceti alti della società e comunque tutt’altro che sprovvedute. E allora proviamo a immaginare chi sarebbero oggi le “streghe”. Sarebbero donne colte, laureate probabilmente, caratterialmente forti e indipendenti, impegnate con successo in professioni competitive con l’universo maschile e spesso in professioni tese a fare star bene gli altri, usando anche conoscenze fuori dai canoni comuni.
Non usiamo più le torture fisiche o i roghi per eliminarle e per togliercele di mezzo dal nostro cammino, abbiamo metodi molto più raffinati: ricatti sessuali, foto paparazzate, social sexting (la nuova moda “social” estremamente pericolosa che non risparmia brutti guai a nessuno), post su Twitter o Facebook, articoli denigratori su quotidiani e rotocalchi allineati al pensiero unico, revenge porn, fangonarrativoecomeultimarisorsa,infine,usiamo il femminicidio.
Trova le differenze ora.
Bibliografia
DelColA.,L’InquisizioneinItaliadalXIIalXXI secolo, Mondadori, Milano 2006.
Del Col A. (a cura di) L’Inquisizione del Patriarcato di Aquileia e della diocesi di Concordia. Gli atti processuali, Istituto Pio Paschini – Eut, Udine-Trieste 2009.
Minchella G., “Porre un soldato all’Inquisizione”. I processi del Sant’Ufficio nella fortezza di Palmanova, 1595-1669, Eut, Trieste 2009.
Monia Montechiarini, Streghe, eretici e benandanti del Friuli Venezia Giulia. Processi, rituali e tradizioni di una terra magicaIntermedia Edizioni, Orvieto (TR) 2021
Bruno