Nèura#44estate

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Numero 44 Speciale estate 2013

Nèura Magazine Non È Una Rivista d’Arte

Numeri Critico, ergo sum La fondazione Calderara Eunomia Le marine nella pittura veneziana del Novecento Nèurastenie 8 - 31 agosto 2013: #estate

“Fiato d’artista” #Il

maestro Verdirosi #Björk a Bologna #La Tate Liverpool #Gianni Berengo Gardin a Milano #Alla scoperta dei musei di Genova #Biennale: Giappone e Russia

Alberto Garutti, Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora (2010)

#Guido Crepax in mostra a Milano #Stefano Benni illustrato da Luci Gutiérrez #Il Grande Cavallo blu dell’ex Ospedale Psichiatrico di Trieste #Videosoundart a Milano Immagine del logo: Cristiano Baricelli, Ictus (2005)


Gianni Berengo Gardin, Venezia (1959) Piazza San Marco Š Gianni Berengo Gardin/Contrasto


Indice

Editoriale

7

Gita al lago - di Riccardo Zelatore

10

A dispetto del “vuoto”. L’arte straripante del Maestro Verdirosi di Lucia Valcepina

16

La Tate Liverpool, da Marc Chagall all’arte emergente di Silvia Colombo

24

La

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memoria storica nei

Paesi dell’ex Unione Sovietica - di Roberto Rizzente

Björk: Violently Happy in Iceland - di Eleonora Conti

38

Padiglione del Giappone: la Storia oltre la Storia - di Roberto Rizzente

42

L’Italia attraverso gli occhi di Gianni Berengo Gardin - di Silvia Colombo

50

Dell’estate, di Genova e dei suoi musei - di Sonia Cosco

56

L’estetica dell’acqua. Venezia e le marine del Novecento - di Sonia Cosco

62


Little Miss Imagination - di Anna Castellari

68

Guido Crepax. Valentina e le altre a Milano - di Gabriele Ferrero

72

Matto come un cavallo. Le follie di Maurizio A. C. Quarello di Anna Castellari

78

Contemporaneo, fresco, vivace: Videosoundart a Milano - di Irene Rossetto

84

Nèurastenie n. 44: #estate - a cura di Anna Castellari, Silvia Colombo e Roberto Rizzente

90


Copyright © Nèura 2013 In redazione: Anna Castellari, Silvia Colombo, Sonia Cosco, Roberto Rizzente. Hanno collaborato a questo numero: Eleonora Conti, Gabriele Ferrero, Irene Rossetto, Lucia Valcepina, Riccardo Zelatore. Nessuna parte o contenuto di questo sito può essere duplicata, riprodotta, trasmessa, alterata o archiviata in alcun modo senza preventiva autorizzazione degli autori. I contenuti di questo sito non hanno carattere periodico e non rappresentano prodotto editoriale ex L.62/2001. Logo di copertina: ©Cristiano Baricelli, Ictus, 2005.


Marc Chagall, The Promenade (1917-1918) Š ADAGP Paris and DACS, London 2013


Editoriale. Numeri A quasi un anno dalla nascita di Nèura, arriva il momento di stilare un bilancio sommario. Quindi, prima di parlarvi più a fondo dei contenuti di questo “Speciale estate”, ecco i risultati che – passo dopo passo – abbiamo tagliato e superato. Siamo nati il 27 settembre 2012, sulla piattaforma online e sui social network. Nel giro di undici mesi abbiamo creato una pagina Facebook e un profilo su twitter, tumblr, pinterest, linkedin e google+. Con le nostre forze abbiamo raccolto l’attenzione di numerosi followers e abbiamo pubblicato nostri contenuti con una cadenza settimanale, preannunciati da una Nèurletter che arriva a tutti coloro che si sono iscritti alla mailing list. Inutile dire che ogni articolo ha costituito un’occasione imperdibile per esprimere impressioni e idee, per studiare, ma soprattutto per entrare nel vivo delle mostre e conoscere direttamente alcuni degli artisti di cui vi abbiamo parlato.

di articoli dedicati alle mostre in corso, ma non solo. Un grazie va, quindi, a tutti coloro che hanno sentito il nostro progetto affine al loro modo di sentire –­per non fare nomi, vi rimandiamo alla pagina della Nèuraredazione. Ultimo step, prima di salutarvi, quello delle “formalità”: il 1° febbraio 2013 Nèura si è ufficialmente costituita come associazione culturale e, al momento, siamo in attesa della registrazione come rivista. Superfluo, forse, ribadire la nostra reale vocazione, tesa a superare i limiti dell’online, per arrivare nel mondo, nell’offline, tramite l’organizzazione di eventi e mostre sul territorio. Abbiamo qualcosa in cantiere, ma ancora è troppo presto per le anticipazioni, che vi sveleremo a tempo debito.

Ed ecco che, prima di entrare a capofitto nell’atmosfera vacanziera, vogliamo lasciare un regalo utile alle vostre letture estive, ritornando alla Biennale d’Arte di Venezia, entrando nel padiglione dell’ex Unione Attorno a questo nucleo di idee, poi, Sovietica e incontrando giovani arci sono delle persone. E ci siamo noi tisti il cui linguaggio unisce passaquattro, i co-fondatori, ma anche chi to e presente, tradizione e contempoha contribuito a implementare i con- raneità, in una sperimentazione che tenuti (nella qualità e nella quantità), tocca diverse forme, dalla fotogracome vedrete da questo numero, ricco fia alla videoarte. Proseguendo verso 7


est, arriviamo al Padiglione del Giappone che ci accoglie nel mistero. Cosa indica la scritta 9478.57 km posta all’ingresso? Forse c’entra con le contaminazioni radioattive, con Fukushima e con la paura. Forse l’artista Koki Tanaka può rispondere alla nostra domanda. Torniamo in occidente, a Londra, dove alla Tate Liverpool, distaccamento della londinese Tate, si festeggiano i venticinque anni di vita, con la mostra Chagall. Modern Master mentre, per chi rimane a Milano, la città propone tanti spunti interessanti, dalla mostra Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo a Palazzo Reale, che illumina la storia di un maestro abile nel tessere racconti sulle città italiane che furono e sono, a quella, gratuita, visibile sempre a Palazzo Reale e dedicata a Guido Crepax, fino al Video Sound Art Festival ideato e organizzato dalle Cicale 8

dell’Arconte, con installazioni di Aaron Koblin, Daito Manabe, Sebastian Neitsch. Innovazione, tecnologia, digitale sono il filo conduttore dell’evento. Fare tappa a Bologna significa avere l’occasione di vedere, alla ONO Arte Contemporanea, BJÖRK: Violently happy in Iceland una mostra fotografica sui più celebri gruppi made in Iceland che hanno segnato la storia contemporanea della musica internazionale e si sofferma, in particolare, sulla regina bio-pop Björk Guðmundsdóttir. Insomma, una mostra che sicuramente incuriosirà e, soprattutto, abbasserà un po’ le temperature... Non solo mare, per l’estate 2013. Ritagliatevi un week-end per andare sul Lago d’Orta e, come suggerisce Riccardo Zelatore, spingetevi a Vacciago di Ameno dove si trova la Fondazione Calderara, per compiere un tuffo nell’astrazione italiana.


Dopo aver scoperto i musei genovesi che si nascondono nel centro storico, dedicati all’arte, al mare e alla musica, ammirate con noi le marine realizzate dai grandi maestri veneziani contemporanei. Un omaggio alla bellezza del mare e al tocco ora realistico, ora concettuale, ora astratto di pittori innamorati dell’acqua.

di andare ad abitare tra le pagine di Benni e vi sfidiamo, visto che l’estate è ancora lunga e di cose belle da fare ce ne sono tante, a inseguire gli appuntamenti che abbiamo selezionato per voi, con le Nèurastenie a tema #estate.

Con questo “speciale” che vi accompagnerà in vacanza, ovunque voi siaE sotto l’ombrellone non dimentica- te, vi auguriamo una buona estate, fatte di portare una valigia di libri. Noi ta di divertimento, di relax, ma anche ve ne consigliamo due, dall’animo un po’ di cultura. Infine vi ridiamo apleggero, sognante e ironico. Si tratta puntamento per il mese di settembre, del Grande Cavallo Blu di Irène quando riprenderanno le nostre usciCohen-Janca edito da orecchio te settimanali. acerbo, in cui un cavallo di scena e di cartapesta diventa simbolo della libe- Buona lettura! razione dalla follia, e Miss Galassia La Nèuraredazione di Stefano Benni, una divertente storia (di nuovo edita da orecchio acerbo) che ci porterà in un mondo, Vanesium, in cui è vietato invecchiare. Allora non esponetevi troppo ai raggi del sole, se non volete farvi venire le rughe e se vi viene voglia 9


L’isola di San Giulio, di fronte a Orta


Critico, ergo sum

Gita al lago di Riccardo Zelatore

Si può raggiungere in giornata da Torino, Milano e Bergamo, anche da Genova. Se si hanno due o tre giorni a disposizione, tanto meglio. Un week end è perfetto. Sulla sponda orientale del Lago d’Orta, a Vacciago di Ameno si trova la Fondazione Calderara, maestro assoluto dell’astrazione italiana, che lì ha vissuto dal secondo dopoguerra sino alla scomparsa.


Fondazione Antonio e Carmela Calderara

Ospitata in una casa seicentesca, con una facciata aperta da tre ordini di archi e colonne in granito, testimonianza di un antico granaio che racchiude un silente cortile, impreziosito da sculture a cielo aperto, la collezione Antonio Calderara (Abbiategrasso 1903 – Vacciago di Ameno 1978), già allestita in forma di museo dal pittore stesso, si è costituita come Fondazione Antonio e Carmela Calderara a partire dal 1979. I tre piani dell’incantevole dimora, che si raggiunge attraverso le suggestive stradine del paese, raccolgono 327 opere (56 sono costituite da suoi lavori), tra pittura e scultura, dell’avanguardia internazionale (europea, americana, giapponese e cinese), riunite da Calderara 12

attraverso acquisizioni e scambi con gli artisti suoi contemporanei, ai quali era legato da rapporti di amicizia o accumunato per affinità espressiva. Ecco allora che opere di Sonia Delaunay, Yves Klein, Max Bill, Victor Vasarely, Lucio Fontana (che gli dedicò un “taglio” titolato Ciao barbisin de Milan!), Gianni Colombo, Dadamaino, Enrico Castellani, Piero Dorazio e Piero Manzoni (di cui si conservano due tubi di linee, un uovo scultura con impronta digitale e una delle celebri scatolette di merda d’artista) si affiancano alle creazioni di Albers, Girke, Graevenitz, Jochims, Oehm, Schoon-hoven, Lohse, Graeser, Uecker, Otto Piene, Tornquist. E ancora Soto, Dekkers, Leppien, Morellet, Le Parc, Carrino, Alviani, Aricò, Nigro,


Radice. Alcuni tra i centotrentatrè amici che animarono negli anni una sorta di agorà intellettuale sospeso sul lago, invitati da Calderara o spintisi sin lì, al suo eremo, per incontrarlo e conoscerlo. Accanto alla più folta rappresentanza pittorica non va dimenticata quella degli scultori che aggiungono fascino alla collezione e ne vivacizzano gli spazi verdi e i loggiati. Tra questi mi è caro ricordare Cassani, Balderi, Distel, Dekkers, Spagnulo, Cascella, Azuma, De Camargo, Remotti, Frascà, Prantl, Uncini, Arnaldo Pomodoro.

protagonista del panorama concretista e precursore delle sperimentazioni percettive e analitiche che si affermarono nel decennio seguente, dopo una prima fase figurativa, si era dedicato con rigore e costanza alla purezza del binomio luce-colore nel tentativo di inseguire, attraverso la geometria, l’essenza del visibile. La sua raccolta documenta e si fa testimonianza di una dedizione quasi totale a questa particolare poetica, perseguita senza incertezze e condivisa con tanti artisti coevi, a lui sodali per pratica e pensiero. Una raccolta singolare che, anche grazie al luogo che la ospita, ci riconcilia con la L’artista lombardo, riconosciuto fin da- meditazione e il silenzio, nobili attitudini gli anni sessanta in tutta Europa come un oggi troppo spesso dimenticate.

Loggiato della fondazione 13


Ma c’è di più. A pochi passi dalla Fondazione ha dimora Fausta Squatriti, intellettuale milanese, amica di Calderara e protagonista del milieu artistico internazionale, impegnata già a partire dagli anni sessanta sul fronte delle arti visive, della scrittura, del teatro, della poesia e delle edizioni d’arte. Una visita, previo appuntamento, alla sua deliziosa e storica dimora che custodisce, a sua volta, creazioni di amici artisti, è senza dubbio una preziosa opportunità. In Ameno, che dista due chilometri da Vacciago e da qualche anno, a luglio, si anima con Studi aperti, un festival contemporaneo multidisciplinare, vive Angelo Molinari, uno dei promotori locali con Fausta, e caro amico pittore, che in ogni occasione mi rinnova l’invito per nuovamente un pochino e si approda a un soggiorno sulla collina del lago. Orta San Giulio, perla del lago e splenLì si trova anche il Museo Tornielli in dida in tutte le stagioni. Per chi gradicui è allestita una ulteriore e interessan- sce, infine, il ritiro spirituale, c’è il Sacro te collezione permanente di arte con- Monte, ammesso di riuscire a scansare i temporanea. Ancora, sempre in zona, e gruppi di turisti e pellegrini. Insomma, tra qui chiudo con gli indizi da tour opera- silenzi, arte e socialità, un week end estitor dei buenos retiros privati, soggior- vo fugge, di sicuro, rapido e piacevole. na Paolo Iacchetti, altro complice milanese di avventure artistiche e rigoroso interprete contemporaneo dell’esperienza del colore. Insomma un piccolo e virtuoso ombelico dell’arte tra le fronde ombrose dei boschi, le montagne e il lento sciabordio delle acque del lago. Poi, per chi non è necessariamente appassionato d’arte, ci si sposta 14


Sopra, la targa di Azuma; in basso il lago d’Orta

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Umberto Verdirosi, L’altro


“Fiato d’artista”

A dispetto del “vuoto”. L’arte straripante del Maestro Verdirosi

di Lucia Valcepina

L’arte è contenuto, provocazione, creatività, ricerca interiore. «L’arte deve far innamorare». Questa l’idea del maestro Umberto Verdirosi che, con la sua teatrale vis polemica e la sua forza espressiva, ironizza sul vuoto concettuale della contemporaneità per comunicare a piena voce il suo “messaggio”.


Umberto Verdirosi, Viaggio senza ritorno

Viviamo in un mondo assurdo, capace di Queste e altre provocazioni si affastel«ingannare anche l’inganno». lano nell’opera di Verdirosi che, artista poliedrico e uomo di spettacoIl destino di un quadro, scrive Verdirosi, lo, sa dar voce alla polemica avvalenè quello di essere appeso a una parete, dosi di ogni registro e tono: poesia, coma oggi non si sa più da che parte… micità, satira graffiante, iperbole creaForse nessuno sa più dire quale sia il tiva. Il tutto per proporre una via alterlato giusto? nativa: il messaggio al posto del vuoto, un’arte straripante di significaLo sprovveduto si aggira ammaliato tra ti. Metafore e allegorie dipinte, scorci celebri sacchi cuciti, buchi, bussolotti, di surreale umanità, immagini interlotele bianche d’autore… Ma se il dubbio cutorie e sognanti che si giostrano tra bussasse alla mente? Se la gente, quelracconto umoristico, ricerca interiore, la comune, riconquistasse il valore del drammatizzazione del reale ed epifania bello? O se, addirittura, qualcuno intradel “meraviglioso”. Opere in cui le arti vedesse nei famosi “fori” di un celebrato si intrecciano. Artista un abissale vuoto? 18


Al centro e in nuce, in profondità, il fulcro poetico, lo stesso che ha portato Verdirosi a interpretare visivamente i sonetti di Shakespeare o a creare mondi di incantata sospensione, attesa, stupore. Poesia che chi ha vissuto intensamente il teatro, da ogni angolazione, ha nelle vene, naturalmente, in quanto linfa vitale. «Moderno ma non “modernista”, maestro di se stesso e pessimo “scolaro”» così ama definirsi.

Nuova Zelanda all’Australia, instancabili quanto lui, il maestro, che accompagna la sua produzione pittorica ai suoi testi bilingue, in un dialogo costante tra mente e passione, immaginazione e critica. Al centro, l’essere umano: protagonista, comparsa e Testimone della propria esistenza. Con lui, le maschere, i ruoli scelti e quelli subìti, le idee coscienti e le visioni ispirate, la ricerca incessante di un eterno Diogene, anima errante, viandante la cui strada è illuminata solo da una fioca ma tenace lanterna. Temi sognanti e presenti, spirituali e terreni, in un gioco di riflessi e rimandi che Verdirosi commenta con il suo ironico sorriso e il suo fare giocoso. Un messaggio, il suo, che pungola e conforta, provoca e rassicura, nell’idea che l’arte possa essere “viva, pregna di contenuti” e, perché no… comprensibile!

Le sue tele ospitano, come un palcoscenico, la sua idea d’arte: mix di realismo, favola e trascendenza che chiede all’osservatore un approccio critico e complice, oltre al desiderio di attraversare il mistero. Esattamente come Osho Rajneesh, considerato da Verdirosi maestro cosmico per eccellenza, invita alla ricerca interiore, alla consapevolezza, attraversando ogni fase delIncontrare Verdirosi è come assistela creatività e dell’umorismo. re allo spettacolo da dietro le quinEcco il mondo straripante e sagace di te, attraversarne i segreti e imbatterUmberto Verdirosi. Figlio d’arte e, for- si in uno di quei bauli appartenenti a se, figlio dell’Arte intesa come divina cre- teatri zeppi di storia, che hanno mesatrice, portatrice di valori immortali, al so in scena l’umano nelle sue sfaccetdi là della farsa cui spesso, brutalmente, tature, un baule talmente zeppo di imviene sottoposta. Pittore, scultore, attore, magini, frammenti, aneddoti da non poeta... chi più ne ha più ne metta! poterli contenere tutti e trattenere. Ed ecco perché all’osservatore ignaro Un’attività creativa ininterrotta che ha può capitare di aggirarsi tra i mondi di portato con sé l’esperienza umana, oltre Verdirosi, ondeggiando tra l’onirico e che artistica, del teatro trasferendola poi il reale, e sentire la voce del protagonell’arte pittorica con tutte le sue sugnista che, tra lazzi, citazioni, sermoni gestioni. Opere, quelle di Verdirosi, che e poesia… gli spiega come mai l’arte hanno fatto il giro del mondo, dall’Europa non può essere fine a se stessa. all’America, dal Canada alla Florida, dalla 19


Umberto Verdirosi, Il gioco 20


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Con Verdirosi il visitatore scopre il “gusto” della polemica. I bersagli sono molteplici e ben definiti, primo fra tutti “Criticò”, tracotante critico d’arte, responsabile delle “quotazioni” di mercato, al quale il maestro ha dedicato un vero e proprio necrologio in vista della morte (si spera imminente). Più in generale è l’arte contemporanea – nelle sue declinazioni di concettualismo, informale, astrattismo e trans-avanguardia – ad animare le parodie o le focose invettive di Verdirosi. Nessuno è esentato: non tenetevi mai un Picasso in camera da letto, avrete degli incubi! Per non parlare di Bonito Oliva! Perché, diciamola tutta, cosa resterà nel tempo, oltre il giudizio della contemporaneità? L’opera gravida di significato, la creazione rara dell’artista che, mosso da un fuoco sacrale e fecondo, partorisce. Per il resto, si sprechino pure fiumi d’inchiostro su quanti donano alla sprovveduta umanità nient’altro che i loro… conati! Nel mese d’agosto, tutto questo e altro ancora dalla viva opera e voce di Verdirosi. Dove? A Valdisotto (SO) e, a seguire, presso la Sala espositiva delle Terme di Bormio (SO). Frotte di valtellinesi e turisti in vacanza potranno osservare, attraversare l’arte del maestro, stuimmortale, Verdirosi… lo ucciderà! Così pirsi, indignarsi, dialogare con lui… afferma nella sua opera Il buco, The hole A “Criticò”: venga, venga… Verdirosi (Edizioni Rotoform 2012). l’aspetta! Umberto Verdirosi sarà presente con Ai lettori: se incontrate “Criticò”, ar- alcune opere presso l’Hotel Cepina, tista fallito, segnalatelo. Anche se Valdisotto (SO), dal 3 agosto 2013. 22


Umberto Verdirosi, La nuvola

Umberto Verdirosi Dal 7 agosto a fine mese Sala espositiva delle Terme di Bormio Orari. tutti i giorni, 10-13 | 16 -20 Ingresso libero sito web. www.verdirosi.com 23


Tate Liverpool exterior (1988) Š Tate Liverpool 24


“Fiato d’artista”

La Tate Liverpool, da Marc Chagall all’arte emergente

di Silvia Colombo

Uno dei must da visitare a Liverpool, se non altro per la curiosità che aleggia attorno al nome dell’istituzione, è il distaccamento della Tate, che festeggia con una mostra dedicata a Marc Chagall il suo venticinquesimo anno di vita.

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Tate Liverpool exterior (2013) © Tate Liverpool

Mi sveglio e guardo fuori dalla finestra. Il cielo blu mi inganna, sono incredula, soprattutto quando realizzo di trovarmi nell’Inghilterra più profonda. Sono arrivata a Liverpool una mezza giornata fa e la città, dapprima rude e deserta e infine assolata e vivace, è ancora tutta da esplorare. Difficile dire che cosa avrei pensato della “casa natale” dei Beatles prima di arrivarci, eppure basta camminare, per scoprire delle sorprese che vale la pena di visitare. Come la Tate Liverpool, ad esempio, distaccamento della londinese Tate, che è giunta quest’anno al suo 26

venticinquesimo anniversario. Occorre attraversare tutto il centro per arrivarci, e camminare in discesa verso l’Albert Dock, che affaccia sull’oceano e rende palese la vocazione di Liverpool come porto storico della corona britannica. Impossibile non notare l’imponente struttura industriale in mattoni, di recente rilanciata a scopo cultural-commerciale: da lontano si scorge l’insegna museale, in blu e arancio. Siamo diretti lì. La Tate Liverpool nasce negli anni ottanta, per volontà dell’allora direttore centrale, Alan Bowness, che desidera aprire una sede museale in una zona


geografica diversa, più a Nord, secondo una teoria “per distaccamenti” che prenderà piede nei decenni a seguire – penso, ad esempio, al Guggenheim Bilbao. Detto, fatto. Il museo, che secondo gli intenti di Bowness deve distinguersi dalla Tate Britain, costruendo una sua propria identità più moderna e dedicandosi all’attività didattica, viene situato all’interno dei Docks, ex magazzini

– storicamente meta dei cargo provenienti dall’Asia con carichi di tè e spezie – ormai in disuso riconvertiti a spazio museale. Così, infine, nel 1988 l’istituzione apre al pubblico. Venticinque anni fa. Purtroppo, durante la mia visita non sono riuscita a entrare in tutti gli spazi, causa lavori di ri-allestimento in corso, ma ho avuto modo di trarre qualche considerazione

Marc Chagall, Paris Through the Window (1913) © ADAGP Paris and DACS, London 2013 27


da ciò che ho visto. Al quarto piano, fino al prossimo ottobre, è aperta al pubblico una mostra dedicata a Marc Chagall, grande protagonista del Novecento europeo. Nel complesso, Chagall. Modern Master – questo il titolo – mi ha fatto ripensare a quella monografica che una (ancora) splendida Galleria d’Arte Moderna di Torino mi aveva regalato nel 2004, facendomi avvicinare al maestro russo in maniera incantata, quasi reverenziale. Oggi, a nove anni di distanza, l’esposizione lascia un retrogusto di déjà vu, poiché agli acclamati capolavori come La passeggiata (The Promenade, 1917-

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1918) o Parigi attraverso la finestra (Paris through the Window, 1913) succede solo qualche perla rara, ad esempio Introduction to the Jewish Theatre, bozzetto per il murales che Chagall eseguì presso il Jewish Theatre di Mosca (1920). Tuttavia, per chi non avesse mai avuto l’occasione di ammirare dal vivo una delle sue opere, questo è il momento giusto per farsi un’idea del suo percorso e del suo mondo, fatto di colori e irrealtà. Più interessante, a mio avviso, lo spazio a piano terreno, a ingresso gratuito – secondo la politica dei musei statali in Inghilterra –, dedicato all’arte contemporanea tout court. Di nuovo, fino a


ottobre è visitabile l’esposizione dedicata a una fotografa, filmmaker e scrittrice newyorkese, dal titolo Moyra Davey: Hangmen of England. Il lavoro fotografico dell’artista – obiettivo puntato sull’oggetto comune – è una documentazione sentimentale e accurata del suo viaggio attraverso le città di Manchester e, ovviamente, Liverpool.

Tate Liverpool Orari. tutti i giorni 10-17.50 Ingresso libero Chagall. Modern Master Fino al 6 ottobre 2013 Orari. tutti i giorni 10-17.50 Ingresso. adulti £11.00 (£10.00 senza donazione) | ridotto £8.25 (£7.50 senza donazione) | Ingresso libero alle collezioni del museo sito web. www.tate.org-uk/visit/tate-liverpool

Marc Chagall, Introduction to the Jewish Theatre (1920) State Tretyakov Gallery, Moscow © ADAGP Paris and DACS, London 2013

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Repubblica dell’Azerbaigian, Ornamention. Rashad Alakbarov, Sanan Aleskerov, Butunay Hagverdiyev, CHINGIZ, Fakhriyya Mammadova, Farid Rasulov. particolari dell’Installazione, palazzo Lezze, Campo Santo Stefano. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia | Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia 30


“Fiato d’artista”

La memoria storica nei Paesi dell’ex Unione Sovietica di Roberto Rizzente

C’era una volta l’Unione Sovietica. Un insieme eterogeneo di Nazioni, da nient’altro unite che dal potere centrale e l’utopia di una mai realizzata uguaglianza tra i popoli. Dagli anni novanta, quell’immenso Paese non esiste più. Al suo posto, un gruppo di Stati nuovi, che lentamente provano a inventarsi un futuro, spesso guardando a Occidente, tra vecchi e nuovi problemi. Dove, tuttavia permane forte la memoria del Passato, la Storia. 31


Rashad Alakbarov, Intersection (2013), particolari dell’installazione, palazzo Lezze, Campo Santo Stefano Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia

Che sia un modo per ritrovare se stessi, come un porto antico cui approdare nell’era della precarietà, o viceversa un irrisolto nodo nazionalista, figlio di quelle spinte slavofile che ancora caratterizzavano la cultura ottocentesca, piuttosto che dei rigurgiti islamici del nuovo millennio, il tema si sposa con le direttive della 55ª Biennale e merita l’attenzione della critica. Gli artisti di nuova generazione hanno coniato un linguaggio che mescola passato e presente, innestando nei manufatti della tradizione le spinte propulsive dell’arte concettuale, la fotografia, la video-art e le installazioni tout court.All’Arsenale, la Georgia ha esteso arbitrariamente 32

un antico fabbricato mutandolo in Loggia Kamikaze. Un’architettura locale che riabilita la tradizione medievale delle strutture sovrapposte per aumentare gli spazi abitativi, trasformandoli in terrazze, stanze, dispense frigorifere o atelier d’artista. Gli autori selezionati da Joanna Warsza – Bouillon Group, Thea Djordjadze, Nikoloz Lutidze, Gela Patashuri con Ei Arakawa, Sergei Tcherepnin e Gio Sumbadze – se ne servono per presentare alcune soluzioni informali in grado di modificare il masterplan ereditato dalla dominazione sovietica, senza stravolgerne l’impianto, ma rinnovandolo dall’interno.


Sempre all’Arsenale, la Lettonia rilancia il tema dello sradicamento con una personale a due. L’albero di Krišs Salmanis (1977), trapiantato “a testa in giù” e oscillante nello spazio, via via perdendo i rami più deboli e periferici, è la metafora di una condizione diffusa, a fronte delle tentazioni occidentaliste del Paese. Come pure gli abitanti di Drusti fotografati frontalmente, a figura intera, da Kaspars Podnieks (1980). Sospesi a mezz’aria, nel villaggio di sempre, simboleggiano sì il tradizionale stile di vita rurale lettone, fedele alla natura, il lavoro e una visione patriarcale del mondo, ma anche la difficoltà di conservarne la memoria.

Spostandoci in città, nel Padiglione curato da Hervé Mikaeloff e finanziato dalla Fondazione indipendente Hydar Aliyev, l’Azerbaijan interpreta in chiave contemporanea la tradizione centenaria della decorazione. Farid Rasulov (1985) ridisegna, letteralmente, un tipico Palazzo veneziano, contestando il minimalismo del design contemporaneo con un ricco apparato di tappeti originali che affatica la vista, dimostrando l’aleatorietà dei rapporti tra Oriente e Occidente. Mentre Chingiz’ (1964) arriva al grado zero dell’ornamento, pensato come base da cui ripartire per scrivere una nuova storia.

Gio Sumbadze, Kamikaze Loggia - Particolare dell’Installazione architettonica Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia


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Vedute esterne di Palazzo Lezze. Foto: Italo 35 Rondinella. Courtesy by la Biennale di Venezia


Padiglione Georgia. Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia

Sottili ed evanescenti, le installazioni di Rashad Alakbarov (1979) evocano, per brevissimi momenti, sinuosi arabeschi di luce che assecondano le tradizioni, come a riabilitare le epoche cadute nell’oblio. Allineate su due assi temporali opposte sono le fotografie di Fakhriyya Mammadova (1974), e Sanan Aleskerov (1956), dedicate, rispettivamente, ai matrimoni secondo il rito Azeri e i cambiamenti sociali nelle città e i paesaggi. Chiude la mostra Butunay Hagverdiyev (1989), che prende a pretesto la tradizione ornamentale per polemizzare con l’arte concettuale, deprivando la lettera turcica del significato per riabilitarne la forma pura, astratta. Il recente passato socialista è, 36

invece, l’oggetto d’indagine dell’Ucraina. Un’eredità che non va semplicisticamente rimossa, ma affrontata e rimessa in discussione, nella certezza che è solo attraverso il confronto con il passato che può costruirsi un più consapevole presente. È questo il leitmotiv del video The Monument di Mykola Ridnyi (1985), sullo smantellamento di una statua nella città natale, Kharkiv. O dell’installazione dello street artist Amleto Zinkovsky, una sequela di ritratti nel quadro di una scatola di fiammiferi, che vivifica l’idea altrimenti asettica di ‘monumento’. Fino alla figura “velata” di Zhanna Kadyrova, un’originale riflessione sull’etimologia del termine. Ispirato al poema del XIX secolo di Abay Qunanbayuli


è, per chiudere, il Padiglione dell’Asia Centrale (Uzbekistan, Kazakhstan, Tajikistan e Kyrgyzstan). “Winter” allude al difficile momento di transizione, economico e politico, che questi Paesi stanno affrontando, incapaci di scrollarsi di dosso l’eredità sovietica. Così nei caratteri cirillici progettati nel 1976 su larga scala da Vyacheslav Akhunov, le fotografie di Ikuru Kuwajima, i video di Saodat Ismailova e Aza Shade, la reinterpretazione della yurta fatta da Kamilla Kurmanbekova ed Erlan Tuyakov. E, su tutti, la mappa semantica di Anton Rodin e Sergey Chutkov, costruita a partire dalle lettere scritte sul passato e i problemi del presente da diversi esponenti della società tagika contemporanea.

55ª Esposizione Internazionale d’Arte - Padiglione Georgia, Kamikaze Loggia | Padiglione Lettonia, North by Northeast | Padiglione Azerbaijan, Ornamentation | Padiglione Ucraina, Monumento a un monumento | Padiglione Asia Centrale, Winter Venezia, Arsenale, Palazzi Lezze, Loredan, Malipiero fino al 24 novembre 2013 Orari. 10-18 | chiuso lunedì Ingresso. intero 25 euro | ridotto 22, 20, 15, 14, 12 euro sito web. www.labiennale.org

Rashad Alakbarov, Intersection, (2013) particolari dell’installazione, palazzo Lezze, Campo Santo Stefano Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia 37


In questa immagine, i Sigur Rรณs. Nella pagina di destra Bjรถrk. Foto di Hรถrรฐur Sveinsson 38


“Fiato d’artista”

Björk: Violently Happy in Iceland

di Eleonora Conti

Iceland: un nome che evoca alla perfezione l’algida bellezza di una natura tanto incontaminata quanto desolata. Morbidi tappeti d’erba di un verde smeraldo nutriti dalla pioggia e accarezzati dalla luce ovattata di un cielo alabastro. In Islanda la terra ha il respiro dei geyser e un cuore di vulcano che batte a ritmo di musica.

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Madame De Staël, filosofa e letterata della seconda metà del Settecento, parlava nei suoi scritti di una connessione diretta tra l’ambiente e l’indole dei popoli che lo abitano, clima e cultura. Secondo le sue teorie, gli animi estroversi, passionali e calorosi erano generalmente legati a terre calde come quelle mediterranee, mentre nelle lande fredde e ricoperte di ghiaccio vi si riscontrava piuttosto una propensione alla meditazione, alla razionalità e all’introversione. In Islanda sembra che quest’ultima predisposizione trovi sfogo nella potenza comunicativa di una musica in grado di tradurre i silenzi in melodie e parole. Le dissonanze di sussurri ed esplosioni di note di Björk. L’orchestra melanconica di Jonsi e i suoi Sigur Rós. Il synth e piano di Ólafur Arnalds con i loro ultrasuoni abissali così simili al canto delle balene.

successi da solista. Sperimentatrice di sound elettronici sconosciuti, acrobata vocale e icona ultra contemporanea Björk è riuscita a trasformare la sua vita in un’opera d’arte totale. I suoi album sono stati acclamati dalla critica come capolavori d’autore sempre concepiti con lungimiranza e interpretati con maestria. I video dei suoi singoli sono diventati negli anni territorio di sperimentazione visiva per visionari registi del calibro di Michel Gondry e Chris Cunningham. Musa ispiratrice per Lars Von Trier fino a diventare la danzatrice appassionata della sua tragedia musicale Dancer in the Dark e infine sposa di Matthew Barney, poliedrico artista americano inventore di creature post atomiche e mondi discronico- fantastici.

Gli scatti di Hörður Sveinsson, Queste e altre storie sonore sono illu- Renaud Monfourny, Photosythesis strate in uno splendido racconto visivo affincano a Björk un seguito di cein mostra a Bologna alla ONO Arte lebri connazionali e artisti musicale: Contemporanea fino a metà settem- Of Moster and Man, i Mùm fino ai bre. BJÖRK: Violently happy in Iceland Matmos e i già citati Sigur Rós e raccoglie una cinquantina di scatti ine- Ólafur Arnalds. diti di tutti i più celebri gruppi made in Iceland che hanno segnato la storia A coronare il tutto una serie di videoclip contemporanea della musica, nazionale di artisti come Snorri Bross e Dash e internazionale. Protagonista principa- Show, a riprova dell’inscindibile legale è Björk Guðmundsdóttir, colei che me tra musica e arte, suono e immagine. per prima ha aperto i confini dell’isola La mostra è perfettamente in linea con dei ghiacci rivelandone il grandissi- le scelte espositive della Galleria ONO mo potenziale culturale. Dell’eterna di Bologna, che da anni propone docuregina bio-pop sono riproposte tutte mentazioni fotografiche dei più grandi le tappe più salienti del suo percorso: protagonisti della storia della musica, dallo scioglimento con il gruppo degli delle mode underground e della cultura esordi, gli Sugarcubes, fino ai grandi visiva di intere generazioni. 40


L’esibizione, già in corso dalla fine di giugno, subirà una pausa estiva durante il mese di agosto, per riaprire poi fino al 19 settembre.

Björk: Violently Happy Bologna, Ono Arte Contemporanea 
Mostra aperta fino al 19 settembre 2013 | chiusura dall’1 al 26 agosto Orari. martedì-sabato 10-13, 15-21.30 Ingresso libero sito web. www.onoarte.com

Ólafur Arnalds. Foto di Hörður Sveinsson

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C’è una scritta che campeggia, luminosa, all’ingresso del Padiglione Giapponese ai Giardini della Biennale di Venezia: 9478.57 km. Il numero sottende, spiega la curatrice Mika Kuraya, la distanza dal reattore 1 dell’impianto nucleare di Fukushima. La recente esplosione ha, di fatto, condizionato da vicino le abitudini del popolo giapponese. Ma cosa c’entra con l’opera di Koki Tanaka?

Padiglione Giappone Abstract speaking – sharing uncertainty and collectice acts. Koki Tanaka 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia


“Fiato d’artista”

Padiglione del Giappone: la Storia oltre la Storia di Roberto Rizzente


Padiglione Giappone, Abstract speaking – sharing uncertainty and collectice acts. Koki Tanaka 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia

Entrando nel Padiglione rimaniamo colpiti, innanzitutto, dall’assenza dei tradizionali “manufatti” artistici. Nessuna installazione, nessun ambiente, nemmeno un quadro. Al loro posto, un ammasso di cuscini, torce elettriche, libri e ceramiche, disposti alla rinfusa per l’edificio, quasi fossero in attesa di un trasloco. Persino le carte dello staff sono ammucchiate su di un tavolo di legno, più da Ikea che da Galleria. E i pilastri di legno, gli sgabelli sono presi di peso dalla scorsa Biennale di Architettura, “Architecture. Possible here?” Alcuni televisori proiettano delle immagini e ci sono delle foto, alle pareti. Ma il tutto è disposto senza un ordine né evidenza, fino a perdersi nell’ambiente. Che ne è, allora, di Fukushima? 44

La già citata Biennale di Architettura era stata, in questo senso, esplicita. Promuovendo un centro aggregativo in una città devastata, si proponeva di superare il trauma della distruzione rinfocolando la solidarietà e quindi il senso identitario e di appartenenza tra gli abitanti di un luogo. Koki Tanaka (1975) fa un qualche cosa di simile. Filmando, innanzitutto, la risposta di un gruppo di individui, affine per lo status professionale, a un compito dato, come suonare un pianoforte, acconciare una capigliatura, comporre dei versi o una ceramica. E poi registrando gli esisti di quegli atti che Tanaka definisce “collettivi”, ovvero esperimenti di esito indefinito, stimolati da input generici, come passeggiare di notte con le torce accese.


Se andiamo ad analizzare, tuttavia, le azioni raccontate da Tanaka, notiamo che il riferimento a Fukushima c’è, anche se velato. In a, staircase (2013), per fare un esempio, vediamo un gruppo di persone scendere da un palazzo per le scale di emergenza, invece che dalla scala mobile o con l’ascensore. È un gesto minimo, forse persino banale, ma che si ripete, nel Giappone d’oggi, e che in qualche modo è stato sollecitato dalla paura della catastrofe, o forse anche da un inconscio rifiuto dell’energia nucleare. E, ancora: #0 communal tea drinking (2012) del ciclo precarious tasks mostra un rito tradizionale del Giappone: bere il tè in compagnia. Solo che, dopo Fukushima, con la paura delle contaminazioni radioattive, la provenienza del tè è cambiata. Persino l’acqua non è più la stessa, non più quella del rubinetto, ma imbottigliata.

Ed ecco, allora, la genialità di Koki Tanaka. Egli s’interessa alla storia recente del Giappone. Come tanti colleghi, non può esimersi dall’impegno. Solo che, nel narrare la tragedia di Fukushima, evita la trappola della retorica o dell’apologia a tutti i costi. Non è interessato alla Grande Storia, quella che Hegel ha visto, nell’Ottocento, passare a cavallo, sotto le sembianze di Napoleone. Tantomeno celebra l’eroismo o la capacità di abnegazione del popolo giapponese. Al contrario, egli sposa il punto di vista della gente comune, raccontando i mille, impercettibili cambiamenti che l’esplosione del reattore nucleare ha avuto nella vita quotidiana di milioni di persone. È un’operazione di assoluto rilievo, che è valsa al Padiglione del Giappone la menzione speciale della 55ª Biennale d’Arte.

Padiglione Giappone, Abstract speaking – sharing uncertainty and collectice acts. Koki Tanaka 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia

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Padiglione Giappone, Abstract speaking – sharing uncertainty and collectice acts. Koki Tanaka 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia

Nell’epoca in cui sono tramontate le grandi narrazioni sul mondo e la realtà – come già sosteneva, nel 1979, Lyotard – è possibile parlare dei massimi sistemi solo per frammenti, sospensioni, di riflesso o scegliendo la via del silenzio. Tanaka lo fa con l’occhio del documentarista, sospendendo il giudizio 46

e lasciando che sia la realtà a parlare. Prende un modello che va oggi per la maggiore – il reality show, si pensi al Grande Fratello – e lo rinnova dall’interno, servendosene come di un osservatorio privilegiato per gettare un nuovo e più penetrante, anche se in nessun modo totalizzante, sguardo sul mondo.


Di più, in un’epoca in cui l’arte pare aver smarrito ogni contatto col pubblico, inseguendo onanistiche elucubrazioni, Tanaka rivendica il valore della relazione. Ci sono altri esempi, nella Biennale. Come The Workshop di Gilad Ratman al Padiglione d’Israele, costruito sulle

peregrinazioni di un gruppo di persone da Israele a Venezia e poi l’interazione di queste coi busti in argilla costruiti durante il workshop. O Blindy, il bellissimo video del polacco Artur Zmijewski che documenta le azioni di un pugno di pittori non vedenti. Tanaka va in questa 47


direzione. Ma la approfondisce, in vista di un nuovo e più lungimirante impegno politico. È un modo paradossalmente nuovo, dinamico e interattivo, di fare arte, che apre orizzonti teoricamente infiniti e che merita, per questo, di essere analizzato e tramandato.

Padiglione Giappone, Abstract speaking – sharing uncertainty and collectice acts. Koki Tanaka 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia Foto: Italo Rondinella | Courtesy by la Biennale di Venezia 48


55ª Esposizione Internazionale d’Arte Padiglione Giappone, Transfiguration Venezia, Giardini | fino al 24 novembre 2013 Orari. 10-18 | chiuso lunedì

Ingresso. intero 25 euro | ridotto 22, 20, 15, 14, 12 euro sito web. www.labiennale.org

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Gianni Berengo Gardin, Lido di Venezia (1959) 50 Berengo Gardin/Contrasto Š Gianni


“Fiato d’artista”

L’Italia attraverso gli occhi di Gianni Berengo Gardin di Silvia Colombo Milano, a tutti coloro che si fermeranno in città per l’estate, regala la mostra Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo. A Palazzo Reale si ripercorrono i passi dell’Italia storica attraverso alcune tappe imprescindibili, da Venezia a Milano, ma soprattutto attraverso gli scatti di chi ha saputo cogliere un’epoca. Anzi, più epoche.

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Gianni Berengo Gardin, Milano (1968) © Gianni Berengo Gardin/Contrasto

Quest’anno, a differenza della scorsa estate, il comune di Milano (in partnership con Eni) ha esteso la gratuità solo ai musei civici, escludendo le esposizioni temporanee aperte al PAC e a Palazzo Reale. Peccato, perché si sarebbe potuto fare un passo più in là – se si considera che la Galleria d’Arte Moderna e Palazzo Morando sono sempre a ingresso libero, mentre il Castello, il Museo Archeologico e il Museo del Novecento hanno prezzi di accesso alla portata di tutti (dai due ai cinque euro) –, a favore di quanti rimarranno in città e avranno voglia di scoprire un po’ di cultura.

dedicata al lavoro di fotogiornalisti attivi nel Sud Africa durante gli ultimi cinquant’anni e aperta al PAC fino al prossimo settembre, ma vorrei soffermarmi più attentamente sulla retrospettiva dedicata al fotografo Berengo Gardin.

Fino a quel momento, a Palazzo Reale, sarà visitabile Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, un’ampia panoramica tesa a inquadrare l’attività di un maestro che, proprio quest’anno, ha ricevuto in dono dall’amministrazione meneghina l’Ambrogino d’oro, e a restituire l’immagine di un’Italia che fu e – Tra le mostre in corso più interessanti vorrei per certi aspetti – che è, ancora oggi. segnalarvi Rise and Fall of Apartheid, La mostra, in arrivo da Venezia, giunge 52


Gianni Berengo Gardin, Lido di Venezia (1959) Š Gianni Berengo Gardin/Contrasto

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Gianni Berengo Gardin, Milano (1959) © Gianni Berengo Gardin/Contrasto

nel capoluogo lombardo con una sezione monografica in più. Uno stralcio di quaranta scatti, riunito sotto il titolo Gente di Milano, che dà la possibilità – al cittadino, così come al turista – di scoprire pagine di storia di una metropoli tutta italiana, che ciascuno è abituato a vivere ogni giorno in maniera diversa. Il fotoreporter, nella sua carriera, è stato capace di interessarsi con pari intensità ai soggetti più disparati: incaricato, negli anni ottanta, dalla Provincia di Milano, di documentare la campagna in via di scomparsa, è stato realistico testimone – per iniziativa di Basaglia – della situazione dei manicomi italiani, e ha 54

tracciato con pari dignità e severa bellezza un profilo, antropologico e paesaggistico, del nostro Paese. Le sue immagini vanno oltre le immagini, ci raccontano una storia filtrata attraverso gli occhi (e l’obiettivo) di chi non ha avuto paura di narrare. E noi, siamo pronti per ascoltare e comprendere il suo universo in bianco e nero. Così, ci è sufficiente uno scorcio di una piazza del Duomo brulicante di giovani che suonano, passano, si muovono, per cogliere lo spirito di un momento di incessante cambiamento – gli anni settanta –, sociale, politico e culturale. E allo stesso modo basta lo scatto dei due ghisa di spalle, di fronte a un’impalcatura sommersa da cartelloni pubblicitari per farci sprofondare in un’altra


epoca, quando era ancora in corso il boom economico del secondo dopoguerra e le pubblicità, così come i cantieri edili, non smettevano mai di crescere, in numero e in altezza. Spostandoci di poco, verso est, ritroviamo tutto l’incanto di una Venezia da favola. Romanticismo che trasuda da uno scatto “facile” come quello dei due innamorati che si baciano in piazza San Marco – portando avanti un tema che dalla pittura muove verso la fotografia, da Doisenau in poi –, ma che trapela soprattutto da altre immagini. Come quella (immaginiamo noi) della famiglia, inquadrata di spalle, mentre – dalla spiaggia del Lido – osserva le onde infrangersi a riva. Il silenzio, solo il rumore del mare. Una perfetta asimmetria, giocata tra la bicicletta sbilenca di lui, la posa (e)statica di lei e lo sbilanciamento del piccolo. Allora come oggi, se non fosse per la moda, per i costumi, per i cambiamenti sociali. E oltre. Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo Fino all’8 settembre Milano, Palazzo Reale Orari. lunedì 14.30-19.30 | martedì- domenica 9.3019.30 | giovedì e sabato 9.30-22.30 Ingresso. intero € 8 | ridotto € 6,50 | ridotto speciale € 4 | biglietto famiglia (1 o 2 adulti + bambini da 6 a 14 anni) adulto € 6,50, bambino € 4 sito web. www.mostraberengogardin.it

Gianni Berengo Gardin, Milano anni settanta © Gianni Berengo Gardin/Contrasto 55


Una veduta di Genova. Foto Anna Castellari


“Fiato d’artista”

Dell’estate, di Genova e dei suoi musei di Sonia Cosco “Genova che mi struggi. Intestini. Caruggi”, scriveva Giorgio Caproni nella nota Litanìa e proprio tra quegli intestini, fessure di buio e luce che tagliano la Superba, ci infrattiamo per andare alla scoperta di alcuni dei musei cittadini. Ricordandovi che il 15 agosto, con l'apertura straordinaria, potrete passare un ferragosto all'insegna dell'arte.


Castello D’Albertis

Si inizia da una strada, considerata Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Si chiama Strada Nuova, anche se di nuovo c’è solo il nome, trattandosi di un antico percorso rinascimentale e barocco, racchiuso nella cornice di via Garibaldi. Qui si trovano tre dei palazzi più imponenti di Genova: Palazzo Rosso, Palazzo Bianco e Palazzo Doria Tursi. Sotto affreschi seicenteschi trovano spesso spazio mostre di importanti artisti come Dürer, Veronese, Guercino, Strozzi, Grechetto, Van Dyck. Usciamo dai budelli del centro storico e alziamo gli occhi verso l’alto (Genova è un gioco di porto e alture, di orizzonti e verticali, come testimoniano i numerosi ascensori e le vertiginose scalinate). Potremmo scorgere uno dei luoghi più suggestivi della città, il 58

Museo delle Culture del Mondo di Castello D’Albertis, dal nome del capitano Enrico Alberto D’Albertis che ne è stato l’ideatore. Il viaggiatore D’Albertis scoprì, a cavallo tra Ottocento e Novecento, mondi lontani e volle portare con sé, a Genova, nel suo castello, pezzi di mari e terre misteriose. Oggi è dimora di materiale archeologico ed etnografico, in uno scambio costante con le culture ‘altre’. Poteva, Genova, non avere un museo dedicato al mare? Galata è uno dei più interessanti musei marittimi del Mediteranneo (al cui interno è possibile vedere un’antica galea genovese del Seicento). Uno sguardo sull’ Arsenale, l’armeria della Darsena e poi, grazie alle nuove tecnologie multimediali, è possibile sfogliare atlanti


cinquecenteschi, salire a bordo di un brigantino ligure e sfidare una tempesta a Capo Horn. Le storie del mare sono le storie di chi lo attraversa e dal 2011 il Galata ospita il nuovo padiglione MeM – Memoria e Migrazioni, dedicato alle tematiche degli emigranti italiani nelle due Americhe nello scorso secolo e alle ondate migratorie contemporanee. Spostiamoci nel quartiere di Carignano, verso il cuore dell’arte contemporanea genovese che è il museo di Villa Croce. Con un patrimonio artistico di più di tremila opere di arte astratta italiana e straniera, conserva la collezione d’arte astratta Maria Cernuschi Ghiringhelli. Tra le proposte di quest’estate 2013, fino all’8 settembre, è possibile visitare la mostra Colore e Dispositivo di Gintaras Didziapetris i cui lavori, articolati in diverse forme, dalla fotografia alle installazioni, rimangono sospesi tra presente e passato, con un effetto anacronistico e retrò. Sempre a Villa Croce, sullo scalone monumentale occhio a non inciampare tra le erbacce con l’installazione All’allerbaggio di Gabriella

Ciancimino, un intervento site-specific che accosta erbacce e tatuaggi per raccontare emarginati e outsiders. Questo rapido sguardo sulla Genova dei musei vuole chiudersi su un pentagramma. La musica non è solo da ascoltare e nel cuore della città vecchia, nei quartieri “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, cantati da Fabrizio De André, non lasciate al caso la scoperta di ViadelCampo29rosso, un tempo storico negozio Musica Gianni Tassio, oggi vuole conservare il patrimonio culturale e musicale di quella che viene chiamata la Scuola genovese dei cantautori (Umberto Bindi, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Gino Paoli). Un po’ museo, un po’ laboratorio artistico, è punto di riferimento per le iniziative creative collegate alla musica e alla poesia.

I musei di Strada Nuova, a Genova

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Museo Villa Croce, particolare dell’installazione Cariatidi di Marta Dell’Angelo

ViadelCampo29rosso

Castello D’Albertis

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Una veduta di Genova. Foto: Anna Castellari

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Il mare di Puglia agitato dal maestrale. Foto Anna Castellari 62


Eunomia

L’estetica dell’acqua. Venezia e le marine del Novecento di Sonia Cosco

Figurative, astratte, concettuali. Le marine in pittura emozionano sempre, perché l’acqua è un richiamo fortissimo, ancestrale, perché la linea dell’orizzonte è il filo sul quale, funamboli, attraversiamo l’esistenza e nello stesso tempo è confine oltre il quale si nasconde il tutto o il niente. Alla ricerca di marine, abbiamo ritagliato un pezzo di Novecento e ci siamo soffermati su alcuni artisti contemporanei della pittura veneziana. Quale altra città, se non la Serenissima, può raccontarci le mille sfumature dell’acqua?

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Virgilio Guidi, Marina metafisica, marina spaziale (1950)

Per Virgilio Guidi (Roma, 1891 Venezia, 1984) è una linea dritta che separa due strisce, una azzura e una beige. Per Romano Lotto (Dueville, 1932) è geometrica sovrapposizione di scaglie bianche, azzurre, blu sugli scogli. Il mare è reale, il mare è interpretazione e quale stagione migliore, se non quella che stiamo vivendo, per riscoprire la pittura di artisti del Novecento, che hanno gravitato intorno alla città lagunare e hanno raccontato il loro rapporto con onde, riflessi, schiuma, orizzonti, sabbia? Marina Metafisica, marina spaziale (1950) di Virgilio Guidi è gesto pittorico, ma soprattutto filosofico. È un mare, ma potrebbe essere un cielo o un concetto. L’opera fa parte di una serie di Marine realizzate tra il 1947 e il 1950, i cui paesaggi sono linee, piani di colore, le opere prendono respiro e si asciugano, inseguendo la contemporaneità minimalista dello Spazialismo di Lucio Fontana.

è l’incontro con Emilio Vedova perché le sue opere diventino terreno di ricerca ed esplorazione del linguaggio informale, l’artista finisce per approdare a una visione in cui la materia e l’astrazione dialogano, come nel dipinto che abbiamo scelto (Spiaggia a Marina, 2004). Il paesaggio c’è, è evidente nella sua fisicità e nella concretezza materica del colore, ma nello stesso tempo permane un’aura di suggestione e magia. Alle zattere (1965) di Neno Mori (1899 1968) ci riporta nella corrente della tradizione coloristica veneziana e del Realismo. Lontano dalle sperimentazioni che pure Mori ha attraversato, all’artista interessano i paesaggi e la luce, per chi il mare lo guarda e lo ama, senza contaminazioni cerebrali, con gli occhi e con il cuore. «Si può riuscire col solo lavoro della pittura, purché a digiuno. Un eccesso di concentrazione è fra le droghe più efficaci, ma il costo forse è maggiore per l’organismo. Il mio nudo è mentale, anche le marine. I dipinti sono tutti creati nella memoria», così parla Corrado Balest di cui vi mostriamo Marina del 2002. Nato in provincia di Belluno nel 1923, artista poliedrico, quando nel dopoguerra la città lagunare s’infiamma dei dibattiti tra astrazione e figurativo, Balest non si schiera, perché l’arte è contraddizione a priori e non ha senso assegnarsi un ruolo o una parte.

Il secondo artista, Romano Lotto, propoPiù inquieta la poetica di Gino Rossi ne un Realismo immaginario, con for(Venezia, 1884 - Treviso, 1947), te richiamo alla frammentazione postla sua Marina del 1911 è calata impressionista di Cèzanne. Se decisivo 64


Corrado Balest, Marina (2002) 65


Fauvismo. Quello che vediamo è acqua, barche, case, nuvole, ma è soprattutto un disegno interiore, un gioco di azzurri e blu che ha perso il contatto con la realtà.

Romano Lotto, Spiaggia a Marina (2004)

perfettamente nel pieno Decadentismo, permata di Sincretismo alla Gauguin e di Postimpressionismo alla Van Gogh. L’interesse per il colore libero ed emotivo, la semplificazione delle forme, l’abolizione della prospettiva, i toni innaturali dei colori, le linee marcate ricordano molto anche la sperimentazione del Neno Mori, Alle zattere (1965)

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Con Armando Pizzinato (Maniago, 1910 - Venezia, 2004) abbandoniamo le morbide linee di Rossi e ci avviciniamo, con precauzione, a spigolose geometrie, poco compiaciute e lontane dalle precedenti raffinatezze decadenti. Guardando la sua Marina Ligure (1974) sorge spontaneo un accostamento al Postcubismo e al Futurismo russo. In bilico tra desiderio di sperimentazione e adesione al presente, nei primi anni della sua attività aderisce al Realismo sociale, per poi tornare (e l’opera che vi presentiamo ne è


Gino Rossi, Marina (1911)

la testimonianza) a un Neonaturalismo gioventù, che esprimono il desiderio sperimentale, dove emerge la mera- di un legame con la natura e con la citviglia e la luce. L’artista apre le porte tà che galleggia sull’acqua. agli azzurri e ai verdi, più lirici, meno combattenti dei precedenti rossi della

Armando Pizzinato, Marina Ligure (1974) 67



“Fiato d’artista”

Little Miss Imagination di Anna Castellari

Che cosa, oltre alla bellezza, all’apparenza e alle doti più osannate, unisce gli uomini, almeno secondo la favola di Stefano Benni, illustrata da Luci Gutiérrez, Miss Galassia? Quali sono i criteri di giudizio più gettonati nell’elezione di miti ed eroi? Ce lo insegna lo snegurock, la creatura-chiave di questa storia…


In alto e nella pagina a fianco: Stefano Benni e Luci Gutiérrez, Miss Galassia, orecchio acerbo, Roma 2008

Che Stefano Benni avesse un’immaginazione visionaria e incredibilmente tentacolare – nel senso che si estende a diversi ambiti dell’immaginario (e inimmaginato) umano – lo sapevamo già ben prima che uscisse questo volumetto, edito orecchio acerbo. Già dai tempi di Bar sport, per arrivare alla Compagnia dei Celestini, a Margherita Dolcevita. Di qui all’illustrazione, ricercata e scoppiettante, delle sue storie, il passo è stato certamente breve. orecchio acerbo ha pubblicato nel 2006 Pronto soccorso e beauty case, protagonisti di una storia d’amore illustrata da Francesca Ghermandi; questo volume, invece, uscito nel 2008, è stato disegnato dalla catalana Luci Gutiérrez.

Una grafica pop e surreale al tempo stesso, per una vicenda ambientata nello spazio, più precisamente nel pianeta Vanesium. Un luogo in cui le persone non invecchiano mai, e se lo fanno senza ricorrere alla chirurgia estetica vengono automaticamente emarginate, confinate in cliniche dove vengono lasciate morire da sole. Ed è proprio in questo pianeta, dipinto con distacco e senza giudizi morali, che si svolge ogni cosmoanno (cioè ogni cento anni terrestri) il concorso “Miss Universo”. Sfilano quest’anno diverse creature raccapriccianti, presentate da Gnovvo Gnau, una specie di balenottera dotata di microfono,


frac e cilindro. C’è la tentacolare multipodia di Hagarahu, il karkaronzkor di Konkaduras, mostro dipinto in stile futuristico con un richiamo alla civiltà latina del mens sana in corpore sano, che però di sano sembra non avere nulla; c’è la cantante Sirena di Titano, improbabile sirena dalla pelle nera e dalla chioma bionda; c’è Zirconia di Cartierius, un diamante-per-sempre che saltella su tacchi a spillo; e Pancalia TrylaHt 163, robot in reggiseno e il corpo scolpito (nel senso di modellato, dato che è in ferro, o almeno così sembra). L’ultimo concorrente a salire sul palco è Gnibbo, un profetico snegurock, che acclama una verità sconcertante (per gli abitanti di Vanesium, perlomeno, ma anche per noi), eppure lampante. Ovvero che è l’immaginazione a essere più attraente di qualsiasi robot, sirena o multipodia. Non a caso, la concorrente che davvero concorre a questa gara è realtà chiusa in uno scatolone, e si chiama Imagia. Quale concorrente riesce a sbaragliare tutti i pretendenti al trono di Miss Galassia, senza nemmeno essere vista? È proprio quella che c’immaginiamo, quella le cui caratteristiche sono non nel suo volto, ma nella nostra testa. La favola di Benni insegna proprio questo, e lo fa ambientando la storia nel luogo meno propenso all’immaginazione che ci possa essere. I disegni di Gutiérrez fanno il resto. I colori, pochi ed equilibrati in ogni pagina, disegnano un mondo ideale, non nel senso che vorremmo abitarlo, ma perché in poche linee stilizzate si disegnano i tratti umani (e bestiali) di ogni personaggio. Non mancano, infatti, girasoli con

il rossetto, foche con gli occhiali, birilli con bocca, naso e occhi, piedi, orsetti ribelli, una signora con un pettine incastrato nella chioma cotonata… un bestiario umano che si mostra nelle ultime pagine, che rimane impresso nella memoria visiva del lettore, davvero consono alla scrittura surreale dell’autore bolognese. Una lettura adatta anche a ricordarci che se è bello ciò che si vede, ancora di più è ciò che non si vede. Di questi tempi, di bikini e bagni al mare, può diventare una lettura addirittura consolatoria. Miss Galassia Di Stefano Benni illustrato da Luci Gutiérrez orecchio acerbo editore, 8,50 € In libreria e online www.orecchioacerbo.com


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“Fiato d’artista”

Guido Crepax. Valentina e le altre a Milano di Gabriele Ferrero Milano, Palazzo Reale. Dal 15 giugno al 15 settembre 2013, le sale dell’Appartamento di Riserva ospitano Ritratto di un artista. A dieci anni dalla scomparsa di Guido Crepax, avvenuta il 31 luglio 2003, e in corrispondenza di quello che sarebbe stato l’ottantesimo compleanno – era nato il 15 luglio 1933 – la città natale dedica a questo importante figlio una mostra antologica che mette in risalto il rapporto che legava l’autore alla sua contemporaneità. Valentina. Immagine: archivio Crepax 73


Attrattiva principale di Ritratto di un artista sono le tavole tratte da Valentina, La nave pirata, Bianca, Anita, Histoire d’O, Emmanuelle, Justine, Conte Dracula, Venere in pelliccia, Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Giro di vite. Da queste, da cui si aspetterebbe di ritrovare il mondo di Crepax, si rischia di essere delusi, lontane dal facile intento di compiacere il visitatore medio. Infatti, è proprio nella scelta del materiale esposto che la mostra perde il contatto con l’immagine che la massa ha del fumettista.

dall’immaginario che lo vorrebbe solo un maestro dell’erotismo a fumetti. Il merito di Antonio Crepax è proprio questo: concentrare l’interesse sull’autore, piuttosto che sui personaggi. Anzi, mettendo questi ultimi a servizio del primo. Crepax è presente nella sua essenza; nel suo segno, fatto di linee sospese e di vignette ardite non solo per via dei contenuti, ma soprattutto per i tagli delle inquadrature e per le forme innovative.

Insomma Ritratto di un artista è il tentatiBen presto ci si accorge di essere da- vo, riuscito, di dimostrare quanto l’opevanti a un Crepax diverso, lontano ra di Crepax sia ancora attuale e che il Guido Crepax mentre disegna Valentina. Immagine: archivio Crepax

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Guido Crepax, particolare di una tavola che ritrae Valentina e Louise Brooks. Immagine: archivio Crepax

suo senso non sia tanto da ricercare nelle sue eroine quanto nell’atto creativo e nelle tematiche che l’autore ha sviluppato in essa. Le sale dell’Appartamento di

Riserva diventano così stanze della memoria, ciascuna delle quali declinata attraverso un tema particolare: Milano, Valentina e Louise Brooks, la moda, 75


Crepax e un particolare tratto da una storia di Valentina. Immagine: archivio Crepax

il design, la letteratura, il cinema, la fotografia, la musica, l’arte e lo studio di Crepax. Ed è proprio questo l’angolo più suggestivo della mostra, grazie alla presenza della scrivania sulla quale l’autore ha dato forma a tutte le sue storie. È un percorso in grado di suscitare emozioni profonde, rafforzato da altri due elementi di grande impatto: la bellezza del luogo che ospita la mostra e le ricostruzioni sceniche realizzate da Caterina Crepax, designer e creatrice di moda, che accompagnano i visitatori nel mondo visionario del “papà” di Valentina.

l’erotico nel romanzo. La mostra, in programma per tutto il mese successivo, mette in risalto, attraverso l’esposizione di trenta tavole originali tratte dalle medesime storie in mostra a Palazzo Reale, gli aspetti più oscuri e morbosi dell’arte di Crepax. Guido Crepax: ritratto di un artista Milano, Palazzo Reale Fino al 15 settembre 2013

Orari. lunedì 14.30-19.30 | martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30Quasi a complemento di Guido Crepax. 19.30 | giovedì e sabato 9.30-22.30 Ritratto di un artista, martedì 10 set- Ingresso libero tembre 2013, nella sede della Galleria sito web. Nuages, al civico 10 di via del Lauro www.comune.milano.it/palazzoreale a Milano, si apre Il romanzo erotico & 76


Valentina. Immagine: archivio Crepax 77


Un libro, edito orecchio acerbo, scritto da Irène Cohen-Janca, e illustrato da Maurizio A. C. Quarello, racconta con “scontrosa grazia” la quotidianità della vita nell’ex ospedale psichiatrico, nel periodo di passaggio in cui, a Trieste, Franco Basaglia introdusse la cosiddetta “liberazione” dei matti e l’apertura dei manicomi. Poesia, amore per la vita, affetti e difficoltà a comunicare, protagonisti della storia.


“Fiato d’artista”

Matto come un cavallo. Le follie di Maurizio A. C. Quarello di Anna Castellari


Se fos normâl

Se fossi normale

Se fos normâl ‘e audarés al vint a scrîve poesies sui tiô cjavei. Descolz su l’aga de Andrèes in cercja de la sorgent. E a la sera cjocs de luna cencja mai stufâsse da gosâ al nostre amour. E po’ sui arbi in cercja de nîtz, sui lavres un vier. Se fos normâl e sunarés dute’ li cjampanes. E po’ via pa’ chî prâtz e deventâ flours âs e la meil.

Se fossi normale aiuterei il vento a scrivere poesie sui tuoi capelli. Scalzo nell’acqua di Andreis in cerca della sorgente. E alla sera, ubriachi di luna, senza mai stancarsi di gridare il nostro amore. E poi sugli alberi in cerca di nidi, sulle labbra un verme. Se fossi normale suonerei tutte le campane. E poi via per i prati a diventare fiori api e miele.

Federico Tavan, Cràceles cròceles Nell’immagine: Marco Cavallo, dipinto da Maurizio A. C. Quarello per il volume Il grande cavallo blu di Irène Cohen-Janca


Se forte è il richiamo dell’est, se in agosto le vostre vacanze si spostano verso altri lidi – la Slovenia, la Croazia, il Montenegro, la Bosnia? – dovrete per forza passare per il Friuli Venezia Giulia.

Una di queste storie è quella che coinvolge Marco Cavallo, un cavallo di scena, di cartapesta e cartone, utilizzato per i teatri. Che, nelle parole di Irène CohenJanca, autrice del Grande cavallo blu (orecchio acerbo, 12,50 €), prima di esSe siete convinti che il confine tra nor- sere un simbolo della liberazione non malità e pazzia non è così definito come solo dalla prigionia dei matti, ma anche si tende a credere, quasi a proteggersi dalle proprie paure, Trieste, “città dei matti”, è una tappa davvero obbligatoria. Scoprirete che c’è un posto, chiamato ex OPP, in cima a una collina, sopra la città vecchia, che un tempo era un universo autarchico e oggi invece è aperto a chiunque, e soprattutto chi vi risiedeva è stato liberato, nel vero senso del termine, dal medico illuminato Franco Basaglia. Ma chissà quante storie, e quanti piccoli e grandi drammi ci sono stati durante quel periodo di grandi cambiamenti, non soltanto per i malati psichici, ma anche per chi da quel mondo vicinissimo viveva lontano anni luce.

Nell’immagine: la copertina originale di Maurizio A. C. Quarello, utilizzata per Il grande cavallo blu di Irène Cohen-Janca, edito orecchio acerbo



da pratiche barbare come elettrochoc et similia, era un cavallo in carne e ossa, che trasportava nella struttura generi di prima necessità. Ed era il migliore amico del bambino Paolo, figlio della lavandaia, unico ospite dell’ospedale psichiatrico. Paolo, però, va a scuola, e ha un altro amico, futuro poeta, secondo lui, dal nome evocativo Ernesto Saba.

Franco Basaglia, che, paterno, gli promette di salvare il cavallo. Anche gli altri matti sono d’accordo; e dopo l’apertura dell’ospedale, nei laboratori per gli ospiti, viene fabbricato un cavallo uguale a lui, di cartone. Che un giorno, nel 1973, viene trasportato fino al centro della città, in una festa di liberazione commovente, trainato dal Marco “vero”.

Accanto al protagonista della storia, tutta narrata dal punto di vista di Paolo, ci sono diversi personaggi. L’uomo albero, che pensa di essere un albero, Francesco che vorrebbe parlare con gli uccelli, come San Francesco, ma anche uno strangolatore di uccelli… il tutto, narrato nei toni del beige e del blu, un tocco delicato e acquerellato, un mondo ovattato che, lentamente, si mostrava al mondo “fuori”, quello che i ricoverati del San Giovanni (l’OPP) non potevano vedere.

Il tocco di Quarello, che si fa chiamare A. C. Quarello, è lieve e delicato, espressivo e pensoso. Non potrete che guardare con occhi diversi i luoghi che dipinge, così come non potrete non fermarvi al San Giovanni, nella vostra ultima tappa italiana prima di entrare in Slovenia, se state andando in vacanza da quelle parti, dopo aver letto questa piccola perla. Il grande cavallo blu di Irène Cohen-Janca illustrazioni di Maurizio A. C. Quarello

Un giorno, però, Paolo viene a sapere orecchio acerbo editore, 12,50 € che si voleva mandare Marco al macello; così il bambino si ribella, parla con In libreria e online sito web. www.orecchioacerbo.com


Contemporaneo Videosound

Metti un pomeriggio afoso di luglio a Milano, quando la città preannuncia la sua vocazione estiva a chiuder bottega e invita tutti a mollare gli ormeggi verso lidi più adeguati alle temperature. Uno di quei sabati in cui il metabolismo si attiva alla ricerca di un’offerta culturale fresca. Le Cicale dell’Arconte, rara formazione di lavoro giovane – sono tutte sui trenta – dall’anima e dal “còre” femminile della sua fondatrice, hanno un progetto che negli anni si è rivelato vincente: il Video Sound Art Festival.

Nell’immagine: still da video di Alessio Ballerini, vincitore di Videosoundart2013


o, fresco,vivace: dart a Milano

di Irene Rossetto

“Fiato d’artista”


Vincente. Vincente sia dal punto di vista della direzione artistica, di Laura Lamonea, sia per la scommessa, non facile, di portare in Italia l’avanguardia internazionale. Il che equivale a sfondare una porta chiusa per il nostro Paese, abituato com’è a quell’idea di cultura istituzionale che mette la maiuscola alla “C”. E quindi brave anche per la pazienza e la caparbia. Per fresco intendo interattivo, contemporaneo, emozionante, divertente. Per esempio: l’idea di associare due componenti diverse, ma complementari, e fortemente connesse a livello di sperimentazione come suono e arte visuale. L’inconsueta rassegna di ricerca elettronica ha preso le mosse dalle rimembranze dagli Efterklang, una band di Copenhaghen che mixa elettronica e folk a pop di orchestrazione sinfonica. Un omaccione statunitense come Dan Deacon, che proviene dalla scena musicale di Long Island, stupisce sia come performer sia come miscelatore di pop tradizionale

ed elettronica dura, mentre il collettivo di producer londinesi Old Apparatus prende riverberi e rumori noise industrial e li colloca in linee melodiche sentimentali. Questa serie di concerti denominata “La primavera” di Video Sound Art è andata in scena a maggio alla Salumeria della Musica di Milano ed è servita a preparare il terreno, a creare l’atmosfera e a offrire un’anteprima delle proiezioni estive e degli allestimenti dell’offerta internazionale di motion graphic, animazione 3D e video mapping. È andata così: c’è stata un’open call, un richiamo rivolto a tutti i giovani creativi che hanno avuto coraggio, hanno percepito l’apertura alla condivisione culturale e colto l’occasione per partecipare, per divertirsi e assieme “socializzare” la propria forma di espressione accanto ad artisti professionisti affermati. La forma della città, questo il nome del video-bando dell’open call che cita il film breve di Pier Paolo


Pasolini e Paolo Brunatto, è stato diramato a dicembre del 2012 sul sito del festival, videosoundart.com, con lo scopo di selezionare i migliori lavori dei giovani talenti emergenti. Si tratta di quel processo di selezione, di quell’idea di valorizzazione e offerta di una vetrina privilegiata, che ispira altri festival in Europa: Onedotzero a Londra, per esempio, o il Pictoplasma di Berlino, o del francese Hyer festival. Il vincitore di questa terza edizione, Alessio Ballerini, non è certo nuovo in questo ambito: dal 2004

membro del collettivo cinematografico Postodellefragole, nel 2010 fonda AIPS, Archivio Italiano Paesaggi Sonori. Usa computer e periferiche esterne, field recordings, chitarra e piano per creare suoni elettroacustici, minimali e multistratificati. Il suo lavoro sulla “mappatura sonora” delle città viene realizzato attraverso riprese audio rielaborate in performance musicali emotive. Ma torniamo alla sera del 6 luglio, data dell’inaugurazione del festival, e ai dieci giorni successivi, quando il Cortile della Rocchetta e il Portico dell’Elefante del Castello Sforzesco

Christian Acquaro per Videosoundart


di Milano si sono trasformati in un suggestivo e incantevole anacronismo di creatività contaminata. Si rimaneva sinceramente disorientati alla vista di quei luoghi imponenti e un po’ freddi perché non convertiti, poco inseriti nella vita della città, pur essendo simbolo identificativo della sua identità storica. In una parola: spazi museali, a un tratto trasformati in punto d’incontro, un “puntello”, come si dice a Milano, per i giovani interessati. A un tratto ospitali e non soltanto per la fiumana di turisti stranieri… di un’ospitalità elegante ma informale, facile, scevra di pesantezza, contemporanea. All’interno della Sala Viscontea, varie alcune opere ben installate. Aaron Koblin, artista statunitense specializzato in tecnologie digitali lavora così: utilizza dati reali, generati all’interno di diverse comunità. Tremendamente reali come il monitoraggio dei voli in uscita e in entrata dal continente nord americano.

Dirty Beaches al Videosoundart del 30 maggio scorso

A partire da questi dati, riflette sullo sviluppo dei trend culturali umani e sul mutevole rapporto dell’uomo con la creazione di sistemi. Trae conclusioni che converte in segni digitali visibili, colorati, interattivi, li traduce in un linguaggio differente, che rende comprensibili, e carichi di un significato reale. Le sue opere fanno parte delle collezioni del MOMA di New York, del Victoria & Albert Museum di Londra, del Centre Pompidou di Parigi. La sua riflessione è sociologica, tradotta in arte, fortemente affascinante per la commistione dei linguaggi. Daito Manabe arriva dal Japan Media Art Festival ed è un programmatore giapponese che applica l’innovazione tecnologica alle possibilità del corpo umano, attraverso commistioni con il teatro danza e le performance fisiche. La tensione delle sue creazioni si allarga dal teatro alla scultura, dalle installazioni alla video grafica, trasversale e indifferente ai confini tradizionali delle discipline artistiche. Un’installazione interattiva, fatta di luce, suono, voci dei fruitori dell’allestimento. L’idea appartiene al tedesco Sebastian Neitsch a cui è stato chiesto di lavorare con le lampade di Alberto Biagetti. Gli allievi seguono il flusso creativo. Allievi, dato che non manca l’offerta formativa, composta da workshop su diverse discipline, allo scopo di attivare


Aaron Koblin per Videosoundart

un naturale passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze tra coetanei. Il filo conduttore di questo festival è l’estrema perizia tecnologica, l’elevato know-how degli artisti che prima di essere artisti sono periti esperti nella loro disciplina. Sono tecnici professionisti che dispongono completamente della loro materia, la controllano. Maghi che divengono artisti nel momento in cui colgono il limite espressivo della tecnologia e si applicano per superarsi. La dignità del saper fare rimane inalterata e, dal passato più remoto, torna in auge, declinandosi nei nuovi media. L’artista si sfida, si scontra, rielabora e trova la soluzione, che rifluisce armonica in nuove immagini, in cui non c’è più traccia della battaglia.

Questo festival è un progetto articolato nel suo insieme. Senza dubbio ambizioso. E non delude affatto. È stata una boccata d’aria fresca per quella Milano che sa ancora essere aperta alla cultura internazionale, sa accoglierla nei suoi luoghi storici riportati in vita e valorizzare se stessa attraverso la qualità dell’evento e l’identità, reinterpretata dalle sue fondamenta. Video Sound Art Festival Castello Sforzesco, Milano 6-16 luglio 2013 sito web. videosoundart.com


Il progetto Spiaggia Libera, a cura del Beluga art project space di Rutigliano, a Polignano a Mare, localitĂ Cozze (Bari)


Nèurastenie n. 44: #estate a cura di Anna Castellari, Silvia Colombo e Roberto Rizzente Estate, tempo di vacanze. Le città si svuotano, a beneficio dei luoghi di villeggiatura. Sempre più spesso, tuttavia, le amministrazioni comunali propongono una variegata offerta per chi, vuoi per la crisi, vuoi per una scelta di vita, o semplicemente per la diversa pianificazione delle ferie, sceglie di rimanere. Ecco una piccola guida degli eventi in città o nei loro pressi, in Italia o all’estero.


#Roma Al MAXXI è aperta una personale piuttosto raccolta, dedicata a un grande maestro dell’arte italiana del Novecento. Si prospetta un classico, dunque, Alighiero Boetti a Roma, che mette in luce il rapporto dell’artista con la capitale. Al pubblico, attraverso un nucleo di trenta lavori – molti dei quali inediti –, viene svelato il fil rouge che lega un periodo circoscritto della produzione di Boetti a un contesto urbano molto preciso: da qui nascono due identità, due volti, quello creativo e quello urbanistico. DOVE E QUANDO Roma, MAXXI Fino al 29 settembre 2013 INFO E CONTATTI Orari. martedì-venerdì e domenica 11-19 | sabato 11-22 Ingresso. intero €11 | ridotto €8/€4 sito web. http://www.fondazionemaxxi.it/2013/01/23/alighiero-boetti-a-roma-3/

#Milano

Dopo la tappa veneziana arriva a Milano Storie di un fotografo, la più ampia retrospettiva dedicata a Gianni Berengo Gardin. Curata da Denis Curti, ricostruisce in quasi duecento immagini, arricchite dal nucleo di scatti dedicati a Milano, la carriera del maestro, oggi ottantatreenne, dalle inchieste sui manicomi e gli zingari ai reportage su Venezia e le regioni d’Italia, fino alle serie dedicate al lavoro, la fede, la religiosità e i riti.

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DOVE E QUANDO Milano, Palazzo Reale Fino all’8 settembre 2013 INFO E CONTATTI Per maggiori informazioni leggi il nostro articolo a pagina 50 del numero “Speciale estate”.

#Torino Selezionate dallo stesso fotografo per l’antologica del 1979, le oltre cento foto di Henri Cartier-Bresson esposte a Palazzo Reale di Torino sono un documento importante per ricostruire mezzo secolo di storia mondiale, dai campi di deportazione di Dachau alla fine del Kuomintang in Cina, dal funerale di Gandhi a quello di un attore kabuki in Giappone, dai ritratti di intellettuali e artisti a quelli delle città del mondo. DOVE E QUANDO Torino, Palazzo Reale Fino al 9 settembre 2013 INFO E CONTATTI Orari. martedì-domenica 8.30-19.30 | lunedì chiuso Ingresso. intero € 6 | ridotto € 4 sito web. www.turismotorino.org/eventi/IT/ID5997/henri_cartierbresson_photographe

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#Firenze E vissero tutti felici e contenti. Le favole finiscono, ma da qualche parte dovranno pur iniziare. Ed ecco che a Firenze, al Museo Salvatore Ferragamo, è aperta al pubblico un’esposizione permanente che ci introduce nel mondo della scarpa, di cui la maison fiorentina si occupa con successo. Il calzolaio prodigioso. Fiabe e leggende di scarpe e calzolai mostra dunque video, fotografie, bozzetti… che ci permettono di diventare, per un attimo, Cenerentole del XXI secolo. DOVE E QUANDO Firenze, Museo Salvatore Ferragamo INFO E CONTATTI Orari. tutti i giorni dalle 10 alle 19 Ingresso libero sito web. www.museoferragamo.it

#Bologna Non ci saranno nomi di cartello, è vero, anche se l’estate bolognese riserva sorprese, per chi ha tempo e voglia di cercare. Come Il cinema ambulante ritrovato. I tesori del fondo Morieux, un’esposizione interna al festival Il Cinema ritrovato, dedicata al pioniere belga Léon Van De Voorde. Visitando la mostra, a cura della Cineteca di Bologna, si avrà modo di scoprire l’attività di un maestro che, portando di città in città il suo cinematografo, ha contribuito a diffondere la settima arte degli esordi. Il pubblico avrà modo di incantarsi di fronte alle attrezzature di inizio Novecento, agli affiches, così come di assistere alle proiezioni dei film. 94


DOVE E QUANDO Bologna, Cineteca Fino al 31 agosto 2013 INFO E CONTATTI Ingresso libero sito web. www.cinetecadibologna.it/mostre/cinema_ambulante_ritrovato

#Casso (Pn) Nello spazio di Casso (Pn), di cui abbiamo già parlato sulle pagine di Nèura, dal 6 luglio all’8 settembre è presente Roccedimenti, la natura contemporanea, dal punto di vista di alcuni artisti della zona (e non). Presenti, tra gli altri, Francesco Ardini, Pierpaolo Febbo, Jean-Baptiste Camille Corot, Gianni De Valle, Mario Tomè, Alessandro Roma e Davide Zucco. Curatore Gianluca D’Incà Levis, che scrive: “Non si dica, solo, che son le rocce ad abitare le menti, dato che, contemporaneamente, accade anche l’inverso. Le menti aperte penetrano in ogni natura, anche la più compatta. In realtà, abitare non è il termine adeguato: l’esplorazione non è mai domestica, non è un riposo, il suo, nella roccia. in questo rapporto, sia le rocce che le menti sono mobili”. DOVE E QUANDO Ex scuola elementare di Casso (Pn) Aperto sabato e domenica INFO E CONTATTI sito web. www.dolomiticontemporanee.it Telefono. 043730685

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#Parigi Parigi, meta di vacanze anche in estate, è la capitale dell’arte contemporanea, non foss’altro che per il Centre Pompidou, progettato negli anni settanta dal nostro Renzo Piano e da Richard Rogers. Nel museo, sito nel cuore del quartiere Marais, aperto quasi tutti i giorni con orario prolungato (molto diverso dai musei italiani), si possono ammirare le opere dell’artista pop Roy Lichtenstein, in mostra fino al prossimo 4 novembre. Ma attenzione, non è solo pop art: negli ultimi anni di vita, infatti, il maestro si dedicò al nudo e al paesaggio, ritornando nel solco della più classica delle tradizioni artistiche. DOVE E QUANDO Parigi, Centro Pompidou Fino al 4 novembre 2013 INFO E CONTATTI Orari. Da mercoledì a lunedì dalle 11 alle 22 Ingresso. 13 €, ridotto 10€ | 11€ | 9€ sito web. www.centrepompidou.fr

#Polignanoamare (Ba) Ritorniamo nella spiaggia pugliese più chic per una mostra, dedicata all’artista inglese Mat Collishaw, vincitore del premio Pino Pascali, artista della cittadina prematuramente scomparso. La giuria, presieduta da Kounellis, Agnetti, Fabre, Lisa Abdul, Adrian Paci, Nathalie Djurberg e Hans Berg, ha premiato l’artista e le sue opere: video, installazioni multimediali, immagini 96


fotografiche, tutte presenti nella Fondazione Pino Pascali, suggestivo luogo in riva al mare. Riflettendo sulla transitorietà della vita e sulla sua continua mutabilità, Collishaw porta immagini violente e brutali agli occhi dello spettatore. DOVE E QUANDO Polignano a Mare (Ba), Fondazione Pino Pascali Fino al 15 settembre 2013 INFO E CONTATTI Orari. Tutti i giorni dalle 17 alle 22 | chiuso il lunedì Ingresso. 1 € sito web. www.museopinopascali.it

#Venezia In concomitanza con la Biennale d’Arte, in Giudecca, all’ex Birreria, si tiene una mostra “doppia”: David Tremlett e David Rickards. Si chiamano Different walls e All vertical lines intersect, a cura, rispettivamente, di Rachele Ferrario ed Elena Forin. Il primo si ispira ai viaggi in Vietnam e agli wall drawings; il secondo, invece, si interessa alle dinamiche tra opera e spazio, proponendo opere che dialogono con i muri, gli intonaci, rivisitando gli spazi in cui si trova a operare.

DOVE E QUANDO Giudecca, Venezia, Galleria Michela Rizzo, Ex Birreria Giudecca, 800Q Fino al 31 agosto 2013 INFO E CONTATTI Orari. martedì-sabato dalle 11 alle 18 o su appuntamento Ingresso gratuito sito web. www.galleriamichelarizzo.net

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#galleriaweb Direartecontemporanea è un progetto di Angelo Marino, curatore napoletano, che ha ideato una galleria d'arte contemporanea online. Scrive Marino: “Tre immagini ed un 'rumore' quale tributo alle 30/40 tribù di Indios forse ancora non contaminate dalla presenza/ingerenza di noi 'evoluti' a cui si sta costantemente ed inesorabilmente sottraendo l’habitat naturale nel quale assaporano la magia del vivere, il loro vivere. Vogliono restare lì, semplicemente lì. Quando vorranno e se lo vorranno saranno i benvenuti. Rispetto!”. Noi siamo curiosi di vedere come si evolverà questo progetto. DOVE E QUANDO Su web, fino al 18 ottobre 2013 INFO E CONTATTI sito web. www.dirartecontemporanea.eu

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#Zagabria Da un paio d’anni, chi si reca a Zagabria, in Croazia, può visitare il Museo d’Arte Contemporanea, MAC, con opere in collezione permanente e mostre temporanee. Lo citiamo perché si tratta di un’istituzione aperta di recente, e perché la Croazia è da pochissimo entrata nell’Unione Europea. Infine, la collezione permanente, ribattezzata collection in motion, ben descrive la capacità mutante e mobile delle opere, che acquisiscono ogni giorno nuovi significati, in relazione allo spazio con cui dialogano. Il percorso si divide per aree tematiche, tra cui Project and destiny, Art as life, Art on art, Great world enigma, Words and Images, Outdoor Projects. DOVE E QUANDO Zagabria, Muzek Suvremene Umjetnosti Zagreb | Museum of Contemporary Art Av. Dubrovnik 17, Croazia INFO E CONTATTI Orari. martedì-venerdì, domenica 11-18 | sabato 11-20 | chiuso il lunedì e le festività Ingresso. intero 30 kune | ridotto 15 kune sito web. www.msu.hr

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