MONTAGNA IN TRANSIZIONE RIQUALIFICAZIONE DELL’ AREA DELL’ EX-CEMENTIFICIO DI CASTELLAVAZZO NELLE DOLOMITI BELLUNESI COME POLO TURISTICO MONTANO
LAUREANDO: NICCOLO’ DAL FARRA RELATORI: A. MASSARENTE, S. TAGLIAZUCCHI I CORRELATORE: G. MINGUZZI
“ Mica che io sia stanco, o malato, o vecchio, figurarsi [...]. Siete voi, Pale, che non siete più le stesse. Da qualche anno siete cambiate. Perchè? Perchè siete diventate così grandi e alte di statura che adesso non si arriva mai? [...] Perchè vi siete fatte così marce che appena a toccarvi crollate giù con orrendi schianti e frane di pietra, e viene la paura? ” D. Buzzati, O pale di S. Martino, 1966
Dino Buzzati (1966), “O pale di S. Martino”, lettera pubblicata il 6 settembre sul quotidiano “Corriere d’ Informazione” e presente in Lorenzo Viganò (a c. di) (2010), I fuorilegge della montagna: uomini, cime, imprese, Mondadori, Milano.
ABSTRACT Il rapporto tra uomo e montagna ha subito, nel corso del tempo, dei cambiamenti molto significativi che sono tuttora in atto. Nel passato la montagna era sede privilegiata di attività umane, terreno in cui l’uomo poteva trovare cibo, risorse, protezione, energia, volano che favoriva interazioni ed aggregazioni, basate prima su un rapporto intimo tra ambiente ed individuo, modellato sui tempi naturali del corso delle stagioni e sul rispetto delle implicite leggi naturali e poi su un crescente regime di vero e proprio sfruttamento delle risorse materiali. Tra le montagne della provincia di Belluno numerosi segni sono testimoni di queste attività passate: cave e miniere intaccano i versanti scoscesi, resti di antichi opifici si distribuiscono lungo il corso di fiumi e torrenti, dighe, centrali e canali di derivazione si stagliano a guisa di brutali monumenti nel contesto naturale, rappresentando l’estremo tentativo di addomesticamento. Il mondo dinamico ed in continua evoluzione di oggi tuttavia sembra assegnare alla montagna un ruolo sempre più marginale, l’accentramento a fondovalle di beni e servizi provoca un progressivo abbandono delle aree in quota, a cui corrisponde l’inevitabile perdita di un grande patrimonio rurale diffuso, con i segni fisici ancora rimasti delle antiche arti e tradizioni secolari destinati pian piano a scomparire.
Il cementificio di Castellavazzo ed il suo sistema di cave e miniere, collocato lungo il corso del fiume Piave in corrispondenza del confine tra la valle di Longarone ed il territorio montuoso del Cadore, è l’emblema di quanto detto. Sorto a fine ‘800 come fornace di calce in un piccolo centro montano conosciuto sin dall’ epoca pre-romana per la qualità della pietra da taglio ivi estratta e poi modificatosi gradualmente in grande complesso industriale per la produzione di cemento, esso ha segnato profondamente per più di mezzo secolo la vita degli abitanti dell’ intera vallata e non solo, rappresentando una delle poche alternative all’emigrazione in un luogo ed in un periodo storico particolarmente difficili. Oggi il complesso e le sue pertinenze, abbandonati da oltre cinquant’ anni appaiono come romantiche rovine, messe in disparte in un contesto dal grande fascino culturale e paesaggistico. Il progetto, partendo dalla constatazione dell’importanza che il complesso ha avuto per le dinamiche della vallata, intende quindi, una volta esplicitate le potenzialità attrattive ed infrastrutturali del suo intorno, proporre una rigenerazione in chiave turistica, trasformando il cementificio in un condensatore di flussi, capace di attrarre e trattenere sul territorio diversi target di turisti attraverso un programma legato ad attività sportive, ricreative e culturali.
INDICE 1.
BELLUNO, LA PROVINCIA DELLE DOLOMITI
1.1 INQUADRAMENTO GENERALE 1.1.1 Profilo storico e sociale 1.1.2 Profilo economico 1.2
1 2
IL TURISMO, UNA RISORSA PRESENTE PER LO SVILUPPO FUTURO La molteplicità dei flussi Turismo escursionistico e sportivo Turismo culturale Turismo fieristico e congressuale L’ offerta ricettiva
10
2.
IL CONTESTO TERRITORIALE: IL SISTEMA MONTANO CADORE-LONGARONESE-ZOLDO
23
2.1
INQUADRAMENTO GENERALE
24
2.2
IL CADORE
30
2.3
LA VAL DI ZOLDO
34
1.2.1 1.2.2 1.2.3 1.2.4 1.2.5
2.2.1 Le attività lavorative storiche 2.2.2 Le attrattive turistiche 2.3.1 Le attività lavorative storiche 2.3.2 Le attrattive turistiche
3.
LA VALLE DI LONGARONE
41
3.1
INQUADRAMENTO GENERALE
42
3.2 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 3.2.5
IL VAJONT Longarone prima del Vajont L’ industria idroelettrica lungo il fiume Piave Il Grande Vajont 9 ottobre 1963 La ricostruzione
44
4.
CASTELLAVAZZO, UN PAESE DI PIETRA, LA PIETRA DI UN PAESE
69
4.1
INQUADRAMENTO GENERALE
70
4.2
PROFILO STORICO
72
4.3
ATTIVITA’ LAVORATIVE STORICHE
82
4.2.1 La storia: una ricostruzione ancora in corso 4.2.2 La torre della Gardona 4.3.1 Zattere e zattieri 4.3.2 I maestri scalpellini e la pietra di Castellavazzo
5.
IL CEMENTIFICIO
91
5.1 5.1.1 5.1.2 5.1.3 5.1.4 5.1.5
LA STORIA I presupposti Lo sviluppo storico Il ciclo produttivo Il sistema delle cave Castellani e cementificio
92
5.2
LO STATO ATTUALE
116
6.
IL PROGETTO
123
6.1 PREMESSA 6.1.1 Una strategia di valorizzazione territoriale per la valle di Longarone 6.1.2 Il nuovo ruolo del cementificio 6.1.3 Gli itinerari storico-archeologici
124
6.2
140
IL PROGETTO COMPLESSIVO: IL POLO (MULTI)TURISTICO 6.2.1 L’ approccio progettuale 6.2.2 Analisi dell’ esistente ed inserimento del nuovo programma funzionale 6.2.3 Il progetto dell’ accesibilità
6.3 6.3.1 6.3.2 6.3.3
A
APPROFONDIMENTI PROGETTUALI Il museo e centro culturale Il centro sportivo e benessere L’ hotel e ostello
154
BIBLIOGRAFIA
177
APPARATO SCHEDE VALUTATIVE SULLO STATO DI FATTO DEGLI EDIFICI
187 187
ELABORATI GRAFICI
219
1. BELLUNO, LA PROVINCIA DELLE DOLOMITI
1
1.1 INQUADRAMENTO GENERALE 1.1.1 Profilo storico e sociale La provincia di Belluno si estende per 3.678 kmq nel settore delle Alpi Orientali, attraversata da nord a sud dal fiume Piave. Il suo territorio può essere diviso in due parti principali, orograficamente diverse tra loro: una a nord, prettamente montana, dove sono localizzate le cime più alte e caratterizzata da insediamenti umani sparsi e di piccole dimensioni, ed una più pianeggiante, corrispondente alla media valle del Piave, dove sono localizzati i centri urbani maggiori, tra cui Belluno e Feltre. Le prime testimonianze di umane nel territorio risalgono al Paleolitico, ed i primi insediamenti stabili sono databili intorno al 6.000 a. C..1 Da sempre territorio di incontro e di passaggio, nell’età del Ferro ospitò insediamenti celtici -nell’ area Belluno-Alpago-Longarone-, paleoveneti -a Mel e Cavarzano-e retici -a Feltre-; erano praticati allevamento e agricoltura di sussistenza. A partire dal II secolo a.C., i Romani iniziarono ad impiantare varie colonie sul territorio, strategicamente importante sia come baluardo difensivo in quanto confinante con le popolazioni barbare del nord, sia per quanto riguarda la gestione dei flussi commerciali sull’ asse nord-sud: testimone di questo passaggio è la Strada di Alemagna, probabilmente risalente all’ epoca pre- romana, collegamento principale con l’Europa centrale. Il medioevo vide l’avvicendarsi di Bizantini, Longobardi e Franchi, e l’affermarsi nei centri maggiori dei vescovi-conti, fino al definitivo dominio da parte della
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In apertura di capitolo: Valbelluna inquadrata dal Monte Serva. Foto dell’ autore (2016). Il duomo di Belluno, simbolo della città affacciato sul fiume Piave, realizzato a partire dalla fine del XIV secolo. L’ abside sorge sulla base di un torrione preesistente facente parte dell’ antica cinta muraria difensiva. Foto dell’ autore (2017).
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Repubblica Veneta dal 1420 al 1797. E’ proprio in questo periodo che iniziò il pesante sfruttamento delle risorse naturali del territorio: il legname del Cansiglio, del Cadore e della foresta di Caiada era prezioso per la cantieristica di Stato, la pietra di Castellavazzo era estratta per realizzare Chiese e palazzi nobiliari, e le miniere di rame delle valle Imperina rappresentavano il sito estrattivo più importante d’Europa. Alla caduta di Venezia corrispose un periodo tormentato che vide prima l’occupazione francese (1797-1798) e poi quella austriaca. Nel 1866 Belluno venne infine annessa al Regno d’Italia, e negli anni successivi le sue montagne furono teatro di importanti battaglie; strade militari, forti, valichi e passaggi in trincea risalenti alla prima Guerra Mondiale testimoniano tuttoggi questo periodo. Ad oggi, la provincia di Belluno, che conta circa 207.000 residenti totali, si trova ad affrontare la difficile sfida dell’abbandono progressivo che riguarda in particolare le aree rurali montane: le difficoltà nei collegamenti, la carenza di servizi e la mancanza di un lavoro sicuro generano un esodo verso la pianura, dove sono localizzati i centri maggiori e le aree industriali. Le poche eccezioni sono rappresentate dai comprensori turistici più affermati, che però sono solo una piccolissima percentuale del territorio. Tale tendenza potrebbe alla lunga provocare l’abbandono totale di interi borghi, e la perdita definitiva di saperi e tradizioni secolari.
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Il forte di Monte Ricco a Pieve di Cadore faceva parte del cosiddetto “Ridotto Cadorinoâ€?, insieme di opere difensive anti-Austriache costruite tra 1885 e 1895. Foto: Giacomo De DonĂ (2017).
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1.1.2 Profilo economico Le attività lavorative nel territorio bellunese, ed in particolare nelle aree montane, sono da sempre state caratterizzate dal massimo sfruttamento materiale delle risorse naturali: in aree dove l’orografia accentuata non permetteva l’ insediamento di pascoli o campi agricoli, si optò per ricavare risorse dal sottosuolo, dalle foreste, ed energia dal moto di torrenti e fiumi. Dal sottosuolo venivano estratti i metalli -rame ad Agordo, argento in Val Inferna ed Auronzo, Salfossa a Borca, Zinco in comelico, ferro a Fursil- che poi venivano lavorati in opifici localizzati lungo i corsi d’acqua -es. tradizione delle chiavi di Cibiana e Zoldo, spadai lungo il torrente Ardo a Belluno- o commerciati come materia prima, e le pietre, sia da taglio -tradizione degli scalpellini di Castellavazzo e pietra del Cansiglio- che in tempi più recenti utilizzate per la produzione di cemento -impianti storici di Castellavazzo e Vignole di Sedico-. L’ abbondante presenza del bosco ha permesso prima lo sviluppo del commercio del legname, e poi l’ instaurarsi di una proto industria diffusa i cui opifici distribuiti lungo i corsi d’ acqua lavoravano la materia prima -segherie di Sedico e Longarone, Faesite a Longarone-. Il corso dei fiumi era in un primo momento utilizzato sia come via commerciale -zattieri lungo il fiume Piave-e forza motrice, prima con impianti rudimantali e poi, nell’ultimo secolo attraverso l’imponente sviluppo dell’industria Idroelettrica.
6
Il Castello di Andraz, presso Livinallongo del Col di Lana, era posto in posizione strategica e controllava i traffici commerciali legati all’ estrazione di ferro acciaioso dalle miniere del Fursil, presso Colle Santa Lucia. Foto dell’ autore (2016).
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Fu proprio grazie all’energia fornita da quest’ultima che nella prima metà del ‘900 anche Belluno potette avviarsi verso una lenta industrializzazione -il ritardo era in larga parte dovuto alle gravi carenze infrastrutturali del territorio, che determinavano la difficoltà nei collegamenti-.2 Fu con il disastro del Vajont del 1963 e con le successive leggi ad hoc per la ripresa immediata che l‘economia bellunese cambiò radicalmente, passando in brevissimo tempo ad una prevalenza netta del settore industriale, con la specializzazioni nel settore occhialeria -Agordo, Longarone, Cadore-, refrigerzione e produzione di sanitari -Valbelluna-. Si pensi infatti che se nel 1951 il 51% degli occupati lavoravano nel settore primario, nel 1971 gli stessi erano solo il 12%, mentre le percentuali del secondario passano per gli stessi anni da 23% a 44%.3 Negli ultimi decenni si sta assistendo ad un’ulteriore evoluzione, con una crescita costante del settore terziario, rappresentato soprattutto dal turismo. Le particolarità naturali del territorio, le testimonianze umane e le vicende che lo hanno interessato rappresentano una forte attrattiva, le cui potenzialità tuttavia non sono ancora pienamente sviluppate. In un’ottica futura, che miri sia allo sviluppo economico sia alla salvaguardia delle peculiarità del territorio, il turismo sostenibile può rappresentare una risorsa davvero fondamentale su cui puntare.
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Il centro minerario della Val Imperina ha rappresentato per secoli il più grande centro d’ estrazione di rame in Europa. Conosciuto già in epoca romana, vide il suo massimo sviluppo sotto il dominio di Venezia. Gli edifici superstiti, alcuni dei quali ristrutturati in chiave turistica, appartengono ai secoli ‘800 e ‘900, quando il complesso era amministrato dalla Montecatini. Foto: www.agordinodolomiti.it (data consultazione 01.05.2017).
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1.2 IL TURISMO, UNA RISORSA PRESENTE PER LO SVILUPPO FUTURO 1.2.1 La molteplicità dei flussi La provincia di Belluno rappresenta una dei principali poli turistici della regione Veneto ed il turismo riveste una funzione portante per la sua economia. La provincia è formata da due macro aree con caratteristiche diverse dal punto di vista orografico, naturalistico, ambientale e di conformazione del territorio, a cui corrisponde una diversa capacità di attrazione della domanda e quindi un diverso sviluppo dell’offerta turistica. L’alto bellunese, che corrisponde all’area dolomitica veneta, rappresenta uno dei principali comprensori nazionali del turismo alpino estivo e invernale e comprende Cortina e la Val Boite, l’Agordino, il Cadore, lo Zoldano e la zona di Comelico-Sappada. Più improntata invece ad un turismo montano “di prossimità” l’area pedemontana, che comprende invece il Feltrino, l’Alpago e la Val Belluna. I flussi turistici sono di tipo stagionale, concentrati soprattutto in estate ed in inverno: al periodo estivo è associato un turismo di tipo escursionistico e sportivo, attratto dalle bellezze naturali e paesaggistiche, oltre che artistico-culturale, il quale ha come meta soprattutto i centri storici sparsi per la provincia. Il periodo invernale, oltre al turismo di tipo culturale, vede soprattutto l’attrattività dei comprensori legati agli sport invernali ed in misura minore le attività congressuali e fieristiche, queste ultime concentrate particolarmente nell’ area del longaronese.4
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TURISMO ESCURSIONISTICO E SPORTIVO
TURISMO CULTURALE
TURISMO FIERISTICO E CONGRESSUALE
Gli schemi rappresentano la localizzazione in provincia delle principali attrattive turistiche divise per tipologie di interesse.
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1.2.2 Turismo escursionistico e sportivo L’offerta di strutture per gli sport invernali è particolarmente ricca: la provincia vanta un comprensorio sciistico dotato di oltre 300 piste per la pratica dello sci alpino, di cui il 70% concentrato a Cortina, nell’ Agordino e nella zona di Arabba-Rocca Pietore, per un totale di oltre 480 km di tracciati. A queste si sommano circa un centinaio di piste per lo snowboard, mentre gli impianti di risalita superano le 150 unità. Le piste ad innevamento programmato coprono un tracciato di oltre 150 km e sono localizzate a Cortina, nel Cadore, in Valboite, in Valzoldana, sul Nevegal e nel Feltrino. Riguardo allo sci nordico, la provincia offre circa 65 piste per la pratica di questo sport, per un totale di circa 540 km. Da segnalare anche l’offerta di eventi sportivi, alcuni dei quali di caratura internazionale, che costituiscono un ulteriore motivo di attrazione turistica. Il periodo estivo vede un’offerta sportiva molto diversificata: la ricca rete di sentieri permette infinite possibilità per passeggiate all’aria aperta, in particolare all’interno del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e nel Parco Nazionale delle Dolomiti di Ampezzo, mentre esperienze più impegnative possono essere effettuaue seguendo i percorsi delle otto Alte vie delle Dolomiti. Altre possibilità sono il trekking e l’alpinismo sulle vette recentemente entrate a far parte del patrimonio Unesco, l’equitazione e la mountain bike, il windsurf nel lago di S. Croce, mèta degli appassionati di tutta Europa, ed infine gli sport estremi come il rafting, il parapendio ed il volo a vela.5
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Il Bivacco Toffolon, sul monte Messer presso Chies D’ Alpago si trova nelle vicinanze del passaggio dell’ alta via n.7. Il territorio bellunese conta oltre 130 edifici tra rifugi e bivacchi a supporto della rete sentieristica dolomitica. Foto dell’ autore (2016).
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1.2.3 Turismo culturale Parlando delle risorse e delle attività culturali, si va dalle attrattive storico-artistiche del capoluogo e di alcuni centri minori, quali, ad esempio, Feltre, Cibiana e Pieve di Cadore, alle rocche ed ai castelli sparsi sul territorio provinciale -Castello di Zumelle a Mel, di Alboino a Feltre, ecc.-, alle chiese, ai sentieri e ai musei della Grande Guerra -nell’ area Lagazuoi, Cinque Torri, Tre Sassi- , agli esempi di archeologia industriale -le Calchere nel Parco delle Dolomiti Bellunesi, per esempio-, nonchè ad una serie di eventi e di manifestazioni che vengono organizzate periodicamente nelle varie località -Palio dei Cento ad Agordo, Palio di Feltre, camminata della Memoria a Longarone ecc.-. Per quanto riguarda la rete museale, il patrimonio di musei e di collezioni permanenti della provincia di Belluno risulta ricco e differenziato in base alle modalità di organizzazione ed alla tipologia: musei d’arte, storici, archeologici, etnografici, naturalistici e specializzati. Per ragioni legate alla loro fondazione, molte di queste realtà sono inoltre ospitate in palazzi d’epoca, in edifici di rilevanza storica o di valore sociale-collettivo -scuole, latterie, stalle pubbliche- che rappresentano di per sè un’importante testimonianza del patrimonio architettonico della provincia ed evidenziano il forte legame tra i musei ed il “sistema diffuso” dei beni culturali locali. Un sistema articolato intorno ai singoli beni, che però acquista nuovi significati quando questi creano interazioni con altri elementi locali di diversa natura.6
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La diga del Vajont presso Longarone, manufatto di archeologia industriale rappresenta oggi un monumento di interesse assoluto. Foto: www.prolocolongarone.it (data consultazione 01.05.2017).
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1.2.4 Turismo fieristico e congressuale Anche se in misura minore rispetto ai flussi precedentemente descritti, il turismo fieristico e congressuale è da considerarsi una componente importante all’interno dell’inieme. In particolare, esso rappresenta un metodo interessante per prolungare temporalmente l’attività delle realtà ricettive, fortemente influenzata dalla stagionalità. Tale flusso si innesca infatti prevalentemente nelle mezze stagioni, in primavera da febbraio a maggio ed in autunno da settembre a novembre. I paesaggi dolomitici e la disponibilità di molteplici strutture ricettive adeguate rappresentano un’attrattiva per eventi ed aziende. Tali strutture non sono distribuite uniformemente sul territorio, ma si concentrano prevalentemente nei centri maggiori di Belluno, Cortina, Feltre ed Agordo. Per quanto riguarda il settore fieristico, alcuni spazi espositivi di piccole dimensioni sono collocati ancora nei centri principali, spesso ad integrazione dell’offerta ricettiva alberghiera. Rappresenta invece un unicum nella provincia il palazzo delle fiere di Longarone, dotato di un’area espositiva coperta di 14.500 mq, un’area espositiva scoperta di 5.500 mq e due sale conferenze. Anch’esso attivo da febbraio a maggio e da settembre a dicembre, ospita esposizioni soprattutto di carattere commerciale e di rilievo nazionale ed internazionale, molte delle quali riguardano temi trasversali al vivere in montagna.⁷
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Il polo di Longarone rappresenta il principale polo fieristico Bellunese. Nel 2016 esso ha ospitato 9 esposizioni, attraendo quasi 150.000 visitatori. Fotoramma da Googlemaps (data consultazione 01.05.2017).
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1.2.5 L’ offerta ricettiva Il turismo nella provincia di Belluno ha come suoi principali punti di forza il panorama montano e la qualità e la varietà delle risorse storico-artistiche, la presenza di aree protette , le caratteristiche e la qualità dell’offerta sportiva. Punti negativi sono invece le modalità con cui le risorse del territorio vengono promosse sul mercato e rese fruibili ai turisti, la carenza di opportunità di svago e di animazione locale offerte, la qualità della rete sentieristica, la qualità ed i prezzi delle strutture ricettive, ancora in larga parte legate ad un modello passato ed oggi obsoleto, la qualità della ristorazione, caratterizzata da una scarsa se non assente promozione dei prodotti tipici, i trasporti pubblici e la gestione del traffico, il livello di professionalità ed imprenditorialità degli opertatori locali. Da questo punto di vista, si evidenzia la necessità di rafforzare l’offerta turistica, aumentando le potenzialità attrattive della provincia mediante lo sviluppo e l’interazione tra loro di una serie di elementi già presenti nel territorio ma non ancora pienamente sfruttati, che possano essere di supporto e complementari all’offerta “tradizionale”. Tali elementi integrativi possono essere per esempio la riscoperta dell’artigianato locale, il cicloturismo, le tradizioni locali, i prodotti enogastronomici tipici, la riscoperta e valorizzazione dei percorsi di archeologia industriale.8
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DATI STATISTICI SUL SISTEMA TURISTICO LOCALE “DOLOMITI”
EVOLUZIONE DEI FLUSSI TURISTICI
PRESENZE MENSILI ANNO 2015
A livello turistico, la provincia è divisa in due sistemi territoriali locali. Nel territorio del sistema “Dolomiti” si concentrano i flussi maggiori, soprattutto nelle stagioni invernali ed estiva. Si noti inoltre come la tendenza generale vada verso un maggior numero di arrivi annuali, con pero’ tempi di permanenzea nelle strutture relativamente più brevi. Fonte: www.istat.it (data consultazione 01.05.2017).
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NOTE 1. Ricostruzione storica tratta da www.dolomitipark.it. (data consultazione 01.05.2017). 2. Cfr. Zangrando F., “E anche in quota venne il tempo della macchina”, in Stefano De Vecchi ( a c. di), Opere nel tempo: le tradizioni dell’ industria e dell’ artigianato tra i monti della provincia di Belluno, Nuove Edizioni Dolomiti, Verona 1991, pp. 9-27. 3. Cfr. Camera di Commercio di Belluno, L’ agricoltura Bellunese tra passato e futuro, pubblicazione on-line sul sito www.bl.camcom.it, p.1(data consultazione: 01.05.2017). 4. Cfr. Minghetti V., Estratto sul turismo, Fondazione Nord Est, Venezia 2002 p. 64. 5. Cfr. Minghetti V., Estratto sul turismo, pp.74-76. 6. Cfr. Minghetti V., Estratto sul turismo, pp. 76-77. 7. Cfr. www.belledolomiti.it (data consultazione 01.05.2017). 8. Cfr. S.I.S. Belluno, I flussi turistici dell’ alberghiero in provincia di Belluno: anni 2005-2015, Osservatorio sulla Montagna, Servizio Sistemi Informativi della Provincia di Belluno, Belluno 2016.
20
21
1. BELLUNO, LA PROVINCIA DELLE DOLOMITI
22
2. IL CONTESTO TERRITORIALE: IL SISTEMA MONTANO CADORE LONGARONESE - ZOLDO
23
2.1 INQUADRAMENTO GENERALE Il contesto geografico di analisi, localizzato nell’area centro-orientale della provincia, è rappresentato da territori simili tra loro dal punto di vista orografico, economico e sociale, facenti parte dell’ Unione Montana Cadore-Longaronese-Zoldo. Tale territorio è caratterizzato da bassa e media montagna (con alcune vette che superano i 3.000 m. s.l.m.), tuttavia l’orografia appare molto pronunciata, anche a causa delle numerose strettoie e gole formate da torrenti e fiumi. Di questi, i più importanti sono sicuramente il Piave e i suoi affluenti Maè, Boite, Ansiei, lungo i quali sono localizzati i maggiori centri abitati. Dal punto di vista infrastrutturale, le arterie stradali principali sono rappresentate dalla S.S. 51 di Alemagna in direzione nord-sud che attraversa Longarone ed i maggiori centri cadorini, e la ex S.S. 251 in direzione est-ovest, che collega la Val di Zoldo con la Val Cellina in territorio friulano. La linea ferroviaria Belluno-Calalzo con stazioni nei maggiori centri abitati prosegue poi con i collegamenti verso Treviso e Venezia. Importante è infine la “ciclabile delle dolomiti”, principale percorso ciclopedonale dolomitico, che da Belluno arriva a Dobbiaco passando per Cortina. Tutti i percorsi finora elencati si incontrano presso il centro abitato di Longarone, localizzato a 7 km dal casello autostradale dell’A27 Venezia- Belluno, che rappresenta quindi un nodo infrastrutturale fondamentale.
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In apertura di capitolo: il territorio del Cadore inquadrato dal sito del cementificio. Foto dell’ autore (2016). La stazione ferroviaria di Longarone lungo la S.S. 51 di Alemagna. Longarone rappresenta il nodo infrastrutturaleprincipale di interscambio tra i diversi flussi provenienti da Cadore, Valzoldana, Val Cellina e Valbelluna. Foto dell’ autore (2017).
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Le testimonianze dei primi insediamenti umani su questi versanti risalgono all’ epoca preistorica ;1 a causa della posizione strategica di confine, ed alla conformazione che li faceva fungere da baluardo difensivo, questi hanno visto il passaggio di popoli diversi (Euganei, Paleoveneti, Galli, Romani, Eruli, Ostrogoti, Bizantini, Longobardi, Franchi, Veneziani, Asburgici ed Austriaci si succedettero nel corso dei secoli) e sono stati teatro di importanti vicende della Storia umana.2 Le attività economiche sono sempre state incentrate sul massimo sfruttamento delle materie prime: estrazione e lavorazione di pietra e metalli, silvicoltura e lavorazione del legno, commercio. Molto interessanti le trasformazioni che si succedettero nell’ultimo secolo, con lo sfruttamento intensivo delle acque di fiumi e torrenti per la produzione di energia idroelettrica, attuato attraverso la creazioni di opere monumentali come centrali elettriche, dighe, canali di derivazione e prese che cambiarono radicalmente ed in maniera irreversibile l’aspetto di quete vallate. Collegato a questo fenomeno, vi fu poi la lenta corsa all’industrializzazione di inizio secolo, con alcuni esempi notevoli. Tra questi di spicco fu certamente il caso della specializzazione nel settore dell’occhialeria, che si configurò in Cadore come un vero e proprio distretto produttivo, formato da numerose aziende di dimensioni relativamente modeste.
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Il Messner Mountain Museum Rite, ricavato all’ interno di un forte risalente alla prima guerra mondiale sulla cima del Monte Rite a 2.183 m. s.l.m., al confine tra Val Zoldana e Cibiana di Cadore. Foto: www.messner-mountain-museum.it (data consultazione 2017).
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Negli ultimi decenni l’insito deficit dal punto di vista infrastrutturale, la difficoltà nei collegamenti, uniti ai più generali fenomeni di delocalizzazione e globalizzazione hanno contribuito all’affievolirsi dell’attività manifatturiera (ad eccezione delle aree meglio servite a valle, in particolare in continuo sviluppo sono le aree di Villanova e Faè di Longarone, localizzate a pochi km dal casello autostradale). Tali territori sono ancora alla ricerca di una nuova via economica sulla quale poter costruire il proprio futuro. La strada più percorribile sembrerebbe quella dello sviluppo turistico sostenibile, capace di valorizzare le peculiarità ambientali e culturali che li caratterizzano. Il turismo potrebbe essere il motore del rilancio di queste aree, unito ad altre pratiche connesse e convergenti capaci di portare cambiamenti positivi, come la ripresa delle attività agro-silvo-lattiero-pastorali, culturali, folcloriche... Un rilancio in tal senso non sarebbe solo auspicabile, ma necessario, visto il sempre crescente fenomeno di abbandono di queste montagne.
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La bottega di Angelo Frescura a Calalzo, aperta nel 1841 e considerata la capostipite dell’ industria cadorina dell’ occhiale. Foto: www.cadorenet.it (data consultazione 02.05.2017).
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2.2 IL CADORE 2.2.1 Le attività lavorative storiche La grande ricchezza del territorio cadorino è il legname, abbondantissimo, che da sempre è stato utilizzato. Attraverso il fiume Piave, che fungeva da corridoio navigabile, esso veniva trasportato e commerciato lungo i porti distribuiti lungo il corso del fiume e non solo; tale attività è documentata fin dall’epoca pre-Romana.3 Particolarmente importante fu il periodo della Serenissima, quando il legno del Cadore veniva trasportato (insieme con pietre e metalli) fino a Venezia, ove era usato per costruire barche, remi e le fondamenta dei palazzi. Altra ricchezza è quella del sottosuolo, con le miniere di piombo e zinco ad Auronzo, le galene del Monte Rite e Giau, la Blenda di Roan, il ferro idrato di Ronzei solo per citarne alcune;⁴ molti di questi siti da lungo tempo dismessi lasciano ancora le loro tracce sul territorio.⁵ Il novecento vide l’avvento dell’ industria idroelettrica, che trasformò radicalmente il territorio creando gli attuali imponenti bacini artificiali di Centro Cadore e Santa Caterina di Auronzo e decretando la fine di ogni spostamento via Piave. In ultimo, il capitolo dell’occhialeria cadorina, che vide il suo periodo più fiorente nella prima metà del secolo scorso, salvo poi affievolirsi velocemente con l’arrivo in provincia delle grandi aziende internazionali.
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Il cidolo di Perarolo, in una foto del 1929. L’edificio, la cui costruzione risaliva al 1668, aveva la funzione di smistamento dei tronchi che dalle foreste del Cadore fluitavano lungo l’alto corso del fiume Piave. Foto: archivio del Museo del cidolo e del legname di Perarolo di Cadore.
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2.2.2 Le attrattive turistiche Dal punto di vista turistico, il Cadore rappresenta, con i suoi oltre 140 km di piste da sci, una meta privilegiata per gli sport invernali. In estate le attrazioni principali sono i numerosi laghi di montagna presenti sul territorio, tra i quali il più conosciuto è il lago di Misurina, con le tre cime di Lavaredo a fare da sfondo. I numerosi sentieri offrono diversi spunti per il trekking e le passeggiate outdoor ai piedi di vette come l’Antelao, le Marmarole, Il Pelmo e il Sorapiss, oltre ad una trentina di percosi georeferenziati dedicati al nordic walking. Interessante la proposta turistica legata alle opere del pittore Tiziano, nativo di Pieve di Cadore, la cui casa natia è stata riadattata a museo. Numerosi sono anche i siti archeolgici, come Lagole, dove sono stati rinvenuti reperti risalenti all’epoca paleoveneta, Il Pelmetto, dove furono rinvenute le orme fossilizzate di alcuni dinosauri che vivevano in queste zone in epoche preistoriche, e appunto il sito funerario preistorico di Mondeval. Interessante infine il borgo di Cibiana di Cadore, con i suoi caratteristici murales dipinti sulle facciate delle case del paese.
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Le tre cime di Lavaredo, al confine tra Auronzo e la Val Pusteria, sono le piĂš famose cime dolomitiche, simbolo di questo patrimonio universale. Foto: www.dolomiti.it (data consultazione 02.05.2017).
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2.3 LA VAL DI ZOLDO 2.3.1 Le attività lavorative storiche Come tutta questa parte del territorio centro-settentrionale della provincia Bellunese, anche la valle di Zoldo era conosciuta dai tempi dei Romani, che già presidiavano le abbondanti miniere di piombo e ferro dell’attuale Val Inferna.⁶ Nel XIV sec. si sviluppò una fiorente attività artigianale di lavorazione del ferro, che vedeva a Forno di Zoldo il centro metallurgico della valle. A causa delle epidemie del seicento, tale attività iniziò il suo declino per poi rinascere nell’800, con artigiani specializzati nel riutilizzo del ferro vecchio e degli scarti di lavorazione per la produzione di chiodi e brocche da scarpe. Le fucine sono l’elemento architettonico legato al lavoro tipico di questa valle; queste erano ubicate lungo i corsi d’acqua principali di cui si servivano durante il processo produttivo nella di raffreddamento. A causa delle ripetute alluvioni che nel corso degli anni hanno interessato queste zone, ad oggi solo uno di questi opifici risulta integro e visitabile. Significativa è invece la traccia lasciata anche qui dall’industria idroelettrica, con il complesso di Pontesei sul torrente Maè, costruito tra 1955 e 1957 e costituito, oltre che dall’imponente diga, anche da un particolare sfioratore a calice e da una centrale principale interamente costruita in galleria progettata dall’ architetto Ignazio Gardella.⁷
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La centrale idroelettrica di Pontesei, presso Forno di Zoldo, ai piedi dell’omonima diga. Foto: www.draupiave.it (data consultazione 02.05.2017).
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2.3.2 Le attrattive turistiche Per quanto riguarda gli sport invernali, la Val Zoldana rappresenta una meta molto interessante, in quanto facente parte, assieme con Agordino e Val Fiorentina, del complesso sciistico del Monte Civetta, che si estende per circa 80 km di piste. In estate, lungo i torrenti si possono praticare kayak e canoa mentre il lago artificiale di Forno e il lago di Alleghe accolgono appassionati di vela e wind-surf. Riguardo le passeggiate, piacevoli sono gli itinerari alla scoperta dei borghi storici dove si possono ammirare le caratteristiche architetture dette “tabià”. Escursioni più impegnative possone essere effettuate in quota, come il giro del Civetta, le vie sulle Torri Coldai, Alleghe, Valgrande, Venezia e Trieste. Molto frequentato è anche il percorso del cosiddetto “anello Zoldano”, che, in sei tappe, conduce alla scoperta di tutti i gruppi montuosi della Val di Zoldo ripercorrendo parte delle Alte Vie 1 e 3 delle Dolomiti. Numerose sono anche le palestre di roccia, naturali od artificiali, ed i percorsi dedicati alle mountain bike. Per finire, l’area è inoltre ideale punto di partenza per gli appassionati di moto da strada e bicicletta da corsa perché in posizione centrale rispetto ai passi dolomitici panoramici Duràn, Staulanza, Falzarego, Giau, Pordòi, Campolongo e Fedàia.
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Il lago di Coldai, presso Zoldo Alto, posizionato sulla cima dell’omonimo monte, è oggi mèta di escursioni, soprattutto in periodo estivo. Il sito è accessibile percorrendo una mulattiera risalente alla Grande Guerra e offre una vista panoramica sul complesso del Civetta e sulle altre cime zoldane. Foto dell’ autore (2017).
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NOTE 1. Il riferimento è al sito archeologico di Mondeval, presso il gruppo dolomitico Croda da Lago, dove nel 1985 fu rinvenuta la sepoltura di un cacciatore preistorico risalente all’epoca mesolitica, localizzato alla quota di circa 2.150 m. s.l.m. . 2. Tra queste, quelle più vicine a noi sono rappresentate dalla Prima Guerra Mondiale (1915-1918): si combattè una guerra di posizione sulle Tofane ( v. Sacrario di Pocol), sul Monte Piana (ancora presenti le postazioni in trincea di entrambi gli eserciti), sul Monte Cristallo, Forame, Rauchkofel, Tre cime di Lavaredo, Popera, Monte Rite. 3. Cfr. Buchi E. “Vol.I: Storiografia, organizzazione del territorio, economia e religione”, in Il Veneto nell’ età romana, Banca popolare di Verona, Verona 1987, p. 80. 4. Cfr. Fiorin G., Raccolta di cenni storici su Longarone e dintorni, tipografia vescovile, Belluno 1956, p.51. 5. www.draupiave.eu (data consultazione 02.05.2017). 6. Il toponimo è dovuto all’abbondante presenza di fucine per la lavorazione dei metalli presenti da sempre nella valle.
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3. LA VALLE DI LONGARONE
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3.1 INQUADRAMENTO GENERALE La valle di Longarone è collocata lungo l’alto corso del fiume Piave, compresa tra la Val Belluna a sud ed il territorio prettamente montano del Cadore a nord. In questo tratto il corso del fiume e la sua valle subiscono un forte mutamento morfologico: nei pressi di Castellavazzo infatti la stretta caratterizzata da bruschi pendii frastagliati si allarga improvvisamente facendosi pianeggiante ed il Piave passa da un andamento quasi torrentizio ad uno molto più lineare. Abitata in alcune sue parti1 già in epoca pre-Romana, ha da sempre rappresentato un nodo importante dal punto di vista infrastrutturale e strategico, sia per quanto riguarda il commercio via fiume, sia perchè collocata lungo la storica strada d’Alemagna, ove questa si incrocia con i percorsi che portano allla Val Cellina e alla Val Zoldana. Oggi i vari centri della valle -Castellavazzo, Codissago, Dogna, Faè, Fortogna, Igne, Olantreghe, Pirago-Muda Maè, Podenzoi, Provagna, Rivalta, Roggia, Soffranco-2 sono riuniti sotto il comune di Longarone, istituito ex novo nel 2014 dalla fusione dei preesistenti comuni di Longarone e Castellavazzo che conta complessivamente all’ incirca 5.359 abitanti.3 Tristemente nota per le vicende legate al Vajont, ed in larga parte ricostruita da zero dopo il 9 ottobre 1963, oggi Longarone vede nel polo industriale di Villanova il suo motore economico principale; rilevante è anche il settore turistico, legato ai temi della memoria ed alla presenza del polo fieristico più importante della provincia.
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In apertura di capitolo: vista sulla valle di Longarone e sulla gola del Vajont dalla copertura della chiesa del Michelucci. Foto dell’autore (2017). Scorcio dell’ abitato di Longarone e della sua valle come si presenta oggi. Al centro, la S.S. 51 di Alemagna e a sinistra la stazione ferroviaria sulla linea Belluno-Calalzo. Foto dell’autore (2017).
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3.2 IL VAJONT 3.2.1 Longarone prima del Vajont Alla fine della seconda guerra mondiale la struttura economica del bellunese era ancora legata in grande parte al settore primario, ed in particolare all’agricoltura -per lo più attività silvo-pastorali-, a cui si aggiungeva la presenza di alcuni impianti industriali di dimensioni medio-piccole. La carenza di lavoro era la causa principale della massiccia emigrazione. La caduta di Venezia aveva portato alla fine del commercio delle materie prime via Piave, che da strada commerciale nel Novecento era diventato esso stesso, insieme ad alcuni suoi affluenti, materia prima contesa dalle compagnie idroelettriche. Prima del 9 ottobre 1963, Longarone era considerata la “piccola Milano“ del Bellunese. Rispetto al resto della provincia, grazie anche alla sua posizione strategica, all’ incrocio tra 4 valli e servita sia da strade carrabili che dalla ferrovia -a quei tempi la Belluno-Calalzo proseguiva con la famosa “ ferrovia delle Dolomiti” da Calalzo a Cortina- a Longarone si viveva relativamente bene. La compresenza di grandi aree pianeggianti a fondo valle -era la prima valle con queste caratteristiche che si incontrava se si proveniva dallo Zoldano, dal Cadore e dalla Val Cellina-, la presenza del fiume la cui energia poteva essere utilizzata dagli opifici, e il collegamento diretto con le principali infrastrutture avevano favorito l’insediamento di alcuni importanti complessi produttivi.
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Scorcio dell’ abitato di Longarone e della sua valle come si presenta oggi. Al centro, la S.S. 51 di Alemagna e a sinistra la stazione ferroviaria sulla linea Belluno-Calalzo. Cartolina di P. Breviglieri, 1900.
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Tra questi si possono citare per esempio la fabbrica di birra di Roggia -in parte sopravvissuta e convertita a polo ricettivo e tecnologico-, lo stabilimento della faesite a Faè -unico esempio italiano, distrutto completamente dall’ onda e poi ricostruito-, il cartonificio a Vajont -completamente distrutto-, il cementificio di Castellavazzo -sopravvissuto all’ onda ma da più di mezzo secolo in stato di completo abbandono-, le segherie che numerose sorgevano sulle rive dei corsi d’acqua.⁴ A Longarone sorgevano anche i principali servizi, come le poste, le scuole, la banca, e le attività commerciali di riferimento anche per le valli ed i paesi vicini. Il centro non assomigliava ai paesi di montagna cadorini e zoldani, nè tantomeno alle vicine Erto e Casso nell’allora provincia di Udine, ma possedeva uno stile signorile, con la Chiesa ed i palazzi settecenteschi affrescati affacciati sulla centrale via Roma -eredità diretta dell’ intenso rapporto culturale e commerciale con Venezia-, distribuiti seguendo l’ orografia del pendio della vallata, e le ville nobiliari a fondo valle. Tra questi, gli unici sopravvissuti sono l’ attuale sede del comune, Palazzo Mazzolà, e Villa Bonato- Cappellari. Al di sopra di tutto, si ergevano -e si ergono tuttora- gli imponenti “murazzi”, giardini pensili sostenuti da mura ciclopiche che ricordano la grave carestia che aveva interessato la valle un secolo prima.⁵
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La fabbrica di birra di Longarone situata in località Roggia come si presentava prima del 1963. Parzialmente danneggiata dall’onda ed in seguito restaurata, accoglie oggi attività di tipo scientifico, ricettivo ed imprenditoriale. Foto: www.sopravvissutivajont.org (data consultazione: 03.05.2017).
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3.2.2 L’ Industria idroelettrica lungo fiume Piave A partire dagli ultimi anni del 1800, in Italia iniziò a diffondersi l’utilizzo della forza generata dall’acqua corrente di fiumi e torrenti per la produzione di energia elettrica, che avrebbe in poco tempo preso il sopravvento sugli impianti esistenti, basati per la maggior parte sulla generazione termica.⁶ In Veneto furono edificate, nel primo decennio del 1900, le prime centrali capaci di produrre quantità di energia rilevanti. Le società che si contendevano allora il mercato erano la Società friulana di Elettricità, la Società italiana per l’utilizzazione delle forze idrauliche del Veneto (detta Cellina), la Società Elettrica Milani e la Società Adriatica di Elettricità (S.A.D.E.). ⁷ In questo contesto, il Bellunese venne individuato fin da subito come uno dei territori in cui le disponibilità idriche -sia per quantità d’ acqua in grado di essere utilizzata che per altezza e numero di salti di quota capaci di generare ampie potenze di energia elettrica- offrivano ampio campo di intervento, tanto che nei primi anni del secolo varie imprese locali e lo stesso Comune di Belluno si interessarono alle oppurtunità di questa industria nascente, salvo poi venire assorbite dalle compagnie esterne più dotate economicamente. La S.A.D.E. in particolare ricoprì in questa vicenda il ruolo da protagonista, esercitando un monopolio pressochè assoluto, che spartì in maniera limitata con altre società locali e con lei in affari.⁸ Alla guida della società, fondata nel 1905 a Venezia con
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La diga di Ponte Serra, presso Lamon a Belluno. Costruita intorno al 1905 ed impiegata per alimentare la vicina centrale di Pedesalto, fu la prima diga italiana realizzata in calcestruzzo. Il complesso produttivo, di proprietĂ delle Forze Motrici Cismon Brenta, venne dopo pochi anni acquisito dalla S.A.D.E. Foto: www.zmphoto.it (data consultazione:03.05.2017).
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partecipazione di capitali della Banca commerciale Italiana era allora Giuseppe Volpi, imprenditore e uomo di potere che avrebbe più tardi ricoperto anche il ruolo di Ministro delle Finanze e presidente della Confederazione fascista degli Industriali. Gli sforzi delle Compagnie, concentrati soprattutto negli anni ‘20 e ‘50 ebbero come oggetto principalmente tre bacini idrografici:il Cismon, il Cordevole ed il Piave. Tra questi, fondamentale per le vicende legate a Longarone e a Castellavazzo fu proprio il Piave. Di questo, possiamo considerare tre settori di intervento all’ interno del territorio bellunese: il primo, comprendente l’alto corso del fiume, il secondo il tratto tra Pieve di Cadore e Soverzene ed il terzo il tratto successivo fino al lago di S. Croce. Alla fine, tutte queste parti avrebbero fatto parte di un sistema integrato. Per quanto riguarda il primo tratto, gli interventi maggiori, operati da ditte locali, interessarono inizialmente gli affluenti Ansiei e Molinà. L’energia prodotta era distribuita in tutto il Cadore (è questo il periodo di ascesa dell’ occhialeria Cadorina) fino all’ alta Carnia. Gli impianti più importanti sorsero attorno agli anni 1930-31, con la costruzione delle dighe del Comelico (diga del Tudaio) e S. Caterina ad opera della Sfiac. Entrambi facevano capo alla centrale di Pelos;⁹ il tutto venne acquisito dalla S.A.D.E. nel 1933. Per quanto riguarda invece il sistema Piave-S. Croce, la società che agì inizialmente fu la Cellina, che tra 1911
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La centrale idroelettrica di Pelos di Cadore, entrata in funzione nel 1930. Questa riceveva le acque provenienti dai bacini del Comelico e di S. Caterina d’ Auronzo incanalate all’ interno di gallerie in pressione, sviluppando una potenza efficiente di 30.000 Kw. Fonte: S.A.D.E.
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e 1913 eseguì gli scavi di gallerie dal lago di S. Croce fino alle località di Fadalto e Nove, in provincia di Treviso, in modo da convogliare le acque così derivate in due nuove centrali. Dopo la guerra furono realizzati i progetti di potenziamento dell’impianto: lo sbarramento di Soverzene, il canale di collegamento con il lago di S. Croce ed una diga in terra per aumentare la capacità di invaso di quest’ultimo. In ultimo, vennero realizzate pima tre nuove coppie di centrali a Fadalto, Nove, S. Floriano e poi quelle di Castelletto, Caneva, Livenza e Castelvero, che andavano a terminare il tratto di sfruttamento, riversando le acque nei canali di irrigazione. Queste opere furono realizzate dalla Società idroelettrica veneta, consociata della S.A.D.E. e della Cellina. Al centro dell’intero sistema si collocava invece il complesso Piave-Boite-Maè-Vajont-Val Gallina, con funzione di raccordo e coordinamento.
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Sala turbine della centrale Achille Gaggia, presso Soverzene a Ponte nelle Alpi, in una foto attuale. Entrata in funzione nel 1951, produceva la maggior parte dell’energia elettrica a disposizione della S.A.D.E. Essa doveva essere l’emblema del livello tecnico raggiunto e delle ambizioni della compagnia, per questo fu progettata seguendo un’estetitica dai toni monumentali, riscontrabili anche nella decisione di decorare con affreschi alcune sale interne e nella scelta di intitolarla al presidente della società. Fonte: www.progettodighe.it (data consultazione 03.05.2017).
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3.2.3 Il Grande Vajont Al centro del sistema del Piave si colloca il complesso Piave-Boite-Maè-Vajont-Val Gallina. A questo insieme si pervenne gradualmente, attraverso progetti concepiti inizialmente in maniera separata. Un progetto organico complessivo -seppur ancora incompleto- fu presentato per la prima volta dalla S.A.D.E. nel 1940. Esso prevedeva l’ intervento sui corsi del Piave, del Boite e del Vajont, con la realizzazione di tre nuovi bacini artificiali rispettivamente a Vodo di Cadore, Pieve di Cadore e nella valle del Vajont, i quali avrebbero alimentato una centrale di notevole potenza a Soverzene. L’ incombere della seconda guerra mondiale fermò temporaneamente i lavori, che ripresero nel 1946.11 Dopo alcune modifiche al progetto, come l’ aggiunta dei nuovi serbatoi di Val Gallina e di Pontesei, nel 1957 il progetto divenne definitivo. Esso prevedeva una serie di dighe: due sul torrente Boite a Vodo di Cadore (1959-1960), a Valle di Cadore (19491950), entrambe precedute da un impianto ridotto con centrale a Campo di Sotto presso Cortina; una diga sul fiume Piave, a Pieve di Cadore (1946-1949), una diga sul torrente Maè a Pontesei (1956); una diga sul torrente Vajont nella gola omonima (1958-1960); una diga sul torrente Gallina nella omonima valle (1949-1951). I serbatoi venivano tra loro integrati con un sistema di collegamento attraverso gallerie, in modo da garantire la capacità costante ai serbatoi più a valle che avrebbe permesso una produzione continua di energia elettrica.
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Profilo schematico dell’ andamento idraulico del sistema Grande Vajont nel 1963. Questo collegava tra loro i sistemi locali Piave-Ansiei, Piave-Boite-Maè-Vajont, Piave-S. Croce e Castelletto-Nervesa. Fonte: S.A.D.E.
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Le centrali insediate oltre a quella cortinese furono quattro, situate in caverna: Gardona, Pontesei, Colomber, Soverzene, quest’ ultima capace di produrre da sola una quantità di energia elettrica annua pari a 825.000.000 kWh. Cuore dell’intero sistema, avrebbe dovuto essere il bacino del Vajont. Il progetto della diga rappresentò una vicenda a sè stante rispetto all’ intero sistema: dal 1929, anno del primo progetto, al 1957, anno del progetto definitivo, la sua altezza passò da 130 metri di altezza a 261,60. L’importanza del Vajont andava oltre il contesto in cui era inserito: doveva essere, e fu, la diga più alta fino ad allora conosciuta, orgoglio di un’ Italia intera e del suo progettista, Carlo Semenza, che le diede il proprio nome a foggia di testamento. Era questo il Grande Vajont. Le ben note vicende che seguirono e che precedettero il tragico epilogo del 9 ottobre 1963 possono essere citate rapidamente: -novembre 1960: individuazione di di una fessura lunga 2.500 metri sul monte Toc e frana di 800.000m3 di terreno caduti nel bacino; -ottobre 1961: costruzione di una galleria di sorpasso per l’ipotesi di una caduta franosa e divisione del bacino in due parti; -settembre-ottobre 1963: massimo invaso sperimentale del bacino e svaso rapido determinato dai sintomi di franamento.
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La diga del Vajont vista dalla parte friulana durante una fase avanzata della sua costruzione. L’invaso sarebbe poi stato riempito; ai lati si vedono i cantieri impegnati nei lavori, il cemento necessario giungeva qui dal fondo valle di Longarone attraverso un impianto di teleferica (foto: archivio Ghedina)
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3.2.4 9 ottobre 1963 La distruzione totale di Longarone, delle sue frazioni Pirago, Vajont e Rivalta e quella parziale di Villanova, Faè, Castellavazzo, Erto e Casso ad opera dell’ ondata generata dalla frana staccatasi dal monte Toc e riversatasi nel bacino del Vajont avvenne la notte del 9 ottobre 1963. Alle 22.39, 263 milioni di metri cubi di roccia si staccarono del pendio settentrionale del monte, per un fronte di quasi due chilometri, scendendo alla velocità di 90 chilometri orari. La frana, riversandosi nel bacino, sollevò verso l’alto 50 milioni di metri cubi d’ acqua, in un’ ondata alta 260 metri, che subito si divise in due: una parte risalì la valle lambendo Erto e spazzandone via alcune frazioni. La seconda rase subito al suolo i cantieri dell’ Enel della centrale del Colomber, e si diresse verso Casso, di cui lambì la parte inferiore. Riversandosi nuovamente nel bacino, e sfruttando la diga come trampolino, l’ondata percorse in pochi minuti l’ intera gola del Vajont, toccando terra al suo imbocco dove scavò un fosso di 45 metri. Alle 22.43 la valanga d’acqua alta 70 metri piombò su longarone, con un’ energia pari a due volte quella della bomba atomica di Hiroshima. Longarone venne completamente rasa al suolo. In circa quattro minuti morirono 1.910 persone: 1.458 a Longarone, 158 ad Erto e Casso, 111 a Codissago, 54 nel cantiere Sade, 129 in altri luoghi.12
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La valle del Vajont come si presentava subito dopo la tragedia. Sulla sinistra, si vedono ancora i murazzi e alcuni edifici del centro, tra cui il palazzo sede del comune. Sullo sfondo Castellavazzo, toccata solo parzialmente dall’onda. Foto: archivio Rotelli.
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3.2.5 La ricostruzione Subito dopo il tragico evento, lo Stato Italiano nella persona dell’ allora Ministro dei lavori pubblici Giovanni Pieraccini stabilì, attraverso l’emanazione di leggi ad hoc, l’obbligo di redigere un piano preliminare di ricostruzione, affidando l’incarico ad un’equipe di esperti con a capo il rettore in carica dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Giuseppe Samonà.13 Gli obiettivi prefissati erano la redazione di un piano di sviluppo territoriale a larga scala e la realizzazione di un piano regolatore generale per Longarone e Castellavazzo, quest’ultimo da realizzarsi come aggiornamento di un piano già in fase di elaborazione. Samonà avrebbe dovuto avere il compito di coordinare la pianificazione tra questi due livelli. I nuovi piani furono realizzati entro la primavera del 1964. Il piano territoriale si estendeva ad un’area molto vasta, composta da 29 comuni tra Belluno, Udine e Treviso, che comprendeva quasi la metà del territorio provinciale bellunese. Secondo questo piano, Longarone sarebbe dovuta diventare il polo commerciale ed industriale dell’intero sistema, dotata di attrezzature scolastiche e sanitarie di importanza comprensoriale. Per quanto riguarda il Piano Regolatore, esso prevedeva uno stravolgimento quasi integrale della situazione urbanistica preesistente: una nuova strada -la “strada alta”- avrebbe ridisegnato il tracciato della vecchia Via Roma, portando l’intero centro urbano ad una quota superiore di circa 15/20 metri dal sedime originario.
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La prima proposta planimetria presentata dal gruppo di Samonà per la ricostruzione di Longarone. Foto: archivio Samonà. Il gruppo dei progettisti in posa con il plastico del progetto per Longarone, al centro Giuseppe Samonà. Foto: archivio Samonà.
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A monte di questa, si sarebbero dovute collocare le residenze, i servizi commerciali e culturali sarebbero stati posizionati tra questa e la Strada Alemagna, mentre nel fondovalle avrebbero trovato spazio parco e funzioni ricreative. Nella piana a sud di Longarone, sarebbe sorto un polo industriale di importanza comprensoriale. Longarone sarebbe dunque rinata nelle forme di una moderna periferia industriale, modellata sulla base dei più autorevoli riferimenti teorici. Lo scetticismo maggiore in relazione a questo piano regolatore provenne per lo più dagli stessi cittadini di Longarone, riuniti sotto il gruppo del Comitato dei superstiti. Il dissenso divenne netto quando iniziò la stesura del relativo piano particolareggiato: da una parte Samonà e i suoi collaboratori stavano delineando una città formata da nuclei distinti, con residenze definite in forma di super-blocchi. Sul fronte opposto, i superstiti ambivano ad un modello insediativo che più richiamasse la tradizione montana: case unifamiliari in uno stile alpino tendente al vernacolare. L’amministrazione comunale decise di risolvere la situazione di tensione tra le due visioni contrapposte con un compromesso, consistente nel mantenimento dell’intelaiatura viaria del gruppo di Samonà e nella completa revisione delle tipologie del connettivo edilizio. A questo proposito vennero invitati due architetti esterni, Gianni Avon e Francesco Tentori, e a questi fu dato il compito di trovare il punto di incontro tra il desiderio dei superstiti e l’aderenza al disegno di insieme.
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La “casa alta�, edificio che faceva parte insieme con le case in linea del complesso residenziale progettato da Valeriano Pastor e realizzato tra 1966 e 1968 in una foto attuale. Foto dell’ autore (2017).
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Tra agosto e ottobre 1964, questi condussero delle indagini tra tutte le famiglie di superstiti, per delineare le loro aspirazioni abitative e poter proporre delle soluzioni progettuali di conseguenza, ma sempre in accordo al disegno unitario. Lungo Via Roma, Avon e Tentori concepirono blocchi a “dente di sega”, schemi a torre, tipi a corte, alcuni dei quali furono progettati in forma esecutiva. Nella parte più alta della costa, a ridosso dei “murazzi”, i complessi abitativi vennero riformulati sotto forma di case a schiera. Fu questo il Piano Particolareggiato approvato a firma di Samonà nel 1965. Gli anni successivi videro l’attuazione delle previsioni del piano nella costruzione della nuova Longarone. Tra gli interventi architettonici, non mancarono episodi di spicco e/o controversi: oltre all’ultimazione delle case a schiera progettate da Valeriano Pastor e alla scuola elementare progettata da Costantino Dardi, entrambe molto criticate, tra il 1966 e il 1967 si progettò la nuova Chiesa monumentale, ultimata nel 1975, ad opera di Giovanni Michelucci, anch’ essa oggetto di contestazione.Tra 1969 e 1971 prese invece forma un altro elemento estremamente interessante della nuova Longarone, il cimitero monumentale di Muda-Maè, ad opera di Avon, Tentori e Zanuso, progetto poco conosciuto ma sicuramente ammirabile, soprattutto per la sensibilità con la quale esso si interfaccia con il contesto storico e naturale.14
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Particolare della nuova chiesa di S. Maria Immacolata, realizzata tra 1975 e 1983 su progetto di Giovanni Michelucci. Nella parte piÚ bassa, rivolto verso la valle del Vajont, si trova il locale dove sono collocati alcuni resti della vecchia chiesa. Foto dell’ autore (2017).
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NOTE 1. Cfr. il capitolo su Castellavazzo. 2. Dato ricavato dallo Statuto del Comune di Longarone. 3. www.istat.it, popolazione residente al 15 dicembre 2015 (data consultazione 02.06.2016) 4. Cfr. De Vecchi S. ( a c. di): Opere nel tempo : le tradizioni dell’ industria e dell’ artigianato tra i monti della provincia di Belluno a cura di Stefano De Vecchi, Nuove Edizioni Dolomiti s.r.l., Verona 1991. 5. Cfr. Fiorin G., Raccolta di cenni storici su Longarone e dintorni, tipografia vescovile, Belluno 1956, p. 27. 6. Le prime centrali idroelettriche italiane furono insediate a Tivoli nel 1885 e a Terni nel 1887 rispettivamente dalle omonime Società forze idrauliche e Società anonima altiforni e acciaierie e fonderie. Queste trasformavano direttamente il moto idrico in energia elettrica, mentre il primo impianto di produzione complesso, dotato di sbarramento e condotte forzate venne costruito a Genova, sul torrente Gorzente nel 1889. I primi impianti di dimensioni e capacità produttiva notevoli vennero invece realizzati a Paderno D’ Adda, dalla Montedison, nel 1898 e a Vizzola Ticino, dalla Società Lombarda di energia elettrica, nel 1900. 7. Oltre a queste, erano presenti numerose altre piccole società, legate ad aree locali molto circoscritte e dotate di impianti ridotti. 8. Tra queste la Cellina, la Società idroelettrica veneta (Siv), , la Società forze idrauliche Alto Cadore ( Sfiac ), la Società elettrica Barnabò, Giacobbi &C., la Società Idroelettrica Alto Veneto, la Società idroelettrica Medio
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Piave (Simo), la Società Idroelettrica Cismon (Sic), La Società elettrica Valdarno (Selt Valdarno). 9. E’ qui interessante sottolineare come la Sfiac, che realizzò i complessi, sostenne, per ottenere le dovute autorizzazioni, la tesi dello sviluppo turistico locale che l’ eventuale costruzione dei bacini artificiali avrebvbe portato con se’. Tali argomentazioni (qui in parte giustificate) venivano spesso sostenute dalle ditte idroelettriche, anche in casi molto controversi come quello del Vajont. 10. La prima guerra mondiale si svolse in parte nei territori bellunesi e trevigiani lungo il Piave. La costruzione di nuovi impianti subì quindi una pausa, e le ditte si concentrarono all’ ottimizzazione delle linee di trasporto dell’ energia elettrica. 11. Nel 1943 Achille Gaggia subentrò alla guida della S.A.D.E. dopo la morte di Giuseppe Volpi. 12. Cfr. Paolini M., Vajont 9 ottobre ‘63, VHS, Einaudi, Torino 1999. 13. La prima ( legge n. 1457 del 4 novembre 1963) serviva a tamponare l’ emergenza, la seconda (n. 357 del 31 maggio 1964) doveva permettere la stesura di un piano di rilancio dell’ intero comprensorio). 14. Cfr. Zucconi G., “Longarone, 1964-1972. Nella città ricostruita”, in Ferruccio Luppi, Guido Zucconi, Gianni Avon, Architetture e progetti 1947-1997, Marsilio, Venezia 2000 , pp. 85-95.
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4. CASTELLAVAZZO, UN PAESE DI PIETRA, LA PIETRA DI UN PAESE
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4.1 INQUADRAMENTO GENERALE L’abitato di Castellavazzo sorge in provincia di Belluno, a nord del comune di Longarone, lungo la S.S. Alemagna che collega Treviso e Dobbiaco, al confine tra il territorio del cadore e la Val Belluna. L’abitato risulta arroccato su di una conformazione rocciosa a destra del fiume Piave, ove i ripidi pendii che caratterizzano la prima parte del suo corso iniziano ad aprirsi, e la valle a farsi più ampia ed i pendii meno scoscesi. Fino al 2014, esso formava, insieme con abitati di Podenzoi, Olantreghe -anch’essi sulla destra del fiume, in posizione altimetricamente più elevata- e Codissago -posizionato invece sull’ altra sponda- un comune a sè. Dal 22 febbraio 2014, esso è stato annesso al comune di Longarone; tale unione ha portato con sè diversi cambiamenti, tra i quali lo smantellamento dei principali servizi -poste, scuole, uffici amministrativi ed altri-, ora presenti solo nel comune capoluogo. Tuttavia, Castellavazzo si connota ancora come un centro dalla forte identità, la cui conformazione attuale è il frutto di una concatenazione di tradizioni ed eventi storici di notevole interesse. L’unione forzata dei due comuni, se da una parte ha portato dei risvolti positivi riguardo la diminuzione dei costi per le faccende amministrative, ha creato tuttavia un comune anomalo, caratterizzato da poli con diverse e forti identità che appaiono quasi indipendenti tra loro.
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In apertura di capitolo: vista della rocca della chiesa di Castellavazzo dalla Statale Alemagna. Foto dell’autore (2017). Veduta aerea da sud-est dell’ abitato di Castellavazzo. La struttura urbana si adatta alla particolare conformazione orografica. In basso, la S.S. Alemagna e sulla destra la gola del fiume Piave. Foto tratta dal volume Castellavazzo: Un paese di pietra, la pietra di un paese.
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4.2 PROFILO STORICO 4.2.1 La storia: una ricostruzione ancora in corso Cercando di sintetizzare un racconto dell’evoluzione storica dell’abitato di Castellavazzo, si riscontra in linea generale la presenza di una molteplicità di fonti, talora contrastanti tra loro, che hanno permesso di formulare ipotesi ricostruttive che appaiono spesso slegate l’una dall’altra. Per verificare tali ipotesi si è cercato, soprattutto negli ultimi anni, di promuovere attività di ricerca archeologica in loco, con il fine di arrivare ad una visione univoca dello sviluppo storico. Ciò ha portato ad alcune interessanti scoperte, che hanno reso in alcuni punti più solido il tentativo di una ricostruzione storica condivisa. Tuttavia, Castellavazzo rimane da questo punto di vista un cantiere di ricerca aperto, necessitante di ulteriori studi e risorse. Il documento sicuro da cui partire è rappresentato da una base iscritta con dedica a Nerone in pietra di Castellavazzo, conservato oggi presso l’ Expo Archeologica. L’ iscrizione recita: “ In onore di (Nerone) Claudio Cesare Augusto Germanico, Sesto Petico Terzo, figlio di Quinto, e Gaio Petico Firmo, figlio di Sesto, donarono un orologio con sedili ai pagani Laebactes ”.1
Ciò attesterebbe la presenza nel territorio in periodo preromanico di una popolazione, probabilmente di origine Celtica o Veneta, che secondo alcuni studiosi di storia locale si sarebbe qui insediata portando avanti un’economia di sussistenza, basata sull’allevamento
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Caratteristiche case in pietra locale nel centro storico di Castellavazzo. Foto dell’ autore (2016).
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ed in misura minore sull’agricoltura. Tale dedica a Nerone suggerirebbe inoltre il fatto che tali popolazioni, almeno dal periodo tra gli anni 54 e 58 d. C. (impero di Nerone) avessero istaurato un contatto pacifico con il mondo Romano, basato su rapporti commerciali. D’altra parte i Romani avrebbero visto in Castellavazzo un punto di interesse fondamentale, sia per quanto riguardava la posizione strategica, collocato in una strettoia che consentiva il controllo dei transiti lungo la valle del Piave e che rappresentava un baluardo facilmente difendibile al confine con la regione del Norico, sia per l’ opportunità che poteva dare lo sfruttamento dei giacimenti di marmo presenti. Fu così che secondo la maggioranza degli studiosi, i Romani decisero di intervenire nel territorio, potenziando le infrastrutture. E’ probabilmente in questo periodo che venne a delinearsi la grande via Alemagna, che attualmente tange l’ abitato, e che rappresenta tutt’ ora il principale collegamento tra la regione alpina e la pianura veneta. Secondo gli studiosi, essi avrebbero controllato la regione grazie ad un castrum, un accampamento fisso, sul quale sono ancora aperte diverse ipotesi: per alcuni, esso sarebbe stato edificato ex novo dai Romani, per altri vi era già un castellum preesistente costruito dai Lebazi, per altri ancora sul territorio sarebbe stato già presente, all’arrivo dei Romani, un antico forte in rovina, facente parte di un complesso molto più esteso, ed i Romani avrebbero comunque costruito un nuovo edificio difensivo.2
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Veduta di una cava lungo la strada di Alemagna, vicino all’ ingresso sud del Paese, databile intorno ai primi anni del 1900, prima della costruzione della ferrovia. Cartolina postale illustrata (1901).
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Il periodo di presenza Romana viene confermato da numerosi ritrovamenti archeologici recenti: tubi di acquedotto, volti di case, forni per vasi di coccio, lapidi, monete ed urne cinerarie.3 Nei secoli successivi, che videro la cristianizzazione della maggior parte dei centri Romani, Castelavazzo assunse la conformazione sociale tipica della Pieve rurale, in cui ogni attività ruotava attorno alla chiesa ed al Pievano, che aveva anche mansioni di governo civile.4 L’economia, oltre che su attività di sussistenza come agricoltura e pastorizia, era legata in questo periodo in maniera massiccia all’estrazione e alla lavorazione della pietra -è in questa fase che si delineano le figure quasi leggendarie degli scalpellini di Castellavazzo- e sul commercio di pietra, legname e minerali tramite fluitazione lungo il corso del Piave -altrettanto significative sono le gesta degli Zattieri di Codissago-. I materiali venivano così trasportati alle più grandi fabbriche lungo il corso del fiume, fino a Venezia. Il 1797 sancì la fine della Repubblica ad opera di Napoleone, ed alla crisi che ne conseguì corrispose una diminuzione del traffico commerciale lungo il Piave. L’800 portò all’insediamento dei primi opifici proto-industriali: seghe ad acqua per la lavorazione del legname, fornaci per lacottura della calce ed altri. Infine, il XX secolo vide soprattutto un grande sforzo verso l’industrializzazione degli impianti produttivi, supportati dall’avvento della ferrovia e delle strade asfaltate.
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La galleria ferroviaria che attraversa la formazione rocciosa su cui sorge la chiesa di Castellavazzo, vista dall’area ai piedi del cementificio.L’ opera venne completata nel 1912. Si vedono sulla destra la prima stazione passeggeri e in alto a sinistra il rinvio ligneo dell’ impianto della terÏleferica del cementificio, che in quegli anni trasportava la marna estratta dalla cava di Ceppe, sulla sinistra orografica della valle del Piave. Cartolina postale illustrata (1915).
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4.2.2 La torre della Gardona A nord dell’abitato di Castellavazzo, raggiungibili attraverso un sentiero che parte dal sito del cementificio e si dirama nel bosco, sono oggi visibili i ruderi di un’antica fortezza, il fortilitium Gardonae. Fino a poco tempo fa, la parte meglio conservata si presentava come una porzione di torre costruita in pietra locale, dalla forma prismatica a base triangolare, arroccata in punto di forte pendenza del terreno. Oggi, dopo un pesante intervento di “restauro” completato nel 2017, con il quale è avvenuto il consolidamento delle strutture murarie, e l’aggiunta di alcuni elementi architettonici adibiti alla fruizione turistica, essa ha sicuramente perso parte del fascino originale dato dallo stato di rovina, acquistando però la nuova valenza di terrazza panoramica sulla gola del Piave. Le fonti storiche a suo riguardo sono numerose, ed ancora una volta condraddittorie tra loro. Giovanni Fiorin, studioso di storia locale, interpretando le differenti fonti antiche, tanta di fornire una ricostruzione del fortilizio: un muraglione di pietra avrebbe dovuto chiudere la valle del Piave sulla sponda sinistra, arrivando fin olte l’attuale centrale elettrica, con una rosta di sbarramento sul corso del fiume.5 Tramite analogia con altre costruzioni difensive bellunesi, egli ipotizza l’esistenza di una piccola chiesa, della quale però non rimangono segni. Altre tracce presenti invece sono, verso valle, i ruderi di un edificio con volta a botte, che Fiorin afferma essere
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La torre della Gardona come si presentava prima dell’ intervento di restauro. Foto dell’ autore (2016).
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la dogana, probabilmente su due piani, e un’antico sito estrattivo, dal quale sarebbero provenuti i blocchi di roccia usati nella costruzione. Dalle fonti non si riesce attualmente a fornire una datazione precisa per la costruzione del complesso. Marilena Zoldan Talamini sintetizza quattro diverse ipotesi, affermando riguardo ai ruderi della torre che possa trattarsi di: 1. Resti del Castrum Laebactium costruito prima dell’ arrivo dei Romani; 2. Torre Romana di guardia ai confini con il Norico; 3. Fortilizio eretto dal vescovo Ottone nel 1171; 4. Parte di un grande complesso territoriale che avrebbe potuto ospitare mille uomini costruito in epoca medioevale.⠜
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La torre come si presenta oggi, dopo l’intervento di restauro effettuato nel 2017. Questo, discutibile, ha coinvolto il consolidamento delle pareti in pietra e la creazione di un collegamento in legno e acciaio che funge da terrazza panoramica sulla gola del Piave. Foto dell’ autore (2017).
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4.3 ATTIVITA’ LAVORATIVE STORICHE 4.3.1 Zattere e zattieri Il Piave, prima che le sue acque impetuose venissero imbrigliate con dighe e bacini artificiali, era la principale arteria che metteva in comunicazione la montagna bellunese con la pianura veneta. Già in epoca Romana era attestata la significativa presenza nel Bellunese e nel Feltrino di un collegium dendrophorum.⁷ Nel medioevo, il commercio del legname con Venezia e con le altre città Venete si infittì, e con esso crebbe l’importanza degli zattieri, che nel 1462 si riunirono in statuto. Le zattere provenienti dal Bellunese, oltre che il legname necessario per costruire le fondazioni dei palazzi e le navi della Serenissima, trasportavano anche i chiodi ed i ferri prodotti dalle fucine zoldane, le pietre di Castellavazzo e quelle da molitura delle cave di Bolzano Bellunese e Tisoi, il carbone di legna, prodotti caseari, animali e passeggeri. La loro costruzione, che avveniva nel porto di Perarolo dove sorgeva l’antico cidolo, era affidata all’abilità degli zattieri ligadori, quasi tutti provenienti da Codissago e Castellavazzo. Questi giungevano all’alba a Perarolo, e dopo una giornata spesa nella costruzione della zattera, iniziava la discesa del Piave, il cui primo approdo era Codissago. L’equipaggio, costituito in genere da quattro uomini, veniva sostituito lungo il percorso ai vari approdi presenti sul Piave: Belluno, Falzè, Nervesa, Ponte di Piave. Giunti a Venezia gli zattieri dovevano quindi disfare la zattera, vendere il materiale trasportato ed il legname che la costituiva, e rifare a piedi il percorso inverso.⁸
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La Cividal di Belluno come appariva del XVII secolo. In basso a destra, Borgo Piave, dove era localizzato il porto commerciale sul Piave. Incisione di R. Savonarola ripresa da F. Bertelli (1629). Veduta aerea dell’ area portuale di Venezia: al centro, si notano le zattere ormeggiate presso S. Basilio. Incisione del XVIII secolo.
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4.3.2 I maestri scalpellini e la pietra di Castellavazzo “ Castellavazzo per la pulitezza delle case, fabbricate sulla roccia e co-
perte di tegole e di lastre, e per gli onesti e laboriosi abitanti, ti ispira un sentimento aggradevole e ti apparisce agiato quantunque non lo sia ”.
Così scriveva A. Guernieri sulla “Voce delle Alpi” del 17 giugno 1867, introducendo un articolo sull’attività degli scalpellini locali e sui commerci legati alle cave ivi esistenti. La vita degli abitanti di Castellavazzo, infatti, è stata per secoli legata indissolubilmente all’industria estrattiva, favorita dalla posizione del paese, posto su formazioni di calcare giurassico, a fianco dell’antica strada diretta alla volta del tirolo e dell’Alemagna. Le cave migliori erano ubicate proprio lungo la strada verso il Cadore, e a fine ‘800 garantivano lavoro ad oltre 120 mestieranti. Le varietà di pietra estratta erano due, distinguibili dalla diversa pigmentazione: l’una grigia e l’altra rossastra. Tali varietà erano -e sono tutt’ ora- apprezzate per le loro qualità di lucidabilità, resistenza e durevolezza. In particolare la pietra rossa è stata nel tempo utilizzata per creare capitelli, colonne, altari, fregi ed altre opere decorative, mentre quella grigia per parapetti, balaustre, vasche, stipiti e scalini. Il materiale veniva lavorato a Castellavazzo e poi recapitato ai committenti a mezzo del fiume Piave, tramite
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La cava di Foran, oggi dismessa, in un’ immagine di fine ‘800. In quel periodo Castellavazzo contava ancora 18 cave attive nell’ estrazione di pietra da taglio. Foto conservata presso il museo della pietra e degli scalpellini di Castellavazzo.
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trasporto su zattere, o per la “ grandiosa “ strada d’ Alemagna.9 L’attività estrattiva ha rappresentato per secoli la più grande risorsa di questo territorio, garantendo fin dall’ età Romana un insediamento costante ove altrimenti non vi sarebbero state le condizioni naturali sufficienti per una prolungata attività umana. A testimonianza di questo antico mestiere, rimangono le numerose cave dismesse distribuite sul territorio, oggi nascoste dagli strati della vegetazione e quasi irriconoscibili. Il museo degli scalpellini nel centro storico del paese ricorda le vicende, gli strumenti e le opere legate a questa attività passata, mentre la cava di Marsor, ad ovest del sito del cementificio, rimane ad oggi l’unica area estrattiva ancora attiva.
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Particolare della maschera messa a chiave d’ arco sull’ingresso principale del palazzo del Turco, risalente al 1720, presso il centro storico di Castellavazzo. Foto dell’ autore (2017). Portico in pietra e maschera satirica in chiave d’ arco in un giardino presso il centro di Castellavazzo. Foto dell’ autore (2017).
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NOTE 1. Cfr. Alpago-Novello Ferrerio L., “Contributi alla storia di Castellavazzo in età romana e tardo antica”, in Alpago-Novello A. (a c. di), Castellavazzo, un paese di pietra, la pietra di un paese, Neri Pozza Editore, Vicenza 1997, pp. 187-194. 2. Cfr. Zoldan Talamini M., Laebactes. Castellavazzo tra storia, miti, leggende e divagazioni , Tipografia Campedel, Belluno 2009. 3. Cfr. De Vecchi G., I maestri scalpellini e la pietra di Castellavazzo, a cura dell’ amministrazione comunale, Castellavazzo 1962, pp. 21-23. 4. Cfr. Sommacal M., “L’ antica Pieve di Lavazzo” in Alpago-Novello A. ( a c. di), Castellavazzo, un paese di pietra, la pietra di un paese, pp. 195-196. 5. Cfr. Fiorin G., Raccolta di cenni storici su Longarone e dintorni, pp.15-16. 6. Cfr. Zoldan Talamini M., Laebactes. Castellavazzo tra storia, miti, leggende e divagazioni. 7. Il collegium dendrophorum era un’ istituzione che riuniva i dendrofori, ovvero gli artigiani addetti allo smercio e alla lavorazione del legname. 8. Cfr. Perco D., Zattere, zattieri e menàdas: la fluitazione del legname lungo il Piave, Tipografia Castaldi, Feltre 1988. 9. Cfr. Losso C., Soranzo A., Bergoglio L., “L’ estrazione e l’ organizzazione del lavoro”, in Alpago-Novello A. (a c. di), Castellavazzo, un paese di pietra, la pietra di un paese, pp. 57-70.
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5. IL CEMENTIFICIO
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5.1 LA STORIA 5.1.1 I presupposti Il punto d’inizio della storia del cementificio di Castellavazzo può essere fatto risalire alla data del 5 febbraio 1915, anno di fondazione della ”Società Bellunese per l’ industria delle calci e cementi”, la quale aveva come oggetto l’impiego dello stabilimento di Castellavazzo per la produzione di calci idrauliche e cementi. Una serie di fattori specifici rendeva il territorio di Castellavazzo particolarmente appetibile per l’insediamento di una attività industriale di questo tipo. Innanzitutto, la ricchezza e vicinanza dei giacimenti, comprovata dalla presenza di una consolidata tradizione locale legata all’estrazione e lavorazione della pietra (in un censimento ministeriale del 1891, si contavano ancora 8 cave attive, inoltre la recente costruzione di tre fornaci sanciva l’imminente evoluzione da un’attività di tipo artigianale a tipo proto-industriale). In secondo luogo, la presenza in sito di uno stabilimento già avviato per la produzione della calce, probabilmente databile verso fine ‘800, e dal 1912 di proprietà della società “ Calce Bellunese”, con sede a Belluno ed ufficio vendite a Padova. Anche lo sviluppo recente della rete infrastrutturale fu un fattore determinante: Castellavazzo si trovava già sul tracciato della antica strada di Alemagna, e negli anni ‘10 a questo collegamento si aggiunse quello ferroviario, con la costruzione del tratto Ponte nelle Alpi-Calalzo, che collegava a Belluno e di lì a Treviso. Il presupposto più determinante furono però le ingenti
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In apertura di capitolo: il cementificio di Castellavazzo inquadrato da col Paternoster. Foto dell’autore (2017). Il complesso dei forni, parte più antica del complesso. I forni Dietzsch, riconoscibili dalla struttura in laterizio, sono il primo elemento su cui poi, tramite successive aggregazioni di altri elementi, è andato definendosi l’ impianto. Foto dell’ autore (2016).
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prospettive di guadagno, legate al fatto che l’industria del cemento rappresentava una novità in provincia. Un articolo pubblicato nel bollettino della Camera di Commercio nel marzo 1913 evidenziava le potenzialità di questa nuova produzione nel territorio bellunese: “ siamo fermamente convinti che nei vari centri della nostra provincia, specie in prossimità dei corsi d’ acqua o di buone cave da cui si possa con facilità ricavare della sabbia e della ghiaia adatta, tale piccola industria non dovrebbe mancare di dare degli ottimi risultati ”.
Ulteriore e definitivo stimolo fu inoltre la grande espansione delle società elettriche, ed in particolare della S.A.D.E. ( Società Adriatica di Elettricità) nel territorio Bellunese: le grandi opere di ingegneria idraulica necessarie alla produzione di energia idroelettrica nell’alto corso del Piave e nei suoi affluenti avrebbero necessitato di ingenti quantità di cemento. Un eventuale stabilimento avrebbe dunque potuto avere un’ elevata e continua richiesta di prodotto; l’ insieme di questi presupposti determinò l’avvio dell’attività del cementificio.
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Il complesso dei sili e della centrale di spedizione, costruito tramite aggregazioni successive negli anni ‘50. La sua realizzazione era legata alla volontà di implementare la capacità produttiva aggiornando la linea di trasformazione del prodotto a schemi industriali. Foto dell’ autore (2016).
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5.1.2 L’ evoluzione storica Tra il 1917 ed il primo dopo guerra la S.A.D.E. era impegnata su un doppio fronte: da un lato, il progetto di Porto Marghera, con l’obiettivo di sviluppare il porto industriale di Venezia e promuovere lo stanziamento di grandi industrie nell’area, così da poter incrementare la quantità delle proprie forniture. Dall’altro, la necessaria opera collaterale di potenziamento del proprio apparato produttivo di energia idroelettrica lungo l’alto corso del fiume Piave. E’ proprio in questi anni che le strade dell’azienda veneziana e del cementificio si incrociarono. Dal 1915 La Società Bellunese per l’industria delle calci e dei cementi, proprietaria dell’ opificio, aveva dato il via ad una sequenza di importanti investimenti, atti al necessario ammodernamento degli impianti esistenti, e all’ acquisizione di alcuni siti estrattivi e dei terreni limitrofi necessari all’ ampliamento dello stabilimento. Per fare funzionare i macchinari, era richiesta una grande quantità di energia, tanto che nel gennaio 1917 l’atto costitutivo della società bellunese venne modificato, estendendo l’oggetto alla derivazioe e produzione di energia elettrica, che sarebbe stata fornita dal vicino impianto idroelettrico sul Desedan, sempre di proprietà bellunese, completato alla fine dello stesso anno. Tuttavia, tale mole di investimenti aveva portato all’ indebitamento della società. Fu così che nel settembre 1917 la S.A.D.E. venne introdotta come socio di maggioranza, ed il capitale sociale raddoppiato grazie
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Il vecchio impianto a forni verticali Dietzsch, e, sulla destra, il deposito e la strazione di carico della ferrovia, in un’ immagine databile al secondo decennio del 1900. Foto tratta dal volume Opere nel tempo. Le tradizioni dell’industria e dell’artigianato tra i monti della provincia di Belluno.
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all’azienda veneziana. Tale accordo accontentava entrambe le parti: la società bellunese avrebbe avuto un appoggio economico importante, anche in ottica degli sviluppi futuri; quella veneziana si garantiva un approvvigionamento di cemento e calci idrauliche sicuro e continuo in un sito vicino alle opere che avrebbe dovuto realizzare. Tra 1919 e 1923 furono realizzate alcune opere di presa provvisorie lungo il corso del Piave, parte del canale Piave-Lago di S. Croce, opere di presa del lago di S. Croce e del lago di Negrisiola, centrali di Fadalto, S. Floriano e Castelletto. Si stavano inoltre ultimando le opere sul lago Morto e la centrale di Nove. Nel 1923 la società bellunese aumentò il proprio capitale sociale e la S.A.D.E., completate le principali opere idrauliche necessarie alla produzione, decise di uscire dall’ accordo, mantenendo però rapporti commerciali preferenziali con lo stabilimento. Nel 1925 la società bellunese per l’industria delle calci e dei cementi possedeva lo stabilimento di Castellavazzo per la produzione di cemento portland naturale, lo stabilimento di Sois presso Belluno per la produzione di calci idrauliche e la centrale idroelettrica sul Desedan. L’estrazione della marna avveniva dalle cave Pascoli e Sossass, sulla sponda sinistra del Piave, con scavi a giorno ed in sotterraneo per gallerie e pilastri abbandonati; il materiale giungeva poi allo stabilimento attraverso un sistema di trasporto su rotaie e teleferiche.
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Un’immagine complessiva dell’ impianto databile intorno al 1945. Nell’area più a valle, stava iniziando a prendere forma quello che in seguito sarà il complesso della centrale di spedizione. Foto: archivio dell’ associazione pietra e scalpellini di Castellavazzo.
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Il calcare veniva invece estratto dal sito in località La Fonas, in prossimità del cementificio. L’anno 1929 portò con sè la crisi dei mercati: La S.A.D.E. decise di fermare temporaneamente l’attività di potenziamento degli impianti produttivi e di concentrare gli investimenti sul miglioramento e sulla razionalizzazione del sistema distributivo. Nel 1931 l’oggetto della società bellunese cambiò ancora: da produttrice, diventò commerciante di cemento e calce idraulica, ciò per sopperire alla crisi del settore idroelettrico attraverso la ricerca di nuovi sbocchi commerciali per i propri prodotti. Nonostante gli sforzi per il mantenimento della produzione, la società bellunese si trovava in grande crisi, complice anche la diminuzione della quantità di materiale estratto dalle cave: dal 1934 erano state infatti sospese le coltivazioni all’ interno della cava Sossas. Nel 1935 si procedette all’ inevitabile cessione degli impianti: la centrale sul Desedan venne venduta alla società bellunese per l’industria elettrica, mentre gli stabilimenti di Sois e Castellavazzo alla ditta U. Colombo & C. di Imperia. Successivamente tale ditta acquistò anche la centrale sul Desedan e la cava Pascoli. Il 1937 vide lo scioglimento definitivo della Società Bellunese per le calci e i cementi. La ditta Colombo cercò di aumentare la produzione passando dal cemento naturale al cemento artificiale, ma la quantità era comunque troppo scarsa per sostenere l’attività dell’ impianto.
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Vista da sud-ovest del complesso. In primo piano, l’edificio dei frantoi ed alla sua sinistra il complesso dei forni con l’ annessione dei gruppi Mannstaedt e il capannone dell’essiccatoio Mangiarroti. Questi ultimi elementi, facevano parte dell’ insieme delle moifiche introdotte negli anni ‘50 per convertire l’ impianto a schemi produttivi di tipo industriale. Foto: archivio personale di S. Prest.
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A ciò si aggiunsero le conseguenze dell’entrata in vigore delle leggi razziali del 18 ottobre 1938: avendo i Colombo origini ebraiche, probabilmente la ditta fu soggetta a forti pressioni che la indirizzarono verso la chiusura. Per un breve periodo, lo stabilimento passò alla Società Anonima Cementeria di Castellavazzo, che perseverò in una produzione molto limitata, soggetta per altro al commissariamento da parte della COGEFAG, il Commissariato Generale per le Fabbriche di Guerra, nato nel 1935 con lo scopo di requisire prodotti siderurgici riutilizzabili e gestire la produzione delle fabbriche a fini bellici. Nel 1939 ci fu il passaggio di proprietà all’Unione Cementi Marchino di Casale Monferrato, gruppo storico nella produzione cementizia che possedeva cave ed opifici in tutta italia. Tale cambiamento consentì di avere i fondi necessari per alcune modifiche all’ impianto, necessarie a rendere la produzione più meccanicizzata e competitiva.1 Durante la seconda Guerra Mondiale, il cementificio venne presidiato giorno e notte dall’organizzazione paramilitare tedesca TODT, che necessitava di un approvvigionamento di cemento continuo per le opere infrastrutturali e di difesa nelle regioni montane. L’immediato dopoguerra fu un periodo di scarsa produzione, dovuta soprattutto allo stato precario delle infrastrutture bellunesi che rendeva difficoltoso il trasporto di combustibile e materie prime, oltre allo stato compromesso della linea elettrica.
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La parte più recente del cementificio in una foto del 1991. Nella parte più bassa, verso Castellavazzo, era ancora presente la pensilina ferroviaria, che copriva l’ area della banchina dove avveniva lo scarico del carbone, smantellata negli anni ‘90. Foto tratta dal volume Opere nel tempo. Le tradizioni dell’industria e dell’artigianato tra i monti della provincia di Belluno.
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L’insieme di questi fattori fermò per alcuni anni le principali attività industriali nel territorio. Nel caso specifico, si aggiunse anche la scarsa resa della cava Pascoli, e si tentò di mediare con la riconversione produttiva da cemento portland artificiale a naturale. I successivi anni ‘50 furono periodo di grande fermento, dovuto soprattutto al rinnovato interesse da parte della S.A.D.E. all’alto corso del Piave: al già esistente impianto Piave-S. Croce si aggiunsero il Piave- Ansiei e Piave- Boite- Maè- Vajont a monte e l’impianto CastellettoNervesa a valle. Si provvide inoltre ad estendere le concessioni minerarie, rifornendosi di marna dalla cava di Vittorio Veneto. La produzione era diversificata tra calce idraulica, cemento d’alto forno, cemento ventilato, e cemento ferrico-pozzolanico, quest’ultimo particolarmente adatto alle opere di ingegneria idraulica. Vennero apportate in questo periodo le maggiori modifiche all’impianto, con l’ introduzione di un nuovo laboratorio per le prove di finezza, un terzo molino per la pietra, un terzo forno per la cottura, due essiccatoi, due mulini per il cemento finito ed il complesso della centrale di spedizione. Anche il sistema di approvvigionamento subì delle modifiche, con l’apertura di una nuova strada privata in zona Pascoli che consentiva un trasporto più veloce via camion.
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Confronto tra lo sviluppo produttivo del sito del cementificio e lo sviluppo del sistema idroelettrico nell’ alto corso del fiume Piave.
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Nonostante il recente ampliamento, gli anni ‘60 portarono alla chiusura definitiva dello stabilimento, a cui contribuirono diversi fattori, alcuni dei quali difficilmente prevedibili che possiamo così riassumere: innanzitutto, alla base vi erano le limitazioni intrinseche delle strutture, date dall’utilizzo della tecnologia a forni verticali, meno performanti rispetto ai sistemi orizzontali, i quali avrebbero però richiesto una grande disposizione di superficie.2 Per questo motivo era in progetto l’edificazione di un nuovo impianto in zona Dogna, a Longarone, distante pochi km dal primo. Tuttavia la tragedia del 9 ottobre 1963 comportò tra le altre cose la totale distruzione del sito prescelto, e il progetto di ampliamento divenne inattuabile, anche a causa del conseguente abbandono da parte delle società idroelettriche dei progetti riguardanti questa parte della valle del Piave. Nel 1978, dopo alcuni anni di inattività, la rinominata Unione Cementi Marchino, Emiliane e di Augusta SPA provvide al definitivo smantellamento delle strutture.
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Confronto tra lo sviluppo produttivo del sito del cementificio e lo sviluppo del sistema idroelettrico nell’ alto corso del fiume Piave.
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5.1.3 Il ciclo produttivo Le pietre provenienti dalle cave venivano immagazzinate in depositi siti a quota +531m. s.l.m., oggi non più presenti, alle quali giungevano attraverso in sistema di teleferiche. Il carbone per i forni arrivava invece tramite trasporto ferroviario: esso veniva scaricato a quota +496 m. s.l.m., e, tramite decauville, era trasportato alla quota del complesso dei forni, a +518 m. s.l.m.. Marna e calcare entravano in quota nella zona adibita alla frantumazione su carrelli decauville. Il materiale era poi immesso dall’alto nei frantoi a martelli. Questi imponenti macchinari occupavano l’intero volume su due livelli della struttura e furono completamente smantellati dopo la chiusura del complesso. Ridotto a grana fine, il composto passava ad una fase di pre-essiccazione all’ interno dei grandi capannoni localizzati nella parte nord del sito. Da qui esso passava alla fase seguente di omogeneizzazione, che avveniva in alcuni appositi locali nel complesso dei forni: tramite aggiunta di acqua assumeva la consistenza di un impasto che poi veniva pressato e sintetizzato in blocchi crudi, un’eventuale consistenza troppo volatile avrebbe creato problemi durante la fasecottura successiva. I blocchi crudi venivano dunque inseriti all’ interno dei forni Mannstaedt per la cottura, che venivano riempiti dall’ alto, trasportati mediante cinghie verticali. I forni Dietzsch appartenevano ad un impianto preesistente per la produzione della calce ed erano utilizzati come sili contenitori.
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Rappresentazione schematica delle fasi principali del ciclo produttivo del cementificio, riferito all’ ultima conformazione del suo impianto.
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Il materiale cotto era dunque trasportato, sempre tramite decauville, ai depositi, siti a quota +508,6 m. s.l.m., dove veniva diviso in gesso, pozzolana e loppa granulata. Tali magazzini erano caricati da un livello piĂš alto, ad ovest, posto a quota +515,0 m. s.l.m.. Interessanti dal punto di vista architettonico sono le coperture di questi ambienti, in cemento armato e voltate con sezione a geometria parabolica. Il clinker veniva dunque macinato nei grandi molini a pale ( Brenda, Luther, Loernhert ), ed in questa fase erano aggiunti gli additivi necessari a garantire determinate qualitĂ chimiche ai composti finali. Tali mulini erano alimentati grazie a nastri trasportatori verticaliche prelevavano il materiale dalla quota dei magazzini. I prodotti della macinazione erano trasportati ai livelli piĂš alti della centrale di spedizione, dove le diverse qualitĂ del prodotto finale erano separate. Da questa quota, il materiale veniva immesso nei sili: quelli quadrati caricavano direttamente i camion, mentre, tramite un binario sotterraneo, i sacchi di cemento potevano raggiungere la stazione di carico ferroviario a quota +496 m. s.l.m..
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5.1.4 Il sistema delle cave All’attività del cementificio era collegata una rete di siti estrattivi, distribuiti nel territorio limitrofo, che garantiva un costante rifornimento di materiale. Dal sito in località La Fornas, sulla destra orografica del Piave, non lontano dal cementificio, era estratto il calcare, che veniva trasportato al cementificio via camion. Dai siti estrattivi localizzati sul versante opposto era invece estratta la marna. Dalla miniera di Ceppe, localizzata a circa 1.200 m. s.l.m., si scavava in galleria già dagli inizi del ‘900. La materia prima era trasportata direttamente al sito del cementificio mediante una teleferica lignea dotata di struttura di rinvio localizzata presso la rocca dell’ attuale chiesa. Scendendo, il peso del materiale, faceva risalire i cesti vuoti. Dagli anni trenta, con la cessazione delle attività presso Ceppe, erano attivi altri due siti a cielo aperto: la cava dei Pascoli e la cava di Sossass, entrambe localizzate ad un’altitudine di circa 560 m. s.l.m.; da entrambe era estratta marna. In questi anni, la teleferica lignea era stata sostituita da un impianto in cemento armato, la cui stazione di partenza era localizzata alla quota di 550 m. s.l.m.. Il materiale era trasportato dalle cave alla stazione della teleferica utilizzando una linea decauville che correva orizzontalmente lungo il versante della montagna. Le tracce di queste attività da tempo completamente abbandonate risultano oggi ancora visibili nel paesaggio della valle di Longarone.
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Schema planimetrico della localizzazione delle cave distribuite nella valle di Longarone da cui si estraevano marna e calcare per supportare il ciclo produttivo del cementificio e dei relativi sistemi di trasporto del materiale.
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5.1.5 Castellani e cementificio “
La quarta classe invece rimane nell’ archivio della mia memoria come un vecchio film in bianco e nero, con le immagini un pò offuscate dagli anni, dalla nostalgia e da un impalpabile velo di cemento (...) Il paese, le mattine d’ inverno , era tutto bianco e grigio e l’ aula era una sinfonia bianco-nero-grigia (...).”
Con queste parole Marilena Zoldan Talamini, scrittrice ed appassionata di storia locale, ben sintetizza l’atmosfera di Castellavazzo durante gli anni di attività del cementificio. Da queste parole, possiamo trarre delle conclusioni negative rispetto alla considerazione che i Castellani avevanoper l’ impianto. L’inquinamento ambientale, l’enorme quantità di polvere alzata nell’aria dalle imponenti e rumorose macchine senza interruzione era un fattore altamente condizionante per la vita di Castellavazzo.Tuttavia in questo luogo, in questo determinato periodo storico, esso rappresentava l’unica possibilità di sostentamento per centinaia persone, l’unica alternativa all’emigrazione: gli operai, sia donne che uomini, oltre ad avere una fonte di lavoro, e quindi di guadagno, e quindi un motivo per rimanere in paese, trovavano in esso anche alcuni servizi essenziali, tra i quali uno spaccio aziendale ed una mensa. In questo contesto l’impianto rappresentava quindi una sorta di “male necessario”, ben tollerato da parte dei Castellani.
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La fitta vegetazione e le pareti rocciose che caratterizzano il pendio est della gola del Piave all’ altezza del cementificio visti attraverso le grandi aperture dei locali piÚ alti del complesso dei sili e della centrale di spedizione. Foto dell’ autore (2015).
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5.2 LO STATO ATTUALE Con la chiusura definitiva del 1978, si provvide allo smantellamento dei macchinari, ed al recupero di tutte le componenti metalliche. Tali operazioni comportarono interventi molto invasivi come la bucatura di solai e l’ abbattimento delle pareti. Tutte le coperture leggere metalliche vennero asportate ed il sito lasciato all’ abbandono. Durante gli anni ‘80 ci furono alcuni tentativi per il riutilizzo dell’ area, nel frattempo passata in mano ad un privato. Vennero effettuati alcuni studi molto approssimativi di fattibilità, i quali prevedevano l’abbattimento totale degli edifici e la ricostruzione con destinazione commerciale e produttiva. Tali intenti, causa mancanza di fondi e complicazioni burocratiche, non furono mai portati a termine. Solo negli anni ‘90, si provvide all’ adattamento di alcuni degli edifici secondari. Questi subirono alcuni lievi interventi di ristrutturazione e di sostituzione delle parti più danneggiate per ospitare per breve tempo laboratori artigianali. Oggi il complesso appare completamente abbandonato -ad esclusione di una parte dei magazzini voltati che ospita un piccolo laboratorio di falegnameria-, e le strutture per lo più molto danneggiate e ricoperte dalla vegetazione assumono le sembianze di romantiche rovine.
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Il cementificio come si presenta oggi, dopo mezzo secolo di abbandono, in una vista aerea complessiva inquadrata dall’ area della cava di Ceppe. Foto dell’ autore (2016).
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Assonometria complessiva dello stato di fatto.
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NOTE 1. Il cav. Gioria, direttore del cementificio dal 1940 al 1966 in una lettera affermava , riguardo al suo arrivo nello stabilimento: “nei primi tempi, erano in atto opere di ristrutturazione (...)parte degli uomini erano impiegati nella realizzazione delle strutture murarie per i forni, in sostituzione delle precedenti impalcature di legno inadatte e pericolose (...) lo stabilimento fu potenziato con un terzo mulino per la pietra, un terzo forno per la cottura, due essiccatoi e due mulini per il cemento finito“. (Lettera pubblicata in Zoldan Talamini M., Laebactes. Castellavazzo tra storia, miti, leggende e divagazioni, Castellavazzo 2009). Tale tesi è confermata dalla ricerca di B. Miot, secondo la quale i tre forni Mannstaedt vengono realizzati in successione rispettivamente negli anni 1930, 1941, 1956. 2. Ivano Alfarè afferma: “La necessità di installare forni verticali per l’ esiguità degli spazi liberi invece di forni orizzontali, che garantiscono la maggior resa economica grazie alla qualità costantemente buona del prodotto, penalizzò la competitività dello stabilimento che negli anni ‘60 non fu più redditizio per la società “Marchino &C.”(...) La quota di produzione non superò mai i 5.000/6.000 quintali di cemento al giorno, mentre complessi di dimensioni analoghe ma con forni orizzontali (che richiedono grandi spazi) raggiungevano i 15.000 quintali giornalieri” ( in Alfarè I., “Il cementificio di Castellavazzo”, in De Vecchi S. (a c. di), Opere nel tempo. Le tradizioni dell’industria e dell’artigianato tra i monti
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della provincia di Belluno, Nuove Edizioni Dolomiti s.r.l., Verona 1991.
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6. IL PROGETTO
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6.1 PREMESSA 6.1.1 Una strategia di valorizzazione territoriale per la Valle di Longarone La proposta progettuale di riqualificazione dell’area del cementificio nasce dall’analisi puntuale di alcuni sistemi notevoli esistenti a livello territoriale e dal rapporto instaurato tra questi ed i nuovi elementi di progetto. Le potenzialità del complesso esistente fanno si che il progetto assuma delle valenze oltre che architettoniche, anche di tipo urbanistico e paesaggistico. Per questo motivo, il primo approccio all’area si è incentrato sulle relazioni, presenti e possibili, con l’intero complesso montano Cadore-Longaronese-Zoldo, e poi con la Valle di Longarone. L’obiettivo di tali riflessioni è stato quello di determinare una strategia di intervento definita dalla realtà esistente ed in essa inserita, per sfruttarne al massimo le potenzialità. Come si vedrà, l’apporto virtuoso non avverrà solo dal contesto all’area di intervento, ma anche in senso inverso. Per quanto riguarda l’inserimento nell’intero complesso montano, si è valutato come la posizione dell’ area sia strategica dal punto di vista infrastrutturale: punto d’incontro tra quattro valli diverse e posizione strategica in immediata prossimità sia della S.S. Alemagna, direttrice principale di flusso, che della linea ferroviaria. Come sottolineato nei capitoli precedenti, le valli in questione si presentano come delle destinazioni turistiche di spicco, ed il turismo è il settore portante della loro economia.
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In apertura di capitolo: fotoinserimento dello stato di progetto nell’ area dell’ attuale cementificio. Il paesaggio della valle di Longarone percepito percorrendo la S.S. di Alemagna in direzione Belluno-Cadore. Il cementificio appare solo per qualche istante superato il centro di Castellavazzo, l’orografia e la folta vegetazione non permettono di coglierlo nella sua interezza. Fotogrammi da googlemaps (data consultazione 06.05.2017).
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Per quanto riguarda la valle di Longarone, anche questa presenta degli elementi attrattivi notevoli e di tipo diversificato, alcuni conclamati, altri poco conosciuti. Il settore turistico rappresenta qui un elemento non pienamente sfruttato, ma dal grandissimo potenziale. A testimonianza di ciò, è la carenza o totale mancanza di alcuni elementi fondamentali per la fruibilità turistica. Questa carenza può trovare nelle sue concause delle mancanze oggettive dal punto di vista strategico-funzionale, come ad esempio la mancanza di una zona adibita alla sosta delle corriere turismo, funzione alla quale ad oggi viene relegata una piccola area della stazione ferroviaria, la mancanza di un grande polo ricettivo capace di accogliere gruppi e scolaresche, nonché di fornire un numero sufficiente di alloggi ai visitatori in occasione dei grandi eventi che periodicamente si tengono presso il polo fieristico, la carenza di servizi per il cicloturismo lungo il tratto di ciclabile delle Dolomiti. Longarone si configura attualmente più come un punto di passaggio o al più di fermata per flussi turistici che si muovono verso mete vicine.
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Il paesaggio della valle di Longarone percepito percorrendo la S.S. di Alemagna in direzione Cadore-Belluno. La particolare conformazione orografica e la fitta vegetazione non permettono di cogliere il profilo del cementificio. Fotogrammi da googlemaps (data consultazione 06.05.2017).
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Planimetria della valle di Longarone. In verde, le aree in cui l’orografia del terreno permette di vedere il complesso del cementificio.
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6.1.2 Il nuovo ruolo del cementificio Nel contesto appena descritto, la riqualificazione dell’ area di progetto si identificherà con la creazione di un polo turistico di importanza strategica sia per la vallata, sia per il contesto territoriale. Questo sarà attrezzata per accogliere le diverse tipologie di turisti, rappresentando il punto di riferimento per i diversi flussi. Saranno presenti funzioni di tipo ricettivo, capaci di integrare ed ampliare l’offerta esistente, supportate da da altre con ruolo attrattivo. Il tutto sarà supportato ed incentivato da un nuovo schema di accessibilità, studiato per fare convergere sia la viabilità stradale e ferroviaria che i percorsi di mobilità lenta. Nello specifico, il programma prevederà funzioni di tipo museale e culturale, sportivo e ricreativo. Queste saranno fortemente integrate con gli elementi di richiamo già presenti nel contesto. L’obiettivo sarà quello non solo di riqualificare e rendere nuovamente operativa (traendone profitto) un’area da lungo tempo abbandonata, ma soprattutto quello di fare ricadere i benefici su un’area molto più vasta, valorizzando ciò che è già presente.
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6.1.3 Gli itinerari storico-archeologici Un intervento di questa portata, che parte da ragionamenti a scala territoriale e paesaggistica sarebbe stato incompleto senza un ragionamento progettuale sul contesto in cui si inserisce. Come detto, Longarone è oggi un centro di passaggio, ed i flussi principali si concentrano a fondo valle, in primis lungo la Statale Alemagna. Percorrendola sia da Belluno verso il Cadore che in senso inverso, il Cementificio, nascosto per via della particolare conformazione orografica e per la massiccia presenza della vegetazione, appare solo per un istante ed in maniera molto scorciata. Dovendo esso diventare un polo attrattivo, esso dovrà fungere anche da punto di riferimento visivo per la vallata. Si sviluppa quindi l’idea degli itinerari storico-archeologici: percorsi turistici per mobilità lenta -da percorrere a piedi o in bicicletta- che, sviluppandosi attraverso tratti di strade secondarie, strade cittadine, sentieri, strade sterrate, tracciati ciclo-pedonali, si innalzano dalla quota dell’Alemagna . Ciò permette sia di avere una visuale più completa sulla valle, sia, in alcuni punti, di avere delle viste privilegiate sul complesso dell’ ex-cementificio. Questi saranno la prosecuzione sul territorio dei temi affrontati nell’area di intervento: i lori tracciati andranno ad unire elementi del paesaggio di interesse storico-culturale o sportivo-ricreativo.
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Questi permettono inoltre di integrare al progetto principale anche gli altri siti di archeologia industriale legati al cementificio -cave, miniere, elementi residui del sistema teleferica- che vengono riletti in chiave di fruizione turistica. Di seguito si presenta un breve approfondimento sui tre percorsi proposti. 1. Memoria e ricostruzione: L’area di parcheggio è localizzata in zona Malcolm, presso gli impianti sportivi. Da qui si procede su strada ciclo-pedonale verso il centro di Longarone, dove i punti di interesse storico sono molteplici: l’edificio storico del comune, le scuole elementari di Agostino Dardi, la Chiesa di Santa Maria Immacolata ad opera di Giovanni Michelucci, il museo di Longarone e il punto di informazioni turistiche nella piazza principale del paese. Salendo alla quota più alta dell’abitato, ancora i “murazzi” e le case in linea di Valeriano Pastor. Proseguendo verso sud, sulla sinistra appare il campanile di Pirago, superstite della catastrofe, ed a Muda-Maè si può decidere se continuare il percorso che si stacca e prosegue toccando prima il cimitero progettato da Avon, Tentori e Zanuso per arrivare poi al cimitero monumentale di Fortogna, oppure girare subito verso la sponda del Piave, ed, attraverso il sentiero che lo costeggia, tornare al punto di partenza.
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Memoria e ricostruzione : profilo schematico del percorso e principali punti di interesse.
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2. Le Cave del cementificio: Il punto di inizio è localizzato nel centro di Codissago. Qui è collocata l’area parcheggio. Prima tappa è il centro storico di Codissago, in parte sopravvissuto all’ onda del Vajont, e il museo degli zattieri. Proseguendo, si arriva in zona Pascoli dove la vecchia cava, rinaturalizzata, viene convertita ad area pic-nic con parco attrezzato. Continuando, si arriva in prossimità del punto di partenza della ferrata della memoria, percorso panoramico in parete con la diga del Vajont a fare da sfondo. Proseguendo verso monte, e percorrendo le gallerie si arriva in corrispondenza del coronamento della diga. Continuando ed imboccando un sentiero sulla sinistra, si costeggia la gola del Vajont arrivando dopo una svolta a destra al centro storico di Casso, molto suggestivo e quasi interamente risparmiato. Qui, oltre al centro espositivo di arte contemporanea, è localizzato il punto di ristoro. Imboccando il sentiero che parte a nord del paese e costeggiando la montagna, si arriva dopo pochi kilometri ai resti della miniera di Ceppe: luogo estremamente suggestivo da cui si può godere di una vista panoramica su gran parte della valle. Scendendo, il percorso prosegue in sentieri esistenti attraverso il bosco, fino a giungere alla cava di Sossass, rinaturalizzata ed attrezzata per svolgere arrampicata sportiva, e poi alle rovine della vecchia stazione di partenza della teleferica, dalle quali si può avere una vista complessiva sul sito di progetto. Da qui si ritorna infine al punto di partenza.
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Le cave del cementificio: profilo schematico del percorso e principali punti di interesse.
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3. La pietra di Castellavazzo: Il punto di partenza viene localizzato nell’area dell’ ex-cementificio, riqualificata come polo turistico. Qui vengono localizzati i principali servizi di accoglienza, di ristoro e d’informazione. Dall’area di progetto si procede verso nord sul sentiero che porta alle rovine della Gardona, sito archeologico medioevale dove spicca la particolare torre triangolare. Continuando, si arriva alla cava di Marsor, unico sito di estrazione della pietra di Castellavazzo ancora in attività. Da qui si apre una visuale sul sito di progetto. Proseguendo verso monte su sentieri esistenti, si incontrano prima il centro storico di Olantreghe e poi quello di Podenzoi. Caratteristici per gli edifici realizzati in pietra locale, e posizionati a quote relativamente elevate rispetto alla valle, in entrambi i casi si può godere di una molto gradevole visuale panoramica. Da Podenzoi, scendendo verso nord-est, si arriva in località Fornas, dove è ubicata la cava di calcare legata al ciclo del cementificio. Questa, rinaturalizzata, è convertita in area pic-nic attrezzata e parco con visuale panoramica. Scendendo attraverso gli antichi sentieri di Altia, si arriva al centro di Castellavazzo, dove sono ubicati il museo degli scalpellini ed expo archeologica ed alcuni punti ristoro. Il percorso si conclude, dopo il passaggio sul colle della Chiesa, ritornando nell’area dell’ex-cementificio.
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La pietra di Castellavazzo: profilo schematico del percorso e principali punti di interesse.
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Planimetria della valle di Longarone che mette in evidenza il rapporto con le nuove funzioni del cementificio ed i tracciati dei nuovi itinerari storico-archeologici.
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6.2 IL PROGETTO COMPLESSIVO: IL POLO (MULTI)TURISTICO 6.2.1 L’ approccio progettuale Riflettendo sull’approccio all’esistente e sull’individuazione di regole metodologiche per denlineare le modalità progettuali da adottare, si sono palesati due fattori principali, divenuti cardini del ragionamento complessivo. Il primo, è la fondamentale importanza storica e sociale che il cementificio ha avuto nel passato per gli abitanti di Castellavazzo e dei paesi vicini ed il suo valore intrinseco di monumento del lavoro, punto di raccordo con un un’epoca storica i cui ricordi sono stati in larga parte cancellati. Il secondo, è il fascino romantico indiscutibile che il rapporto tra le rovine industriali, la presenza naturale forte e a tratti “violenta” (nel senso Goethiano del termine) e il contesto paesaggistico suscitano nello spettatore. E’ per questi motivi che si è scelto di operare attraverso interventi minimi, che consentissero di rendere adatti gli spazi esistenti per il nuovo programma funzionale senza sconvolgere l’ equilibrio preesistente tra le parti. Gli interventi avranno un carattere puntuale e strategico, di adattamento, al fine di rendere gli spazi esistenti accessibili ed adeguati ai cambiamenti d’ uso previsti. I nuovi innesti, giustificati dalle necessità del programma funzionale, seguiranno e reinterpreteranno la logica compositiva della preesistenza, differenziandosi però per quanto riguarda gli aspetti formali e soprattutto materici.
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Analisi dell’ esistente ed inserimento del nuovo programma funzionale Il programma funzionale è stato definito progressivamente, in parallelo con l’analisi dell’ esistente. Questa progressione in contemporanea è stata fondamentale per riuscire a perseguire le linee strategiche e metodologiche d’intervento modificando il complesso solo ove strettamente necessario . L’analisi ha portato all’individuazione, oltre che degli interventi assolutamente indispensabili per ragioni di sicurezza, anche delle principali caratteristiche degli elementi preesistenti1. Da qui, la scelta delle nuove funzioni, ponderate cercando di mediare con la natura stessa dello spazio e con le destinazioni dettate dal programma legato prevalentemente ad attività di tipo turistico e ricettivo. E’ seguendo questo ragionamento che si è composto il programma definitivo: nel gruppo dei forni e dei frantoi, caratterizzato da locali estremamente eterogenei e da elementi di notevole interesse spaziale, come i forni o il colonnato della carbonaia, vengono collocati gli spazi espositivi e museali, ed una serie di elementi connessi a queste funzioni, come la caffetteria, l’ auditorium, gli studioli di ricerca per il personale e la biblioteca. Il complesso dei sili, dei molini e della centrale di spedizione, caratterizzato dalla presenza di grandi vuoti alternati a locali di supporto, viene riconvertito in centro sportivo e ricreativo: nei grandi sili,
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spazi molto particolari con sviluppo in altezza, si concentrano le attività sportive principali. Il grande vuoto lasciato dallo smantellamento del capannone Mangiarroti, del quale rimangono oggi solo le testate in cemento a nord dei forni, viene destinato alla funzione di hotel e di ostello, che si configurerà come un elemento architettonico completamente nuovo. In altri edifici minori, come la vecchia portineria, gli spogliatoi per gli operai, la mensa e spaccio aziendale, ed il laboratorio prove ed uffici, vengono collocati i servizi turistici di supporto: il punto informazioni, l’area di servizio per i cicloturisti e gli spazi a disposizione delle associazioni locali di promozione territoriale. Indispensabili per l’ accessibilità dell’ area, vengono aggiunti ulteriori elementi di interfaccia con le reti di viabilità: un’area di parcheggi collegata alla Strada Alemagna, una fermata ferroviaria che si configura come ampliamento della preesistente stazione di carico del materiale, un percorso di risalita meccanica che collega l’area della stazione con i livelli superiori, posto in corrispondenza dell’antica decauville come sua citazione.
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Diagramma del programma funzionale complessivo della proposta di progetto.
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6.2.3 Il progetto dell’ accessibilità In un caso di studio singolare come questo, in cui alle complessità gia’ insite al sito stesso -la particolarità dell’orografia e dell’articolazione degli edifici eterogenei che sono mantenuti- si aggiungono le complicanze date dall’ adattamento al nuovo programma funzionale incentrato sull’ attrattività e sulla ricettività, è di fondamentale importanza valutare un ragionamento integrato sull’ accessibilità a scala territoriale, della quale il sito di progetto diventa un nodo essenziale. Il nuovo polo turistico si delinea come un condensatore di flussi, e come tale esso è connesso alle principali reti di viabilità, sia ferroviaria che carrabile che ai percorsi di mobilità lenta. Per quanto riguarda il rapporto con la ferrovia esistente, l’area ai piedi del complesso posta a quota +496 m. s.l.m. viene in parte ridisegnata e il vecchio edificio della stazione di carico del materiale viene ripensato ed adattato per svolgere la funzione di fermata ferroviaria. L’ introduzione di questo elemento supporta l’esistente stazione di Longarone -localizzata a 2,7 km di distanza- come una una fermata a specifica vocazione turistica, attiva durante il periodo estivo di maggior afflusso. Questa nuova fermata è pensata proprio per supportare maggiormente le scelte strategiche che da alcuni anni sono state impostate per favorire la fruibilità turistica di questi luoghi con l’ introduzione di corse speciali su convogli attrezzati per il trasporto bici durante i mesi estivi.2
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Schema della nuova accessibilitĂ al sito.
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Per quanto riguarda il collegamento con le strade carrabili, si è voluto mantenere il tratto di percorso esistente che si sviluppa lungo i bordi est e nord del complesso, lavorando soprattutto sui punti di connessione con le strade di viabilità ordinaria. Nel punto di raccordo con la strada di Alemagna, viene introdotta una rotonda per connettere la strada principale, la strada diretta verso il centro di Castellavazzo e il percorso che porta al centro del sito di intervento. A nord di questa, si inserisce un ampio spazio parcheggio (100 posti auto). Questo è progettato per essere in armonia con il contesto, sviluppandosi su due terrazzamenti rispettivamente alle quote +489,00 m. s.l.m. e +491,00 m. s.l.m. che seguono l’andamento delle curve di livello dell’ area. La copertura, oltre a proteggere le auto dagli agenti atmosferici, permette di limitare l’ impatto visivo dei parcheggi dai livelli superiori. Da qui, il percorso continua a senso unico di percorrenza attorno al sito arrivando alla quota intermedia di +508,60 m. s.l.m. . In corrispondenza dell’area in cui erano presenti i vecchi depositi con copertura parabolica, viene creato un secondo parcheggio interamente coperto, il cui disegno della copertura segue ancora l’andamento delle linee di livello. Qui sono ricavati 85 posti auto, destinati agli ospiti dell’ hotel, al personale e ai visitatori con disabilità. Il parcheggio viene dotato di punto di risalita con ascensore posto in corrispondenza del vecchio essiccatoio Krupp.
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ELEMENTI DI SUPPORTO ALLA VIABILITA’
AREA PARCHEGGI COMUNI
FERMATA FERROVIARIA
AREA PARCHEGGIO COPERTA RISERVATA AGLI OSPITI DELL’HOTEL
RISALITA MECCANICA
SERVIZI TURISTICI
AREA DI SERVIZIO PER CICLOTURISTI
CENTRO PER ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE TERRITORIALE
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PUNTO INFORMAZIONI TURISTICHE
Proseguendo il percorso carrabile, si raggiunge, ad ovest dell’ hotel il piazzale di parcheggio e manovra delle corriere turistiche. Per facilitare le manovre di queste ultime, l’ ultimo tratto di percorso che collega le quote +515,00 m.s.l.m. e +534 m. s.l.m. viene allargato per ottenere una seconda corsia di marcia a senso inverso: le corriere accederanno al sito dall’ alto, seguendo un percorso più rettilineo rispetto a quello per le auto. Riguardo la mobilità lenta, si è definito un tracciato ciclo-pedonale principale di collegamento tra il sito ed il centro abitato di Castellavazzo, andandosi a collegare con la pista ciclopedonale delle dolomiti a sud del paese. Si definisce così un percorso sicuro che collega Longarone con Castellavazzo e con l’ area di progetto, in cui culmina a quota +503,00 m. s.l.m. in corrispondenza dell’ area adibita ai servizi cicloturistici. La creazione di questo viene permessa dalla modifica della viabilità carrabile interna al centro di Castellavazzo, che passa da doppio a unico senso di circolazione. Questa scelta, che crea alcuni disagi -limitati-, è però compensata dalla possibilità di rendere più fruibile il centro storico ad un flusso selezionato. Tale decisione potrebbe risultare decisiva per la sua revitalizzazione. Riguardo la connessione con la rete dei trasporti pubblici su gomma, vengono considerati due punti di interscambio. Il primo, localizzato a quota +486 m. s.l.m., è destinato alla fermata delle corriere a lunga percorrenza che si muovono da e per Cortina.3
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Il secondo, localizzato a quota + 534 m. s.l.m., è definito dalla fermata già esistente del trasporto urbano. Tutti gli elementi finora descritti, sono collegati tra loro ed alle pertinenze esterne degli edifici da una rete secondaria di percorsi interni pedonali. Questi si sviluppano per lo più attraverso rampe che seguono l’orografia del terreno e mettono in comunicazione i diversi livelli. Lo spazio esterno posto tra quota +515,00 m.s.l.m. e l’ingresso meridionale al sito, posto a quota + 501,00 m. s.l.m. sono definiti da una serie di terrazzamenti digradanti verso valle, che consentono di creare spazi orizzontali a disposizione delle attività degli utenti, collegati tra loro da rampe inclinate o scale. L’elemento del nuovo prende forma e si relaziona all’ orografia del terreno attraverso i muri di contenimento che diventano il segno principale dell’ intervento progettuale. L’ elemento muro del muro definisce le geometrie e mette in relazione lo spazio esterno con l’eterogeneità del costruito, creando un disegno d’insieme dalla forte armonia compositiva. Il muro di contenimento rappresenta un vero e proprio archètipo architettonico per queste aree montane, di cui caratterizza il paesaggio. Nel corso dei secoli è stato più volte rielaborato, ottenendo in alcuni casi delle opere compositive di grande rilevanza.⁴ In ultimo, il progetto della risalita meccanica che collega il livello stazione con la quota +518,00, dove si è optato per l’inserimento di un ascensore obliquo, chiaro richiamo all’antica decauville.
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Assonometria complessiva dello stato di progetto.
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APPROFONDIMENTI PROGETTUALI Il museo e centro culturale Le nuove attività museali e culturali vengono collocate all’interno degli edifici dei frantoi e del complesso dei forni. Negli spazi esistenti si ricavano il percorso espositivo principale e le altre attività ad esso collegate: la caffetteria, l’auditorium, la biblioteca, gli studioli per il personale. L’elemento aggiuntivo in questo caso può essere rappresentato dai nuovi elementi di distribuzione verticale. L’ingresso principale al complesso avviene dalla hall posizionata ad est, a quota +514,00 m. s.l.m.: la particolare conformazione delle colonne preesistenti viene sfruttata per creare uno spazio suggestivo a doppia altezza affacciato sulla valle. Sono qui presenti, oltre al servizio di biglietteria, la caffetteria e lo store del museo. Da qui, attraverso una rampa inclinata che permette di superare un lieve dislivello, si accede alla prima sala espositiva, che collega al blocco dei servizi, agli elementi di collegamento verticale e alla sala dell’auditorium. Il soggetto della sala sono le fasi storiche di sviluppo e trasformazione del cementificio, che vengono presentate attraverso pannelli espositivi e plastici in scala, collocati all’ interno delle camere più basse degli antichi forni Dietzsch. Attraverso una seconda rampa, passando attraverso questi, si accede alla seconda sala, posta al livello +515,00 m. s.l.m.. Qui le attività lavorative storiche legate al territorio di Castellavazzo -scalpellini, zattieri e menàdas, cementeria-, vengono presentate
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COMPLESSO DEL MUSEO E CENTRO CULTURALE
HALL E CAFFETTERIA
PERSORSO ESPOSITIVO
AUDITORIUM
STUDIOLI PER PERSONALE
BIBLIOTECA
ELEMENTI DISTRIBUTIVI E SERVIZI
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attraverso pannelli espositivi ed oggetti del mestiere esposti all’ interno di vetrine a tavolo. Queste ultime sono collocate alla base dei vecchi forni Mannstaedt: il loro particolare sviluppo cilindrico nella parte superiore permette di creare delle vere e proprie colonne di luce che si affacciano oltre la copertura attraversando i piani superiori. Tornando al percorso museale, attraverso il nuovo blocco scale ed ascensore, si sale a quota +519,40 m. s.l.m., nella terza stanza dedicata agli esempi di archeologia industriale nel complesso montano Cadore-Longaronese-Zoldo. L’ambiente, con al centro i tre sili in cui veniva contenuto il cemento durante la cottura, si sviluppa in altezza per circa 10 metri. L’allestimento consiste in vetrine a tavolo contenenti oggetti, documenti e fotografie che vengono collocate lungo le pareti esterne. In questo modo è possibile apprezzare le aperture alla base dei sili che si aprono sulle sale del livello inferiore. Scendendo la scala che attraversa i forni Dietzsch, si giunge alla quarta sala, dedicata alle fasi storiche di sviluppo dell’industria idroelettrica nel territorio bellunese. Queste vengono presentate attraverso pannelli espositivi e filmati storici, proiettati all’ interno delle camere dei forni che assumono la funzione di camere oscure. Ritornando nella sala precedente e percorrendo una scala interna con sbarco intermedio su una terrazza da cui si può ammirare da un’altra prospettiva l’ambiente, si giunge alla quinta sala, localizzata al primo piano dell’edificio ambiente in cui si trovavano i frantoi, nella quale
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Diagrammi del rapporto tra i diversi ambienti ed il corrispondente allestimento museale. Le sale sono cosÏ tematizzate: 1. Il cementificio; 2. Attività lavorztive storiche a Castellavazzo; 3. Archeologie industriali nell’ area Cadore-Longaronese-Zoldo.
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sono rappresentate le trasformazioni storiche ed economiche dello sviluppo bellunese nel periodo che seguì i fatti del Vajont. L’allestimento ripropone le diverse vicende storiche attraverso documenti, oggetti e fotografie d’epoca esposte in vetrine a tavolo. Tale scelta permette al visitatore di cogliere nell’ interezza le proporzioni del grande ambiente. Scendendo attraverso il blocco scale e ascensore, si arriva all’ ultima stanza, collocata al piano terra dell’ edificio dei frantoi, a quota +521,55 m. s.l.m. Il grande ambiente viene adibito a sala per esposizioni temporanee ed eventi. Scendendo ancora, si fa ritorno infine alla hall.
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4.
5.
6.
Diagrammi del rapporto tra i diversi ambienti ed il corrispondente allestimento museale. Le sale sono cosÏ tematizzate: 4. L’ industria idroelettrica nel territorio bellunese; 5. Lo sviluppo economico bellunese nel dopo-Vajont 6. Sala per esposizioni temporanee.
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Vista sulla valle dalla hall del complesso del museo e centro culturale.
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Il centro sportivo e benessere Le nuove attività di carattere sportivo e ricreativo sono collocate nei locali della centrale di spedizione e del capannone dei molini. In particolare, di questi vengono esaltati i grandi vuoti interni, che ne rispecchiano l’identità e la particolare singolarità; i sili cilindrici, i sili quadrati e l’area del capannone ospitano le funzioni principali del programma. L’accesso principale al complesso avviene da sud-est, alla quota di +504,00 m. s.l.m.. Attraverso una scalinata esterna che evidenzia l’ingresso, si accede alla hall, posta a quota +505,75 m s.l.m. nell’ ambiente della vecchia centrale dispedizione. Su questo livello trovano spazio l’infermeria, i locali tecnici e il blocco degli spogliatoi, costruito nell’ area del capannone dei molini. Nei grandi sili cilindrici si svolgono le attività sportive principali: gli elementi naturali del paesaggio, roccia, aria ed acqua, subiscono una trasposizione, che si concretizza nel riadattamento dei sili in palestra di roccia per arrampicata, palestra per volo libero e vasca per immersioni. Questi vengono serviti ai vari livelli dagli ambienti di supporto laterali. Questi, oltre alla funzione connettiva, ospitano attività collaterali a quelle collocate nei sili: al secondo livello, in un volume vetrato costruito ex novo trovano spazio i macchinari delle aree palestra cardio e fitness, al terzo il magazzino e gli spogliatoi per la vasca di immersione. I sili quadrati vengono ripensati per ospitare le pareti dove si svolge l’arrampicata in velocità.
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COMPLESSO DEL CENTRO SPORTIVO E BENESSERE
SPAZI PER ATTIVITA’ SPORTIVE PRINCIPALI
RISTORANTE PANORAMICO
PISCINA E CENTRO BENESSERE
ELEMENTI DISTRIBUTIVI E SERVIZI
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In corrispondenza del vecchio capannone dei molini, al primo livello vengono collocate le attività del centro benessere. Lo spazio principale è occupato dalla grande piscina e dall’ area relax, mentre al di sotto dei tre grandi molini, che vengono mantenuti, sono ricavati tre ambienti per la sauna, il bagno turco e le vasche con i fanghi. I volumi più alti, posti sulla copertura dei sili, vengono parzialmente modificati per adattarli alla nuova funzione di ristorante panoramico attrezzato per una capienza di circa 90 ospiti. Tutti gli spazi sono collegati tra loro da due corpi scala e ascensore vetrati con struttura indipendente in acciaio di nuova costruzione. Il primo, collegato alla hall, svolge la funzione principale di distribuzione, mentre il secondo, accessibile dall’ area dei parcheggi coperti, ha funzione di sicurezza e di servizio per il ristorante.
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Sezione prospettica complessiva in direzione est-ovest.
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L’ hotel e ostello L’edificio dedicato alle attività ricettive turistiche viene collocato a quota +515,00 m. s.l.m., in corrispondenza del grande vuoto determinato dallo smantellamento delle strutture metalliche che costituivano il capannone Mangiarroti. All’ interno del sito, questo edificio rappresenta il caso principale di costruzione ex novo. Nella definizione dell’ idea di progetto, viene inizialmente considerata l’ entità della preesistenza: il vecchio essiccatoio era formato da dei setti in cemento -che contenevano il materiale stoccato- e dalla sovrastruttura in acciaio; si creava quindi una dualità contenuto-contenitore. E’ su questo concetto che si sviluppa l’ idea progettuale. Il nuovo edificio si configura riprendendo il volume della preesistenza, le cui direttrici sono date dalle testate in cemento conservate. Tale volume si differenzia come elemento aggiunto staccandosi sia da terra che dalle testate laterali. Questo viene diviso trasversalmente, generando spazi interstiziali in cui vengono inseriti gli elementi di distribuzione verticale e lateralmente le scale di sicurezza. Le pareti vetrate consentono di poter sfruttare questi spazi come camini termodinamici, in cui l’ area più calda viene espulsa da apposite aperture in copertura, richiamando aria fresca dai locali a terra. La dualità contenitore-contenuto è dunque riproposta attraverso una pelle esterna formata da frangisole verticali accostati tra loro.
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COMPLESSO DELL’HOTEL E OSTELLO
CAMERE HOTEL
CAMERE OSTELLO
LOCALI PER ATTIVITA’ COMUNI E DI SERVIZIO AGLI OSPITI
ELEMENTI DISTRIBUTIVI
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Questi svolgono l’importante funzione di schermatura solare dando contemporaneamente unità compositiva al complesso. La distanza tra questi viene modulata in maniera tale da permettere una buona vista dell’ esterno attraverso le superfici vetrate, e contemporaneamente garantire la necessaria illuminazione invernale e schermatura dagli intensi raggi estivi. Internamente, lo spazio utile è diviso in 5 livelli sovrapposti. Al piano terra sono collocati i servizi collettivi, hall -alla quale si può accedere sia da est che dal parcheggio delle corriere ad ovest-, bar, area svago, sala ristorante, cucina, sala conferenze, area businness, vani tecnici e ambienti di servizio per l’ attività alberghiera. Al primo e secondo piano (+518,00 e +521,00 m. s.l.m.) trovano spazio le camere dell’ hotel, divise tra doppia o matrimoniale, tripla, quadrupla e quintupla, mentre i disimpegni in corrispondenza dello sbarco delle scale fungono da aree relax. Gli ultimi due piani (quote +524,00 e +527,00 m. s.l.m. )sono adibiti ad ospitare le camerate dell’ ostello, in grado di fornire alloggio a 1, 2, 4 o 6 ospiti. Nella porzione centrale dell’edificio, è individuato il blocco dei servizi collettivi dell’ostello, con bagni, area comune, cucina, lavanderia e asciugatrice a disposizione degli ospiti.
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Sezione prospettica complessiva in direzione ovest-est..
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NOTE 1. Questi vengono riassunti nell’ abaco di tav. 5. 2. Il riferimento è al progetto “Trenobus delle Dolomiti”, il cui obiettivo è favorire lo scambio intermodale ferro-gomma-bici. Nel periodo estivo, vengono effettuate corse speciali su convogli “Minuetto” dalla Vicenza e Venezia a Calalzo. Qui, i passeggeri possono proseguire su corrriere Dolomitibus attrezzate per il trasporto bici fino a Cortina, per poi scendere lungo il percorso ciclabile Cortina-Calalzo, da dove partono i convogli per il ritorno ( cfr. www.dolomitibus.it e www.trenitalia.com). 3. Corse giornaliere collegano Cortina, soprattutto durante i mesi estivi ed invernali, con le principali città del nord-est. Attraverso questo tratto di Alemagna avvengono le connessioni con Treviso, Venezia e Bologna (www. dolomitiexpress.it.). 4. Il riferimento è in particolare al villaggio Eni di Borca di Cadore, ad opera di Edoardo Gellner, dove il muro diventa l’ elemento distintivo in grado di connettere in modo esemplare il costruito al paesaggio naturale.
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BIBLIOGRAFIA
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INQUADRAMENTO ECONOMICO-SOCIALE ED ARCHEOLOGIE INDUSTRIALI NEL TERRITORIO BELLUNESE: TESI E MONOGRAFIE: - Fiorin G. (1956), Raccolta di cenni storici su Longarone e dintorni, tipografia vescovile, Belluno. - De Vecchi G. (1962), I maestri scalpellini e la pietra di Castellavazzo, a cura dell’ amministrazione comunale, Castellavazzo. -Bettiol A., Palazzin F. (1986), Connotazioni urbane di un centro della montagna veneta: Castello Lavazzo: analisi per una proposta di recupero, relatore Talamini T., tesi di dottorato, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Venezia. - Perco D. (a c. di, 1988), Zattere, zattieri e menàdas: la fluitazione del legname lungo il Piave, Tipografia Castaldi, Feltre. - Alpago-Novello A. (a c. di, 1997), Castellavazzo: un Paese di pietra, la pietra di un paese, Neri Pozza Editore, Vicenza. -Zoldan Talamini M. (2009), Laebactes: Castellavazzo tra storia, miti, leggende e divagazioni, Tipografia Campedel, Belluno. SAGGI IN OPERE COLLETTIVE : - Buchi E. (1987), “Vol.I: Storiografia, organizzazione del territorio, economia e religione”, in Il Veneto nell’ età romana, Banca popolare di Verona, Verona.
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FLUSSI TURISTICI NEL TERRITORIO BELLUNESE: ARTICOLI DI QUOTIDIANI O PERIODICI E PUBBLICAZIONI ON-LINE : - Minghetti V. (2002), Estratto sul Turismo, Fondazione Nord Est, Venezia. - S.I.S. Belluno (2016): I flussi turistici dell’ alberghiero in provincia di Belluno: anni 2005-2015, Osservatorio sulla Montagna, Servizio Sistemi Informativi della Provincia di Belluno, Belluno. - Da Deppo I. (2016), Musei e collezioni della provincia di Belluno: Un patrimonioda scoprire, Rotary Club Belluno, Tipografia Piave, Belluno.
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IL CEMENTIFICIO DI CASTELLAVAZZO: TESI E MONOGRAFIE: -Miot B. (1998), Il cementificio-museo: un itinerario tra l’archeologia industriale bellunese, relatore Mancuso F., correlatori De Vecchi S., Mazzotta D., tesi magistrale in architettura, Istituto universitario di Architettura di Venezia, Venezia. -Zoldan Talamini M. (2009), Laebactes. Castellavazzo tra storia, miti, leggende e divagazioni, Tipografia Campedel, Belluno. -Buffelli L., Cammarata G., Fioretto D., Libutti A., Martins C., Seitisleam F. A.,Seppe C., Vilia A. (2011), Analisi selle strutture territoriali, Urbanistiche ed architettoniche del Cementificio di Castellavazzo-Belluno, relatore Massarente A., tutor Morandi C., tesi di Master in conservazione , gestione e valorizzazione del patrimonio industriale, Dipartimento di Storia dell’ Università di Padova, Padova. SAGGI IN OPERE COLLETTIVE: Alfarè I. (1991), “Il cementificio di Castellavazzo”, in De Vecchi S. (a c. di), Opere nel tempo. Le tradizioni dell’industria e dell’artigianato tra i monti della provincia di Belluno, Nuove Edizioni Dolomiti s.r.l., Verona.
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TEORIA PROGETTUALE: - Corboz A. (1985), Il territorio come palinsesto, in “Casabella”, 1985, n.516. - De Poli M., Incerti G. (2014), Atlante dei paesaggi riciclati, Skira, Milano. - Piva A. (1983), La costruzione del museo contemporaneo: gli spazi della memoria e del lavoro, Jaca book, Milano. - Brawne M. (1983), Spazi interni del museo: allestimenti e tecniche espositive, Edizioni di Comunità, Milano. - Ranellucci S. (2007), Il progetto del museo, DEI, Roma. - Massarente A. (2004), Ecomusei e paesaggi, esperienze, progetti e ricerche per la cultura materiale, Lybra immagine, Milano. - Ugo V. (1991), I luoghi di Dedalo: elementi teorici dell’ architettura, Dedalo, Bari.
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RIFERIMENTI PROGETTUALI: - Edoardo Gellner, Villaggio Eni a Borca di Cadore, Belluno, 1954-1962. -Ricardo Bofill, La fĂ brica, Barcellona, 1975-presente. - Claudio Mosimann, Lorenzo Custer e Paolo Cavalli Centro Culturale Cementificio Saceba, Canton Ticino, 2008. - Werner Tscholl, Recupero di Castel Firmiano e Museo della Montagna, Bolzano, 2003-2006. - Toyo Ito, Mediateca di Sendai, Tokyo, 1998-2000. - Matteo Thun, Virgilius Mountain Resort, Bolzano, 2001-2003 . - ARGE Haller Jurgen und Plattner Peter, Edificio amministrativo per la compagnia Walder Versicherung, Voralberg, 2012-2013. - Emre Arolat Architects, Gokturk arketip housing, Istanbul, 2006 (data di progetto).
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STRUMENTI URBANISTICI: - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale della Provincia di Belluno (2010) - Piano di assetto territoriale integrato di Longarone (2010) - Regolamento edilizio del comune di Longarone (1983) - Regolamento edilizio del comune di Longarone (2014)
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SITOGRAFIA: - www.provincia.belluno.it ( data consultazione 01.05.2017) - www.infodolomiti.it (data consultazione 01.05.2017) - www.belledolomiti.it (data consultazione 01.05.2017) - www.istat.it (data consultazione 01.05.2017) - www.dolomitipark.it (data consultazione 01.05.2017) - www.bl.camcom.it (data consultazione 01.05.2017) - www.regione.veneto.it (data consultazione 01.05.2017) - www.skiresort.it (data consultazione 01.05.2017) - www.dolomiti.org (data consultazione 02.05.2017) - www.comune.forno-di-zoldo.bl.it (data consultazione 02.05.2017) - www.draupiave.eu (data consultazione 02.05.2017) - www.prolocolongarone.it (data consultazione 03.05.2017) - www.corrieredellealpi.it (data consultazione 03.05.2017) - www.progettodighe.it (data consultazione 03.05.2017) - www.pietraescalpellini.it (data consultazione 04.05.2017) - www.isprambiente.gov.it (data consultazione 03.05.2017) - www.minambiente.it (data consultazione 03.05.2017)
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APPARATO A. SCHEDE VALUTATIVE SULLO STATO DI FATTO DEGLI EDIFICI
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1. FRANTOI DATAZIONE: 1943/1953, con ampliamento successivo della campata ovest N. LIVELLI: 4 S.L.P.: 916 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in calcestruzzo/alto -TAMPONATURE: calcestruzzo e laterizio/basso -SOLAI: calcestruzzo e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: alcuni solai si presentano particolarmente degradati a causa dello smantellamento dei macchinari negli anni ‘70. In precario stato conservativo anche le tamponature verticali al terzo piano.
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2.1 DEPOSITO DEL CARBONE DATAZIONE: 1943/1953, N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 266 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/basso -SOLAI: non presenti VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: originariamente era presente una copertura in capriate in legno, oggi completamente demolita.
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2.2 FORNI DIETZSCH DATAZIONE: anteriore al 1880 N. LIVELLI: 4 S.L.P.: 334 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: muratura portante in laterizio/alto -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento e laterizio/medio VALORE TESTIMONIALE: alto VALORE COMPLESSIVO: alto Note: è presente un solaio in travi in legno in stato di forte degrado, parte della copertura è inclinata in lastre di amianto.
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2.3 FORNI MANNSTAEDT DATAZIONE: anteriore al 1943 per i due forni più a sud, anni ‘50 per l’ ultimo forno. N. LIVELLI: 4 S.L.P.: 968 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: muratura portante in laterizio/alto -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: /
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2.4 LOCALI DI OMOGENEIZZAZIONE DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 5 S.L.P.: 461 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: muratura portante in laterizio/medio -TAMPONATURE: laterizio/basso -SOLAI: cemento e laterizio/medio VALORE TESTIMONIALE: alto VALORE COMPLESSIVO: alto Note:
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2.5 VENTILATORI VOLUMOGENI DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 3 S.L.P.: 60 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in calcestruzzo/medio -TAMPONATURE: calcestruzzo e laterizio/basso -SOLAI: calcestruzzo e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: i tamponamenti verticali sono stati parzialmente abbattuti per permettere lo smantellamento dei macchinari.
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2.6 OFFICINA MECCANICA DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 187 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in calcestruzzo/alto -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: calcestruzzo e laterizio/alto VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: medio Note: /
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3. DEPOSITI DATAZIONE: precedente al 1900 per i primi tre a sud, 1945/1955 per l’ ampliamento verso nord N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 912 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: non presenti VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: la copertura dei capannoni è a sezione paraboidale in cemento armato; attualmente, i primi tre capannoni risultano occupati da un laboratorio di falegnameria, unica attività presente nel sito.
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4.1 ESSICCATOIO MANGIARROTI DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 1.389 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: struttura a travi e pilastri in cemento armato/basso -TAMPONATURE: setti pre-fabbricati in cemento armato/basso -SOLAI: non presenti VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: L’edificio era dotato di una struttura metallica con pilastri, travi e capriate che fungeva da copertura. Questa è stata totalmente asportata durante i lavori di smantellamento.
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4.2 ESSICCATOIO KRUPP DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 4 S.L.P.: 305 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: calcestruzzo e laterizio/alto VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: del capannone rimangono solo le due testate: le pareti laterali e la copertura, probabilmente a struttura leggera metallica, furono smantellati dopo la chiusura dello stabilimento.
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4.3 TERZO ESSICCATOIO DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 2 S.L.P.: 276 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento armato e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: basso Note: il solaio del primo piano risulta quasi completamente crollato.
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5. MOLINI DATAZIONE: 1953/1978 N. LIVELLI: 2 S.L.P.: 369 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/basso -SOLAI: cemento armato/basso VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: La struttura metallica a travi e pilastri con capriate di copertura risulta smantellata, oggi sono presenti solo le testate in cemento armato.
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6.1 SILI CILINDRICI DI STOCCAGGIO DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: 6 S.L.P.: 706 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/basso -SOLAI: cemento armato e laterizio/medio VALORE TESTIMONIALE: alto VALORE COMPLESSIVO: alto Note: /
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6.2 CENTRALE DI SPEDIZIONE DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 283 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/basso -SOLAI: cemento armato e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: è presente un tunnel sotterraneo utilizzato per il trasporto dei prodotti al livello della ferrovia.
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6.3 GRUPPO SILI A PIANTA QUADRATA DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: / S.L.P.: 55 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento armato e laterizio/medio VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: è presente una copertura metallica leggera a falde inclinate più recente rispetto all’ edificio sul fronte sud-est.
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6.4 CABINA ELETTRICA DATAZIONE: precedente al 1943 N. LIVELLI: 2 S.L.P.: 112 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento armato e laterizio/medio VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: /
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6.5 LABORATORIO ELETTRICO DATAZIONE: precedente al 1943 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 168 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento armato e laterizio/medio VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: /
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7. RINVIO DELLA TELEFERICA DATAZIONE: precedente al 1943 N. LIVELLI: / S.L.P.: / TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: non presenti -SOLAI: non presenti VALORE TESTIMONIALE: alto VALORE COMPLESSIVO: alto Note: /
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8. DECAUVILLE DATAZIONE: 1943-1953 N. LIVELLI: / S.L.P.: / TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: binari in ferro/basso VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: medio Note: /
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9. PORTINERIA E PESA CAMION DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 135 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/non rilevato -SOLAI: non rilevato/non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: attualmente utilizzato come deposito. Ispezione interna non effettuata.
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10. SPOGLIATOIO E DOCCE OPERAI DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 156 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/non rilevato -SOLAI: non rilevato/non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: l’edificio si presenta in buone condizioni poichè dopo la chiusura del cementificio ha ospitato altre attività artigianali. Per questo ha subito interventi recenti, tra cui il cambio della copertura e degli infissi. Ispezione interna non effettuata.
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11. MENSA E SPACCIO AZIENDALE DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 88 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/non rilevato -SOLAI: non rilevato/non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: l’edificio si presenta in buone condizioni poichè dopo la chiusura del cementificio ha ospitato altre attività artigianali. Per questo ha subito interventi recenti, tra cui il cambio della copertura e degli infissi. Ispezione interna non effettuata.
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12. ABITAZIONE DEL DIRETTORE DATAZIONE: 1943/1953 N. LIVELLI: 2 S.L.P.: 150 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/non rilevato -SOLAI: non rilevato/non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: La folta vegetazione rende l’ edificio inaccessibile.
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13. LABORATORI PROVE ED UFFICI DATAZIONE: precedente al 1943 N. LIVELLI: 2 S.L.P.: 331 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/non rilevato -SOLAI: non rilevato/non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: L’ edificio si presenta in condizioni relativamente buone perchè dopo la chiusura del cementificio parte di esso è stata utilizzata per alcuni anni come residenze private. Ispezione interna non effettuata.
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14. PRIMA STAZIONE FERROVIARIA DATAZIONE: 1912 N. LIVELLI: 2 S.L.P.: 113 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/alto -TAMPONATURE: laterizio/non rilevato -SOLAI: non rilevato/non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: Ispezione interna non effettuata.
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15. STAZIONE DI CARICO DEL MATERIALE DATAZIONE: precedente al 1943 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 72 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/basso -SOLAI: cemento armato e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: medio VALORE COMPLESSIVO: basso Note: Un tunnel sotterraneo con binari a scartamento ridotto mette in comunicazione l’ edificio con la centrale di spedizione. L’ edificio risulta completamente ricoperto dalla vegetazione.
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16. SECONDA STAZIONE FERROVIARIA DATAZIONE: successiva al 1978 N. LIVELLI: 1 S.L.P.: 123 mq TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: non rilevato -SOLAI: non rilevato VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: /
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17. CABINA ELETTRICA DATAZIONE: 1953-1978 N. LIVELLI: 2 S.U.L.: TECNOLOGIA/STATO CONSERVATIVO: -STRUTTURA PORTANTE: travi e pilastri in cemento armato/medio -TAMPONATURE: laterizio/medio -SOLAI: cemento armato e laterizio/basso VALORE TESTIMONIALE: basso VALORE COMPLESSIVO: basso Note: /
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ELABORATI GRAFICI
219
00. ABSTRACT
220
221
01. INQUADRAMENTO TERRITORIALE
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223
02. RAPPORTI VISIVO-AMBIENTALI
224
225
03. STRATEGIA DI VALORIZZAZIONE TERRITORIALE
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04. ANALISI DEL SITO DI INTERVENTO
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229
05. ANALISI DEL SITO DI INTERVENTO
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231
06. VALUTAZIONI SULLO STATO DI FATTO
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07. PROGRAMMA E STRATEGIE DI INTERVENTO
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08. IL PROGETTO COMPLESSIVO
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237
09. IL PROGETTO COMPLESSIVO
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10. APPROFONDIMENTO: IL MUSEO E CENTRO CULTURALE
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241
11. APPROFONDIMENTO: IL CENTRO SPORTIVO E BENESSERE
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12. APPROFONDIMENTO: L’ HOTEL E OSTELLO
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