Orticoltura Sinergica - Tesi

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L’orto urbano sinergico: tecniche colturali ed evidenze sperimentali nel caso studio “Ortocircuito” Niccolò Rizzati



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Alma Mater Studiorum Università di Bologna SCUOLA DI AGRARIA E MEDICINA VETERINARIA Corso di Laurea in Scienze del Territorio e dell’Ambiente Agro-Forestale Orticoltura

L’orto urbano sinergico: tecniche colturali ed evidenze sperimentali nel caso studio “Ortocircuito”

Tesi di laurea di:

Relatore:

Niccolò Rizzati

Chiar.mo Prof. G. P. Gianquinto Correlatore: Dr. F. Orsini

Anno Accademico 2015/2016 Sessione II


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Non ereditiamo la terra dai nostri avi; la prendiamo in prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela. (Proverbio dei nativi americani)

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INDICE

Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag.9 Capitolo 1 : Agricoltura intensiva tradizionale.

Pag.13

Capitolo 2 : Tipologie di agricoltura sostenibile Pag. 21 2.2 : Agricoltura biologica. . . . . . . . . . . . . Pag. 22 2.3 : Agricoltura biodinamica. . . . . . . . . . .

Pag.

28

2.4 : Agricoltura naturale. . . . . . . . . . . . . .Pag. 38 2.5 : Agricoltura conservativa. . . . . . . . . . .

Pag. 50

Capitolo 3 : Agricoltura sinergica. . . . . . . . Pag. 61 3.1 : Caratterizzazione. . . . . . . . . . . . . . . Pag. 62 3.2 : Metodi e tecniche di coltivazione. . . . . . .Pag. 69 3.3 : Consociazioni. . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 97 3.4 : Risvolti economici e sociali. . . . . . . . . Pag. 113 a) Aspetto economico. . . . . . . . . . .

Pag.

114

b) Aspetto comunicativo. . . . . . . . . .Pag. 115 c) Aspetto comunitario. . . . . . . . . . .Pag. 117 Â


Capitolo 4 : Caso di studio: il progetto “Ortocircuito” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 119 4.1 : Nascita, sviluppo e prospettive. . . . . . .

Pag.

122

4.2 : Tecniche di coltivazione. . . . . . . . . . .Pag. 127 4.3 : Analisi del terreno. . . . . . . . . . . . . . Pag. 143 Conclusioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 175 Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pag. 181


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A mia madre, per il valore della perseveranza. A mio padre, per il sapore della conoscenza. A mia nonna, per avermi mostrato la magia della natura. A Gabriella, per avermi indicato come plasmarla. Senza di loro questo testo non potrebbe esistere.

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INTRODUZIONE

Si vuole proporre in questo elaborato uno studio che abbia come argomento principale una completa analisi di quella che oggi viene definita Agricoltura Sinergica. Nel primo capitolo, dopo aver fatto chiarezza sulle definizioni odierne di agricoltura e agronomia, si analizzano i principali problemi legati all’agricoltura convenzionale, intensiva ed estensiva; viene spiegato come essi abbiano spinto l’uomo a ricercare metodi di coltivazione alternativi. Sono indagate, nel secondo capitolo, le principali tipologie di pratiche agricole sostenibili, nate da una necessità ed una volontà umana sconosciuta prima del XX secolo: vengono elencate le caratteristiche

e

dall’agricoltura

i

principali

biodinamica;

aspetti

agronomici

biologica;

naturale;

conservativa. Nel corso del terzo capitolo si entra nel merito dell’agricoltura sinergica: dopo averne descritto la

nascita

e

aver

illustrato 9

le

finalità


produttivo/economiche, sociali, ambientali, nonché un approfondimento a proposito delle principali regole e lavorazioni con cui si è caratterizzata, sono riportate alcune delle principali consociazioni sperimentate dagli agricoltori sinergici nel nostro clima mediterraneo. Nel quarto e ultimo capitolo l’attenzione verrà spostata sulla descrizione di come è nato e gestito un grande orto sinergico, ubicato all’interno di un difficile contesto urbano nel quale l’orto diventa capace di esprimere al meglio le sue caratteristiche, sia produttive che sociali, nel costante rispetto dell’ambiente. Da ultimo verranno descritti i risultati scaturiti da analisi del suolo compiute su tre parcelle interne all’orto sinergico (la prima coltivata principalmente a girasole, la seconda a fagiolini, la terza mista), posti a confronto con una parcella di terreno incolto e una parcella coltivata secondo le tecniche di agricoltura convenzionale. Scopo di queste analisi è quello di ottenere una serie di dati di partenza che permettano di proseguire il lavoro negli anni successivi, arrivando eventualmente a dimostrare come nel tempo la fertilità di un terreno coltivato con

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tecniche sinergiche e naturali si possa considerare slegata

dall’uso

di

fertilizzanti,

diserbanti

e

antiparassitari, riuscendo a mantenere sano l’ecosistema agrario attraverso una corretta successione di particolari colture e lavorazioni, nonché grazie ad una visione organica del luogo di coltivazione, preservandone la biodiversità ed utilizzando come input nel terreno solamente gli scarti vegetali prodotti dallo stesso campo in cui crescono.

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12


CAPITOLO 1. AGRICOLTURA INTENSIVA TRADIZIONALE Prima ancora di addentrarci nel definire nello specifico cosa si intende oggi per agricoltura tradizionale e agricoltura sostenibile, è doveroso per prima cosa soffermarsi ad analizzare la prima parola, comune, di queste due formule. Allo scopo di comprendere appieno il significato di agricoltura, declinata nelle sue varie forme, riteniamo si debba partire proprio dalla definizione di agronomia, in quanto scienza che si appoggia su basi indiscutibili. L'agronomia viene definita da Cavazza come una “Scienza che studia il sistema colturale nei suoi vari aspetti e interconnessioni: influenze reciproche fra ambiente e agricoltura, interventi dell'uomo sui fattori che determinano la produzione vegetale agraria, risposte quantitative e qualitative delle colture a detti interventi, effetti delle scelte operative sulle modalità del processo produttivo e sulla fertilità del suolo.” 1

13


Dalla stessa fonte viene asserito che l'agronomia studia le relazioni e l'impatto tra l'intervento dell'uomo sull'ambiente in cui coltiva e la produzione ottenuta dalle piante agrarie. Oggi si può dire che, oltre a questi aspetti, l'agronomia si occupa anche di analizzare l'effetto dell'ambiente sulle diverse specie vegetali coltivabili, studia l'impatto che ha l'attività antropica sull'ambiente come sulla produzione vegetale,

sviscera

le

relazioni

che

esistono

tra

l'evoluzione del suolo agrario e i diversi intenti portati avanti da chi lo lavora2. Da queste definizioni risulta quindi che la materia agronomica si presenta come una scienza volta in generale allo studio di tutti i fattori che gravitano intorno ad una produzione agricola, esclusi quelli economici, politici, sociali, psicologici. Al termine Agronomia si allaccia strettamente quello di Agricoltura. Come suggerisce l'etimologia della parola, la definizione di Agricoltura è “l’arte e la pratica di coltivare la terra per ricavarne prodotti destinati all’alimentazione”3.

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L'agronomia si presenta come applicazione particolare di molte e diverse scienze (chimica, biologia, geologia ecc.) attuate nella pratica principalmente dall'agricoltura. Come è noto dalla comune esperienza quotidiana, l'agricoltura si è differenziata grandemente in funzione non solo dei diversi climi e risorse economiche ma anche in seguito a nozioni empiriche tramandate e affinate nel succedersi delle generazioni, differenti tra loro come lo sono le tradizioni e le usanze dei popoli della Terra. Si sono quindi sviluppate tante forme di agricoltura, non sempre volte a raggiungere esattamente gli stessi obbiettivi, e sono andate diffondendosi nel tempo svariate terminologie e formule di coltivazione tra le quali ricordiamo l'agricoltura Tradizionale, Estensiva, Sostenibile, Blu, Biodinamica, Integrata, Urbana, Biologica, Sinergica, Conservativa, Intensiva ecc. La distinzione dei metodi adottati per attuare queste diverse pratiche di coltivazione è quasi sempre evidente a livello macroscopico e teorico mentre, almeno in parte,

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è oggetto di interpretazione personale nell'applicazione pratica della teoria. Oltre a questo, è importante rilevare come nel tempo si siano sviluppati diversi modi di fare agricoltura in risposta all'esigenza di raggiungere obbiettivi almeno parzialmente diversi. Una delle formule di coltivazione più diffuse ma anche più discusse a livello mondiale è quella dell'agricoltura convenzionale intensiva. Questo tipo di agricoltura “mette in atto processi biologici in grado di produrre, nel modo più razionale, efficiente e conveniente, beni primari richiesti dal mercato”. Per raggiungere tale obbiettivo viene però “impiegato ogni strumento che la scienza agronomica mette a disposizione: macchine, concimi, diserbanti, antiparassitari eccetera” 4 . Con l’unico intento di massimizzare la quantità di prodotto coltivato, non è priorità dell'agricoltura intensiva tutelare l'ambiente biologico che gravita intorno al suolo agrario; è inoltre messa in secondo piano la qualità e la sanità del prodotto.

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A proposito dell’impatto che ha l’agricoltura tradizionale sull’ambiente si esprime l'agronomo Shivaji Pandey 5 , durante il IV congresso mondiale di agricoltura conservativa, rilevando che i metodi agricoli intensivi spesso hanno contribuito a danneggiare l'ambiente, causandone un calo di produttività. Per aumentare al massimo le produzioni in molte parti del mondo i contadini hanno arato il terreno in eccesso e fatto un uso eccessivo di acqua: ciò ha avuto conseguenze negative sull'equilibrio del suolo, dell'acqua, della terra, della biodiversità e su tutti i servizi offerti dagli ecosistemi, causando un graduale ma progressivo calo dei rendimenti. Parallelamente ai danni causati da una poco lungimirante gestione del suolo e della risorsa idrica, altri problemi diventati nel tempo sempre più evidenti sono quelli dovuti alla fertilizzazione: come ci spiega Pignatti6 già nel 1995, l'azoto fornito attraverso concimi minerali di sintesi oltre ad essere costoso in termini energetici ed economici, produce scompensi all'interno della flora del suolo causando una imponente riduzione delle specie

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presenti nel cotico; una continua asportazione di biomassa dal suolo, principalmente nelle coltivazioni foraggere intensive, riduce drasticamente la quantità di certi elementi minerali, fondamentali per le colture. In aggiunta a questo, la concimazione azotata minerale è anche causa di forte impatto ambientale per quanto riguarda la qualità delle acque. Sul problema dei fertilizzanti è emblematico un studio7 compiuto negli Stati Uniti dove è stato calcolato che sono usate circa 16 milioni di tonnellate di fertilizzanti e 226 milioni di kg di pesticidi per incrementare la produttività del terreno coltivato ogni anno. Anche se queste sostanze hanno aumentato la quantità di prodotto raccolto nei campi, gli effetti negativi che hanno sull'ambiente stanno minando la sostenibilità di queste pratiche: oggi i costi ambientali e sociali associati all'uso di pesticidi si stima raggiungano 850 milioni di dollari all'anno solo negli Stati Uniti8. In risposta ai frequenti problemi ambientali a cui portano queste pratiche agricole sono nati nel tempo diversi metodi di fare agricoltura che non hanno come unico

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obbiettivo quello dello sfruttamento del suolo per ottenerne il massimo prodotto ma affiancano alle esigenze produttive una più oculata gestione delle risorse naturali e una salvaguardia dell'ecosistema e della biodiversità. Ci si propone nel prossimo capitolo di compiere un excursus proprio attraverso queste principali tipologie di agricoltura sostenibile, che sono nate e si sono diffuse nel mondo a partire dall'inizio del XX secolo. Nello specifico (Fig. 1), andremo ad analizzare, in ordine di genesi, l'agricoltura biologica, l'agricoltura biodinamica,

l’agricoltura

naturale

e

l’agricoltura

conservativa per poi soffermarci, nei capitoli successivi, sull’agricoltura sinergica, che tra tutte quelle proposte è la più recente.

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Figura 1 _ Nascita dei diversi tipi di agricoltura sostenibile.

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CAPITOLO 2. TIPOLOGIE DI AGRICOLTURA SOSTENIBILE L’agricoltura sostenibile racchiude al suo interno un elevato numero di modi diversi di fare agricoltura, tra loro spesso eterogenei ma tutti accomunati dalla volontà di voler utilizzare pratiche agricole sostenibili. Questo termine è utilizzato in riferimento all’ambiente che ospita l’appezzamento di terra coltivato: si cerca di lavorare evitando di arrecare danni sia al suolo sia all’ambiente che occupa. Particolare attenzione viene data a tre elementi ritenuti essere fondamentali e messi come abbiamo visto in costante pericolo dalle pratiche agricole tradizionali: la fertilità del suolo, la biodiversità, la qualità della produzione. Per conseguire questi ed altri obbiettivi si sono differenziati nel tempo e nello spazio diverse correnti di pensiero, diversi modus operandi paralleli che utilizzando strade diverse cercano di raggiungere simili risultati.

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2.1 Agricoltura Biologica L’agricoltura biologica9 si è ispirata a svariate correnti di pensiero tra le quali vale la pena riportare il metodo Rush-Muller, sviluppato in Svizzera; l’organic farming, nato in Inghilterra dalle teorie di Sir Howard; l'agricoltura biodinamica, comparsa in Germania su ispirazione di Rudolf Steiner. L’agricoltura biologica estrapola da questi metodi alternativi di produzione alcuni concetti fondamentali al fine di perseguire diversi obiettivi: la produzione di alimenti di alta qualità sia sotto il profilo della sicurezza alimentare sia per l'aspetto attinente la qualità chimica degli alimenti; la riduzione dell'impatto

ambientale

dei

sistemi

agricoli;

la

costituzione di un’azienda agricola il più possibile vicina ad un’idea di "sistema chiuso", con particolare attenzione al riciclo della sostanza organica e degli elementi nutritivi; la valorizzazione degli effetti benefici determinati dalla presenza di microrganismi, flora e fauna del suolo, piante e animali utili; il mantenimento della

diversità

genetica

del 22

sistema

agricolo

e


dell'ambiente circostante; la manipolazione dei prodotti agricoli, con particolare attenzione ai metodi di trasformazione, per mantenere l'integrità biologica e le qualità essenziali del prodotto in tutte le varie fasi. Nel 1972 a Versailles viene fondata la “Federazione internazionale

dei

movimenti

per

l'agricoltura

biologica” (IFOAM), organizzazione da cui derivano le indicazioni in base a cui sono state elaborate le successive normative che regolano la coltivazione biologica dei principali Stati. La IFOAM definisce agricoltura biologica come “Tutti i sistemi agricoli che promuovono la produzione di alimenti e fibre in modo sano socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale. Questi sistemi hanno come base della capacità produttiva la fertilità intrinseca del suolo e, nel rispetto della natura delle piante degli animali e del paesaggio,

ottimizzano

interdipendenti.

tutti

L’agricoltura

questi

fattori

biologica

riduce

drasticamente l’impiego di input esterni attraverso l’esclusione di fertilizzanti, pesticidi e medicinali chimici di sintesi. Al contrario, utilizza la forza delle

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leggi naturali per aumentare le rese e la resistenza alle malattie.”10 Questo tipo di agricoltura ha attecchito in Italia a partire dal

1980

in

risposta

ad

un

sistema

colturale

convenzionale e intensivo che da una parte “ancora oggi è quello che maggiormente contribuisce a soddisfare le richieste dei mercati ma sempre di più sta arrecando problemi di carattere ambientale ed alimentare, a seguito dell'impiego di dosi eccessive di agrochimici e di concimi, con possibilità di squilibrio dell'ecosistema”11. In Europa l'agricoltura biologica viene disciplinata a partire dal 1991 dai regolamenti CEE n°2092/91 e n°473/2002, aggiornati dal n°834/2007, che individuano le tecniche ed i mezzi di produzione ammessi 12 . È importante rilevare l’obbligo per l'agricoltore biologico di sottostare a tali regolamenti nazionali ed europei, che sanciscono i limiti entro i quali egli deve muoversi per poter vendere il suo prodotto, tutelato da un marchio di garanzia. Questo vuol dire che i prodotti biologici prima di essere commercializzati come tali devono essere controllati e certificati durante tutto il ciclo di

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produzione da uno degli organismi autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ed accreditati in base alla norma UNI EN 4501. Questo controllo si esercita e si giustifica per garantire la qualità del prodotto ai consumatori. Le produzioni leggermente minori che si riscontrano nell'agricoltura biologica rispetto a quella tradizionale13 sono compensate da un più alto valore commerciale del prodotto sia per la minore presenza di residui tossici al suo interno, sia spesso per l'impiego di varietà autoctone con alte qualità organolettiche ma capaci di rese inferiori, senza dimenticarsi dei costi scaturiti dalla maggiore tutela degli ecosistemi adottata da un'azienda che segue questo tipo di agricoltura. Come conferma di queste parole citiamo qui due diversi studi

che

mettono

a

confronto

l'agricoltura

convenzionale con quella biologica: il primo in merito alla salubrità dei prodotti, il secondo in merito alla sostenibilità ambientale. L'articolo scientifico “Are Organic Foods Safer or Healthier Than Conventional Alternatives?”14 compara il livello di nutrienti e agenti

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contaminanti tra cibo biologico e cibo convenzionale compiendo studi su 17 persone e analisi di nutrienti e contaminanti su 223 diversi alimenti. Viene riscontrata una differenza non tanto sui nutrienti quanto sui residui di pesticidi (più bassi del 30% in quelli biologici) e sui batteri resistenti agli antibiotici (rischio di presenza di batteri resistenti più alto del 33% nei prodotti convenzionali). Come secondo esempio, riportiamo uno studio in cui l’agricoltura biologica si dimostra effettivamente più sostenibile per l’ambiente: l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra)

15

ha

pubblicato nel 2005 un rapporto che mette in evidenza come essa prevalichi l'agricoltura convenzionale nel bilancio dei gas serra e qualità delle acque, rilevando una particolare attenzione per la biodiversità: nel confronto il numero delle specie vegetali spontanee registrate è doppio, mentre si nota un aumento consistente di quelle animali. L’agricoltura biologica (organic farming) è oggi ormai diffusa in tutto il mondo: uno studio compiuto nel 2008 e

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pubblicato nel 201016 considerava più di 30.4 milioni di ettari coltivati secondo le regole dell’agricoltura biologica; tra questi, i continenti con la superficie dedicata più estesa sono l’Australia/Oceania (12.38 milioni di ettari) e l’Europa (7.38 milioni di ettari). Da rilevare come l’Italia sia il quinto stato con la maggior superficie coltivata con metodi biologici (1,1 mln ha) dopo Australia (12,3 mln ha), Cina (2,3 mln ha), Argentina (2,2 mln ha) e USA (1,6 mln ha). Nonostante questi numeri possano apparire a prima vista molto grandi, si tratta effettivamente di metodi di coltivazione

che,

nonostante

la

loro

importanza

ambientale ed ecologica, rimangono secondari se si tiene conto della superficie coltivata totale: è stato infatti stimato che costituiscano appena lo 0,65% della superficie totale coltivata.

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2.2 Agricoltura Biodinamica Questo particolarissimo tipo di agricoltura si sviluppa in un contesto e in un tempo ben definito. L’agricoltura biodinamica nasce in seno ad un più ampio movimento spirituale e filosofico a cui è dato il nome di antroposofia, creato grazie agli studi e al lavoro che Rudolf Steiner porta avanti a partire dal 1913. Si può affermare con sicurezza che l’agricoltura biodinamica17, per prima, sia stata in grado di aggregare coltivatori e allevatori aderenti ad un più ampio movimento culturale, dando loro precise direttive e creando un’organizzazione capace di innescare nel tempo occasione di comunicazione e scambio reciproco. La nascita dell’agricoltura biodinamica18 avviene tra il 7 e l’11 giugno del 1924 a Koberwitz, presso Bratislawa, attraverso un ciclo di otto conferenze tenute da Steiner a 111 persone, principalmente agricoltori. Da queste conferenze e da un’ulteriore relazione tenuta a Dornach il 20 giugno 1924 sarà poi scritto il libro “Impulsi Scientifico-Spirituali per il Progresso dell’Agricoltura”,

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documento essenziale in cui poter apprendere i concetti e mettere in pratica l’interpretazione dell’agricoltura interpretata in chiave antroposofica. Proprio da questo libro sono tratte la maggior parte delle informazioni qui riportate, in quanto ancora oggi rappresenta l’opera principale nella definizione stretta delle regole da adottare per una coltivazione o un allevamento che rispecchi i principi dell’antroposofia. L’agricoltura biodinamica si presenta in forte antitesi rispetto all’agricoltura

tradizionale:

rifiuta

il

progresso

scientifico e tecnologico in nome di un approccio olistico: l’azienda agricola viene vista come un organismo, immersa in un più ampio schema di flussi cosmici. Steiner vede nella società odierna, “soprattutto in materia economica e culturale, un sempre maggiore carattere distruttivo che nel tempo sta affliggendo l’agricoltura in maniera sempre più grave” 19 ponendo contro questa tendenza l’agricoltura biodinamica e più in generale tutto il movimento antroposofico. Vede inoltre l’umanità intera davanti ad un bivio, una scelta: “di

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tornare a imparare in tutti i campi, partendo dall’intero contesto naturale, dall’intero contesto storico, oppure portare alla degenerazione, alla morte, sia la vita dell’uomo sia la natura”20. Su queste basi di pensiero sono specificati dal filosofo una serie di principi sia pratici che teorici che filosofici volti a creare un saldo legame ed un profondo rispetto tra l’azienda agricola biodinamica, l’ambiente naturale e l’uomo: si ricerca un modello di sostenibilità che sia elemento fondamentale per il benessere quotidiano dell’uomo prima ancora di diventare

una

necessità

ambientale

scaturita

da

alterazioni antropiche. Una delle caratteristiche chiave che deve possedere l’azienda biodinamica è quella di mirare a diventare il più possibile autosufficiente in ogni suo aspetto. È spiegato durante la seconda conferenza: “Un’azienda agricola si realizza nel miglior senso della parola se può venir concepita come una specie di individualità a sé stante, come un’individualità conchiusa in se stessa. Ogni azienda dovrebbe avvicinarsi nella massima misura possibile a questa condizione. […] Ciò significa che si

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deve avere la possibilità di trovare in seno all’azienda quanto è necessario per il suo funzionamento”21. Questa necessità è sottolineata più volte da Steiner ed è facile associarla, come vedremo, all’agricoltura naturale e sinergica. Altra caratteristica comune con i metodi di coltivazione naturali e sinergici è l’ottenimento, attraverso il lavoro del contadino e a suo diretto beneficio, di una serenità ed un appagamento interiore che scaturisce naturalmente nella successione delle mansioni svolte durante il corso dell’anno, se esse seguono un ciclo naturale. Scrive Steiner: “È importante che i prodotti raggiungano l’uomo per aiutarlo nella sua esistenza. Si può coltivare frutta dall’aspetto bellissimo, sia nei campi che nel frutteto, ma l’uomo ne avrà forse soltanto un mero riempimento dello stomaco, non avrà frutta che favorisca organicamente la sua esistenza interiore. Purtroppo oggi la scienza non è capace di giungere fino al punto di darci il miglior genere di nutrimento per il nostro organismo, perché non trova affatto la via che può condurre a questa meta”22.

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Se da una parte, come abbiamo visto, si possono trovare alcuni punti in comune con altri tipi di agricoltura sostenibile, il lavoro dell’agricoltore biodinamico è comunque

radicalmente

messo

in

discussione

e

rielaborato: vengono create pratiche agricole che seguono logiche radicalmente diverse rispetto a quelle tradizionali. Steiner pone come elementi fondamentali ignorati dalla nostra società le “forze cosmiche” o “forze naturali” che a suo dire hanno enorme incidenza su tutta la natura terrestre e che devono essere per questo motivo prese in considerazione. Come specifica in chiusura del ciclo di conferenze: “Non si tratta certo di tornare agli antichi istinti, ma di attingere da una conoscenza spirituale più profonda quel che l’istinto, divenuto malsicuro, potrà dare sempre meno. Perciò è necessario osservare più ampliamente la vita delle piante, degli animali e della terra stessa, osservare i fenomeni fin nel loro aspetto cosmico”23. Si parla dell’azione di Mercurio, Venere, Luna, Marte, Giove, Saturno e Sole che in vari momenti dell’anno riescono a modificare i flussi energetici della terra, delle

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piante e degli animali, determinando in questo modo la successione dei lavori che l’agricoltore dovrà eseguire per ottenere un buon raccolto in armonia con l’ambiente in cui lavora. Ampio spazio è dedicato anche ai minerali e ad alcuni elementi chimici, alla loro funzione nel suolo e alla loro importante

relazione

con

le

forze

dei

pianeti.

Rimandando ad una attenta lettura del libro per maggiori approfondimenti, per comprendere meglio i principi alla base di questo particolare modo di coltivare verrà qui di seguito esemplificato come dovrebbe essere trattato un elemento ritenuto fondamentale dalla biodinamica: il silicio. È data grandissima importanza alla sostanza silicea, combinata in tutte le sue forme, sia perché appare come elemento preponderante del suolo (secondo elemento chimico più abbondante sia nella crosta terrestre con 277000 mg/Kg sia nel suolo con 310000 mg/kg 24 ) sia per la sua capacità di aggregarsi alle molecole. Viene spiegato che tutte le forme organiche25 in cui si ritrova l’elemento silicico hanno una forza che non proviene dalla Terra, ma dai pianeti esterni Marte,

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Giove e Saturno: ciò che emana da questi pianeti agisce sulla vita delle piante attraverso la silice ed i suoi affini. Per contrapposto i pianeti interni Luna, Mercurio, Venere riescono ad influire sulla vita attraverso i calcari. Si forma così una dualità di forze nei pianeti che si rispecchia sulla Terra nella contrapposizione tra elemento silicico ed elemento calcareo. Steiner si spinge ancora oltre, andando a connotare il discorso in maniera quasi esoterica: “L’elemento silicico apre l’essere della pianta verso le ampiezze cosmiche e ne stimola i sensi in modo da renderlo capace di accogliere dalla periferia cosmica quel che plasmando emanano i pianeti esterni; vi partecipano Marte, Giove e Saturno”26. Il silicio è trattato in maniera specifica anche durante la quarta conferenza che più di tutte si occupa degli aspetti della concimazione del suolo agrario. Vengono indicati due preparati che dovranno essere nebulizzati sul campo in dosi piccolissime, omeopatiche, ma che grazie alla loro grande “concentrazione di forze astrali ed eteriche” basteranno a garantire, insieme allo spargimento del composto, un’adeguata fertilizzazione

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del terreno. La silice partecipa quindi come ingrediente principale nel preparato 501, chiamato anche CornoSilice (Fig. 2). Esso è ottenuto attraverso il riempimento di un corno di vacca con silice macinata molto finemente, lasciato sotto terra durante il periodo estivo: basterà diluire pochissima quantità di questo preparato in un secchio d’acqua per fertilizzare una superficie di circa 1200 mq.

Figura 2_Elementi principali del 'Preparato 501' Immagine tratta da Biologicodinamico 27

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L’agricoltura biodinamica è stata per lungo tempo (ed in parte è tutt’ora) denigrata dalla comunità scientifica in quanto ritenuta priva di basi oggettivamente valide e di sperimentazioni scientifiche che comprovassero la veridicità delle teorie proposte. Nonostante questo, è stato scientificamente dimostrato28 come i suoi preparati abbiano effetti positivi su biodiversità, qualità del suolo e quantità di prodotto raccolto; sempre riguardo i preparati biodinamici, è stato inoltre riscontrato un impatto ambientale positivo per quanto riguarda la loro efficienza ed energia. L’agricoltura biodinamica appare tutt’ora come una realtà consolidata, forte di 4200 aziende presenti su 43 diverse nazioni per una superficie coltivata totale di 128000 ettari 29 . Oltre a questo, conseguentemente al numero crescente di agricoltori, già nel 1927 è stata fondata un’organizzazione che potesse riuscire a mediare tra i produttori e i consumatori, creando

un

marchio

brevettato

per

i

prodotti

biodinamici. Compito di questa organizzazione (e delle altre nate con uguali obiettivi in altre nazioni) consiste nel registrare, rendere accessibili, vigilare la qualità e

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conformità dei prodotti, mediare con le industrie elaboratrici.

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2.3 Agricoltura Naturale Agricoltura naturale è il nome che trova Masanobu Fukuoka per le tecniche di coltivazione messe in atto nel suo podere a Iyo, nella prefettura di Ehime in Giappone, a partire dall'anno 1938. Come spiega nel suo libro La Rivoluzione del Filo di Paglia, Fukuoka mette profondamente in discussione le pratiche agricole tradizionali della lavorazione del suolo optando invece per un metodo di agricoltura che riuscisse in qualche modo ad avvicinarsi il più possibile alle condizioni di natura selvaggia, mai influenzata dalla mano dell'uomo. Perseguendo questa idea, elabora un metodo che lui stesso chiama del non fare30, volendo in questo

modo

porre

l'attenzione

sulla

semplicità

comparativa delle pratiche adottate rispetto ad altri metodi: Fukuoka cerca infatti di coltivare nel modo più semplice possibile all'interno e in cooperazione con l'ambiente

naturale,

contrariamente

alla

tendenza

moderna di utilizzare tecniche sempre più complesse per

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ricostruire un ambiente che possa ospitare con successo le piante coltivate31. Non esistono ancora specifiche prove scientifiche volte a dimostrare in maniera inconfutabile ciò che Fukuoka racconta nei suoi libri e sperimenta nei suoi campi: tutto quello che ci tramanda è dato dall'esperienza delle sue parole e delle molte persone che hanno visitato il suo podere. Oltre a questo, esistono però molte prove a posteriori: ricerche portate avanti nei decenni successivi alle sue intuizioni che sicuramente in parte provano ciò che lui dimostrava attraverso l’esperienza empirica. Proprio queste conferme, arrivate successivamente ai suoi insegnamenti, fanno di lui un precursore di una tipologia di agricoltura di cui si sente grandemente il bisogno in questi anni, non solo per tutelare la natura e il paesaggio che ci circonda ma anche, cambiando il modo di coltivare il nostro cibo, per riuscire a riscattare la società e non dimenticare i nostri valori. Scrive Wendell Berry in prefazione al libro di Fukuoka: “Un'agricoltura completa nutre l'intera persona, corpo e anima. Non si vive di solo pane”. Si cerca quindi di insegnare al lettore

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che per risolvere i problemi che affliggono il pianeta non basta ricercare le migliori pratiche agricole, i semi più produttivi, le tecniche più efficienti, ma ci si deve sforzare al contempo di adattare il nostro stile di vita ai principi della natura come obiettivo, senza che questo venga visto come un regresso. Come è in parte per l’agricoltura Biodinamica, anche l’agricoltura naturale promuove, insieme ad un modello di coltivazione sostenibile per l’ambiente, un modello altrettanto sostenibile di vita. Dalle sue esperienze dirette Fukuoka riesce ad elaborare quattro “pilastri”, quattro regole che lui ci indica come fondamentali

se

si

vogliono

seguire

i

principi

dell'agricoltura naturale nel rispetto dell'ecosistema. Il fine ultimo che si vuole perseguire adottando queste regole è quello di ricreare un agroecosistema in equilibrio, in cui cioè le varie specie di piante, insetti, microrganismi e funghi mantengono tra loro dei rapporti stabili: si cerca di rendere l'ambiente in più possibile complesso e differenziato da un punto di vista biologico.

40


Attraverso il raggiungimento di questi obiettivi, Fukuoka riesce a creare un’azienda agricola che non ha costante bisogno di un intervento umano all’interno dei campi coltivati: viene esercitato un automatico controllo naturale sulle popolazioni di insetti, patogeni e piante infestanti che permette di evitare l'uso di pesticidi e diserbanti. Come sarà verificato 32 alcuni decenni più tardi, le conseguenze di una riduzione di biodiversità vegetale portano effettivamente ad un incremento di malattie delle piante e a una più difficile gestione delle stesse. In California, Mary Louise Flint e Philip Roberts hanno portato avanti vari studi33 che dimostrano varie teorie elaborate da Fukuoka. Documentano infatti come la diffusione della maggior parte delle malattie vegetali collegate agli insetti sia collegata all'espansione delle monocolture a discapito degli ecosistemi locali e che è effettivamente possibile utilizzare con successo la rotazione delle colture per controllare determinate malattie, piante infestanti, patogeni e nematodi. Viene provato che la rotazione delle colture ha un’importante

41


azione benefica nel controllo dei nematodi mentre altri agenti patogeni, provenienti da aree limitrofe, possono essere arginati modificando le pratiche o gli schemi di crescita. È stato dimostrato che coltivare diversi tipi di ortaggi in un unico campo limita il numero di malattie delle piante senza dover utilizzare pesticidi, pur notando come questo particolare approccio alla coltivazione non sia quasi mai adottato dagli agricoltori californiani. Riportiamo di seguito le quattro regole34 indicate come i pilastri dell'agricoltura naturale: a) ”Nessuna lavorazione” Fukuoka osserva come sia di fondamentale importanza evitare di sconvolgere gli strati del terreno, asserendo che

per

garantire

una

adeguata

lavorazione

ed

ossigenazione del suolo basta il lavoro compiuto dalla penetrazione delle radici delle piante e l'attività dei piccoli animali, dei lombrichi e dei microrganismi. b) “Nessun concime chimico né composto preparato” Attraverso l’uso di pratiche agricole sbagliate il suolo inevitabilmente ne uscirà impoverito e annualmente dovranno essere integrate le sostanze nutritive essenziali.

42


Al contrario, lasciato a se stesso, il suolo riesce a conservare

la

propria

fertilità

come

succede

spontaneamente in natura. c) ”Nessun diserbo, né con l'erpice né coi diserbanti” Le piante comunemente definite malerbe hanno invece un importante ruolo nella costruzione della fertilità del suolo e nell'equilibrio della comunità biologica: la consociazione coltivata deve essere tale da controllare le erbe infestanti senza eliminarle. d) ”Nessuna dipendenza dai prodotti chimici” In seguito a pratiche innaturali come la fertilizzazione e l'aratura si creano forti squilibri che portano nel terreno coltivato agenti patogeni e insetti nocivi alle piante. All'interno di un sistema in equilibrio insetti e microrganismi dannosi saranno comunque presenti ma non riusciranno a prendere il sopravvento al punto da rendere necessario un intervento di difesa chimica da parte dell'uomo. Tra

le

varie

tecniche

e

coltivazioni

che

sono

sperimentate da Fukuoka, ve n'è una che ha un

43


particolare successo e che nel tempo è stata da lui perfezionata così tanto da arrivare ad eguagliare e superare le produzioni di un campo coltivato con metodi convenzionali:

si

tratta

del

ciclo

annuale

della

coltivazione di riso succeduto al cereale invernale. Questi due ortaggi sono coltivati appunto in successione, senza dover ricorrere a fertilizzanti, siano essi concimi, ammendanti o correttivi. Oltre a questo, non viene mai sconvolta la naturale stratificazione del suolo con arature o rimescolamento del terreno, limitando l'impegno dell'agricoltore quasi esclusivamente al lavoro di semina e mietitura. Il metodo 35 prevede una semina contemporanea, ad inizio ottobre, di semi di trifoglio bianco (Trifolium repens) con una varietà di cereale invernale a rapida crescita. Questa semina deve essere compiuta quando il riso è ancora presente in campo e si trova in fase di maturazione. Prima che il riso sia pronto per essere raccolto, il cereale invernale, così come il trifoglio, saranno

cresciuti

abbastanza

da

resistere

al

calpestamento e alle operazioni di raccolta del riso

44


maturo. Successivamente, tra il mese di novembre e il mese di dicembre, si procede a riseminare il riso, dopo averlo confettato con uno strato di argilla, così che sia protetto dall'azione predatrice di uccelli ed insetti. Dopo la raccolta del cereale invernale (Fig. 3), che avviene nel mese di marzo, Fukuoka allaga il campo per circa 7-10 giorni: le piante infestanti ed il trifoglio ne usciranno molto indebolite, a favore del riso che invece inizierà a prendere vigore e a prevalere sulle altre specie presenti. L'irrigazione nei mesi estivi è garantita dal passaggio periodico di acqua per scorrimento fino al ritorno delle piogge autunnali e alla ripartenza del ciclo colturale. È importante notare che Fukuoka sparge sul campo coltivato tutta la paglia di riso e cereale che raccoglie durante la mietitura utilizzando come unico fertilizzante un po’ di pollina distribuita verso la fine dell'anno allo scopo di agevolare la decomposizione della paglia: è così restituita al terreno quanta più sostanza organica possibile in modo da creare uno strato ricco di humus in superficie atto a preservarne la fertilità.

45


Figura 3_Dominanza del trifoglio dopo il taglio del cereale, prima di allagare il campo in favore del riso.

Fukuoka insiste molto sulla coltivazione della terra riutilizzando tutta la paglia del riso e dei cereali, descrivendo in maniera accurata i benefici che derivano dall'adozione di questa pratica. Ci insegna che essa serve ad arricchire la terra di humus, a proteggere il suolo dalla pioggia conservandone la struttura, a escludere i semi dalla predazione dell’avifauna. È quindi “La chiave di volta di tutto, della fertilità, della germinazione, del controllo delle erbacce, della protezione dai passeri, della regimazione dell'acqua.” 36 Ancora una volta non vengono fornite al lettore prove accreditate a sostegno di questa teoria, che vanno quindi ricercate altrove. Una ricerca 37 compiuta nel 1996 dimostra come una copertura del terreno con sostanza organica contribuisca

46


ad incrementare sia la fertilità del suolo sia la produttività del vegetale coltivato. Vengono sperimentati due diversi tipi di coperture vegetali (in inglese cover crops): la prima copertura è costituita da una specie annuale seminata in tarda estate (così che possa terminare

all'inizio

della

primavera

prima

della

piantagione vera e propria), la seconda copertura è costituita da piante perenni o annuali in grado di riseminarsi autonomamente e che crescono durante una parte o tutta la stagione agricola. Oltre ad essere rilevato come i residui vegetali lasciati sul terreno aiutino, dopo l'inverno, il controllo delle erbe infestanti, il contributo maggiore delle cover crops al sistema agricolo risiede nel fatto di fornire una protezione del suolo a lungo termine,

così

come

un

aumento

della

fertilità

particolarmente significativo sui suoli a rischio di erosione. Studi più recenti38 si sono soffermati ad analizzare il quantitativo di azoto rilasciato dalle colture seminate in copertura,

indagando

inoltre

i

loro

tempi

di

decomposizione all’interno di un campo certificato

47


biologico. L’analisi comparata dei dati rilevati su soia (Glycine max), trifoglio rosso (Trifolium pratense) e trifoglio bianco (Trifolium repens) ha riportato che è la soia a cedere al terreno le più alte percentuali di azoto, mentre tutte e tre le specie hanno una rapida decomposizione, caratteristica che le rende comunque utilizzabili come piante da cover crops. Un'altra conferma si riscontra all'interno di un articolo39 che ha come oggetto di studio la sostenibilità agricola e le pratiche di produzione intensive: anche qui le coperture vegetali (così come una terra poco lavorata) vengono identificate come essenziali per ridurre le perdite di minerali per erosione, lisciviazione e volatilizzazione oltre a contribuire ad aumentare l'efficienza di assorbimento dei nutrienti aiutando a mantenere e ripristinare la fertilità del terreno. Come già abbiamo accennato e come si evince da ciò che fino ad ora è stato scritto sull'agricoltura naturale, l'importanza dell'esperienza che ci porta Fukuoka è fondamentale: egli è stato tra i primi sperimentatori e promotori di tecniche agricole che non prevedessero la

48


lavorazione del suolo, tecniche che oggi sono in piena fase di sviluppo e di ricerca risultando essere sempre più compatibili con una gestione sostenibile del terreno, dell'azienda agricola e del territorio in cui essa si insedia. L'agricoltura naturale, negli anni successivi alla sua divulgazione,

verrà

utilizzata

come

principale

ispirazione e punto di partenza per la messa a punto di altri due importanti metodi di gestione del suolo agricolo:

l'agricoltura

Conservativa

Sinergica.

49

e

l'agricoltura


2.4 Agricoltura Conservativa Si incomincia a parlare di Agricoltura Conservativa verso la fine degli anni trenta in nord America, ancora una volta per cercare soluzioni definitive a pratiche agricole che stavano azzerando la fertilità del suolo nelle grandi praterie coltivate a cereali. Il problema principale che si voleva risolvere in questo caso40 era la grande quantità di particelle di suolo erose dal vento: si era innescato un fenomeno conosciuto con il nome di Dust Bowl. Come viene spiegato nel libro Dust Bowl: The Southern Plains in the 1930s di Donald Worster, le tempeste di sabbia sono un fenomeno creato nell’arco di soli 50 anni negli Stati Uniti centrali che cominciò a manifestarsi all’inizio del terzo decennio del 1900 in un’area vastissima che occupò 10 stati tra cui, maggiormente colpiti, Texas, Oklahoma, New Mexico, Colorado e Kansas. A causa delle sconsiderate lavorazioni e arature profonde eseguite sul terreno, venne rimosso in breve tempo lo strato umico presente sulla superficie del profilo e portato alla luce lo strato

50


argilloso sottostante. Bastò qualche anno di siccità a compromettere in maniera irreversibile l’ecosistema di queste praterie e determinare un’erosione eolica che già nel 1938 causò una perdita di suolo fertile di almeno 12 cm su una superficie di 4 milioni di ettari e 6 cm di suolo su altri 5,4 milioni di ettari, con una perdita di terra stimata intorno ad ottocentocinquanta milioni di tonnellate all’anno. Alla luce di queste problematiche, venne quindi proposto di ridurre in maniera consistente la lavorazione del terreno per limitare al massimo l’esposizione diretta del suolo nudo agli agenti atmosferici. Nacque così l'agricoltura conservativa 41 che, come ci suggerisce il nome, è focalizzata principalmente sulla conservazione della fertilità del suolo attraverso un mantenimento della sostanza organica e degli organismi viventi che lo abitano; attraverso un controllo dell'erosione e del compattamento; attraverso una gestione oculata delle risorse naturali impiegate per coltivarlo e mantenerlo. Questo tipo di agricoltura trova un riconoscimento su scala mondiale alla fine del XX secolo estendendosi

51


progressivamente su superfici sempre più estese: arriva ad occupare globalmente circa 95 milioni di ettari nel 2007 42 fino agli attuali 120 milioni 43 . In Europa attualmente 30 milioni44 di ettari sono sfruttati seguendo queste tecniche. L’agricoltura

conservativa

45

non

è

focalizzata

unicamente alla protezione del suolo agrario ma anche verso una gestione oculata di tutte le risorse che gravitano

intorno

alla

produzione

agricola:

conservazione delle risorse idriche e riduzione dei costi di produzione sono elementi di primaria importanza. Queste esigenze non mirano a mettere in discussione l’intero modello produttivo tipico delle coltivazioni agricole convenzionali: si cerca sempre di lavorare grandi appezzamenti al fine di trarre il maggior profitto dalla produzione e soddisfare un’ampia richiesta di risorse sviluppando però, parallelamente a questa necessità

46

, una serie di tecnologie collegate ai

macchinari di produzione che permettano all’agricoltore di lavorare ampi appezzamenti di terreno senza rischiare danni alla fertilità e all’ambiente. A questo scopo tipiche

52


consuetudini sono l’utilizzo, come concime, di una consistente massa di sostanza organica derivante dalla coltura precedente e, più di tutto, la messa a punto di macchine seminatrici in grado di operare con successo su sodo non lavorato dando così all’agricoltore un’alternativa concorrenziale alla semina effettuata sul terreno arato. Lo sviluppo di particolari tecnologie ha quindi permesso di ridurre l’impatto che le tradizionali lavorazioni avevano sul terreno coltivato senza dover rinunciare alle macchine agricole: questo aspetto è di primaria importanza e differenzia l’agricoltura conservativa da altri tipi di agricoltura, a partire da quella naturale che prevede come linea di principio una produzione non meccanizzata e di conseguenza effettuata su spazi relativamente ridotti rispetto a quelli potenzialmente coltivabili utilizzando macchinari agricoli. A titolo esemplificativo di quanto detto, è riportato un esempio concreto su come si cerca di individuare e risolvere il problema della compattazione del terreno utilizzando macchinari alternativi a quelli tipicamente

53


usati per le lavorazioni tradizionali (aratura e fresatura). Quella della compattazione del terreno è una tematica molto complessa che porta a una perdita di fertilità a causa principalmente di tre diversi tipi di problemi. Il primo di questi47 è dovuto ad una scarsa areazione del suolo e scarso scambio gassoso con l’atmosfera: si innescano nella microflora processi di respirazione anaerobica che portano ad un consumo di sostanza organica chiamati torbificazione e nitrificazione che, nel ciclo dell’azoto, si traducono in una degradazione dei composti azotati stabili nel terreno in composti aerei che si disperdono nell’atmosfera. Il secondo problema48 è dovuto invece ad una riduzione del volume dei vuoti del terreno che durante prolungati fenomeni piovosi si traduce

in

una

minore

capacità

del

suolo

di

immagazzinare acqua49; come conseguenza si verificano ristagni idrici che sono in grado di allentare la coesione dei colloidi argillosi favorendone la dispersione. La compattazione

50

va infine a ridurre lo spazio a

disposizione dell’apparato radicale delle piante coltivate compromettendo l’assorbimento di acqua e di minerali e

54


determinando

un

calo

della

produzione

o

una

deformazione dell’apparato radicale. Una

prima

proposta

per

ridurre

i

danni

da

compattamento consiste in una riduzione della forza peso esercitata sul suolo dal veicolo preposto alla sua lavorazione. Questo obiettivo è raggiunto attraverso una migliore distribuzione dei carichi a terra: possono essere utilizzate macchine semoventi o motrici dotate di ruote gemellate; con pneumatici larghi a bassa pressione; cingoli (Fig. 4). Incrementando la superficie di contatto tra il macchinario e il suolo attraverso l’utilizzo di pneumatici più larghi, a parità di carico verrà esercitata sull’unità di suolo una pressione più bassa. Oltre

a

questo,

esistono

attrezzature

volte

specificatamente a risolvere i problemi che portano ad una eccessiva compattazione, che talvolta può accadere utilizzando tecniche di non-lavorazione su terreni particolarmente pensanti o in zone del campo agricolo dove è particolarmente frequente il transito dei mezzi. Si dovranno utilizzare

51

in questi casi i cosiddetti

arieggiatori, macchinari in grado di produrre aperture

55


nel terreno senza sconvolgere gli strati del profilo.

Figura 4_Trattrice con ruote gemellate e trattrice con cingoli.

Ne esistono due principali tipologie: la prima provoca fessurazioni, perpendicolari o inclinate rispetto alla superficie, la seconda incide dei fori. Alla prima tipologia appartengono i Verticut (Fig. 5), costituiti da

56


Â

una serie di lame triangolari di altezza minore di 30 cm e saldate radialmente ad un albero orizzontale rotante, e i Paraplow, costituiti da un coltro a disco, un piccolo vomere e un versoio, capaci di incidere il terreno provocandone contemporaneamente un sollevamento. Alla seconda tipologia appartengono le macchine forconatrici o bucatrici, composte da una serie di punte piene

(diametro

massimo

20mm)

che

penetrano

verticalmente nel terreno e provocando attraverso una rotazione la sua rottura e sollevamento.

Figura 5 _ Organo operatore del Verticut Immagine tratta da lawnatics52

Â

57 Â


Oltre a studiare specifici fenomeni che possono arrecare danno all’ecosistema agrario, l’agricoltura conservativa ha promosso negli ultimi anni una grande azione di ricerca per dimostrare i benefici che possono essere raggiunti

con

la

pratica

di

particolari

tecniche

agronomiche. Tra tutte, quelle maggiormente discusse e studiate sono le tecniche di minima lavorazione e nonlavorazione (in inglese minimum tillage e no-tillage). Si può affermare che queste tecniche sono alla base di tutti i tipi di agricoltura sostenibile e che le differenze specifiche della loro applicazione non risiedono tanto nel concetto teorico quanto nelle modalità effettive della loro messa in pratica. Come abbiamo visto fino ad ora, nel caso dell’agricoltura conservativa si tende ad utilizzare macchinari che permettono di gestire ampi spazi di coltivazione piuttosto che altri sistemi.

58


Tabella 1 _ Tabella delle principali caratteristiche dei diversi tipi di agricoltura.

59


60


CAPITOLO 3. L’AGRICOLTURA SINERGICA

Come ultimo esempio di Agricoltura Sostenibile si propone

un’analisi

approfondita

dell’Agricoltura

Sinergica nell’ambito della quale, oltre a raccontare quando e come è nata e sviluppata, si definiscono le caratteristiche che la differenziano dalle altre pratiche agricole, gli obbiettivi che vuole raggiungere, i metodi e le tecniche utilizzate per conseguirli.

61


3.1 Caratterizzazione L'agricoltura sinergica53 nasce in Spagna nel 1977, in tempi relativamente più recenti rispetto alle altre tipologie di agricoltura presenti ormai da vari decenni. Nonostante la sua giovane età, nell’arco di quasi quarant’anni ha avuto nei paesi occidentali una grande diffusione dovuta inizialmente al lavoro di Hemilia Hazelip, che per prima ne parla e la promuove. Hazelip (Barcellona, 18 luglio 1937 – Carcassone, 2 febbraio 2003) era agricoltrice e permacoltrice. Dopo aver appreso i metodi biologici ed aver studiato a lungo le

tecniche

di

permacultura,

si

avvicina

agli

insegnamenti di Fukuoka e decide di approfondirli e revisionarli in modo da renderli funzionali al clima mediterraneo europeo. Nasce così la prima insegnante di una

nuova

forma

di

agricoltura

sostenibile

intrinsecamente legata all’ambiente e all’autofertilità del suolo: l’Agricoltura Sinergica. Hazelip continuerà per tutta la sua vita a viaggiare, partecipando alla creazione di diversi orti e campi coltivati secondo le sue regole,

62


gettando le basi di un movimento tutt’ora in espansione, particolare esempio di sostenibilità ecologica. Concetto chiave dell’agricoltura sinergica è infatti quello di “strutturare gli spazi di produzione in modo da mantenere il suolo in uno stato normale, ovvero selvaggio, stabilendo con esso una relazione di cooperazione e rispetto profondo, avendo coscienza che si tratta di un organismo vivente.”54 Non si nota uno specifico interesse nel dettare nuove regole o nuovi principi da seguire per ottenere una coltivazione produttiva e sostenibile: viene compiuto da Hazelip un grande lavoro di ricerca di nozioni e informazioni che lei stessa definisce come principi ispiratori,

dalla

cui

osservazione,

comprensione,

armonizzazione e approfondimento possano scaturire le migliori pratiche di lavorazione del terreno. Base di partenza metodologica e ideologica dell’agricoltura sinergica è proprio la già descritta agricoltura naturale: i quattro principi fondamentali utilizzati da Fukuoka vengono assimilati senza fermarsi ad una semplice applicazione ma interpretati e adattati alla flora e alla

63


fauna tipiche delle aziende agricole mediterranee ed europee. Hazelip si spinge oltre, traendo insegnamenti dai libri di Edward Faulker55, a proposito dell’erroneità di arare la terra; dalla già descritta agricoltura conservativa; dallo scienziato australiano Alan Smith56, che dimostra come sia dannosa nel medio-lungo periodo un’eccessiva ossigenazione del suolo; da William Jackson57, che attraverso il suo libro “Protecting your soil microorganism” pone l’accento sull’importanza di proteggere la biodiversità dei microrganismi propri del suolo e sulle molteplici funzioni che essi svolgono; dall’orticoltrice Ruth Stout

58

, riconosciuta essere

pioniera dell’osservazione e sfruttamento dei benefici che arreca al terreno la pratica della pacciamatura. È importante rilevare come questo tipo di agricoltura, al contrario di altre, non rifiuti gli studi scientifici ma anzi li promuova e li stimoli a verificare i suoi metodi, li incoraggi cioè a giustificare oggettivamente le tecniche utilizzate,

proposte

in

tradizionale.

64

antitesi

all’agricoltura


Oltre ad essere messe in discussione le basi tecniche dell’agricoltura tradizionale, vengono lette in maniera critica anche quelle che possono essere definite come le basi filosofiche: leggiamo nel libro “Agroecologia” di Altieri, Nicholls e Ponti 59 , che la scienza agricola convenzionale adotta a partire dall’inizio del XIX secolo particolari premesse filosofiche, poste alla base dello sviluppo del successivo processo di ricerca. Si parla di atomismo nella convinzione che i sistemi complessi siano il risultato della somma di un numero limitato di fattori; oggettivismo quando si afferma l’importanza di arrivare ad una comprensione dell’oggetto di studio che trascenda i nostri valori, opinioni ed esperienze; monismo per indicare un necessario punto di arrivo convergente di diverse analisi personali compiute a proposito

di

uno

stesso

sistema

complesso;

universalismo per spiegare come alla base di ciò che possiamo osservare empiricamente ci sia la possibilità di trovare spiegazioni e principi comuni e validi in assoluto. Per quanto venga assolutamente riconosciuto dall’approccio sinergico l’importanza dei risultati che la

65


scienza è riuscita a conseguire con queste premesse, viene altresì sottolineato come esse si siano spesso dimostrate

incapaci

di

comprendere

sistemi

particolarmente complessi sia dal punto di vista spaziale sia da quello temporale. Questi limiti sono manifesti nel sistema agricolo tradizionale in cui in seguito all’uso di prodotti chimici e metodologie frutto di anni di ricerca, si accusano comunque danni collaterali e ripercussioni inaspettate sia all’esterno che all’interno dell’azienda. Ciò che più di tutti risulta essere di difficile controllo è il fattore tempo: pratiche agricole sbagliate arrecano danni che si manifestano sul medio e lungo periodo, rendendo estremamente difficile una previsione. Si riconosce quindi l’importanza di dover affiancare a questi approcci classici anche processi conoscitivi diversi, che potrebbero essere in grado di ridurre o evitare l’insorgere di questi problemi. Le basi filosofiche di cui si parla sono in questo caso l’olismo, attraverso il quale non si pretende di riuscire ad afferrare tutte le proprietà di un sistema limitandosi all’analisi delle sue parti; il pluralismo, con il quale si vuole giungere alla

66


conoscenza di un sistema utilizzando diversi approcci; soggettivismo che prevede di tenere in considerazione in qualsiasi contesto anche le competenze e i valori personali. Questa visione è applicata nella ricerca costante di raggiungere molteplici obbiettivi utilizzando un unico metodo di coltivazione: gli aspetti riguardanti la produzione orticola e quelli della salubrità ambientale non sono trattati separatamente ma rappresentano obbiettivi

realizzati

simultaneamente

utilizzando

specifiche pratiche agricole. Dopo aver assimilato queste caratteristiche, viene spontaneo fare un paragone con l’agricoltura biologica: rileviamo che essa fino ad ora si è occupata soprattutto di sancire attraverso normative e regolamenti quello che non è ammesso fare in una coltivazione che rispetti l'ambiente; l'agricoltura sinergica si propone invece di individuare quelle pratiche agricole che più di tutte rispettano la fertilità del suolo, la pianta coltivata e l'ecosistema all'interno del quale vive. “Si può dire che l'agricoltura sinergica sia oggi in qualche

modo

l'ultima

frontiera 67

dell'agricoltura


biologica: per attuarla vengono seguite incisive pratiche agronomiche che mirano principalmente alla fertilità del suolo e di conseguenza a ricercare le migliori condizioni possibili

all'interno

dell'intero

microrganismi-piante”60.

68

sistema

suolo-


3.1 Metodi e Tecniche di Coltivazione Proponiamo in questo paragrafo alcune pratiche agricole ritenute essenziali se si sceglie di adottare il metodo di coltivazione sinergica. È importante notare come molte pratiche e obbiettivi che si vogliono raggiungere siano perseguiti allo stesso modo o in maniera molto simile anche da altri tipi di agricoltura. Si è scelto di descrivere queste tecniche considerando una loro applicazione su una superficie di terreno di circa 700 mq (potenzialmente gestibile da un solo uomo che non abbia a disposizione macchinari meccanici a motore) sia perché si riscontrano molte esperienze di orticoltura sinergica con queste o simili caratteristiche, sia perché ci sembra così di rispettare in pieno i principi ecologici posti alla base di questo metodo. Le stesse tecniche e regole valgono comunque per superfici più estese con l’unica differenza di dover disporre di particolari macchinari agricoli o, più semplicemente, di

69


avere la possibilità di condividere il lavoro con altre persone. 1) Non-lavorazione del terreno Hazelip adotta questa regola dopo essersi interessata alle ricerche e alle pubblicazioni dello studioso Edward H. Faulkner. Egli nel 1943 pubblicò Plowman’s folly61 (la follia dell’uomo che ara), libro attraverso il quale dimostra in maniera efficace che la perdita di sostanza organica,

l’erosione,

il

calo

di

biodiversità,

l’inacidimento dei suoli e il calo generalizzato del livello di falda possono essere direttamente ricondotti al rivoltamento della zolla e al conseguente sotterramento di sostanza organica. Faulkner incoraggia inoltre l’utilizzo di pratiche in quegli anni quasi del tutto inutilizzate ma che oggi sono ritenute essenziali per la conservazione del suolo: si parla della necessità di lasciare i terreni a riposo per favorirne la rigenerazione; limitare l’erosione mantenendo una costante copertura sulla nuda terra; favorire la crescita delle coltivazioni accumulando sulla superficie del terreno sostanza

70


organica in grado di assorbire acqua e rilasciare minerali nutrienti

per

le

piante.

Si

sofferma

proprio

sull’importanza della sostanza organica: leggiamo nel suo libro che “la materia organica spugnosa sulla superficie previene l’erosione e fornisce le sostanze necessarie alla massima crescita della pianta. Il suolo abitualmente arato (ndr) presenta una superficie liscia e nuda, condizione ideale per il processo di erosione. Il nutrimento per le piante viene spostato dai 15 ai 20 cm sotto le radici superficiali, fuori dalla loro portata, e non può pertanto raggiungere il suo scopo principale. Si può quindi affermare, con considerevole realismo, che l’uso dell’aratro ha distrutto la produttività dei nostri suoli.” I benefici a favore della fertilità del suolo conseguiti attraverso una conservazione degli strati del profilo del terreno sono inoltre confermati da successive e numerose ricerche scientifiche. Viene riportato da Mueller62 che in campi in cui si adotta un sistema di minima lavorazione o non-lavorazione si contrae la perdita di suolo e si incrementa il tasso di umidità rispetto alle tradizionali lavorazioni. È dimostrato 63

71


come l’adozione di questa tecnica colturale riduca l’uso di energia e materiale utilizzato per finalizzare la produzione; elimini l’erosione del suolo; permetta una migliore organizzazione delle operazioni che gravitano intorno al campo coltivato, in quanto non saranno necessariamente atmosferiche;

precluse comporti

da una

avverse

condizioni

riduzione

della

compattazione del suolo e un aumento del potenziale di coltura multipla. Sarà comunque necessario un lavoro di scasso prima della preparazione dei bancali nel caso in cui si voglia incominciare una coltivazione sinergica in terreni precedentemente incolti o utilizzati per il pascolo o particolarmente pesanti. Dovrà essere prestata una particolare cura da parte del coltivatore al mantenimento di un terreno non compatto, in cui funghi e radici riescano a svilupparsi senza problemi: potrebbe essere necessario a questo scopo eseguire nei primi anni alcune lavorazioni di rottura atte a smuovere la terra, sollevandola senza alterarne il profilo. A seconda delle

72


dimensioni possono essere usati strumenti manuali (vanga a denti, gralinette) o meccanici (ripuntatore). Per l’aspetto attinente alle rese produttive ci riferiamo a uno studio64 che mette a confronto i raccolti ottenuti da sistemi

senza

aratura

e

sistemi

convenzionali,

dimostrando come i primi siano simili o superiori ai secondi. 2) Copertura del terreno Strettamente associata alla non-lavorazione è la necessità di mantenere il terreno costantemente coperto da uno strato di materiale organico il più possibile uniforme. Questa copertura è definita pacciamatura, la quale ancora una volta cerca di imitare il più possibile le condizioni che si riscontrano in ambiente selvaggio, in cui la terra è sempre naturalmente coperta. La pacciamatura 65 può essere costituita sia da colture di copertura (cover crops o copertura verde) sia da residui vegetali in via di decomposizione. Definizione di coltura di copertura è “una specie erbacea annuale o perenne, coltivata da sola o in

73


consociazione con lo scopo di coprire il terreno per una parte o per tutto l’anno”66. Essa può essere realizzata seminando uniformemente lungo i filari coltivati specie tappezzanti, con portamento basso e fitto, o specie a crescita veloce, che permettano un’immediata e sicura copertura. Alcuni autori 67 consigliano la possibilità di tagliare e interrare queste piante, seguendo la pratica del sovescio; al contrario l’agricoltura sinergica lo sconsiglia indicando di lasciarle semplicemente sulla superficie del terreno per evitare che l’interramento provochi un “blocco totale dei ritmi digestivi del suolo”68. Le piante, decomponendosi lentamente, andranno ad arricchire di sostanza organica lo strato superficiale del profilo. Per realizzare una pacciamatura con residui organici si potrà spargere sul terreno o sul bancale coltivato uno strato uniforme di materiali come paglia, foglie, lana, residui colturali, segatura, sfalcio, canne, carta e altro. Nella scelta della pacciamatura, oltre ad accertarsi che non siano presenti resine, colle, metalli pesanti o composti che possono essere dannosi alle radici e ai microrganismi, particolare attenzione deve essere posta

74


al pH del terreno, poiché è stato riscontrato 69 che l’associazione della pratica della non-lavorazione ad una copertura del terreno può portare nel tempo un aumento dell’acidità del suolo che, in prossimità della superficie, può comportare una diminuzione delle rese dei vegetali coltivati. Per contrastare l’insorgere di problemi di acidità del terreno è suggerito da Hazelip di evitare l’utilizzo di foglie di eucalipto (possono inibire lo sviluppo

dei

microrganismi)

così

come

foglie

provenienti da abeti, pini, noci, querce, faggi, castagni e roveri, comunque utilizzabili come pacciamatura per colture resistenti a terreni acidi. Qualsiasi tipo di pacciamatura si scelga di adottare, dal confronto incrociato di diverse fonti riscontriamo che i benefici raggiunti saranno gli stessi: - Viene ridotta sensibilmente l’evaporazione durante i periodi caldi dell’anno, in quanto la frazione di luce solare diretta non raggiunge il terreno ma viene riflessa dalla copertura. - Vengono drasticamente ridotti i potenziali danni causati dal vento: è stata verificata la capacità della

75


pacciamatura di trattenere la polvere, altrimenti erosa, e limitare un aumento di evaporazione causato da eccessiva ventilazione. - È limitata l’azione erosiva (splash erosion) dalla pioggia battente (Fig. 6) in quanto la frazione di energia cinetica propria della goccia viene dissipata nello scontro con la copertura del terreno, evitando di rompere con la sua forza la struttura di composti organici e reticoli cristallini. Si riesce così da una parte a preservare all’interno dell’area coltivata una importante frazione di nutrienti

disponibile

per

le

piante,

dall’altra

a

minimizzare i fenomeni di dilavamento, in quanto l’acqua percola lentamente riuscendo ad essere assorbita con maggiore facilità. - È incrementata la fertilità: l’utilizzo di leguminose vive in copertura assicura al terreno una certa disponibilità di azoto mentre la pacciamatura inerte, marcendo, aumenta lo strato di humus. Si cerca inoltre di agevolare questo processo lasciando nel luogo della coltivazione quanti più residui colturali possibili che, una volta attaccati e

76


degradati dai microrganismi, torneranno disponibili come minerali alle radici delle piante.

Figura 6 _ Particelle del suolo staccate dal profilo per effetto della pioggia battente Immagine tratta da hillsdalecounty70

- È agevolato il controllo delle malerbe poiché si innescano competizioni e fenomeni allelopatici che ne inibiscono la germinazione e la crescita. Su questo punto riportiamo

uno

studio

71

compiuto

comparando

l’efficienza di diverse leguminose come copertura in consociazione ad una coltivazione di Triticum aestivum,

77


studio finalizzato a capire se queste piante potessero essere utilizzate come via alternativa sostenibile per contrastare le erbe spontanee infestanti. Sono state messe a confronto 5 diverse parcelle, di cui 4 coltivate con differenti tipi di leguminose (Trifolium subterraneum, Trifolium

repens,

Lotus

corniculatus,

Medicago

truncatula). È stato riscontrato come tutte le leguminose possano garantire una copertura di più del 60% del terreno nudo, mentre alcune siano riuscite a raggiungere discreti risultati nel controllo delle infestanti. Si devono comunque compiere ulteriori ricerche per riuscire a massimizzare gli effetti di competizione con le malerbe nell’ottica di una loro gestione integrata. - La copertura del terreno aggiunge un ulteriore eterogeneo elemento di complessità all’ecosistema agrario: potranno trovare riparo al suo interno molti insetti predatori di fitofagi e in generale servirà ad aumentare la biodiversità locale, rendendo il luogo più resistente ad attacchi biologici esterni. A proposito dell’impatto che hanno le coperture vegetali sulle popolazioni di insetti, numerosi studi sono stati compiuti

78


nell’ambito della frutticoltura: tra i tanti, ne riportiamo tre analizzati con particolare attenzione. Nel primo troviamo prove72 che attestano come un inerbimento di Phacelia

tanacetifolia

dell’imenottero

aumenti

Aphytis proclia

nella

l’efficacia sua

azione

parassita ai danni della cocciniglia di San Josè, aumentando del 70% la parasitizzazione nell’arco di tre semine compiute in successione; un secondo studio comporta ancora l’uso di P. tanacetifolia, utilizzata73 in Puglia per combattere i danni arrecati all’uva da tavola dal tripide Frankliniella occidentalis: nelle parcelle sperimentali è stata riscontrata una riduzione del danno che si attesta intorno al 50% in meno rispetto a quelle di controllo, in quanto in grado di servire come coltura trappola attraverso i fiori; nell’ultimo articolo scientifico analizzato dell’Afide

74

constatiamo del

noce

come

una

(Chromaphis

permanenza juglandicola)

all’interno della copertura verde sotto il noceto garantisca una prima fonte di nutrimento all’arrivo del principale competitore, il coccinillide Hippodamia

79


convergens, che altrimenti morirebbe o si sposterebbe altrove. 3) Preservare e incrementare la biodiversità La biodiversità 75 si concretizza in tutte le specie di insetti, piante e microrganismi che esistono ed interagiscono all’interno di un ecosistema. La pratica dell’agricoltura

causa

necessariamente

una

semplificazione dell’ambiente selvaggio: sono sostituite alla biodiversità naturale un numero limitato di piante coltivate e di animali. Questa semplificazione può portare

sconvolgimenti

anche

gravi

all’interno

dell’ecosistema agricolo che in casi estremi si manifesta in una diffusione incontrollata di insetti nocivi; parassiti; erbe

infestanti;

alterazione

del

processo

di

decomposizione della sostanza organica. È riconosciuta dall’agricoltura sinergica l’importanza di creare un ambiente in cui possa convivere il più alto numero di forme di vita poiché questa biodiversità, oltre ad essere sfruttata come motore di produzione di reddito, cibo e fibra, fornisce anche servizi ecosistemici76 quali il

80


controllo del microclima locale; la regolazione dei processi idrologici; il controllo degli organismi dannosi; la detossificazione da sostanze chimiche nocive; il riciclo degli elementi nutritivi. È stato affermato 77 che all’interno di un ambiente agricolo i fattori che regolano il grado di biodiversità sono quattro: la diversità vegetale interna ed esterna al terreno coltivato; la longevità delle diverse coltivazioni; il grado di isolamento del campo dalla flora spontanea; l’intensività della gestione. Diversi studi indicano come possibile e necessario mantenere stabile il numero di ogni singola comunità di insetti attraverso il progetto e la realizzazione di una flora che riesca a regolare naturalmente le popolazioni dei fitofagi dannosi. Utilizzando le stesse parole di Hazelip, questo vuole dire “mantenere l’organismo suolo autonomo e in grado di rigenerarsi, creando relazioni tra i diversi elementi in modo che possano equilibrarsi e proteggersi da soli”78. Una particolare attenzione è riservata a favorire le condizioni ottimali di proliferazione dei microrganismi presenti

all’interno

degli 81

strati

pedogenetici.

La


rizosfera, oltre ad essere la zona del terreno occupata dalle radici delle piante, è anche lo spazio in cui vive il più gran numero di organismi, producendo la più intensa attività viva del pianeta. In un solo grammo di terreno selvatico possiamo stimare il numero di batteri da 1000 a 10000 milioni, senza contare la presenza di funghi e lieviti. Viene affermato da Hazelip che ogni microsito della rizosfera è abitato da una microfauna e microflora molto specifica, che si differenzia in funzione della profondità del terreno: condizione fondamentale per il mantenimento del loro ciclo vitale sarà quindi lasciare intatto il loro habitat particolare, seguendo le pratiche di non lavorazione sopra citate. Sono stati compiuti di recente approfonditi studi scientifici sull’importanza dei funghi, ritenuti essere una componente fondamentale della comunità microbica del suolo. Una ricerca 79 risalente al 2001 attesta come il numero di specie fungine arrivi a circa 1 milione e mezzo, di cui solo una piccola parte è stata analizzata e identificata. Pur essendo presenti in numero minore rispetto ai batteri, i funghi non sono assolutamente da

82


considerare come secondari poiché nel confronto sono loro a fornire nel suolo la percentuale maggiore di biomassa (500-5000 kg di massa umida per ettaro di suolo). Oltre a questo, svolgono molteplici funzioni80 tra cui il controllo dei cicli biogeochimici; influenza sulla nutrizione

e

salute

delle

piante;

azione

sulla

strutturazione e fertilità del suolo. Questa eterogeneità d’azione è dovuta sia alla loro grande abbondanza sia alle svariate modalità di nutrizione che essi hanno, riuscendo a spaziare dalla chemiotrofia fino a relazioni trofiche tipiche della simbiosi. Una delle categorie di funghi più interessanti per l’ambiente agricolo è quella dei funghi micorrizici, capaci di entrare in relazione con le radici delle piante stabilendo una simbiosi chiamata micorriza. È stato riscontrato81, attraverso l’osservazione di effetti positivi sulla crescita che la pianta, che la micorriza ne migliora la sua nutrizione minerale (Fig.7); migliora la risposta a stress biotici e abiotici; aumenta la tolleranza a carenze idriche o alla presenza di agenti inquinanti; porta ad una riduzione della sensibilità ai

83


comuni agenti patogeni. Il fungo trae vantaggio assimilando zuccheri ceduti dalle radici.

Figura 7 _ Differenza tra apparato radicale micorrizzato (destra) e non micorrizzato (sinistra). Immagine tratta dal sito Fungicultura.info82

All’interno dell’insieme di funghi capaci di costituire micorrize, osserviamo che le specie di piante erbacee comunemente coltivate riescono ad instaurare rapporti simbiontici con i funghi micorrizici arbuscolari,

84


appartenenti

al

phylum

Glomeromycota:

essi

“aumentano la disponibilità di elementi minerali (es. fosforo) per la pianta, controllano la qualità delle comunità vegetali aumentandone la biodiversità e produttività

e

biofertilizzatori

vengono naturali.

perciò

considerati

Assumono

un

dei

notevole

interesse nello sviluppo di un’agricoltura sostenibile”; è inoltre attestato come “questo effetto benefico sulle piante è tanto maggiore quanto più elevata è la biodiversità dei funghi stessi”83. Pur non parlando di agricoltura sinergica ma di metodo Manenti84, gli autori Gigi Manenti e Cristina Sala affermano che per favorire un aumento della biodiversità fungina e migliorare la micorrizzazione spontanea delle piante coltivate si dovranno seguire tecniche agronomiche che coincidono in ogni aspetto con quelle promosse da Hazelip: evitare l’interramento di sostanza organica; non immettere concimi a base di azoto e fosforo; rispettare la stratificazione del terreno nelle lavorazioni; minimizzare l’esposizione del suolo nudo agli agenti atmosferici; rispettare della complementarietà naturale delle piante.

85


Un altro elemento chiave della biodiversità è costituito dagli animali: pur non essendoci molti casi di studio in merito,

possiamo

affermare

con

sicurezza

che

nell’ecosistema naturale svariati animali (ad esempio uccelli e talpe) si alimentano esclusivamente di insetti, tra cui spesso i fitofagi, nocivi alle coltivazioni. Viene ribadito nel libro “Chiacchiere di giardinaggio insolito” di Gabriella Buccoli, che “la strategia migliore per non avere sovrappopolazione di insetti indesiderati resta il creare anche nel nostro giardino quell’armonico equilibrio che regna nei luoghi naturali”85. Sempre da Buccoli è spiegata l’importanza di creare condizioni tali da attirare nell’ecosistema un elevato numero di uccelli, essenziali alla biodiversità e al controllo naturale delle popolazioni di insetti fitofagi: pone come esempi una coppia di cince con prole (si nutre con diciotto chili di insetti ogni anno) e lo scricciolo (mangia ogni ventiquattro ore il 24% del suo peso). Sarà quindi necessario pensare di riservare almeno un piccolo spazio dell’agroecosistema ad alberi e grandi arbusti, sui quali diverse specie di uccelli possano riuscire a nidificare.

86


4)Definizione degli spazi Per questo tipo di agricoltura è necessaria una razionale quanto definitiva determinazione degli spazi 86 , che devono essere divisi tra quelli riservati al movimento di uomini e mezzi e quelli dedicati alla coltivazione. Questa separazione netta tra spazi coltivati, chiamati bancali o aiuole, e camminamenti interni, permette al coltivatore di evitare il calpestamento della superficie coltivata, evitando di provocare con il suo peso il compattamento del terreno. La larghezza ottimale del bancale (Fig. 8) è attestata intorno ai 120 cm mentre quella per i passaggi è di 50-80 cm; misure comunque adattabili per consentire il passaggio di mezzi meccanici. Viene inoltre indicato di rialzare il bancale di circa 30 cm dal suolo, spostando su di esso parte della terra del camminamento. La coltivazione potrà così essere eseguita sia sui lati che sulla parte centrale: avremo a disposizione, in funzione dell’orientamento dei bancali, diversi microclimi che potranno essere sfruttati per assecondare le diverse attitudini degli ortaggi nel crescere sotto luce diretta, ombra o mezz’ombra.

87


Figura 8 _ Dimensioni del bancale. Immagine tratta dal libro Il mio orto biologico87

Con il passare degli anni la tendenza del bancale sarà quella di crescere in altezza, poiché avremo su di esso uno strato sempre maggiore di humus creato dalla continua decomposizione della pacciamatura. 5) Concimazioni La tematica inerente alle concimazioni è stata per tutti i tipi di agricoltura, da quella tradizionale a quelle sostenibili, oggetto di dibattito continuo, sia perché aspetto fondamentale per la buona riuscita di una coltivazione, sia perché nel corso dell’ultimo secolo è

88


diventata materia di grandi speculazioni economiche, attraverso distribuzioni su larga scala di fertilizzanti e concimi sia organici che di sintesi. L’agricoltura sinergica

rifiuta

completamente

questi

prodotti,

additandoli come inutili e dispendiosi. A proposito della fertilità Hazelip afferma: “Il modo migliore per consentire al suolo di nutrirsi consiste nel permettergli di arricchirsi grazie alle piante che vi crescono”88. Viene quindi utilizzato a questo scopo un metodo chiamato concimazione verde: prevede l’apposita coltivazione di specifiche piante al fine di migliorare e preservare la fertilità del suolo. Il ciclo naturale delle piante miglioratrici del terreno prevede che, una volta terminato il ciclo biologico, la loro sostanza organica rimanga sul terreno, trasformandosi in humus, residuo stabile e chimicamente molto complesso capace di garantire sul lungo periodo la capacità produttiva del suolo agricolo. Oltre ad apportare benefici alla fertilità del terreno, l’humus ha anche la capacità di migliorarne la struttura: nei suoli sabbiosi aumenta la coesione degli aggregati mentre in quelli argillosi ne riduce la pesantezza,

89


provocando un aumento di sofficità e ossigenazione. È specificato che tutte le piante coltivate possono essere utilizzate per la concimazione verde, esistono però specifiche specie particolarmente adatte a soddisfare i bisogni nutrizionali di particolari colture, erbacee o perenni. Tra queste, le piante che rilasciano la maggiore quantità di azoto e che subiscono il più veloce processo di decomposizione sono le leguminose, spesso associate ad altre piante per ottenere un buon equilibrio nutrizionale del suolo. Altre famiglie utilizzabili per la produzione di concime verde sono le crocifere, soprattutto le piante appartenenti al genere Brassica, sia perché possiedono caratteristiche pioniere, crescendo bene anche in terreni poveri di humus, sia perché hanno una crescita molto rapida, che inibisce lo sviluppo di altre piante selvatiche. Terzo importante gruppo di piante coprenti è quello delle graminacee: grazie al loro apparato radicale senza fittone potrà essere garantito un radicamento omogeneo in almeno 50-60 cm di suolo, rendendole adatte a terreni compatti o pendenti poiché riescono a migliorarne la struttura.

90


Nonostante possa bastare la concimazione verde per il mantenimento della fertilità del suolo, è comunque suggerito come utile ed auspicabile riservare una piccola porzione di terreno alla creazione di compost, che potrà essere distribuito a piante particolarmente esigenti di nutrienti o per la creazione di semenzai, trapianti ecc. Sono reperibili numerose ricette per la realizzazione del compost a proposito delle quali Hazelip specifica che tutte possono essere utilizzate con successo, purché si arrivi ad una completa maturazione della sostanza organica che si utilizza. Tra i vari metodi, quelli che solitamente garantiscono un risultato migliore in un relativamente breve tempo di realizzazione sono i cumuli di compostaggio lasciati all’aperto, con un tipo di fermentazione aerobico (Fig. 9). Per la loro realizzazione si deve procedere sovrapponendo vari strati di sostanze diverse, che dovranno essere bilanciate tra materiali carboniosi (paglia, segatura), materiali azotati (letame, foglie, scarti organici di frutta e verdura) e altri materiali quali cenere e terra. È buona norma collocare come primo strato, alla base dello spazio riservato al cumulo,

91


alcuni rami sovrapposti tra loro così da agevolare l’arieggiamento e una decomposizione uniforme del materiale organico. Si consiglia inoltre di collocare il cumulo del compostaggio all’ombra di un grande albero così da preservare il più possibile la sua umidità interna nei mesi estivi, essenziale ai microrganismi per compiere al meglio il loro ciclo vitale. Il composto così fatto sarà pronto all’uso dopo un tempo minimo di tre mesi in condizioni ottimali.

Figura 9 _ Cumulo del compost

92


6) Irrigazione Nella pratica dell’orticoltura e frutticoltura sinergica89 vengono vivamente sconsigliati i sistemi di irrigazione ad aspersione in favore di quelli a goccia. Il più utilizzato è quello ad ala gocciolante, costituito da un tubo in polivinilcloruro al cui interno sono inseriti gocciolatori autocompensanti con portata generalmente di 2 l/h. Il sistema di irrigazione dovrà essere collocato sotto lo strato di pacciamatura per evitare un contatto diretto tra il calore dei reggi solari e l’acqua. I gocciolatori da una parte garantiscono una lenta uscita dell’acqua

dai

tubi,

permettendo

un’infiltrazione

profonda nel terreno, dall’altra il massimo risparmio idrico, evitando perdite per evaporazione che si avrebbero bagnando la parte aerea della pianta e la pacciamatura.

93


Figura 10 _ Esempio di impianto irriguo ad ala gocciolante Immagine tratta da growtheplanet90

7) Rotazione delle colture Prendendo spunto dall’agricoltura biologica, viene riconosciuta l’importanza che assume nel corso degli anni una corretta rotazione delle colture all’interno degli spazi a disposizione. Molti studi scientifici91 92 93 hanno dimostrato che coltivazioni di stesse specie vegetali nello stesso terreno portano, nel giro di pochi anni, ad una perdita progressiva di rigoglio e di fertilità, con conseguente calo delle produzioni. Accade per due

94


fattori principali: da un lato una inibizione nella crescita dell’apparato radicale dovuta al progressivo accumulo di residui colturali derivati dalla stessa pianta, dall’altro la selezione nel tempo di parassiti specifici, che in mancanza di competitori e predatori trovano le condizioni ideali per proliferare. La successione delle colture è quindi praticata, insieme alla tecnica della consociazione, per mantenere alta la biodiversità del terreno. Regola generale è quella di evitare due coltivazioni successive di ortaggi della stessa famiglia: potranno essere coltivati nuovamente dopo tre anni o dopo la successione di due diverse colture nello stesso bancale. Secondo fattore da tenere in considerazione è quello di prevedere i diversi fabbisogni di specifici elementi nutritivi

delle

piante

orticole:

potranno

essere

avvicendate piante ricche di elementi, utilizzati dalla coltura successiva attraverso la decomposizione dei residui vegetali e degli apparati radicali. Per esempio, sarà possibile e consigliato94 coltivare piante con alte esigenze di azoto (es. sedano, finocchio, cavolo

95


cappuccio, cavolo verza ecc.) in successione a leguminose, capaci di arricchire il terreno di questo elemento sia per mezzo dei residui colturali decomposti sia grazie alla loro capacità di sviluppare, in simbiosi con i batteri del genere Rhizobium, tubercoli radicali in grado di fissare l’azoto atmosferico.

96


3.2 Le consociazioni Tra tutte le pratiche colturali dell’agricoltura sinergica, la principale e più caratteristica è quella di ricercare i metodi migliori per crescere contemporaneamente diverse specie vegetali commestibili e non-commestibili, mescolandole tra loro. Si parla in questo caso di consociazioni o policolture (intercropping in inglese). La tecnica delle consociazioni non è utilizzata solo dall’orticoltura sinergica, ma anzi è adottata da molti agricoltori in diverse aree del mondo, adattata ogni volta ai diversi climi, alle diverse specie, alle diverse culture. È stato verificato95 che le consociazioni sono utilizzate nell’80% dei sistemi agricoli dell’Africa occidentale; in America latina96 le principali colture (manioca, fagioli, mais) crescono combinate negli stessi spazi; nell’Asia sudorientale97 vengono spesso eretti bancali rialzati che permettono di coltivare ortaggi tra i filari di riso inondati.

97


Numerosi sono i vantaggi che è possibile ottenere con pratiche

agricole

che

prevedono

l’uso

delle

consociazioni. Sono di seguito brevemente riassunti. - Produzione: Coltivazioni di policolture permettono spesso di ottenere una resa di prodotto finale maggiore rispetto alle stesse superfici coltivate in monocoltura, ragione principale per la quale molti agricoltori nel mondo scelgono questa tecnica di coltivazione. Questo aspetto diventa tanto più importante quanto più è limitata la

superficie

coltivabile

a

disposizione.

Analisi

approfondite dimostrano una superiorità di produzione nella consociazione di orzo e fava98, nella consociazione di fagiolo e mais99, nella consociazione di cavolo di Bruxelles e cavolo comune100, e tante altre. - Biodiversità: La presenza di più piante nella stessa porzione di suolo va ad incrementare la biodiversità dell’ecosistema agrario, i cui vantaggi diffusi e particolari sono stati illustrati nel punto 3) del sottocapitolo 3.1. - Stabilità: Diversi studi101 hanno messo in luce come sia sensibilmente inferiore la variabilità delle rese di campi

98


coltivati

con

consociazioni

nel

confronto

con

monocolture delle rispettive specie. Questa caratteristica diventa importante in coltivazioni il cui prodotto principale è destinato all’autoconsumo: anche in caso di eventi imprevisti si avranno con le policolture maggiori probabilità di ottenere almeno una parte di raccolto. - Risorse: Si innescano tra le piante diversi fenomeni di complementarietà d’uso delle risorse che permettono una “sovrapposizione di nicchia tra le specie consociate, rendendo minima la competizione per le risorse” 102 . Esempi di questo concetto possono concretizzarsi dal punto di vista spaziale, ad esempio in un diverso sviluppo epigeo o ipogeo delle piante; dal punto di vista temporale, se diverse piante si servono degli stessi nutrienti in periodi differenti; dal punto di vista fisiologico, se diverse specie traggono vantaggio dalla reciproca mobilitazione, a livello biochimico, di elementi nutritivi provocata dai loro appartati radicali. Questi fenomeni non possono manifestarsi nell’ambito di una monocoltura, poiché le piante tutte uguali sarebbero soggette a forte competizione.

99


- Sviluppo: Piante complementari che sviluppano la loro chioma a diverse altezze permettono un’efficiente sviluppo con una percentuale minore di luce e di calore che riesce ad arrivare al suolo: verrà naturalmente ridotta l’evaporazione in vantaggio del processo di traspirazione della pianta. - Malerbe: Il controllo delle malerbe è da sempre uno dei principali problemi da affrontare nell’ambito di una coltivazione agricola. Possono essere gestite attraverso un’estirpazione manuale (sistemi agricoli generalmente piccoli) o attraverso l’uso di prodotti chimici (su grandi estensioni). Leggiamo sul libro Agroecologia che “le policolture sembrano offrire molte più opzioni per migliorare il controllo delle malerbe con meno manodopera, ridotto impiego di fitofarmaci e costi inferiori”

103

. Grazie alla caratteristica tipica delle

policolture di riuscire a sfruttare in maniera più efficiente le risorse disponibili, vengono naturalmente soppresse le malerbe proprio perché rimangono a loro disposizione meno risorse. Possono essere previste 104 piantagioni di policolture che comprendono specie a

100


rapido accrescimento (es. Sinapis alba) particolarmente idonee nel controllo delle piante infestanti. Analizzando la letteratura105, troviamo disponibile una grande molteplicità di studi nei quali sono analizzati due tipi diversi di consociazioni: nella prima, l’interesse prioritario risiede nella resa della coltura principale, seminando in mezzo ad essa specifiche piante per il controllo delle malerbe; nella seconda, nessuna specie è stata scelta per un controllo specifico delle infestanti e l’obbiettivo rimane il prodotto di tutte le specie consociate. La prima situazione, su un totale di 51 casi analizzati la consociazione si è dimostrata favorevole in 47 casi; nella seconda situazione la policoltura si è rivelata idonea in 12 casi, intermedia in 10, sfavorevole in 2 casi. Sembra dimostrando che, seppur ci sia ancora margine di miglioramento, le policolture sono di gran lunga preferibili alle monocolture nell’ottica della pratica dell’agricoltura sostenibile. - Parassiti: Come per il controllo delle malerbe, esistono molti casi di studio che analizzano l’effetto delle consociazioni sul comportamento delle popolazioni di

101


parassiti delle piante, sia per quanto riguarda gli insetti fitofagi dannosi, sia per i funghi e batteri patogeni dei vegetali. Per quello che riguarda gli insetti fitofagi viene affermato106 che generalmente l’utilizzo di consociazioni nelle coltivazioni agricole ha come effetto un minore impatto di questi parassiti rispetto alle monocolture; oltre a questo si riscontra un aumento dei predatori naturali di questi insetti. Sono state individuate diverse possibili ragioni per spiegare questo fenomeno: i fitofagi, trovandosi di fronte ad una grande varietà di specie diverse, riescono con più difficoltà ad individuare le piante da loro attaccabili poiché sono presenti molteplici interferenze chimiche e visive; gli insetti predatori sono invece positivamente influenzati dal miglioramento del microhabitat e dall’aumento delle varietà delle fonti di cibo. A proposito dell’effetto dei patogeni vegetali sulle policolture, la minore incidenza di questi ultimi sulle piante coltivate sembra essere riconducibile ad una minore densità di piante sensibili, che diminuisce conseguentemente il volume di tessuto infetto e degli inoculi; un positivo effetto dei metaboliti

102


secreti dalle radici di piante resistenti che, se consociate a piante più deboli, possono contrastare l’azione di molte patologie intercettando l’inoculo; lo stesso microclima si crea nell’ambito di una policoltura, che risulta essere meno favorevole allo sviluppo di infezioni. Esistono diversi modi di creare una policoltura, da quelli più semplici che prevedono filari alterni di piante diverse (Fig.11), a quelli più complessi, in cui sono collocate all’interno dello spazio coltivato svariate specie diverse, prevedendo complementarietà e fitosociologia propria di ogni ortaggio. Le policolture possono comprendere una mescolanza di colture perenni con perenni, annuali con perenni o annuali con annuali. Ancora, è possibile programmare piantagioni di specie diverse nello stesso momento o in tempi diversi; la raccolta potrà essere contemporanea o scalare.

103


Figura 11 _ Policoltura a file.

Da rilevare, nell’ambito dello studio dell’efficienza produttiva delle policolture rispetto alle monocolture, un parametro molto interessante che ci permette di confrontare le rese dei due metodi di coltivazione: il Land Equivalent Ratio (LER), capace di “esprimere l’area di terreno a monocoltura necessaria per avere la stessa produzione per una ettaro di policoltura,

104


impiegando la stessa popolazione vegetale. Se il LER è maggiore di uno, la resa della policoltura è superiore.”107 L’agricoltura sinergica prevede una soluzione di policoltura tra le più complesse: diverse piante si dovranno sapientemente collocare all’interno dello stesso bancale, scegliendo le giuste posizioni e le giuste specie per rendere efficiente la penetrazione di luce, le sinergie, lo sfruttamento dei nutrienti. È indicato108 di prestare attenzione ad alternare piante che non lasciano radice nel terreno (perché raccolte) con altre che le lasciano, capaci di garantire una biomassa sotterranea. Si dovranno inserire piante appartenenti a diverse famiglie, almeno tre per bancale, per allontanarsi il più possibile dalle

caratteristiche

di

coltivazione

tipiche

delle

monocolture e bloccare così eventuali prolificazioni di agenti patogeni. Buona norma è quella di prevedere in ogni bancale la presenza di leguminose commestibili sia per beneficiare della fissazione dell’azoto sia per raccogliere i loro frutti, associando queste piante ad altre famiglie di ortaggi nella parte piana del bancale. Alle estremità delle aiuole è importante effettuare una

105


piantagione di aromatiche e fiori ricchi di nettare e oli essenziali: saranno utili ad attirare specificatamente gli insetti impollinatori e ad allontanare parassiti e nematodi. Per sfruttare tutto lo spazio disponibile dovrà essere prevista una piantagione anche sui lati dei bancali: valido esempio in questo caso è quello di alternare ai caspi di insalata i bulbi di Liliacee, che grazie alla loro forma longilinea consentiranno comunque l’accesso della luce alle parti interne dell’aiuola e grazie alle loro proprietà antibatteriche e nematocide creeranno una barriera protettiva per le altre coltivazioni. Sono di seguito riportati alcuni esempi specifici di consociazioni positive, utilizzate in agricoltura sinergica come in altre tipologie di policolture. Mais-fagiolo-zucca Questa

consociazione

ha

origini

molto

antiche,

attestandosi secondo alcuni studiosi attorno al 1300 d.C., quando fu sperimentata per la prima volta dal popolo Azteco.

106


La coltivazione simultanea di Zea mays, Cucurbita maxima e Phaseolus vulgaris permette di sopperire alle esigenze specifiche di ognuno di questi tre ortaggi. Il mais, pianta C4, necessita di molta acqua: il terreno, interamente coperto dalle larghe foglie della zucca, perderà

una

evaporazione,

minima

percentuale

lasciandone

la

di

maggior

acqua parte

per a

disposizione dei processi traspirativi del mais. La zucca, essendo una pianta con un importante sviluppo fogliare e capace di produrre grandi frutti, necessita di molti elementi nutritivi ed in particolare azoto, garantito grazie alla presenza del fagiolo che riuscirà, in simbiosi con i batteri Rizobium, a sottrarlo dall’atmosfera rendendolo disponibile nel terreno. Infine il fagiolo, pianta rampicante, non ha particolari esigenze se non quella di disporre di un supporto sul quale potersi arrampicare, per sfruttare al meglio la luce solare: il mais, nella sua forma longilinea con larghe foglie perpendicolari al terreno, risulta essere il perfetto sostegno naturale. Si forma in questa maniera una sorta di triangolo tra le tre piante, in cui vengono compensate le reciproche

107


mancanze ed esaltate le specifiche caratteristiche. Nell’esecuzione di questa consociazione si dovrà prestare particolare attenzione all’epoca di semina delle diverse specie: il mais, che cresce più lentamente del fagiolo, dovrà essere seminato prima, in modo da essere alto almeno 30-40 cm nel momento in cui il fagiolo inizierà ad avere necessità di un sostegno. Un articolo scientifico 109 compiuto nel 2005 analizza gli effetti benefici nella consociazione di fagiolo rampicante e mais, confrontandola con le rispettive monocolture: è attestato che all’interno della parcella consociata il mais ha avuto un incremento di altezza; il fagiolo e il mais hanno sviluppato una maggiore area fogliare; al costo di una raccolta di semi di mais leggermente inferiore rispetto alla parcella in monocoltura sono stati raccolti 477.5 Kg/ha di semi di fagiolo. Un’altra ricerca110 è stata compiuta sulla consociazione simultanea di mais, fagiolo e zucca, indagando le differenze di incidenza e distribuzione di 6 diversi tipi di coleotteri (Acalymma themei,

Cerotoma

ruficornis

rogersi,

Diabrotica

viridula, D. balteata, D. adelfa e Paranapiacaba

108


waterhousei) fitofagi specifici di fagiolo e zucca. È stato riscontrato come all’interno della policoltura in numero di insetti sia significativamente ridotto rispetto alle monocolture dei singoli ortaggi. Tagete In una moltitudine di testi, primo tra tutti quello di Hazelip 111 , il tagete viene attestato essere pianta fondamentale da consociazione. Pur non essendo edule per l’uomo in nessuna delle sue parti riesce, oltre ad avere una grande valenza ornamentale, a contrastare i danni provocati dai nematodi del terreno, in quanto i suoi essudati radicali hanno la capacità da attirarli verso le radici, contenenti un veleno in grado di ucciderli se colpite. Uno studio olandese112 afferma che grazie alle secrezioni delle radici del tagete si può riuscire a ridurre del 90% la popolazione di nematodi. Da Buccoli 113 scopriamo inoltre che l’odore pungente delle foglie serve anche come repulsivo per certi indesiderati insetti di superficie; sempre da lei impariamo come la sua consociazione con altre specie sia estremamente facile,

109


non temendo la siccità ed essendo piuttosto semplice portare i semi a germinazione. Una ulteriore conferma della sua azione repellente la troviamo in uno studio recente114, compiuto in America, che indaga gli effetti del tagete nel contrastare gli insetti fitofagi di fagiolo e pisello, ad esso consociati, ottenendo riscontri positivi. Aglio Altre piante molto interessanti per il loro utilizzo in policolture sono quelle appartenenti al genere Allium ed in particolare la specie Allium sativum, per l’ingente quantità di oli essenziali che riesce a sintetizzare; per il suo particolare effetto repellente nei confronti di svariate specie di insetti fitofagi; per la facilità di consociazione con altre specie derivata dalla sua forma longilinea, che minimizza la competizione per la luce; per la sua semplicità di raccolta e conservazione. Numerose prove scientifiche sono state raccolte. Un primo studio analizzato115 riporta come positiva la consociazione di aglio e tabacco nel contrastare l’afide verde (Myzus persicae) causa di ingenti danni nelle coltivazioni cinesi.

110


È stato provato che l’aglio, dal secondo anno di coltivazione, non solo ritarda di 7 giorni la comparsa dell’insetto ma riesce inoltre a ridurne il numero, instaurando una tendenza che porta ad una progressiva diminuzione del danno nel succedersi degli anni. Un secondo

studio

116

compiuto

a

proposito

della

consociazione tra cetriolo (Cucumis sativus) e aglio (Allium sativum), e tra cetriolo e cipolla (Allium cepa), rileva invece la capacità che hanno queste piante di incrementare la resa del cetriolo rispetto a quella ottenuta in monocoltura; si riscontra inoltre un miglioramento dell’ambiente suolo, attraverso una implementata azione di vari enzimi (es. ureasi e catalasi) e una maggiore e costante presenza di polifenoli. Sulla base delle ricerche compiute nel corso degli anni, sono state create apposite tabelle (Fig. 12) che riassumono le consociazioni positive tra le diverse piante così come quelle negative e quelle in cui, fino a questo momento, non si sono riscontrati particolari effetti.

111


Figura 12 _ Esempio di tavola delle consociazioni.

Immagine tratta da twoblueboots117

112


3.3 Risvolti economici e sociali dell’orticoltura sinergica Si vuole in questo spazio riassumere le diverse sfumature che può assumere l’orticoltura sinergica: visti i

suoi

aspetti

principali,

essa

si

rivela

essere

estremamente adattabile a perseguire non solo obbiettivi produttivi ma anche, la dove ve ne è l’intenzione, obbiettivi

sociali

e

ambientali.

Queste

diverse

caratteristiche trovano nelle basi teoriche dell’agricoltura sinergica una compenetrazione perfetta: sarà compito della persona (o del gruppo di persone) che decide di iniziare un tale percorso scegliere quale e quanto accento dare ad ognuno di questi aspetti, in funzione delle diverse esigenze e dei diversi obbiettivi da raggiungere. Si ritiene inoltre, confermato da studi recenti118, che la loro simultanea e massima espressione possa essere conseguita in un contesto urbano o periurbano in quanto proprio la vicinanza di città e metropoli possa esaltare le polivalenze e multifunzionalità dell’agricoltura.

113


a) Aspetto economico L’aspetto

economico

è

di

primaria

importanza

all’interno dell’agricoltura sinergica proprio come in ogni altro scenario agricolo poiché sarà grazie ai ricavi conseguiti che potrà essere possibile perpetuare il mantenimento dell’orto nel succedersi degli anni. In funzione delle finalità principali che scegliamo di attribuire alla coltivazione sinergica, i profitti potranno derivare da finanziamenti esterni (la dove vi è l’interesse di utilizzare l’orto come elemento di promozione sociale, ambientale, educativa ecc.) o da finanziamenti interni, ricavati dalla produzione di ortaggi e da tutte le attività ad essa collegate. Nel caso in cui si voglia organizzare una coltivazione orticola da mercato, finalizzata quindi alla vendita, si dovrà procedere in maniera ovviamente diversa rispetto alla realizzazione di una coltura orticola ad uso familiare. Sarà necessario utilizzare, in funzione delle dimensioni degli spazi a disposizione, diversi macchinari in grado di velocizzare il lavoro; è inoltre consigliato dalla stessa Hazelip119 di semplificare le consociazioni

114


all’interno del bancale, limitando a due il numero di colture diverse per ogni bancale, scelte specificatamente per i loro effetti sinergici positivi e praticando le successioni, le rotazioni e la raccolta in maniera convenzionale. Questo sistema è stato oggetto di vari studi120 e permette, come si è visto in precedenza, di ottenere vantaggi nelle rese in media superiori a quelli conseguiti attraverso coltivazioni di monocolture.

b) Aspetto comunicativo Grazie al profondo legame di rispetto della natura tout court promosso dall’agricoltura sinergica, si possono sviluppare

un

insieme

sensibilizzazione

e

ambientale;

della

didattico/conoscitive

di

attività

promozione

della

qualità della

flora

volte

alla

sostenibilità alimentare;

e

fauna

che

naturalmente si insedierà nello spazio coltivato. Per quanto riguarda il primo di questi aspetti, esso assume particolare importanza in ambienti urbani poiché attraverso la trasmissione di questi messaggi più persone potrebbero essere invogliate a simulare o riprodurre

115


simili esperienze: ciò comporterebbe una diffusione capillare di tante piccole realtà ortive urbane le quali, senza dubbio, apporterebbero migliorie non solo alla qualità della vita dei singoli cittadini ma anche alla salubrità dell’ambiente circostante. Una importante opera di sensibilizzazione può essere effettuata anche tramite la vendita diretta o la donazione dei prodotti coltivati

all’interno

particolarmente

dell’orto:

evidenti

le

risulteranno differenze

organolettico\qualitative di questi prodotti rispetto ad altri, accessibili attraverso la grande distribuzione. Terzo aspetto capace di comunicare sia l’importanza della sostenibilità ambientale sia di educare alle regole che muovono la flora e la fauna, riguarda i bambini e i ragazzi in età scolare. La sensibilizzazione potrebbe avvenire in questo caso mediante visite guidate e momenti di approfondimento alla realtà ortiva in esame; oltre a questo le scuole stesse potrebbero dotarsi di orti coltivati in maniera naturale avendo la possibilità, in loco, di accedere a tutti questi servizi.

116


c) Aspetto comunitario Obbiettivi non secondari che possono essere raggiunti attraverso la creazione di orti sinergici sono quelli di aggregazione sociale; aiuto psicologico a persone svantaggiate; di riposo, per adulti e bambini. Vari studi attestano come l’orto possa diventare elemento centrale di una terapia di riabilitazione (horticultural therapy) dimostrando come la sua fruizione possa migliorare l’interazione sociale; possa costituire momento di svago; possa essere stimolatore dei sensi e dell’attività motoria121. Attraverso la fruizione di questo spazio si potrà inoltre avere la possibilità di ritrovare esperienze diverse da quelle quotidiane a cui, sempre più proiettati all’interno delle grandi città, si è ormai esclusivamente abituati. Con questo tipo di agricoltura il campo o l’orto sinergico può facilmente assumere un significato aggiuntivo rispetto a quelli tradizionali, arrivando a diventare elemento chiave attorno al quale creare occasione di incontro e condivisione. La letteratura accademica è ricca di esempi 122

123

che attestano gli effetti positivi 117


degli orti comunitari (community gardens) sia per quanto riguarda la rigenerazione degli spazi124 sia per quanto riguarda il miglioramento della qualità della vita 125 126 da parte dei gestori dello spazio coltivato. Dalla lettura del

libro

comprende

“Agricoltura subito

che

sinergica”

di

questo

tema

Hazelip le

si

stava

particolarmente a cuore, poiché più della metà dello spazio è riservato al racconto delle diverse esperienze portate avanti dai suoi discepoli, che il più delle volte sono riusciti a coltivare, parallelamente agli ortaggi, nuove conoscenze ed amicizie; è anche facile rendersi conto di come, grazie a questi scambi, l’agricoltura sinergica si sia velocemente diffusa in Europa e nel mondo. Citando le stesse parole di Hazelip: “Non solo avrete risultati economicamente validi, ma da un punto di vista psicologico, sentirete anche una carica positiva. In termini di spiritualità, sarete in grado di alimentare nello stesso tempo l’integrità fisica e morale. Alimenti del Paradiso per un essere umano appartenente al Pianeta.”127

118


CAPITOLO 4. CASO DI STUDIO: IL PROGETTO “ORTOCIRCUITO” Vengono illustrate nel corso di questo capitolo le fasi progettuali

e

pratiche

che

hanno

portato

alla

realizzazione di Ortocircuito, orto sperimentale urbano comunitario coltivato con i metodi dell’agricoltura sinergica. È stata compiuta una analisi dei parametri del suolo (colore, tessitura, pH, conducibilità elettrica, metalli pesanti)

su

varie

parcelle

sperimentali

dell’orto,

attraverso le quali si vuole cominciare un processo di ricerca volto ad indagare, nell’ambito di una coltivazione sinergica, eventuali cambiamenti della fertilità del terreno. È inoltre riportato un confronto tra questi parametri e quelli rilevati all’interno di un campo coltivato con tecniche agricole tradizionali e con una parcella di terreno incolto.

119


Figura 13 _ I ragazzi che hanno partecipato alla creazione dell'orto.

120


14 _ L'orto nelle successive 121 Figura fasi di crescita durante l’anno 2014.


4.1 Nascita, sviluppo e prospettive del progetto Il progetto Ortocircuito prende forma a partire dalla primavera del 2014 su uno spazio di circa 600 metri quadrati, ubicato a Bologna all’interno del quartiere Roveri. Il quartiere Roveri nasce nel dopoguerra con il fine principale di ospitare capannoni industriali, oggi ormai quasi tutti dismessi e abbandonati. È quindi all’interno di un particolare contesto urbano che prende forma il progetto ortocircuito, i cui propositi non si limitano solamente ad una produzione sostenibile e biologica di alimenti, ma mirano anche a diventare nel tempo luogo di aggregazione sociale all’interno di una zona della città che sente fortemente l’esigenza di una riqualificazione generalizzata. La nascita e la realizzazione del progetto è stata possibile per i meriti di varie figure che hanno lavorato insieme con lo scopo di creare un luogo espressione di un insieme di caratteristiche che lo potesse rendere: esteticamente piacevole e vivibile; in grado di garantire entrate economiche; fonte di alta biodiversità; promotore

122


dei concetti di sostenibilità ambientale e urbana; comunitario nella sua gestione. Dopo diversi tavoli di confronto, si è convenuto che l’orto poteva essere l’elemento che tra tutti riuscisse a esprimere al meglio queste diverse esigenze. È stata inoltre presa la decisione di coltivarlo seguendo le pratiche dell’agricoltura sinergica per esaltare le caratteristiche di naturalità e sostenibilità ambientale dello spazio. Le aiuole sono state pensate con una forma circolare, per conferire al luogo un aspetto piacevole e una particolare caratterizzazione. Le figure coinvolte in questa prima fase di progettazione sono state la cooperativa sociale onlus EtaBeta, che attraverso il suo presidente Juan Crous ha reso disponibile lo spazio fisico di coltivazione; la fondazione Enelcuore, promotrice di un bando, vinto da EtaBeta, che ha stanziato i fondi necessari per la realizzazione; l’università di bologna, che attraverso il dipartimento di orticoltura di Agraria (Professor Giorgio Prosdocimi Gianquinto) e il centro studi Rescue-AB (Dr. Francesco Orsini,

Professor

Giovanni 123

Bazzocchi,

Francesca


Magrefi) ha sostenuto la realizzazione teorica e pratica dello spazio; l’associazione Biodivercity, che ha individuato in Niccolò Rizzati la persona incaricata di occuparsi della parte progettuale dell’orto e della successiva realizzazione effettiva; l’architetto Marco Montalti (studio GAd) che ha aiutato durante le prime fasi a rendere il luogo esteticamente piacevole. Una volta definite durante i primi mesi invernali del 2014 le caratteristiche principali che dovesse assumere l’orto, nel corso della primavera il progetto si è andato via via concretizzando attraverso la successione di diversi lavori quali: la definizione degli spazi; la costruzione dell’impianto irriguo; la semina, il trapianto e il mantenimento di oltre 100 specie vegetali diverse tra ortaggi, erbe aromatiche, piante ornamentali e piante spontanee. Si può dire oggi che il progetto ortocircuito abbia riscosso fino a questo momento un grande successo, riuscendo a conseguire gli obbiettivi prefissati: è stato luogo di incontro, condivisione e di festa in molte occasioni;

è

estremamente

ricco

di

biodiversità

ambientale e animale, in continuo aumento; è stato

124


promotore di sostenibilità e riqualificazione urbana, oggetto di visite e articoli giornalistici128; i suoi prodotti sono copiosi e condivisi. Dall’inizio del 2014 fino ad oggi l’orto continua a esistere, manutenuto sia dai tirocinanti di agraria che da alcuni ragazzi della cooperativa EtaBeta. Nei mesi invernali del 2015 si sta preparando un ulteriore ampliamento, con messa a dimora di circa 30 diverse specie di alberi e molte altre specie di piccoli e grandi arbusti che andranno a costituire un forest garden (Fig.15) adiacente all’orto sinergico. Oltre a questo, un altro grande appezzamento di terreno limitrofo (circa 5000 metri quadrati) è coltivato secondo i metodi dell’agricoltura biologica, riuscendo a dare lavoro attraverso i suoi prodotti a due associati della cooperativa sociale EtaBeta.

125


Figura 15_ Progetto del forest garden.

126


4.2 Tecniche di coltivazione

Ortocircuito è un progetto che nasce a Bologna, all’interno del quartiere industriale Roveri. Lo spazio dedicato all’orto confina sul lato est con via delle bisce; sul lato sud con via del selciatore; sul lato ovest con un parcheggio chiuso, inaccessibile alle macchine; sul lato nord con un muro prefabbricato in cemento che lo separa dal giardino interno proprietà della cooperativa EtaBeta. I primi rilievi visivi dello spazio sono stati compiuti nel febbraio del 2014, epoca in cui esso si presentava come incolto (Fig.16), un fazzoletto di terra da lungo tempo abbandonato perché troppo piccolo sia per prestarsi ad un tipo di coltivazione meccanizzata, sia per permettere un’efficiente

edificazione

di

edifici

(destinazione principale del quartiere).

127

industriali


Figura 16 _ Spazio dedicato al progetto ortocircuito, vista lato nord.

Una volta concordate con tutte le parti in causa le caratteristiche da conferire al luogo, il primo lavoro è stato quello di progettazione dello spazio: seguendo scrupolosamente i criteri dell’agricoltura sinergica e naturale sono state disegnate le aiuole, definiti gli spazi, pensate

le

diverse

consociazioni

in

funzione

dell’esposizione solare, del diverso sviluppo radicale, della fitosociologia delle piante (Fig.17).

128


Figura 17 _ Progetto originale di Ortocircuito.

Lavoro successivo è stato quello della prima e unica aratura, necessaria a smuovere il terreno lasciato abbandonato per lungo tempo, a cui è seguita la definizione delle aiuole in campo. È stato scelto di rialzare leggermente i bancali rispetto al livello del terreno per scopi sia estetici che pratici: è essenziale in

129


un orto sinergico naturale mantenere il più possibile areato il terreno, diventando così necessario creare dei camminamenti riconoscibili che permettano di evitare il calpestamento e il compattamento del bancale. I passaggi percorribili (Fig. 19), hanno una larghezza massima di 1,5 metri (2,20 metri nelle aiuole più interne), rimanendo

che

consente

sui

bordi

di del

lavorare bancale.

agevolmente I

quattro

camminamenti principali sono larghi 0,8 metri così da avere agevole passaggio anche con una carriola; i camminamenti secondari posti tra le diverse aiuole sono invece leggermente più stretti (0,4 metri), accessibili solo dalle persone.

Figura 18 _ Ortocircuito, vista aerea.

130


Figura 19 _ Definizione delle aiuole.

Durante il corso della primavera sono state seminate e trapiantate varie piante su ogni aiuola, ottenendo così 12 diverse consociazioni. Sono state seminate e trapiantate esclusivamente

specie

e

varietà

provenienti

da

agricoltura biologica, con preferenza verso quelle locali. Alcuni ortaggi coltivati sono: Zea mays, Heliantus annuum, Heliantus tuberosus, Phaseolus vulgaris, Pisum sativum, Daucus carota, Cucurbita maxima, Cucurbita

131


pepo, Beta vulgaris, Solanum lycopersicum, Capsicum anuum, Capsicum chinense, Solanum tuberosum, Vicia faba, Ocimum basilicum, Phisalis peruviana, Spinacia oleracea,

Cichorium

intybus,

Raphanus

Fragaria vesca (Fig. 20 e 21).

Figura 20 _ Consociazione mais, fagiolo, zucca.

132

sativus,


Figura 21 _ Consociazione fagiolino e patata.

La collocazione delle specie aromatiche (Artemisia absinthium, Rosmarinus officinalis, Salvia officinalis, Mentha x piperita, Thymus vulgaris, Origanum vulgare, Foeniculum

vulgare,

schoenoprasum,

Rheum

Lavandula

officinale,

angustifolia,

Allium Santureja

montana, Melissa officinalis) è stata pensata lungo i bordi delle aiuole (Fig. 22), adiacente ai camminamenti

133


principali: serviranno sia ad attirare insetti pronubi che a garantire una protezione dai principali parassiti.

Figura 22 _ Melissa e lavanda sui bordi dei bancali.

134


Su alcune aiuole (Fig. 23) è stata seminata la senape (Sinapis alba) per sfruttare la concimazione verde di cui parla Hazelip nel suo libro.

Figura 23 _ Senape in copertura.

I semi di specifiche piante (Borrago officinalis, Perilla frutescens, Eruca sativa, Papaver rhoeas, Tropaeolum majus) sono stati seminati in maniera casuale su tutta la superficie dell’orto, per favorire la biodiversità delle aiuole e sfruttare al meglio la loro capacità di propagarsi da sole l’anno successivo (Fig. 24).

135


Figura 24 _ Papavero e borragine.

Alcune piante (Tagete minuta, Tagete tenuifolia, Tagete erecta, Calendula officinalis, Urtica dioica) sono state coltivate non per la loro commestibilità ma per la riscontrata azione di aiuto nella lotta naturale contro insetti e microrganismi parassiti (Fig. 25).

136


Figura 25 _ Il tagete aiuta a contrastare i danni provocati dai nematodi.

Altre piante ancora (Portulaca oleracea, Taraxacum officinalis, Malva sylvestris, Stellaria media, Mentha arvensis), nate spontaneamente, sono state mantenute sia perché commestibili sia perché essenziali alla fauna dell’orto, abituata principalmente alle piante spontanee che trova negli ambienti selvaggi. Sono infine state introdotte alcune piante (Achillea millefolium

,

Urtica dioica, 137

Equisetum arvense)


appositamente per sfruttare i minerali che rilasciano nella preparazione del composto e dei macerati. L’impianto irriguo è stato eseguito attraverso la disposizione sulle aiuole di tre ali gocciolanti semirigide in polivinilcloruro, già munite all’interno di gocciolatori autocompensanti, collegate ai tubi di portata interrati sotto i camminamenti principali (Fig. 26). Due cisterne da 1000 litri ognuna, collegate in serie, garantiscono un serbatoio di acqua più che sufficiente ad irrigare l’orto due volte al giorno per 30 minuti. Le cisterne sono collegate ad un rubinetto dell’acquedotto che, azionato da un galleggiante, si apre quando il volume di liquido scende sotto i 500 litri. L’acqua è messa in pressione nei tubi di irrigazione da una pompa interna alle cisterne, attivata

automaticamente

da

una

elettrovalvola

regolabile attraverso una centralina. Ogni aiuola è stata poi pacciamata con foglie o paglia per ricoprire i tubi gocciolatori e limitare al massimo l’evaporazione nei mesi estivi.

138


Figura 26 _ Tubi di portata collegati alle ale gocciolanti.

Per facilitare l’accesso all’orto sia ai visitatori che ai manutentori, i camminamenti principali sono stati coperti da un telo di plastica resistente e traspirante, fissato ai bordi attraverso lunghi tronchi di legno dallo spessore di 5-6 centimetri. Il telo è stato poi ricoperto di ghiaia (Fig. 27) per stabilizzarlo in maniera definitiva e facilitare la rimozione delle erbe infestanti sui bordi delle aiuole.

139


Figura 27 _ Il camminamento principale completato.

140


Tre ulteriori zone sono state create durante l’estate, occupando tre dei quattro angoli lasciati vuoti dalla costituzione delle aiuole tonde: si sono scelte in questo caso piante erbacee perenni commestibili e capaci di attirare insetti utili: Urtica dioica, Fragaria vasca, Cynara scolymus. L’orto si è presentato a luglio nel suo abito più lussureggiante: da ogni consociazione sono state raccolte grandi quantità di ortaggi fino al tardo autunno. È stato possibile organizzare feste e pranzi che hanno reso Ortocircuito luogo di incontro e condivisione.

141


Figura 29 _ Ortocircuito, 30 giugno 2014.

142 Figura 28 _ Ortocircuito, 24 ottobre 2014.


4.3 Analisi del terreno

Scopo della prova: Scopo della prova è quello di iniziare un percorso che porti, attraverso la ripetizione di ulteriori rilevamenti compiuti a intervalli di tempo annuali, ad una conferma relativa alla tesi sostenuta dai fautori dell’agricoltura sinergica secondo la quale la fertilità del suolo riesce a mantenersi e migliorarsi nel tempo all’interno di un orto coltivato seguendo i principi di questa tipologia di agricoltura sostenibile. Scopo di queste prime analisi è anche quello di accertarsi che nelle parcelle oggetto di studio e di coltivazione non siano presenti metalli pesanti capaci di compromettere la qualità degli ortaggi coltivati. È stata eseguita un’analisi di 15 campioni di terreno rappresentativi di 5 diverse zone, ubicate a Bologna,

143


all’interno del quartiere industriale Roveri, accessibili da via delle bisce (Fig. 30). I campioni di terreno relativi alle aiuole coltivate secondo le regole sinergiche sono stati prelevati all’interno di una superficie di terreno di 600 mq. I campioni di terreno relativi all’incolto sono stati prelevati in una zona di terreno limitrofa all’orto sinergico, che non ha subito alcun tipo di lavorazione per almeno 10 anni. I campioni relativi alla coltivazione tradizionale sono stati prelevati da un campo anch’esso adiacente all’orto, coltivato da tempo secondo le tecniche di lavorazione tradizionali.

144


Figura 30 _ Vista aerea di ortocircuito. Immagine tratta da Google Maps129

145


Materiali e metodi:

I parametri analizzati sono i seguenti: - Colore - Tessitura - pH - Conducibilità elettrica - Metalli pesanti

Sono state individuate cinque zone di campionamento su ognuna delle quali sono stai prelevati 3 diversi campioni (Fig. 31).

146


Zone: a) Sinergico coltivato a girasole (Heliantus annuum) b) Sinergico coltivato a fagiolino (Phaseolus vulgaris) c) Sinergico coltivato a consociazioni miste d) Incolto e) Coltivazione convenzionale

Figura 31 _ Campioni di suolo.

147


Colore: È stata eseguita su ogni campione un’analisi visiva per stabilirne il colore. E' stato eseguito per ogni campione la determinazione del colore con le tavole Munsell (Fig. 32) e l'analisi è stata eseguita sia sul campione umido che su quello seccato all'aria.

Figura 32 _ Tavole Munsell per la caratterizzazione del colore.

148


Tessitura: La terra di ogni campione è stata setacciata attraverso maglie di acciaio con intercapedini di lato 2 mm fino ad ottenere almeno 450 grammi di materiale (Fig. 33). Di questi, 10 grammi sono utilizzati per valutare la tessitura, con l’obbiettivo di conoscere le tre percentuali costituenti il triangolo della fertilità: sabbia, limo e argilla. Si ricordano i diametri delle particelle che definiscono queste tre classi: 2 mm < Sabbia < 0,05 0,05 mm < Limo < 0,002 mm Argilla < 0,002 mm

Di ogni componente saranno calcolate le percentuali, la media e la deviazione standard interne alle zone di campionamento.

149


Figura 33 _ Setacciatura iniziale attraverso maglie larghe due millimetri.

Sabbia: Il campione di 10 grammi è stato diluito in acqua distillata e setacciato attraverso maglie con pori larghi 50 micron. Ciò che rimane sul setaccio è stato essiccato e pesato: avremo determinato in questo modo la componente sabbiosa.

150


Limo: La frazione di terra e acqua percolata attraverso i pori del setaccio risulterà essere la somma della componente limosa e di quella argillosa. Essa è raccolta e lasciata decantare per 30 minuti. Successivamente l’acqua sporca è stata eliminata per isolare il sedimento depositato sul fondo. Dopo una notte in stufa, il sedimento secco è stato pesato, andando a costituire la componente limosa. Argilla: La terza e ultima componente, l’argilla, è ottenuta per differenza seguendo la formula: 10 (g) - limo (g) - sabbia (g) = argilla (g)

151


pH: Per la lettura del pH del suolo sono stati diluiti 20 grammi di ogni campione in 50 cc di acqua distillata. Ogni campione è stato agitato meccanicamente per due ore. Dopo aver tarato il pH-metro si procede con la lettura del pH una volta che il valore si è stabilizzato.

152


Conducibilità elettrica: Per la lettura della conducibilità elettrica sono stati diluiti 10 grammi di suolo in 50 centilitri di acqua distillata. Ogni campione è stato agitato per due ore prima della lettura. Si filtra il campione attraverso appositi dischi di carta (Fig. 34) e si misura la conducibilità sull'acqua filtrata (Fig. 35).

Figura 34 _ Filtro dei campioni per il calcolo della conducibilità elettrica.

153


Figura 35 _ Strumento di misura della conducibilità elettrica.

154


Metalli Pesanti: È

stata

eseguita

un’analisi

di

tutti

i

metalli

potenzialmente pericolosi per la salute umana, se presenti in elevate quantità all’interno del suolo. I campioni di suoli sono stati essiccati in stufa ventilata a 50°C per poi essere macinati finemente con un mulino a palle. Circa 250 mg di suolo macinato sono stati fatti reagire in aqua regia (AR) (1:3, v/v; HNO3:HCl sovrapuri). I campioni sono stati poi mineralizzati in forno a microonde (Start D 1200, Milestone, USA). Il mineralizzato è stato filtrato in Watman 42 e portato a volume di 20 ml con millq. Il mineralizzatore a microonde serve per la digestione acida, che trasforma il materiale di partenza in un campione liquido e omogeneo, rendendolo quindi utilizzabile per una vasta gamma di analisi (in questo caso la spettrometria di emissione in sorgente al plasma ICP-OES). L’utilizzo di questo tipo di mineralizzatore permette il raggiungimento di alte temperature (circa 220°C) che permettono, assieme alla soluzione di attacco composta

155


da

acido

nitrico

e

perossido

di

idrogeno,

il

completamento della digestione in 50 minuti. Le microonde sono radiazioni non ionizzanti che causano il movimento delle molecole generando una migrazione di ioni, senza però causare alterazioni nella struttura molecolare del materiale su cui agiscono. L’energia derivata dal movimento di molecole si esplica come calore sul campione. Il mineralizzatore contiene 10 vessel, ovvero capsule ermetiche in teflon, ognuna delle quali contiene un campione. I vessel sono inseriti in un “cestello” che ha anche la funzione di un torchio, ovvero quella di tenere sigillati i vessel (tramite un sistema a vite) durante la mineralizzazione che genera alte pressioni.

Una

volta

completato

il

ciclo

di

mineralizzazione i vessel, che erano stati chiusi con chiave dinamometrica, vanno aperti sotto cappa per scongiurare la fuga dei gas prodotti durante la mineralizzazione. Sono in seguito lasciati raffreddare, lavati e asciugati accuratamente prima di essere usati per il ciclo successivo, pena la prematura corrosione del vessel.

156


Prima di essere analizzati, i campioni devono essere portati a volume tramite acqua milliq. Dopo la mineralizzazione i campioni sono stati analizzati mediante la tecnica ICP-OES (spettrometria ottica

di

emissione

con

plasma

accoppiato

induttivamente). È un tipo di spettrometria di massa in cui il campione viene nebulizzato in una torcia al plasma d'Argon che brucia

ad

una

temperatura

di

10.000°C,

dalla

combustione del campione si ha l'emissione di luce da parte degli atomi contenuti nel campione. Ogni elemento ha una o più frequenze di emissione specifiche la cui intensità è correlata alla sua concentrazione nel campione. Lo strumento trasmette i dati ad un computer che processa e registra le informazioni riguardanti l’emissione dal campione. Il computer fornisce quindi un grafico, detto spettro di massa, che riporta la concentrazione di ogni elemento in funzione del rapporto massa/carica, specifico di ogni composto.

157


Risultati e discussioni:

Colore: L’analisi del colore ha evidenziato i seguenti risultati:

Tabella 2 _ Risultati analisi colore a secco e a umido.

158


Ottenuti dall’interpretazione dei seguenti parametri delle tavole Munsell:

Tabella 3 _ Nomenclatura del colore del suolo secondo le tavole Munsell.

Il colore del suolo fornisce indicazioni sulle fasi storiche della

sua

formazione

e

sugli

elementi

che

lo

costituiscono. La sequenza di colori che può assumere un suolo varia dal bianco fino al nero e dipende dalla quantità di sostanza organica e dai minerali presenti nel terreno (per esempio suoli rossi indicano presenza di ferro; nei suoli bianchi si evidenzia la presenza di

159


carbonato di calcio; i suoli marroni sono caratterizzati dalla mescolanza dell'humus (nero) con gli ossidi di ferro (rossi); suoli argillosi possono variare dal grigio chiaro al grigio-verdastro. Partendo dall’analisi della parcella incolta, possiamo osservare che il colore dominante è il giallo bruno e il giallo pallido, indice 130 di un suolo molto povero di sostanza organica con un discreto contenuto di argille. Questo dato verrà confermato dall’analisi della tessitura, possiamo inoltre affermare che l’assenza di vegetazione perenne nelle vicinanze della parcella incolta (così come in quelle sinergiche prima di essere lavorate) può verosimilmente essere la causa della scarsezza di sostanza organica nel suolo. Già dopo le prime lavorazioni, compiute seguendo il metodo sinergico, sull’incolto è possibile rilevare una graduale traslazione di colore dal giallo verso il bruno, indice 131 di un accumulo di sostanza organica, con frazioni simili di sabbia, limo e argilla. Colori molto simili sono rilevati anche all’interno della parcella coltivata con tecniche tradizionali, indice di un

160


Â

apporto di sostanza organica derivato probabilmente da letamazioni.

Â

161 Â


Tessitura: L’analisi della tessitura ha evidenziato i seguenti dati:

Analisi Tessitura 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0%

SABBIA LIMO ARGILLA Tabella 4 _ Diverse percentuali di sabbia, limo, argilla nei settori campionati.

162


Riportando le diverse percentuali sul triangolo della tessitura (Tab. 5), quattro delle cinque parcelle analizzate (sinergico a girasole, sinergico a fagiolini, sinergico misto e incolto) risultano ricadere all’interno del settore franco limoso, la coltura tradizionale si colloca invece nel settore franco. Si ritiene che l’evidente omogeneità dei dati delle parcelle coltivate con il metodo sinergico rispetto alla parcella incolto sia tale poiché la analisi sono state compiute dopo soltanto un

ciclo

colturale,

troppo

poco

per

apportare

apprezzabili modificazioni a questi parametri. Si ritiene comunque possibile che nel succedersi degli anni il metodo sinergico possa portare a cambiamenti tessiturali del terreno; in particolare ci si attende un aumento della frazione capace di rimanere in sospensione nel liquido (frazione argillosa) derivata da un accumulo di sostanza organica. Se questo dovesse accadere, la tendenza delle parcelle sarebbe quella di spostarsi gradualmente all’interno del settore franco del triangolo della tessitura.

163


Tabella 5 _ Triangolo della tessitura: Δ = sinergico a fagiolini. ✖ = sinergico a girasole. ☐ = sinergico misto. ★ = incolto. ¢ = coltura convenzionale.

164


pH: L’analisi del pH ha evidenziato i seguenti dati:

Analisi pH 8,5 8 7,5 7 6,5 6

pH

Sinergico a girasole Sinergico a fagiolini Sinergico misto Incolto Coltura tradizionale Tabella 6 _ Analisi del pH delle diverse parcelle.

165


Si rilevano in tutte le parcelle valori di pH compresi tra 7,5 e 8. Gli errori di campionamento non appaiono come rilevanti

nelle

parcelle

coltivate

con

metodi

di

agricoltura sinergica e nella parcella lasciata ad incolto, indicando

come

i

campioni

siano

estremamente

omogenei in queste zone. Nella parcella tradizionale si rilevano maggiori differenze di pH tra i diversi campioni,

portando

ad

una

deviazione

standard

leggermente più alta (0,29). Tutti i valori del pH rimangono in ogni caso compresi tra 7,3 e 8: in linea con i valori indicati dalla bibliografia 132 per crescere con successo le principali colture. Le aspettative prevedono, all’interno alle zone trattate con metodi sinergici, un mantenimento del pH di partenza. L’aumento della percentuale di humus nel suolo dovrebbe infatti rafforzare l’effetto tampone, rilasciando basi di scambio e adsorbendo ioni idrogeno in presenza di suoli acidi; adsorbendo ioni metallici e rilasciando ioni idrogeno (capaci di neutralizzare gli ioni idrossido) in presenza di basi.

166


Conducibilità elettrica: L’analisi della conducibilità elettrica ha evidenziato i seguenti dati:

Analisi Conducibilità Elettrica (µS/cm^2) 300 250 200 150 100 50 0

EC

Sinergico a girasole Sinergico a fagiolini Sinergico misto Incolto Coltura tradizionale Tabella 7 _ Risultati della EC nelle diverse parcelle.

167


Tutti i dati raccolti a proposito della conducibilità elettrica sono nella norma, aggirandosi tra 150 e 200 microS/cm (Tab. 7). L'andamento del grafico, in cui si evidenziano valori relativamente più alti all’interno delle parcelle sinergiche rispetto alla coltura convenzionale, potrebbe essere dovuto sia alla diversa qualità dell’acqua di irrigazione sia ad una maggiore presenza di sostanza organica, capace di conferire al terreno una quantità maggiore di siti di scambio e avere quindi più ioni adsorbiti.

168


Metalli pesanti: I risultati delle analisi dei metalli pesanti sono stati divisi in due tabelle. La prima (Tab. 8) riporta i macroelementi, ovvero i metalli contenuti nel suolo in quantità superiori a 100 milligrammi ogni chilo di suolo. Essi sono: Alluminio, Bario, Calcio, Ferro, Potassio, Magnesio, Manganese, Sodio, Fosforo, Zolfo, Titanio. La seconda (Tab. 9) riporta i microelementi, presenti in quantità inferiori a 100 mg/kg. Essi sono: Arsenico, Bario, Berillio, Cerio, Cobalto, Cromo, Rame, Litio, Nickel, Piombo, Stagno, Stronzio, Vanadio, Zinco.

169


Tabella 8 _ Contenuto di macrometalli pesanti nel suolo.

170


171 Tabella 9 _ Contenuto di micrometalli pesanti nel suolo.


È di seguito riportata una tabella (Tab. 10) che, secondo la direttiva 86_278_CEE133, modera i valori limite di concentrazione ammessi nel suolo di specifici metalli pesanti, tra i più pericolosi per gli organismi viventi.

Tabella 10 _ Valori limite di concentrazione di metalli pesanti ammessi nel suolo134.

Dalla comparazione di questa tabella con quella riportante le analisi del suolo compiute su tutte le parcelle si può affermare che: gli elementi cadmio e mercurio non sono presenti in nessuna delle parcelle analizzate; gli elementi Rame, Nichel, Piombo e Zinco

172


Â

sono presenti in tutte le parcelle in concentrazioni simili, nessuna delle quali supera i valori limite di legge.

Â

173 Â


174


CONCLUSIONI:

In conclusione a questo elaborato desidero tirare le somme del lavoro svolto fino a questo momento, sia in merito all’agricoltura sostenibile in generale che in merito a quella sinergica in particolare. Ritengo importante sottolineare come l’argomento in esame sia stato scelto non tanto casualmente tra gli infiniti spunti che offrono le materie agronomiche, ma rispondendo specificatamente ad un’esigenza di cambiamento, sentita da me come, credo e spero, dalle nuove generazioni. Nella prima parte dell’elaborato sono stati portati alla luce alcuni dei limiti dell’agricoltura intensiva ed estensiva convenzionale, limiti che sempre di più negli ultimi anni, con il perorarsi di queste pratiche agricole, si stanno rendendo manifesti, fonte a livello globale di problemi ambientali più o meno gravi. Sono quindi state proposte e analizzate diverse soluzioni alternative: alcune, come l’agricoltura biologica e conservativa, sono oggi particolarmente indicate a sostituire sistemi di

175


coltivazione che operano su larga scala; altre, agricoltura naturale e biodinamica, potenzialmente più indicate per aziende agricole di medie o piccole dimensioni. Tutte queste soluzioni sono legate dal filo comune della sostenibilità ambientale, tema che torna oggi ad apparire come imprescindibile da ogni azione antropica volta ad apportare cambiamenti al paesaggio agrario e rurale; tema che, inoltre, si mostra di vitale importanza perché colpisce in maniera trasversale sia i paesi più ricchi e sviluppati sia quelli in via di sviluppo. A prova di questo basti pensare che proprio durante la stesura di questo testo si sta tenendo a Parigi la COP21, ventunesima conferenza Convenzione

annuale quadro

delle delle

parti,

organo

Nazioni

Unite

della sui

cambiamenti climatici (United Nations framework convention on climate change Unfccc); firmatari di un trattato che conta l’adesione di 196 paesi tra quelli con le più alte emissioni di CO2, da cui ci si aspetta oggi un nuovo accordo globale vincolante in merito ai gravi problemi ambientali causati dall’evoluzione della specie umana 135 . Il tema dell’agricoltura sostenibile e in

176


generale della sostenibilità ambientale è quindi oggi più che mai attuale, poiché ogni giorno di più appare necessario attuare dei cambiamenti generalizzati in ogni aspetto del nostro quotidiano se non vogliamo incorrere in irrimediabili catastrofi. Tornando alla tesi, è stata approfonditamente analizzata e discussa l’agricoltura sinergica, quinto esempio di agricoltura sostenibile, tra tutti quello più recente e specificatamente

adattato

al

clima

temperato

e

mediterraneo. Questa, come abbiamo visto, oltre a promuovere pratiche agricole di riguardo per l’ambiente, appare avere estrema versatilità di applicazione: sia, utilizzando specifici macchinari, su vasti appezzamenti di terreno, sia, attraverso il lavoro manuale consapevole, su superfici più ridotte. Nel capitolo conclusivo, infine, si discute un’applicazione specifica dell’orticoltura sinergica attraverso il racconto del progetto Ortocircuito: come è nato e cresciuto, dal 2014 ad oggi, un orto urbano comunitario coltivato con queste particolari pratiche

agricole.

Si

svela

così

un’

ulteriore

fondamentale implicazione sociale dell’orto sinergico,

177


che diventa in grado di creare attorno ad esso una nuova piccola comunità operante insieme per rivalutare un luogo periurbano abbandonato da anni. Inoltre, con la speranza di donare all’agricoltura sinergica una prova scientifica che ne attesti i meriti, sono state compiute all’interno dell’orto una serie di analisi di confronto con una parcella incolta e una parcella coltivata con tecniche tradizionali. L’obbiettivo è quello di dimostrare nel tempo come la fertilità del suolo (nel nome della quali oggi si spendono letteralmente miliardi di dollari in fertilizzanti minerali e pratiche agricole devastanti la biodiversità e, in ultima analisi, la vita) possa essere preservata utilizzando invece la vita stessa, del suolo e delle piante, se gestita in maniera corretta. Ho deciso di cimentarmi in questo lavoro di raccolta bibliografica e di analisi sperimentali non solo per concludere il mio percorso di laurea triennale in agraria, ma anche e soprattutto per mettere a punto un testo che possa, attraverso una sua lettura, essere utile e fruibile a chiunque abbia la volontà di scoprire o approfondire i temi legati all’agricoltura sinergica e sostenibile. Anche

178


da questo auspicio deriva una continua ricerca di un linguaggio che, pur essendo tecnico e puntuale, riesca ad essere allo stesso tempo chiaro e discorsivo. Una volta ancora si deve credere che pur essendo circondati da problemi per noi troppo grandi e troppo gravi, è attraverso la costante comunicazione ed esibizione di piccole azioni positive che si ha effettivamente la possibilità di cambiare in meglio, se non il mondo che ci circonda, sicuramente noi stessi.

179


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55

E. Hazelip, Agricoltura Sinergica, op. cit., p.47.

56

E. Hazelip, Agricoltura Sinergica, op. cit., p.66.

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