jazz cafè

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NICOLA CASTELLO JAZZ CAFE’

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“Contandoli uno a uno non son certo parecchi, son come i denti in bocca a certi vecchi, ma proprio perché pochi son buoni fino in fondo e sempre pronti a masticare il mondo” da “Gli amici”, di Francesco Guccini

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A mia figlia, a Matilda.

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II edizione aprile 2010 in copertina foto dellâ€&#x;autore

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JAZZ CAFE’ La chiave gira con fatica nella toppa arrugginita, la grande porta vetrata si apre con un cigolio. Mi occorrono alcuni secondi perché gli si occhi si abituino al buio dell’ambiente. Quando si accendono le luci mi guardo lentamente attorno. Polvere, calcinacci e ragnatele riempiono lo spazio, l’ambiente ha un’aria dimessa. Dopo pochi istanti, però, inizio già a pensare come potrebbe diventare; la laurea in architettura servirà almeno a questo. Individuo quello che potrebbe divenire lo spazio per il bancone, immagino già come distribuire i tavoli, le librerie ed il tipo di illuminazione migliore; anche quadri e foto trovano il loro posto sulle pareti scrostate. Percorro gli ampi spazi a passi lenti; scendo il gradino che divide a metà il locale e mi guardo attorno. Il silenzio è assoluto; chiudo gli occhi e rimango a lungo immobile. Esco e mentre l’agente immobiliare chiude la porta, mi guardo attorno. Piazza Magione è uno dei posti più intriganti di Palermo; come tutto il centro storico è un misto di degrado e fascino. Una città che la storia ha saputo rendere meravigliosa, prima di accanirsi contro di lei; dai fasti arabi, al degrado dei bombardamenti, all’incuria degli ultimi decenni. Sembra una vecchia signora, bellissima in gioventù ma incapace di affrontare il tempo che passa. Ma questa zona è piena di vita, di turisti e, soprat-

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tutto, di ragazzi, molti studenti universitari fuori sede che abitano nei vecchi palazzi nobiliari ormai in rovina. Una stretta di mano, qui, vale quanto un contratto. Salgo in macchina e mi avvio verso casa. In tasca le chiavi del mio nuovo locale, le chiavi del “jazz cafèâ€?.

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UNA MATTINA QUALUNQUE Cristina è sempre la prima ad arrivare; poggia la bicicletta sul muro ed entra, trafelata e con i capelli scarmigliati; il suo viso è come sempre illuminato da un bellissimo sorriso e la sua risata è contagiosa. “mi prepari il solito?” “certo Cri” Le preparo un caffè lungo con una spruzzata di panna e la osservo sorridendo mentre lo beve. Mi guarda; un filo di panna le segna il labbro superiore. “questa volta non mi dici nulla?” chiede con la faccia da finta stupita. Sa che mi piace prenderla in giro sul fatto che vada in ufficio in bicicletta per mantenersi in forma, ma che non riesca proprio a fare a meno della panna sul caffè. “Giò? S‟è visto stamattina?” “no, non vedo Giorgio da un sacco di tempo, penso sia incasinato come sempre con il lavoro” “o magari è impegnato a correr dietro a tutte le ragazze che gli capitano a tiro” risponde lei ridendo “vado, ho un casino di lavoro che mi aspetta” “se vuoi, salgo su ad asciugarti il sudore” rispondo con un sorriso “fanculo” “fanculo anche a te”

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La guardo mentre inforca la bicicletta e attraversa la strada; una macchina è costretta a frenare di colpo per evitarla. E’ una bellissima persona; un po’ matta e con la testa fra le nuvole ma una di quelle persone alle quali non si può non voler bene. Sono le nove e mezzo e, puntuale come sempre, entra lei. Elisa abita al quarto piano del palazzo di fronte. Ricordo che la prima volta che è entrata nel locale mi ha lasciato senza fiato; lo stesso effetto che fa a chi la vede per la prima volta. Anche oggi gli sguardi di tutti i clienti sono per lei. Dire che è bellissima non le rende giustizia; le minigonne che spesso indossa, poi, la rendono davvero irresistibile. “ciao” “salve Elisa, il solito?” “si, grazie” Le preparo il solito decaffeinato con dolcificante. È una cliente abituale oramai da anni eppure, nonostante il mio carattere espansivo, lei è riuscita a mettermi in soggezione per tanto tempo. Poi, col tempo, siamo diventati amici ed ho avuto modo di scoprire una persona, nonostante la bellezza, disponibile. Oggi è la mia migliore amica, la mia confidente, la persona al mondo che mi conosce meglio. Passa quasi tutte le mattine da qui; quelle rare volte che non può, prima di sera una telefonata o un sms ci terrà in contatto. Qualcuno tempo fa disse “un vero amico è quella persona che desideri vedere o sentire almeno una volta al giorno”, nel nostro caso è cosi. ~ 10 ~


Beve il caffè, uno scambio veloce di battute, quindi paga, saluta e va via. La giornata scorre tranquilla, come sempre; tra un caffè ed una cioccolata si trova il tempo per scambiare quattro chiacchiere con i clienti più affezionati o, magari, per conoscere qualche nuova persona che entra per la prima volta nel mio locale. Le note di “Think” cantata da Aretha Franklin danno al locale un tono profondo e caldo. Dopo anni di sacrifici e di lavoro sottopagato, ho finalmente trovato il coraggio di riporre la laurea in fondo ad un cassetto ed aprire il “jazz cafè”. La cosa più difficile è stata convincere i miei genitori che, come tutti i genitori, sognavano per me un lavoro distinto e ben pagato. Adesso, dopo alcuni anni, si sono rassegnati anche perché hanno capito che sono soddisfatto della mia nuova vita. E questo è il mio mondo; un piccolo locale nel quale vecchi e nuovi amici vengono a prendere un caffè o una cioccolata, a leggere un libro o ad ascoltare jazz suonato dal vivo.

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DUE AMICHE AL BAR Monica entra, al solito, come una furia “ciao Nick, mi prepari il solito?” “vai di fretta come sempre, vero?” “già; ho la smart parcheggiata in doppia fila e non vorrei che un caffè mi costasse trenta euro” sistema i capelli ribelli alla meno peggio, mentre attende che prepari il suo caffè. Ricordo la prima volta che entrò al “jazz cafè”; non bellissima, eppure con una luce negli occhi che la rendeva affascinante. Separata dal marito, è una persona piena di vita. Sempre in giro per il mondo per lavoro, non appena ha qualche minuto libero, si siede al bancone del bar e mi racconta le sue avventure. Mai un viaggio banale o monotono, le capita sempre qualcosa di particolare. Anche quando è in giro per la città, le capitano le avventure più incredibili; una semplice gomma a terra è il preludio di un incontro bizzarro. Esce di corsa così com’è entrata, salutandomi con un tono sdolcinato; sa che ho un debole per lei e non perde occasione per prendermi in giro. La saluto con un sorriso. Fa freddo oggi; un vento gelido proveniente da nord spazza la strada e le foglie secche cadute dagli alberi, volteggiano formando dei piccoli mulinelli, quasi danzassero seguendo una precisa coreografia.

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Il tavolo è, come sempre, pieno di fotografie ed appunti. Lei non si accorge subito di me e solo dopo qualche attimo, con noncuranza, mi fa spazio scostando alcune foto, giusto per poggiare la tazza con la solita cioccolata alla cannella. Polyna viene dalla Polonia. È una fotografa e vive qui da alcuni mesi. Sta preparando un libro fotografico ed il “jazz cafè” è il suo luogo prediletto di lavoro, dove, bevendo distrattamente una cioccolata, sceglie le immagini e ne scrive le didascalie. A volte, quando non c’è gente, mi piace sedermi accanto a lei ed osservarla mentre lavora. Spesso, mentre scrive le annotazioni, ne parla con me, non tanto per chiedere la mia opinione, quanto per osservare, divertita, la mia espressione stranita. In effetti spesso non riesco a capire del tutto quello che voglia dire, cosa voglia esprimere con le sue frasi, ma mi piace ascoltarla, sentire l’uso che fa delle parole, quasi fossero più importanti del contenuto. Io mi limito a sorridere e a dirle che il suo modo di scrivere, nonostante tutto, mi piace. Entra gente al locale, lascio il tavolo di Polyna e mi avvio al bancone. Mi ritornano in mente le parole di “Giudizi Universali” di Samuele Bersani, “troppo celebrale per capire…..”

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PICCOLA Tira un forte vento. È il primo giorno di primavera ma, dopo alcuni di sole, stamattina la temperatura è scesa di nuovo bruscamente. Ho comprato ieri il nuovo CD di Gianmaria Testa e lo ascolto distrattamente, tra un caffè ed una cioccolata; musica e parole combinate magistralmente, come sempre. Ilaria entra avvolta in una sciarpa multicolore che le nasconde il viso, proteggendola dal vento. Si siede al banco salutandomi appena. “cosa ti preparo, piccola?” “non so, fai tu, purché sia qualcosa di molto caldo” le preparo una cioccolata alla cannella, la sua preferita “tra un paio di giorni al massimo, partirò” le porgo la tazza ed aspetto che continui, senza chiederle nulla; “ho una sorella che lavora a Lione; penso di raggiungerla e rimanere lì per sempre” ha gli occhi lucidi, trattiene a stento le lacrime. “e Luca?” chiedo mi guarda appena, poi abbassa di nuovo lo sguardo a fissare la tazza che tiene stretta tra le mani; “cos‟è successo? Avete litigato?” “l‟ho lasciato, non voglio più sapere nulla di lui”

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rimango in silenzio; se ha voglia di raccontare lo farà senza bisogno che le chieda nulla. I minuti passano lenti; la musica colora il locale di toni malinconici. “sono incinta” dice lei d’un fiato “è una bella notizia, oppure no?” “lo sarebbe stata, o per lo meno lo è stata per me appena l‟ho saputo; ero davvero felicissima e non vedevo l‟ora di dirlo a Luca, di condividere con lui questo momento; mi sembrava il coronamento della nostra storia d‟amore; invece…” Ilaria si ferma, quasi a riprender fiato “appena gliel‟ho detto, il suo viso ha fatto un‟espressione che non scorderò mai, un misto di stupore, incredulità, confusione; poi ha iniziato un discorso strano; „siamo troppo giovani‟, „non mi sento pronto‟ e cose simili; ho sentito cedere la terra sotto i piedi finché non ha detto „non possiamo tenerlo‟; a quel punto ho avuto un capogiro e quasi sono svenuta, mentre piangevo come una bambina; non riuscivo a credere che fosse proprio lui a dire queste cose; la persona con la quale pensavo di trascorrere assieme la mia vita” le lacrime scorrono copiose e le bagnano il viso; “tutto ciò è accaduto circa tre mesi fa; dopo un mese gli ho detto che si era trattato solo di un ritardo e che non ero incinta; dopo un altro mese, senza tante spiegazioni l‟ho lasciato; non voglio più avere nulla a che fare con lui, non voglio vederlo mai più” ~ 15 ~


“e per questo hai deciso di andare via” “già; raggiungerò mia sorella, troverò un lavoro e crescerò mio figlio da sola” ci guardiamo a lungo in silenzio “pensi che sia matta? Che non possa farcela?” “non sta a me dare giudizi, ma di una cosa sono certo, sei sicuramente in grado di crescere un figlio, anche da sola e sarai una madre fantastica” mi sorride, asciuga le lacrime, si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia “farò del mio meglio” “ci rivedremo piccola?” “non so; certo non a breve, ma penso che tornerò ed una cioccolata qui verrò a berla, stanne certo” “ti aspetterò; ciao ed in bocca al lupo” “crepi” risponde lei sorridendo ed uscendo dal locale. L’ho sempre chiamata “piccola”, ma da oggi non lo è più. È cresciuta, è diventata donna.

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SESSO E AMICIZIA Sono da poco terminate le festività natalizie. Il freddo pungente di questa mattina mi aveva quasi fatto desistere dai miei buoni propositi, ma alla fine decido di approfittare del giorno di chiusura del “jazz cafè” per mettere un poco d’ordine nel locale. Quando entro un piacevole tepore mi accoglie; accendo il riscaldamento e metto su un vecchio CD di Paolo Conte. Ho lavorato tanto in questo periodo; molti miei clienti erano in ferie e, per alleviare i morsi del freddo, dopo gli immancabili “shopping tour”, passano volentieri da qui per bere una cioccolata calda e chiacchierare un po’. Sto pulendo e canticchiando sottovoce quando sento un leggero ticchettio sulla porta; mi avvicino, scosto le tende ed incrocio lo sguardo ed il bellissimo sorriso di Eli “dai sbrigati a farmi entrare, non vorrai mica che mi congeli?” “ci mancherebbe altro; far congelare la mia migliore amica” rispondo mentre richiudo la porta alle sue spalle “che diavolo ci fai in giro con questo freddo? Sei ancora in ferie, se ricordo bene” “si, sono ancora in ferie, ma ero in giro a far compere quando passando ho sentito la musica ed ho deciso di passare a salutarti; spero di non disturbare” mentre parla si sfila i guanti ed inizia a srotolare la lunga sciarpa colorata

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“manco ti rispondo… dai siedi che ti preparo qualcosa di caldo” “ma non stai pulendo? Non vorrei farti sporcare di nuovo tutto” “t‟ho detto di sederti; oggi ti preparo qualcosa di speciale” “cosa?” “una cioccolata aromatizzata” “mi dai anche la ricetta?” mi chiede sorridendo “non si svelano mai i propri segreti, dovresti saperlo” le dico mentre inizio a preparare “ma per te farò un‟ eccezione… allora, fai sciogliere del cacao amaro in mezzo bicchiere di latte caldo e mi raccomando che sia cacao di quello buono, non quello che vendono sulle bancarelle del mercato sotto casa; poi aggiungi il restante mezzo bicchiere di latte, sempre caldo e porta il tutto ad ebollizione mescolando continuamente per evitare che si formino grumi. Appena si è addensato un po' versa la cioccolata calda nella tazza già riscaldata ed aggiungi la cannella ed il cardamomo macinato fresco, quindi un po‟ di zucchero; non tanto però, deve sempre rimanere quel filo di amaro” Le porgo la tazza. “cardamomo? E che diavolo è?” ribatte lei mentre assaggia la cioccolata “Il cardamomo, è una spezia esotica antichissima che dona un sapore intenso e dolce alle pietanze; non si tro-

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va ovunque ma basta cercare un po‟; se vuoi, ti do io l‟indirizzo; ma, dimmi, com‟è?” “buonissima, come sempre” la osservo in silenzio mentre sorseggia lentamente la cioccolata “allora, come sono andate le vacanze? Tutto bene?” “ma sì grandi pranzi e cene, riunioni familiari, tutto come al solito e tu?” “bah, anch‟io, tutto come al solito, casa, lavoro” una leggera nebbiolina cala lentamente sulla strada; la luce ramata dei lampioni vi filtra attraverso quasi fosse un effetto scenico “sai, pensavo a te l‟altro giorno, si parlava di amicizia tra uomo e donna; dimmi, secondo te può esistere l‟amicizia tra un uomo ed una donna?” la guardo qualche istante in silenzio con sguardo interrogativo “già, scusa” riprende quasi subito “mi stai per chiedere cosa siamo tu ed io; hai ragione; beh non intendevo dire questo” si ferma un attimo a riflettere “qualcuno sosteneva che tra un uomo ed una donna non può esserci solo amicizia, che sicuramente uno dei due prova qualcos‟altro, un amore celato o una semplice attrazione fisica” “noi non siamo innamorati; non un amore palese né tantomeno un amore represso” dico “giusto; e l‟attrazione fisica?”

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“discorsi impegnativi stamattina, cavolo siamo ancora in atmosfera natalizia, non potremmo parlare d‟altro?” “perché? Non vuoi rispondere?” “devo proprio? Pensi sia importante per la nostra amicizia sapere questa cosa?” non risponde subito “non lo so, ma adesso mi hai incuriosita, voglio proprio saperlo” “t‟ho sempre detto che sei bellissima” rispondo sorridendo “non ti ho chiesto questo, vorrei sapere se provi attrazione fisica per me” “non si può non provare attrazione fisica per te… sei così bella e sensuale” sorrido ancora “riesci a non scherzare per due minuti? Riesci ad essere serio ed a rispondermi?” prendo la sua tazza da sopra il bancone ed inizio a lavarla; “forse… si…” sussurro con un filo di voce; non guardarla mi aiuta a risponderle “si cosa?” “sì, in alcune situazioni, in alcuni momenti ti trovo… beh insomma, come dire... non ti vedo come amica, ma ti guardo come si guarda una donna” “quando? Voglio dire, ci sono dei momenti o delle situazioni particolari?” sono imbarazzato, ma non voglio mentire alla mia migliore amica, in effetti non sarei nemmeno capace di farlo ~ 20 ~


“beh, magari a volte capita che tu sia vestita, come dire, in modo provocante, che so, in minigonna; adesso però basta, smettiamola e parliamo d‟altro” “ed in quei momenti, perché non ci hai mai provato con me?” scuoto leggermente la testa prima di risponderle “perché ti voglio troppo bene e ti rispetto troppo, perché ho bisogno della tua amicizia più che del tuo sesso; ed ora basta, per favore” “ok, ok, basta, anzi scusami se ho insistito; volevo solo sapere, cercare di capire come ragionate voi maschietti” così dicendo sorride e mi porge entrambe le mani; dopo qualche istante di imbarazzo gliele stringo forte “amici?” “amici” sorridiamo tenendoci un po’ per mano “adesso devo andare; ciao e grazie amico” “figurati, per una tazza di cioccolata” “non per quello; grazie per essere sempre sincero con me” “sempre e per sempre ed a qualunque costo, lo sai” “si, lo so; ciao e a presto” “ciao amica” le rispondo piano osservandola mentre esce dal locale.

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SINCERITA’ È arrivato l’inverno; il vento freddo e pungente scuote con violenza i rami, strappandone via le foglie secche. Al “jazz cafè” c’è un bel tepore, accentuato dalla voce roca di Louis Armstrong che canta di quanto la vita sia meravigliosa. I clienti sembrano condizionati da questo primo giorno di freddo; tutti ordinano cioccolata alla cannella o al peperoncino e rimangono a chiacchierare più a lungo del solito, stringendo fra le mani le tazze calde, quasi timorosi di uscire e di ritrovarsi nuovamente al freddo. E parlano, parlano tanto, parlano più del solito; parlano fra loro anche quelli che non si conoscono; anche scambiare quattro chiacchiere sembra possa aiutare a combattere il freddo. Valeria arriva come un uragano; apre la porta di botto ed entra quasi di corsa, accompagnata da mille foglie ingiallite che il vento le fa danzare attorno e richiude veloce la porta alle sue spalle. È bellissima, anche se il viso è in parte nascosto da un cappello e da una grossa sciarpa di lana; ma bastano gli occhi, due stelle che le illuminano il volto, a far risaltare la sua bellezza. ”ciao” dice fregandosi le mani, dopo essersi tolta i guanti “dio che freddo stamattina. Cosa mi prepari di buono e soprattutto, di caldo?”

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”una bella cioccolata alla cannella, corretta con un filo di cognac, che ne dici?” ”vuoi che arrivi in ufficio sbronza di primo mattino?” ribatte con un sorriso ”tranquilla, non sentirai nemmeno l‟alcool, ma solo il suo calore; fidati” ”ok, ok, potrei mai non fidarmi del mio amico barista?”; quindi si siede al banco, toglie cappello e sciarpa e, lentamente inizia a lisciarsi i lunghi capelli castani. La conosco da poco; si è trasferita qui dalla sua città in cerca di lavoro e da un po’ ha iniziato a frequentare il mio locale. Siamo subito entrati in confidenza, senza un motivo ben preciso, per una di quelle strane alchimie che spesso lega fra loro due persone. ”come stai?” le chiedo mentre le porgo la tazza ”sto” risponde lei ondeggiando il capo devo servire altri clienti, per cui lascio la discussione in sospeso ”cosa c‟è piccolina, dai, racconta” le chiedo quando torno da lei ”beh, che dire” risponde dopo qualche istante, mentre inizia a giocherellare nervosamente con la tazza “ti ho parlato della storia con… quel tizio… beh insomma hai capito” ”quello sposato?” ”si, lui” la tazza continua a ruotare “ci siamo sentiti per telefono ieri. Lo sai, non abita proprio dietro casa mia per cui ci vediamo quando è possibile, oppure ci sentia~ 23 ~


mo tramite telefono o messenger. Beh, insomma, come ti dicevo, l‟ho sentito ieri e mi sembrava strano; non era dolce, romantico, affettuoso come al solito. Gli ho chiesto cosa ci fosse che non andasse e, dopo qualche resistenza, se ne è venuto fuori con una riflessione strana” ”che tipo di riflessione” le chiedo dopo aver atteso un po’ ”qualcosa del tipo „è meglio se non ci vediamo più, se mettiamo fine a questa storia‟ e poi „lo dico per il tuo bene, io sono sposato, ho un figlio, non posso offrirti nulla‟ e quindi ha aggiunto „sei giovane, hai diritto di seguire la tua strada, non puoi rimanere legata a me, legata ad un sogno‟ ma, dico, sarò libera di decidere da sola cos‟è il meglio per me?!” la tazza ha smesso di girare, ma due grosse lacrime, trattenute a stento, iniziano a scendere lente rigandole il viso. Non dico nulla, ha bisogno di sfogarsi ancora; “non sono abbastanza grande da poter scegliere da sola? Perché ci deve sempre essere qualcuno a decidere per me? E poi, chi gli ha chiesto nulla?! Non l‟ho implorato di lasciare la moglie ed il figlio per mettersi con me, né di abbandonare il suo lavoro o la sua città. Nulla, non gli ho chiesto nulla, volevo solo un poco d‟affetto, quello che mi è stato sempre negato in questa vita di merda. Non ho anch‟io il diritto di essere felice?” le lacrime scendono copiose “ah, non è ancora finita! Alla fine, poi, m‟ha detto „spero che rimarremo amici, sei una persona speciale e non vorrei perderti… bla bla bla…‟ si interrompe solo un attimo, come per riprendere fiato “Amici? Ma che vuol ~ 24 ~


dire amici, io sono innamorata di lui, non so che farmene della sua amicizia” piange ancora, prima di tranquillizzarsi un po’. Quindi mi guarda. Rifletto su quanto mi ha detto, carezzando la barba, come faccio sempre quando ho bisogno di pensare. ”sai piccola, forse ha ragione lui” le dico sottovoce ”ragione lui?!” quasi mi aggredisce “mi scarica come se niente fosse e forse ha pure ragione?!” ”Vale, riflettici bene, dove ti avrebbe portato questa storia? Cosa avrebbe potuto darti? È stato sincero, almeno questo devi riconoscerglielo. Avrebbe potuto dirti, come fanno tanti in queste situazioni, che avrebbe lasciato la moglie per te, ma sarebbe stata una bugia solo per portarti a letto; avrebbe potuto tenerti legata a se per ancora qualche tempo, ma cosa ci avresti guadagnato? Forse avresti davvero perso qualche buona occasione per conoscere qualche tipo interessante e, sicuramente, in ogni caso, alla fine, quando tutto sarebbe terminato, avresti sofferto ancora di più. Probabilmente è stato meglio così e forse lui lo ha davvero fatto per il tuo bene” lei è stupita da queste parole; forse si aspettava che fossi dalla sua parte, che condividessi quello che pensava, per questo rimane sorpresa ed in silenzio per lunghi istanti. ”ne sei convinto” chiede, quindi, con un filo di voce “lo pensi sul serio?” ”si, penso proprio che intendesse proteggerti, a modo suo magari e che ti voglia bene sul serio” ~ 25 ~


rimane in silenzio a riflettere mentre io mi allontano per servire altri clienti. Da lontano la osservo mentre si liscia i capelli prima di rimettere il cappello. Quindi si avvicina a me e mi da un bacio sulla guancia mentre mi dice sottovoce ”non lo so, devo pensarci su un po‟, ma chissà, forse è davvero come dici tu” ”già, forse si” ”ma non so se riusciremo mai ad essere amici” dice con un sorriso che le illumina il viso, mentre si avvia alla porta ”mai dire mai” le dico ad alta voce mentre si allontana “e poi, meglio un buon amico che un cattivo amante” lei si volta, mi sorride di nuovo, quindi apre la porta ed esce. Le foglie, che sembra quasi l’attendessero, ricominciano a danzarle attorno.

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LIBRI E CIOCCOLATA È un piovoso lunedì di novembre; so già che non ci sarà molto da lavorare, per cui decido di approfittare di questi momenti di tranquillità per mettere un poco d’ordine tra i libri. Metto su un cd di Ella Fitzgerald che mi terrà compagnia. Quando pensai di aprire il “jazz cafè” avevo già in mente che dovesse esserci una libreria all’interno del locale. Mi piaceva l’idea che i clienti non venissero solo per consumare ed andare via subito dopo; non volevo che il locale fosse un luogo di passaggio, pensavo invece ad un posto nel quale i clienti si potessero accomodare comodamente su un divano e leggere qualcosa mentre bevevano una cioccolata. Comprai i mobili e riempii un po’ di scaffali con alcuni miei vecchi libri; altri libri li presi nei mercatini dell’usato ma, nonostante l’impegno, anche economico, buona parte della libreria rimase vuota. Ci pensarono i miei amici clienti a colmare quei vuoti; pian piano iniziarono a portare al locale i loro libri che poi lasciavano lì, cosicché tutti potessero leggerli. Ben presto si riempirono tutti gli scaffali disponibili e, quando non ci fu più posto, i libri vennero disposti su più file, all’interno dello stesso scaffale. All’inizio la suddivisione avveniva per tema: i racconti da una parte, i libri di viaggio da un’altra, i romanzi da

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un’altra ancora. Ma quando i libri si fecero davvero tanti, la suddivisione avvenne per dimensione; in uno scaffale quelli più piccoli, che si potevano disporre anche su due file, in un altro quelli con la copertina rigida che potevano essere disposti anche in orizzontale senza rovinarsi troppo e così via. Fu allora che iniziai a pensare che la libreria e gli stessi libri, fossero oggetti vivi, animati. Accadde quando, per la prima volta, un cliente lasciò un libro sul tavolo dicendo che non aveva trovato un buco libero. Quando lui uscì, presi il libro e, spostandone altri un po’ di qua ed un po’ di là altri, riuscii a trovare lo spazio per sistemare il nuovo arrivato. La cosa si ripeté spesso nei giorni successivi. Trovavo un libro su un tavolo o poggiato su di un divano, lo prendevo, mi avvicinavo alla libreria e benché sembrasse piena, trovavo sempre un po’ di spazio. A volte un libro scompariva per giorni; capitava che un cliente mi chiedesse che fine avesse fatto quel libro che aveva letto solo qualche giorno prima ma, nonostante le ricerche, non c’era verso di ritrovarlo; almeno fin quando non decideva “lui” di farsi trovare; allora, senza spiegazione, saltava fuori, come se fosse tornato da chissà dove. Altre volte sistemavo un libro in uno scaffale e poi, pur essendo assolutamente certo che nessun cliente lo avesse preso, lo ritrovavo altrove. Ma la cosa più strana avveniva quando, un paio di volte l’anno, decidevo di spolverare libri e libreria. Svuotavo ~ 28 ~


uno scaffale, cercando di memorizzare per bene la disposizione dei libri ma, quando giungeva il momento di rimettere tutto a posto, non c’era verso di far rientrare i libri in quello stesso spazio, quasi che lo scaffale si fosse misteriosamente ristretto o che i libri si fossero altrettanto misteriosamente riprodotti. Provavo e riprovavo, cambiando la loro posizione, ruotandoli, premendoli uno contro l’altro, ma non ci riuscivo. Uno scaffale svuotato non riusciva mai a contenere quegli stessi libri che avevo tolto da lì solo dieci minuti prima; qualcuno rimaneva immancabilmente e malinconicamente poggiato per terra. Allora passavo ad un altro scaffale che mi sembrava meno pieno, convinto di poter mettere lì quei libri in più; ebbene, non solo quello scaffale non avrebbe contenuto i libri in più ma avrebbe lasciato anch’esso qualche libro fuori. Mi fermavo allora a fissare la libreria, a metà fra l’incredulo e l’incazzato cercando di capire come fosse possibile; non lo capii mai. Da allora, ogni qualvolta decida di far pulizia so già, a priori, che qualche libro non riuscirà più a trovare il suo posto fra gli scaffali. Ma adesso non ci provo nemmeno; prendo i libri eccedenti e li poggio sui tavoli. All’inizio, ovviamente, erano pochi testi. Ma i clienti continuano a portare i loro libri e, quelli che già ci sono, continuano misteriosamente a riprodursi.

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I tavoli, ormai, contengono diversi volumi ciascuno, ma non provo nemmeno più a sistemarli. Sarà così anche oggi e non sarà certo la magica voce di Ella a cambiare le cose.

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CHI CI RIMETTE ALLA FINE Piove. Piove talmente forte che le gocce, colpendo i rami degli alberi ne fanno cadere le foglie in quantità; foglie colorate d’autunno, rese ancor più rosse dalla luce ambrata dei lampioni. È primo pomeriggio, ma il cielo è ingombro di nubi minacciose che rendono buia l’atmosfera. Aretha prova a dare un po’ di luce, almeno dentro al “jazz cafè” Sono perso fra i miei pensieri, alle prese con ricevute e fatture tanto che l’apertura di botto della porta mi fa sussultare. Daniela entra in fretta, per sfuggire alla furia dell’acqua. La guardo sorridendo mentre si passa una mano sui capelli per togliere un poco d’acqua; “vai in bagno ad asciugarti la testa, prima di beccarti un malanno” le dico “mi sa che sarà meglio; a proposito, buongiorno” risponde restituendomi il sorriso mentre si avvia al bagno “buongiorno a te. Mentre ti asciughi un po‟ ti preparo un the, ho una miscela nuova di quello verde che a te piace tanto” “va bene” mi risponde ad alta voce dal bagno “senza limone, mi raccomando” “lo so, lo so, senza limone” quando torna al banco ha i capelli inumiditi; prende la tazza fra le mani, stringendola come per trarne un po’ di calore; quindi mi osserva con uno sguardo malinconico

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“hai da lavorare? O puoi venire a sederti ad un tavolo con me?” avrei da fare, ma la conosco troppo bene, da troppo tempo e conosco bene quello sguardo “no, non ho molto da fare; andiamo a sederci” ci sediamo; lei giocherella nervosa con il cucchiaino, mescolando di continuo il suo the. Non le dico nulla, so che parlerà, devo solo aspettare che trovi le parole giuste. La pioggia picchia sulle vetrate del locale, rompendo un silenzio che sarebbe potuto essere imbarazzante. “mi ha detto che non prova più nulla per me” così dicendo solleva leggermente il viso e mi guarda; ha gli occhi lucidi. La osservo in silenzio, tiene la tazza con una mano; le stringo l’altra che trema visibilmente. Rimaniamo così, per un lungo istante. “se non ti va di parlarne, fa nulla” “no, figurati”, risponde subito “tanto conosci tutta la storia. Quello che mi ha fatto male non è tanto il fatto che non provi più nulla per me, ma il modo in cui me l‟ha detto. Mi ha guardata con distacco, quasi con sufficienza ed ha semplicemente detto „scusami, non provo più affetto per te‟. Com‟è possibile dopo tutto quello che c‟era stato fra di noi, come?” la sua voce trema, più per la rabbia che per la delusione “tutti i baci, le carezze, gli abbracci, le parole che ci siamo sussurrati; può svanire tutto così in un attimo? O devo pensare che mi abbia solo preso per il culo, che si sia solo divertito un po‟ con me?” ~ 32 ~


avvicina la tazza alle labbra e sorseggia un po’ di the. Io rimango in silenzio, so che non ha ancora finito di sfogarsi. Non è il momento di parlare ed in effetti lei riprende subito dopo “capisco che, essendo entrambi sposati, la nostra storia non sarebbe potuta continuare a lungo, che non ci avrebbe portati da nessuna parte; del resto eravamo stati sinceri confessandoci a vicenda che mai avremmo trovato il coraggio di mandare e monte i nostri matrimoni per metterci assieme. Ma io non gli ho chiesto nulla. Volevo solo affetto, amore, un bacio nei nostri rari incontri furtivi. Mi piaceva sentirmi desiderata, importante. Chiedevo tanto? Era così difficile portare avanti un rapporto in questi termini? Gli avrei dato tutto il mio amore, tutto l‟affetto che non riesco ad esprimere nei confronti di mio marito” “lo so; so cosa provi e cosa cercavi in questo rapporto; me ne hai parlato tante volte. Posso dirti solo una cosa, piccola, cerca di cancellare dai tuoi ricordi questi ultimi giorni e lascia invece quelli dei momenti belli che avete passato assieme. Mantieni vivo il ricordo dei baci, delle carezze e di come il cuore ti batteva forte quando stavi, o solo pensavi a lui” “ci proverò” risponde poco convinta. Rimane un po’ sovrappensiero prima di riprendere a parlare “non so se riusciremo a rimanere amici, come lui mi ha chiesto” ci rifletto su un poco, prima di rispondere ~ 33 ~


“non penso sia possibile; vi siete innamorati subito, appena conosciuti; non siete mai stati amici e non credo lo potrete diventare adesso; riuscireste solo a farvi ancora più male e rischiereste di rovinare anche il ricordo dei momenti lieti passati assieme. Credo sia meglio dare un taglio netto a questo rapporto, voltare pagina e guardare avanti” “non so se ne sarò capace” sussurra Daniela “l‟idea che lui non faccia più parte della mia vita mi sembra insostenibile” “hai mai pensato che lui non ti meriti? Che tua sia molto migliore di lui? Che tu sia migliore di quanto tu stessa pensi?” “non lo so; me lo ripeti spesso, ma non riesco proprio a convincermi di questa cosa” “io invece ne sono fermamente convinto; non solo, sono anche convinto che lui ci abbia rimesso, perdendo il tuo amore, ci abbia proprio rimesso tanto. Ed un giorno se ne accorgerà, eccome se ne accorgerà. Ma allora sarà troppo tardi, perché ti avrà perduto per sempre, come amante e come amica e gli rimarrà solo il rimorso per averti allontanato.” “non lo dici solo per tirarmi su il morale vero?” “non ti ho mentito, lo sai bene e non inizierò proprio adesso” un impercettibile sorriso sembra segnarle il viso, gli occhi sono meno lucidi

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“sai cosa ti dico, ma si, „fanculo, non mi merita, sono molto meglio di quanto lui pensi; non mi vuole? ok, allora sparirò per sempre dalla sua vita ed un giorno sarà lui a dovermi rimpiangere” il sorriso sul suo viso si fa più evidente, gli occhi non sono più lucidi “voglio solo dirti…..” “non pensarci nemmeno” la interrompo “non azzardarti a ringraziarmi. Non si dice „grazie‟ fra amici, quante volte devo ripetertelo?” sorrido anch’io Daniela si alza, fruga un po’ nella borsa, poggia i soldi sul tavolo, poi si china su di me e mi da un bacio sulla guancia. Quindi si avvia verso l’uscita. La guardo e non posso non pensare che “lui” un giorno nemmeno troppo lontano, rimpiangerà di essersi lasciato sfuggire una donna così.

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UNA RAGAZZA SPECIALE Apro la porta con difficoltà, un freddo polare mi gela le mani e riesco a malapena ad inserire la chiave; l’inverno si fa sentire. Appena entrato richiudo la porta alle mie spalle, un caldo tepore mi accoglie all’interno del “jazz cafè”. Prima ancora che la macchina per la cioccolata e di quella del caffè, accendo l’impianto stereo. Quindi un’occhiata ai CD allineati sugli scaffali; sento ancora il gelo nelle ossa; niente jazz, almeno per adesso; per riscaldarsi, meglio un blues, John Mayall fa a caso mio; le note della chitarra sembrano davvero accendere l’atmosfera; canticchio sottovoce e mi godo quegli attimi di solitudine e tranquillità. Ho mollato il vecchio lavoro ed aperto il “jazz cafè” perché mi piace stare tra la gente, incontrare persone nuove e conoscere le loro storie; i clienti non esitano a raccontarmi le loro vicende, a volte penso che mi abbiano scambiato per un prete confessore; eppure quando escono dal locale, dopo essersi confidate con me, spesso si sentono più sollevate. Mi piace tutto questo, certo, ma a volte sento la necessità di rimanere un po’ da solo, godermi in pace un caffè ed ascoltare la mia musica. Per questo, spesso, la mattina apro il locale molto presto.

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Quando la vedo entrare, quasi non la riconosco. Indossa un abitino stretto, nero e bianco, la gonna appena sopra il ginocchio, un’ampia scollatura esalta il suo decolleté; un nuovo taglio di capelli, ed una tinta più chiara completano il tutto. La fisso a lungo. ”buongiorno Cinzia” ”buongiorno a te” ”non hai paura del freddo a quanto vedo” ”a cosa ti riferisci?” ”beh, non hai certo indossato abiti invernali, questa mattina” ”in effetti; ma, dimmi, ti piace il mio nuovo look?” ”sono abituato a vederti sempre vestita da maschiaccio che mi è quasi preso un colpo a vederti vestita da „femme fatale‟” rispondo con un sorriso “comunque, si, certo che mi piace; del resto ti ho sempre detto che sei molto bella e che sbagliavi a nasconderti dietro abiti inadatti a te” ”lo so, ed io ti ho sempre risposto che non mi trovavo affatto bella, ricordi?” ”come no, ricordo che ti lamentavi della tua altezza non eccessiva o di non avere un fisico da modella” ”diciamo pure che mi lamentavo di avere un „culone‟” ”io preferisco definirlo „fisico non da modella‟” ”sei gentile; comunque, chiamalo pure come vuoi, per me era sempre un „culone‟” riprende lei, sorridendo

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”ok, ok come vuoi, ma cosa è successo, a cosa dobbiamo questo cambiamento?” ”non a cosa, ma a chi” dice lei sorniona ”a chi?! Vuoi dire che il tuo ragazzo si è finalmente accorto di quanto tu sia bella?” ”il mio ragazzo? No, non è stato assolutamente merito suo” ”e di chi allora?” riprendo incuriosito “hai conosciuto qualcun altro che finalmente ti apprezza?” ”si, c‟è qualcuno che mi apprezza; qualcuno che mi ripete di continuo che sono bella, che ho un viso meraviglioso, due occhi splendidi e che, soprattutto, sono una ragazza speciale. Me lo ripete da un sacco di tempo; all‟inizio pensavo che lo dicesse, così, tanto per dire, per gentilezza o galanteria; ma me lo ha ripetuto così tante volte e con tanta convinzione che ho finito per crederci e sai cos‟è successo ieri mattina?” ”no, cosa è successo?” ”è successo che mi sono alzata e, come tutte le mattine, mi sono guardata allo specchio; ma, per la prima volta, guardandomi, mi sono detta che, si in effetti non ero davvero niente male, anzi, mi trovavo proprio carina; quindi sono andata a fare shopping. Ma niente vestiti da „maschiaccio‟ come dici tu, questa volta, solo vestiti da donna e per di più, alcuni quasi sexy, proprio come questo. A proposito, tu lo trovi sexy?” mi chiede ammiccando un po’.

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”direi proprio di si” rispondo con un filo di imbarazzo “decisamente” ”adesso devo proprio ringraziare questa persona; mi ha ridato fiducia in me stessa, mi ha insegnato ad accettarmi come sono, anche perché, grazie a lui, ho capito che non sono affatto male; no, non sono per niente male, anzi” ”come pensi di ringraziarlo, questo fortunato” ribadisco con un filo di malizia ”nulla di che, non pensare subito male!!” mi dice sorridendo “un semplice „grazie‟ ed un bacio sulla guancia, pensavo solamente a questo; oltre, ovviamente, alla mia riconoscenza infinita” quindi, mentre dice queste parole, gira attorno al bancone del bar e si avvicina a me; si alza in punta di piedi, mi dà un bacio sulla guancia e, con un filo di voce, mi sussurra all’orecchio “grazie” quindi si allontana da me e si avvia all’uscita del locale. La osservo in silenzio e non posso non notare come sia davvero bella, sensuale e, soprattutto, molto, molto speciale.

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LA PRIMA MOSSA È una bella mattina di primavera, anche se l’aria di primo mattino è ancora frizzante. Sono al “jazz cafè” già da un po’, la voce roca di Paolo Conte mi fa compagnia mentre sistemo tavoli e sedie. Lucrezia entra allegra come sempre “buongiorno!!” “buongiorno a te; sei di buon umore oggi” “in effetti si, sono di buon umore” “immagino dipenda dalla settimana che hai appena trascorso in vacanza” “già, una settimana indimenticabile” “sono proprio curioso di ascoltare cos‟hai da raccontarmi” “perché no?! Intanto mi prepari una cioccolata alla cannella? Io mi siedo lì e se hai dieci minuti di tempo, magari, ti racconto qualcosa” “mi racconti qualcosa, o mi racconti di qualcuno?” ribatto sorridendo, mentre mi avvio alla macchina della cioccolata “scemo” risponde lei ridendo mentre si siede al tavolo ed inizia a fischiettare seguendo il ritmo della canzone. Dopo averle preparato la cioccolata, mi siedo accanto a lei; la osservo in silenzio; lei sorride, prende la tazza ed inizia a sorseggiare; quando posa la tazza, un filo di cioccolata le segna dolcemente il labbro superiore, le porgo un tovagliolo e rimango in attesa.

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Lei si pulisce e quindi mi guarda “stai morendo dalla curiosità, vero?” “giusto un filo” rispondo. Lei continua a bere la cioccolata con indolenza, quindi posa la tazza, l’allontana un po’ da sé, si sistema i capelli, accende una sigaretta “tu? Non fumi?” “beh, se proprio ci tieni” rispondo; accendo un toscano; una nuvola di fumo disegna elaborati arabeschi mentre sale verso il tetto “ho conosciuto un tipo” inizia lei, quindi tace per diversi, lunghissimi secondi; non dico nulla e continuo a fumare “un tizio speciale. Lo so, lo so, si dice sempre così ma questo speciale lo è davvero. Abbiamo passato praticamente tutta la settimana assieme, sai, c‟è subito stato feeling tra noi, ed anche…. attrazione fisica” così dicendo abbassa un attimo lo sguardo e le guancie le si colorano di un leggero rossore “una sera, con una scusa, mi ha invitato in camera sua; siamo stati lì da soli, per un po‟, a chiacchierare poi, senza che succedesse nulla, siamo usciti. L‟ultimo giorno, quando ci siamo salutati prima di lasciarci, abbiamo parlato di quella sera, in camera sua; gli ho confessato che, se ci avesse provato, sarei stata disposta a fare l‟amore con lui.” Mi guarda, io continuo indifferente a fumare. “Sai cosa mi ha risposto?! che anche lui moriva dalla voglia di fare l‟amore con me, ma aveva paura che con un gesto avventato avrebbe potuto rovinare la nostra ~ 41 ~


amicizia, ed ha preferito rinunciare ad una possibile scopata piuttosto che rischiare di rovinare una amicizia. Quanti uomini conosci che avrebbero pensato e fatto questa cosa?! Quanti uomini conosci disposti a dare maggior peso ad una possibile amicizia che ad una potenziale scopata?” “in effetti, non penso ce ne siano tanti in giro” rispondo dopo aver riflettuto un po’ “e adesso come va? Vi sentite ancora?” “si, si, ci sentiamo ancora e siamo davvero diventati amici” “pensi che vi incontrerete ancora?” “beh se è per quello ci siamo già incontrati diverse volte, ma sempre in compagnia di altra gente” “e se vi capitasse di nuovo di incontrarvi da soli?” chiedo malizioso “stavolta, a scanso di equivoci, farò io la prima mossa e metteremo da parte l‟amicizia. Almeno per una notte” risponde lei ridendo.

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EMOZIONI È martedì mattina, una giornata di relativa tranquillità al “jazz cafè”. Piove, quella pioggerellina fine, che quasi non ti senti cadere addosso, ma che ti inzuppa fino alle ossa. Ho voglia di canticchiare un po’ e per questo metto nel lettore un CD di jazz italiano. Gianmaria Testa inizia a raccontarmi le sue storie mentre sistemo le riviste sui tavoli. Letizia entra sorridente come sempre, mi saluta e rimane in piedi a chiacchierare un po’. “dai siediti, prendiamo un caffè, offre la casa” “ok, ma vado di fretta, solo pochi minuti” Mentre preparo i caffè noto che armeggia, quasi di nascosto, col telefono cellulare. Quando la raggiungo al tavolo, lo ripone in fretta nella borsetta e mi guarda, con uno sguardo colpevole, come quello di una bambina beccata con le dita nella marmellata. Le sorrido, in silenzio, per farle capire che ho visto, ma che se vuole possiamo far finta di nulla. Sorseggia il caffè, stranamente silenziosa, lei che mi ha sempre sommerso di parole. Siamo amici da pochi mesi, ma si è subito instaurato fra noi un vero rapporto di amicizia, fatto di fiducia e complicità; so che se ha qualcosa da dirmi, basta attendere con pazienza e lei mi racconterà tutto. Anche questa volta è così.

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“poco fa, hai notato che stavo scrivendo un SMS, vero?” “si, ho notato, ma se non ti va di parlarne, fa nulla” Qualche istante di silenzio interrotto solo dalle note della canzone che colorano il locale. “ho conosciuto un ragazzo, qualche giorno fa” Rimango in silenzio, con falsa indifferenza “sai, quel corso di perfezionamento che ho seguito la settimana scorsa, fuori città, te ne ho parlato” “si, ricordo” “beh, insomma, eravamo seduti accanto, durante la presentazione del corso e, sai come vanno queste cose, abbiamo iniziato a chiacchierare, una parola tira l‟altra; insomma, mi ha invitata a cena ed ho accettato” Non rispondo; le sorrido solamente un po’ guardandola mentre lei, deliziosamente, arrossisce un poco. “quindi, per farla breve, abbiamo trascorso tutta la settimana assieme, colazione, pranzo, cena, lezioni al corso, serate in giro per i locali; mi sono sentita improvvisamente come una ragazzina, come avessi dieci anni meno” “ed anche un marito ed una figlia in meno” suggerisco sottovoce Letizia mi guarda un istante, poi abbassa lo sguardo e con un filo di voce sussurra “si, anche un marito ed una figlia in meno. Quella settimana, in quella situazione, mi sono sentita come fuori dal mondo, come se ci fossimo solo io e lui, come se non esistesse nessun altro all‟infuori di noi; era pieno di at~ 44 ~


tenzioni per me, come un fidanzato ai primi appuntamenti e la cosa mi faceva terribilmente piacere; amo Carlo, lo sai, ma dopo tanti anni passati assieme, fra fidanzamento e matrimonio, le sue attenzioni verso di me sono sempre più scemate; Marco, invece, mi ha fatto sentire di nuovo desiderata, protetta, al centro delle attenzioni di un uomo” Una pioggia leggera lava le vetrate del locale e per lunghi istanti fa da sfondo al nostro silenzio. “cos‟è successo fra voi?” “niente, ti giuro, solo un bacio” risponde lei quasi urlando “il problema è un altro; e che…“ le parole stentano ad uscire dalla sua bocca “il problema è che non riesci a scordarti di lui e che vi sentite e vi vedete ancora” azzardo La risposta si fa attendere un po’, ma è scontata “vorrei dimenticarlo, giuro, cancellarlo dalla mia vita e tornare alla mia quotidianità. Ma non ci riesco ed in realtà, forse, non lo voglio nemmeno. Cosa posso fare? Cosa devo fare?” “sai che sono la persona meno indicata a dare consigli, ma se proprio insisti posso dirti che quello che viene scritto in fondo all‟anima è difficile da cancellare. Un giorno, per caso, incontri qualcuno che in qualche modo comincia a far parte della tua vita. Riscopri emozioni, sensazioni che avevi dimenticato da tempo. Vorresti fermarti a riflettere, ma è troppo forte l‟emozione che ~ 45 ~


provi e così ti lasci andare riscoprendoti ragazzina. Come per magia la tua vita ricomincia ad avere un senso ed il vuoto che sentivi dentro comincia a riempirsi. Pensi al futuro e non ti accorgi, invece, che sarebbe meglio godersi ogni singolo attimo, perché questo è unico e non tornerà più. Sai che questa è magari l‟occasione che aspettavi. Non puoi fartela sfuggire, perché, forse, è l‟unica che la vita ti concederà. Per essere felici, a volte, è necessario scendere a compromessi con se stessi. Non è facile, lo so bene. Ma alla fine, credo sia meglio vivere con un rimorso che con un rimpianto. Domani, forse, sarà tutto dimenticato, ma non oggi. Ricorda che le emozioni sono i momenti più intensi della vita, quelle che danno sapore e senso ai nostri giorni; vivile fino in fondo” Letizia mi sorride, si avvicina, mi da un bacio sulla guancia ed in silenzio, esce dal locale, indifferente alla pioggia che le cade addosso

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SOLO UNA BAMBINA È una bella serata primaverile; gli ultimi raggi di sole attraversano le vetrate e colorano il locale di un meraviglioso rosso vermiglio. È sabato e come sempre capita, oltre ai soliti clienti passeranno dal “jazz cafè” anche alcuni ragazzi che normalmente non frequentano questo tipo di locale e non ascoltano musica jazz. Sfoglio la mia collezione di CD per trovare qualcosa di più adatto a loro; passo direttamente alla sezione blues; dopo qualche esitazione prendo un disco di B.B. King; un classico, che, anche chi non è avvezzo a questo genere di musica, può ascoltare con piacere. La voce rauca del “Re” inizia a graffiare i tavoli e le pareti del locale, mentre iniziano ad entrare i primi clienti. Non mi accorgo dell’ingresso di Manuela; la noto dopo, seduta nel luogo più nascosto del locale, da non so quanto tempo. La cosa non mi piace; conosco Manuela da qualche anno, ed è sempre stata una ragazza solare e piena di vita; almeno fin quando non s’è messa con il suo attuale ragazzo. Benché molto giovane ha già avuto una vita piena di problemi; un primo figlio con un ragazzo tossicodipendente, che non ci ha pensato un istante a mollarla appena saputo della gravidanza ed una famiglia non l’ha mai appoggiata.

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Lei si è sempre data da fare per tirar su da sola il figlio nel migliore dei modi; per alcuni anni, inoltre non ha più voluto avere nulla a che fare con gli uomini; almeno fin quando non ha ritrovato un suo ex dei tempi del liceo. Dopo alcuni mesi di frequenza si sono rimessi assieme ma lui non era uno stinco di santo allora e non lo è diventato col tempo. Tradimenti e litigi rappresentano la loro quotidianità. Nonostante questo, però, lei è incinta ed ora è prossima al parto. Servo alcuni clienti, ma lo sguardo va sempre alla ricerca di Manuela. Quando, finalmente, ho un attimo di pausa, preparo una cioccolata bianca e mi avvicino al suo tavolo. Mi siedo accanto a lei, le avvicino la tazza e rimaniamo, così, in silenzio, a lungo. “che fine hai fatto Manuela, è da un po‟ che non ti si vede in giro? È tutto a posto?” passano alcuni istanti prima che lei risponda; minuscole lacrime le solcano il viso “non è a posto per nulla” “cosa è successo, piccola?” lunghi minuti in silenzio “l‟altra sera sono stata male, ho avuto appena la forza di chiamare un‟ambulanza; hanno fatto delle analisi; nulla di preoccupante, ma mi hanno tenuto in ospedale per sicurezza” “e Luca?” Manuela abbassa lo sguardo e fissa a lungo la tazza prima di rispondere ~ 48 ~


“l‟hanno rintracciato al cellulare a notte fonda; era in un locale, non so nemmeno con chi; è arrivato all‟ospedale completamente ubriaco, ha fatto a botte con gli infermieri, che sono stati costretti a chiamare i Carabinieri ed ha trascorso la notte in caserma.” le prendo le mani, sul tavolo e gliele stringo forte, come se potesse servire a trasmetterle un po’ di coraggio e d’affetto. “ho paura; paura per il mio futuro e per il futuro dei miei figli” continua a piangere. Ci sono alcuni clienti al bancone, devo andare. Mentre cammino lungo mi volto a guardarla e non vedo in lei una mamma, una compagna o una donna, ma solo un’indifesa e dolcissima bambina.

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SEDUTO SU UNA NUVOLA È un'uggiosa giornata di metà settembre. Come tutti i mercoledì molti uffici pubblici saranno aperti per il rientro pomeridiano e questo vuol dire che, nel primo pomeriggio, ci saranno un bel po’ di caffè da preparare per gli impiegati che rientreranno dalla pausa pranzo. Michel Petrucciani allieta la giornata con le sue note; mi soffermo qualche istante ad ascoltarlo e mi sembra quasi di vedere quelle sue piccole dita che saltellano come forsennate sui tasti del piano; quando si dice “un piccolo, grande uomo” Lo scampanellio dell’ingresso che si apre mi riporta alla realtà. I primi ad arrivare sono i banchieri; si riconoscono subito: vestito blu o grigio, cravatta regimental, indossata anche quando il caldo è tale da sciogliere l’asfalto sotto i piedi, capelli sempre in ordine e rasatura fresca. Un sorriso mi sorge spontaneo quando li vedo entrare con ordine e mi chiedo se la formazione professionale che ricevono prima di prendere servizio comprenda anche il modo di vestire e di comportarsi. Gli impiegati degli uffici comunali sono anch’essi immediatamente riconoscibili; un po’ più sciatti, l’abbigliamento meno curato, qualcuno sfoggia cravatte dai colori improponibili, comprate in occasione di un qualche matrimonio celebrato tanti anni fa ed un taglio di capelli non proprio all’ultima moda.

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Proprio mentre sta uscendo un gruppo di impiegati della banca che sta di fronte al bar, entra Sonia, si avvicina al bancone, mi saluta a malapena, ordina una cioccolata con panna e va a sedersi nel tavolo più appartato del locale. È una mia vecchia conoscenza, frequenta il “jazz cafè” da anni ed è sempre stata una persona piena di vita, solare, ma oggi è diversa dal solito. Dopo alcuni minuti le servo quello che ha ordinato e mi basta uno sguardo per capire che qualcosa non va; ha gli occhi lucidi e le mani le tremano mentre stringe la tazza così forte che le nocche delle dita le diventano bianche; ci sono ancora dei clienti nel locale, non dico nulla e torno al banco. Mentre preparo i caffè per i clienti, di tanto in tanto, lancio uno sguardo verso Sonia; lei è immobile al suo posto. Passata l’ondata di impiegati il locale si svuota, pulisco il banco, lavo le tazzine e, lentamente, mi avvicino al suo tavolo. La trovo esattamente come l’avevo lasciata, la tazza ancora piena. Mi siedo accanto a lei e rimango lì, in silenzio. Dopo alcuni istanti mi guarda, gli occhi lucidi di pianto. Entrambi rimaniamo in silenzio. “ti ricordi di Giacomo? È venuto qualche volta qui con me” annuisco, in silenzio. Rimaniamo ancora in silenzio per lunghi attimi. “mi ha lasciata” “non penso tu stia così male solo per questo” rispondo piano

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“mi ha lasciata quando ha saputo che sono rimasta incinta” le lacrime sgorgano incontrollabili “non posso tenere il bambino, non potevo; sono appena stata in ospedale” non serve che aggiunga altro “il mio piccolo angelo” il pianto adesso è incontrollabile, l’abbraccio piano; “il tuo angelo è in cielo, piccola; seduto su una nuvola, con le gambe penzoloni e guarda giù; aspetterà; aspetterà tutto il tempo che occorre, tutto il tempo che ti occorre; e quando, tra qualche anno, sarai pronta, lo chiamerai e lui scenderà qui da te” con dolcezza le accarezzo la testa e mi accorgo di quanto sia giovane e indifesa. Le note struggenti di Petrucciani sembrano scritte apposta per lei.

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COLPO DI FULMINE È un venerdì sera come tanti, gli ultimi clienti del “jazz cafè” sono andati via da poco. Sfoglio la collezione di CD e me ne capita fra le mani uno dei St. Germain che non ascoltavo da tempo; lo metto nel lettore e vado al brano n° 11, “Sentimental Mood”; non è puro jazz, ma un più commerciale Acid jazz, ma va bene così. Alzo il volume e mentre le note riempiono il locale mi appresto a fare un po’ d’ordine. Non sento la porta d’ingresso che si apre e si richiude, ma solo un delicato starnuto che capita proprio quando il brano è appena terminato. “il locale è….” inizio a dire mentre mi volto verso l’ingresso; “chiuso” sarebbe dovuta essere la parola successiva, invece dopo qualche istante di meraviglia quello che esce dalla mia bocca suona all’incirca come un “… a sua completa disposizione; prego, si accomodi” “grazie” è l’unica parola di risposta; lei è troppo impegnata ad asciugarsi i capelli, fradici per colpa della pioggia fine e fitta che cade dal tardo pomeriggio, quasi a voler rinfrescare questa afosa giornata estiva. Continuo a fissarla; avrà si e no venticinque anni, capelli castani ricci, un viso che sembra di porcellana punteggiato da deliziose, minutissime lentiggini. “prego, venga, le do qualcosa per asciugarsi” “grazie ancora” risponde lei mentre si avvicina.

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“le preparo qualcosa di caldo, una bella cioccolata al peperoncino? magari le eviterà di beccarsi un raffreddore” così dicendo le preparo un tavolo e riaccendo la macchina per la cioccolata che stasera farà gli straordinari. Quando le servo la cioccolata, mi prega di sedersi accanto a lei. Iniziamo a parlare. Si chiama Annalou, è nata e cresciuta in Francia da genitori italiani emigranti, fuggiti dalla povertà del sud per cercare fortuna all’estero. Lei ha concluso gli studi ed ha vinto una borsa di studio che le consentirà di lavorare in una grande azienda italiana per un po’. Mi racconta di essere arrivata da pochissime ore, giusto il tempo per disfare i bagagli ed accorgersi di non avere nulla da mangiare, per questo era uscita per cercare qualcosa e si era imbattuta nel “jazz cafè”. Parliamo come se ci conoscessimo da sempre, ci accorgiamo di avere molti interessi in comune, gusti simili, passioni condivise. Tra una cioccolata ed un pasticcino ed il tempo passa via veloce. Continuiamo a chiacchierare, mi racconta di sé, dei suoi sogni, delle sue speranze, mi parla dei suoi amori finiti male, delle amicizie deluse. Man mano che le ore passano, ci apriamo sempre di più. È oramai notte fonda quando, stanca ma con un meraviglioso sorriso, si alza dal tavolo e mi saluta “grazie di tutto, ma devo dormire un poco” Poi mentre prende le sue cose si ferma un attimo a fissarmi “non mi era mai capitato di incontrare qualcuno

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ed avere subito un tale feeling; spero non sia stato solo un caso” “lo spero anch‟io” le rispondo mentre lei si avvia all’uscita. Ho conosciuto tante persone al “jazz cafè”, alcuni sono diventati miei amici, molti sono rimasti dei semplici conoscenti, altri sono passati nella mia vita lasciando solo pochi ricordi, ma mai con nessuno si era mai creata una tale atmosfera di intimità ed amicizia al primo incontro. Dicono esista il “colpo di fulmine” in amore, da oggi so per certo che esiste in amicizia. Mi alzo, devo finire le pulizie e tornare a casa anch’io. I St. Germain continuano a suonare…

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LUI, LEI, L’ALTRO… La porta si apre di botto, Alberto piomba al “jazz cafè” come un ciclone e si dirige deciso verso il bancone ”prego, accomodati”; sorride Silvia divertita; ”devi aiutarmi” risponde lui, ansimante “ho un disperato bisogno di aiuto! Scusa Nick, non ti ho nemmeno salutato” mi dice guardandomi appena “ma sono davvero incasinato” “tranquillo, è tutto ok” rispondo io, con un sorriso ”cos‟è successo questa volta?! Non hai trovato una camicia che ai adatti alla tua nuova tinta di capelli?” ”stronza” ”ok ok, dai racconta, ti ascolto” riprende lei chiudendo il monitor del portatile e guardandolo dritto negli occhi. Alberto è il suo migliore amico; con nessun altro si sente a suo agio come con lui, con nessun altro riesce ad aprirsi come riesce a fare con lui, con nessun altro potrebbe mai trascorrere intere nottate a raccontare i suoi amori sfortunati, divorando scatole di cioccolatini. Con lui non è in competizione, come succede tra donne e non deve preoccuparsi che la loro amicizia possa trasformasi in altro, magari in una relazione o in una storia di sesso. ”l‟ho conosciuto in palestra, qualche giorno fa; abbiamo iniziato a chiacchierare, sai come vanno queste cose, beh insomma, mi interessa, molto, Dio, è semplicemente fantastico”

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”fantastico come l‟avvocato che hai conosciuto a natale, o come quel tizio, cos‟era? un istruttore di tennis? che hai conosciuto in vacanza lo scorso anno?” lo interrompe Silvia sorridendo sorniona ”stronza!” la riprende lui “stavolta è diverso, è l‟uomo della mia vita, lo sento” ”va bene, ma io come posso aiutarti?” ”organizziamo una cena a casa tua, lo invitiamo, voglio che tu lo conosca per dirmi cosa ne pensi di lui; sai che tengo alla tua opinione” ”quando la smetterai di mettermi in mezzo? Non sei abbastanza cresciuto per gestire da solo le tue relazioni?!” ”ti prego, ti prego, ti prego; giuro che è l‟ultima volta che ti chiedo un favore; l‟ultima” ”non fare promesse che non puoi mantenere e, soprattutto, non insistere, non serve, sai già che ti aiuterò” ”grazie tesoro, ti devo un favore” ”uno solo?!” Alberto esce di corsa, com’era entrato, ma stavolta non mi saluta nemmeno. Silvia mi guarda e sorride “si può non amare un tipo così?! Ma perché gli uomini migliori sono tutti gay?”

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… LUI, LEI, L’ALTRO Il sole picchia forte oggi e la temperatura è davvero piacevole. Silvia entra al “jazz cafè” quasi di soppiatto. Si avvicina, saluta ed ordina. Dopo averle portato il caffè mi fermo di fronte a lei “quindi?” “quindi cosa?” “come sarebbe „quindi cosa‟? mi vuoi dire com‟è finita poi con quel tizio fantastico, l‟amico di Alberto” Lei sembra riflettere un po’ e, dopo qualche istante, inizia a raccontare “come sai, avevamo deciso di organizzare una cena da me e così fu. Quando suonò il campanello Alberto sembrò impazzire - cavolo ma è già arrivato? puntualissimo! dai sbrigati, và ad aprire, non vorrai lasciarlo fuori avresti dovuto vederlo Nick, uno spettacolo, un vero spasso!!” sorseggia un po’ di caffè “vado, vado, ma tu calmati, gli dissi. Allora aprii la porta - Ciao, io sono Giorgio e tu devi essere Silvia Si, si, io sono Silvia, risposi quasi balbettando; questa volta Alberto non aveva esagerato; Giorgio era davvero uno schianto, un viso angelico su un corpo da favola e due occhi che ti penetrano fino in fondo all‟ animo. Ri-

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masi davvero folgorata fin quando lui interruppe i miei pensieri - dobbiamo rimanere ancora molto sull‟uscio di casa? - scusa, no prego, accomodati riuscii a malapena a rispondere. La cena si svolse tranquilla; Alberto non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Giorgio e nemmeno io, ad essere sincera, mentre lui, Giorgio, preso tra due fuochi, alternava attenzioni per entrambi. Finita la cena ci sedemmo sul divano in terrazza; eravamo tutti già abbastanza su di giri ma continuammo a bere, chiacchierare e ridere. E poi, beh come dire” a questo punto Silvia si ferma ed un leggero rossore colora le sue guance. “beh, insomma, Alberto si addormentò sul divano ed io e Giorgio, sai com‟è, una cosa tira l‟altra, insomma siamo finiti a letto. Quando tornai in salotto Alberto non c‟era più; deve avere capito; fatto sta che non lo vedo da alcuni giorni e non risponde nemmeno al cellulare” Proprio in quell’istante la porta si apre ed Alberto entra; se non fosse per la situazione, il suo pantalone attillato in pelle e la camicia di un violetto improponibile, sarebbero stato un buon motivo di sfottò. ”ciao” le dice Silvia con un filo di voce ”ciao” risponde a malapena lui Io mi allontano un poco ”come va?” ”benissimo, perché me lo chiedi?” ~ 59 ~


”dai Alberto, non giriamoci attorno, come stai?” ”benissimo ti ho detto” ”sei incazzato con me?” ”incazzato? no, non potrei, deluso magari, si deluso è il termine esatto” ”non era l‟uomo per te Alberto, credimi” ”beh avrei preferito scoprirlo da me” ”si, forse è vero, ma puoi perdonarmi? siamo ancora amici?” ”no, stronza!!” risponde lui con aria torva. Lei lo osserva stupita; passano lunghi, interminabili istanti; quindi lui la guarda ed un impercettibile sorriso gli attraversa il viso “ma dai scherzo, si certo che siamo amici, posso rinunciare alla miglior amica che ho, solo per una scopata?” riprende lui abbracciandola, ”perdonata?” ”ma si certo, perdonata; ma adesso toglimi una curiosità, per lo meno, scopava bene?!” il sorriso e lo sguardo di Silvia sono più eloquenti di qualunque risposta. ”Dio come ti odio” dice Alberto sorridendo; quindi le stringe il braccio attorno alla vita e si avviano assieme verso l’uscita.

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UN ABBRACCIO IN SILENZIO È tardi e non c’è più nessuno al “jazz cafè”; sto pulendo i tavoli e sistemando le sedie; la tromba di Enrico Rava diffonde le sue note per il locale, coprendo il rumore del traffico che, frettoloso, corre lungo la strada in uno stridio di gomme e freni. Non sento nemmeno la porta che si apre e si richiude. Solo il rumore della sedia mi fa ruotare la testa. Conosco Miriana da tanti anni, da quando, poco più che ventenne, si trasferì in città dal suo paese di provincia con una valigia piena di sogni ed un diploma di infermiera. Trovò lavoro quasi subito nell’ospedale civico, prese una piccola casetta in affitto qui vicino e da allora, tutte le mattine, è mia cliente fissa: cappuccino con spolverata di cacao e cornetto al cioccolato. Col tempo, come spesso accade con i frequentatori fissi, il rapporto cliente – proprietario, si è trasformato in un rapporto di amicizia. Fui una delle prime persone che lei conobbe e ben presto iniziò a raccontarmi delle sue giornate, fra malati e medici, colleghi antipatici e tecnici di laboratorio che ci provavano spudoratamente. La saluto e la guardo incuriosito, non era mai venuta così tardi; a quest’ora normalmente è già a letto da un po’, a riposarsi per il turno del mattino successivo; forse anche per questo mi ci vuole poco a capire che qualcosa non va; ha lo sguardo perso e gli occhi lucidi di chi trattiene a

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stento le lacrime. Le preparo una cioccolata nera fondente alla cannella; lei è sempre lì, seduta in silenzio a fissare la vetrata esterna, come incantata dai fari delle automobili. Mi siedo accanto a lei, le avvicino il bicchiere e rimango in silenzio. Non serve dire nulla, sa che può contare su di me, parlerà se ne avrà voglia e rimarrà in silenzio in caso contrario. Guarda il bicchiere, lo prende fra le mani come se il ghiaccio che le attanaglia il cuore in questo modo potesse sciogliersi. Rimane così, per pochi, ma lunghissimi istanti. “gli uomini sono tutti così stronzi?” continuo a rimanere in silenzio “sempre galanti e pieni di attenzioni, prima e dopo irrimediabilmente stronzi” le prime lacrime iniziano a rigarle il viso. Si asciuga gli occhi, rimane in silenzio qualche istante, come a riprendere fiato, poi ricomincia “è uno dei tecnici di laboratorio; quello che a volte mi riaccompagna a casa in moto” faccio un segno di assenso con la testa, ho capito di chi parla, l’ho visto diverse volte riaccompagnarla a casa; “stasera mi ha invitato a cena per l‟ennesima volta ed ho accettato; tutto perfetto, ristorantino di classe ed intimo, fiori, insomma tutto quello che può rendere felice una donna, farla sentire, almeno per due ore, come una regina. Dopo cena andiamo un po‟ in giro, a piedi, per la città e parliamo, parliamo” si ferma un attimo, poi riprende ~ 62 ~


“quasi per caso ci ritroviamo sotto casa mia, lo invito a salire per un bicchiere, e poi, beh immagini come vanno queste cose, facciamo sesso” le lacrime a questo punto iniziano a sgorgare copiose. Attendo che si calmi; “dopo mi ha fatto sentire come una puttana; s‟è rivestito, mi ha ringraziato per la bella serata ed è uscito da casa senza quasi guardarmi.” mi fissa per alcuni secondi e poi mi chiede a bruciapelo “gli uomini sono tutti così stronzi? O siamo noi donne ad essere stronze a farci abbindolare così” piange a dirotto. L’abbraccio. Potrei dirle che non tutti gli uomini sono così, o che a volte le donne lo sono tanto quanto gli uomini, o, chissà, potrei dirle tante cose, ma preferisco non dire nulla. L’abbraccio forte e rimaniamo lì, in silenzio, mentre il traffico corre impazzito sulla strada e la musica accompagna le sue lacrime.

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LA STRONZA DI TURNO È tardi, gli ultimi clienti sono andati via e mi appresto a chiudere. Ho spento quasi tutte le luci e mi avvio alla porta per chiuderla quando rimango senza fiato; ho diversi clienti di sesso femminile e molte sono davvero bellissime, ma quando lei entra nel locale e socchiude la porta alle sue spalle rimango incantato. “bello questo localino, mi fermo volentieri a prendere un ultimo bicchiere” dice mentre si siede ad un tavolo, “mi serva un campari con arancia amara e prosecco. E visto che è vuoto, faccio volentieri due chiacchiere con lei” Mi occorre qualche attimo, prima di riuscire a riprendermi ed a risponderle “mi spiace signora, il “Jazz cafè” è un caffè - cioccolateria, niente alcolici” “dura per una signora esigente come me accontentarsi di un caffè! Facciamo allora un the scuro, senza limone né zucchero, solo miele mille fiori e miscela inglese, grazie” “la servo subito” Non riesco a staccarle gli occhi di dosso; bruna, lunghi capelli corvini, occhi azzurri, ma una tonalità così chiara che sembrano di ghiaccio, fisico mozzafiato e quell’aria di una donna sicura di sé, che sa sempre quello che vuole e sa come prenderselo. Le note strozzate della tromba di Miles Davis si fondono con il rumore della pioggia che

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batte sui vetri, mentre le scie luminose dei fari delle auto che sfrecciano veloci si riflettono sulla strada bagnata. Mi sembra quasi di essere in un quadro di Hopper. “ecco il suo the” “grazie” risponde lei senza guardarmi; faccio per allontanarmi quando lei riprende “le andrebbe di sedersi con me e farmi compagnia? Non mi va di rimanere da sola, non stasera” La guardo e mi sembra di vedere un’altra persona rispetto a quella che solo cinque minuti fa era entrata nel locale; occhi gonfi, lucidi, pronti ad essere bagnati da lacrime copiose, mani tremolanti ed una sigaretta mezza spenta che pende dalle labbra socchiuse. “certo, le va di raccontarmi cos‟è successo?” “cosa dovrei raccontarle? Che sono partita da Seattle, dove lavoro da qualche settimana, per fare una sorpresa al mio ragazzo? E che la sorpresa me l‟ha fatta invece lui, facendosi trovare a letto con un‟altra donna? Ed io, che vivevo solo per Massimo, che idiota” Le prime lacrime iniziano a rigarle il volto Parliamo a lungo, mi racconta di lei, della sua vita, dei suoi sogni e delle sue speranze. È notte fonda quando si alza, si avvicina a me e mi sfiora la guancia con un bacio “adesso va meglio, grazie a lei, posso tornare a casa” “si figuri, spero che torni a trovarmi; e si ricordi che lei è solo una donna innamorata” “io sono solo la stronza di turno” risponde lei ridendo.

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TANTI ANNI FA La primavera è iniziata da poco; le giornate sono più lunghe e luminose. È da poco passata l’ora di pranzo e la conseguente ressa per il caffè o l’amaro; finisco di pulire e mi siedo per godere di qualche istante di tranquillità e per leggere il giornale ed ascoltare un disco di vecchio blues. Le notizie sembrano sempre le stesse, giorno dopo giorno, come se nulla volesse o potesse mai cambiare. La voce roca di Tom Waits contrasta con la serenità di questo pomeriggio di aprile. Sono assorto nei pensieri e quasi non sento la porta che si apre lentamente, sollevo appena la testa ed il mio sguardo incrocia il suo; una bellissima donna è ferma all’ingresso e guarda incuriosita il locale; lunghi capelli castano scuri, occhi brillanti, un viso malinconico e dolcissimo; ci guardiamo a lungo. Provo una strana sensazione, come se la conoscessi già. Un brivido che mi percorre la schiena. Mi alzo, quasi senza rendermene conto e mi avvicino. “Laura, sei proprio tu?” Mi fissa a lungo, finché un meraviglioso sorriso le illumina il volto “Nick!!” “Dio... quanti anni sono passati? Venti?” “si, una ventina” Ci abbracciamo a lungo, in silenzio

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“dai entra, non rimanere lì, siediti a quel tavolo che ti faccio un caffè” Mentre preparo il caffè la osservo. Ricordi di un passato ormai lontano mi assalgono tutti assieme, mi investono quasi come una folata di vento improvviso. Mi siedo accanto a lei. “dimmi, cosa fai di bello? Cos‟hai fatto in tutti questi anni?” “bah, nulla di particolare, mi sono laureata in giurisprudenza, ho superato l‟esame di abilitazione ed ho rilevato lo studio notarile dei miei, tutto come nei programmi del resto; e tu invece? Che ci fai in questo locale?” “finito il liceo mi sono laureato in architettura; ma ben presto ho chiuso la laurea in un cassetto ed ho aperto questo locale il “jazz cafè”; la vita sentimentale invece, come va? sei single?” “si, single” risponde appena “ovvio; sei talmente stupenda che avrai un così alto numero di pretendenti da non sapere scegliere” “ma và, figurati; la verità è che non mi vuole nessuno” sorride sorniona “nessuno? Ma se al liceo tutti erano, anzi tutti eravamo cotti di te!” “ma dai! Proprio tu mi dici queste cose? Tu che non perdevi occasione per prendermi in giro per qualunque motivo; mi sfottevi per il taglio dei miei capelli, per i miei vestiti, per qualunque cosa facessi o dicessi” ~ 67 ~


“beh, pensavo che avessi capito che quella era solo una scusa; tu eri talmente… come dire… talmente “troppo” per me, che mi mettevi quasi in soggezione” “ma dai, smettila di prendermi in giro; e poi che vuol dire che ero „troppo‟; troppo cosa?” “vuol dire che eri troppo bella, troppo affascinante, troppo intelligente, troppo fighetta; una come te non si sarebbe mai accorto di un timido sfigato come me ed io non avrei mai trovato il coraggio di approcciarmi a te; l‟unico modo stabilire almeno un contatto era quello, sfotterti” “smettila di prendermi in giro” “non lo sto facendo affatto, sono sincero” A questo punto Laura poggia la tazzina sul tavolo e mi fissa “mi stai dicendo che eri davvero interessato a me?” “ti sto proprio dicendo questo, mi ero preso una cotta per te” Rimane in silenzio, il viso le si colora di rosso vermiglio “lo sai che sei un idiota? O per lo meno lo eri” Sono stupito per quella risposta decisa, quasi rabbiosa “perché? Per quale motivo” Laura non risponde subito. Cambia atteggiamento, si guarda attorno, mi fa i complimenti per il locale, per la scelta dei mobili, per i quadri; ma io quasi non la ascolto. “Laura, rispondimi, perché mi dici che ero un idiota?” a quel punto, solo allora, intuisco “Vorresti forse dire che se a quei tempi io…” non riesco a completare la frase ~ 68 ~


“si… voglio proprio dire questo…” riprende lei, abbassando leggermente lo sguardo. Non riesco a parlare. Ho la bocca asciutta ed il cuore che batte a mille. Riaffiorano, ancora più vividi, i ricordi di quegli anni, le emozioni di un ragazzo innamorato che non trovò mai il coraggio di confessare quell’amore. Rimaniamo in silenzio, per un tempo che pare interminabile. “chissà cosa sarebbe potuto accadere, se non fossi stato cosi stupido” “non potremo mai saperlo” Laura termina di bere il caffè “pensi che potremo diventare amici?” “perché no; siamo stati amici, forse lo siamo ancora” ci prendiamo per mano “teniamoci in contatto, non voglio perderti un‟altra volta” “si; certo” Continuiamo a chiacchierare a lungo, ma non ricordo nemmeno di cosa. Quando si alza, mi saluta e lascia il locale, il mio cuore batte a mille. Come tanti anni fa.

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SANGUE La pioggia scende fine e fitta; ha iniziato a piovere da poco, le strade sono appena bagnate. L’autunno è già arrivato, lo si sente dalla temperatura che non è più quella mite dell’estate appena trascorsa; lo si vede dagli alberi che lentamente si spogliano del loro fogliame che ricopre la strada con un tappeto frusciante di un meraviglioso colore giallo oro; lo si intuisce dall’atteggiamento delle persone che, imbacuccate, si muovono veloci col capo chino per ripararsi dai primi freddi. Mi avvio lentamente verso l’auto; mi piace calpestare le foglie secche, il leggero fruscio che emettono mi ha sempre trasmesso una sensazione di tranquillità. I lampioni emettono una luce giallastra che si riflette sulla strada lucida creando un’atmosfera quasi surreale. Raggiungo l’auto, una vecchia citroen 2 CV; gli amici mi prendono spesso in giro dicendo che ormai sarebbe giunta l’ora di “pensionarla”, ma non penso troverò mai il coraggio di farlo, ci sono troppo affezionato, per cui aspetterò che raggiunga da solo la fine dei suoi giorni. Mi avvio. La città di notte ha un fascino particolare, con le sue strade vuote di gente, della pazza folla che la invade durante il giorno. Faccio strada verso casa e mi ritrovo a passare dal porto. È da diversi mesi che non frequento quel posto, è da diversi giorni che non vedo Natalia.

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L’ ho conosciuta al “jazz cafè”. Si è seduta nel tavolo più nascosto ed ha ordinato un cognac. Quella sera d’autunno ero lì, perso fra i miei pensieri quando sentii la sua dolcissima voce che, con un adorabile accento straniero ordinava. Lentamente alzai incuriosito la testa per guardarla. Rimasi folgorato dalla sua bellezza; capii subito che si doveva trattare di una ragazza dell’est Europa; occhi e carnagione chiari, capelli biondi, lisci e lunghi sulle spalle; rimasi a fissarla per lunghi secondi e fu lei a rivolgermi la parola. Parlava bene l’italiano ed il suo accento la rendeva ancora più affascinante. Fu quando le chiesi cosa facesse in Italia che mi lasciò senza fiato, “putana” rispose lei candidamente; spalancai gli occhi stupito, lasciai trascorrere alcuni secondi e le rifeci la domanda, parlando più lentamente e scandendo meglio le parole; la risposta non cambiò, “putana” riprese lei e sorridendo del mio imbarazzo mi spiegò che avevo capito proprio bene, lei faceva la prostituta; viveva in una vecchia casa insieme ad altre ragazze come lei e la notte, insieme, battevano al porto. Rimanemmo a parlare per diversi minuti, poi le mi salutò e si avviò all’uscita. La guardai e rimasi a ripensare a lei. Non tornò al bar l’indomani sera. L’attesi a lungo, ma non venne. Guardai l’orologio, era da poco passata la mezzanotte. Uscii, presi la mia vecchia 2 CV ed iniziai a girovagare per la città; non so se fu un caso, un segno del destino o semplicemente fui io che inconsciamente mi avviai verso quella zona, ma mi ritrovai al porto. Sapevo in che ~ 71 ~


zona l’avrei potuta trovare e mi ci recai subito; feci un primo giro, lentamente, ma non la vidi. La zona era piena di ragazze che mostravano ed offrivano il proprio corpo; erano tutte bellissime, giovanissime, ma Natalia non c’era; continuai a girare fin quando, finalmente, la vidi. Era vestita in un modo provocante, quasi volgare, che stonava con la dolcezza del suo viso. La chiamai, lei si avvicinò, si chinò e mi guardò a malapena, senza riconoscermi, proponendomi la sua tariffa. Le sorrisi e le chiesi di salire, solo allora mi riconobbe; notai imbarazzo nei suoi occhi ed un lieve rossore le colorò le guance. Mi disse che non poteva perdere tempo, che aveva bisogno di lavorare e di portare a casa i soldi. Le misi in mano la somma che mi aveva chiesto e le chiesi se potevamo parlare per il tempo che normalmente lei impiegava a fare altro. Sorrise, intascò i soldi e mi sorrise. Mi raccontò di se, del suo passato in Romania, dei suoi sogni, del desiderio di scappare da quel mondo di miseria e povertà, delle false promesse ricevute da un “amico” di famiglia, del suo viaggio e della sua vita da clandestina in Italia. Ci incontrammo spesso da allora. Una volta, appena salita in macchina si avvicinò a me, mi guardò fisso negli occhi e, dopo avermi accarezzato i capelli, facemmo l’amore. Fu un rapporto delicato, dolce. Non volle soldi quella sera. Non gliene offrii, non volevamo che fosse un rapporto a pagamento ma solo un semplice rapporto tra due persone che lo volevano.

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Tornai spesso a trovarla, quasi tutte le sere, ma non lo facemmo mai più. Per diversi giorni continuai a frequentarla e la scena si ripeteva sempre uguale, lei intascava la tariffa e poi parlavamo a lungo della sua vita; poi iniziai a raccontarle di me, della mia vita, delle mie difficoltà ad avere una vita normale, del mio lavoro e di quanto, giorno dopo giorno mi rendessi conto di avere bisogno di lei. Riuscivo finalmente ad aprirmi, a parlare. Giungo finalmente a casa ed i ricordi svaniscono. La televisione, come sempre, parla da sola; la tengo sempre accesa, anche quando non la guardo; serve a lenire un po’ quel senso di malinconia che pervade il mio bilocale nel cuore del centro storico. Ho scelto di vivere lì perché mi hanno sempre affascinato questi luoghi, così pieni di memoria, di storia e, benché spesso semidistrutti, ancora pieni di vita, più di qualunque altra zona della città. Come spesso accade nel Tg regionale, gli argomenti sono per lo più di cronaca nera: furti, rapine, omicidi. Omicidi… non seguo quasi mai quello che dicono, ma questa volta la voce gracchiante del giornalista parla di una giovane ragazza, all’incirca ventenne, proveniente dall’est dell’Europa, della quale si conosce solo il nome di battesimo, Natalia, uccisa da tre coltellate in pieno petto e sbattuta per la strada ancora viva e morta dopo alcune ore di agonia senza che nessuno si preoccupasse di aiutarla.

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Smetto di scrivere, chiudo il monitor del mio portatile e lentamente alzo la testa verso lo schermo della Tv; la vedo, le immagini sono chiare: è lei, è la mia Natalia. Gli occhi lentamente si inumidiscono di lacrime e le immagini si fanno sfuocate. Mi ritrovo a piangere come un bambino, singhiozzando profondamente, senza riuscire a smettere. Mi tornano in mente le tante sere passate assieme, la confidenza che ci aveva legato, l’affetto che ci aveva unito; due anime perse in una città troppo grande e troppo fredda; due anime che il destino aveva unito, che non potevano essere più diverse, più lontane, ma che per uno strano scherzo del destino si erano trovate. E mentre rivedo il suo volto, gli occhi chiuso, il corpo sfigurato mi ritrovo a chiederle perdono. Perdono per non averla aiutata, perdono per non essere riuscito a proteggerla, perdono per non esserle stato vicino, perdono perché, dentro di me, sento che una di quelle pugnalate, è come se l’avessi sferrata io.

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PARTIRE… È l’alba. Sono passate solo poche settimane dalla morte di Natalia. L’acqua colpisce il viso quasi con violenza; chiudo gli occhi mentre la sento scorrere giù per tutto il corpo; mi riempie le orecchie, il naso, la bocca; ne sento il gusto, le lacrime che vi si mischiano le danno un sapore amaro. Dicono che una doccia sia un buon metodo per dimenticare la sofferenza, ma non sempre è così; oggi, con me, non funziona. Un nodo alla gola ed un groppo allo stomaco mi attanagliano. È una bellissima mattina di primavera, ma non me ne accorgo quasi. Una luce ambrata penetra a fatica fra le persiane socchiuse ed illumina delicatamente il locale. Girovago in silenzio per il “jazz cafè”, in un silenzio quasi irreale. Nessuna musica riempie il locale, nessuna canzone spezza la quiete dell’ambiente. Mi fermo di tanto in tanto accanto ad un tavolo; poggio la mano sul legno ormai consunto e socchiudo gli occhi per scavare nei ricordi. Tornano alla mente mille immagini, mille storie. Tante persone sono passate dal locale. Di alcune non ricordo nulla; di altre solo uno sguardo, una parola, un gesto; di tanti invece ricordo le storie, le confessioni, le lunghe chiacchierate davanti una tazza di cioccolata fumante. Molti sono rimasti semplici conoscenti, ma alcuni sono diventati amici, amici veri, con i quali confidarsi. Rimango per un po’ perso nei miei pensieri.

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Mi avvicino alla scatola nella quale ho conservato i CD che hanno fatto da sottofondo musicale al locale ed alle sue storie. Ne prendo alcuni; la voce calda di Ella e la chitarra di B.B. King, almeno per un po’, non risuoneranno. Le dita corrono veloci sui tasti del cellulare < devo parlarti > I libri sono già imballati in scatole piene all’inverosimile; mille dita li hanno sfogliati, mille occhi li hanno letti. Anche loro, per un po’, riposeranno. ”hola amigo” la voce di Elisa mi coglie di sorpresa ”ciao piccola, non ti ho sentito entrare, ho la testa altrove” ”già, si vede; ho usato la mia chiave e sono entrata dal retro; la saracinesca all‟ingresso principale era chiusa, ma ero sicura che fossi qui; appena letto l‟sms volevo telefonarti, ma poi ho pensato che era meglio venire di persona, per telefono non sempre si riesce a parlare di certe cose” il suo sorriso mi fa già sentire meglio. Mi avvicino e l’abbraccio forte, in silenzio. Diedi la chiave del “jazz cafè” ad Elisa, tempo fa “perché” le dissi, “non si sa mai” ed aggiunsi “magari sono fuori chissà dove e succede qualcosa al locale; qualcun altro, oltre me, dovrà pur avere la chiave e di te mi fido come di nessun‟altro” lei sorrise e la prese, senza dire nulla. La faccio sedere ad un tavolo, preparo due irish coffee e mi siedo accanto a lei. Rimaniamo un po’ in silenzio.

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“chiudo il jazz cafè, almeno per adesso; non ha più senso che rimanga qui; o per lo meno non ha più senso oggi” Elisa non dice nulla, non è nemmeno sorpresa, come se lo sapesse già; mi conosce troppo bene per non aver capito che stavo già meditando su questa decisione “non so se riaprirò” Lei rimane in silenzio; quindi si avvicina e mi abbraccia, forte, senza dire nulla. Rimaniamo così a lungo, piangendo in silenzio. ”lo sai che ci sarò sempre per te…” ”lo so, amica, lo so; sempre e per sempre” Ci avviamo lentamente verso l’uscita. Chiudo la porta con un groppo in gola. Inizio a camminare allontanandomi a passi lenti ma decisi dal locale. Non mi volto indietro, non ho il coraggio di guardare il mio “jazz cafè” chiuso forse per sempre. Ho deciso di partire. Partire. Per qualsiasi luogo, purché sia altrove.

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Sommario Jazz cafè Una mattina qualunque Due amiche al bar Piccola Sesso e amicizia Sincerità Libri e cioccolata Chi ci rimette alla fine Una ragazza speciale La prima mossa Emozioni Solo una bambina Seduto su una nuvola Colpo di fulmine Lui, lei, l‟altro… … lui, lei, l‟altro Un abbraccio in silenzio La stronza di turno Tanti anni fa Sangue Partire

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