STORIA DELLE SCIENZE E DELLE TECNICHE Docente: Prof. Fausto Benedetti Tutor: Letizia Cinganotto A.A. 2016-2017 Approfondimenti di Nicoletta Farmeschi
Sommario Mappa dell’ebook
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1° Modulo: Nozioni di scienza e conoscenza scientifica nel mondo greco I primi, gli ionici Panta rei Il concetto di atomo Platone, la téchnē e le forme intellegibili L’uomo Gli animali e le piante Aristotele scienziato naturale L’indagine sulla Natura Lo studio della Natura vivente La biologia aristotelica
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Approfondimenti: Biografia di Parmenide
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La tematica di Parmenide Gli Eleati: la scoperta dell’essere La natura del mondo
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Allegati
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2° Modulo: L’eredità greca nel mondo latino, il medioevo, Galileo La cultura scientifica a Roma Il Rinascimento medioevale L’aristotelismo e lo studio della natura nel XII secolo Il Rinascimento e la Controriforma Da Copernico a Bruno La fondazione del metodo scientifico Oltre Galilei Focalizzare l’apprendimento
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Approfondimenti: La scoperta della circolazione sanguigna Introduzione La circolazione sanguigna Il dottor William Harvey, biografia Realdo Colombo Ibn al Nafis Leonardo da Vinci Galeno Biografia
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Le sue teorie Analogie o metafore ontologiche di Galeno Ippocrate Conclusioni
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3° Modulo: Il mondo della Storia, l’illuminismo e la prima rivoluzione industriale 59 Vico 59 L’illuminismo 60 Lo sviluppo della tecnica in Inghilterra e la rivoluzione industriale 62 Le caratteristiche della rivoluzione industriale 63 La rivoluzione industriale e i cambiamenti economici 64 Linneo 65 Focalizzare l’apprendimento 68 Approfondimento: La generazione spontanea da Francesco Redi a Lazzaro Spallanzani Introduction
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Redi's experiment The Pasteur experiment Who was Lazarus Spallanzani Confutazione della generazione spontanea Gli studi embriogenetici Dagli antichi Greci in poi Van Leeuwenoeck, Needham e Lamarck Towards the solution of the problem Sitografia
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4° Modulo: Il positivismo e l’evoluzionismo fino a Darwin La fiducia nella scienza Gli antecedenti Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione L’Origine della specie L’origine dell’uomo e la selezione sessuale Considerazioni conclusive Focalizzare l’apprendimento
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Approfondimento: La microbiologia di Louis Pasteur Introduction Biografia di Pasteur Le grandi scoperte Fermentazione della birra e pastorizzazione
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Fermentazione del vino e dell'aceto La rabbia e i primi vaccini Le malattie del baco da seta Il colera dei polli Il carbonchio di bovini, ovini, equini Robert Koch contro Pasteur Le condizioni critiche della chirurgia ai tempi di Pasteur La microbiologia e il microscopio Sitografia
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5° Modulo: Freud e i maestri del sospetto Verso la psicoanalisi Il caso «Anna O» e gli studi sull’isteria La scoperta dell’inconscio e l’interpretazione dei sogni Complesso di Edipo, sessualità e nevrosi L’Io e l’Es: ovvero individuo, civiltà e topoi psichici Focalizzare l’apprendimento
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Approfondimento: Jean-Martin Charcot e gli studi moderni sull’isteria Storia di una malattia solo al femminile Dall’antichità fino all’Ottocento Jean Martin Charcot Biofrafia L’isteria di Jean Martin Charcot Le idee di Sigmund Freud Sitografia
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Mappa dell’ebook
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1° Modulo: Nozioni di scienza e conoscenza scientifica nel mondo greco
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1° Modulo: Nozioni di scienza e conoscenza scientifica nel mondo greco Il punto fondamentale da cogliere è che la vita non è una cosa statica ma un processo. Non solo nel corso dello sviluppo ma durante l’intero arco di vita, tutti gli organismi viventi si trovano in uno stato di flusso dinamico che assicura sia la stabilità momento per momento (omeostasi) sia il cambiamento costante nel tempo, o omeodinamica. Tutta la vita è una questione di essere e divenire; essere una cosa e simultaneamente trasformarsi in qualcosa di diverso […]. Si tratta di un processo di autocreazione, noto con il termine di autopoiesi o teoria dei sistemi di sviluppo. La cellula, l’embrione, il feto, in senso sottile “sceglie” quali geni accendere a ogni stadio del suo sviluppo. Due cose sono intrinseche al processo di autopoiesi: la prima, lo sviluppo invariante entro un ambiente fluttuante, è chiamata specificità; la seconda, le variazioni che si sviluppano come adattamenti alle contingenze ambientali, è la plasticità. Sono specificità e plasticità piuttosto che natura e cultura a fornire la dialettica entro cui avviene lo sviluppo, ed entrambe sono interamente dipendenti sia dai geni sia dall’ambiente. Steven Rose nel libro Il cervello del XXI secolo (2005) La nostra riflessione inizia in Grecia dove assistiamo, intorno al VII e VI secolo a.C., a profondi mutamenti socio-economici che, portando alla necessità di un ampliamento delle dinamiche commerciali, condussero alla nascita delle colonie greche nella Ionia, presto trasformati in centri fiorenti e desiderosi di libertà. Nella città di Mileto, in particolare, vigeva, in periodo ellenico, un regime democratico e dunque il libero scambio di opinioni, con i filosofi e gli scienziati che discutevano delle questioni della natura e della vita. È così che nasce a quei tempi un’intraprendenza diversa, un nuovo spirito, un desiderio di conoscenza prima ignoti. L’uomo greco non subisce più gli dei, ma acquisisce una volontà di capire, una voglia di razionalizzare il pensiero, di conoscere il mondo naturale. Si supera l’irrazionalismo, ci si interroga sul presente e sul passato, nel tentativo quindi di 6
ricercare il principio primo, l’arché di tutte le cose. Questa soluzione ci fa comprendere come ci sia, in questo momento storico, la volontà di comprendere i fatti, di spiegarli e ridurli in principî allo scopo di giungere all’essenza delle cose. Si può definire l’arché come ciò da cui vengono tutte le cose, ciò verso cui finiscono tutte le cose, ciò per cui esistono tutte le cose. Se da un lato stiamo assistendo alla fondazione di un metodo che inaugurerà un dibattito scientifico, dall’altro non possiamo non accorgerci che questo modo di impostare le questioni che hanno a che fare con la nostra dimensione razionale non sia lontano dalla ricerca, tutta artistica, compiuta da Omero che, nelle sue opere, si chiede quale sia la natura dei comportamenti dei suoi eroi, tentando di analizzarne le cause, le motivazioni, le radici prime e ultime. Certo nell’antico Egitto o presso i Caldei o altrove nel vicino Oriente, vi erano diverse teorie sul come, ad esempio, sia sostenuto il cielo, ma, culturalmente, sostenere una teoria non implicava necessariamente confutarne un’altra. Non si cercavano cioè argomenti o prove per sostenere una teoria piuttosto che un’altra. Le affermazioni quindi si potevano accumulare a piacere senza che nessuno le discutesse per tentare di falsificarle. In Grecia, invece, sostenere una teoria diventa alternativo con il sostenerne un’altra, e questo implica la necessità di trovare sempre migliori argomentazioni, di articolare il pensiero, pratica che è propria della razionalità scientifica e filosofica. L’uomo inizia ad agire in modo razionale di fronte ai fenomeni naturali, non ha paura di essi, non si rifugia in spiegazioni sovrannaturali, si libera dall’animismo e dalla credenza irrazionale. Si pensa a un mondo soggetto a cambiamenti continui, la materia è mutevole e plastica, si cerca l’elemento costante nel multiforme, qualche entità all’origine di tutte le cose. I primi, gli ionici Disgraziatamente di questi primi scienziati-filosofi, come del resto di tutti i presocratici, non si conserva quasi nulla di scritto, le fonti cui possiamo attingere
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sono solo quelle indirette, vale a dire quelle che ci provengono, per lo più in forma di citazione, da altri filosofi o da compilatori posteriori. Sono chiamati fisiologi o naturalisti perché studiosi della physis (natura). Questo termine non ha il valore che gli assegniamo noi oggi, cioè non indica semplicemente la natura direttamente osservabile ma qualcosa di molto più profondo, di pressoché divino. In qualche modo, perciò, i pensatori naturalisti, come li abbiamo denominati, rappresentano il contrario del materialismo; per essi la natura non è fisica, ma è il principio divino, l’intima verità del tutto, immortale e indistruttibile, e, anche in quanto Dio, non è altro dal mondo, ma l’essenza del mondo. Talete (625 - 550 a.C.) per primo si pose il problema dell’archè, di ciò che conferisce unità alla realtà al di là della molteplicità che ci si presenta immediatamente ai sensi. Egli si domanda se non ci si sia una più profonda unità dietro l’apparente molteplicità. Se, imbattendoci in entità individuali dotate ciascuna di una propria precisa identità, possiamo vederle come parti di un’unica realtà, ciò vuol dire che tutte le cose devono avere qualcosa in comune e che ci deve essere un principio unificatore di tutta la realtà. Tale principio è identificato da Talete nell’acqua. Con lui inizia l’ilozoismo, un approccio secondo cui tutta la realtà (anche quella apparentemente inerte) è dotata di vita. Se la vita è presente dappertutto nella realtà, il principio unificatore della realtà dovrà coincidere col principio della vita. Ma la vita dipende dall’acqua. L’acqua è dunque principio di vita, è inseparabile da questa; ma la vita è presente in tutta la realtà, dunque anche l’acqua è onnipresente, è l’elemento che unifica tutte le cose. Il tutto è uno ma come si arriva dall’uno al tutto? Anassimene (circa 588 - 527 a.C.) affronta questo problema identificando il principio unificatore nell’aria: anche l’aria è presente ovunque e anch’essa è principio di vita, infatti gli organismi vivono finché respirano. Essa è un principio dinamico, che in quanto tale può dar conto, oltre che dell’unità, anche della molteplicità; è infatti soggetta alla rarefazione e alla condensazione, si trasforma o in vapore e in fuoco oppure in acqua e in terra.
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Egli sostiene la sua teoria con osservazioni empiriche: l’aria raffreddandosi si condensa e diventa prima acqua e poi terra, riscaldandosi invece si dirada e diventa fuoco. È un’altra interpretazione dei cicli naturali, delle trasformazioni della materia. Anassimandro (610 - 545 a.C.) , contemporaneo di Talete, non riconobbe in un elemento naturale il principio di tutte le cose ma ipotizzò l’esistenza di una condizione primordiale in cui tutti gli elementi non sono ancora distinti e sono in uno stato indefinito, uno stato che comprende in sé sia l’acqua che qualunque altro elemento. Chiamò questo principio àpeiron (l’illimitato, l’indeterminato), che riesce a dar meglio conto della compresenza di unità e molteplicità. Tutte le cose finite partecipano dell’àpeiron, sono interne a esso. Limitato e illimitato, molteplice e unità si implicano reciprocamente. L’illimitato è presente in tutte le cose finite, è l’archè. Il principio di Anassimandro è teorizzato, non è presente in natura, non deriva dall’esperienza sensibile, la sua è una prima traccia di teoria scientifica. La tabella qui di seguito esemplifica quale fosse considerato, per ognuno dei tre fondamentali filosofi ionici, il principio primo. Filosofo
Arché
Talete
Acqua
Anassimandro
Apeiron
Anassimene
Aria
Panta rei L’opera di Eraclito di Efeso (535 - 474 a.C.), Peri fusewV (Sulla natura) della quale ci rimangono testimonianze e frammenti sparsi, in forma di aforismi, consente di spostare l’attenzione, dall’identificazione del primo elemento alla riflessione sul continuo divenire del mondo a seguito di conflitti tra opposti che però non possono fare a meno l’uno dell’altro. Fra i contrari che si avvicendano c’è una guerra, si tratta
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di una guerra che è pace, di un contrasto che si trasforma in armonia. Esiste un ordine all’interno di un caos apparente. Eraclito immagina un ciclo naturale in cui gli elementi leggeri salgono e quelli pesanti scendono grazie al fuoco che è principio e regolatore delle trasformazioni. Il divenire di Eraclito, quindi, non è casuale ma regolato da ritmi ciclici, da un’idea di intelligenza presente nel fuoco. Il fuoco è davvero esemplificativo di questo costante divenire, di dinamicità, di trasformazione, di identità di opposti: dove c’è il fuoco c’è vita ma anche il suo opposto, la morte. Il fuoco periodico è per Eraclito il Dio eterno e tutto avviene secondo il logos. Cerchiamo di comprendere che cosa Eraclito intenda. La parola Logos è polisemantica ed è quindi bene non tradurla. Essa rimanda al verbo greco “lego”, il cui significato originale è “legare” ma che poi passò a significare “parlare”. L’idea di più parole che vengono legate per assumere un significato porta alla definizione di Logos come discorso. Può anche significare “discorso interiore” in quanto il ragionamento, il dialogo intorno a noi stessi, precede il parlare. Da qui “ragionamento” e dunque “ragione”, ossia la facoltà di effettuare ragionamenti. Per Eraclito però i significati della parola Logos sono essenzialmente tre: la ragione che governa l’universo; il pensiero che comprende questa ragione universale; il discorso che esprime questa conoscenza (dunque il discorso che Eraclito pone per iscritto nel suo testo). Così come abbiamo un logos dentro di noi (la ragione), anche nella realtà ci deve essere un logos cosmico, dove logos ha valenza di “ragione”: il logos è dunque quel qualcosa che fa funzionare l’universo. Infatti Eraclito afferma che il logos che abbiamo nella nostra mente non è diverso da quello cosmico. La riflessione di Eraclito ci consente di osservare come tutta la realtà possa essere considerata una sorta di progetto, la natura appare non caotica, un qualcosa che non può essere stato prodotto dal caso ma da un’intelligenza regolatrice. Questa è forse la prima vera propria teoria evolutiva, il logos decide le sorti del mondo instaurando un ciclo che procede naturalmente per eventi necessari che iniziano e finiscono nel fuoco.
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Il concetto di atomo Per Democrito (Abdera, 460 a.C. - 370 a.C.) tutto l’universo è un composto di atomi di essere e vuoto. Per la prima volta, s’intuisce un mondo costituito da corpuscoli indivisibili (atomo = indivisibile). E proprio per denotare l’individualità di un atomo si postula l’esistenza di un vuoto come elemento di separazione tra atomo e atomo. Si esce quindi dall’equivoco di corpuscoli costituenti una materia continua. Negli atomi, piccolissimi, indivisibili e separati dal vuoto, risiede la materia. La materia è discontinua, con pori vuoti tra atomo e atomo, pur apparendoci estesa e continua. Le proprietà della materia sono poi le proprietà dei singoli atomi che la costituiscono. Le forme degli atomi sono responsabili di alcune qualità secondarie (come il sapore o il colore) che noi osserviamo. Al principio, secondo Democrito, esistevano soltanto il moto e gli atomi, un’infinita varietà di atomi per forma e dimensioni, in moto eterno nello spazio infinito, vuoto e privo di direzioni privilegiate. Il moto è eterno poiché, senza di esso, non vi sarebbe né generazione né corruzione. Perché però gli atomi si muovono? Epicureo e Lucrezio elaborarono successivamente le teorie di Democrito. Secondo Lucrezio, gli atomi hanno la proprietà del peso, cadendo all’infinito verso il basso - la terra - e solo le deviazioni da questa verticale - il clinamen - permettono una serie di reazioni che hanno originato tutto ciò che ci circonda. Questo moto in tutte le direzioni fa sì che atomi diversi vadano a urtarsi tra loro dando origine alla realtà. Gli atomi sono infiniti e sono infinite anche le loro combinazioni. Per questo, secondo Democrito, esistono infiniti mondi e l’universo è uno spazio infinito. Platone, la téchnē e le forme intellegibili Ai fini del nostro lavoro, dobbiamo considerare che la figura di Platone (427-428 a.C. - 348-347 a.C.) comunque fondamentale nel pensiero occidentale, pur apparentemente lontana da un approccio latamente scientifico, ha contribuito, attraverso le sue opere, alla fondazione del pensiero scientifico moderno, anche se sarebbe riduttivo estrapolare dalle sue molte opere quelle in cui ci parla di scienza.
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Dobbiamo considerare che per scienza, in senso stretto, egli considerava il sapere certo e immutabile che proviene dal mondo delle idee. Nonostante questo, il primo Platone, dedicandosi con attenzione alla realtà sensibile ha individuato un modello rigoroso di approccio alla conoscenza del mondo nelle téchnai[1]. Una téchnē ha in sé il controllo di un sapere specialistico, attraverso procedure razionali che possono essere pubblicamente descritte e che devono permettere di ottenere risultati. Una téchnē può essere oggetto di insegnamento, il che implica un accumulo delle conoscenze e conferisce, infine, una dignità sociale a chi la pratica. Nei primi scritti platonici, il richiamo alle téchnai ha due funzioni principali: consente di opporsi efficacemente a qualsiasi tipo di falso sapere, e propone dei modelli di “saper fare”. Ogni téchnē infatti indica un’attività (érgon) che può riguardare la produzione di un oggetto (per esempio un flauto o un’imbarcazione), l’uso di questi oggetti (musica, navigazione), o ancora essere relativa alla cura (therapeía) di certi oggetti naturali (campi, bestiame, corpi umani). Le téchnai possono, perciò, proporsi come modello per l’etica e la politica poiché sono sempre un “saper fare”. Tuttavia le téchnai mostrano dei limiti: infatti gli oggetti dipendono dal mondo sensibile, che è soggetto a un incessante mutamento e, in quanto tale, non può divenire oggetto di pensiero e di linguaggio. Inoltre ogni téchnē ha come fondamento la ricerca dell’interesse di colui che la pratica, a differenza di quanto avviene in un certo numero di forme di sapere, per esempio nell’astronomia, ove l’interesse non entra in causa. Ecco perché Platone si rivolge verso un altro paradigma: la matematica, che consente di apprendere e descrivere la stabilità. Secondo Platone esistono due realtà separate: una in cui risiedono le forme intelligibili (o Idee), l’altra in cui si hanno le cose sensibili, che sono immagini o copie delle Idee. L’approccio di Platone alla conoscenza rappresenta il rigore e la coerenza tipici della matematica. La scienza (epistèmē) ha quindi per oggetto la vera realtà, modello di ogni realtà sensibile, appresa non mediante i sensi, ma mediante l’intelletto (noũs). La conoscenza che ne risulta è contraddistinta dalla certezza, ed è riservata al filosofo. Per contro, l’opinione vera (alēthès dóxa) ha per oggetto le copie della vera realtà. La conoscenza che deriva dalla sensazione non può tuttavia raggiungere la certezza, 12
poiché ha per oggetto un’immagine mutevole. Lo stesso vale per il discorso che trasmette tale conoscenza, qualificato da Platone come “mito verosimile”(eikès mŷthos) o “discorso verosimile” (eikès lógos) proprio perché, dal momento che verte su immagini e non sulla vera realtà che ne costituisce il modello, non può essere vero nel pieno senso del termine. Il termine Epistèmē è riservato alla conoscenza della vera realtà, alla quale soltanto il filosofo può pervenire, e ciò lo rende simile alla divinità. L’opinione non può che dar luogo a saperi specialistici: quei saperi cui diamo oggi il nome di “scienze”. L’uomo Per Platone i viventi sono gli esseri provvisti di anima. In base a una classificazione gerarchica, alla sommità si trovano gli dèi e i demoni; vengono poi gli esseri umani, uomini e donne, e gli animali che vivono nell’aria, sulla terra e nell’acqua; al gradino più basso si situano le piante. L’anima costituisce il principio di ogni movimento spontaneo, sia fisico sia psichico. Come tutti i viventi, l’essere umano è costituito secondo lo stesso modello dell’Universo (kósmos); si può dire che l’essere umano è un microcosmo (un universo in piccolo). Due caratteristiche distinguono questo microcosmo dal mondo: il corpo dell’uomo è soggetto alla distruzione e la sua anima conosce una storia, che la fa passare in corpi differenti in funzione della qualità della sua contemplazione dell’intelligibile, sia quando essa è separata da un qualsiasi corpo sia quando abita un corpo. In linea generale, dunque, l’essere umano può essere considerato come un composto che associa provvisoriamente un’anima umana e un corpo di sesso maschile o femminile. Due tipi fondamentali di tessuto costituiscono il corpo dell’essere umano: il midollo e la carne. Per fabbricare il midollo, il demiurgo sceglie dapprima triangoli lisci e regolari, in grado di produrre fuoco, acqua, aria e terra della forma più precisa. Questi triangoli perfetti sono mescolati per costituire il midollo, con cui fabbrica sia il cervello sia il midollo spinale e osseo; il midollo è così importante perché a esso si ancorano le differenti specie di anima. Dopo aver bagnato e stemperato la terra pura
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con il midollo, il demiurgo passa al setaccio il composto ottenendo la sostanza ossea, di cui si serve per modellare il cranio, la colonna vertebrale e tutte le altre ossa. Utilizzando elementi di superfici triangolari ordinarie, il demiurgo inizia la preparazione della carne, con una mescolanza di acqua, fuoco e terra, cui aggiunge un lievito formato di sale e acido. La carne, disseccandosi, produce una pellicola: la pelle. Dai fori provocati dal fuoco, fuoriesce l’umidità che, reintrodotta dall’aria sotto la pelle, vi si radica dando origine ai peli. Mescolando ossa e carne senza lievito, il demiurgo fabbrica poi i tendini, di cui si serve per unire le ossa tra di loro; infine, unendo tendini, pelle e aria, fabbrica le unghie. Il corpo dell’uomo si compone dunque dei quattro elementi, che corrispondono a quattro poliedri regolari, anch’essi a loro volta costruiti a partire dalle superfici che risultano dalla disposizione di due tipi di triangoli rettangoli: isosceli e scaleni; le qualità matematiche di questi due triangoli basilari spiegano la differenza tra il midollo, ove nell’uomo si àncora l’anima, e la carne, sostanza totalmente mortale. In tale contesto, anche la biologia si ritrova, pur a livello elementare, tradotta in chiave matematica. La distruzione del corpo umano è descritta, al livello più fondamentale, in termini matematici: si spiega infatti con una dissociazione, o una trasmutazione, dei suoi elementi costitutivi. La morte interviene quando il midollo è gravemente danneggiato tanto da compromettere i legami che tengono l’anima unita al corpo e che allentandosi cedono. Il sistema circolatorio, il sistema respiratorio e il sistema nutritivo partecipano al funzionamento del corpo umano, che può essere distrutto da vari tipi di malattie, classificate in tre gruppi. Uno comprende l’eccesso, la carenza o la cattiva distribuzione dei quattro elementi. Il secondo gruppo riguarda la decomposizione dei tessuti (la carne e i tendini) che, liquefacendosi, contaminano il sangue. Infine le malattie che dipendono dai singoli elementi costitutivi del corpo umano (terra, acqua, aria e fuoco): si tratta delle febbri, di alcune malattie che interessano il respiro, di quelle relative al flegma e alla bile.
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Gli animali e le piante Per Platone non vi è una rottura radicale tra gli dèi e i demoni, tra l’uomo e gli altri viventi; quelli che noi consideriamo “animali” sono esseri umani reincarnati. In questa prospettiva, dall’uomo fino alla conchiglia, tutti i corpi viventi rappresentano stati dell’anima, in quanto sono i segni di un’anima umana che s’incarna in un vivente a partire dalla sua esistenza anteriore. Tutti i viventi si situano dunque lungo un
continuum, dove la classificazione delle specie interviene tuttavia
necessariamente. L’esistenza dei vegetali si ritiene giustificata dalla necessità che il corpo umano ha di ricostituirsi, cibandosi di esseri dotati al pari di lui di anima, ma di un’anima assolutamente sprovvista della specie razionale. La sostanza delle piante è dunque affine alla nostra; esse sono composte di un corpo formato a partire dai quattro elementi e di un’anima che corrisponde alla terza specie dell’anima umana. La decomposizione delle piante all’interno del corpo umano produce il sangue, che nutre tutti gli altri tessuti; le piante permettono così al corpo umano, che, a differenza del corpo del mondo, può essere distrutto da aggressioni esterne (quelle del fuoco e dell’aria), di ricostituirsi senza cibarsi di animali, fatto importante nel quadro di una dottrina della reincarnazione ove gli animali possono essere considerati come degli uomini. Aristotele scienziato naturale Nel descrivere le concezioni di Aristotele (384-83 a.C. - 322 a.C.) bisogna ricordare che esse dominarono il mondo occidentale per oltre 2000 anni. Si deve tener presente che Aristotele, in questi secoli, è stato interpretato e spesso travisato. Occorre quindi sempre distinguere tra il suo pensiero e quello degli aristotelici. La filosofia aristotelica si discosta radicalmente da quella di Platone; essa è un complesso organico, molto ben organizzato in un insieme del quale è impossibile toccare una sola parte senza compromettere il tutto. Aristotele spaziò su tutti i campi del sapere,
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discutendo a fondo ogni affermazione, ogni fatto empirico, ogni punto di vista precedentemente espresso da altri pensatori. Con Aristotele iniziano ad essere accumulati i fatti osservati, si classificano gli oggetti, si avverte la sensazione di fissare le immagini, si comincia a osservare il mondo circostante, descrivendolo per quello che è. Due modi radicalmente diversi di intendere la scienza. Con Platone essa è costruita sull’ipotesi, sulle elaborazioni dell’intelletto; con Aristotele si parte dagli oggetti materiali per classificare e trovare regole che permettano generalizzazioni e riconducano a dei concetti. Il suo atteggiamento conoscitivo nei riguardi della natura è essenzialmente contemplativo e descrittivo: si esclude ogni intervento attivo sulla realtà per portare alla luce le sue intime leggi. Poiché la quantità è del tutto irrilevante in quanto non ci porta in alcun modo alla conoscenza dei principi dell’essere e delle cose, non c’è alcuna ragione di effettuare delle misure (e di usare quindi procedimenti matematici), si tratta invece di classificare le sostanze e i movimenti cui esse sono soggette. L’oggetto della filosofia in generale, e della scienza in particolare, è formato dalle cose che percepiamo con i sensi. La conoscenza proviene da percezioni sensibili che l’intelletto ha lo scopo di elaborare. L’atteggiamento di fronte ai fenomeni naturali è essenzialmente empirico. L’indagine sulla Natura Indagare la Natura in un modo vicino a quello che noi oggi chiamiamo ‘scienza’, si manifesta già in una delle sue prime opere, il Protetico. In questo lavoro sotto il concetto di Philosophía, o di epistèmē, Aristotele include due tipi di scienze, cioè quelle «concernenti le cose giuste e convenienti» e quelle «concernenti la Natura e la restante verità». Vediamo qui apparire di nuovo la distinzione tra sapere teorico e sapere pratico, ma vediamo soprattutto comparire l’idea di una ‘scienza della Natura’, collocata al rango di epistèmē dotata di un oggetto definito come verità, cioè considerata come conoscenza vera. Questo è
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certamente un tratto originale rispetto a Platone. Ma nel momento in cui si stacca da Platone, Aristotele si riallaccia alla tradizione presocratica, la quale aveva inaugurato la filosofia concependola appunto come scienza della Natura, sia pure intesa in senso lato. Perciò si può dire che Aristotele stabilisca la possibilità di una scienza della Natura, dando anzi a questa un significato più ristretto e più preciso di quello che essa aveva nei presocratici. Aristotele concepisce la scienza della Natura come conoscenza delle cause, dei principî o degli elementi da cui derivano o sono costituiti i corpi materiali, indicando esplicitamente tali principî come fuoco, aria, numeri o semplicemente come «alcune altre realtà». Con ciò egli si riallaccia esplicitamente alla tradizione presocratica, pur senza escludere una posizione come quella che considerava principî della Natura i numeri: posizione, questa, che può essere tanto quella dei pitagorici, quanto quella di Platone. Ma nell’idea della natura come la intendeva Aristotele, notiamo un importante mutamento rispetto a Platone. Mentre infatti in quest’ultimo l’arte gode di una posizione di priorità rispetto alla Natura, perché il mondo sensibile è prodotto dal divino demiurgo, e dunque la Natura è opera dell’arte divina, in Aristotele la Natura non è prodotta da nessuna arte, e l’arte umana non è che un’imitazione, o un completamento, della Natura. Per Aristotele, la Natura è caratterizzata da un ordine finalistico: tutto ciò che fa parte di essa esiste in vista di un fine. Ad esempio, le palpebre hanno come fine la protezione degli occhi. Soltanto le realtà frutto del caso non hanno un fine. È possibile pertanto distinguere realtà secondo Natura, esistenti in vista di un fine, e realtà contro Natura, prodotte dal caso o da un uso perverso dell’arte (ad esempio la malattia prodotta da un uso perverso della medicina, o la distruzione prodotta da un uso perverso dell’arte delle costruzioni). Il finalismo è ammesso anche da Platone, ma per Platone esso è il frutto dell’intenzione cosciente del demiurgo, il quale ordina tutte le cose in vista di un loro fine, mentre per Aristotele esso è un ordine immanente alla Natura, in base al quale ciascuna realtà naturale tende al proprio fine, che è il suo bene, cioè la sua perfezione. Ciò vale per tutti gli esseri viventi, piante e animali, e per l’essere perfetto tra questi ultimi, che è l’uomo.
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Dai frammenti del dialogo Della filosofia risulta appunto che Aristotele concepiva il mondo nel suo complesso (cielo, stelle, Terra) ingenerato e incorruttibile, cioè eterno e perciò anche divino, benché subordinato a un supremo dio trascendente. I corpi terrestri invece, corruttibili e alterabili, sono considerati eterni solo come specie. Pur essendo, dunque, lecito parlare di un ritorno di Aristotele al naturalismo presocratico, non c’è dubbio che la concezione finalistica della Natura è diversa da quella di Platone perché non è il risultato di un’azione demiurgica, cioè plasmatrice, ma è quello di un’azione combinata di più principî, cioè l’azione motrice del dio supremo e la tendenza intrinseca degli esseri naturali a realizzare il proprio bene. Lo studio della Natura vivente Oltre che sulla Natura in generale, Aristotele ha concentrato la sua attenzione sulla Natura vivente, cioè sul mondo vegetale e animale, che è quello che destava maggiormente il suo interesse a causa della complessità. Proprio in questi studi, Aristotele ha portato i maggiori contributi scientifici, tanto da essere considerato il fondatore della biologia come scienza. Secondo Aristotele, un corpo è capace di vivere perché strutturato in organi; l’anima è la capacità di vivere o, in altre parole, l’organizzazione interna di un corpo naturale fornito di organi. Da questa definizione appare chiaramente che l’anima non è una realtà contrapposta al corpo, che possa essere separata da questo, qual era per la tradizione pitagorico-platonica, ma è la sua intrinseca capacità di vivere e costituisce con esso un’unità inscindibile, quella che comunemente è chiamata l’unità psicofisica. Aristotele esprime efficacemente questo concetto dicendo che l’anima è per il corpo ciò che la vista è per l’occhio: come un occhio privo della vista sarebbe un occhio solamente di nome, così un corpo organico privo dell’anima sarebbe tale soltanto di nome. L’anima non è, dunque, una funzione, o un complesso di funzioni che possono essere svolte da qualsiasi corpo, ma è la capacità di funzionare posseduta soltanto dai corpi dotati di vita, cioè dai corpi organici. Di questi, essa non solamente è causa del vivere, ma è anche causa dell’essere, perché per i viventi
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l’essere è il vivere, quindi è la causa formale, l’essenza, senza di cui essi non sono più quello che sono. La vita si caratterizza, secondo Aristotele, per varie funzioni, che possono essere classificate in tre gruppi: quelle connesse alla nutrizione, cioè alla crescita e al deperimento, nonché alla riproduzione, che sono proprie di tutti gli esseri viventi e sono le sole possedute dalle piante; quelle connesse al movimento e alla percezione, che sono proprie di tutti gli animali; quelle connesse al pensiero e a tutte le attività che lo presuppongono, che sono proprie soltanto dell’uomo. Ciascuno di questi tre tipi di funzioni ha pertanto per principio un diverso tipo di anima, quella vegetativa, quella sensitiva e quella intellettiva. Queste tuttavia non sono tre anime che possono coesistere in uno stesso individuo, ma la più complessa include sempre in sé la meno complessa. Ciò significa che l’anima umana possiede anche le capacità dell’anima degli altri animali, e l’anima degli animali possiede anche le capacità dell’anima delle piante. A ciascuna delle suddette funzioni Aristotele dedica una trattazione specifica, precisando che la nutrizione è una specie di cottura, prodotta dal calore vitale, e che la riproduzione è il fine di tutte le specie viventi, animali e piante, le quali così partecipano all’eterno. Ciò dimostra che il fine è una tendenza naturale, insita nei viventi e rivolta alla loro stessa conservazione e piena realizzazione. La biologia aristotelica La trattazione aristotelica delle piante, cioè un trattato intitolato De plantis, menzionato negli antichi cataloghi delle sue opere, non ci è pervenuta, a differenza della Storia delle piante scritta dall’allievo e successore Teofrasto. Ci sono pervenuti invece, fortunatamente, i numerosi trattati dedicati agli animali: i più importanti fra questi sono la Historia animalium, in dieci libri, il De partibus animalium, in quattro libri, e il De generatione animalium, in cinque libri. Nel titolo del primo trattato il termine Historia va inteso non in senso moderno, ma in quello greco di descrizione, raccolta di osservazioni, esposizione di dati. L’opera descrive circa cinquecento specie di animali, studiando nel dettaglio le parti di cui
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sono costituiti, la riproduzione e i comportamenti; il trattato viene perciò in parte a sovrapporsi ai precedenti. In un passo del De partibus animalium, Aristotele ci suggerisce come intendere il rapporto tra questi testi, spiegando che nella Historia ha esposto le parti che costituiscono ciascun animale, e ora, nel De partibus esporrà le ragioni per cui gli animali ci si presentano così come sono (De partibus animalium, II, 1). Sembra dunque che il De partibus animalium e il De generatione animalium costituiscano la spiegazione delle cause dei fenomeni esposti nella Historia, ma non sempre questa distribuzione di compiti è di fatto rispettata, perché spesso anche la Historia contiene vere e proprie spiegazioni causali, che ne fanno un trattato in sé autonomo. Nell’analizzare le parti degli animali, egli confronta esemplari della stessa specie e esemplari di specie diverse all’interno dello stesso genere, per esempio le specie di pesci o di uccelli, e di genere diverso, per esempio mammiferi e pesci (la distinzione fra specie e genere non è però fissa e sembra dettata per lo più da esigenze logiche di classificazione). Mentre nello stesso genere e nella stessa specie sono riscontrabili somiglianze e differenze di organi (grandezza e posizione), tra animali di generi diversi sono riscontrabili rapporti di analogia, cioè identità di funzioni tra organi morfologicamente molto diversi, quali i polmoni nei mammiferi e le branchie nei pesci. L’analogia si rivela così uno strumento di grande valore euristico, grazie al quale si può dire che Aristotele abbia posto le basi dell’anatomia comparata. Il principio fondamentale della biologia aristotelica è infatti che la funzione spiega l’organo. Poiché tutte le funzioni dell’organismo sono orientate sia al mantenimento del proprio essere sia al mantenimento della specie (attraverso la riproduzione), la causa formale viene a coincidere, in biologia, con la causa finale. Si chiarisce così il senso del finalismo aristotelico: questo non ha nulla di antropocentrico, né di provvidenzialistico, ma è un finalismo interno a ciascuna specie, volto unicamente alla conservazione di essa. Nella sua ricerca tesa a rintracciare soprattutto la causa formale, cioè l’essenza, Aristotele fa un largo uso del metodo platonico della divisione, trasformandolo in un’enumerazione di più differenze tra le varie specie, sino a scoprire la caratteristica principale di ciascuna specie, che la differenzia da tutte le altre, cioè la «differenza specifica», che ne costituisce l’essenza. Con questo metodo Aristotele finisce col 20
costruire una vera e propria classificazione di tutti gli animali, destinata a durare per molti secoli, che vede una prima distinzione tra «sanguigni» e «privi di sangue», differenza corrispondente a quella moderna tra vertebrati e invertebrati. Divide poi i sanguigni in base al modo della riproduzione, identificando i vivipari e gli ovipari; i vivipari, corrispondenti ai moderni mammiferi, in quadrupedi, cetacei e chirotteri (affermando, in particolare, che le balene e i delfini sono mammiferi). Gli ovipari, a loro volta, sono divisi, secondo il tipo di respirazione, in dotati di polmoni, cioè rettili e uccelli, e dotati di branchie, cioè pesci. Gli animali privi di sangue sono divisi in molluschi, crostacei, gasteropodi e insetti; di questi ultimi Aristotele descrive esattamente la riproduzione per mezzo di larve, ma attribuisce erroneamente a molte specie la generazione spontanea, cioè dal fango. Alla riproduzione egli dedica, come accennato in precedenza, un intero trattato, il De generatione animalium, dove sono ampiamente analizzati la differenza tra i sessi, gli organi sessuali e le loro funzioni, lo sviluppo dell’embrione e i caratteri sessuali secondari. Anche nella spiegazione della procreazione è attuata la distinzione tra i quattro tipi di causa, attribuendo al seme maschile, o sperma, la funzione di causa motrice e insieme formale, e al mestruo femminile la funzione di causa materiale. Lo sperma è la parte più vitale del sangue, quella ottenuta dalla maggior concentrazione di calore vitale: esso può essere prodotto soltanto dai maschi, perché i maschi hanno più calore vitale delle femmine. Nello sperma infatti è contenuto il cosiddetto pneuma, cioè una specie di soffio caldo, rivelato dall’aspetto schiumoso dello stesso sperma, il quale ha il potere di trasmettere alla materia fornita dal mestruo (sangue che non riesce a trasformarsi in seme per difetto di calore) una serie di impulsi meccanici, che danno vita all’embrione e ne orientano lo sviluppo sino a formare l’individuo adulto. Lo sperma, pertanto, agisce come causa motrice, ma al tempo stesso trasmette all’embrione la forma del genitore, cioè l’anima, e quindi agisce come causa formale; infine, l’orientamento che esso imprime agli impulsi meccanici è diretto verso l’individuo adulto, che pertanto agisce come causa finale. Di questa teoria di solito si rileva soprattutto il ruolo principale attribuito al genitore maschio, ma vale la pena di mettere in evidenza anche la presenza in essa di una nozione destinata a grande
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fortuna nella biologia contemporanea, quella appunto di programma, funzione oggi attribuita al codice genetico. La forma, infatti, trasmessa dal seme del padre all’embrione, non è un componente materiale di questo, ma una vera e propria informazione, in altri termini una serie di indicazioni sulla direzione e sul modo in cui l’embrione deve svilupparsi, che ne fanno un vero e proprio programma. Nell’embrione non sono già contenute in miniatura tutte le parti del futuro organismo adulto, ma queste si sviluppano l’una dall’altra, cominciando dal cuore, secondo una successione in cui la continuità è data non dalla preesistenza di una certa conformazione destinata a ingrandirsi, ma da un ordine, da un orientamento, da un complesso di istruzioni che guidano la generazione progressiva di un organo all’altro. Negli ultimi libri della Historia animalium sono trattate la psicologia animale, l’etologia (studio del comportamento animale) e l’ecologia (studio dell’ambiente in cui gli animali vivono). Il corpus delle opere biologiche di Aristotele si rivela così un contributo imponente per lo sviluppo della biologia come scienza. [1] il termine Téchnē designa in greco antico una grande varietà di competenze e di abilità, che va dalle arti figurative sino alla retorica, dalla medicina e dalla navigazione sino all'architettura, e include anche il lavoro dei fabbri, dei falegnami e addirittura dei calzolai.
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Parmenide e la natura del mondo
(515-450 circa a.C.)
Parmenide di Elea1
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Immagine tratta dal sito http://www.studiarapido.it/parmenide-lessere-e-e-non-puo-non-essere/
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Approfondimenti: Biografia di Parmenide Parmenide detto anche “Filosofo dell’Essere e Filosofo del Divenire”2 nacque nel 515 a.C. da famiglia aristocratica ad Elea (Velia in epoca romana, oggi Ascea) , nei pressi di Capo Palinuro. Qui fondò la sua scuola, detta eleatica, e secondo il nipote di Platone Speusippo, scrisse le leggi della città, su richiesta degli stessi concittadini. Secondo alcuni fu discepolo del pitagorico Aminia, per altri fu probabilmente discepolo di Senofane di Colofone. Scrisse soprattutto, un’opera in versi, Sulla natura, in cui è espresso il suo pensiero. “Del proemio ci rimangono solamente 154 versi, nei quali Parmenide immagina di essere trasportato su un carro trainato da cavalle, in compagnia delle figlie del Sole al cospetto di una dea, che gli rivela il solido cuore della ben rotonda verità.”3 Secondo la tradizione visse negli ultimi anni ad Atene assieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Ad Atene entrambi conobbero Socrate4, si dice che le lezioni del maestro fossero seguite con attenzione da Pericle (notizia riferita da Plutarco).”5 Anche Melisso fu discepolo fedele di Parmenide, grazie al quale nasce l’ontologia, ossia lo studio dell’essere o meglio ancora, “filosofia della realtà in generale, ossia filosofia dell'essere, poiché la realtà in generale può anche essere chiamata "l'essere": tutto ciò che è” 6. Morì probabilmente nel 450 a.C. .
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Vedi Davide DeTullio, Articolo https://inlogos.wordpress.com/2015/03/15/tra-essere-e-divenire-riflessioni-sul-superamento-della-dico tomia-tra-parmenide-ed-eraclito/ del marzo 2015, reperibile all’url: https://inlogos.wordpress.com/2015/03/15/tra-essere-e-divenire-riflessioni-sul-superamento-della-dico tomia-tra-parmenide-ed-eraclito/ 3 Informazione tratta da http://www.studiarapido.it/parmenide-lessere-e-e-non-puo-non-essere/ 4 Sembra che Parmenide abbia discusso ampiamente con Socrate, non trovandosi forse d’accordo sul suo pensiero “Io so di non sapere”. 5 http://digilander.libero.it/syntmentis/Filosofia/Parmenide.html 6 (a cura di) Francesco Lorenzoni, CORSO DI STORIA DELLA FILOSOFIA PER I LICEI E PER GLI ADULTI CHE DESIDERANO CONOSCERLA: DALLA FILOSOFIA ANTICA A QUELLA CONTEMPORANEA, anno di stesura: 2012 VOLUME PRIMO, FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE, pag. 17 http://www.ousia.it/content/Sezioni/Temi/Miscellanea/CORSO%20DI%20STORIA%20DELLA%20FIL OSOFIA%20VOLUME%20I.pdf
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La tematica di Parmenide Gli Eleati: la scoperta dell’essere Intorno al 500 a.C., a causa della minaccia persiana e dell'avvio di una fase di regresso economico culturale di Mileto e delle colonie sulle coste ioniche dell'Asia minore, la colonizzazione greca si indirizzò verso le coste della Magna Grecia. In particolare ad Elea, da cui il termine di "eleati" per indicare i filosofi di quella colonia. Qui vennero elaborati concetti più sofisticati, “presentati in forma di categorie (concezioni) contrapposte con cui si intendeva interpretare il mondo, quali essere-divenire, ragione-sensi, anima-corpo, uno-molteplici. L'indagine venne rivolta non più solo nei confronti del comune principio delle cose della natura, ma altresì dell'individuazione di un superiore principio di verità, sia della realtà fisica che del pensiero e della ragione.” La novità rispetto al passato e per la prima volta nel pensiero occidentale, è il superamento dell’apparenza del divenire, alla ricerca di un principio unico del divenire stesso: il divenire delle cose è mera illusione. Il principio viene identificato con l’essere in quanto tale, come realtà generale, piuttosto che con un certo elemento naturale, come l’acqua o l’aria. L’essere è concepito come “come entità razionale metafisica, trascendente (al di sopra) l'esperienza sensibile”.
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Inizia così l'ontologia, cioè quella parte della filosofia che indaga l’essere. “Si affaccia una nuova visione del mondo in cui viene superata la preesistente distinzione fra le cose reali da un lato, il pensiero che le indaga dall’altro e la parola che le esprime dall’altro lato ancora. La realtà coincide col pensiero e col linguaggio. Anzi, il pensiero e linguaggio, e quindi il ragionamento logico, sono la realtà autentica, la quale ha una portata più ampia e più vera della realtà sensibile poiché esprime inoltre concetti che non corrispondono a cose visibili. La verità più autentica non si coglie con i sensi ma appartiene alla ragione, che va oltre le apparenze sensibili.” 7 La natura del mondo Riguardo al “cuore solido della ben rotonda verità” (sopra menzionata), “Parmenide sostiene che l’uomo possa scegliere tra due vie: 1. quella della verità, basata sulla ragione, che porterà alla conoscenza dell’essere vero; 2. quella dell’opinione, basata sui sensi, che porta alla conoscenza dell’essere apparente.” Percorrendo la prima e giusta via della ragione, Parmenide arriva ad affermare che l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può non essere: esiste solo l’essere. Il non essere non può esistere né venir pensato. Queste affermazioni si basano su due principi logici meglio definiti successivamente: 1. “il principio di identità, per il quale ogni cosa è se stessa, e
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Tratto dal testo di Francesco Lorenzoni, dal titolo “CORSO DI STORIA DELLA FILOSOFIA PER I LICEI E PER GLI ADULTI CHE DESIDERANO CONOSCERLA: DALLA FILOSOFIA ANTICA A QUELLA CONTEMPORANEA, 2012, liberamente scaricabile dalla rete e reperibile all’url: .”http://www.ousia.it/content/Sezioni/Temi/Miscellanea/CORSO%20DI%20STORIA%20DELLA%20FI LOSOFIA%20VOLUME%20I.pdf , pag. 16
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2. il principio di non-contraddizione, per il quale è impossibile che una stessa cosa sia e nello stesso tempo non sia ciò che è.” L’ontologia di Parmenide permette di iniziare lo studio sull’essere e i suoi attributi principale. L’essere risulta: ● “ingenerato e imperituro, perché se nascesse o perisse implicherebbe il non essere; ● eterno, poiché se fosse nel tempo implicherebbe il non essere (il passato, come ciò che non è più e il futuro, ciò che ancora non è). Si configura perciò come un eterno presente; ● immutabile e immobile, perché se mutasse o si muovesse implicherebbe il non essere, in quanto si troverebbe in una serie di stati o di situazioni in cui prima non si trovava; ● unico e omogeneo, perché se fosse indifferenziato implicherebbe intervalli di non essere; ● finito, perché in conformità alla mentalità greca (si ricorda quanto affermava Pitagora8), esso è sinonimo di compiutezza e perfezione.” In pratica l’essere è una realtà necessaria. In un momento successivo il filosofo osserva e studia la via dell’opinione, che unisce esperienza e apparenza nella costruzione di una teoria del mondo “verosimile”. Ecco allora che il mondo sembra guidato e governato da i due principi della luce e della notte che si contrappongono. Dai risultati delle sue disquisizioni, Parmenide traccia tre vie: 1. “la via della verità che ammette l’essere; 2. la via dell’opinione ingannevole che ammette il non essere;
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Ci si riferisce alla metempsicosi o trasmigrazione delle anime dopo la morte, ad altro essere vivente, compresi gli animali.
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3. la via dell’opinione pausibile, … quando nei suoi ragionamenti esclude il non essere, riconducendo le coppie di opposti alla superiore unità dell’essere.” 9 Sintetizzando, Parmenide individua all’inizio due via per la ricerca, cui ne aggiunge poi, una terza:
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Questa parte è tratta e rielatorata dal testo reperibile all’url: http://www.studiarapido.it/parmenide-lessere-e-e-non-puo-non-essere/
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Allegati Versi di Parmenide10 giunti fino a noi: “Orsù, ascolta le mie parole e abbile care, io ti mostro le due uniche vie di indagine che siano pensabili: l’una che l’essere è e che il non-essere non è (e questo è il cammino della persuasione perché e congiunto alla verità); l’altra via, che l'essere non è e che il non-essere è, io affermo essere la via angusta che per noi è assurda; mai potresti conoscere il non-essere né mai indicarlo. Il giudizio nostro in queste cose è in questi termini: l’essere o è o non è. Resta dunque deciso che si deve abbandonar l'una strada, come inconcepibile, perché non è la via della verità, e che l'altra è reale e vera. Ti distolgo dunque da quella via sulla quale va errando gente che non capisce nulla, uomini a doppia faccia: essi si agitano qua e là, muti e ciechi, stupiditi, schiera di senza giudizio, per i quali essere e non-essere vale lo stesso e non lo stesso, e la via di ogni cosa è un andare e tornare.” (Parmenide, Sulla natura) “È la stessa cosa pensare e pensare che è”. Non resta oramai che pronunciarsi sulla via Che dice che è. Lungo questa sono indizi In gran numero. Essendo ingenerato è anche imperituro, tutt’intero, unico, immobile e senza fine. Non mai era né sarà, perché è ora tutto insieme, uno e continuo . Difatti quale origine gli vuoi cercare? Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetterò 10
Rielaborazione con le informazioni tratte da: http://www.nuncius.altervista.org/la-scuola-di-elea-senofane-e-parmenide.html
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di dirlo né di pensarlo. Infatti non si può né dire né pensare ciò che non è. E quand'anche, quale necessità può aver spinto lui, che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima? Di modo che è necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla. Giammai poi la forza della convinzione verace concederà che dall'essere alcunché altro da lui nasca. Perciò né nascere né perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i legami, ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini; è o non è. Si è giudicato dunque, come di necessità, di lasciar andare l'una delle due vie come impensabile e inesprimibile (infatti non è la via vera) e che l'altra invece esiste ed è la via reale L'essere come potrebbe esistere nel futuro? In che modo mai sarebbe venuto all'esistenza? Se fosse venuto all'esistenza non è e neppure se è per essere nel futuro. In tal modo il nascere è spento e non c'è traccia del perire. Neppure è divisibile, perché è tutto quanto uguale. Né vi è in alcuna parte un di più di essere che possa impedirne la contiguità, né un di meno, ma è tutto pieno di essere. Per cui è tutto contiguo: difatti l'essere è a contatto con l'essere. Ma immobile nel limite di possenti legami sta senza conoscere né principio né fine, dal momento che nascere e perire sono stati risospinti ben lungi e li ha scacciati la convinzione verace. E rimanendo identico nell'identico stato, sta in se stesso così rimane lì immobile; infatti la dominatrice Necessità lo tiene nelle strettoie del limite che tutto intorno lo cinge, perché bisogna che l'essere non sia incompiuto: è infatti non manchevole: se lo fosse mancherebbe di tutto. E’ la stessa cosa pensare e pensare che è: perché senza l'essere, in ciò che è detto, non troverai il pensare: null'altro infatti è o sarà eccetto l'essere, appunto perché la Moira lo forza ad essere tutto intiero e immobile. Perciò saranno tutte soltanto parole, 30
quanto i mortali hanno stabilito, convinti che fosse vero: nascere e perire, essere e non essere, cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore. Ma poiché vi è un limite estremo, è compiuto da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera di ugual forza dal centro in tutte le direzioni: che egli infatti non sia né un po' più grande né un po' più debole qui o là è necessario. Né infatti è possibile un non essere che gli impedisca di congiungersi al suo simile, né c'è la possibilità che l'essere sia dell'essere qui più là meno, perché è del tutto inviolabile. Dal momento che è per ogni lato uguale, preme ugualmente nel limite . Parmenide, Sulla natura, in I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1959, vol. I
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Modulo 2 L’eredità greca nel mondo latino, il medioevo, Galileo
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2° Modulo: L’eredità greca nel mondo latino, il medioevo, Galileo La cultura scientifica a Roma Nel momento in cui ci spostiamo da un ambiente prettamente greco a un contesto greco-romano ci accorgiamo che, sia per quanto riguarda la storia della scienza, senza ulteriori specificazioni, sia per quanto attiene alla cultura, in senso più generale, esse non danno luogo a ulteriori spinte innovative. Si assiste piuttosto a una sistematizzazione e a una razionalizzazione delle conoscenze acquisite sul versante delle pure tecniche. In definitiva, Roma non sviluppò una sua scienza. Solo alcuni si dedicarono a monumentali lavori di compilazione, come Plinio il Vecchio, la cui opera sopravvisse fino all’Alto Medioevo. La situazione assume contorni diversi con la Patristica. Certamente anche il neoplatonismo ebbe dei seguaci a Roma e merita di essere ricordato perché restò l’unica corrente filosofica antagonista al Cristianesimo, quand’esso diventò religione di Stato. Tra i neoplatonici, l’egiziano Plotino (III secolo d.C.) insegnò filosofia a Roma. Per Plotino tutto è utile all’Universo, anche i mali, come la povertà e le malattie che giovano a chi li subisce. Anche Agostino d’Ippona fu ispirato dal neoplatonismo e assorbì molta sua parte nel Cristianesimo. Questo era lo scenario filosofico di Roma e, a parte l’epicureismo, costantemente perdente rispetto al potere, si può ben intendere che non vi era alcuna disposizione filosofica nei riguardi della scienza. In una situazione di decadenza e di incertezze, la fede inizia a imporsi sulla ragione. La scienza poteva essere al massimo una causa seconda, poco aveva da spartire con la causa prima che era Dio. Questo spiega perché brillanti pensatori non abbiano prodotto nulla in ambito scientifico, dedicandosi piuttosto alle dispute teologiche. Anche Lucrezio, Cicerone, Seneca e Plinio, che possiamo considerare tra gli intellettuali più vivaci, non apportarono contributi originali, bensì si limitarono ad attingere la conoscenza della scienza dai manuali che avevano già cento, duecento o
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trecento anni, teorie datate da cui derivò una manualistica latina antiquata già dalla nascita. Fu così che metodo e ricerca si persero. I cristiani, pensiamo alle posizioni di Tertulliano (circa 155-222) e Lattanzio (circa 260-340), nutrivano verso la scienza una forte diffidenza, soprattutto a causa dei personaggi pagani che la popolavano. La scienza era ammessa solo quando si tramutava in una serie di conclusioni acquisite che dovevano limitarsi a confermare l’opera divina del Creatore. Questa situazione, mentre il Medioevo già comincia a muovere i suoi passi, comportò sparizione delle opere originali, delle quali si perse ogni traccia. Il pensiero che ancora nel V secolo si muoveva nelle ardue argomentazioni della metafisica, nel VI e VII si sposta verso la grammatica e la logica. Alcuni intellettuali sono stati comunque in grado di improntare del loro pensiero questo periodo, tra loro vanno ricordati Severino Boezio (480-525), Aurelio Cassiodoro (475-570), Isidoro di Siviglia (570-636). Gli ordini monastici, spesso lontani dalle posizioni della Chiesa ufficiale, rappresentarono un’opportunità per il progresso civile e morale. Con San Benedetto (480-547), grazie alla regola dell’Ora et Labora, il lavoro manuale riacquistava una dignità pari alla preghiera. Iniziò a diffondersi la pratica della conservazione e poi della trascrizione di molti testi dell’antichità, anche nell’ottica di un recupero delle tecniche artigianali, ma nonostante il consolidarsi di questa tradizione, i testi di scienza saranno per lungo tempo dimenticati poiché l’interesse verteva sui libri teologici e magico-teologici e non su quelli scientifici.
Il Rinascimento medioevale A partire dall’XI secolo, la rinnovata produzione agricola comporta cambiamenti evidenti nella vita sociale e dà il via a un moderato processo di migrazione dalle campagne verso le città. La tecnologia fornisce macchine e strumenti che avvicinano a una produzione sempre più avanzata. La principale innovazione tecnologica, da cui si svilupperà un importante incremento nella quantità di cibo producibile, è l’introduzione dell’aratro pesante a ruote che sostituisce quello romano leggero da
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spalla. La quantità e la diversità di prodotti sui mercati cresce. L’agricoltura fa notevoli progressi attraverso la scoperta e l’applicazione della concimazione e della rotazione triennale. Sulla base della logica aristotelica, si cercano spiegazioni di fatti particolari ricorrendo ai fatti generali, ma la scienza naturale non è affatto considerata. Questo approccio ebbe discreta fortuna soprattutto tra logici e filosofi il cui fine ultimo, comunque, non era quello di conoscere la natura ma di capire e spiegare alcuni problemi di logica. Dal punto di vista più eminentemente culturale, si registra la fondazione e lo sviluppo delle Università. Questi fatti sono, naturalmente, in stretta connessione con la nascita dei Comuni, con l’incremento demografico e con la maggiore disponibilità di beni. Fioriscono imprese finanziarie e mercantili, nascono le banche e le imprese di trasporto. La scienza si sviluppa principalmente attorno a questioni filosofiche squisitamente teologiche, all’interno di istituzioni ecclesiastiche.
L’aristotelismo e lo studio della natura nel XII secolo La filosofia della natura o filosofia naturale si concentra, nel Medioevo, sull’analisi degli elementi che costituiscono il mondo creaturale. L’interesse nei confronti del mondo fisico si emancipa, in parte, da un’ interpretazione morale o allegorica poiché il filosofo naturale ammette che esistono leggi alla base dei processi naturali. Tra i pensatori più impegnati, Boezio e Scoto Eriugena analizzano il concetto di Natura, mostrando le conoscenze di fisica che attingono da fonti antiche. Dalla metà del XII secolo le opere di Aristotele, che riguardano la riflessione sulla natura sensibile, iniziano a essere tradotte. Fino a quel momento infatti, l’intero corpo dei suoi lavori era ancora in parte sconosciuto, sebbene alcune opere circolassero già. Il corpus aristotelico rappresenta per gli studiosi e gli intellettuali del Medioevo un sapere coerentemente organizzato da cui trarre l’intera struttura della realtà fisica del mondo.
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Va sottolineato che il diffondersi delle traduzioni e la nascita delle Università richiama l’interesse verso temi che sono in aperta rottura con la verità di fede e che per questo, ben presto, trovano una rigida opposizione da parte del mondo cristiano. Nonostante ciò, le facoltà di arti inseriranno l’intero corpus aristotelico nel programma di studi, in particolare, la Physica aristotelica, il De anima, il De animalibus, il De plantis e i Parva naturalia. La filosofia naturale, detta in questo contesto anche fisica, si adatta quindi al modello aristotelico. Il contrasto tra aristotelismo e Cristianesimo fu appianato da S. Tommaso. Nei secoli della Scolastica, gli studi di filosofia naturale sono sempre più intensificati. Con il tempo, essi assumono orientamenti differenti rispetto a quello iniziale, che traeva forza e contenuti dal patrimonio filosofico aristotelico.
Il Rinascimento e la Controriforma Non serve, in questa sede, analizzare in modo approfondito tale periodo, per il quale si rimanda alla trattatistica di riferimento. Interessa qui il nuovo impulso che questa fase della storia e della cultura ha dato alla riflessione sulla natura. Si è spesso affermato che il Rinascimento aveva in sé le ragioni della propria fine a causa, tra l’altro, delle mancate risposte alle domande eterne dell’uomo che, con il superamento del Medioevo, erano parse più vicine se non, addirittura, a portata di mano. Un colpo ulteriore allo spirito rinascimentale proverrà dalla Controriforma. Questo termine è impiegato per descrivere quel fenomeno che spinse la Chiesa Cattolica a proporre iniziative dottrinali e disciplinari per contrastare la diffusione della Riforma protestante in molti Paesi europei. Alcuni studiosi preferiscono, però, parlare di una Riforma cattolica che anticipa e affianca la Riforma protestante, dal momento che il termine Controriforma sembra escludere tutto il movimento riformatore avviato dalla Chiesa prima delle 95 tesi di Martin Lutero. Già nel XIV secolo, si era diffusa la richiesta di un risanamento morale della Chiesa. Con il termine Controriforma andrebbe quindi indicata la vera e propria attività della
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Congregazione dell’Inquisizione Romana, voluta da Paolo III a Roma dopo il 1542, per contrastare le possibili infiltrazioni dei protestanti attraverso l’istituzione. Nel dicembre del 1545 si aprì, a Trento, il Concilio che, a differenza dei precedenti, vedeva la partecipazione in gran parte di italiani, rappresentanti esclusivamente del mondo ecclesiastico. Per circa dieci anni, però, con il prevalere dell’intransigenza del Pontefice Paolo VI, il Concilio fu interrotto. Venne poi ripreso nel gennaio del 1562 fino al 14 dicembre 1563. Dal punto di vista dottrinale, il Concilio riaffermò i principî tradizionali dell’istituzione divina del sacerdozio, della salvezza legata alle opere, del numero dei sacramenti e della loro efficacia oggettiva, dell’interpretazione ufficiale delle Sacre Scritture. Ma soprattutto furono di grande portata i provvedimenti disciplinari, quali l’obbligo di residenza per i vescovi nelle diocesi di appartenenza, il divieto di cumulo di più benefici in una sola persona, l’obbligo del celibato ecclesiastico e l’istituzione dei seminari per un’adeguata preparazione del clero. Infine, per ciò che riguarda il patrimonio dottrinale, fu deciso di raccogliere le formule del Catechismo romano (1566), di compilare un’edizione ufficiale della Bibbia in latino, la Vulgata (1593), e di imporre a tutti i fedeli la Professio fidei tridentina (Professione di fede tridentina). Molti sforzi furono compiuti, con successo, per recuperare le masse allontanate dalla Riforma. Il popolo contadino si riavvicinò alla Chiesa, ma al contempo si ritrovò subordinato alle classi più elevate. Vigeva all’epoca, infatti, un principio di autorità che fu applicato a tutti i campi, da quello sociale a quello del sapere, rallentandone notevolmente il progresso culturale. Tra strategie difensive e controlli autoritari, la Chiesa era riuscita così a mantenere il controllo sui pericoli dell’eresia, allentando però l’impegno sulla propria funzione evangelica.
Da Copernico a Bruno
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Certamente Copernico, nel porre mano al De revolutionibus orbium coelestium (Della rivoluzione delle orbite celesti), pubblicato nel 1543 subito dopo la sua morte, non aveva piena coscienza della portata della sua opera. La concezione tolemaica aveva immaginato un universo chiuso, assoluto, finito, composto dalla Terra al centro dell’universo, immobile, secondo le attestazioni dei sensi, con i pianeti e il Sole rotanti intorno a essa. A questa visione era legato un triplice significato filosofico-teologico. Innanzitutto, l’universo doveva considerarsi finito, chiuso dal cielo delle stelle fisse, come dentro una corteccia al di là della quale era il luogo del Dio trascendente. I cieli, dotati di moto circolare, considerato segno di perfezione, si contrapponevano alla Terra, cioè al mondo sublunare, sede dei movimenti rettilinei, implicanti imperfezione e caducità e, infine, si postulava una concezione assoluta e immobile del cosmo, che, da sempre e per sempre, doveva giacere sui suoi assi, su punti di riferimento non relativi e mobili, ma perenni, quasi simbolo dell’immobile perfezione divina. Tali presupposti non furono direttamente intaccati da Copernico, che continuava a considerare l’universo come un cosmo finito, al centro del quale, come in un «bellissimo tempio», starebbe il Sole, ma da Giordano Bruno (1548-1600), che trasformò il rovesciamento del geocentrismo in rovesciamento di tutte le sue implicazioni filosofiche. Nel pensiero di Bruno la posizione della Terra nel cosmo si relativizza; crollano le colonne d’Ercole dell’astronomia, sintomaticamente poco dopo il crollo delle colonne d’Ercole (lo Stretto di Gibilterra) della geografia. Secondo Bruno il cosmo è infinito e, appunto, perché infinito non ammette centro, poiché tutto è centro, e non ammette circonferenza, poiché tutto è circonferenza: non ha più senso, dunque, nell’immensa natura, parlare di una contrapposizione tra i cieli e la Terra. Un’unica vita palpita ovunque: molteplice, innumerevole manifestazione dell’unico Dio. Ma se l’universo è infinito, Dio non può trascenderlo, deve invece identificarsi con esso. Siamo alla naturalizzazione persino di Dio in una concezione cosmico-panteistica.
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Come fa coincidere Dio con la natura, così Bruno sente la natura come oggetto di un sentimento religioso, poiché in essa risiede la vita divina: l’infinita grandezza degli spazi non è per lui inerte materia, ma infinità di potenza, di vita, di intelligenza, L’uomo, in questo contesto, non si fa piccolo, ma immenso: come microcosmo nel quale si riflette in sintesi l’universo intero, il macrocosmo. Con «eroico furore» Bruno ci fa intendere che non ci devono essere barriere all’indagine, né alcun non principio d’autorità.
La fondazione del metodo scientifico Dobbiamo a Galilei la fondazione della metodologia scientifica. L’importanza del suo contributo alla formazione del pensiero moderno risulta più chiara se richiamiamo alla memoria i pregiudizi contro i quali dovette battersi fino a perdere la libertà personale. Nel clima controriformistico, qualsiasi indagine, iniziando da quella sulla natura, doveva essere condotta a partire dai vincoli imposti dalle Sacre Scritture. Inoltre, a rafforzare un’impostazione generale che non permetteva il dispiegasi di una libera razionalità, incombeva su chiunque il cosiddetto principio di autorità. Per Galilei la conoscenza della natura non può derivare né da Aristotele né dalla Bibbia, ma solo dall’osservazione diretta e dalla misurazione dei fenomeni. Dalla misurazione si procede a un’ipotesi in base alle relazioni quantitative costanti che collegano i diversi fenomeni e, infine, la prova di una ipotesi non sarà data dalla precisione di un discorso retorico ma solo da un esperimento. Se, dunque, agendo in base all’ipotesi si otterranno dei risultati tali e quali a quelli che l’ipotesi prevedeva, allora quell’ipotesi si trasforma in legge. Non per questo, però, Galileo intendeva negare il magistero della Chiesa in ambito religioso che tuttavia è altro da quello scientifico. Nelle scritture ci sono affermazioni che hanno scopi e intenti religiosi non scientifici, i fenomeni sono descritti nel modo in cui appaiono e perciò non hanno valore né intento scientifico.
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Ma l’aspetto più significativo dell’opera di Galilei è che egli non si limitò ad affermare le sue tesi in scritti di carattere accademico e di scarsa circolazione, ma, convinto di rappresentare una cultura nuova, antifeudale e antiaccademica, la divulgò in trattati scientifico-letterari scritti in italiano, epistole, che sono veri e propri saggi, rivolte a tutte le persone colte. Si batté con tale vigore che, a un certo momento, parve sacrificare alla propria battaglia culturale addirittura il proseguimento e il rigore della sua attività di scienziato in senso stretto. Appunto per questo egli parve pericoloso. Fu combattuto con tanta acrimonia e infine condannato, perché la sua opera, in quegli anni in cui la Chiesa lottava contro il mondo protestante e in cui l’autorità pontificia era scossa, metteva in crisi non solo singole affermazioni ma lo stesso sistema dell’universo e addirittura la metodologia stessa della ricerca culturale, e rovesciava, per così dire, un atteggiamento mentale. Alle sue doti di grande scienziato, di altissimo metodologo e di abile polemista, Galilei aggiunse anche doti notevolissime di scrittore.
Oltre Galilei Dei discepoli di Galilei molti seppero congiungere scienza e lettere, rigore e capacità divulgative. In questo senso, il più importante tra loro fu Francesco Redi. Nel 1668 Redi pubblicò Esperienze Intorno alla Generazione degli insetti, il libro che lo avrebbe consacrato come biologo di fama. Redi raccoglie nel testo varie dicerie sulla generazione spontanea degli insetti. A seguito di una serie di esperimenti, si rese conto che gli insetti possono nascere su carni putrefatte soltanto se queste carni sono lasciate all’aria e non se sono conservate in bottiglie sigillate. Quindi, si può concludere, che gli insetti sono generati da uova deposte da altri insetti su carogne che forniscono loro il nutrimento necessario, ma non si generano insetti nelle bottiglie sigillate dato che nessun uovo è stato deposto.
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Il testo insieme a Osservazioni intorno al veleno delle vipere, dello stesso Redi, per eleganza e acutezza sono tra le opere più letterariamente interessanti della produzione scientifica del Seicento.
Focalizzare l’apprendimento ● Perché la manualistica latina nasce già antiquata? ● Prova a rintracciare i principi etici dell’epicureismo. ● Qual è il quadro socio-economico del rinascimento medievale e in che modo influisce sugli sviluppi culturali? ● Qual è l’influenza della Controriforma sul pensiero scientifico? ● Su quali basi si fonda il metodo scientifico?
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La scoperta della circolazione sanguigna
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Approfondimenti: La scoperta della circolazione sanguigna
Introduzione
Immagine delle vene dalla Exercitatio Anatomica de Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus di Harvey11
La storia della scoperta della circolazione del sangue è complessa e conoscerla vuol dire prendere in esame civiltà diverse che, con le loro culture filosofiche e religiose, si sono succedute nel continente Europeo, ma anche in quelli Africano ed Asiatico. Il susseguirsi delle varie società ed epoche storiche ha visto lunghi divieti alle pratiche specifiche sul corpo umano, che occorrevano per il suo studio e la Chiesa con i suoi divieti, ha avuto una parte molto importante. Per questo motivo le prime teorie galeniche, rivelatesi poi errate, sono state pressoché le stesse per circa un millennio. Le teorie di Galeno contrastavano con le intuizioni geniali e successive di Leonardo da Vinci espresse nelle sue tavole anatomiche su cuore e vasi, con le dettagliate spiegazioni a margine. I suoi concetti fisiologici vennero ripresi successivamente da Realdo Colombo, che (anche se non sufficientemente noto) è il vero scopritore della circolazione del sangue in Europa e dai suoi discepoli in Padova, Fabrizio d’Acquapendente e Guglielmo Harvey.
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Immagine tratta da Wikipedia, di pubblico dominio, reperibile all’url https://it.wikipedia.org/wiki/William_Harvey#/media/File:William_Harvey_(1578-1657)_Venenbild.jpg
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In verità la spiegazione del circolo ematico era stata già data dal medico arabo Ibn al Nafis. Ma il merito di Leonardo è stato piuttosto quello di aprire la strada al metodo scientifico moderno, fondato sulla sperimentazione. In pratica Leonardo fu ispiratore della Scuola Anatomo-Fisiologica Italiana del Rinascimento, cui andrebbe la paternità della scoperta della circolazione del sangue in Europa, poi rivelata in tutto il mondo dalla chiara dimostrazione di William Harvey, che proprio nell’Università di Padova aveva condotto gli studi medici.12 Non si può, alla fine, dimenticare Marcello Malpighi (1628 – 1694) un medico bolognese, anatomista e fisiologo italiano.
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Marcello Malpighi, oil on canvas
Malpighi fu il primo ad osservare i capillari negli animali e a scoprire il legame tra le arterie e le vene, legame che era sfuggito a William Harvey. Egli fu anche il primo ad osservare i globuli rossi sul microscopio. Il suo trattato “De polypo cordis” è stato importante per la spiegazione della composizione del sangue.14 L'uso del microscopio permise a Malpighi di scoprire che gli insetti non utilizzano polmoni per respirare, ma dei piccoli fori nella loro pelle chiamati trachee. Malpighi, studiando l'anatomia del cervello, confermò che l'organo era semplicemente una ghiandola. In termini di endocrinologia moderna, questa deduzione è corretta, dato che l'ipotalamo del cervello è da tempo riconosciuto per la sua capacità di ormone secernente.
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Rielaborazione tratta da Il Bassini - Volume XXXI - Luglio-Dicembre 2010, LE PAGINE DELLA STORIA Leonardo da Vinci e la scoperta della Circolazione del Sangue, articolo di Paolo Mingazzini, Università degli Studi di Milano – Bicocca Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, pag. 58 e seguenti, reperibile all’url https://boa.unimib.it/retrieve/handle/10281/17728/21924/Leonardo_da_vinci_scoperta_circolazione.pd f 13 Immagine di pubblico dominio reperibile all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Malpighi#/media/File:Marcello_Malpighi_by_Carlo_Cignani.jpg 14 Informazioni tratte e rielaborate da https://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Malpighi
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In queste sintesi storica della scoperta della circolazione sanguigna si procede in un excursus all’indietro nel tempo: in pratica da Harvey a Galeno e Ippocrate, con brevi biografie e cercando di capire le tematiche in cui erano immerse le argomentazioni di questi grandi personaggi, intorno a quello che è sempre stato uno dei temi più avvincenti del mondo filosofico in generale: dove nascono i sentimenti e le emozioni? Davvero il cuore è il centro vitale della nostra anima? Che ruolo ha in tutto questo, il sangue, linfa vitale, liquido magico carico dello “spirito della natura”?
La circolazione sanguigna Per circolazione sanguigna si intende il “sistema di vasi arteriosi e venosi gestito centralmente dal cuore, che consente al sangue di raggiungere tutto l'organismo, trasportando l'ossigeno ed i necessari nutrienti alle cellule e prelevando le scorie metaboliche che devono essere eliminate dai reni e dai polmoni”15. Questa moderna descrizione ha avuto origini da una lunga serie di studi che percorrono i tempi, da uno dei primi filosofi che cercò la verità sulle motivazione e le specificità del circolo ematico, Ippocrate, fino al medico inglese William Harvey. Quest’ultimo fu il primo divulgatore che descrisse nei particolari la circolazione del sangue, ma in realtà, non fece altro che approfondire, specificare e schematizzare quanto già appreso all’Università di Padova e ancora prima, quanto spiegato dal medico arabo che ne sapeva più di tutti a quei tempi, Ibn al Nafis.
Il dottor William Harvey, biografia
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Vedi il Glossario di Pagine Mediche, al sito: https://www.paginemediche.it/glossario/circolazione-sanguigna
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Egli fu un grande medico inglese, nato a Folkestone nel 1578. Studiò a Cambridge, ma anche a Padova, dove conobbe Fabrizio d'Acquapendente: fu questa amicizia che lo spinse ad approfondire la ricerca sulla circolazione. Rientrato in patria, nel 1602 divenne medico del re Carlo I, suo grande amico, a cui rimase sempre fedele anche dopo la destituzione e la decapitazione del sovrano (1649). Fu docente al Royal College of Physicians dal 1615. Nel 1604 sposò Elizabeth Browne, figlia del medico personale di Elisabetta I e Giacomo I. Fu eletto membro del Collegio dei medici di Londra e lavorò presso il St. Bartholomew's Hospital. Harvey dette comunicazione nel 1616 della sua scoperta sulla circolazione del sangue, che sostituì la concezione galenica ancora in auge. La notizia fu nota nel 1628, anno di pubblicazione del suo libro Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, dove egli spiega che “il Cuore è un muscolo ed il suo funzionamento è simile a quello di una pompa, che le valvole cardiache lasciano fluire il sangue dagli atri ai ventricoli e non al contrario e che anche le valvole delle vene lasciano passare il sangue in un'unica direzione, cioè dai distretti periferici al cuore. Harvey intuì che c'era una comunicazione tra arterie e vene e che questa comunicazione, alla lunga, portava il sangue continuamente in circolo, facendolo passare per il muscolo cardiaco, che riusciva a pompare, quindi, secondo i suoi calcoli, una quantità di sangue di gran lunga superiore al peso dell'intero organismo. La comunicazione tra arterie e vene venne, poi, sviluppata ampiamente da Malpighi proprio sulle intuizioni di Harvey”16.
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Tratto da https://www.paginemediche.it/benessere/storia-della-medicina/harvey-e-la-circolazione-sanguigna, di cui la biografia da me scritta è anche rielaborazione.
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Da questo momento in poi, il cuore perde quei connotati “vitali” e se vogliamo “romantici” per cui era considerato da sempre: centro delle emozioni, degli affetti, delle sensazioni più importanti, quali odio e amore, presenti in tutti gli esseri viventi, compresi gli animali e responsabili dei loro stessi comportamenti. Era una “semplice” pompa meccanica che si preoccupava di pompare il sangue nelle arterie e nelle vene. I noti “umori” ippocratici perdono di valore, anche se continuarono a riemergere influenzando forse successivamente almeno la letteratura e la poesia, che tanto ha “trattato” il tema del cuore e della mente. Harvey Morì a Londra nel 1637.
Realdo Colombo
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Matteo Realdo Colombo
Colombo fu grande scopritore dell'anatomia umana, in particolare studiò la circolazione polmonare, o piccola circolazione, e le sue teorie vennero poi confermate da William Harvey, Scrisse le sue deduzioni nel testo De Motu Cordis (1628). “Secondo la visione tradizionale risalente a Galeno, il sangue passava tra i ventricoli del cuore attraverso i micropori del setto interventricolare e in questo modo il sangue venoso diventava sangue arterioso nel ventricolo sinistro, dove l'aria veniva fornita dalla vena polmonare. Durante la vivisezione di cani e altri animali, Colombo trovò ripetutamente solo sangue nella vena polmonare, e niente aria. Secondo il suo modello, il sangue venoso viaggiava dal cuore ai polmoni dove veniva mescolato con l'aria e poi tornava al cuore. Sebbene la permeabilità del setto fosse già stata smentita da Michele Serveto nel 1553 nella sua Christianismi Restitutio e
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Immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Realdo_Colombo#/media/File:Matteocolombo.jpg
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da Ibn al-Nafis nel XII secolo, Colombo fu il primo a completare la teoria con valutazioni e osservazioni anatomiche originali. In aggiunta alla circolazione polmonare, Colombo scoprì anche che l'azione principale del cuore era la contrazione, piuttosto che la dilatazione, come si era pensato in precedenza. Entrambe queste scoperte furono più tardi confermate da William Harvey.” 18
Ibn al Nafis
Una pagina di un'edizione del 1597 e un’immagine fantasiosa del grande medico.19
Ma le intuizioni padovane di Harvey sembra chiaro siano state riprese da Fabrizio d’Acquapendente, il quale a sua volta aveva probabilmente ricavato le informazioni necessaria a completare i suoi studi da Ibn al Nafis. Egli fu un medico arabo, nato a Damasco nel 1210 e vissuto in Egitto. Scrisse un commentario al Canone di Avicenna20, dove descrisse con chiarezza ”la circolazione 18
Tratto dalla sezione “Contributi all’anatomia” della pagina di Wikipedia, l’enciclopedia libera, dedicata a Realdo Colombo reperibile all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Realdo_Colombo 19 La prima tratta da Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/Ibn_al-Nafis#/media/File:Ibn_al-nafis_page.jpg e la seconda dal sito inglese http://www.muslimheritage.com/article/ibn-al-nafis-and-vinegar . dove le notizie su questo medico sono più dettagliate. 20 Vedi su Wikipedia, Il canone della medicina all’url: https://it.wikipedia.org/wiki/Il_canone_della_medicina
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polmonare e la sua funzione di permettere al sangue di mescolarsi con l’aria a livello dei polmoni e nega ripetutamente l’esistenza dei foramina supposta da Galeno: il sangue arriva dal cuore destro ai polmoni attraverso quella che noi oggi chiamiamo arteria polmonare e torna al cuore sinistro dopo essersi affinato con l’aria ”. Probabilmente un medico di Padova, traduttore dall’arabo, lesse il suo manoscritto, permettendo così ai medici di quella città di conoscere le grandi intuizioni di questo dottore medio-orientale. Gli studi padovani di Harvey completaranno il quadro della scoperta sensazionale, che non lasciava più spazio ad una visione “magica” del sangue e del suo costante lavoro di “irrigazione” corporea, intesa quasi come un mare che “lambiva” internamente l’essere umano..
Leonardo da Vinci Anche Leonardo da Vinci (1452–1519) nei suoi studi solitari aveva preso in esame la circolazione del sangue e la questione cuore, ma soltanto molti secoli dopo ci si è accorti delle sue grandi scoperte. Egli eseguì tutta una serie di dissezioni di cui una è di particolare interesse: quella del cuore di un bue. “L’artista descrive con grande accuratezza le camere del cuore (i ventricoli e gli atri), nonché la struttura e il funzionamento delle valvole cardiache. Ma non riesce a conciliare le sue osservazioni con ciò che credeva fosse vero. Leonardo capisce che il lato destro del cuore preleva il sangue dal sistema venoso, mentre il lato sinistro lo pompa nel sistema arterioso, e che ogni valvola riesce a chiudersi alla perfezione. Non sa nulla, però, della circolazione sanguigna e modifica le sue conclusioni per far corrispondere le sue scoperte con le credenze tradizionali. All’epoca, infatti, si pensava che i sistemi arterioso e venoso fossero separati e che il cuore fosse fonte di calore e dello “spirito vitale” (la “forza della vita”), generata dal passaggio del sangue dai ventricoli. Eppure le sue conoscenze del cuore erano, sotto molti punti di vista, in linea con le conoscenze moderne.21
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Informazioni tratte dall’articolo “Leonardo da Vinci, l’anatomista” della Royal Collection Trust, Venerdì, 04 Maggio – Domencia, 07 Ottobre 2012 , reperibile all’url http://www.royalcollection.org.uk/sites/default/files/Leo%20languages_Italian_0.pdf
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The heart, bronchi and bronchial vessels, c.1511-13 RCIN 919071r 22
Galeno Ma tornando indietro nel tempo, chi aveva parlato della circolazione sanguigna e del cuore? Il grande Galeno fu il primo filosofo medico dell’antichità, i cui echi si risentono ancora oggi quando ad esempio, si parla di preparazione galenica, ecc…, ad affrontare il tema con uno sguardo “scientifico”, per quanto si poteva nell’epoca in cui visse. Vide un aspetto naturalistico essenziale, per cui il sangue si caricava quasi “spiritualmente” della natura stessa.
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Immagine tratta ancora dall’url http://www.royalcollection.org.uk/sites/default/files/Leo%20languages_Italian_0.pdf
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Galeno e Ippocrate in un dipinto del XII secolo (Cattedrale di Anagni)
Biografia “Galeno di Pergamo (Pergamo, 129 d.C.– Roma, 201 d.C. circa) è stato un medico greco antico, i cui punti di vista hanno dominato la medicina occidentale per tredici secoli, fino al Rinascimento, quando si cominciò lentamente e con grande cautela a metterli in discussione, per esempio dall'opera di Vesalio. Dal suo nome deriva la Galenica, l'arte di preparare i farmaci dal Farmacista in Farmacia”24. Figlio dell’architetto Nikon, ricevette una formazione filosofica e matematica simile al padre, e si convinse che anche la medicina, il sapere scientifico dovessero avere un’impalcatura simile all’architettura; era fondamentale basarsi sullo stesso rigore dimostrativo. Studiò anatomia da un lato e il commento dei testi della medicina ippocratica dall’altro. I suoi maestri furono soprattutto legati al Museo di Alessandria, dove rimase per cinque anni, e dove venne in contatto appunto, con la grande tradizione del commento ippocratico. Galeno fu medico dei gladiatori, finché nel 162 si trasferì a Roma ove rimase fino a tarda età, distrigandosi fra le violente dispute fra alcune sette rivali legate alla pratica della medicina. Acquisì credito presso i ceti più alti della società imperiale e divenne medico personale di Marco Aurelio e del figlio Commodo. 23 24
Immagine reperibile all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Galeno#/media/File:Galenoghippokrates.jpg Tratto da Wikipedia, all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Galeno
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Le sue teorie Galeno aveva intuito che il sangue doveva in qualche modo “nutrire” l’interno organismo, ed ipotizzò un sistema circolatorio che aveva il suo fulcro nel fegato. Infatti il sangue aveva origini dal fegato stesso, dove si raccoglievano sostanze alimentari inanimate: nel fegato assumevano però degli spiriti naturali che le rendevano animate. In pratica il fegato era la sorgente delle vene e da lì il sangue si propagava per tutto il corpo fino al cuore, dove si caricava di spiriti vitali, presenti nell’aria e introdotti nel corpo per mezzo della respirazione. Passando poi per le arterie, produceva il calore che si consumava. In pratica c’era un flusso continuo di sangue dal fegato al corpo. Da suoi studi ippocratici nasce il suo concetto di “«forza curatrice naturale», che vede il corpo umano animato da una forza vitale tendente per natura a riequilibrare le disarmonie apportatrici di patologie. Secondo questa concezione, la malattia e la salute di una persona dipendono da circostanze insite nella persona stessa, non da agenti esterni o da superiori interventi divini; la via della guarigione consisterà pertanto nel limitarsi a stimolare questa forza innata, non nel sostituirsi ad essa: «la natura è il medico delle malattie [...] il medico deve solo seguirne gli insegnamenti»”25. Ma aldilà di questa intuizione, egli si impegnò concretamente in un tentativo di ricomposizione unitaria della medicina, al di là delle controversie settarie. Tre i capisaldi di questo programma: 1) il richiamo all'unità della tradizione ippocratica, 2) l'attribuzione di un ruolo fondamentale all'anatomia, vista come la base di tutto l'edificio del sapere medico; 3) l'impiego di solidi metodi dimostrativi, secondo il modello aristotelico ed euclideo. Una medicina così ricostruita potrà attingere alla piena dignità epistemologica di un sapere naturalistico e, nella sua solidità razionale, e scientifica. Sul piano diagnostico e terapeutico, Galeno concordava pienamente sull'importanza dell'osservazione diretta (autopsia) o tramandata (historia). Riguardo alla concezione galenica dell'uomo, il ritorno alla tripartizione platonica dell'anima lo porta a vedere come l'equilibrio razionale sia continuamente minacciato da fattori endogeni, l'irrazionalità delle passioni e dei desiderî che provengono dalle parti inferiori
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Vedi Ippocrate, da Wikipedia, Pensiero, all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Ippocrate
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dell'apparato psichico, mentre fa del cervello la sede delle funzioni psichiche superiori, dunque della "parte razionale" dell'anima.26
Analogie o metafore ontologiche di Galeno “Il sangue che raggiunge gli organi ed i tessuti vi si riversa e ne viene consumato, come l'acqua viene trasportata da tubi ed acquedotti viene usata e dispersa per irrigare i campi. La teoria Galenica è basata su tre analogie o metafore ontologiche: il sangue si forma in un processo analogo alla cottura e preparazione del cibo (la concozione) e si consuma in un processo analogo all'irrigazione. Il modello della circolazione è analogo al progetto di un acquedotto che preleva l'acqua da un serbatoio e la conduce ad un utente finale che la consuma. Le tre analogie della cottura, dell'irrigazione e dell'acquedotto suppliscono ai dati empirici non disponibili grazie al ricorso a pretese somiglianze con fenomeni noti.”27 Ma Galeno propone una quarta metafora che poi viene ripresa anche da Harvey per sopperire come al solito, con dati empirici a carenze di studi e di ulteriori indagini necessarie alla scoperta del flusso sanguigno in tutti i suoi complessi elementi: il sangue si sposterebbe in avanti e indietro come le maree o le onde del mare e sarebbe consumato dai tessuti che lambisce. Cartesio (1596-1650) aggiunse un'altra metafora: il movimento di va e vieni del sangue sarebbe dovuto al riscaldamento che esso subisce nel cuore e al raffreddamento che esso subisce nei tessuti come ogni corpo si espande se riscaldato e si contrae se raffreddato. Quest’ultima venne confutata nel 1661 da Marcello Malpighi il quale “dimostrò grazie al 26
La tripartizione vedeva l’anima razionale: intelletto, pensiero razionale; l’anima irascibile: coraggio, impulsività; l’anima concupiscibile: appetiti “culinari” (stomaco,intestino) e sessuali (organi di riproduzione) 27
Brano tratto dall’articolo TEORIE MEDICHE BASATE SU METAFORE E ANALOGIE, visibile all’url http://biochimica.bio.uniroma1.it/MedicineNonScientifiche/ometa.htm#ref1
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microscopio la continuità tra le arterie e le vene attraverso vasi periferici troppo sottili per essere visibili ad occhio nudo, che egli stimò sottili come capelli e chiamò per questo vasi capillari. Malpighi vide anche i globuli rossi muoversi nei capillari dall'arteriola alla venula senza fuoriuscire, e pertanto oltre a risolvere la prima difficoltà dell'ipotesi di Harvey, dimostrò definitivamente falsa l'analogia dell'irrigazione.”28
Ippocrate
Ritratto di Ippocrate, dallo studiolo di Federico da Montefeltro (Galleria Nazionale delle Marche)29
Da Galeno, ritornando indietro nel tempo, non si può non ricordare Ippocrate che egli studiò approfonditamente, traendo spunti incredibimente fertili. Inutile forse ricordare che ancora oggi il noto giuramento di Ippocrate segna la vita iniziale di ogni medico. Ippocrate sostenne la "teoria umorale", secondo la quale il nostro corpo sarebbe governato da quattro umori: (sangue, bile gialla, bile nera, flegma). Questi elementi sono responsabili della salute (crasi) nel caso in cui siano in equilibrio, della malattia nel caso opposto. “La teoria è espressa nel De Natura hominis del suo discepolo Polibo. A lui si deve l'importanza del concetto di dieta e alimentazione all'interno della dottrina degli umori e la coniugazione di medicina e chirurgia (ad esempio mediante purghe e salassi). Ancor'oggi alcune malattie portano il suo nome, come le dita ippocratiche, o a
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Vedi TEORIE MEDICHE BASATE SU METAFORE E ANALOGIE, già citato. Immagine tratta dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Ippocrate#/media/File:Ippocrate_di_Coo_-_Studiolo_di_Federico_da_Mont efeltro.jpg 29
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bacchetta di tamburo, e la faccia ippocratica, tipica delle condizioni di sofferenza e indebolimento, ad esempio nella peritonite.”30 Molto interessanti le conclusioni che ne derivano nel pensiero galeano. Egli ritiene che gli elementi essendo di infiniti tipi, hanno la possibilità di combinarsi fra loro e che sia questa l'origine degli innumerevoli caratteri della natura umana. Gli umori di Ippocrate, inoltre, cambiano in quantità a seconda dei momenti della giornata, delle stagioni e delle età della vita. In primavera prevale il sangue, in estate la bile gialla, in autunno la flemma e in inverno la bile nera. Galeno tenta di giustificare “la teoria umorale attraverso studi scientifici basati sulla dissezione di animali e sull'osservazione di cadaveri morti di morte violenta (ad esempio in battaglia). Egli sosteneva che principio fondamentale di vita era pneuma (aria, alito, spirito), corrispondente al sangue. Pertanto il cuore, essendone la sede, doveva essere la sede della vita e dello spirito (ciò che più tardi si chiamerà anima)...”31.
Inizia quindi già a partire da Ippocrate e da Galeno in particolare l’idea che il cuore sia il centro dell’essere umano, della sua anima e la circolazione del sangue conduca “umori” che caratterizzano il comportamento umano, tant’è vero che la bile nera affermò dovrebbe essere responsabile dell'«umor melancolico». Pur artefice di errori eclatanti, come quello di considerare totalmente separate la circolazione del sangue arterioso e venoso, e pur proclamando i salassi come possibilità di riequilibrare gli umori, Galeno e Ippocrate prima di lui, sono stati menti eccezionali, che con i pochi mezzi di allora, ma con un’osservazione rigorosa, hanno saputo dare un vero e proprio “imprintig” alla moderna medicina, ma anche influenzato la filosofia successiva.
Conclusioni Attraverso la scoperta della circolazione del sangue passando da Harvey per tornare indietro nel tempo, fino a Ippocrate, si è notato una trasformazione del concetto relativo al flusso ematico e allo stesso cuore che pulsa. Se inizialmente il cuore era il centro dell’anima e per qualcuno anche della mente, la razionalità scientifica conduce sempre più a vedere il flusso come un sistema basilare per la vita, che induce all’ossigenazione del corpo e che
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Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Ippocrate Vedi la Teoria umorale in Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_umorale
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viene sospinto da una sorta di pompa: il muscolo cardiaco. Anche i vasi e le arterie cambiano il loro ruolo, non più spinti “magicamente” e per spirito esterno non ben chiaro, quanto in un continuo movimento grazie al battito del cuore. Infine cambia l’orientamento stesso delle circolazione: il fegato non è la base da cui tutte le vene e le arterie si dipartono, ma risulta seppure importante, quasi secondario almeno nella circolazione. Contemporaneamente tutto sembra spostarsi dalla circolazione del sangue e dal cuore, al cervello, o “mente”, centro della persona razionale. Ma la ricerca della sede dell’anima è ancora attiva fra gli scienziati, come dimostra questo articolo dal titolo “Scienziati scoprono la sede dell’anima nel cervello umano”32. Aldilà della sua veridicità, si può supporre che non è ancora esaurita la ricerca di un’anima immortale, la cui sede ormai è stabilito, non sia più il cuore. Anche i fluidi vitali hanno perso il loro magico flusso ma certamente il fatto di poter creare del sangue artificiale non impedisce di aspirare a considerazioni spirituali di rilievo, sul valore della circolazione del sangue e del cuore stesso.
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Articolo del 15 marzo 2016 nel sito Segni dal cielo, dal titolo Scienziati scoprono il luogo dell’anima nel cervello umano, all’url: http://www.segnidalcielo.it/scienziati-scoprono-il-luogo-dellanima-allinterno-del-cervello-umano/
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Modulo 3 Il mondo della Storia, l’illuminismo e la prima rivoluzione industriale
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3° Modulo: Il mondo della Storia, l’illuminismo e la prima rivoluzione industriale
Vico Una figura fondamentale, intellettualmente complessa e virilmente isolata nel periodo del trionfante razionalismo cartesiano è quella di Giovanni Battista Vico. Tra le opere meno note, va ricordata la sua Autobiografia che ci segnala scrittori e percorsi che, in parte, abbiamo, sin qui, sostanzialmente riprodotto. Tra i nomi degli autori che nell’autobiografia Vico indica come sollecitatori del suo pensiero, ci sono Platone, Tacito, Bacone e il giurista olandese Grozio. Tutti quanti testimoniano le complesse direzioni della ricerca vichiana. La metafisica di origine platonica si lega strettamente, da un lato, all’interpretazione dei fatti storici (anche in una chiave «morale», tacitiana), dall’altro alla definizione del sistema delle scienze e alle ricerche baconiane sull’origine della verità e dell’errore, e infine all’indagine sui fondamenti del diritto additata da Grozio. Vico mira però a un principio che unifichi queste investigazioni, che fornisca la chiave di «tutto il sapere umano e divino»; ed egli avverte molto presto che tale principio si può rintracciare nell’origine di quello stesso sapere, attraverso uno studio storico ed etimologico del linguaggio. Nel De antiquissima italorum sapientia (L’antichissima sapienza italica), del 1710 tende a costruire una metafisica attraverso l’analisi delle locuzioni latine, nelle quali Vico vede nascosta l’antica sapienza italica: alla filosofia si collega così una filologia che porta una «necessità di scienza in entrambe le sue parti, che sono le due storie, una delle lingue, l’altra delle cose»; e dallo studio filologico di termini latini come verum e factum emerge la famosa formula vichiana della conversione tra «vero» e «fatto», dell’identificazione del conoscere col fare. Secondo Vico, in forte antitesi con le acquisizioni cartesiane, Dio solo conosce le cose della natura perché ne è il creatore; l’uomo semplicemente potrà conoscere gli aspetti esteriori delle cose, non la causa che ne costituisce l’intima costruzione. L’ispirazione centrale della Scienza Nuova, la sua opera maggiore, è la possibilità di istituire una scienza della storia. Vico, infatti, considera che la storia è determinata dagli uomini, per
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cui, esplorando i comportamenti e le strutture che l’uomo si è dato, è possibile risalire ai principî e alle leggi che vi sono alla base. Le tappe dello sviluppo dell’uomo si rispecchiano nella successione di momenti in cui si struttura la storia: come nell’uomo vediamo un succedersi di senso, fantasia e ragione, così nella storia troviamo tre età diverse. Nella prima, l’età degli dèi, l’uomo vive un’esistenza ferina, da «bestione», ma l’ostilità della natura lo spinge a cercare divinità, leggi morali, prime forme di legami sociali. Da qui inizia l’espressione della fantasia. «I primi popoli furono poeti, i quali parlarono per caratteri poetici» scrive Vico. Sono i momenti in cui nasce il linguaggio e si creano i grandi miti della poesia. Non senza tenerezza, Vico descrive questa seconda età, quella degli eroi, che ha la sua massima espressione in Omero: voce del popolo greco che narra la propria storia. All’età degli dèi e all’età degli eroi succede l’età degli uomini, «nella quale tutti si riconobbero essere uguali in natura umana». Ma questo sviluppo della storia non segue, come si potrebbe dedurre, un andamento lineare, perché dalla «dispiegata ragione» gli uomini cadono nella «barbarie della riflessione», fino alla negazione di Dio. Inizia così un nuovo «corso» della storia, in cui dalla nuova barbarie si passerà a una nuova età degli uomini. Vico rintraccia nel Medioevo un esempio lampante di questo processo: dalla lenta riscoperta dei linguaggi e dei miti, dal recupero delle forme di organizzazioni civili, di cui è testimone Dante, il «toscano Omero», si passa a una nuova fioritura. Così la storia si ripete, in corsi e ricorsi. Certamente Vico non fa riferimento al ritorno di episodi individuali, ma al riproporsi di forme storiche. «Architetto» della storia è sempre la divina provvidenza.
L’illuminismo L’indirizzo di pensiero che dominò il Settecento europeo è quello dell’illuminismo. Non si deve con ciò ritenere che l’illuminismo sia rinviabile a una scuola, si deve dire piuttosto che abbia rappresentato l’atmosfera e lo spirito di un periodo capace di improntare di sé quasi tutte le correnti filosofiche e scientifiche del secolo, malgrado le sostanziali differenze riscontrabili tra le diverse correnti di pensiero. Esistono tuttavia, entro le varie correnti di pensiero in largo senso illuministiche, alcuni caratteri comuni, che sembrano riflettere lo slancio innovatore che animò gran parte della società europea. Il primo fra essi è la fede nella ragione, intesa come strumento in grado di rischiarare tutti i problemi dell’uomo, da quelli filosofici e scientifici a quelli religiosi, politici e sociali. 60
Dobbiamo, a questo punto, chiederci quale sia il significo del termine ragione. La prima difficoltà nel rintracciare una definizione, sta nell’impossibilità di circoscrivere il significato a un campo unico e specifico e ciò accade, prima di tutto, per una ragione contingente: gli stessi indirizzi illuministici seguivano strade diverse di significati. Per alcuni, la ragione è strettamente connessa all’esperienza, per altri rappresenta la facoltà di raggiungere principî dati da un’evidenza superiore rispetto a quella dei dati sensibili. Dobbiamo certo considerare che si tratta di divergenze che riguardano più le fonti del conoscere che non la nostra possibilità di accrescere il patrimonio conoscitivo dell’umanità, intervenendo sugli errori, scovando la fragilità delle false credenze, sottoponendole a prove sempre più attente. Fiducia nella ragione non significa, in questa accezione, nutrire aspettative verso le varie fonti del conoscere, ma piuttosto fare affidamento sulle capacità critiche dell’uomo, sulla chiarezza delle argomentazioni, sull’assoluta superiorità dello spirito scientifico rispetto a ogni forma di oscurantismo. Va notato che persino gli autori, come Rousseau, che sembrano combattere il razionalismo dei loro contemporanei, in realtà, insistono sulla superficialità di alcune argomentazioni contrapponendovene altre di una razionalità più autentica. I teorici lontani da Rousseau sono convinti, comunque, che l’uomo sia in grado di raggiungere con le proprie forze le verità più profonde, e non sia impotente di fronte a esse. In conclusione, i lumi della ragione costituiscono la molla più potente del progresso. L’intellettuale ricopre perciò un ruolo fondamentale ed è un fattore determinante per la trasformazione della società. Ma il significato del termine Ragione non è l’unico su cui gli illuministi differiscono. Diverse sono le posizione anche riguardo alla frattura che le nuove idee causano con gli insegnamenti tradizionali della metafisica, ma anche con le religioni positive, come testimonia Voltaire che tenta di sostituir loro una religione naturale, lontana dall’aspetto superstizioso che egli vede in molte religioni. Diverso è l’atteggiamento dei materialisti, molto più radicali, che tentano di escludere dalla realtà ogni trascendenza. Ad ogni modo, sia Voltaire e gli illuministi che appoggiano il suo atteggiamento, sia i materialisti sono accumunati da una visione laica della realtà che parte dell’uomo e in esso si risolve. Dall’illuminismo deriverà l’abitudine a rapportarsi con i problemi etici e scientifici in un’ottica puramente terrena, allontanando quindi dal proprio campo d’indagine ogni riferimento alla natura di dio, cioè, da un punto di vista assolutamente laico. 61
Lo sviluppo della tecnica in Inghilterra e la rivoluzione industriale Verso la fine del ‘700 inizia in Inghilterra una radicale trasformazione dei processi produttivi le cui conseguenze economiche, sociali, politiche e culturali e la sua progressiva espansione in aree sempre più vaste del mondo hanno determinato, e determinano ancora, le condizioni di vita dell’umanità. Essa viene pertanto definita rivoluzione in quanto la sua portata modificò capillarmente la società. Questo processo iniziò in Inghilterra perché qui diversi fattori si rivelarono favorevoli al suo sviluppo. Innanzitutto va sottolineata la superiorità dei tecnici inglesi, una supremazia così netta che ci vollero diversi decenni perché all’estero si imparasse a ricostruire le macchine per filare e per tessere e, spesso, le copie stesse furono realizzate grazie al contributo di tecnici inglesi. Il primato tecnologico va in parte ricollegato alla tradizione empiristica di Bacone (1561-1626), che aveva intuito il legame fra teoria e prassi, fra il progresso delle conoscenze e il dominio dell’uomo sulle forze della natura. I tecnici inglesi conoscevano la matematica e la fisica, grazie ai periodici, alle enciclopedie popolari e ai corsi serali promossi da associazioni private. Inoltre la mobilità della società inglese stimolava un ricco flusso di ingegni creativi verso i problemi della produzione. Nella società inglese non si nutriva alcun pregiudizio nei confronti delle attività manuali, per cui non era disdicevole dedicarsi ai problemi della tecnica anche qualora si provenisse dalle classi medie. Anzi, proprio questa apertura ha fatto sì che nascessero i più brillanti inventori. Il quadro politico era ben più favorevole che altrove in quanto la posizione della borghesia, ormai in grado di condizionare il potere, aveva permesso una rapida trasformazione capitalistica dell’agricoltura, la formazione di un mercato unico del lavoro con l’abolizione delle dogane interne e la possibilità di distribuire rapidamente i prodotti grazie alla rete di strade e canali. Sollecitata da una forte espansione della domanda, la rivoluzione industriale prende le mosse dai terminali (filatoi, telai e simili), ma si estende poi progressivamente a tutte le fasi della lavorazione e trova nella vaporiera di James Watt (1769), e nei suoi successivi derivati, i motori capaci di utilizzare a fondo la maggiore efficienza raggiunta dai terminali. Grazie all’applicazione sistematica delle conoscenze scientifiche ai processi produttivi, l’industria determina una vertiginosa accelerazione della tecnica e rende pertanto più
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evidente il carattere storico e relativo delle cosiddette materie prime che infatti mutano col mutare delle stesse tecniche di produzione. L’introduzione di macchine accresce la produttività, ma allo stesso tempo cambia radicalmente il rapporto tra l’uomo e gli strumenti. Il sistema della conduzione di tipo domestico della produzione entra in crisi e, se anche continua a occupare per alcuni decenni una posizione quantitativamente rilevante, viene però sostituito nei punti chiave della produzione dal sistema di fabbrica, fondato sulla più rigida disciplina e incentrato sulle macchine stesse, delle quali i lavoratori diventano i semplici inservienti. Nel tempo, però, l’industria che inizialmente richiedeva un investimento minimo ha costi sempre maggiori, accessibili solo a chi dispone di vasti capitoli, sicché gli operai, separati dai mezzi di produzione che non posseggono, non possono più vendere, come faceva l’artigiano, le merci da loro prodotte, ma devono vendere come merce l’unica “cosa” rimasta in loro possesso, ossia la propria forza-lavoro. Gli operai, comunque, partecipano al processo produttivo, che, in quanto fondato sul progresso scientifico-tecnico e quindi sulle capacità creative della mente umana, è virtualmente suscettibile di sviluppi che vanno ben oltre i limiti dello stesso sistema capitalistico. Questo aspetto costituisce la differenza fondamentale tra gli operai e le classi subalterne dell’antichità.
Le caratteristiche della rivoluzione industriale La rivoluzione industriale è un processo che nel lungo periodo ha coinvolto il Belgio, la Francia, la Germania (Europa centro-occidentale), gli Stati Uniti, il Giappone e infine la Russia e l’Italia (Europa orientale e meridionale). Le caratteristiche essenziali della produzione industriale moderna riguardano soprattutto l’adozione di macchine che vanno a sostituire il lavoro dell’uomo, fondato su abilità acquisite con l’esperienza. Man mano che l’industria si sviluppa, le macchine iniziano a incamerare i programmi e le abilità, l’intelligenza dell’uomo, ribaltando così i rapporti tra macchina e operaio, che ora lavora al suo servizio, in base ai ritmi e alle necessità imposti dalle macchine. Ciò comporta che l’uomo partecipi al processo di produzione, conoscendo a male a pena il significato del proprio lavoro e ignorando del tutto i processi alla base. Un altro fattore riguarda l’utilizzo delle fonti di energia: ad esempio, l’energia termica è trasformata in movimento mediante la macchina a vapore; infine, l’uso sempre più ampio di materie prime tratte dal mondo minerale, disponibili in quantità enormemente superiori a 63
quelle vegetali o animali su cui si fondavano i vecchi metodi di produzione. Tutto questo contribuisce, nel giro di pochi anni, al passaggio dalla lana al cotone, dal cotone alle fibre sintetiche, dalla legna al carbone, dal petrolio all’energia nucleare. Se quanto abbiamo detto finora rendeva possibile la rivoluzione industriale e ne favoriva il decollo, ciò che la impose veramente fu l’aumento della domanda oltre i limiti entro i quali poteva essere soddisfatta nel sistema tradizionale. In linea di massima, infatti, il sistema domestico non solo aveva il vantaggio di essere collaudato da secoli, ma anche quello di richiedere un minimo di investimenti in impianti fissi (edifici e macchine), mentre la quasi totalità dei capitali era impiegata in salari e nell’acquisto di materie prime, cioè in investimenti graduabili in funzione del crescere o del calare della domanda: ciò significa, in altri termini, che l’imprenditore, quando la sua merce fosse meno richiesta, poteva sospendere l’acquisto di materie prime e l’ingaggio di mano d’opera e poteva trasferire rapidamente in altri campi della produzione i capitali disponibili. Da considerare, inoltre, il fatto che il sistema domestico permetteva di utilizzare mano d’opera contadina già impiegata in lavori agricoli: per i contadini il salario rappresentava dunque un semplice arrotondamento, ed essi si accontentavano di retribuzioni contenute, perché spendevano nei laboratori un tempo residuo e marginale che non avrebbero potuto utilizzare altrimenti in modo proficuo. Per industrializzare un Paese c’era, invece, bisogno di un investimento in macchinari fissi che, qualora non fossero più serviti, non permettevano di essere impiegati in nuovi utilizzi, anzi richiedevano le ulteriori spese di smantellamento. È facile intuire, quindi, perché l’industrializzazione era un rischio che nessun imprenditore poteva correre se la domanda non fosse cresciuta, imponendone così l’accelerazione, poiché non più soddisfabile da un sistema domestico.
La rivoluzione industriale e i cambiamenti economici Dopo la peste del 1348, le condizioni di vita dei sopravvissuti migliorarono notevolmente, fino a quando, i vuoti aperti dalla moria furono compensati e colmati, riportando i sopravvissuti allo status quo. Questo esempio dimostra come prima della rivoluzione industriale, l’aumento di reddito pro-capite fosse inversamente proporzionale alla pressione demografica.
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A partire dalla rivoluzione industriale, che coinvolse l’intera umanità, compreso i popoli sottosviluppati, oggetto di sfruttamento, lo sviluppo ha assunto un andamento progressivo e continuo, quale non aveva mai avuto, accompagnato dalla sempre più rapida espansione demografica: la popolazione europea, che nel 1700 era probabilmente di circa 120 milioni, sale nel 1800 a più di 190, nel 1900 a oltre 400, per raggiungere nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, i 570 milioni di abitanti circa. La distribuzione della forza-lavoro viene sconvolta. L’agricoltura, che da tempo immemorabile costituiva l’attività fondamentale e assorbiva la quasi totalità dei lavoratori, cede progressivamente il suo primato. D’altra parte, gli indici di produzione salgono in modo vertiginoso, appunto perché la trasformazione dei metodi di produzione è di natura qualitativa e non semplicemente quantitativa. Il sistema domestico entra irreversibilmente in crisi e, in qualche decennio, si riduce a fatto marginale e sussidiario della produzione industriale; né si tratta di un processo di lenta erosione ma di un autentico collasso: in Inghilterra, per esempio, dal 1834 al 1851 gli addetti ai cotonifici passarono da 23000 a 331000, mentre in altri rami della produzione (metallurgia, carta, cuoio) l’incremento della mano d’opera industriale fu anche più vistoso e più rapido.
Linneo Un grande apporto allo studio dei viventi, strettamente legato alla visione creazionistica della natura, fu la definizione del metodo sistematico o classificatorio compiuta da Linneo, il naturalista svedese che raccolse l’eredità dei grandi studiosi delle forme viventi a lui precedenti, quali Cesalpino, Ray o Tournefort. Dopo essersi interessati a individuare le piante e gli animali considerati nell’antichità classica, gli studiosi moderni di botanica e zoologia si erano man mano cimentati nella descrizione e nella catalogazione dei nuovi esemplari che venivano raccolti e osservati in misura sempre crescente nel nuovo e nel vecchio continente. Abbandonate le ormai inutili elencazioni per ordine alfabetico, alcuni enciclopedisti si erano preoccupati di fornire la descrizione dei caratteri esterni e le rappresentazioni grafiche degli animali, con lo scopo prevalentemente pratico di permettere il loro riconoscimento. Cesalpino, rifacendosi direttamente all’opera aristotelica, aveva cercato invece di porre nell’ambito della botanica le basi di una classificazione naturale basata sull’essenza stessa della pianta, di cui i caratteri 65
esterni dovevano essere soltanto una manifestazione. Le piante venivano così distinte secondo il tipo di nutrizione e di accrescimento, a partire dalla forma delle radici, del seme e dello stelo e secondo il tipo di moltiplicazione, rivelata dalla forma del frutto. L’esigenza pratica, espressa dagli enciclopedisti, e quella più propriamente scientifica di una classificazione naturale, vengono a confluire nell’opera di Linneo. La passione smisurata di Linneo per la classificazione traspare continuamente dalla disposizione di moltissimi suoi scritti in cui la parte discorsiva è ridotta al minimo ed è invece prevalente la disposizione per gruppi e sottogruppi. Il criterio di classificazione botanica stabilito da Linneo è la generazione, un aspetto che interessava la maggior parte degli studiosi di quel tempo di organismi viventi. Piante e animali in effetti non avevano solo in comune il processo della riproduzione ma anche la distinzione in sessi. Verso la fine del ‘6oo era stata infatti sostenuta l’esistenza nei vegetali di organi sessuali e di un processo di fecondazione, e Linneo fu fra i primi a valorizzare questa scoperta stabilendo che proprio in base agli organi della fruttificazione (fiori e frutti) si doveva stabilire la classificazione. Egli partiva infatti dal presupposto che in tali organi si esprime l’essenza stessa dell’organismo e in questo senso egli faceva propria l’idea di Cesalpino, secondo cui il fiore è nei tessuti stessi della pianta; ad esempio il pistillo, l’organo sessuale femminile, è anticipato nel midollo dello stelo in cui risiede l’essenza femminile della pianta che, per gli ovisti, era quella dell’organismo. Gli organi della fruttificazione vengono pertanto distinti in 6 categorie fondamentali, calice e corolla, stami e pistilli, pericarpo e seme, ciascuno dei quali può essere ulteriormente suddiviso in 4 o 5 componenti. Ne derivano parti che costituiscono i segni fondamentali coi quali è scritto tutto il grande libro delle piante (Litterae vegetabilium). Gli attributi numerus,
figura, situs, proportio di ciascuno di questi segni del linguaggio vegetale ci permettono di definire con uniformità e precisione le caratteristiche di ogni genere. Gli stessi attributi, qualora riguardino soltanto gli stami, ci permettono di definire le classi, se concernono i pistilli costituiscono il criterio per fissare gli ordini appartenenti a ciascuna classe. Tuttavia, la classe e l’ordine sono almeno in parte delle categorie artificiali che possono anche raggruppare piante che, per organi diversi da quelli sessuali, non presentano una stretta affinità. Ne deriva che solo il genere può considerarsi veramente opus naturae. Questo sistema di classificazione, per quanto sia riconosciuto da Linneo stesso come artificiale, rappresenta una realizzazione del suo ideale di scientificità, che mira a ricostruire in una visione d’insieme l’ordine statico e gerarchico delle forme naturali, ma che è legato anche all’esigenza pratica di una diagnosi, cioè catalogazione e riconoscimento di esse. Linneo ritiene tuttavia che non ci si debba limitare a un metodo artificiale, ma che scopo fondamentale della scienza della natura sia la definizione di un sistema naturale, in cui con 66
ogni aggruppamento si stabilisca un’affinità e una somiglianza reali fra le varie piante, tenendo presente tutti i loro organi. Un’importante semplificazione del vocabolario botanico è introdotta da Linneo che adotta una nomenclatura binaria, costituita dai nomi latini del genere e della specie, quest’ultima considerata entità naturale. Per questo è importante che il nome indichi il suo carattere essenziale e implichi quindi una definizione. Tuttavia questa esigenza si dimostra impraticabile e Lineeo ricorre, infine, a nomi convenzionali o che indicano qualche aspetto risultante all’osservazione empirica. La fissità della specie, per la quale il suo nome è spesso ricordato, comporta la stabilità di ogni forma vivente originariamente prodotta da dio al momento della creazione. Questo principio costituì un progresso fondamentale nello studio delle forme viventi che, secondo diversi autori del passato, avrebbero potuto generare, senza una precisa regola, anche individui molto dissimili da sé. Proprio l’assunzione di questo principio gli permise di rilevare che si producevano delle eccezioni a esso, che cioè potevano sorgere varietà o specie nuove. Per Linneo, la natura è la realizzazione di un piano sapiente della divinità che stabilisce un’armonia e un equilibrio fra tutte le forme viventi. Certamente poco dello spirito di Linneo poteva considerarsi consono allo spirito dell’illuminismo, alla visione dinamica e storica che esso introduceva nello studio dei fenomeni naturali, eppure il suo metodo ebbe un grande successo e rappresentò per molti studiosi, durante parecchi decenni, l’ideale stesso della conoscenza scientifica delle forme viventi. 67
Focalizzare l’apprendimento
Alla luce di quanto hai studiato, puoi definire laico il pensiero di Vico? Motiva le
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tue ragioni. ·
Quali sono gli autori che hanno influenzato Giambattista Vico e perché?
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Rintraccia gli elementi che permisero l’industrializzazione.
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Qual è il rapporto tra illuminismo e prima rivoluzione industriale?
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Qual è la concezione della Natura in Linneo?
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Approfondimento: LA GENERAZIONE SPONTANEA DA FRANCESCO REDI A LAZZARO SPALLANZANI
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Approfondimento: La generazione spontanea da Francesco Redi a Lazzaro Spallanzani
Introduction From Aristotle until the nineteenth century scientists believed in the spontaneous generation of some living organisms. For example, larvae of flies are born from raw meat. In 1600 Francesco Redi declared that spontaneous generation does not exist. In the mid-nineteenth century, Luis Pasteur finally destroyed this theory. Redi's experiment33
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Rielaborazione dall’url: http://online.scuola.zanichelli.it/barbonescienzeintegrate/files/2010/03/V09_01.pdf
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Francesco Redi34
Redi was a physician of the Grand Duke of Tuscany. He put a piece of decomposing meat in a closed glass jar. He put a second piece of meat in an open glass jar. After a few days only in the second piece of meat there were larvae. In three weeks the larvae turned into flies. So Redi demonstrated that the larvae had been deposited by the flies themselves. Then he took the open vase and covered it with the net. After a few days the larvae appeared on the net: here the flies had laid the eggs.
Immagine reperibile all’url https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/af/Francesco_Redi%2C_founder_of_experimental_biol ogy.jpg 34
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The Pasteur experiment35
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Louis Pasteur
The discovery of microorganisms led to the same mistake: microorganisms spontaneously germinate. French scientist Luis Pasteur (1822-1895) said no and made an experiment. He put the broth in a glass ball with the folded spout. The dust did not enter, it stopped in the beak. Then boiled the broth. Microorganisms did not arise. The demonstration was done! The Pasteur experiment confirmed that life arises only from life and only living matter generates new living matter.
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Rielaborazione dall’url: http://online.scuola.zanichelli.it/barbonescienzeintegrate/files/2010/03/V09_01.pdf Immagine tratta dall’url http://www.mangiatoridicervello.com/wp-content/uploads/2016/06/Pasteur.jpg
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Who was Lazarus Spallanzani
Lazzaro Spallanzani Spallanzani Lazzaro was a Biologist (Scandiano, Reggio Emilia, 1729 - Pavia 1799). 37
He was a priest; He was a physics and math teacher at the University of Reggio Emilia. Then he worked at the University of Modena; he was a teacher in the classes of physics and philosophy. In 1769 Spallanzani was at the University of Pavia to teach natural sciences. He enjoyed, living, with tremendous prestige, had great international awards, he was a member of many academies and scientific societies, and a correspondent and friend of many scientists of his time.
Confutazione della generazione spontanea Riguardo alla generazione spontanea, Spallanzani scrisse nel 1765 un Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de’ signori di Needham e
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Immagine reperita all’url https://media1.britannica.com/eb-media/47/38947-004-AC7E717C.jpg
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Buffon, dimostrandone la totale erroneità. “Egli provò che gli infusori, gli «animaletti delle infusioni», si originano sempre da germi preesistenti e che, se si sottopone a forte riscaldamento una soluzione che li contiene, questa diventa sterile, ossia non dà luogo a crescita di microrganismi.”
Gli studi embriogenetici “Spallanzani effettuò osservazioni sulla capacità di rigenerazione di organi e membra amputati in diversi animali, fu tra i protagonisti del dibattito su epigenesi e preformismo schierandosi tra i sostenitori della teoria della preformazione, in particolare con i sostenitori del sistema ‘ovista’ per cui nell’uovo è già contenuto il germe preformato. Studiò il problema della fecondazione, dimostrando che essa non può aver luogo senza che lo sperma entri in contatto con le uova, negando da una parte il potere dell’aura seminalis, che in linea di principio ammetteva che la fecondazione avvenisse per via aerea, ma d’altro canto non comprendendo l’importanza degli spermatozoi nell’ambito della fecondazione, che egli considerò alla stregua degli infusori, per cui Spallanzani riteneva il liquido seminale l’elemento indispensabile alla fecondazione.”38
Dagli antichi Greci in poi Già gli antichi Greci erano convinti che gli organismi viventi potessero essere spontaneamente generati dalla materia non vivente e che Gea, la dea della terra, potesse generare la vita spontaneamente dalle pietre. Pur non essendo convinto della germinazione spontanea, il filosofo Aristotele credeva comunque che gli organismi viventi fossero originati anche da organismi diversi o dal suolo. L’idea della generazione spontanea rimase viva in varie forme fino alla fine del XVII secolo, e soltanto alla fine del Seicento alcuni scienziati cominciarono a rendersi conto di come questa teoria fosse davvero infondata, ma incontrarono opposizioni e pregiudizi molto forti, tanto è vero che anche in seguito alla possibilità di dimostrare che la vita 38
Da Treccani, già citato
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era generata solo da altra vita (biogenesi), molti studiosi misero in dubbio la veridicità degli esperimenti realizzati in particolare da Redi e Spallanzani. Il particolare che faceva dubitare era legato al fatto che gli elementi presi in esame venivano bolliti, impendendo quindi all’aria stessa di produrre gli elementi vitali o “infusori”, che servivano a germinare appunto la vita. Molte, inoltre, anche le imprecisioni dovute all’impossibilità di studiare nei particolari i fenomeni legati alle fasi iniziali della vita. Bastò ad esempio, un lente d’ingrandimento a fare un piccolo significativo passo avanti nella storia della “generazione” più o meno spontanea della vita.
Van Leeuwenoeck, Needham e Lamarck
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Van Leeuwenoeck, Needham, Lamarck Otti anni dopo gli esperimenti di Redi, Antony van Leeuwenoeck (1632-1723), un commerciante olandese appassionato naturalista, scoprì i microorganismi grazie ad una semplice lente d’ingrandimento. Apparve così ai suoi occhi un universo che fino ad allora era rimasto pressoché, popolato di "animaletti" in grande quantità e che sembravano un po’ ovunque. Erano inoltre in grado di moltiplicarsi ad un ritmo veramente elevato.
Nessuno sapeva da dove provenissero, né come si
riproducevano. La scoperta fu trasmessa alla Royal Society di Londra con una lettera del 1676. Dopo le scoperte di Redi, ecco che si presentava di nuovo, e più 39
Immagini reperibili rispettivamente: http://www.history-of-the-microscope.org/images/Anton-van-Leeuwenhoek.jpg , http://i45.tinypic.com/2vkb0p1.jpg e https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a5/Jean-Baptiste_de_Lamarck.jpg
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insidiosa, la questione della generazione spontanea. Leeuwenoeck faceva riferimento ad una nuova dimensione del mondo vivente che sembrava essere il collegamento diretto fra gli organismi visibili e la natura inanimata. L’esperienza di Redi sembrò perdere di significato di fronte ad una miriade di organismi microscopici che vennero infusori. Riguardo alla provenienza degli infusori si realizzò una delle più note dispute scientifiche del ’700, fra il prete cattolico inglese John Needham e il prete cattolico italiano Lazzaro Spallanzani. Gli esperimenti di John Needham “consistevano nel far brevemente bollire una miscela brodosa e raffreddarla poi in un contenitore aperto a temperatura ambiente. In seguito le bottiglie venivano sigillate, e microbi crescevano pochi giorni dopo. Questi esperimenti sembravano dimostrare che esisteva una forza vitale che induceva una generazione spontanea. Oggi si sa che il tempo di sterilizzazione era insufficiente a uccidere tutte le endospore di microbi e far raffreddare le bottiglie aperte all'aria può causare una contaminazione di microbi. Si potrebbe anche osservare che Needham non usava un corretto trattamento antisepsi. I suoi esperimenti furono contestati e ripetuti da Lazzaro Spallanzani: usando un protocollo leggermente differente (con un tempo di bollitura più lungo), Spallanzani non ebbe alcun microbo cresciuto in fiaschi sigillati, contraddicendo quindi le scoperte di Needham.”40 A quell’epoca le teorie biologiche più avanzate davano per scontato la verità della generazione spontanea. “Lamarck (1744-1829) ad esempio, nel 1802 sosteneva che, affinché "i corpi viventi siano effettivamente prodotti di natura, la natura deve aver avuto, e deve ancora possedere, la capacità di produrre alcuni di essi in modo diretto". .... E nel 1809 scriverà: "La natura ha cominciato, e ricomincia ancora tutti i giorni, col formare i corpi organici più semplici: essa forma direttamente solo questi,
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Tratto da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/John_Turberville_Needham
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e cioè i primi abbozzi di organizzazione, che designiamo con l’espressione di generazioni spontanee"41. ....
Towards the solution of the problem Pasteur had no easy life: spontaneous generation seemed to be proven by contemporary naturalist Felix-Archiméde Pouchet (1800-1872). The Académie des Sciences wanted to solve the problem. Thus he established a prize in 1860 for the most effective demonstration in favor or contrary to spontaneous germination. Pouchet presented numerous rigorous scientific demonstrations on the study of air and dust. But Pauster won the prize with the experiment of the glass ball with the curved beak. In the end, however, the real demonstration came with the assertion of cellular theory in the form based on the principle "Omnis cell and cell" and for the extension of this theory to the whole biosphere, including bacteria. The debate on the origin of life was open, the extreme consequence of the theory of evolution. Darwin in 1837 he was convinced that the spontaneous beginning of life from organic matter should have been a unique and unrepeatable event in the history of life on earth.
Sitografia Articolo di Scienze integrate, Unità 19, L’origine e l’evoluzione della vita sulla Terra, La generazione spontanea non può esistere, 2010 Franco Lucisano Editore all’url 41
Articolo di Maurizio Artoni, REDI, PASTEUR E LA GENERAZIONE SPONTANEA all’url http://educa.univpm.it/storia/95116rpg.html
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http://online.scuola.zanichelli.it/barbonescienzeintegrate/files/2010/03/V09_01.p d Wikipedia, la libera enciclopedia, Generazione spontanea, all’url: https://it.wikipedia.org/wiki/Generazione_spontanea f La teoria della generazione spontanea, di Felice Placenti, 2012, all’url: http://www.stelledegliiblei.it/generazione_spontanea.html Articolo di Maurizio Artoni, REDI, PASTEUR E LA GENERAZIONE SPONTANEA all’url http://educa.univpm.it/storia/95116rpg.html Articolo “Esperimenti sulla generazione spontanea dei microrganismi”, di Silvia Vallerani, all’url: http://www.skuola.net/scienze-medie/esperimenti-generazione-spontanea-micror ganismi.html Da Treccani, enciclopedia per ragazzi, voce Spallanzani, Lazzaro, di Alessandra Magistrelli, 2006, reperibile all’url: http://www.treccani.it/enciclopedia/lazzaro-spallanzani_%28Enciclopedia-dei-rag azzi%29/ e anche http://www.treccani.it/enciclopedia/lazzaro-spallanzani_%28Dizionario-di-Medici na%29/
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Modulo 4 Il positivismo e l’evoluzionismo fino a Darwin
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4° Modulo: Il positivismo e l’evoluzionismo fino a Darwin
La fiducia nella scienza Il positivismo, identificabile con lo spirito, gli interessi, le tendenze e i moti del pensiero della seconda metà del XIX secolo, si basa sull’esaltazione della scienza, quale unico sapere in grado di comprendere i fatti, misurarli e controllarli. Pertanto le spiegazioni non scientifiche, come quelle derivate dalla metafisica, sono ritenute non valide. La realtà, infatti, sottostà a specifiche leggi che possono essere indagate con gli strumenti delle varie discipline scientifiche e non attraverso una speculazione trascendentale. Tipica del positivismo è questa visione laica della realtà, per cui il metodo scientifico, che ha come obiettivo l’individuazione delle leggi e come oggetto la descrizione dei fati, deve essere esteso a tutti gli ambiti della conoscenza. Si diffonde, in questo periodo, la fiducia nel progresso del sapere scientifico, che può riformare la società e migliorare in generale la vita dell’umanità. Nel 1830 Auguste Comte pubblica Corso di Filosofia Positiva nel quale afferma che la storia umana ha attraversato lo stadio «teologico» e quello «metafisico», per poi arrivare a un momento di sviluppo «positivo», al quale appartengono le scienze esatte come la matematica, la fisica, la chimica e la biologia. Il metodo della ricerca sperimentale, tipico della scienza, è applicabile a qualsiasi aspetto della conoscenza.
Gli antecedenti La nuova concezione filosofica della natura e dell’uomo, che iniziò a diffondersi nel XIX secolo, fu anche il frutto della teoria dell’evoluzione di Darwin. La portata rivoluzionaria delle tesi darwiniane non fu tuttavia un fenomeno improvviso, dal momento che l’idea di evoluzione degli organismi non era certamente nuova. Ad esempio Herbert Spencer, nel
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1853, aveva pubblicato L’ipotesi dello sviluppo, nel quale veniva avanzata una solida concezione evoluzionista, ripresa e ampliata poi nel 1855 in I principi di psicologia, in cui la concezione evoluzionista veniva presentata come un processo continuo e necessario, operante sia nella natura sia nella società. Per altro, da circa un secolo, molti autori avevano sostenuto e discusso l’evoluzionismo. Nella seconda metà del Settecento, ad esempio, specialmente in Francia, all’iniziale concezione della scala naturale, che vedeva in ogni forma vivente una realtà fissa e statica, si era venuta contrapponendo una visione storica e dinamica della natura. Buffon nell’opera Histoire naturelle, générale et particulière, (36 volumi apparsi dal 1749 al 1789) aveva sviluppato una sorta di cronologia della natura in disaccordo con la cosmogonia biblica che fissava in seimila anni il periodo di tempo trascorso dall’inizio del mondo, eppure aveva comunque ammesso che le specie viventi si fossero probabilmente sviluppate da un tipo comune attraverso lente variazioni successive. Il primo ad accertare in forma scientifica il trasformismo biologico fu, però, Lamarck che nel 1809 attraverso l’opera Philosophie zoologique, enunciò quattro leggi che regolerebbero la formazione degli organi animali. La prima afferma che la vita tende ad accrescere i corpi e a estenderne le parti. La seconda considera che la produzione di un nuovo organo in un corpo è fatta sorgere da un bisogno e dal movimento che questo bisogno suscita. Egli, inoltre, sostiene che, e forse questa è la sua legge più conosciuta, lo sviluppo degli organi è promosso dall’uso degli organi stessi e infine che tutto ciò che viene acquisito è anche oggetto di passaggio alle generazioni successive. Le enunciazioni di Lamarck sono la prima formulazione scientifica sui modi attraverso i quali si verificherebbe l’evoluzione e la trasformazione degli organi. A contrastare le teorie di Lamarck, l’opera di Gorges Cuvier che ebbe appoggio indiscusso per alcuni decenni. Fautore della teoria del catastrofismo, Cuvier fu uno dei più accesi e irremovibili avversari delle teorie evolutive. Dalla scoperta che molte specie vissute sulla terra si erano estinte, egli aveva formulato la teoria per cui dopo ogni catastrofe veniva lasciato un vuoto dalle specie non più esistenti che dunque era colmato dal nascere di nuove. Ad opporsi al catastrofismo fu Charles Lyell (1797-1875) geologo britannico che ha influenzato maggiormente il pensiero di Darwin. Da Leyll, egli prese la teoria per cui i cambiamenti terrestri richiedono un arco temporale molto vasto, il che affermava quanto la Terra fosse antica, un presupposto necessario ad avallare l’evoluzionismo.
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Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione Il concetto di trasformazione dei viventi era legato all’idea che nella materia vi fosse una capacità creativa, continua e autonoma, già individuata da alcuni autori, in passato, negli organismi più semplici. Tuttavia questa concezione veniva in qualche modo mediata con il creazionismo tradizionale. Robinet e Bonnet, ad esempio, pur riconoscendo la comparsa di nuove forme di organismi nelle epoche passate, ritenevano che queste non fossero il risultato dell’evoluzione degli organismi, bensì il frutto di semi creati all’inizio del mondo, sviluppati poi soltanto al momento opportuno. All’inizio dell’Ottocento, senza alcuna preoccupazione di salvare il creazionismo, Lamarck teorizzò l’evoluzione, partendo dal presupposto, lo stesso di molti illuministi, che la realtà fosse regolata da leggi proprie e che il piano divino si realizzasse solo tenendo fede a un ordine autonomo da seguire. Tale piano comporta per Lamarck un progressivo perfezionamento degli organismi destinato a culminare nell’uomo. Le circostanze concrete e differenti in cui vengono però a trovarsi gli organismi genera la necessità di adattarsi e di modificare funzioni e forme che si allontanano in parte da quel disegno. Nel complesso, le varie teorie dell’evoluzione che vengono formulate tra il Settecento e i primi anni dell’Ottocento, pur mostrando una certa fragilità di tesi nell’individuare le cause dell’evoluzione, non priva gli autori del valore innovativo apportato allo sviluppo dell’evoluzionismo. Nel 1844, Darwin, ormai noto al mondo scientifico per alcune sue opere di notevole valore, stendeva, in poco più di duecento pagine, le linee generali di una teoria dell’evoluzione delle specie, destinata a influenzare profondamente tutta la cultura occidentale. Nel periodo formativo di Darwin, la cultura accademica inglese si basava sul legame tra la ricerca empirico-scientifica e la tematica biblica, con la convinzione che l’ordine morale della società e dell’uomo dovesse nascere da una conoscenza teologica della natura. Basti pensare che nelle università era praticamente obbligatoria la lettura di Natural theology: or, evidences of the existence and attributes of the Deity collected from the appearances of nature (Teologia naturale; o prove dell’esistenza e degli attributi della divinità raccolte dalle manifestazioni della natura) di William Paley (1743-1805) la cui prima edizione risale al 1802 e in cui si affermava che il
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disegno della provvidenza fosse riflesso nelle finalità della natura, in particolare degli organismi. Anche Darwin studiò l’opera di Paley, ma in particolare si concentrò sulla ricchezza di riflessioni naturalistiche contenute. È comprensibile quindi la forte impressione che fece su di lui la lettura dell’opera di Alexander von Humboldt, che oltre a essere uno degli ultimi grandi esploratori, per molti rappresentava il «simbolo della scienza». Humboldt aveva notato il ripresentarsi di fenomeni geologici a grandi distanze. In questo periodo, Darwin era mosso da una profonda curiosità verso lo studio della natura, ma non aveva ancora intrapreso la strada dell’indagine accurata. La prospettiva cambiò nell’estate del 1831 quando il giovane Charles ricevette una proposta inaspettata: l’imbarco come naturalista sulla nave Beagle, impegnata nel percorrere il giro del mondo per rilevare dati di interesse nautico, specialmente lungo le coste dell’America latina. Fra i libri che Darwin portò con sé, vi era il primo volume dei Principi di geologia di Lyell. Il secondo volume gli giunse per posta a Montevideo nel 1832. Nel corso dell’esplorazione in Sudamerica, egli notò che, procedendo verso il sud, animali strettamente affini andavano via via sostituendosi, e che i piccoli armadilli somigliavano molto ai resti fossili di grandi animali provvisti di una corazza cutanea. Darwin rilevò inoltre che strutture identiche potevano svolgere funzioni diverse a seconda dell’ambiente, quindi della necessità, ad esempio l’ala poteva fungere da vela negli struzzi e da pinna nei pinguini; osservò anche la somiglianza tra gli organismi delle isole oceaniche e quelli dei continenti a essi più prossimi. Ma a colpire Darwin fu soprattutto la scoperta che in alcune isole Galapagos, accumunate da condizioni ambientali, fisiche e geologiche quasi identiche, la flora e la fauna variava notevolmente. Terminato il viaggio, il giovane naturalista iniziò a ipotizzare una comune discendenza tra le specie e una vera e propria lotta per l’esistenza. Già i pensatori del Settecento avevano capito che vi era una guerra nella natura, ma questa era interpretata come strumento provvidenziale che conservava l’armonia o equilibrio fra le varie specie. La grande intuizione di Darwin riguardò soprattutto la dinamica della lotta, che non aveva una funzione solo distruttiva, ma anche creativa, nel momento in cui le variazioni negli organismi si rivelavano un vantaggio in differenti condizioni locali.
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L’importanza della lotta per l’esistenza, quale fenomeno universale nell’ambito della natura vivente, gli fu confermata dalla lettura verso la fine del 1838 da Malthus in Saggio sulla popolazione. In Malthus ogni speranza di miglioramento della società è destinata a fallire per una inesorabile tendenza naturale: la popolazione cresce in progressione geometrica, mentre il nutrimento aumenta in progressione aritmetica; di qui, carestie, epidemie e guerre possono controllare nelle società umane l’aumento della popolazione, per cui, la morte ha almeno il beneficio di limitare la sovrappopolazione. L’interesse per le variazioni era stato sempre molto marginale tra i naturalisti e i pensatori di quel tempo, mentre appassionava gli allevatori che, proprio con un’attenta selezione dei nuovi caratteri, erano riusciti a creare pregiate razze di animali domestici, incrociando tra loro ripetutamente solo i discendenti di genitori con i caratteri desiderati. Da queste osservazioni, Darwin notò la relazione tra le nuove razze domestiche ottenute dagli allevatori, attraverso la selezione artificiale, e le nuove specie nate per selezione naturale, durante la lotta per l’esistenza. Si convinse così, che studiando le attività degli allevatori, sarebbe risalito al segreto dell’origine delle specie. Darwin decise di lavorare su queste tesi senza confrontarsi con nessuno, in attesa che la sua tesi avesse una struttura solida, così si limitò a pubblicare la narrazione del proprio viaggio A naturalist’s voyage round the world (Viaggio di un naturalista attorno al mondo, 1860) e l’opera Geological observations on South America (Osservazioni
geologiche sul Sudamerica) la cui pubblicazione terminò nel 1846 e gli procurò la stima generale nel mondo scientifico, anche per la geniale teoria sulla formazione degli atolli.
L’Origine della specie Per molti anni, circa otto, Darwin si impegnò nella classificazione e nella valutazione delle variazioni di un ordine di crostacei, i cerripedi. Lyelle il botanico Joseph Hooker (1817- 1911), i pochi a custodire le confidenze di Darwin, iniziarono a esortare il giovane Charles a pubblicare un’opera sull’origine delle specie. Darwin era convinto che la stesura richiedesse molto tempo, poiché la sua idea era di diffondere un volume monumentale, ricco di descrizioni e di dimostrazioni. Ma, mentre scriveva, nel 1858 Edgar Russel Wallace, studioso di botanica nell’arcipelago malese, gli inviò uno scritto sull’origine della specie per selezione naturale, esponendo le teorie a cui Darwin stava lavorando da circa un ventennio. Dopo un momento di imbarazzo, i due si 85
ritennero soddisfatti di questo riscontro e decisero di procedere con una pubblicazione, negli atti della Società linneana, dello scritto di Wallace insieme a un breve riassunto delle idee di Darwin. Rispetto al progetto iniziale, Darwin capì di dover ridurre la struttura e, in parte, sacrificare l’immensa bibliografia consultata, che si ripropose di pubblicare in seguito. L’estratto fu pronto in poco più di un anno e nel novembre 1859 si affermò come uno dei testi più importanti del secolo dal titolo On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life (Sull’origine delle specie per selezione naturale ovvero la conservazione delle razze favorite nella lotta per l’esistenza).
Senza speculazione alcuna, i problemi dell’anatomia comparata, della fisiologia e della teoria cellulare sono spostati in secondo piano. Ad animare l’opera è un’ottica diversa, di classificazioni, di rapporti ecologici con l’ambiente, di geologia e coordinate geografiche. Darwin guida il lettore tra le pagine di un’opera rivoluzionaria, procedendo per gradi, con cautela, partendo da un capitolo rassicurante come «La variazione allo stato domestico». Con fare misurato, l’autore indica l’importanza dei risultati ottenuti, e si chiede perché non dedicare spazio anche a «La variazione allo stato di natura», un tema che occupa il secondo capitolo. Egli nota che nei generi più diffusi si hanno più specie e che queste hanno più varietà rispetto alle specie dei generi meno diffusi. Si può supporre che le specie attuali siano state originariamente delle variazioni, che con il verificarsi di determinate condizioni, si sono imposte. In quest’ottica, quelle che oggi sono varietà, un domani saranno le specie future. Tale spiegazione ci conduce nei due successivi capitoli dedicati alla «Lotta per l’esistenza» e alla «Selezione naturale» che sono il nucleo del pensiero darwiniano. I viventi incontrano vari ostacoli che servono a contenere una loro eventuale crescita esponenziale. Queste difficoltà tessono una tela che stabilisce relazioni nella natura, come ad esempio, i rapporti tra prede e predatori. La selezione naturale sottopone a verifica, giorno per giorno e ora per ora, le variazioni del mondo, anche quelle più lievi, eliminando ciò che non serve e conservando tutto ciò che è buono. Secondo Darwin, questi lenti cambiamenti non sono avvertiti in corso d’opera, anzi, a noi ci è offerta solo la possibilità di vederli quando sono già realizzati. La selezione naturale è il risultato necessario delle infinite interazioni fra gli organismi. Non è detto che la selezione agisca come progresso, anzi a volte può portare alla perdita di elementi, all’eliminazione di organi ormai superflui, semplificando le strutture del vivente e adattandole al contesto. 86
Darwin dimostra grande rispetto verso chi potrà contrapporsi alle sue tesi e così dedica ben due capitoli alle criticità della sua opera, anticipandole e a volte risolvendole, tanto da guadagnarsi la fiducia anche dei più scettici. L’Origine delle specie segna inevitabilmente una tappa fondamentale nella storia della scienza. Da quel momento in poi, infatti, non solo è introdotta una dimensione storica negli studi scientifici, ma anche una revisione della cultura occidentale e del piano divino.
L’origine dell’uomo e la selezione sessuale Anche se dopo il 1859, Darwin si focalizzò prevalentemente sulla botanica, l’opera che coronò la teoria dell’evoluzione fu The descent of man, and selection in relation to sex (L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, 1871). Con l’affermarsi delle idee evoluzionistiche, l’affinità tra uomo e animali fu al centro di un grande dibattito, ma la trattazione del tema, soprattutto in chiave teologica, spinse Darwin a impegnarsi accuratamente nella stesura di un’opera che rispondesse in modo puntuale alle teorie manchevoli di presupposti scientifici e spesso tendenti al misticismo. Sulla somiglianza anatomica ed embriologica dell’uomo con gli animali superiori si era già detto molto, al punto che l’unica plausibile spiegazione risultava quella di una comune discendenza. Darwin perciò non si sofferma a lungo su questo tema rimandando il lettore alle opere di Thomas Henry Huxley. Ben più complessa era invece la questione che riguardava le facoltà morali e intellettuali dell’uomo, che tra l’altro, segnavano la differenza fondamentale tra uomo e animale. E invece, anche qui, Darwin rintraccia una spiegazione scientifica, individuando l’origine di queste facoltà umane nell’istinto di socievolezza e di solidarietà che manifestano gli animali, aspetti che determinano la forza di un gruppo. Per gli uomini si verifica così che più un gruppo è solidale e moralmente progredito e più riesce ad affermarsi. Tuttavia la moralità può costituire un pericolo se si traduce in solidarietà verso i più deboli, limitando così il progresso evolutivo. È questo il passaggio più fragile della sua trattazione, in quanto va a legare moralità e base biologica, senza accorgersi di cadere in contraddizione. Complessivamente, la reazione da parte del pubblico fu abbastanza tiepida e lo stesso Darwin ammise di avere una competenza minore rispetto all’opera precedente.
Considerazioni conclusive
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Il successo di Darwin non fu senza contrasti. Le critiche maggiori arrivavano da chi sosteneva che, per quanto la teoria fosse valida, le spiegazioni fornite da Darwin fossero piuttosto insufficienti. Soprattutto con la riscoperta delle leggi di Mendel, per le quali la trasmissione dei caratteri ereditari era di natura stabile, il concetto di variabilità espresso da Darwin sembrava piuttosto debole. Tuttavia i progressi nel campo della genetica, che inizialmente avevano identificato le mutazioni come eventi sporadici, spesso patologici e quindi per nulla favorevoli a un processo evolutivo, stavano per dissipare la diffidenza. Dagli studi matematici di Ronald Fisher risultava che la teoria di Darwin non solo non era in contrasto con la genetica ma ne costituiva parte integrante. Infatti, Ronald Fisher sosteneva che il contributo principale di Darwin, non solo alla biologia ma a tutta la scienza naturale, era l’aver messo in luce come dei casi fortuiti, improbabili a priori, acquisiscono col passare del tempo una probabilità crescente di verificarsi, sino al punto che diventa altamente improbabile che non si verifichino. Questo riconoscimento ha spinto molti studiosi a compiere una rilettura storica delle opere didattiche, inaugurando un dibattito, tutt’ora aperto, sulle modalità che hanno permesso a Darwin di conseguire un risultato così importante.
Focalizzare l’apprendimento
·
Prova
a stabilire un collegamento tra Illuminismo e Positivismo. Quali
somiglianze e quali differenze intravedi? ·
Il pensiero di Auguste Comte influì su Darwin? Motiva la tua risposta.
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·
In che modo le idee di Malthus hanno influenzato le teorie di Darwin?
·
Che rapporto intercorre tra le teorie dell’evoluzione e la genetica di quel periodo?
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La microbiologia di Louis Pasteur
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Louis Pasteur nel suo laboratorio, dipinto di Albert Edelfelt (1885), particolare
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Immagine tratta dal sito http://biografieonline.it/img/bio/Louis_Pasteur.jpg
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Approfondimento: La microbiologia di
Louis Pasteur Introduction Louis Pasteur (1822 –1895) was a French biologist, microbiologist and chemist renowned for his discoveries of the principles of vaccination, microbial fermentation and pasteurization. He is remembered for his remarkable breakthroughs in the causes and prevention of diseases, and his discoveries have saved many lives ever since. He reduced mortality from puerperal fever, and created the first vaccines for rabies and anthrax. His medical discoveries provided direct support for the germ theory of disease and its application in clinical medicine. He is best known to the general public for his invention of the technique of treating milk and wine to stop bacterial contamination, a process now called pasteurization. He is regarded as one of the three main founders of bacteriology, together with Ferdinand Cohn and Robert Koch, and is popularly known as the "father of microbiology".43
Biografia di Pasteur È il fondatore della moderna microbiologia e uno dei più grandi benefattori dell'umanità: questa è la definizione che di solito si attribuisce a Louis Pasteur. Le sue più grandi scoperte riguardano le cause e i sistemi di prevenzione di svariate patologie, quali la setticemia, il colera, la difterite, il colera dei polli, la tubercolosi, il carbonchio, i germi di una gravissima malattia del baco da seta, il vaiolo, la rabbia. Tutto ciò in un’epoca in cui ancora si credeva ancora profondamente alla germinazione spontanea, cioè alla possibilità che la vita generasse dalla materia inanimata.
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https://en.wikipedia.org/wiki/Louis_Pasteur , primo paragrafo
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Pasteur nacque nel 1822 in Francia, a Dòle. Suo padre, Jean Pasteur, era un conciatore e un veterano delle guerre napoleoniche. Louis crebbe ad Arbois, dove iniziò gli studi che proseguì a Besançon dove si diplomò nel 1840 in lettere e in scienze. Divenne accademico dei filomati (associazione culturale) a Parigi. Il preside della sua università gli suggerì di fare domanda all'École Normale Supérieure, ma Pasteur fu ammesso solo al quattordicesimo posto; poiché il risultato non lo soddisfò decise di fare un altro anno di preparazione: l'anno successivo si classificò terzo. Nel 1847 Pasteur sostenne le due tesi in chimica e in fisica sul dimorfismo, ossia la capacità di alcune sostanze, come lo zolfo, di cristallizzare in due sistemi differenti. Fu professore di fisica al liceo di Digione nel 1848, ma già l'anno successivo divenne professore di chimica all'Università di Strasburgo, dove incontrò Marie Laurent, figlia del rettore dell'università. La sposò e insieme ebbero cinque figli, solo due dei quali giunsero all'età adulta. 44 Pasteur amava la chimica ed era affascinato dal misterioso mondo dei microbi, per cui trascorreva molte ore della giornata sul microscopio. Nel 1854, nominato professore di chimica alla facoltà di scienze di Lilla, Pasteur iniziò a occuparsi di fermentazione, stimolato dalle richieste dei produttori di bevande alcoliche della regione. Fino ad allora gli scienziati ritenevano che la fermentazione alcolica fosse un fenomeno esclusivamente chimico; ma Pasteur riuscì a dimostrare che i microrganismi e in particolare quelli del lievito, avevano un ruolo essenziale, in questo processo. Si riuscì quindi ad elaborare sistemi efficaci per eliminare i microrganismi patogeni, che portavano a gravi danni nell’economia vinicola e birraria. In pratica Pasteur inventò quella che oggi chiamiamo “pastorizzazione”, utilizzata anche per il latte: portando i liquidi a 60-70 °C in breve tempo, prima dell’ebolizione, si crea un ambiente sterile che permette la conservazione dei liquidi per tempi molto più lunghi di quelli previsti in generale a quell’epoca.
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https://it.wikipedia.org/wiki/Louis_Pasteur, paragrafo sulla Vita, rielaborazione
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Malattie come la cancrena, il tetano, il carbonio (o antrace) erano molto frequenti ed erano la causa di numerosissimi decessi: con Pasteur disinfettare una ferita divenne un’abitudine che permise di sconfiggere i germi con una certa facilità. Riguardo la rabbia, Pasteur scoprì che il relativo virus si trasmetteva all’uomo tramite il morso o il graffio di un animale infetto, di solito un cane, e che il virus produceva una serie di sintomi che terminavano con la morte nel momento in cui la malattia raggiungeva il cervello. Nel 1885, egli inventò un vaccino che salvò centinaia di persone. Le sue ricerche dimostravano chiaramente che la germinazione spontanea non poteva esistere, e che le malattie sono causate da microrganismi visibili al microscopio. Entrò quindi in contrasto col noto biologo francese Félix Pouchet, il quale riteneva che Paster ingannassse di fatto gli esperimenti, perché bastava far bollire di meno il brodo preparato, perché si ripresentassero centinaia e centinaia di microrganismi praticamente dal nulla. Ma l'Académie des Sciences nel 1864 istituì un premio che fu vinto da Pasteur : egli riuscì a dimostrare come fosse possibile che attraverso la polvere, il brodo da esperimento si contaminasse e come la bollitura fosse il rimedio per sterilizzarlo. Anche la chirurgia non sarebbe riuscita a fare passi avanti se il medico britannico Joseph Lister non fosse stato influenzato dagli studi di Pasteur, introducendo così, tecniche asettiche nella pratica operatoria. Nel 1888 Pasteur fu chiamato a dirigere l’istituto che portava il suo stesso nome e lì lavorò fino alla morte; ancora oggi l’Istituto Pasteur è uno dei centri più noti al mondo per la ricerca in biologia e per la genetica molecolare, nonché per gli studi sulle malattie infettive.
Le grandi scoperte Fra il 1854 e il 1888, Pasteur affronta le problematiche maggiori del suo tempo, relative all'agricoltura, all'industria agraria, all'allevamento e fa scoperte di grande importanza nel mondo agricolo, agroindustriale, veterinario: 94
1. anomalie della fermentazione della birra; 2. fermentazione del vino e dell'aceto; 3. pastorizzazione; 4. alterazioni del vino di origine fungina o batterica; 5. malattie del baco da seta; 6. colera dei polli; 7. carbonchio di bovini, ovini, equini; 8. rabbia silvestre e sieroterapia.
Fermentazione della birra e pastorizzazione
Fotografia di Louis Pasteur scattata da Pierre Lamy Petit
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La fermentazione della birra era un fenomeno interessante per Pasteur, anche per un senso patriottico: la nota birra tedesca sembra migliore di quella francese. Pasteur notò che non esistevano birre vecchie, perché si “ammalavano” molto più del vino. Erano anche molto più ricche di zucchero, rispetto al vino e inoltre, erano ricche di acido carbonico. Egli notò che dei microfunghi trasportati dalla polvere attaccavano il materiale di preparazione della birra. Per questo motivo pensò che la cosa migliore fosse quella di sottoporre la birra in fase di formazione ad alte temperature, per eliminare i germi. Così facendo la birra non si ammalava più. Anche l’acido carbonico non si eliminava e il riscaldamento non eliminava completamente la fermentazione. L’operazione prese il nome di “pastorizzazione”.
Fermentazione del vino e dell'aceto
"Studi sul vino" di Louis Pasteur, edizione del 1866
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Le malattie dei vini secondo Pasteur provenivano dai fermenti organizzati, dai piccoli vegetali microscopici da cui i germi si sviluppavano quando determinate circostanze di temperatura, di variazioni atmosferiche, di esposizione all'aria, permettevano la loro evoluzione. Arrivò ad affermare che le alterazioni dei vini erano correlate con la presenza e moltiplicazione delle vegetazioni microscopiche. Il problema era come bloccare la crescita macroscopica dei microrganismi vegetali che erano causa delle malattie dei vini. Anche in questo caso bastava portare il vino in pochi secondi a una temperatura dai 50 ai 60 gradi per risolvere il problema.
La rabbia e i primi vaccini
L'inoculazione di Jean-Baptiste Jupille sotto la guida di Pasteur (Harper's Weekly del 19 dicembre 1885)
La rabbia era una malattia misteriosa: un alone di fantasie macabre circondavano questo male che proveniva dagli animali, dal morso di cane in particolare. La ricerca in laboratorio permise a Pasteur di definirne la provenienza in un virus che 97
provocava tutta una serie di sintomi fino all’infiammazione del cervello e alla morte. Il virus della rabbia non risiedeva soltanto nella saliva, ma anche appunto, nel cervello e così Pasteur annotò come inoculando materia cerebrale nelle cavie, il virus si trasmetteva anche meglio. Pensò di creare un vaccino dal midollo di un coniglio morto di rabbia. Il virus trattato in modo che si indebolisse fortemente, fu iniettato da prima ai cani. I cani così trattati sopravvivevano al contagio con la malattia vera e propria. Un giorno gli fu portato un bambino che era stato morso da un cane rabbioso. Viste le ferite che aveva riportato, il medico si convinse che sarebbe sicuramente morto, se non avesse provato a inoculargli il suo vaccino. Lo fece con iniezioni successive in pochi giorni, fino ad aumentare la dose e la virulenza del virus da lui stesso trattato. Il bambino sopravvisse. Successivamente constatò che su 350 persone vaccinate, solo una era morta e la scoperta fu presentata all’Accademia della Scienza, portando un’innovazione totale nel modo di concepire le malattie. Ma lo studio delle malattie infettive portò ad una svolta non solo nella cura e nella prevenzione dai contagi negli esseri umani, bensì anche negli allevamenti intensivi che senza Pasteur forse non sarebbero stati possibili, visto che da questo momento in poi le bestie da allevamento ebbero un controllo molto più accurato.
Le malattie del baco da seta Il baco da seta a quei tempi si ammalava frequentemente in quasi tutti i paesi europei, portando gravi danni ai produttori che si vedevano costretti a distruggere le coltivazioni. Pasteur sottopose a studi microscopici i bachi incriminati, che mostravano dei corpuscoli e si accorse che le stesse farfalle, prima di depositare le uova, avevano gli stessi microscopici elementi. Così scoprì che la malattia si sviluppava soprattutto nelle crisalidi e nelle farfalle: solo le farfalle prive di corpuscoli potevano essere conservate ai fini della produzione dei bozzoli. Ma si poteva anche utilizzare un metodo pratico per procurarsi farfalle sane: si poteva aumentare la temperatura
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dell’ambiente di allevamento, di qualche grado, in modo che si affrettasse l’uscita delle farfalle dal bozzolo. In questo modo le farfalle sarebbero state esaminate subito al microscopio e se avessero presentato i corpuscoli incriminati, sarebbero state soffocate. Altrimenti l’intera produzione era sana e avrebbe prodotto il noto filo della seta.
Il colera dei polli Questa malattia era molto invasiva: le galline si ammalavano con facilità ritrovandosi senza forze, sonnolenti e morivano rapidamente. Il virus che la provocava era molto virulento, tanto che bastava un minima goccia sul cibo dei volatili per destinarli alla morte precoce. Una vecchia coltura, con virus attenuato permise di dimostrare che i polli si ammalavano, ma con sintomi meno forti e si poteva giungere alla guarigione, preservando così l’allevamento dalla malattia e gli allevatori da perdite incalcolabili.
Il carbonchio di bovini, ovini, equini Il carbonchio o antrace è una grave infezione acuta causata dal batterio Bacillus anthracis, che colpisce i bovini, gli ovini e qualche volta anche l'uomo, caratterizzata
in genere da pustole nerastre di tipo emorragico. Ne esistono diverse forme: cutanea (la forma più frequente), polmonare (rara) e gastrointestinale (rarissima).
https://it.wikipedia.org/wiki/Bacillus_anthracis#/media/File:Gram_Stain_Anthrax.jpg
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Pasteur si domandava se fosse possibile creare un vaccino anche per la malattia del carbonchio. Le spore del carbonchio conservavano una virulenza molto prolungata. Furono effettuati molti esperimenti, e alla fine si scoprì che occorrevano dei vaccini a tutti i gradi di virulenza. Nel 1881 in una fattoria vicino a Melun, ebbe luogo il primo esperimento pubblico per verificare se il vaccino funzionasse. Furono iniettate 5 gocce della coltura chiamata “primo vaccino” a 25 pecore. Qualche giorno dopo venne fatta la seconda inoculazione del batterio attenuato ma più virulento del primo. Passati altri giorni, fu inoculato il vaccino con il liquido più virulento, a 50 pecore tra cui i 25 soggetti precedentemente vaccinati . Le 25 pecore vaccinate per prime furono le uniche a sopravvivere.
Robert Koch contro Pasteur Koch è considerato insieme a Pasteur, il padre della microbiologia moderna. Egli studiò il virus dell’antrace, così come il suo collega e “riuscì nel 1876 a coltivare l'agente causale dell'antrace (Bacillus anthracis) fuori dall'organismo e a descrivere il suo ciclo di vita. Riuscì a descrivere per la prima volta il ruolo di un agente patogeno alla nascita di una malattia. Nel 1882 scoprì l'agente eziologico della tubercolosi (Mycobacterium tuberculosis) e in seguito ne sviluppò l'estratto antigenico che poteva dimostrare l'avvenuta infezione in un organismo ospite (compreso l'organismo umano), la tubercolina. Nel 1905 è stato insignito del Premio Nobel per la Medicina. Robert Koch è ritenuto – assieme al suo collega-rivale Louis Pasteur - il fondatore della moderna batteriologia e microbiologia. Ha dato un contributo fondamentale alla scuola delle malattie infettive e alla nascita e al successivo sviluppo della medicina tropicale in Germania.”45 As the founder of modern bacteriology, he is known for his role in identifying the specific causative agents of tuberculosis, cholera, and anthrax and for giving 45
Da Wikipedia, versione italiana, https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Koch
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experimental support for the concept of infectious disease. In addition to his innovative studies on these diseases, Koch created and improved laboratory technologies and techniques in the field of microbiology, and made key discoveries in public health. His research led to the creation of Koch’s postulates, a series of four generalized principles linking specific microorganisms to specific diseases that remain today the "gold standard" in medical microbiology. As a result of his groundbreaking research on tuberculosis, Koch received the Nobel Prize in Physiology or Medicine in 1905.46 Egli si schierò contro Pasteur soprattutto riguardo la funzione preservatrice della vaccinazione. La rivista dei lavori dell'Ufficio sanitario tedesco diretto da Koch stesso, contraddiceva ad ogni occasione Pasteur, tanto che quest’ultimo chiese che fossero condotti degli esperimenti davanti ad una commissione nominata dal governo tedesco. La commissione fu scelta dal ministro dell'agricoltura, del demanio e delle foreste. Dopo il congresso, tutti capirono quanto fossero veritiere le argomentazioni di Pasteur. Ma gli attacchi di Koch non terminarono, scontrandosi in particolare sull’eziologia del virus del carbonchio.
Le condizioni critiche della chirurgia ai tempi di Pasteur
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Da Wikipedia, versione inglese, https://en.wikipedia.org/wiki/Robert_Koch
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Institut Pasteur de Lille, centro di ricerca membro dell'Istituto Pasteur, entrambi dedicati allo scienziato. Al centro, un busto di Pasteur
All’inzio del diciannovesimo secolo la chirurgia aveva avuto una regressione: la mancata sterilizzazioni degli oggetti operatori e dell’ambiente stesso in cui si praticava la chirurgia portava ad una mortalità particolarmente alta. La disinfezione si faceva senza vera consapevolezza col fuoco e i liquidi bollenti, ma non era certo sufficiente. La mortalità arrivava ad essere maggiore del 60%. C’erano infatti i germi che le stesse mani del medico e i ferri contagiavano la ferita aperta.
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Filtro pasteur
Negli anni successivi Joseph Lister, un rinomato medico britannico, ringraziò Pasteur in una lettera, per averlo ispirato nell’uso di sostanze antisettiche come l’acido fenico, il sublimato, lo iodoformio, il salolo, grazie ai quali stava mettendo a perfezione un sistema antiseptico che riduceva il rischio di contagio durante e dopo gli interventi operatori. In effetti gli esperimenti di Pasteur dimostravano come le ferite si incacrenivano facilmente dopo qualsiasi taglio, avendo inserito una goccia di vibrione settico (oggi chiamati batteri Gram-negativi), mostrandosi gonfie, verdi alla superficie e rilasciando liquido marcio e nauseabondo. L'acqua e le spugne con cui si lavavano gli oggetti chirurgici e le garze con cui si ricoprivano le piaghe, depositavano i germi che si propagavano nei tessuti con una facilità estrema, provocando infallibilmente la morte.
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Pasteur aveva dimostrato con le sue ricerche, che la chirurgia doveva finalmente prendere un’altra strada, più sicura.
La microbiologia e il microscopio
Riflettendo sulla storia di Pasteur e le sue grandi scoperte, non possiamo fare a meno di annotare che nulla sarebbe successo se non gli fosse stato dato in mano un microscopio: inventato durante il Rinascimento, insieme alla stampa e alla polvere da sparo, in realtà il più semplice dei microscopi era già noto all’epoca dei Greci: interponendo una lente di cristallo, le immagini apparivano ingrandite e se c’era il sole, si potevano anche incendiare. Il primo telescopio ingrandiva 10 volte soltanto la forma originale. Questo ingradimento era già sorprendente, ma nel 1590 i due olandesi, Zaccharias Janssen e il figlio, aumentarono le lenti nel tubo, ne regolarono la distanza e la grandezza e l’oggetto osservato si ingrandiva ancora di più…. Ma il padre del moderno microscopio, Anton van Leeuwenhoek, anche lui olandese, riuscì a raggiungere fino a circa 300 ingrandimenti. In questo modo si riuscirono a vedere per la prima volta i batteri, e la vita all’interno di una goccia d'acqua di 104
palude, nonché altre migliaia di altre cose invisibili fino ad allora. Probabilmente fu un telescopio di questo tipo che suscitò tante scoperte all’epoca di Pasteur. In pratica il padre della microbiologia ebbe in mano una sorta di “giocattolo” davvero eccezionale per quei tempi, che probabilmente stimolava la sua curiosità in un campo enormemente vasto: un intero minuscolo mondo si apriva ai suoi occhi, come scoprire una tenda dietro un tesoro di conoscenza mai vista prima da altri, totalmente sconosciuta.
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Pubblicità del 1859 negli U.S.A.(dalla Biblioteca Nazionale di Medicina - Bethesda, Maryland)
Da quel momento in poi in Europa e negli Stati Uniti iniziarono produzioni di microscopi sempre più sofisticati fino a raggiungere degli ingrandimenti di 1500 volte. L’inserimento della luce elettrica, dei condensatori, servirono a migliorare la visione dell'oggetto osservato. Ma si doveva arrivare all'invenzione del microscopio
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elettronico nel 1930 in Germania per arrivare a ingrandimenti eccezionali: fino ad un milione di volte con i moderni microscopi elettronici!47
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Informazioni e immagini rielaborate e tratte dal sito http://www.motic.it/invenzione_dei_microscopi.asp
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Sitografia ● Da Wikipedia, versione inglese, https://en.wikipedia.org/wiki/Louis_Pasteur ● Da Wikipedia, versione italiana, https://it.wikipedia.org/wiki/Louis_Pasteur ● Biografia di Pasteur, http://biografieonline.it/biografia-louis-pasteur ● ●
Biografia di Pasteur, di Enrico Cristaldi, http://www.isavemyplanet.org/biografia/Louis%20Pasteur.pdf L’invenzione del microscopio, dal sito : http://www.motic.it/invenzione_dei_microscopi.asp
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Modulo 5 Freud e i maestri del sospetto
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5° Modulo: Freud e i maestri del sospetto Tre maestri dominano la scuola del sospetto […]. Il filosofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie, che non sono come appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia così come appare a se stessa; in essa, senso e coscienza del senso coincidono; di questo, dopo Marx, Nietzsche e Freud, noi dubitiamo. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volta per noi del dubbio sulla coscienza. Paul Ricoeur, Dell’interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 2002.
Verso la psicoanalisi Marx, Nietzsche e Freud, apparentemente molto distanti, hanno in comune la portata rivoluzionaria del proprio pensiero, in grado di mettere in discussione le certezze che fino a quel momento avevano orientato i pensatori. «I tre maestri del sospetto» hanno mostrato infatti che dietro alle grandi sicurezze si celano rispettivamente valori economico-sociali, la volontà di potenza e l’inconscio. In particolare, l’irrompere della psicoanalisi sulla scena culturale segna una svolta epocale nella visione della realtà, del rapporto tra esplicito e implicito, tra consapevolezza e rimosso. Non è certamente un ambiente aperto quello in cui Freud elabora le sue teorie, occupandosi di patologie per lo più ignorate dai medici. Quando Freud si iscrive all’università, nel 1873, la scelta per un ebreo ricade unicamente tra medicina e giurisprudenza. Come racconta egli stesso nell’Autobiografia, il desiderio di studiare legge e di dedicarsi ad attività politiche e sociali fu distolto dall’attrazione verso le teorie di Darwin, che promettevano grandi progressi nella comprensione del mondo. Muovendosi alla ricerca di un rigore metodologico in cui incasellare la sua curiosità, Freud trovò nell’istituto di fisiologia di Ernst Briicke (18I9-92) il modello di disciplina scientifica di cui aveva bisogno. Gli studi sull’istologia delle cellule nervose furono però interrotto quando Briicke gli fece intendere che non gli sarebbe stato possibile continuare la carriera di ricercatore per la
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mancanza di un patrimonio personale e l’impossibilità di trovare una sistemazione economicamente soddisfacente presso l’istituto. Freud cominciò dunque a lavorare presso l’ospedale generale di Vienna, impegnandosi nella ricerca di qualche scoperta importante a cui legare il proprio nome, ma fu dopo le lezioni parigine di Jean-Martin Charcot, che decise di aprire un proprio gabinetto medico dove dedicarsi ai pazienti più “difficili”, soggetti refrattari a ogni cura medica e che tuttavia non presentavano lesioni organiche. Gli studi di Jean-Martin Charcot e l’incontro con Joseph Breuer suscitarono in lui idee e intuizioni che invertirono per sempre la rotta. Grazie a Charcot, Freud era infatti entrato in contatto con l’ipnosi e aveva conosciuto alcune felici intuizioni del medico francese, riguardanti il peso della sfera affettiva e dei traumi precedenti negli attacchi. Tuttavia fu proprio il superamento della tecnica ipnotica a dare origine alla psicoanalisi, per quanto Freud tenesse a precisare che il merito di aver dato il via alla psicoanalisi non fosse suo, ma del dottor Josef Breuer, che quando egli era solo uno studente, applicò per le prime volte (dal 1880 al 1882) questo procedimento per curare una ragazza malata d’isteria.
Il caso «Anna O» e gli studi sull’isteria Anna O. (Bertha Pappenheim) ha ventun’anni quando Breuer viene chiamato per un’insistente tosse nervosa. I primi sintomi della ragazza si sono manifestati durante il ricovero del padre per una grave malattia, che ha portata Anna O. a prodigarsi fino all’esaurimento. La paziente presenta i sintomi tipici dell’isteria che Breuer come ad esempio gravi disturbi della vista e paralisi di diversi arti con interessamenti muscolari; lieve miglioramento, interrotto da un grave trauma psichico (morte del padre). Breuer nota che nella paziente sono presenti due stati di coscienza che spesso e repentinamente si alternano e che, nel corso della malattia, si fanno sempre più distinti. A volte la paziente manifesta tristezza, ma ha consapevolezza del mondo circostante, si può dire che sia relativamente “normale”; altre volte diventa vittima di allucinazioni e preda di malvagità, imprecazione e atti violenti contro gli altri. Inoltre, la paziente soffre di idrofobia, al punto da essere costretta a mangiare cospicue quantità di meloni per mitigare la sete, impossibile da soddisfare con un bicchiere d’acqua poiché rappresenta fonte di fobia. Breur intuisce che proprio nella doppia coscienza risiedono le possibilità di guarigione, grazie alla possibilità che essa offre di applicare un nuovo procedimento terapeutico, il metodo catartico, che consiste nel far raccontare alla paziente, in stato d’autoipnosi prima e in ipnosi prodotta, dopo, le circostanze che hanno determinato il sintomo. In seguito allo 111
sfogo verbale, caratterizzato da un’accentuazione della sintomatologia e da una forte carica affettiva, il problema scompare. Avvenne infatti che una volta, in ipnosi, Anna O. ricordò l’antipatia per la dama di compagnia e l’episodio in cui, entrando nella stanza, aveva visto il suo cagnolino bere da un bicchiere. Non aveva detto niente, ma aveva provato un forte disgusto, quasi un orrore. Dopo avere sfogato energicamente la rabbia che covava da tempo, chiese da bere, bevve senza esitazioni una grande quantità d’acqua e si svegliò dall’ipnosi col bicchiere alle labbra. Il disturbo così scomparve per sempre e lo stesso accadde con altre fisime, dopo averle verbalizzate. Alternando successi e ritardi, Breuer concluse la terapia, registrando il successo e il pieno recupero dell’equilibrio da parte della paziente. Ma, stando alle testimonianze di Freud, non fu questo l’esito della terapia. Anna O. ebbe varie ricadute, fu ricoverata in una casa di cura, e nell’ agosto 1883 era completamente a pezzi. Anni dopo, gli stati allucinatori serali continuarono a presentarsi. Quello che però aveva perfettamente afferrato Freud riguardava il cosiddetto transfert passionale che Breuer non era stato capace di gestire. Nelle Cinque conferenze sulla psicoanalisi, Freud si limitò a descrivere il caso senza entrare nel merito della questione. Per la storia del movimento psicoanalitico è invece un testo in cui, dopo aver precisato i motivi del dissenso tra lui e Breuer, Freud rintraccia nella relazione tra Breuer e Anna O, un esempio di «traslazione», e le ragioni che lo portarono a troncare il trattamento, senza però scendere tra le pieghe della terapia, probabilmente per rispetto verso il suo amico e maestro. Come ormai è noto, infatti, verso la fine della terapia Breuer scoprì la gravidanza isterica della sua paziente, il cui significato inconscio era chiaramente un atto incestuoso, un figlio avuto simbolicamente con il padre attraverso la figura dello psicoanalista. Sentendosi coinvolto e turbato, Breuer partì il giorno dopo per un viaggio a Venezia con la moglie. Questo caso era per Freud particolarmente interessante perché dimostrava come una traslazione erotica potesse esplodere inaspettatamente anche in pazienti poco reattivi agli stimoli sessuali. Non solo. Analizzando il significato del transfert, si può trovare la chiave di accesso ai contenuti inconsci, per cui esaminare questa dinamica è una condizione fondamentale per la riuscita della psicoanalisi. Eppure, la reazione dei medici viennesi fu piuttosto tiepida, se non ostile. L’autorità dei suoi maestri era tale che Freud stesso iniziò a dubitare delle proprie intuizioni. Già quando aveva esposto a Charcot la storia clinica di Anna O, lo scarso interesse
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dimostrato dal medico francese sembrò affievolire la sicurezza di Freud sul valore rivoluzionario del nuovo impiego della tecnica ipnotica ideato da Breuer. Inoltre, molti medici ritenevano che l’isteria fosse una patologia legata a una modificazione degli organi genitali femminili. Così Meynert sfidò Freud su questo tema specifico ed egli rispose presentando un caso di isteria maschile, ma anche in questa occasione l’accoglienza del pubblico diede a Freud un’impressione di rifiuto e disinteresse tali da dissuaderlo a cercare consensi. Il nome di Freud era in decadenza e le ragioni erano varie. Innanzitutto il consumo di cocaina che Freud promuoveva sia per curare alcune patologie sia per svolgere al meglio le attività lavorative. Fu quindi accusato di aver scatenato sull’umanità quel ‘terzo flagello’ che era la cocainomania (gli altri erano l’alcolismo e il morfinismo). L’accusa era così pesante che Freud sentì di doversi giustificare redigendo un’ultima relazione sulla cocaina, in cui precisava che non si era trattato fin ora di esperienze personali, bensì di consigli dati a qualcuno. Ma l’inimicizia da parte dei colleghi era dovuta anche alle sue teorie che contrastavano apertamente con il pensiero in voga in quegli anni e di cui era fiero rappresentante lo stesso Briicke. Era infatti teoria condivisa quella che vedeva l’organismo regolato esclusivamente da dinamiche fisico-chimiche. Si spiega quindi come l’interesse di Freud per fenomeni così poco quantificabili quali l’ipnosi e l’isteria fosse vissuto come un tradimento, tanto più grave in quanto egli aveva fatto parte della schiera delle giovani promesse dell’istituto di fisiologia di Briicke, mentre ora sembrava essersi lasciato contagiare dall’entusiasmo per la cialtroneria. Tuttavia egli aveva intuito che i sintomi di malattie psichiche non sono altro che la manifestazione esteriore di una causa che risiede in una dimensione non raggiungibile dal pensiero cosciente, né da un semplice sforzo della memoria. Questo livello profondo, inaccessibile alla coscienza, fu definito da Freud inconscio.
La scoperta dell’inconscio e l’interpretazione dei sogni L’idea che esistano contenuti inaccessibili, saperi nascosti nell’animo umano, era già diffusa nell’antica Grecia, sebbene gli uomini di allora non avessero ancora un termine per indicare ciò che noi oggi chiamiamo inconscio. Freud portò due novità fondamentali: l’idea che il conscio sia solo la punta di un iceberg rispetto a tutto il territorio psichico sommerso; l’idea di un legame tra inconscio e rimozione, un meccanismo che allontana i pensieri intollerabili. Si è soliti associare la nascita della psicoanalisi alla prima interpretazione di un sogno, fatto da Freud stesso, riportato nella sua opera fondamentale, L’Interpretazione dei sogni. 113
Secondo altri studiosi, la nascita della psicoanalisi è databile 1896, quando per la prima volta Freud usò il neologismo per descrivere un procedimento per l’indagine di processi mentali altrimenti inaccessibili; un metodo terapeutico che trae le sue origini dall’indagine psicoanalitica avente per fine la cura delle nevrosi; un insieme di concezioni psicologiche (teoria della psiche). Per Freud la pretesa di controllo, tipica del positivismo, era in realtà un’illusione poiché il conscio è solo una superficie cosciente, ma la maggior parte dei comportamenti sono il frutto di un processo inconscio. Il meccanismo di rimozione agisce come una difesa degli individui verso esperienze e pensieri così dolorosi da essere insopportabili. Freud nota che la rimozione avviene in modo indipendente, è, cioè, un atto non-cosciente, per cui l’inconscio si configura come causa e, insieme, effetto della rimozione. L’inconscio ha diversi modi per manifestarsi: i sogni, i lapsus, gli atti mancati, le nevrosi; per penetrare l’inconscio, dopo aver provato con l’ipnosi, Freud mette a punto il metodo delle libere associazioni in cui il paziente, abbandonandosi al proprio flusso di coscienza, procede con catene associative, ovvero libere associazioni che permettono di aggirare la censura. Anche l’interpretazione dei sogni è una chiave di accesso all’inconscio in quanto appagamento camuffato di un desiderio rimosso. Per questo il contenuto manifesto di un sogno altro non è che metafora di un desiderio inaccettabile. Secondo Freud, la terapia, per essere efficace, deve seguire alcune procedure: il paziente deve trovarsi sul lettino e l’analista fuori dal suo campo visivo. Il terapeuta manterrà il silenzio e conserverà un tono di voce neutrale in caso di interventi. Il paziente è soggetto a rispettare quella che è definita la regola fondamentale, ossia le libere associazioni a cui corrisponde l’attenzione fluttuante dell’analista. Il principale strumento di lavoro dell’analista è l’interpretazione che deve essere modulata nei modi e nei tempi tendendo nel giusto conto le resistenze e il transfert nelle sue diverse espressioni (positivo, negativo, erotico, amichevole, ecc.). Freud nei suoi scritti di tecnica, tende ad offrire dei suggerimenti mentre è categorico su una regola che considera essenziale, ossia la necessità che l’analista mantenga un atteggiamento di astinenza che comporta la frustrazione parziale o totale, dei bisogni e dei desideri del paziente. Tale funzione è necessaria in quanto trasforma i desideri e i bisogni forze propulsive per lo stesso cambiamento.
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Complesso di Edipo, sessualità e nevrosi Per Freud, il bambino è mosso dalla ricerca del piacere senza alcuna finalità riproduttiva, pertanto è definito un «perverso polimorfo». Va notato che nella definizione di perversione non traspare nessun giudizio negativo, ma semplicemente sta a indicare la ricerca del piacere attraverso vari organi e diverse zone erogene. Il bambino riceve gratificazione edonistica sia dal contatto col padre che con la madre, avvantaggiato dall’assenza di un Super Io. Lo sviluppo psicosessuale avviene attraverso cinque fasi: orale, anale, fallica, di latenza, genitale, portando di fatto, per la prima volta, il concetto di sessualità nella sfera infantile. E proprio ai traumi sessuali della prima infanzia, Freud attribuisce il manifestarsi del complesso di Edipo (di Elettra per le donne), scatenando l’indignazione di molti benpensanti e di diversi colleghi. In seguito Freud tornò sui suoi passi, precisando che si trattava di fantasie di seduzione verso il genitore e non di veri e propri traumi. Il complesso di Edipo è un nucleo centrale della psicoanalisi poiché a esso vanno ricondotte le nevrosi, un campo largamente studiato da Freud. Le nevrosi sono di diverso tipo e cambiano a seconda dello stadio o di quello in cui si regredisce se il complesso di Edipo non è stato superato. Esempi di nevrosi sono le nevrosi ossessive, quelle fobiche, le nevrosi d’ansia, la dipendenza dal fumo o da sostanze varie, la nevrosi isterica (traumi sessuali e di vario tipo). La perversione, che come abbiamo visto è intesa quale fissazione della libido su oggetti o ambiti non sessuali (in senso genitale), subentra là dove dovrebbe verificarsi una nevrosi che invece non compare. In assenza di perversione si può sviluppare l’asessualità. La sessualità è un tema fondante nel pensiero freudiano perché intesa come energia propulsiva, forza motrice.
L’Io e l’Es: ovvero individuo, civiltà e topoi psichici
Nel 1922 Freud pubblica L’Io e l’Es, un testo fondamentale in cui alle tre istanze di conscio, preconscio e inconscio (prima topica), sostituisce Io, Es e Super Io (seconda topica). Non cambiano solo i nomi, cambiano anche i concetti. Pur riconoscendo che in ogni individuo i meccanismi agiscono in modo differente, Freud riconosce una struttura di base che li accomuna tutti: Es (identificazione e realizzazione di bisogni primitivi), Super Io 115
(coscienza che si contrappone all’Id attraverso i principi morali ed etici) e Io (istanza che media tra i bisogni primitivi e i giudizi etici). L’interesse per Freud verteva, in particolare, sul rapporto dinamico tra queste istanze, mosso da un desiderio innato. Ma la relazione tra le tre parti delle mante possono mutare anche in base al contesto rapporti sociali. Ne Il disagio della civiltà, opera scritta nel 1929 e pubblicata l’anno successivo, Freud analizza il rapporto tra individuo e società. Il conflitto principale, afferma, nasce dalla ricerca della libertà istintiva che la civiltà tende a limitare attraverso le regole, anche perché la maggior parte degli istinti primitivi, tra cui anche quello assassino. Questo processo di repressione, necessario per la tutela della comunità, inevitabilmente genera insoddisfazione perpetua. Gli esseri umani sono governati dal principio del piacere, che può essere raggiunto soddisfacendo gli istinti; per questo gli individui, resi civilmente conformi, sono infelici. Freud ripensa l’intera società come conseguenza di due opposte pulsioni: Eros (positiva e unificante) e Thanatos (distruttiva), non senza essere influenzato dai fatti storici che avvengono in quel periodo difficile e doloroso, nonostante proprio in quegli anni si costituiscano società di psicoanalisi, le più importanti personalità (tra cui Thomas Mann ed Einstein) sono in corrispondenza con lui, Vienna gli conferisce un’alta onorificenza civile, e nel 1930, «culmine del successo borghese», gli viene attribuito il premio Goethe. Ma poco dopo a Berlino, con il trionfo dei nazisti, i suoi libri vengono dati alle fiamme. Non seppe mai che le sue quattro vecchie sorelle avrebbero subito quella atroce sorte assieme ad altri sei milioni del suo popolo. Nel 1938, occupata Vienna, le squadre d’assalto naziste distruggono la casa editrice ed irrompono nella sua casa. Cedendo alle preghiere degli amici e per l’infaticabile intercessione di Jones, Freud decide di partire per Londra, dove muore il 23 settembre del 1939.
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Focalizzare l’apprendimento ·
Perché Freud, Marx e Nietzsche possono essere considerati maestri del sospetto?
·
Perché il “transfert” è un concetto fondamentale nel pensiero freudiana?
·
Quali sono, a tuo avviso, le tesi più rivoluzionare di Freud?
·
Prova a rintracciare le idee di Freud sulla religione.
·
Secondo quali elementi la figura di Freud è inseribile, a pieno titolo, nell’Età del
Positivismo?
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Jean-Martin Charcot e gli studi moderni sull'isteria
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Charcot alla Salpétrière
Tratto dal sito psicolinea.it, online dal 2001: http://www.psicolinea.it/freud-a-scuola-da-charcot/ , http://www.psicolinea.it/wp-content/uploads/2007/01/Charcot-Salpetriere.jpg 48
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Approfondimento: Jean-Martin Charcot e gli studi moderni sull’isteria Storia di una malattia solo al femminile
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Rappresentazione di una donna isterica intorno alla fine dell’Ottocento
It is interesting to study this strange illness, hysteria, that is referred only to women from the past. It is referred to uterus that has some problems, such as retaliation inward, or missed sexuality. Hysteria was connected to virgins or to women without a husband. The prescribed care was to find a husband. During the time, even witchcraft was one of the causes of hysteria: the witch was “hysteric” and it has passed a long time before someone dared to affirm that hysteria wasn’t the cause of certain attitudes. Rather it was a mental illness that had to be in treated in other ways and with different methods. 49
Immagine tratta dal sito: http://www.mangiatoridicervello.com/wp-content/uploads/2016/04/isteria-donna..jpg
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Today we may ask if hysteria should really exist,or it is a momentary manifestation, or each of us could be subject to one or more moments of his life, and regardless of sex. Especially there is still a strong injury,as Brunella Gasperini says,” hysteria label is one of many that is still attached to women. It is a heritage that comes from ancient time, the results of male prejudices: hysteria was the first mental disorder associated only to women. And even today in taken up when we rebel against an order, contend, raise our voice. Or as a synonymous with frigid, not sexual satisfied. A prefabricated and trivial script of which, according to the psychologist, we have to realize it to free it. In fact hysteria and female don’t overlap. But wanting to stay in the facts, the current definition of this term, extracted from Garzanti Dictionary on line, is this: “who has irritable mood, easy to nervous shots and uncontrolled reactions " In psicologia ai giorni attuali, l’isteria è una malattia psiconevrotica, i cui tratti sono legati alla: “labilità e immaturità affettiva, intensa partecipazione affettiva, suggestionabilità,
dipendenza,
teatralità,
esibizionismo,
tendenza
alla
drammatizzazione e all'esagerazione....”50
Dall’antichità fino all’Ottocento Ippocrate (460-377 a.C.) parlò per primo di “isteria” inventando un termine che non esisteva e deducendolo dalla parola greca “utero”, o “hysteron”. Fin dall’inizio quindi, si stabilisce un legame fra il corpo della donna e questo disturbo.
50
Tratto da
https://www.psicologi-italia.it/disturbi-e-terapie/disturbi-della-personalita/articoli/isterismo-o-is teria.html 120
Inizialmente si pensava ad uno spostamento dell’utero nell’organismo, tale da causare una serie di disturbi ben specifici. Ma già l’antica medicina egizia fa menzione dell’isteria almeno in due papiri: quello di Kahun, risalente al XX secolo a. C. e quello di Ebers, del XVI a.C. nei quali si afferma che la natura della malattia è legata all’utero femminile. Dopo Ippocrate, nel mondo romano Celso, Areteo e Sorano d’Efeso (II secolo a.C.) parlano dell’isteria e della sua cura in ambiente tiepido, con luci soffuse e applicazioni di olio d’oliva sul ventre con massaggi che avevano lo scopo di indurre il rilassamento. Secondo Galeno una ritenzione delle secrezioni dell’utero corrompevano il sangue e portavano all’irritazione dei nervi con perdita di conoscenza, pulsazioni basse, attacchi respiratori e contrazione delle membra. Galeno però, rifiutò l’idea dello spostamento uterino, identificando anche negli uomini disturbi omologhi. Nel Medioevo l’isteria fu di nuovo considerata solo al femminile, legata ai fenomeni demoniaci e di stregoneria, per cui coloro che avevano la sfortuna di mostrare sintomi isterici, erano dominio di Satana e ciò era sufficiente per la condanna a morte per annegamento o sul rogo. Con il settecento e la rivoluzione scientifica non si fanno molti passi avanti rispetto alla vera natura della malattia: qualcuno riprende le teoria galeniche, altri ne parlano come di pazzia. Solo Philippe Pinel parlò intorno ai primi anni dell’Ottocento, di “trattamento morale” per questi malati che erano sì donne, ma i cui sintomi avevano anche un parallelo negli uomini Quindi fino al Seicento rimase la credenza che l’isteria fosse prevalentemente un fenomeno di origine ginecologica e soltanto dopo si iniziò a pensare che potesse avere un’origine nel sistema nervoso. Questa malattia rappresenta un po’ lo status quo del mondo femminile, che nei tempi passati è stato dominato dal potere maschilista dell’uomo: la donna era praticamente identificata con il proprio utero e quindi ogni sua reazione, anche sociale, era messa in relazione a questo organo, in cui si realizza la nascita, fenomeno ritenuto da sempre misterioso e affascinante. La teoria dell’”utero errante” rispondeva perfettamente all’ideologia maschile dominante, che vedeva la donna moglie e madre per sua stessa natura. Inoltre ribadire che solo la donna poteva ammalarsi di qualcosa di estremamente grave, 121
tanto da perdere il controllo su di sé, voleva anche dire che essa non era in grado di assumere ruoli importanti per la società. Per questo non poteva gestire la sua vita da sola e quindi aveva bisogno di un uomo dalla nascita fino alla morte: il padre, il fidanzato, il marito. Ma nella seconda metà dell’ottocento si comincia per fortuna, a pensare che le cause “uterine” non fossero veritiere, e si iniziò a indagare in campo neurologico per trovare una soluzione e una cura a questa misteriosa malattia. Il progresso scientifico andava avanti interessandosi dei “fenomeni oscuri”, legati all’ipnosi e alla ragione. La stessa ragione che non riusciva a spiegare l’isteria, dato che non sembrava riconducibile ad alcun referente organico. Entra allora in ruolo la psicoanalisi che inizia ad occuparsi proprio di ciò che la scienza e la medicina tradizionale non riescono a guarire o a giustificare, come appunto, il sintomo isterico, ma anche i sogni, i lapsus, la sessualità infantile…
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Ritratto di Paul Briquet
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Tratto dal sito web di Banque d'images et de portraits disponibile all’url: http://www.biusante.parisdescartes.fr/histoire/images/?mod=s&refbiogr=14593 .
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Paul Briquet (1796-1881) ipotizzò che questa malattia avesse una causa organica ma anche ereditaria e che gli elementi scatenanti potessero essere emozioni e conflitti. La sensazione era che fosse comunque sempre esistita con manifestazioni non sempre uguali e multiformi. Proprio nell’Ottocento vi fu un grande interesse intorno ai temi del subconscio, all’ipnosi e i fenomeni della suggestione, e anche l’isteria fu di nuovo riesaminata, in particolar modo da Jean Martin Charcot.
Jean Martin Charcot
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Ritratto di Jean-Martin Charcot (1825-1893), photo by sconosciuto
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Reperibile all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Martin_Charcot#/media/File:Jean-Martin_Charcot.jpg
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Biofrafia Il francese Jean-Martin Charcot, neurologo, nacque a Parigi nel 1825 da una donna giovanissima che aveva avuto già altri tre figli e che morì qualche anno dopo. Il padre era un semplice carrozziere e proprio sui suoi clienti, il bambino Jean Martin fermò la sua attenzione. In particolare sul Barone Portal, medico personale del re che influenzò in qualche modo la sua crescita e le sue aspirazioni. Non essendo primogenito, non poteva ereditare l’attività paterna e il suo destino sarebbe stato l’esercito, se non fosse stato così bravo a scuola, tanto che il padre gli concesse di proseguire gli studi al liceo. Fu proprio in questi anni che maturò il desiderio intenso di diventare medico. Così si iscrisse all’Università. Già durante i corsi di studio si meritò la stima dei professori e fu ammesso all’internato, dove svolse il suo lavoro con zelo e grande attenzione. Fece anche amicizie importanti per la sua carriera successiva. In soli 5 anni si laureò presentando una tesi sui problemi della gotta e distingueva le lesioni derivanti da tale patologia, da quelli derivanti dai reumatismi cronici. Fu proprio questa una delle sue caratteristiche particolari: la capacità che gli permetteva di distinguere nei particolari, i sintomi molto simili di una malattia da un’altra, come nel caso dei tremori del Parkinson con quelli della sclerosi a placche. Una volta per far capire la differenza, mostrò due donne che pettinavano le piume di struzzo di un cappello. Nel 1864 si sposò con una donna dell’aristocrazia parigina dalla quale ebbe due figli, uno dei quali, comandante marittimo e autore di lavori oceanografici nelle regioni polari, morirà nel naufragio della nave da spedizione “Pourquoi-pas IV”. Charcot fu nominato medico presso l’ospedale di Salpêtrière, dove si occupava delle malate di convulsioni. Decise di separare coloro che avevano le convulsioni da quelle malate di isteria. Per le prime si rese conto di come le crisi epilettiche fossero preavvisate dalla cosiddetta “aura” e iniziò ad usare il termine di “neurologia”, indicando quelle malattie nervose che prima di lui non erano mai state classificate in altro modo. Tentò anche i primi interventi di neurochirurgia. In particolare egli descrisse con precisione la “sclerosi laterale amiotrofica”, ma dal 1870 si dedicò allo studio dell’isteria che analizzò in maniera sistematica, 124
distinguendola dalle altre malattie dello spirito. Escluse la simulazione e per primo utilizzò l’ipnosi come cura. Era convinto che la causa di tale malattia fosse una degenerazione nervosa ed ereditaria del sistema nervoso. Tale interpretazione fu poi ripresa da Sigmund Freud, che la smentì. Si occupò anche di studiare il reumatismo cronico, la gotta, le emorragie cerebrali e l’atassia. Negli ultimi anni della sua vita studiò soprattutto gli stadi dell’ipnosi che distingueva in tre momenti: quello della letargia, quello della catalessi e, infine, quello del sonnabulismo. Verificò che non tutte le persone sono soggette all’ipnosi. Criticato da Bernheim della scuola di Nancy, Charcot ripensò ai suoi studi e si ripropose di verificare le obiezioni che gli erano state fatte, apparendo anche ai suoi occhi, giustificate. Ma purtroppo morì d’infarto prima che potesse mettere mano alle nuove ipotesi. 53
L’isteria di Jean Martin Charcot
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Un attacco isterico nella "Iconographie photographique de la Salpêtrière"
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Rielaborazione da Wikipedia, all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Martin_Charcot Immagine reperibile all’url: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Hysteria.jpg
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Jean Martin Charcot affermò, dopo Galeno, che l’isteria non è una malattia femminile, ma un fenomeno psichico, caratterizzata da certe “stigmate” quali: la paralisi, l’anestesia, iperestesia, la contrattura, il restringimento del campo visivo, il dolore nella regione ovarica. Affermò che non erano originate da simulazione, ma veri sintomi di una malattia di cui descrisse vari stadi: 1. fase epilettoide, con contrazioni e spasmi improvvisi, 2. fase delle contorsioni, con pose plastiche e atteggiamenti inspiegabili, 3. fase degli atteggiamenti passionali e allucinatoria; 4. fase finale, quando sta per terminare l’attacco. Egli tentò di curare l’isteria con l’ipnosi. Famosissime le sue sedute per curare Blanche Wittman55, la sua paziente preferita che si sottoponeva ai suoi innovativi esperimenti terapeutici; era la “regina delle isteriche” e durante l’ipnosi assistevano Freud e Strindberg, Babinski e Sarah Bernhard, e accorreva tutta l’élite medica, intellettuale e mondana della Parigi di fine Ottocento. In pratica aprì un processo che portò allo studio della malattia da parte della psicanalisi. Freud rimase molto impressionato dalla lezioni di Charcot sull’isteria,
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comprese poi, da psichiatra, gli intrecci e le profonde connessioni tra i disturbi somatici e la mente; l’ipnosi stessa apriva una nuova strada conoscitiva.
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Dopo la morte di Charcot, guarita, lavorò per Marie Curie, almeno da quello che si legge nel Libro di Blanche e Marie di Per Olov Enquiste, Editrice Iperborea
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Le idee di Sigmund Freud
Sigmund Freud
Nello stesso periodo Sigmund Freud (1856-1939), giovane neurologo austriaco, terminati gli studi a Vienna, si recò per un tirocinio alla Salpêtrière, dove assistette alle lezioni di Charcot che lo influenzarono notevolmente. Egli era già in contatto con Josef Breuer, famoso internista viennese, con cui Freud aveva collaborato nel trattamento del famoso caso di Anna O..
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Anna O.
Questa paziente poteva narrare le fantasie che provava sotto ipnosi o anche successivamente, dando la possibilità di scoprire i traumi alla base delle manifestazioni isteriche di cui soffriva dopo la malattia e la morte del padre. Freud tradusse i testi delle ricerche di Charcot, imparando da lui i metodi e l’uso dell’ipnosi, ma non era molto d’accordo con le conclusioni del suo maestro. Piuttosto era più incline ad accordare le sue teorie con quelle di Breuer. Terminato il periodo parigino, le adottò completamente. In due volumi affermò che nell’isteria il paziente in pratica sperimentava nuovamente il trauma psichico originario, come nel caso di Anna O., sottoposta ad un grande stress emotivo per la morte del padre, tale da indurre uno squilibrio mentale, recuperato poi soltanto con la memoria perduta di quel periodo. Breuer parlava più di catarsi, riguardo al suo metodo, ma Freud iniziò a pensare sempre di più che l’agente eziologico della sessualità andasse più adeguatamente considerato. Si recò a Nency, e prese contatti con Bernheim e Lièbault che studiavano l’ipnosi; comprese il significato della suggestione che poi
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Immagine reperita sul sito https://www.psicolinea.it/wp-content/uploads/2007/02/Anna-O.-198x300.jpg
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utilizzò per la sua terapia psicoanalitica, ma non ebbe un positivo riscontro dalla Società medica Viennese, che non poteva neppure immaginarsi un’isteria al maschile. La psicoterapia di Freud era basata su tre elementi fondati: la repressione, il subconscio e la sessualità infantile. In particolare quest’ultima rivestiva un ruolo primario nelle cause delle nevrosi, rappresentando il conflitto fra l’impulso alla sessualità e la resistenza alla stessa, cioè la repressione, fin dagli stadi iniziali dell’infanzia. Naturalmente questo scatenò dissenso e indignazione non solo nel mondo scientifico, ma anche fuori, in quanto l’età infantile è sempre stata considerata intoccabile, del tutto pulita e avulsa da ciò che riguardava la vita sessuale sia pure anche solo pensata. Successivamente Freud arrivò alla conclusione che molti dei suoi pazienti evidenziavano memorie represse non del tutto reali, anzi spesso non ricordavano fatti accaduti, ma costruzioni mentali incubate nel subconscio. Confermò comunque il ruolo della sessualità nelle nevrosi della maggior parte delle donne e anche le quattro fasi dell’isteria che Charcot aveva individuato nell’isteria. Aggiunse però, che le allucinazioni non erano la memoria di un singolo trauma, ma “di una serie di traumi interconnessi” Dopo gli studi di Freud sull’isteria, l’ultimo manuale diagnostico che la annovera nei disturbi mentali è quello del 1952, mentre nel 1987 l’Associazione di Pischiatria Americana la elimina anche se attualmente i sintomi che la definivano restano inseriti in categorie più ampie, quali i disturbi somatoformi di personalità. Eppure, anche se “declassata”, la parola isteria resta nel parlato comune con la sua valenza quasi pressoché immutata. Forse è il sintomo che ancora non tutto è stato “rivelato” su questa malattia i cui sintomi oggi appaiono quasi “smebrati” e presenti in altre patologie mentali forse meno comuni. 129
Sitografia ● L’isterica e le altre: storia e attualità di Federica Lefons http://siba-ese.unisalento.it/index.php/psychofenia/article/viewFile/i1720 1632vXIn18p173/3241 ● Lezione 4 Gli Studi sull'Isteria - 2, dal PERIODICO MENSILE DI INFORMAZIONE MEDICO SCIENTIFICA, Pol.it, Psychiatry on line Italia, Always on line since 1995, http://www.psychiatryonline.it/node/3393 ● http://www.sapere.it/enciclopedia/Charcot%2C+Jean+Martin.html ● Tesi di dottorato di Giambrone, https://iris.unipa.it/retrieve/handle/10447/95186/122126/tesi_dottorato_Gi ambrone.pdf ● Storia dell’isteria, da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27isteria ● Jean-Martin Charcot, da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Martin_Charcot ● Appunti sull’immaginario dei nervi e il corpo scenico ottocentesco, di Sharedi Donatella Orecchia, http://www.arabeschi.it/immaginario-dei-nervi-e-il-corpo-scenico-ottocente sco/ ● Freud a scuola da Charcot, di Giuliana Proietti, http://www.psicolinea.it/freud-a-scuola-da-charcot/ ● Brunella Gasperini, articolo “La donna isterica, un pregiudizio duro a morire”, da Repubblica, reperibile all’url : http://d.repubblica.it/lifestyle/2015/05/28/news/donne_isteriche_pregiudi zi_uomini_maschilismo-2621927/
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● Tratto dal sito Psicologi Italia, all’url: https://www.psicologi-italia.it/disturbi-e-terapie/disturbi-della-personalita /articoli/isterismo-o-isteria.html ● Articolo “Lo strano caso di Anna O., della Dr. Giuliana Proietti, del 19 febbraio 2007, reperibile all’url : https://www.psicolinea.it/lo-strano-caso-di-anna-o/
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