Come ormai da quattro anni a questa parte, l’Alligatore torna puntuale con un nuovo numero ricco di articoli di interesse attuale. Questo mese vengono affrontate tematiche molto varie tra cui spicca il nuovo processo civile telematico, la tragica vicenda di Lampedusa e l’annoso problema delle armi da fuoco negli Stati Uniti d’America. Inoltre viene inserito per la prima volta un articolo di diritto sportivo. Oltre a tutto ciò troverete altri temi che inducono alla riflessione e all’approfondimento. Da ultimo ma non per ultimo potrete cimentarvi in un cruciverba “giuridico”. Nella speranza che l’Alligatore rappresenti sempre un appuntamento fisso di dibattito e di approfondimento, vi diamo appuntamento al prossimo numero! Buona Lettura!
Se vuoi collaborare con noi scrivi a: redazione@lalligatore.org
Anno 4 Numero 3
Rivista fondata da: Rocco Steffenoni, Eduardo Parisi, Sandro Parziale, Daniele Rucco
L’ALLIGATORE La rivista degli studenti di giurisprudenza della Statale di Milano Redazione: Francesco Bertolino, Erik Brouwer, Giulia De Martini, Anna Ferrari, Giulia Pirola, Niccolò Scremin, Adriana Spina, Valentina Todeschini, Alberta Trombetta, Ferdinando Vella, Martina Zini Hanno collaborato: Prof. Giuseppe Arconzo, Avv. Luca Boneschi, Fulvio Volpi
La rivista è attualmente diretta da:
Niccolò Scremin
Ringraziamo i professori e i ricercatori della Facoltà che ci hanno sostenuto in questa iniziativa
Milano, Ottobre 2013
dell’Università degli Studi di Milano derivante dai fondi previsti per le attività culturali e sociali.
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INDICE
Diritto Costituzionale Comparato Ferdinando Vella La revisione costituzionale nella tradizione Europea
pag.9
Diritto Processuale Civile Adriana Spina Giustizia Digitale: il processo civile diventa telematico?
pag. 17
Diritto dello straniero Valentina Todeschini Lampedusa non è un’emergenza
pag. 25
Diritto Sportivo Giulia Pirola Discrimazione territoriale: il calcio tra legge e tifosi
pag. 33
Diritto Anglo-Americano Erik Brouwer Armi da fuoco negli Stati Uniti, tra diritto e tradizione
pag. 38
Diritto Penale Francesco Bertolino Il bilanciamento fra diritto di cronaca e tutela dell’onore nella giurisprudenza della CEDU: la proporzionalità della sanzione Niccolò Scremin (Ir)retroattività della Legge Severino
pag. 49
pag. 55
Rubrica pag.62
Cruciverba
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DIRITTO COSTITUZIONALE COMPARATO
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La revisione costituzionale nella tradizione Europea Ferdinando Vella L’Europa sarà senz’altro ricordata come terreno in cui nacquero e crebbero le dittature più feroci e sanguinarie che la storia ricordi. L’avvento in quasi tutti i suoi stati delle costituzioni rigide e di istituzioni democratiche, nella seconda metà del secolo scorso, è tuttavia riuscito a riscattare in parte questo tremendo precedente. Ispirandosi alle più illustri tradizioni costituzionali del passato ma con un lucido sguardo al futuro, i costituenti degli stati europei hanno avviato un percorso irreversibile all’insegna dei diritti fondamentali dell’uomo, del ripudio della guerra e dei principi detualità, in presenza di determinati requisiti. Ed è proprio dall’analisi di tali requisiti che emergono le scelte più delicate e sensibili dei costituenti, in coerenza con la storia del proprio stato e con le scelte democratiche della popolazione. A questo proposito e con riferimento alle recenti vicissitudini del governo di larghe intese guidato da Enrico Letta, che ha cristallizzato i seri interrogativi dottrinali e politici sulla tenuta istituzionale della Carta repubblicana, ipotizzandone una profonda riforma relativamente alla seconda parte, ci è sembrato utile ricordare quale sia il procedimento di revisione previsto dalla nostra legge fondamentale e confrontarlo con le scelte diverse intraprese dalle più importanti costituzioni europee. I soggetti. Bisogna innanzitutto chiedersi a chi le costituzioni attribuiscoun’iniziativa, che spetta di norma al potere legislativo ed esecutivo, l’approvazione in sede parlamentare e un eventuale referendum. In Italia l’art. 138 co. 1 Cost. prevede che siano innanzitutto le Camere ad adottare le leggi di revisione della Costituzione e le altri leggi costituzionali (l’appartenenza dell’iniziativa di legge rimane quella prevista dall’art. 71 Cost.). Si lascia però spazio anche all’elettorato attivo: è previsto infatti un referendum popolare, qualora richiesto da un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, ma solo nel caso non più approfonditamente in seguito. In Spagna l’iniziativa spetta al Governo e al parlamento (le Corti Generali, le cui camere hanno il nome di Congres-
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so dei Deputati e di Senato del Regno) secondo quanto previsto dall’art. 87 Cost. Spagna (entrata in vigore nel 1978). Bisogna poi distinguere tra revisione parziale ovvero totale della Costituzione. La prima ipotesi è disciplinata dall’art. 167, per cui sono le Corti ad approvare i progetti di revisione costituzionale: il comma 1 prevede anche la creazione di una commissione un accordo tra le due Camere, qualora esso manchi. Anche qui si può ricorrere ad un referendum popolare, ma la richiesta spetta esclusivamente ad un decimo dei membri di una delle Camere. L’art. 168 regola invece l’ipodei principi fondamentali dello stato): a causa dell’importanza di un simile intervento, è previsto che, dopo una prima approvazione, le Corti debbano essere sciolte di diritto e che si proceda ad una nuova elezione. Qualora il nuovo Parlamento riapprovi la revisione, essa deve essere sottoposta buisce l’inziativa di legge di revisione costituzionale congiuntamente al Presidente della Repubblica e al Parlamento. Anche qui l’approvazione di tale legge è sospesa da un referendum, che può essere proposto in tutti i po). Il referendum tuttavia non può aver luogo quando il Presidente della Repubblica decide di sottoporre la legge al Parlamento in seduta comune, al potere legislativo come previsto dall’art. 42 Cost. austriaca. All’art. 44 generale e quelle che limitano la competenza dei Länder in materia legiConsiglio nazionale, le seconde invece sono di competenza del Consiglio federale. Anche nella Federazione Austriaca si effettua una distinzione tra revisione totale e parziale della Costituzione. Nel primo caso è sempre obbligatorio ricorrere ad una consultazione referendaria; nel secondo solo se viene richiesto dai due terzi dei membri di uno dei due Consigli (art. 44 co. 3 Cost. austriaca). La Legge Fondamentale della Repubblica Federale di Germania prevede all’art. 76 che i progetti di legge debbano essere presentati al Bundestag dal Governo e dai membri del Parlamento. Una legge Bundesrat con maggioranze diverse. Non è prevista alcuna consultazione referendaria. Il particolare procedimento spagnolo previsto per i casi di revisione totale sembra essersi ispirato ai procedimenti previsti da due delle più antiche costituzioni europee, quella dei Paesi Bassi (il cui testo
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nel 1994): in esse infatti si prevede che, qualora il potere legislativo reputi re sciolte di diritto. Il compito di approvare le nuove disposizioni spetterà alla nuova legislatura, di comune accordo con il sovrano. In virtù di ciò, al contrario di quanto accade in Spagna, non è previsto un referendum popolare confermativo, in quanto si reputa che l’elettorato abbia già avuto modo di esprimersi, seppur indirettamente, tramite le elezioni. La maggioranza. Tema di estrema delicatezza politica ed istituzionale è quello della maggioranza richiesta per la revisione delle carte fondamentali. In Italia sono previste due deliberazioni successive, con un intervallo ponenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. In questo caso tuttavia si lascia spazio al referendum, nei casi già citati: esso non può essere richiesto quando, nella seconda votazione, la legge sia stata approvata con (art. 138 Cost.). Per la Spagna diverso è il caso che si tratti di revisione parziale ovvero totale. Nel primo caso la maggioranza richiesta è dei tre quinti dei membri in ciascuna delle Camere (art. 167 co. 1 Cost. spagnola). Tuttavia se questa maggioranza non viene raggiunta e se il Senato ha approvato la legge con maggioranza assoluta, il Congresso può approvare la riforma con il consenso dei due terzi dei suoi membri. La revisione prevista dall’art. 168, ovvero nella seconda ipotesi, richiede una maggioranza più ampia: due terzi dei membri per entrambe le Camere, sia prima sia dopo il loro scioglimento. In Francia il Parlamento può adottare una legge costituzionale con la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera, ma è sempre obbligatorio un referendum. Abbiamo già visto come quest’ultimo possa essere evitato presentando il progetto di legge davanti al Parlamento in seduta comune: in questo caso il consenso dev’essere dei tre quinti dei membri. In Austria, indipendentemente dalla competenza dei due Consigli (nazionale e federale) è comunque richiesta la presenza di almeno la metà dei membri e la maggioranza dei due terzi dei voti espressi (art. 44 co. 1, 2 Cost. austriaca). L’art. 79 co. 2 della Legge fondamentale della Germania parla chiaro: la maggioranza richiesta è dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat. I limiti. La principale domanda che bisogna porsi quando si parla di revi-
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la legge fondamentale dello stato. In dottrina si distingue tra limiti espliciti ed impliciti. Per quanto riguarda questi ultimi ci limitiamo a dire che tutte le costituzioni contengono una sorta di nucleo duro, costituito dai loro principi democratici e dai diritti fondamentali, che risulta inattaccabile anche senza un’esplicita previsione costituzionale. Quello dei limiti impliciti è un amplissimo territorio da esplorare con l’ausilio di dottrina e giurisprudenza, in particolare quella delle diverse corti costituzionali nazionali. Non possiamo non evidenziare a titolo di esempio un passaggio dell’importante sent. 1146/1988 Corte cost. italiana, che afferma l’esistenza di principi che pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana (come i diritti “inviolabili” di cui all’art. 2 Cost). Per quanto riguarda i limiti espliciti, in Italia l’art. 139 Cost. esclude che la forma repubblicana possa essere oggetto di revisione costituzionale. Con questa formula si limita solo apparentemente a difendere esclusivamente la forma di stato: innanzitutto si vuole difendere il carattere democratico dello stato e di tutti quei diritti indispensabili e funzionali. Escludendo l’art. 169, che vieta l’iniziativa di revisione costituzionale in tempo di guerra o in altri stati eccezionali, la Costituzione della Spagna non fa riferimento a limiti espliciti alla revisione costituzionale, ma solo una procedura aggravata nel caso di revisione totale. Il costituente francese ha individuato alcune circostanze particolarmente gravi in cui non si può procedere a revisione costituzionale (messa a rischio del territorio nazionale, presenza di un Presidente della Repubblica ad interim, cambiamento del Presidente della Repubblica o esercizio dei poteri eccezionali previsti dall’art. 16 Cost. francese). Un limite esplicito è sancito poi nell’art. 89 co. 5, per cui la forma di governo repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Vale qui il discorso fatto per l’art. 139 della nostra Costituzione. In Germania l’art. 79 co. 3 della Legge fondamentale individua tre limiti espliciti: la revisione non deve riguardare l’articolazione della Federazione in Länder, il principio della partecipazione di questi ultimi alla legislazione, i diritti inviolabili dell’uomo (art. 1) e l’ordinamento costituzionale dello stato (art. 20). Unione europea. Pur avendo caratteristiche profondamente diverse da quelle delle costituzioni nazionali, i trattati attualmente vigenti nell’Unione europea condividono i valori e i principi democratici che le hanno ispirate. In un contesto sociale ed economico sempre più legato all’esperienza
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comunitaria non ci sembra possibile trascurare in questo intervento, seppur con una breve analisi, la procedura prevista per la revisione del TUE e del TFUE. L’art. 48 TUE prevede due procedure di revisione, ordinaria e Stati membri, al Parlamento europeo o alla Commissione. Una volta trasmesso il progetto di revisione al Consiglio europeo che, qualora esprima il proprio consenso a maggioranza semplice, convoca una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commisgoverni degli Stati membri. Qualora sia stata convocata una convenzione, essa deve comunque adottare per consenso una raccomandazione alla conferenza. Esaminate e approvate dalla convenzione e dalla conferenza,
relative alle politiche e alle azioni interne dell’Unione. L’iniziativa spetta agli stessi soggetti previsti dall’art. 48 par. 2 TUE per la procedura orall’unanimità, ed essa entrerà in vigore previa approvazione (non degli Stati membri.
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DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
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Giustizia Digitale: il processo civile diventa telematico? Adriana Spina La nostra generazione ha assistito ad un fenomeno di digitalizzazione diffusa, più o meno condivisa, che ha reso pensabile l’impensabile. Basti considerare il successo avuto dall’e-book, amato da molti per la sua comodità e criticato dai difensori della cultura del libro, legati ancora all’antico rito dello sfogliare quelle pagine ingiallite e profumate. Oggi ci occuperemo di un’altra tipologia di rito, quella del processo civile. La digitalizzazione è infatti approdata anche nel campo del diritto, apportando delle grosse novità. processo civile telematico si sviluppa in seguito al piano e-Government della giustizia civile italiana, dopo ripetute minacce da parte dell’Unione Europea di comminare sanzioni all’Italia per la lentezza perabili. La giustizia digitale potrebbe essere uno strumento eccezionale di cambiamento e attualmente in nostro PCT costituisce un esempio eccellente di tale orientamento nel panorama europeo. Nasce tra il 2004 e il 2005 con una prima fase di sperimentazione, a cui è seguita nel 2007 l’attivazione del PCT presso il Tribunale di Milano, ed in seguito anche presso i tribunali di Catania, Padova, Napoli e Genova. Dal 2009 è stato reso operativo anche in altre città della Lombardia, del Veneto e del Piemonte. In queste città, la sua realizzazione è divenuta possibile attraverso la costituzione di un Punto di Accesso degli avvocati presso il tribunale, realizzato dall’ordine degli avvocati o nato da una convenzione effettuata dall’ordine stesso per raccogliere i propri utenti su un Punto di Accesso privato. L’importanza che tale fenomeno sta assumendo, è stata evidenziata, quest’anno, da un’equipe di avvocati, magistrati e personale amministrativo che ha provveduto alla redazione di un vero e proprio ‘Manifesto per la giustizia digitale’ mirante ad ottenere una riforma attuativa di alcune innovazioni per il miglioramento dei servizi informatici e per una loro più agevole diffusione. Con le normative in materia di PCT, si è cercato di attuare l’informatizdelle procedure informatiche necessari da questa. L’avvio del processo civile telematico è segnato da una serie di interventi
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normativi, il primo dei quali risale al D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti), in attuazione di una disposizione della cd. Legge Bassanini per dotare di valore legale gli atti e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici (art. 15, comma 2, L. 59/97). In seguito, il D.L. n. 112 del 2008 ( za pubblica per il 2009), ha poi previsto che:
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tuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo e-mail fornito dal procuratore della parte processuale. (art. 51); zo di posta elettronica Il quadro normativo è stato rivisto dal decreto-legge n. 193/2009. In particolare, l’art. 4 del provvedimento ha disposto che nel processo civile e nel dice dell’amministrazione digitale – CAD e del regolamento sull’utilizzo cazioni e comunicazioni devono essere effettuate per via telematica ad un e ogni ulteriore comunicazione, al consulente tecnico; L’obiettivo principale di tale informatizzazione è quello di permettere lo scambio telematico di atti giuridici digitali aventi valore legale tra le parti del processo; in tal senso gli Ordini professionali si sono attivati per la formazione dei propri iscritti all’uso degli strumenti informatici per il PCT, attraverso l’istituzione di corsi. Tra le materie regolamentate e rientranti nell’ambito del PCT troviamo il contenzioso civile, le esecuzioni mobiliari, le procedure concorsuali e il tribunale del lavoro.
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Le tecnologie utilizzate per l’avvio del PCT sono varie, ma ogni sistema deve essere dotato di: Un Punto di accesso con funzioni di PCT, Un sistema di gestione in formato elettronico dell’albo (per gli avvocati) smart card abilitati. software per la redazione e per il deposito degli atti. Attraverso il Punto di Accesso è possibile accedere in tempo reale ai dati della cancelleria e al fascicolo informatico, depositare atti a valore legale, ricevere comunicazioni dalla cancelleria, richiedere copie di atti, eseguire pagamenti telematici. Tutto questo avviene mediante una procedura soggetto che accede al sistema. Questa procedura assicura
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l’atto, l’avvenuta ricezione della comunicazione dell’atto, l’automatica abili. (ex art.3 dpr 13/02/2001, n.123) A norma dell’art. 62 D.M. 17/7/2008, possono trasmettersi in via telematica i seguenti atti aventi valore legale: Esecuzioni immobiliar di pignoramento ed iscrizione a ruolo), gli atti di parte, del custode, del perito, … Procedure concorsuali: ad esempio, l’istanza di fallimento. Procedimenti di ingiunzione: ricorso per decreto ingiuntivo. Importante innovazione introdotta con la legge di Stabilità del 2012 è l’obbligatorietà del deposito telematico, previsto dal 30/06/2014, degli atti processuali nei procedimenti civili, dall’atto introduttivo ai documenti cazione e comunicazione. Il deposito telematico avrà gli stessi effetti di legge di quello cartaceo, ma la visione delle memorie e delle comparse depositate telematicamente, sarà possibile esclusivamente attraverso la consultazione telematica dei registri di cancelleria. .«
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cessuali). 1. procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalità di cui al presente comma. a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. 2. Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione di cui al comma 1 si applica successivamente al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione. 3. Nelle procedure concorsuali la disposizione di cui al comma 1 si applica esclusivamente al deposito degli atti e dei documenti da parte del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario Il DL 179/2012 ha dunque integrato la disciplina processuale delle comurantire il principio di prossimità della giustizia, nonostante la riduzione del numero delle sedi giudiziarie. nale di Prato. Attivato a partire dal 31 Marzo 2012, il processo telematico ha avuto come conseguenza principale una diminuzione della durata media delle cause civili di oltre 2 anni, passando da 1770 giorni a 849, e tale numero sembra destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni. Un’esperienza che mette sicuramente in luce come questo processo possa migliorare i servizi giuridici, non solo in termini di costi, ma anche di tempi.
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Ma come si svolge in concreto tale processo? Innanzitutto, dobbiamo introdurre le fasi principali del procedimento: - redazione dell’atto e trasformazione nel formato previsto. L’atto telematico è un documento di testo che deve rispondere a determinati requisiti: 1) deve essere convertito in formato PDF testuale, privo di contenuti attivi (ovvero che si auto-aggiornano, come macro e campi variabili) e senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; - inserimento degli allegati (digitale) della busta - invio per il deposito - il deposito la propria casella PEC che dev’essere presente nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), presso il Ministero della Giustizia.. - la ricezione: tale momento coincide con la data e l’ora riportati nella ricevuta di avvenuta consegna emessa dal gestore di PEC del Ministero, che conserva tutti i log a lungo termine. Oltre alla ricevuta, il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente l’esito dei controlli automatici effettuati dal “dominio giustizia” e dagli operatori della cancelleria o della segreteria. È necessario dunque, in tal sede, fornire una descrizione di uno dei principali strumenti di cui si serve il PCT. Ha infatti assunto estrema importanza anche la (PEC), che permette di dare a un messaggio di posta elettronica lo stesso valore legale che avrebbe una raccomandata con avviso di ricevimento dell’orario esatto di spedizione, divenendo in tal modo opponibile ai terzi. Il contenuto di tali messaggi
del mittente e del destinatario sono entrambe caselle di posta elettronica In seguito al Decreto Legge n. 185 del 29/11/2008 convertito nella legge n. 2 del 28/01/2009 è stato introdotto l’obbligo dell’uso della Posta Elettro-
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te entro 1 e 3 anni, e per le ditte individuali entro il 30/06/2013. Anche la sperimentazione delle PEC ha avuto esiti positivi, il numero degli lioni di indirizzi telematici di imprese e professionisti italiani, consultabili ne tra cittadini, imprese, professionisti e istituzioni. Il Ministero della Giustizia conferma che, ad ottobre 2012, l’82% degli avvocati risulta dotato di PEC su scala nazionale, dal 15 ottobre 2012 le comunicazioni telematiche sono attive in tutti i tribunali e le corti d’appello. Da novembre 2011 a ottobre 2012 sono state effettuate quasi 6 milioni di oltre 20 milioni di euro . del messaggio e agli eventuali allegati. Il mittente possessore di una ca-
inalterabilità e provenienza e indirizza il messaggio al gestore PEC destimessaggio, il gestore PEC destinatario invia una ricevuta di avvenuta consegna all’utente mittente che può essere quindi certo che il suo messaggio è giunto a destinazione. Come abbiamo avuto modo di vedere, la digitalizzazione del processo civile ha prodotto ottimi risultati nel nostro sistema nazionale ed è sicuramente auspicabile una sua prossima ed ulteriore regolamentazione, ed una prosecuzione della sua diffusione a livello regionale. Possiamo affermare che il PCT potrebbe, in futuro, essere sinonimo di prossimità, celerità e certezza per il nostro ordinamento, per il momento basta dire che è sicuramente un ottimo strumento di cui il nostro processo civile dispone.
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Percorsi normativi: (Regolamento recante disciplina sull’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti) (Regolamento P.E.C.), (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), (Regolamento concernente le regole tecniche per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel processo civile e penale) (Decreto Crescita), l’art. 16-bis (Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali).
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DIRITTO DELLO STRANIERO
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Lampedusa non è un’emergenza Valentina Todeschini I primi giorni d’ottobre tutta la comunità internazionale si è fermata dinanzi al tragico episodio di Lampedusa. Tralasciando i fatti, di cui tutti, bene o male, siamo a conoscenza, e terminato il tempo dell’emozione, che oltre ad aver travolto noi ha toccato anche, sembrerebbe, le corde di molte istituzioni (Italia, Europa, Onu) è utile analizzare dal punto di vista giuridico i fatti, così da poter individuare le eventuali responsabilità e fare luce sulle attuali polemiche: 1) DIBATTITO INTORNO ALLA BOSSI-FINI. Responsabile della tragedia sarebbe, a detta di molti (quotidiani1 ,istituzioni2 ,giuristi3 capro espiatorio”, subito dopo la consumazione della tragedia si è cercato di convogliare nell’opinione pubblica l’idea che in qualche modo la legge in legge n. 125/2008, e la legge n. 94/2009) sia stata concausa della tragedia, in quanto sanzionerebbe come reato l’ingresso del migrante irregolare e inoltre, con l’odiosa eccezione del favoreggiamento all’immigrazione, avrebbe ostacolato i soccorsi; per questo, abrogandola, si eviterebbero ulteriori tragedie. L’ipotesi di reato di clandestinità delineata dall’art. 10 comma: art 10 bis: Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni .”
1 Si veda l’appello lanciato dal quotidiano Repubblica inerente all’abolizione di tale legge 2 Si vedano, tra le molte, le dichiarazione del ministro Kyenge e del premier Enrico Letta 3 Si veda, tra tutti, Stefano Rodotà “ cancellare la Bossi-Fini”, Repubblica, 9/10/2013
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Il reato di clandestinità opera solamente in un momento successivo allo sbarco, nel momento cioè in cui si pone la questione dell’ingresso regolare o meno dello straniero. Non si vede dunque la logicità nell’asserire che il 10-bis sia corresponsabile in qualche modo della tragedia, fermo restando che la norma, la quale punisce il migrante economico in ragione della sua condizione esistenziale, da grandissima parte della dottrina è criticata e 4 sapplicata. L’ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (inabrogabile, in quanto costituisce la traduzione di precisi obblighi europei in materia )5 era già presente nella prima versione del t.u.,nella cosÌddetta “TurcoNapolitano”, all’art. 12, che così enuncia: art. 12: Disposizioni contro le immigrazioni clandestine “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, la multa di 15.000 euro per ogni persona. stituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato” Al secondo comma dunque, rileva in modo palese che “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate allo straniero in caso di bisogno” L’illogicità e il cinismo che rasenta la crudeltà con cui nel post tragedia si sono pronunciate le voci più autorevoli contro questa fattispecie è dunque un bluff, un falso. Non solo l’aiuto allo straniero (irregolare) è possibile, ma 4 per una trattazione motivata del tema è largamente consigliata la lettura di “Abolire la Bossi Fini?” editoriale 14 ottobre 2013,Luca Masera e Francesco Viganò, www.penalecontemporaneo.it 5 la decisione quadro 2002/946/GAI relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali.
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costituisce in certi casi, un dovere giuridico punito penalmente. Nel caso di specie difatti (naufragio a Lampedusa, ndr), in quanto si è trattato di un naufragio, trovano applicazione le norme del codice della navigazione, ed in particolare l’art. 489, “obbligo di assistenza”, che prevede come obbligatorio il soccorso, in mancanza del quale si potrà applicare la pena prevista dall’art. 1158, “omissione di soccorso a navi o persone in pericolo”, che della persona. A livello internazionale, poi, vi sono la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS, 1974), la Convenzione sulla ricerca ed il soccorso in mare (SAR, 1979), la Convenzione della Nazioni unite sul diritto del mare (UNCLOS, 1982) , solamente alcuni dei testi da cui si desume l’obbligo di assistenza in mare in condizioni di pericolo. Sembra dunque paradossale che, non solo non si sia alzata nessuna voce autorevole a porre chiarezza sulla questione, ma anzi, le voci autorevoli abbiano strumentalmente utilizzato le false informazioni, derivanti da una popolare e per, sostanzialmente, scaricare la responsabilità su qualcosa di “altro”, ma soprattutto per dare l’illusione di poter facilmente risolvere la questione attraverso una discussione parlamentare. Questa sotto-informazione insidiosa e subdola, fatta di sentito dire e di percezioni, di notizie non documentate e di fatti riportati a metà è, a parere di chi scrive, estremamente pericolosa se sommata al clima che si respira in tema di immigrazione, costruito con dovizia in anni di sottile politica reprimente. Sembra concordare con quest’indirizzo anche parte dell’opinione pubblica dei paesi esteri: in un editoriale intitolato “Strategia letale” il quotidiano spagnolo El Pais critica con asprezza la deriva xenofoba dell’Europa, citando Francia e Spagna, ma soprattutto l’Italia, e rimprovera all’Unione la mancata presa di provvedimenti contro il Bel Paese. “Non è stato “un incidente imprevedibile”, ma “il risultato dell’indifferenza e della deriva xenofoba dell’Europa”: così, mentre Lampedusa si riempie dei morti dell’ultima tragedia dell’immigrazione, El Pais condanna “l’Europa fortezza” e il silenzio dell’Ue sugli “eccessi xenofobi” dell’ltalia.” 6 È inoltre estremamente pericolosa perché se vi fosse una chiara informazione riguardo alle disposizioni normative, ai rischi e alle responsabilità in cui incorrono le persone che, più o meno quotidianamente incorrono in 6 “il Sole 24 ore, Elysa Fazzino, Lampedusa, tragedia prevedibile. Sotto accusa «l’indifferenza e la deriva xenofoba dell’Europa» (El Pais)
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situazioni simili, probabilmente si sarebbero evitati spaventosi equivoci. Nella formula “salvare una vita umana /non salvarla (perchè si rischia la ta)” la risultante poi è la vita di una persona. 2) DIBATTITO INTORNO ALL’UNIONE EUROPEA La percezione (oltre alla necessità di abolizione della Bossi-Fini), diffusa largamente nell’opinione pubblica è che l’Europa non abbia fatto, o non faccia, abbastanza in termini di aiuti che risultano più che solidaristici, dovuti ad una Comunità che conta all’oggi 28 paesi membri e che intende portare avanti delle strategie comuni. Ciò che dunque si rimprovera all’Unione è di aver sempre considerato i periodici sbarchi che avvengono nel sud della penisola come un problema squisitamente italiano, tralasciando il fatto che l’Italia, al pari di Spagna, Grecia e Malta, per la sua posizione geeuropea. Utile appare dunque menzionare (a grandi linee) i provvedimenti adottati in materia Istituti esistenti -FRONTEX: Frontex è l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli stati membri dell’Ue, istituita con EC 2007/2004, coordina la cooperazione fra gli stati membri in materia di gestione e controllo delle frontiere esterne, fornisce assistenza nella formazione professionale delle guardie in servizio, nei controlli, nei pattugliamenti e nella vigilanza. Frontex presenta però molti limiti7 e sembra negli anni si sono susseguiti diversi regolamenti ( 863/2007 ; 1168/2011) con funzione sostanzialmente di “correttivi”. Ciononostante, appare ancora come un concreto prodotto di una comune gestione del problema degli sbarchi, tant’è che nella recente visita a Lampedusa il commissario ue agli affari esteri, Cecilia Malmstrom, ha predetto un suo potenziamento. -EUROSUR: È stato adottato dal Parlamento europeo con data 10 ottobre la proposta di regolamento che istituisce Eurosur, cioè un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere: “EUROSUR is thought as a pan-Europe7 si veda, per una trattazione più completa del tema, Bruno Nascimbene, “l’italia chiama, l’europa tentenna”, www.affariinternazionali.it
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an border surveillance system having three main objectives: - to reduce the number of irregular migrants entering the EU undetected, - to reduce the number of deaths of irregular migrants by saving more lives at sea, and - to increase the internal security of the EU as a whole by contributing to the prevention of cross-border crime.”8 Eurosur sarà applicato in Bulgaria, Estonia, Francia, Spagna, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia a partire dal 2 dicembre; per tutti gli Eurosur dovrà operare unitamente a Frontex, come ha sottolineato Cecilia Malstrom: «Eurosur rappresenta un passo decisivo in questo senso perché permetterà di proteggere le nostre frontiere esterne e aiutare quanti rischiano la vita pur di raggiungere le nostre coste. Questo nuovo strumento rafforzerà lo scambio di informazioni e la cooperazione a diversi livelli: nazionale, tra gli Stati membri, e tra questi e l’Agenzia per le frontiere dell’Unione Frontex. I nuovi centri nazionali di coordinamento e Frontex si scambieranno immediatamente informazioni su incidenti e pattugliamento. Così facendo avremo non solo più possibilità di prevenire ma sarà anche più facile individuare le piccole imbarcazioni di migranti in pericolo e fornire loro assistenza» 9 DIRITTO D’ASILO La questione delle migrazioni si complica ulteriormente se si considera che, come ha sottolineato con il suo intervento il Capo dello Stato Napolitano, i migranti ora sono prufughi, richiedenti asilo, non più (o non solo) migranti del mercato del lavoro globale. Sono “una moltitudine di apolidi prodotti dalla geopolitica e dalla geoeconomia globale”10. Di recente è (UE) n. 604/2013 (cosìddetto “Dublino III, che andrà ad abrogare il Regolamento (CE) 343/2003 , cosìddetto “Dublino II) che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. Secondo il regolamento, a gestire la richiesta d’asilo del migrante è il Paese di primo 8 www.frontex.europa.eu 9 il post, “Frontex e Eurosur, cosa sono”, 11 ottobre 2013 10 il Sole 24 ore, Bonomi, 13 ottobre 2013
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arrivo, e i recenti accadimenti hanno fatto sì che si alzasse qualche voce a richiesta di rivedere queste procedure e di ripensare, a livello europeo, la questione del diritto d’asilo. Voci che hanno incontrato un duro riscontro nel dialogo tra i paesi dell’Unione, dal momento che i Paesi che accolgono più richieste d’asilo sono quelli del Nord Europa : nel 2012 la Germania ha concesso asilo a 22.165 persone, la Francia a 14.325, la Svezia a 15.290, e l’Italia a sole 9.270 persone.11 a gestire i centri d’accoglienza per i rifugiati, e a consentire loro una condizione di vita dignitosa 12. 3) LAMPEDUSA NON E’ UN’EMERGENZA Pare opportuno sottolineare come il tragico avvenimento di otttobre non sia un’emergenza, ma una sorta di “tragica ordinaria amministrazione” che interessa ormai da molti anni le coste meridionali italiane. Come ha sottolineato Francois Crepeau, relatore speciale dell’Onu sulla protezione dei migranti, “questi morti si sarebbero potuti evitare”13 , ponendo l’attenzione sulla necessità di sviluppare dei percorsi di migrazione legale, soluzione prospettata anche da “Meltingpot Europa”, che in questi giorni sul proprio sito14 sta proponendo un appello per portare al Consiglio d’Europa del 24 e 25 ottobre (che tratterà come tema urgente i recenti sbarchi ) l’ipotesi della creazione di un corridoio umanitario in modo da aiutare dal principio i profughi, tentando di risolvere il problema delle volta era chiamato “Mare Nostrum” come invece “il più grande cimitero potranno accedere facilmente alla procedura per ottenere asilo politico, la migrazione continuerà molto probabilmente a svolgersi in modo illegale. Le istituzioni che hanno presenziato, nel post-tragedia, a Lampedusa, hanni, ma “questa reazione capovolge il rapporto causa-effetto degli eventi: 11 il Sole 24 ore, Beda Romano, 8 ottobre 2013 12 si veda: -“Lampedusa non è un’isola”, larticolo tre, rapporto sullo stato dei diritti in Italia (scaricabile in pdf dal sito www.abuondiritto.it) - di recente, L’Espresso, 17 ottobre 2013, n.41 “Sopravvissuti e dannati” 13 il mondo, 3 ottobre 2013 14 www.meltingpot.org
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dopo tutto, sono i controlli piĂš rigidi alle frontiere a costringere i migranti 15
15 , De Morgen, Hein da Haas, “Chiusura inutile� (su internazionale, 17 ottobre 2013)
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DIRITTO SPORTIVO
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Discriminazione territoriale: il calcio tra legge e tifosi Giulia Pirola “ Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, da ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori.”1 E’ così, dunque, che prende il via la vicenda che ha fatto discutere il mondo calcistico e dei media nell’ultimo mese, per poi approdare ad una soluzione normativa che sembra essere un’arma a doppio taglio ai limiti dell’ambiguo. Il 6 ottobre 2013 è stata disputata la partita di campionato Juventus-Milan (3-2), dove è avvenuto il comportamento incriminato. Infatti durante l’incontro, i tifosi milanisti hanno intonato nello stadio torinese le celebri tro, gli inviati della Procura Federale non hanno certo ben accolto le rime che, nel giro di qualche ora, sono divenute motivo di provvedimento della Figc. Le sanzioni comminate nell’immediato, applicate in automatico in quanto fondate su una responsabilità oggettiva (quindi esente da dolo o colpa), erano l’obbligo di disputare una partita a porte chiuse (MilanUdinese)e un’ammenda a carico della società di euro 50.000,00.2 Le reazioni naturalmente sono state altrettanto immediate. Se da una parte i tifosi del Milan, con un comunicato pubblicato sul sito della Curva società, vittima della normativa e dei cori, ha subito promosso ricorso alla Corte di Giustizia Sportiva e gli abbonati, a loro volta, hanno minacciato di presentare una class action in caso di mancata soddisfazione del medesimo ricorso. D’altra parte non si è registrato silenzio nemmeno dalle altre fazioni ultrà italiane: il tifo organizzato neroazzurro con un 1 Art. 11 C.G.S. (Codice di Giustizia Sportiva) – Responsabilità per comportamenti discriminatori 2 Art. 18 C.G.S. – Sanzioni a carico delle Società
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poli ha intonato Napoli colera e adesso chiudeteci la curva” in segno di solidarietà agli ultrà settentrionali, senza contare la fazione juventina che a sua volta ha contribuito con un comunicato. Vediamo dunque le più grandi tifoserie italiane unite per la stessa causa, concordi nell’opporsi ad “un altro inutile ed incostituzionale meccanismo per discriminare il popolo ultrà, condannando la libera espressione di pensiero”. Non mancano, poi, ulteriori adesioni nel mondo tifoso come quella del Genoa, del Brescia e altre ancora. Alla luce di tali avvenimenti e delle aspre polemiche scaturite dal provvedimento sanzionatorio, la Corte di Giustizia Sportiva l’11 ottobre ha emanato un’ordinanza interlocutoria 3, nella quale, in sostanza, si attesta la necessità di una “valutazione concreta, in punto di fatto, della portata, dimensione, provenienza e percepibilità della manifestazione oggetto di sanzione” e del bisogno di un suo approfondimento istruttorio, con la conseguenza che il provvedimento oggetto di reclamo è stato sospeso. In aggiunta, il 16 ottobre si è tenuto il Consiglio Federale in cui si è discussa la questione, arrivando alla conclusione di cambiare l’applicazione della norma incriminata.4 Infatti l’art 16,5 nella sua nuova formulazione, prevede che “gli organi della giustizia sportiva possono sospendere l’esecuzione delle sanzioni disciplinari comminate alle società. Con la sospensione della esecuzione della sanzione, gli organi di giustizia sportiva sottopongono la società ad un periodo di prova di 1 anno. Se durante il periodo di prova, si incorre nella stesa quella comminata per la nuova violazione”. di Giustizia Sportiva della Figc, a proposito del sistema sanzionatorio, fermo restando il principio della discriminazione territoriale e il quadro normativo esistente in sede FIFA, UEFA, CIO e CONI. Sostanzialmente si fa ricorso ad una sospensione condizionale della pena per un anno, con applicazione della stessa ai club in caso siano recidivi. canti6 , che viene così accresciuto. Saranno pertanto punibili solamente i cori “ben percepiti” e il giudizio dovrà essere dato sulla base “della
4 Art. 16 C.G.S. – Poteri disciplinari 5 Attuativo della normativa UEFA, in vigore dal giugno 2013 6 Art. 16 C.G.S. Nuovo Testo : nazionestampa.pdf
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dimensione e della percezione reale del fenomeno7 “. Perciò non si è loro immediata applicazione, tant’è che lo stesso Giancarlo Abete, presidente della Figc, ha sottolineato come “non introducendo attenuanti sostanziale di quanto prima facie risulti, poiché i nuovi parametri di “dimensione e percezione reale” sono tutt’altro che univoci ma, piuttosto, idonei a consentire un’interpretazione della norma ben più circoscritta, tale da limitarne l’applicabilità. Quali sarebbero infatti i criteri per stabilire con certezza l’intensità della discriminazione posta in essere? Lo stesso presidente della Lega calcistica di serie A, inoltre, nella sua lettera ad Abete, commenta la sanzione prevista dal Codice di Giustizia Sportiva, sottolineando i suoi dubbi sugli effetti distorsivi dell’attribuzione di una responsabilità oggettiva in un quadro applicativo ambiguo: “cori valutati in maniera difforme da organi diversi (Procura Federale e Forze dell’ordine) nella stessa partita o dagli stessi organi (Procura Federale) in partite diverse, provvedimenti disciplinari dalle conseguenze economiche assai penalizzanti per le società assunti in esito a comportamenti di sparute minoranze di spettatori allo stadio; lesioni di diritti rivendicate da spettatori abbonati ritrovatisi nell’oggettiva impossibilità di utilizzare il proprio titolo di accesso, per colpe non proprie”. In conclusione la situazione al momento pare essersi acquietata. La sanzione comminata all’AC Milan è stata sospesa, sicchè la soluzione adottata soddisfa tanto la società quanto i tifosi. Risulta però evidente, alla luce delle considerazioni appena svolte, che, se è vero che nel caso in esame si ottiene apparentemente quanto auspicato, è anche vero che ciò questione. Ecco perché sembra lecito aspettarsi che si riproponga il problema nel futuro e non è detto che la conclusione sarà altrettanto soddisfacente per le società.
7 Art. 11 C.G.S. Nuovo Testo : nazionestampa.pdf
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DIRITTO
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Armi da fuoco negli Stati Uniti, tra diritto e tradizione Erik Brouwer
“A well regulated militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed” za di quella statunitense, in particolar modo nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, da questa parte dell’Atlantico abbiamo sempre Stati Uniti. Grandi dibattiti accompagnano ogni strage attuata attraverso l’uso di questi mortali strumenti di offesa nelle più disparate situazioni urbane, ma la maggior parte degli europei non riesce a spiegarsi come sia possibile che ampie fasce della popolazione, nonché la quasi totalità del Partito Repubblicano, prenda in tali discussioni una posizione nettamente contraria alle restrizioni sulla vendita e sulla detenzione delle armi da fuoco. Questa nostra incomprensione non deve però impedirci di analizzare la questione da un punto di vista più profondo, ma deve anzi essere uno stimolo a scoprire le vicende storiche, giuridiche e culturali che hanno portato gli Stati Uniti ad essere la nazione con il più alto numero di armi per cittadino al mondo. Il II emendamento Il nocciolo della questione sta nella Costituzione degli Stati Uniti e, più precisamente, nel secondo emendamento, introdotto nel 1791. Esso fa parte, insieme ad altri nove emendamenti, del Bill of Rights, ideato due anni dopo la stesura della Costituzione (1787) per garantire alcuni diritti individuali fondamentali, ed il cui autore principale è considerato James Madison, in seguito quarto Presidente degli Stati Uniti (1809 – 1817). Il testo originale della norma (sopra riportato) dalla sintassi arcaica, oggi fonte di infelici disguidi, può essere così tradotto: “Essendo una milizia ben addestrata necessaria per la sicurezza di uno Stato libero, il diritto delle persone a detenere e portare armi non sia infranto”. Prima di giungere ad un’analisi sull’odierna applicabilità del testo, è importante comprenderne le origini ed il motivo per cui si è deciso di introdurre una simile enunciazione tra i
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principi ritenuti fondamentali per l’individuo, quali la libertà di espressione, il diritto alla riservatezza e la garanzia di un giusto processo, solo per citarne alcuni. Per effettuare il primo passo, gli studiosi ritengono solitamente necessario tornare indietro di un secolo, al Bill of Rights inglese del 1689. Tale atto contiene infatti già una prima garanzia della libertà di possedere armi. Leggendo il testo, però, di gran lunga più esteso del Bill of Rights statunitense, si può chiaramente notare come, nel passaggio che a noi interessa, il diritto alla detenzione delle armi si inserisse in una più larga concezione di diritto alla difesa personale, diritto a sua volta ausiliario del primario e naturale diritto alla vita. Inoltre tale diritto era inteso non come un diritto di ciascuno ad avere un’arma, ma come il diritto di non essere spossessati che tale diritto è concesso “as allowed by law”, cioè secondo disposizioni di legge. Abbiamo dunque un diritto che è inserito in un contesto tutto sommato ben delimitato e lontano dall’enunciato del II emendamento statunitense. Bill of Rights britannico, per lo meno per quanto riguarda il secondo emendamento, è quindi forse da considerarsi marginale. Il contesto da cui nacque questo principio è difatti sostanzialmente un altro: gli Stati Uniti avevano in quegli anni da poco ottenuto l’indipendenza dal dominio britannico (1776) e si apprestavano, dopo la redazione della Costituzione, a formare uno Stato federale. Già durante le prime rivolte, i cittadini degli Stati, allora colonie, avevano subito un embargo sulle armi da fuoco da parte dell’Inghilterra, ed ora temevano che il rischio si potesse ripresentare con il passaggio del controllo delle forze armate dai singoli Stati al governo federale. La milizia di cui si parla nel testo dell’emendamento era considerata come uno strumento di opposizione ad una possibile nuova soggezione ad un potere dispotico. Il diritto a portare le armi, in altre parole, con la connessa possibilità di formare gruppi armati di carattere statale, era considerato, in particolare dai federalisti meno convinti, come un potenziale controllo contro il rischio di una deriva tirannica del governo. Questo si evince benissimo dalle parole di James Madison, il quale asseriva: “Citizens should never fear their government, because of the advantage of being armed” (I cittadini non dovrebbero mai aver paura del proprio governo, poiché hanno il vantaggio di essere armati). Ancora, Noah Webster (1758 – 1843), importante intellettuale statunitense, scriveva in merito all’argomento: “Before a standing army can rule the people must be disarmed; as they are in almost every kingdom in Europe. The supre-
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me power in America cannot enforce unjust laws by the sword; becauase the whole body of the people are armed, and constitute a force superior to any band of regular troops that can be raised in the United States” (Prima che un esercito possa governare, le persone devono essere disarmate, così come sono in quasi ogni regno d’Europa. Il supremo potere in America non può imporre leggi ingiuste con la spada, perché l’insieme della popolazione è armato e costituisce una forza superiore a qualsiasi insieme di truppe regolari che possa essere costituito negli Stati Uniti). Queste parole, più di ogni altra cosa, ci possono spiegare la vera essenza dell’emendamento e la sua origine storica. In merito al testo, va sottolineato che esso è frutto di una lunga rielaborazione e discussione. In particolare è interessante notare come, con il susseguirsi delle varie versioni proposte, si siano persi gli iniziali riferimenti chiameremmo “obiettori di coscienza” dalla possibilità di poter essere reclutati. Anche la punteggiatura è stata rivista più volte. Non potendo analizzare, per motivi di economicità della trattazione, le varie dottrine che si sono sviluppate in materia negli ultimi due secoli, pare opportuno soffermarsi per lo meno sulla discussione che si è sviluppata nella seconda metà del XX sec. in merito alla portata del II emendamento. In particolare, la discussione si è focalizzata sul capire se la norma andasse interpretata come volta a tutelare un diritto individuale o collettivo. Il perno della questione sta, ovviamente, nella prima parte del testo, quella riguardante la milizia. Tre sono le diverse teorie che sono emerse: a) L’emendamento è da considerarsi strettamente collettivo. Esso non si applica agli individui, ma riconosce il diritto di ogni Stato ad armare la propria milizia; b) L’emendamento riconosce qualche limitato diritto individuale, che può essere esercitato soltanto da soggetti che partecipano attivamente in una milizia funzionante ed organizzata; c) L’emendamento garantisce un diritto individuale a detenere e portare armi, essendo queste strumento per difendersi dalla minaccia di una tirannia governativa. La parte del testo riguardante la milizia andrebbe dei mezzi attraverso i quali è possibile raggiungere lo scopo ultimo (difensivo/preventivo), nonché riferita ad una realtà caratteristica dell’epoca in cui fu emanato il Bill Of Rights, ma non vincolante in alcun modo il diritto principale. Tale tesi è sostenuta anche dalla precisazione, contenuta nel
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testo, che il diritto si riferisce alle persone in genere, e non solamente alla milizia, come espresso dalla formula “[…] the right of the people […]”. Quest’ultimo orientamento è risultato poi prevalente1 ed è ancora oggi alla base delle argomentazioni di quella folta schiera di individui che si batte per contrastare l’aumento (o la permanenza) di controlli, statali e federali, sulla vendita e la detenzione di armi da fuoco. La cultura delle armi da fuoco negli Stati Uniti di oggi L’argomentazione sopra esposta, difesa dai sostenitori della politica dei c.d. gun rights un ordinamento democratico come quello che è in vigore attualmente negli Stati Uniti. La lotta che i conservatori, tra i tanti, portano avanti per la difesa della libera diffusione delle armi va forse ricercata in fattori diversi e, senz’altro, molto più recenti del timore di un ritorno del re d’Inghilterra nelle sue vecchie colonie. Il primo di questi fattori si ritrova nell’analisi di alcuni dati legati ad un fenomeno molto importante negli Stati Uniti: la caccia. Si stima che nel Paese siano attivi regolarmente circa 14 milioni di cacciatori, pari a circa il 5% della popolazione, ma secondo alcune statistiche sono quasi 45 milioni gli statunitensi che hanno imbracciato almeno una volta nella vita un ha mosso nel 2011 un giro d’affari di circa 23 miliardi di dollari di attrezzatura sportiva (quindi fucili compresi), contribuendo, tra licenze ed attrezzatura, per l’1% del PIL degli Stati Uniti. Esso fa parte della cultura di molti Stati, con un fortissimo radicamento negli Stati rurali del sud, ed è viene visto come una maniera per trascorrere del tempo all’aperto con gli amici o i parenti. Da molti cacciatori le restrizioni sulla detenzione delle armi vengono viste come un attacco ad una cultura ed uno stile di vita che si trasmette nelle famiglie da generazioni. Vi è inoltre un enorme mercato di controlli imposti ai venditori commerciali, e che teme, come è stato già proposto a più riprese, di vedere limitata fortemente la libertà dei privati di commerciare tra loro liberamente. Per questo tantissime associazioni sportive, a parte rare eccezioni come la American Hunters and Shooters Association (AHSA), si schierano contro le proposte a favore di un maggiore 1 Due recenti sentenze della Suprema Corte degli Stati Uniti hanno ribadito questa posizione: District of Columbia v. Heller (2008) e McDonald v. Chicago (2010)
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controllo. Non certo irrilevante è poi la sorprendente diffusione dei poligoni da tiro (sono circa 18.000 solo quelli indoor), luoghi in cui ci si allena o, più semplicemente, ci si ritrova con gli amici, frequentati da molti appassionati anche al di fuori dell’ambiente della caccia. Quest’ultima, infatti, per quanto importante, non è l’unico motivo che porta molti statunitensi a dotarsi di un arma. Anzi, secondo un sondaggio del 2005, circa il 67% di chi possiede un’arma da fuoco sostiene di averla acquistata per motivi di difesa personale. I sondaggi, spesso sbandierati dai sostenitori dei gun rights, secondo i quali la maggiore diffusione delle armi tra la popolazione ridurrebbe il analisi in questa sede. Un altro fattore importante è quello del costo delle armi e delle munizioni, nonché della facilità con cui è possibile reperirle. Nonostante i controlli in vigore, di cui poi parleremo, è oggi possibile comperare una pistola da feriore ai 100$. Le pallottole non superano i pochi centesimi al pezzo. Emblematico è l’esempio, senz’altro estremo, ma molto rappresentativo della cultura statunitense, contenuto nel documentario “Bowling for Columbine” (2002), dove il regista, Michael Moore, si reca in una banca ad aprire un conto corrente e in omaggio gli viene offerto un fucile da caccia (altro che i nostri tablet!). Ma la diffusione facile non si ferma agli adulti. L’azienda Keystone Sporting Arms produce ogni anno circa 60.000 fucili “Crickett” in scala ridotta studiati apposta per i giovani tiratori, venduti al pubblico intorno ai 130 dollari l’uno (disponibile anche in rosa per le giovani tiratrici). Pare interessante riportare una testimonianza di un cliente, che sul sito dell’azienda2 scrive3 6 anni, voleva che Babbo Natale le portasse il suo primo fucile. Quando la maestra a scuola ha chiesto alla classe di scrivere una letterina, esprimendo cosa avessero voluto per Natale, lei ha scritto “voglio un vero fucile della mia misura”. La maestra disse che non poteva scrivere ciò a scuola e le fece riscrivere la lettera. Quando l’ha raccontato a me e a sua madre abbiamo deciso di comprargliene uno ad ogni costo. Qualche settimana glia si è dimostrata molto responsabile. A Natale, quando ha scartato il suo era felicissima. Qualche giorno fa ha abbattuto il suo primo scoiattolo da 13 metri di distanza.”. 2 www.crickett.com 3 La dichiarazione è stata tradotta e rielaborata, per vedere l’intervento originale andare sul sito sopracitato.
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te in tutto il contesto. Ogni anno lo Stato nordamericano produce circa 5 milioni e mezzo di armi da fuoco destinate al pubblico (quindi sono esclusi gli armamenti militari, i fucili d’assalto e le mitragliatrici), con un’industria che impiega circa 220 mila persone ed ha un impatto sull’economia del Paese che si aggira intorno ai 33 miliardi di dollari ogni anno. Non sorprende dunque che le lobby legate a questo mondo facciano tutto il possibile per evitare che si giunga ad una diminuzione nella vendita della armi, siano esse per sport o per difesa personale. La più importante associazione di lobbying in materia di armi presente negli Stati Uniti è la suo sito www.nra.org, “America’s longest-standing civil rights organization” (l’organizzazione per i diritti civili più longeva d’America). Fondata nel 1871, conta oggi circa 5 milioni di iscritti. La rivista Fortune l’ha spesso visto che nel 2008 si stima che abbia speso un totale di circa 10 milioni di dollari per la produzione di campagne pubblicitarie anti-Obama e che nel 2012 ha appoggiato la candidatura del repubblicano Mitt Romney con una generosa donazione di 3,4 milioni di dollari. Il dibattito in merito avere sulle scelte nazionali è più che mai attuale, non solo negli Stati Uniti. Rimane poi da sottolineare che, dalla sua fondazione ad oggi, la NRA ha visto tra i suoi membri: otto presidenti degli Stati Uniti (tra cui George W. Bush), due vicepresidenti, due giudici della Suprema Corte e numerosi membri di Congresso e Senato. Negli Stati Uniti vi sono principalmente due leggi a livello federale che regolano la materia della vendita e della detenzione di armi da fuoco: il National Firearms Act del 1934 ed il Gun Control Act del 1968, poi emendato dal Brady Handgun Violence Prevention Act del 1993. Tali leggi rappresentano lo “standard minimo” della disciplina a cui i vari Stati devono attenersi, i quali poi sono liberi di integrare con leggi più restrittive, come effettivamente accade in alcune zone del Paese. Il National Firearms Act (1934) fu emanato originariamente per contrastare la diffusione di armi da fuoco particolarmente letali, quali mitragliatrici o fucili a pompa, che venivano utilizzate a quei tempi su larga scala dai gangster. Regolava inoltre alcuni aspetti della produzione e della distribuzione delle armi.
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Il contrasto al crimine e alla violenza furono l’obiettivo perseguito anche dalla seconda legge sulle armi del 1968, il Gun Control Act (GCA). È interessante notare che nel testo di legge il legislatore si è preoccupato di precisare che l’intento non fosse quello di inserire, per i cittadini rispettosi della legge, alcun limite non necessario al diritto a comperare, possedere od usare armi. Esso contiene restrizioni a livello federale sul commercio domestico di piccole armi e relative munizioni. Viene inoltre imposta una licenza federale obbligatoria per la produzione, l’importazione o la vendita di armi da fuoco. Si prevedono determinate categorie di persone a cui la vendita di armi è proibita (come persone sotto una determinata età o con precedenti penali di un certo tipo) e si introduce l’obbligo per i negoarmi. Il GCA viene emendato nel 1993 dal Brady Handgun Violence Prevention Act. Tale legge è dedicata a James Brady, portavoce del presidente Reagan, ferito da un colpo di pistola durante un fallito attentanto del 1981 e da allora paralizzato. Esso ha introdotto l’obbligo di un controllo sul background di tutte le persone che fanno richiesta di acquistare un arma da fuoco. Tale indagine rimane esclusa per le transazioni private, materia che viene delegata alle leggi statali e locali. Prima di questa legge, che ha portato importanti risultati negli Stati Uniti, gli acquirenti dovevano sem-
Il 14 dicembre 2012, alla Sandy Hook Elementary School di Newtown, Connecticut, il ventenne Adam Lanza ha ucciso 20 bambini e 6 adulti con il fucile della madre, prima di togliersi a sua volta la vita. Questa strage, una delle tragedie più forti che abbiano colpito gli Stati Uniti negli ultimi anni (ma non di certo l’unica, per farsi un’idea basta cercare su Wikipedia la lista delle sparatorie nelle scuole degli Stati Uniti), ha riaperto il dibattito sul controllo delle armi nel Paese. L’amministrazione Obama ha elaborato nel 2013 una proposta di legge che introducesse nuove norme sul controllo nella vendita della armi che prevedessero controlli di background più approfonditi, anche grazie allo scambio di informazioni tra gli Stati, nonché la proibizione delle vendita di armi pesanti (anche se molte sono già state bandite in passato) e di caricatori con una capacità superiore ai dieci colpi. Il progetto prevedeva anche maggiori fondi per i servizi di assistenza psicologica ai cittadini e per i corsi di sicurezza nell’uso delle armi,
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nonché criteri più stringenti per la determinazione dei “requisiti psichici minimi” per l’acquisto di armi. La proposta è stata bocciata in aprile dal Senato. La senatrice democratica Gabrielle Giffords ha commentato così il risultato della votazione: “It is clear to me that if the members of the US Senate refuse to change the laws to reduce gun violence, than we need to change the members of the US Senate” allora dobbiamo cambiare i membri del Senato degli Stati Uniti).
Qualche dato4 Tasso di armi possedute dai civili, ogni 100 abitanti: IT 12 US 101 Tasso di morte per ferite da arma da fuoco, ogni 100.000 abitanti: IT 1,28 US 10,3 Tasso di suicidi con armi da fuoco, ogni 100.000 abitanti: IT 0,36 US 3,6 Morti per colpi da fuoco esplosi non intenzionalmente, anno 2011: IT 49 US 851 Ferite non mortali dovute ad armi da fuoco, anno 2011: IT n.d. US 73.833
4 www.gunpolicy.org; dati 2011
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Il bilanciamento fra diritto di cronaca e tutela dell’onore nella giurisprudenza della CEDU: la proporzionalità della sanzione Francesco Bertolino Diversi articoli della Costituzione italiana attribuiscono agli individui diritti fondamentali e assegnano al legislatore il potere-dovere di proteggerli, nonché di favorirne il godimento e lo sviluppo. Facendo pur sempre dissolubilmente legati al sistema democratico e ai suoi valori fondanti: si pensi, ad esempio, a quel particolare aspetto della libertà di pensiero che va sotto il nome di diritto di cronaca. Il suo esercizio è principale prerogativa di riviste e giornali, oltre che degli altri organi di informazione. Come detto, il legislatore non solo deve astenersi dal violare i diritti costituzionalmente protetti, ma ha anche il compito di porre le condizioni perché essi siano effettivi. Compito nella pratica tutt’altro che agevole, se solo si considerano le innumerevoli interazioni possibili fra i diritti in questione; spesso, perciò, occorre fare ricorso al cosiddetto bilanciamento Corte Costituzionale. A tale proposito, la Suprema Corte, si è recentemente pronunciata in merito alla vicenda della chiusura dell’acciaieria ILVA di Taranto1 , un’azienda i cui livelli d’inquinamento erano stati giudicati dal GIP incompatibili con il diritto alla salute. Poco tempo dopo, il Governo era intervenuto con un messo all’ILVA di riprendere la produzione, tutelando così il contrapposto diritto al lavoro. Sollevata da parte dello stesso GIP la questione di legittimità costituzionale , la Corte ha ricordato i requisiti che il legislatore deve rispettare perché il bilanciamento normativo possa ritenersi ragionevole. La legittimità della soluzione legislativa dipende dal rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. Innanzitutto, dunque, la misura è illegitadottandone una differente. In secondo luogo, poiché non esiste gerarchia fra i diritti che godono di copertura costituzionale, una norma che facesse prevalere uno degli interessi in gioco a totale detrimento dell’altro sarebbe egualmente irragionevole: il misconoscimento del nucleo essenziale di 1 Corte Costituzionale, sentenza 85/2013
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un diritto costituzionalmente protetto contravviene al principio di proporzionalità. sere trovato e cristallizzato una volta per tutte dal legislatore: il bilanciamento è, infatti, un istituto dinamico che richiede un continuo aggiornamento alla luce delle nuove e diverse sensibilità sociali ed istanze culturali che inevitabilmente emergono nel corso degli anni. In una considerazione globale della protezione delle libertà fondamentali occorre tener presente che la gran parte dei diritti protetti dalla Costituzione riceve tutela anche a livello internazionale attraverso strumenti pattizi quale la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, istitutiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito CEDU) con sede a Strasburgo. Con la sentenza 2913 del 24 settembre 2013, dando seguito a un ricorso del giornalista M.Belpietro, quest’ultima ha avuto modo di utilizzare proprio la tecnica del bilanciamento in relazione al diritto di libertà di manifestazione del pensiero e all’interesse dello Stato a punire abusi correlati all’esercizio di tale diritto.2 Nel caso di specie, il ricorrente lamentava la violazione da parte dello Stato italiano dell’articolo 10 che sancisce la libertà d’espressione e di comunicazione delle proprie opinioni: l’articolo 57 del Codice Penale italiano si porrebbe in aperto contrasto con il diritto di cronaca, limitandolo in direttore di un periodico, che ometta il controllo necessario ad impedire che vengano commessi reati per il tramite della pubblicazione di cui è responsabile, sia «punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.». un Senatore un articolo, nel quale si asseriva l’esistenza di una “guerra” intestina fra il pool di pubblici ministeri e i carabinieri incaricati delle indaneva che i magistrati avrebbero deviato dalla loro funzione istituzionale, deliberatamente di esercitarli. Gli interessati presentarono querela per diffamazione nei confronti del Senatore, chiamando in causa proprio in forza dell’articolo 57 del Codice a procedere: la Camera di appartenenza riconobbe che l’opinione lesiva 2 Belpietro c. Italie, ricorso 43612/10
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dell’altrui reputazione era stata espressa nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, la cui insindacabilità è garantita dal comma 1 dell’articolo 68 della Costituzione. Per il secondo, l’iter processuale proseguì sino alla Corte di Cassazione sospesi) e al pagamento di un risarcimento ai querelanti costituitisi parte civile, così confermando la precedente sentenza d’appello. Grazie al susseguente ricorso del Belpietro, la CEDU ha avuto modo di pronunciarsi sul bilanciamento fra il diritto di cronaca e la «protezione della reputazione e dei diritti altrui» che pure l’articolo 10 della Convenzione bertà d’espressione a «formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni [...] necessarie in una società democratica.». Il ragionamento della Corte trae origine dalla considerazione del merito della vicenda: secondo i giudici di Strasburgo, i magistrati italiani avevano giustamente ritenuto diffamatorio il contenuto dell’articolo procedendo a un corretto apprezzamento dei fatti e validamente argomentando in punto di diritto. L’articolo 10 della Convenzione riconosce ai giornalisti il diritto di comunicare informazioni su questioni d’interesse generale, purché essi agiscano in buona fede e nel rispetto dell’etica giornalistica, controllando, nei limiti del possibile, l’esattezza e la credibilità delle loro fonti: le gravi accuse contenute nell’articolo non appaiono, al contrario, supportate da elementi oggettivi tali da ritenere sussistente l’esercizio del diritto di cronaca. Per giurisprudenza costante, 3 la CEDU giudica legittimo argine all’espansione del diritto di cronaca la necessaria osservanza dei principi di verosimiglianza dei fatti riportati e di continenza nell’espressione delle proprie opinioni. Pur riconoscendo che l’apprezzamento del carattere diffamatorio dei giudizi di valore, data la loro intrinseca soggettività, debba essere più prudente, la Corte ritiene che essi non possano essere sprovvisti di limiti del diritto di cronaca, basando il suo giudizio su fatti la cui veridicilesione dell’onore dei magistrati. Nemmeno poteva essere ritenuto rilevante il fatto che non si fosse potuto procedere nei confronti dell’autore della diffamazione a causa dell’autorizzazione negata dal Senato: il comma 1 dell’articolo 68 della Costituzione ha come scopo la tutela della libertà d’espressione del parlamentare e 3 Cfr. Perna c. Italie, n° 48898/99, CEDH 2003-V
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si pone come una causa personale di esclusione della punibilità,4 che, in quanto tale, non esclude l’illiceità del fatto e non si estende ad eventuali corresponsabili. no dell’articolo 10 della Convenzione: la libertà d’espressione è protetta da una riserva di legge e una sua limitazione è ammissibile solo se persegue uno degli scopi previsti dalla norma della Cedu e se tale restrizione appare necessaria in una società democratica. L’articolo 57 del Codice Penale soddisfa senza dubbio i primi due requisiti: è una legge e mira a proteggere la reputazione e i diritti altrui da un uso della norma internazionale in esame. Quanto alla condizione della necessarietà in una società democratica, la questione merita un maggior approfondimento. L’aggettivo “necessario” implica «l’esistenza di un bisogno sociale imperativo», nel determinare il quale gli Stati godono di un margine di discrezionalità. L’apprezzamento del legislatore statale non è, tuttavia, esente dal L’ingerenza nella libertà d’espressione deve, inoltre, essere proporzionata to sancito dall’articolo 10 in maniera irragionevole, compromettendone l’esercizio anche nei casi in cui non è in gioco la tutela di diritti contrapposti di pari rango. La stampa, infatti, riveste un ruolo eminente in una società democratica e la Convenzione le riconosce il diritto di esprimersi su qualunque argomento di interesse generale; al diritto dei giornalisti di diffondere informazione, poi, è correlato il diritto del pubblico di essere informato. Proprio per l’importanza dell’informazione nella costruzione della pubblica opinione, la stampa, il “cane da guardia della democrazia”, non sopporta limitazioni né sanzioni eccessive, che ne insidierebbero le capacità di analisi ed inchiesta. A tale proposito, la Corte aveva già avuto modo di pronunciarsi sulla proporzionalità di leggi che condannavano a pene carcerarie o all’interdizione dall’esercizio della professione i giornalisti che si erano resi colpevoli di diffamazione5 4 Cass. Pen. 15 Febbraio 2008, n.15323; v, però, in senso contrario: Cass. Pen. 24 novembre 2006, n.38944 5 Cumpana et Mazare c. Roumanie
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competenza del legislatore nazionale, la Corte di Strasburgo si riserva il della Convenzione. La previsione di pene detentive ed interdittive per reati commessi a mezzo stampa realizza un’esagerata compressione della libertà d’espressione giornalistica garantita dall’articolo 10 della Cedu, violando il principio di proporzionalità. L’unica eccezione ammessa dalla Corte riguarda i casi in cui vengano gravemente lesi altri diritti fondamentali, ad esempio attraverso la diffusione a mezzo stampa di discorsi di odio la carcerazione. Per questi motivi, la Corte conclude che «la natura e la pesantezza delle allorché si tratti di valutare la proporzionalità dell’ingerenza» del legislatore nazionale in una delle libertà tutelate dalla Convenzione. Riguardo alla questione oggetto del ricorso, la Corte ritiene che la condanna del Belpietro a quattro mesi di carcere in forza dell’articolo 57 del Codice penaprotezione dell’onore personale perseguiti dal legislatore e rispetto alla gravità dell’omissione di cui il direttore si è reso responsabile. Nel dispositivo, dunque, la Corte ha condannato lo Stato italiano al pagamento di un’equa soddisfazione al ricorrente sotto forma di risarcimento zione della sospensione condizionale della pena detentiva). La decisione della CEDU non rappresenta un parere isolato dei giudici di Strasburgo, ma si pone in linea di continuità con un’esigenza che da più parti era stata avvertita già in altri casi simili; basti citare il recente intervento del Presidente della Repubblica a commutare in pena pecuniaria medesima disposizione penale. In una prospettiva più generale, bisogna notare la crescente insofferenza dell’opinione pubblica, e del sindacato unitario dei giornalisti (FNSI) in particolare, nei confronti del rigore della legislazione penale italiana sulla diffamazione a mezzo stampa, per la quale è sovente prevista la detenzione. Comprensibile risulta la preoccupazione della Corte di Strasburgo di porre un argine all’indiscriminata previsione per i reati d’opinione della pena carceraria: infatti, la libertà d’espressione è un valore fondamentale e irrinunciabile e sanzioni troppo severe si risolverebbero in un deterrente
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sogna dimenticare che nel sistema costituzionale italiano la detenzione è considerata quale extrema ratio e dovrebbe essere comminata dal legislazione del bene giuridico e alla rieducazione del reo. Parte della dottrina ha però fatto notare che l’esclusiva previsione di pene pecuniarie rischia di far rientrare la diffamazione in una logica, per così dire, di mercato: l’editore, specie se facoltoso, potrebbe considerare di “mettere a bilancio” la diffamazione, qualora abbia modo di ritenere che i costo. Dunque, esclusa la possibilità di ricorrere al carcere, il legislatore potrebbe prevedere una pena accessoria tale da assicurare un’effettiva soddisfazione alla vittima della diffamazione: ad esempio, obbligando il quotidiano a pubblicare la notizia dell’avvenuta condanna del responsabile e la rettialmeno eguale a quello che aveva avuto l’articolo diffamatorio.
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(Ir)retroattività della Legge Severino Niccolò Scremin Il decreto legislativo 31 dicembre 2012 n. 235, meglio noto come Legge Severino, venne acclamato a furor di popolo come mezzo principale per prevenire e reprimere la corruzione nella Pubblica Amministrazione. Presentata da quasi tutte le forze politiche come colonna portante di un nuovo assetto parlamentare ed elemento innovativo della politica nazionale, venne approvata dalle camere in data 17 e 31 ottobre 2012, quasi all’ unanimità, riportando rispettivamente 256 voti favorevoli, 7 contrari e 4 astenuti al Senato e 480 voti favorevoli, 19 contrari e 25 astenuti alla Camera. I numeri di queste votazioni colpirono per l’effettiva coesione e compattezza espressa da partiti politici, a tal punto antagonisti, che mai ci si sarebbe aspettata una così spiccata unità d’azione. L’impressione che derivava era quella di voler sostenere unanimamente un impegno di trasparenza nei confronti dei cittadini italiani. Silvio Berlusconi, è evidente come partiti che avevano sostenuto incondizionatamente la linea delle “liste pulite”, facendone un reale cavallo di battaglia durante l’ultima campagna elettorale, abbiano dovuto rivedere la loro posizione nei confronti di questa legge, cercando espedienti per demolirne la costituzionalità e di evitarne l’ applicazione per il suddetto episodio, dando vita ad un vero e proprio caso mediatico. Le problematiche ruotano intorno a diversi quesiti su cui giuristi ed esperti esprimono pareri differenti. Ci si chiede se il decreto che stabilisce decadenza e incandidabilità sia di applicazione automatica oppure se per decidere sia necessario il voto delinoltre se si sia in presenza di una norma penale (di sfavore) retroattiva, quindi incostituzionale per violazione dell’ art. 2 cp co 1 che rappresenta diretta emanazione dell’ art. 25 cost. co. 2. Si ricorda che la ratio della norma, pone un divieto di applicare retroattivamente una legge penale successiva sfavorevole all’agente, in quanto il principio di certezza del diritto impone che il soggetto debba essere a conoscenza, già prima di porre in essere un certo comportamento, di quali
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saranno le conseguenze dal punto di vista penale insieme alle eventuali sanzioni che ne conseguiranno. Per legge penale sfavorevole si intende una legge di diritto penale sostanvole per l’ agente. La violazione del principio di irretroattività della norma sfavorevole all’ agente è sinonimo della perdita di garanzie che uno stato deve assicurare. La stessa Corte Costituzionale ha infatti più volte ribadito questo principio; analogamente esso viene riconosciuto dal diritto internazionale (rispettivamente CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea). E’ utile elencare le categorie per le quali il decreto prevede l’incandidabilità, sia per il Parlamento italiano che per quello europeo: clusione per i delitti, consumati o tentati, di maggiore allarme sociale (ad sione per i delitti, consumati o tentati, contro la Pubblica Amministrazione (ad esempio corruzione, concussione, peculato); sione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni. Si tratta, in questo caso, di tutte le fattispecie criminose più gravi per le quali è anche possibile applicare la custodia cautelare in carcere e che, secondo un principio di ragionevolezza e proporzionalità nella limitazione dell’elettorato passivo, sono state individuate sulla base di un indicatore oggettivo, predeterminato, senza operare alcuna selezione nell’ambito di una lista di reati che potrebbe apparire arbitraria. Venendo ora alle questioni di legittimità, autorevoli giuristi costituzionalisti, penalisti e processualpenalisti hanno sostenuto una linea che avvalla appunto l’incostituzionalità della norma. Tra questi si segnala i pareri pro veritate1 redatti dal prof. avv. Giovanni Guzzetta, dalla prof.ssa Antonella Marandola, dal prof. avv. Roberto Na1 Vedi documento n. 8 allegato al ricorso presentato alla CEDU di Silvio Berlusconi contro Repubblica Italiana, 7 settembre 2013
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nia, dal prof. Giorgio Spangher, dai prof. avv.ti Beniamino Caravitta di Toritto, Giuseppe de Vergottini , Nicolò Zanon e dal prof. avv. Pansini. Proprio il Pansini sostiene che ci sia una possibilità per il Parlamento di situazione di ineleggibilità. Egli sostiene infatti che il potere decisorio del Parlamento sia dato proprio dal passaggio dall’ espressione “dichiara decaduto” a “delibera la decadenza”. L’espressione “delibera la decadenza”, proprio perché frutto di una volonl’esistenza di un potere decisorio che, se non ha contenuto discrezionale, zioni che impongono la declaratoria di decadenza. Come se non esistesse obbligo della Camera di appartenenza di dichiarare certamenti. Veniamo ora alle questioni relative alla decadenza del parlamentare dovuta all’ applicazione della Legge Severino: può essa rientrare in un concetto di effetto penale? Parte della dottrina sostiene che, nel momento in cui il giudice pronuncia condanna per un reato, la cui pena rientra nei limiti previsti dal suindicato decreto, “pronuncia una sentenza che automaticamente incide ad un tempo sia sul diritto di libertà personale, sia -contenendone una perdita o una limitazione- sul diritto di elettorato passivo. E come tale attribuisce a tali conseguenze automatiche, direttamente derivanti dall’accertamento del reato, un carattere sanzionatorio che è proprio della norma penale ”.2 effetti penali, essi rientrerebbero nelle limitazioni nel tempo proprie della legge penale, oltre che della Costituzione e di tutti i documenti internazionali relativi ai diritti fondamentali, andando in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale (art. 2 c.p. co. 1 e art. 25 Cost. co. 2). Anche il prof. Guzzetta, sostenendo la medesima tesi, afferma: “ci sono in circolazione tutte le tesi possibili sulla natura dell’incandidabilità, se è penale, quindi irretroattiva, o amministrativa. Quella di non accedere parere pro veritate prof. avv. Gustavo Pansini, 26 agosto 2013
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tamente retroattiva perché riguarda fatti precedenti alla sua entrata in vigore”. Nella stessa direzione si muove la professoressa di diritto penale Antonia Marandola, asserendo che: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Dunque, “nel rispetto dei principi di legalità e irretroattività (del trattamento punitivo più sfavorevole) la sanzione non può applicarsi ai fatti commessi priinterviene dopo la sua entrata in vigore”.
effetti penali della sentenza quelle conseguenze giuridiche di carattere condanna stessa e consistono nell’ incapacità di conservare, esercitare o di acquistare diritti soggettivi pubblici o privati o altre facoltà giuridiche”. Sorge a questo punto un’osservazione: possibile che dunque, possano rientrare nel campo di applicazione della Legge Severino, soltanto reati commessi in seguito all’emanazione di questa? Non sembra effettivamente che ciò corrisponda alla ratio della norma, nata proprio per combattere e prevenire la corruzione presente nella Pubblica Amministrazione. Sarebbe come voler combattere il degrado che potrà assediare la P.A. in futuro (in pratica chi ipoteticamente potrebbe commettere il fatto dopo l’emanazione della legge), ma non voler estirpare quello già presente (chi
Altri giuristi si sono espressi in senso opposto, avallando la costituzionalità della legge. Tra questi il prof. Valerio Onida ha dichiarato in un’intervista al programma televisivo “Ballarò” che la Legge Severino non stabilisce una nuova sanzione per chi ha commesso il fatto in tempi passati, stabilisce invece un requisito negativo per poter accedere a determinate cariche. In senso analogo si esprime Cesare Mirabelli con riferimento all’incandidabilità sostenendo: “non si tratta di una sanzione penale, ma è una norma che determina l’ incapacità momentanea a ricoprire determinati incari-
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chi”. La scelta di questi requisiti è un’ipotesi oltremodo tutelata dall’ art. 51 Cost., che sancisce infatti il principio secondo il quale tutti i cittadini hanno diritto di accedere alle cariche elettive, ma secondo i requisiti stabiliti Non presentando la norma, i requisiti che le conferiscono natura penale, verrebbe automaticamente esclusa la correlata irretroattività, sulla base dell’ art. 2 c.p., che nella tesi sopra esposta era proprio indicato come il cardine di un’eventuale incostituzionalità. Posto allora che il decreto non implica una retroattività, si suppone indichi solo che l’ individuo con determinate caratteristiche non sia più eleggibile da quando è stata emanata la legge
Fonti:
pro veritate redatti dai prof. avv.ti: Giovanni Guzzetta, Roberto Nania, Giorgio Spangher, Beniamino Caravitta di Toritto, Giuseppe de Vergottini , Nicolò Zanon, Gustavo Pansini e dalla prof.ssa Antonella Marandola
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Cruciverba
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ORIZZONTALI 1. In modo astuto e pronto 11. Il processo di cui si tratta all’articolo alla pag. (17) 12. Nel luogo in cui 13. Iniziali di Springsteen 14. Genio Civile 15. Iniziali di Fogazzaro 16. Le discriminazioni della cui repressione si tratta nell’articolo alla pag. (33) 19. La preposizione inglese corrispondente al simbolo @ 20. Saluto spagnolo di commiato 21. Il reato che ha dato origine alla sentenza della Cedu commentata alla pag. (49) 25. Il Consiglio di Sicurezza ne è un organo 26. Istituto per la Ricostruzione Industriale 27. Iniziali di Morricone 28. Comune della Lunigiana, sede del premio Bancarella 32. Rabbia, furia 33. Compagnia assicurativa 35. Possono esserlo certe giornate invernali 38. Squadra meneghina 41. La compongono Dio, Gesù e lo Spirito Santo 43. Pasto serale 44. Il mare che separa la Grecia dalla Turchia 45. La previsione di procedure aggravate di revisione rende tali alcune Carte costituzionali (vedi articolo alla pag. (9)) VERTICALI 1. Il nome del ministro che ha ispirato la legge di cui all’articolo alla pag. (55) 2. L’ente che si occupa dell’assegnazione delle case popolari a Milano 3. Genova sulle targhe 4. Desiderata, agognata 5. Gli attori sul set 7. Del loro regolamento si occupa la legge argomento dell’articolo di cui alla pag. (25) 8. Massacri, stragi 9. Una risposta netta 10. Patologia dei polmoni 11. Abbreviazione di totale 15. Traccia di sudore 17. Sigla dell’aviazione militare inglese 18. Antico precettore 21. Lo è la sostanza... che migliora illecitamente le prestazioni sportive 22. Portano gli sciatori sulle piste 23. Lo sono le cose che mi appartengono 24. Ad esse dà diritto l’emendamento analizzato nell’articolo di cui alla pag. (38) 29. Vi siede il sovrano 30. Abbattuti... al suolo 31. Li effettua il giavellottista 36. Compagnia petrolifera 37. Elettrotreno (sigla) 39. Il nome del serial killer Bundy 40. Dio egizio del sole 42. Preposizione articolata
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