L'Alligatore-anno5_numero1

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Anno 5 Numero 1


La Redazione de "L'Alligatore" è orgogliosa di presentare il primo numero del V anno. Ringraziamo coloro che hanno sostenuto il progetto finora, dandoci la possibilità di renderlo un gruppo studentesco indipendente. Il Riconoscimento tanto agognato della Rivista come effettivamente rappresentativa di tutti gli studenti di Giurisprudenza si sta concretizzando. Inoltre, l'imminente registrazione della testata presso il Tribunale sarà snodo cruciale che permetterà anche alle future generazioni di poter "ereditare" il progetto e portarlo avanti. Buona lettura.

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Trimestrale - Anno V - Numero 1 - Milano, Dicembre 2013 Direttore responsabile Niccolò Scremin Vicedirettore Francesco Bertolino Caporedattore Giulia Pirola Redazione Erik Brouwer, Anna Ferrari, Paolo Petralia Camassa, Adriana Spina, Valentina Todeschini, Alberta Trombetta, Ferdinando Vella. Graphic designer Fulvio Volpi

Hanno collaborato a questo numero Laura Caroleo Michele Loconsole Luchino Ferraris Si ringrazia per le revisioni Prof.ssa Francesca Biondi Avv. Luca Boneschi Avv. Andrea Dalmartello Dott.ssa Monica Delsignore Prof. Gian Luigi Gatta Prof. Bruno Nascimbene Avv. Andrea Ottolini Avv. Sara Valaguzza Prof. Giovanni Ziccardi

Direzione, Redazione e Sede Via Luigi Anelli, 12 - 20122 Milano redazione@lalligatore.org www.lalligatore.org Proprietari Rocco Steffenoni, Eduardo Parisi, Sandro Parziale, Daniele Rucco, Niccolò Scremin.

3lb s.r.l. - Via Leonardo Da Vinci, 3 - 23875 Osnago Tale pubblicazione è stata realizzata con il contributo dell’ Università derivante dai fondi per le attività culturali e sociali.


INDICE Diritto dell’informatica Francesco Bertolino I siti internet sono responsabili dei contenuti immessi degli utenti?

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Diritto privato comparato Giulia Pirola Land Grabbing: come l’Africa si svende

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Diritto commerciale Michele Loconsole Aumento di capitale, aiuti di stato e nuove strategie di impresa: il caso Alitalia tra rilancio industriale e procedure concorsuali

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Diritto penale Paolo Petralia Camassa -

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zioni Diritto amministrativo Laura Caroleo Sedriano l’intreccio politico affaristico. Primo comune Lombardo

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Diritto costituzionale/parlamentare Valentina Todeschini Riforme costituzionali

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Diritto dell’ambiente Luchino Ferraris L’ambiente come diritto umano: è questa la migliore strategia per la sua tutela?

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Diritto d’autore Adriana Spina Il plagio musicale: come distinguere l’originale dalla copia

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I siti internet sono responsabili dei contenuti immessi dagli utenti? Francesco Bertolino La diffusione pressoché universale di Internet, la facilità di accesso e di utilizzo di questo strumento di trasmissione di dati e le possibilità di comunicazione ed interazione che si offrono all’utente rappresentano un’innovazione così dirompente da aver spinto alcuni storici a parlare di “Rivoluzione informatica”. Le rivoluzioni sono fonte di repentini cambiamenti in ogni ambito della società e, perciò, richiedono una revisione degli apparati concettuali elaborati in precedenza; la società è dinamica e funzione regolatrice. Uno dei settori che maggiormente sta attirando l’attenzione della giurisprudenza, della dottrina e dei legislatori è quello della responsabilità dei siti Internet che forniscono servizi telematici (provider) per i contenuti rapida e continua evoluzione, in linea con l’importanza cardinale che la rete ha assunto nello sviluppo economico, nelle modalità produttive, nell’approccio alla cultura e all’informazione. e, dunque, imprecisa, i service provider (SP) possono distinguersi in host provider e content provider l’host provider (HP) come una piattaforma informatica che mette in relazione l’utente che carica il documento multimediale (esegue l’upload) con colui che di tale contenuto usufruisce: dunque, il fornitore di servizi si limita ad ospitare i , memorizzandoli temporaneamente, senza aver alcun controllo sul contenuto di essi. Esempi ne sono i motori di ricerca, le piattaforme di condivisione e i siti peer to peer. Viceversa, il content provider crea o di cui si attribuisce la paternità e la proprietà: basti pensare ai vari giornali online o ai blog. Mentre nel caso di illeciti commessi a mezzo di content provider, l’individuazione del colpevole è immediata, dal momento che il sito medesimo è il produttore dei suoi contenuti, lo stesso non può dirsi in relazione all’host provider. Quest’ultimo, infatti, non è l’autore né il proprietario dei dati che transitano in rete grazie ai suoi servizi: dunque, Di recente, sul tema si è espressa anche la Corte Europea dei diritti

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dell’uomo, con una sentenza1 che ha suscitato scalpore e preoccupazione tra gli internauti: l’interpretazione della Corte sembra porsi in antitesi con la legislazione comunitaria e la giurisprudenza pressoché unanime in materia di responsabilità degli host provider, introducendo nel sistema principi affatto nuovi. Per comprendere l’effettiva portata della pronuncia e vagliarne la ragionevolezza, è necessario esaminare quali siano le esigenze giuridiche ed economiche alla base delle dottrine che affermano la necessità e l’opportunità di porre in capo all’HP la responsabilità per i contenuti immessi dagli utenti nella rete. Si procederà poi all’esposizione dei principi ispiratori delle soluzioni adottate nella legislazione comunitaria giudici di Strasburgo. La dottrina della responsabilità dell’HP: fondamenti economici e giuridici Prima che il legislatore comunitario intervenisse a regolare la materia, giurisprudenza e dottrina si erano prodigate per dare un fondamento di servizi telematici per i danni causati dai contenuti immessi dagli utenti terzi. L’affermazione di tale responsabilità, in primo luogo, sembrava rispondere a un’ineludibile esigenza di giustizia. Il potenziale offensivo di un illecito commesso su Internet è enorme, considerate la diffusione e la pervasività spesso impossibile o, quantomeno, eccessivamente onerosa per la persona offesa: la possibilità di chiedere il risarcimento del danno al provider assicura alla vittima una certa e spedita tutela. In secondo luogo, l’assunto che l’host provider dovesse sopportare sotto forma di risarcimento dei danni il costo degli illeciti commessi dai suoi dati immessi dai terzi, leciti o illeciti che siano: è giusto, dunque, che si Se i principi ispiratori erano ben saldi in dottrina e condivisi dalla giurisprudenza, più problematica si rivelava la ricerca della fonte normativa dell’affermazione di questa responsabilità. 1

ricorso 64569/09, 11 Ottobre 2013

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ricorse all’analogia e ritenne applicabile all’Host provider la legge 47 del 1948 che stabilisce la responsabilità civile dell’editore per i reati commessi a mezzo stampa: il fornitore dello spazio telematico avrebbe dovuto vigilare sui contenuti immessi per evitare che gli utenti fruissero del servizio per commettere illeciti. L’equiparazione 2

si appuntarono sull’impossibilità tecnica per l’host provider di monitorare culpa in vigilando avrebbe, in realtà, mascherato la creazione giurisprudenziale di una nuova fattispecie di responsabilità oggettiva non tipizzata dal legislatore. Si provò allora a ricorrere ad un altro procedimento analogico, richiamando la costruzione logica sottostante all’affermazione della responsabilità del datore di lavoro per il reato del dipendente ex articolo 2049 c.c.: il provider, per evitare di essere tenuto a risarcire i danni alla persona offesa, avrebbe dovuto organizzare la sua impresa in modo da ridurre al minimo il rischio che gli utenti del servizio potessero commettere illeciti. Dunque, la responsabilità dell’HP era fondata su una colpa di organizzazione e dati in transito. Il presupposto analogico della tesi in questione risulta, tuttavia, davvero fragile: arbitraria appare l’equiparazione tra dipendenti del datore e navigatori del provider, data l’insussistenza del rapporto di preposizione e di qualsiasi possibilità di controllo sul loro operato. A fronte del moltiplicarsi di cause di risarcimento dei danni causati da illeciti commessi da utenti rimasti anonimi, parte della dottrina ritenne che l’attività esercitata dal prestatore di servizi informatici fosse intrinsecamente pericolosa: in forza dell’articolo 2050 del Codice Civile, l’HP avrebbe dovuto farsi carico dei rischi creati dalla sua impresa, a meno che non fornisse la prova liberatoria “di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. Tuttavia, occorre considerare che giurisprudenza costante ritiene che la intrinseca pericolosità di un servizio non possa desumersi dall’utilizzo che ne fanno soggetti terzi rispetto al fornitore che sarebbe tenuto risarcire gli eventuali danni. provider ottiene dal transito dei dati con i danni che l’esercizio di questa attività può causare ai terzi e concludono che sia giusto ed opportuno addossare all’host provider l’onere dei costi sociali della sua impresa, fra cui rientra anche il risarcimento per gli illeciti 2 Tribunale di Napoli, 8 Agosto 1987, in

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1998, 259


commessi dai fruitori del servizio. La teoria del rischio d’impresa ha ricevuto feconde applicazioni nel campo della produzione industriale, inserendosi perfettamente nell’ambito delle teorie dell’economia di mercato: un’impresa che non sia in grado di sostenere il costo delle esternalità negative originate dalla sua attività per far prevalere quei modelli produttivi che riescono a ridurre al minimo i costi sociali. Tuttavia, il modo di produzione informatico pone problemi del tutto nuovi e non pare che le soluzioni normative e interpretative adottate per la Rivoluzione industriale possano sic et simpliciter essere applicate anche alla Rivoluzione informatica. Certo, a prima vista, sembrerebbe logicamente accettabile estendere in via analogica lo schema del rischio d’impresa anche agli host provider, ma svela che le fattispecie presentano rilevanti differenze: il controllo che un imprenditore è in misura di esercitare sulle attività della sua acciaieria è paragonabile all’estensione del controllo che si richiederebbe a un fornitore di servizi telematici, qualora venisse in ogni caso affermata la sua responsabilità civile per gli illeciti degli utenti? Inoltre, il settore delle imprese informatiche è sicuramente tra i più globalizzati e scontato sarebbe il trasferimento dell’attività di un fornitore di servizi da uno Stato che preveda la responsabilità civile degli host provider ad un altro che, invece, possieda una legislazione in materia più in assenza di una regolamentazione internazionale che prevenga il forum shopping? Ancora più incisive sono le obiezioni alla teoria del rischio d’impresa che si concentrano sull’analisi delle conseguenze di una siffatta responsabilità oggettiva: in altre parole, quali effetti avrebbe sul mercato degli host provider una selezione basata sulla capacità di sostenere i costi degli illeciti? I principi ispiratori della legislazione comunitaria in materia di host provider Il legislatore comunitario si è fatto carico della risposta a questi quesiti, emanando nel 2000 la direttiva 31 che disciplina la responsabilità del provider, tenendo conto delle critiche delle dottrine più recenti e traendo spunto dalle normative di altri ordinamenti, in particolare di quello nordamericano.

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L’obiettivo era anche la riduzione della discrezionalità dei giudici nazionali: i continui revirement delle giurisprudenze degli Stati membri non solo rappresentavano un pericolo per la certezza del diritto, ma soprattutto costituivano un ostacolo formidabile alla realizzazione di quel mercato interno europeo che richiede l’uniformità delle leggi e delle interpretazioni. Il principio cardine della direttiva è il riconoscimento del fondamentale contributo di Internet al pluralismo dei servizi di informazione e di intermediazione; qualunque normativa in materia deve evitare di compromettere il valore essenziale della rete che offre a tutti gli utenti la possibilità di comunicare liberamente il proprio pensiero e le proprie idee. Da questa considerazione discende che l’affermazione della responsabilità dell’host provider per i contenuti immessi dai terzi avrebbe conseguenze nocive per la società ben superiori ai vantaggi in termini di soddisfazione economica che garantirebbe all’individuo leso dall’illecito. Infatti, porterebbe a un’inevitabile selezione delle imprese fornitrici di servizi sul mercato informatico, privilegiando quelle dotate di ingenti risorse economiche che sarebbero le sole in grado di far fronte ai costi della responsabilità civile per rischio d’impresa. Ciò, con tutta evidenza, a scapito di quel pluralismo che, pure, la dottrina e i legislatori dichiarano di voler proteggere ad ogni costo. La concentrazione degli host provider e la riduzione della concorrenza causerebbero, inoltre, un aumento dei prezzi dei servizi offerti dalle imprese superstiti; l’accesso al mercato verrebbe ad essere fortemente condizionato dalla disponibilità di grandi capitali, diminuendo ulteriormente la concorrenzialità del settore, con conseguenze nefaste anche per la ricerca e l’innovazione. Inoltre, la previsione di una responsabilità oggettiva spingerebbe gli host provider attivi sul mercato ad adottare sistemi di controllo preventivo sui contenuti immessi dagli utenti sempre più penetranti. Qualora si trattasse imprecisioni ed equivoci nell’interpretazione dei dati sarebbe evidente; qualora, invece, un gran numero di dipendenti venisse adibito al costante controllo degli utenti, la violazione della riservatezza sarebbe altrettanto controllo imposto agli host provider si tradurrebbe nell’attribuzione agli stessi fornitori servizi di un potere censorio davvero invasivo a tutto detrimento della libertà di comunicazione degli internauti. per prevalere sulla libertà d’espressione garantita a tutti dalle Costituzioni

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nazionali e da numerosi trattati internazionali: il bilanciamento operato da un’ipotetica norma che prevedesse tale responsabilità oggettiva dell’host provider sarebbe con tutta evidenza irragionevole, nonché socialmente Alla luce di questi principi, la direttiva 31 del 2000 ha previsto all’articolo 15 un divieto per gli Stati membri di prevedere a carico dei prestatori di servizi informatici “un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano [e] di ricercare attivamente fatti o Inoltre, l’articolo 14 stabilisce che l’host provider è esente da qualunque responsabilità per i contenuti immessi dai terzi a condizione che: 1. non sia effettivamente al corrente dell’illiceità del contenuto 2. non ricorrano circostanze tali da rendere palese tale illiceità 3. non appena al corrente di tali fatti, abbia agito per rimuovere immediatamente per rimuovere i contenuti illeciti o per disabilitare l’accesso ad essi. Opportunamente, dunque, il legislatore comunitario ha vietato agli Stati membri di prevedere un generale obbligo di sorveglianza e un regime di responsabilità oggettiva a carico degli HP, limitando il controllo esigibile ai casi di conosciuta o manifesta illiceità, nonché ai casi in cui il fornitore di servizi venga successivamente a conoscenza dell’illiceità di contenuti immessi da terzi grazie alle segnalazioni di altri utenti, delle autorità host provider di fornire in modo chiaro ed accessibile agli utenti una serie di informazioni utili a contattarlo nel caso in cui siano commessi illeciti nello spazio informatico da lui gestito. La disciplina comunitaria è stata trasposta in Italia con il d.lgs. 9 Aprile 2003, n° 70: il legislatore ha pedissequamente applicato le disposizioni host provider offesa o da altri utenti del servizio; al contrario, l’articolo 16 del d.lgs. 70/2003 statuisce che il prestatore incorre nella responsabilità per aver omesso la rimozione dei dati costituenti reati, solo se la comunicazione della loro presenza giunge dalle autorità competenti. La ratio il contenuto dell’obbligo del provider, in modo da evitare che questi possa essere tenuto responsabile per l’omesso intervento censorio, indipendentemente dall’origine della sollecitazione. Senza dubbio, la

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certezza del diritto deve essere uno dei principi ispiratori dell’azione del legislatore; nel caso di specie, tuttavia, la scelta normativa appare del soggetto danneggiato dall’illecito rimane priva di al provider. Nelle prime esperienze applicative del decreto in questione, la giurisprudenza italiana3 si è uniformata all’orientamento del legislatore comunitario, dimostrando di aver ben assimilato i principi sottesi alla normativa in materia di responsabilità degli Internet Service Provider. Degna di nota, in particolare, è la pronuncia con cui la Cassazione Penale4 ha escluso l’applicabilità ai direttori dei quotidiani online e ai coordinatori dei forum di discussione dell’articolo 57 c.p. per le informazioni diffamatorie immesse da terzi. La disposizione penale in questione punisce il direttore del giornale cartaceo che ometta il controllo necessario ad evitare che per il tramite della sua pubblicazione vengano commessi reati. Ai giudici essere assimilabili e che, dunque, la disciplina dell’uno potesse essere estesa in via analogica all’altro, data la sostanziale diversità dei mezzi di comunicazione: l’obbligo di controllo sanzionato dall’articolo 57 del Codice Penale non può essere imposto al direttore di un sito di news né al moderatore di un forum, poiché completamente eterogenea è la sorveglianza che essi sono in grado di praticare sui contenuti immessi dai terzi. La sentenza della Corte EDU: troppo rumore per nulla? La disciplina dettata dalla direttiva 31 del 2000 e dalle normative di trasposizione pareva ottenere consenso unanime da parte delle giurisprudenze degli Stati membri, grazie anche alla costante vigilanza nazionali attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale. L’equilibrio e l’uniformità raggiunti, però, sono stati (almeno apparentemente) guastati dalla sentenza della Corte di Strasburgo pronunciata in data 10 0ttobre 2013 sul ricorso n.64569/09 presentato dal portale telematico di informazione contro l’Estonia. Un riassunto dei fatti della controversia permetterà una miglior comprensione della 3 Ad esempio: Tribunale di Catania, 29 giugno 2004, n. 2286 in Tribunale di Lucca, 20 agosto 2007 in ; Cass. Pen. 23 dicembre 2009 n.49437 in 4 Cass. Pen. 16 luglio 2007, n.35511.

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sentenza e una valutazione meglio circostanziata della reale portata dei principi in essa contenuti. Sul sito di news in questione era apparso un articolo in cui si accusava una compagnia pubblica di trasporti via mare di distruggere deliberatamente le cosiddette “strade di ghiaccio”5 per eliminare la concorrenza sulle tratte servite dai suoi battelli. Le notizie riportate dall’autore erano esatte e non ledevano l’altrui reputazione; al contrario, alcuni lettori esprimevano al termine dell’articolo commenti gravemente ingiuriosi e diffamatori a danno di uno degli amministratori della ditta di trasporti. Questi aveva perciò domandato a di rimuovere i commenti offensivi e nel contempo aveva richiesto un risarcimento per i danni non patrimoniali. Il portale assumere la responsabilità per i commenti lesivi e declinando la richiesta di risarcimento dei danni. Il lungo e travagliato iter dinanzi alle Corti estoni si era concluso con la sentenza della Corte suprema: il portale di news veniva condannato al pagamento di 320 euro a titolo di risarcimento, poiché ne veniva affermata la natura di content provider con la conseguente esclusione dell’esenzione di responsabilità per i contenuti immessi da terzi che, invece, la normativa estone di applicazione della direttiva 31 del 2000 prevede per gli host provider. Ritenendo che l’affermazione della sua responsabilità ledesse la libertà d’espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione EDU, il portale informatico presentava ricorso alla Corte di Strasburgo: la censura del ricorrente si concentrava particolarmente sulla violazione dei principi previsti dalla normativa di derivazione comunitaria in tema di controllo preventivo e di monitoraggio da parte degli Internet provider sui contenuti immessi da terzi. posto che rispetto agli articoli pubblicati dalla redazione il sito si pone indubbiamente come un content provider, responsabile per il loro contenuto, è possibile che lo stesso portale rispetto ai commenti dei lettori si atteggi a host provider, cioè sia tenuto responsabile solo nel caso di omessa rimozione del materiale della cui illiceità abbia conoscenza? informazione e sottoporlo a regimi di responsabilità differenziati sulla base della provenienza del contenuto illecito? I giudici di Strasburgo, confermando la decisione della Corte estone, sembrano negare la praticabilità di tale scissione, affermando senz’altro la responsabilità del content provider anche per i commenti immessi dai 5 Le ice roads sono strade pubbliche aperte sul mare ghiacciato nel periodo invernale.

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terzi nei forum di discussione che si trovano abitualmente al termine degli articoli dei quotidiani Alcune delle argomentazioni svolte dalla Corte EDU sembrano richiamarsi alla teoria del rischio d’impresa, alla tesi dell’esercizio di un’attività pericolosa, nonché all’esigenza di garantire alla vittima che vi sia sempre un soggetto a cui rivolgersi per il risarcimento dei danni. In particolare, nella sentenza si sostiene che “la pubblicazione degli articoli e dei commenti dei lettori era parte dell’attività professionale dell’impresa che “la scelta del ricorrente di consentire commenti da parte di utenti non registrati comporta l’assunzione di una certa responsabilità “per ragioni puramente tecniche sarebbe . Le tesi esposte richiamano effettivamente le dottrine sulla responsabilità dei provider precedenti l’emanazione della direttiva 31 del 2000 e paiono porsi in aperto contrasto con i principi adottati dal legislatore comunitario e condivisi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Tuttavia, a una disamina più attenta, la preoccupazione suscitata dalla sentenza appare eccessiva. In primo luogo, la vicenda controversa evidenzia effettivamente una lacuna nella disciplina della direttiva 31 del 2000 che non si occupa di quei provider che forniscono, ad un tempo, servizi di content providing e di host providing: un’interpretazione aderente alla ratio della normativa comunitaria avrebbe probabilmente suggerito di così da evitare di sanzionare civilmente il portale di news per non aver preventivamente controllato il contenuto dei commenti dei lettori. Soprattutto, sarebbe stato opportuno che le Corti estoni procedessero ad normativa. riguardo all’applicazione della normativa estone di derivazione comunitaria, la Corte sostiene che “è compito primariamente delle autorità nazionali, in particolare delle Corti, risolvere i problemi di interpretazione e che all’accertamento della compatibilità degli effetti di tale interpretazione La Corte si riserva la facoltà di procedere in futuro essere errore nell’interpretazione della fattispecie effettuata dalle Corti

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nazionali. A parere di chi scrive, dovrebbe destare maggior preoccupazione la mancanza di collegamento tra la giurisprudenza della Corte EDU e quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; se i giudici di Strasburgo avessero potuto ottenere dalla Corte di Giustizia l’interpretazione “autentica” della direttiva 31 del 2000 in relazione al caso di specie, ciò sarebbe andato a tutto vantaggio della certezza del diritto e dell’uniformità della sua applicazione. I negoziati per l’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sono in corso di svolgimento e il loro felice esito potrebbe porre rimedio ai difetti di coordinamento tra le due giurisdizioni. Conclusione sulla responsabilità dei provider di natura mista I quotidiani online che ospitano al loro interno forum di discussione possiedono dunque natura mista di content e host provider; per quanto concerne i commenti dei lettori, i principi della direttiva 31/2000 fanno propendere per un regime di responsabilità analogo a quello previsto per i meri fornitori di servizi. Le conseguenze di un’indiscriminata affermazione della loro responsabilità per l’omessa sorveglianza preventiva sui contenuti immessi dai terzi sarebbero le medesime già esaminate in precedenza; per di più, nel settore dell’informazione il pluralismo delle fonti è un valore davvero irrinunciabile per una società democratica e una concentrazione delle imprese si rivelerebbe deleteria e pericolosa. Non si può nemmeno trascurare, però, la capacità offensiva di una diffamazione perpetrata attraverso la rete: la diffusione capillare di Internet e la facilità di accesso ai suoi contenuti moltiplicano la lesività di rintracciare l’autore del reato, che, spesso, si nasconde dietro nickname che garantiscono l’anonimato. Sulla scorta delle opinioni di una parte della dottrina6, un equo del suo onore e dell’interesse della società democratica al pluralismo delle fonti di informazione potrebbe essere rintracciato nella previsione 6 Di Ciommo F., in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (Il), 2010, pag. 829

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che desiderino commentare gli articoli pubblicati online. In questo modo, la ricerca del colpevole sarebbe di gran lunga più agevole per la persona offesa e per le autorità che potrebbero pretendere dal provider la comunicazione dei dati personali del responsabile del commento lesivo. Ciò, unitamente all’obbligo di rimozione dei contenuti illeciti, potrebbe d’espressione.

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Land Grabbing: come l’Africa si svende Giulia Pirola

Negli ultimi anni si è assistito a un notevole aumento dell’interesse per gli investimenti internazionali, soprattutto nelle economie agricole dei paesi in via di sviluppo. In particolare, si è posto l’accento sulle acquisizioni di terreni agricoli in Africa. Se, da una parte, alla base di tali pratiche vi è l’emergenza alimentare ed il conseguente bisogno di approvvigionamento, dall’altra si è iniziato a parlare del c.d. Land Grabbing. Ci si trova, dunque, di e povero come l’Africa ed un fenomeno di sfruttamento delle sue stesse risorse, tanto che sembrerebbe auspicabile l’elaborazione di una nuova norRipercorrendo le tappe di questo fenomeno, è utile partire dalla crisi del 2008, quando i prezzi dei beni alimentari sono lievitati notevolmente, tanto da registrare il valore più elevato degli ultimi 30 anni, con un aumento del 50% dal 20071. Successivamente, i prezzi sono calati ma sono rimamondo, soprattutto in quelli che fondano le loro risorse alimentari sulle importazioni, si è radicata la preoccupazione per il costo e la disponibilità di cibo. In una prospettiva di lungo periodo, i timori di questi paesi aumentano considerando fattori come l’aumento della popolazione2, la crisi energetica, ma soprattutto le progressive restrizioni in fatto di risorse, anche alla luce dei cambiamenti climatici. L’investimento di capitali in fonti di approvvigionamento estere sembra allora una delle possibili soluzioni. Ci sono poi i paesi in via di sviluppo, tra cui l’Africa, che a loro volta cercano di attrarre tali investimenti esteri proprio per sfruttare la grande quantità di terra di cui dispongono, pressochè l’unica fonte di ricchezza. A rendere appetibile questo tipo di investimenti di solito sono le condizioni con cui i contratti di compravendita dei terreni vengono stipulati: basti pensare, ad

1 FAO (Food and Agricolture Organization) 2009 2 La FAO stima che entro il 2050 la popolazione ammonterà a più di 9 miliardi di persone e per sfamarle sarà necessario aumentare la produzione del 70%, con spesa aggiuntiva di 83 miliardi di dollari all’anno.

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dollari l’anno per ettaro in Sierra Leone e da 6,75 dollari in Etiopia. Inoltre, molti governi africani non si interessano dell’uso che questi grandi investitori potranno fare della terra alienata e neppure se verranno rispettate le norme a tutela dell’ambiente. Tutto ciò, naturalmente, a scapito delle popolazioni locali che basano la loro vita e la loro sussistenza sulla coltivazione dei campi; queste, o meglio, i contadini autoctoni, infatti, vengono allontanati dalle loro case, non importa dove, purchè al di fuori dei terreni ceduti, e spesso senza nemmeno ottenere risarcimenti. Ma per comprendere come sia possibile tale pratica è necessario analizzal’Etiopia. La proprietà fondiaria qui si compone di tre livelli: la titolarità pubblica dello Stato, la titolarità collettiva del clan e la titolarità privata3. La titolarità pubblica, in primo luogo, risulta molto diffusa in Africa proprio perché offre maggiori garanzie di un’oculata gestione delle risorse grazie alle strutture e alla disponibilità di denaro di molto superiori a quelle del singolo privato. Inoltre in questo modo vi è possibilità di intervento per gestire eventuali tensioni etnico-culturali che facilmente colpiscono un continente come l’Africa, consentendo un’equa distribuzione dei diritti reali e così l’ingresso nel mercato anche di quei soggetti privi di un capitale di partenza. Una gestione di questo tipo, tuttavia, dovrebbe poggiare su istituzioe trasferimento dei diritti fondiari, secondo uno schema semplice e trasparente, altrimenti si realizzerebbe l’effetto opposto, ovvero la disuguaglianza sociale e l’ingiustizia, come spesso accade in Africa. Il risvolto critico di una completa titolarità statale sarebbe il progressivo rafforzamento di un regime socialista tale da radicare il senso di insicurezza nella titolarità dei lotti ottenuti dallo Stato e ciò non contribuirebbe allo sviluppo di un sistema economico moderno. In secondo luogo, parlando di titolarità dei clan, si richiama un sistema consuetudinario. I terreni, infatti, appartengono alla comunità stanziata nel luogo, il clan, e risultano sottomessi alle sue logiche sia per quanto riguarda lo sfruttamento, sia per i trasferimenti, lasciando ai singoli un mero godimento di tali terreni. Questa struttura la ritroviamo tuttora nelle famiglie, basate su rigide gerarchie sociali interne, che collaborano tra loro per -

3 Diritti umani e proprietà fondiaria in Etiopia (http://creg.uniroma2.it/wp-content/uploads/2010/10/GUIDONE-Diritti-Umani-e-proprietà-fondiaria-in-Etiopia.pdf)

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cale dei territori piuttosto che una statale che opera attraverso mal funzionanti istituzioni; dall’altro, però, si vengono a generare delle complicazioni nei processi di trasferimento dei terreni proprio per la loro particolarità, a seconda della località e del clan. I vantaggi di quest’ultimo rimarrebbero

e, in particolare, interessa i fabbricati. Nelle città, infatti, vi è una concentrazione di beni immobili nelle mani di pochi soggetti che risultano ricchissimi rispetto al restante 90% della popolazione e sarebbe proprio questo il lato negativo di un sistema strutturato su base privatistica. Senza contare poi l’incertezza e gli alti costi per i singoli, in caso di operazioni (ad esempio trasferimenti) in un sistema organizzato su istituzioni spesso corrotte. Tornando ad una panoramica generale, di fatto, in Africa vige un sistema lora come i governi degli stati africani abbiano carta bianca nel monopolizzare i trasferimenti e la distribuzione degli immensi terreni del continente. Basti pensare, ad esempio, che in Etiopia, tra il 2008 e il 2011, sarebbero 4 , per periodi di 20, 30 o 99 anni, 5 3.5 milioni di ettari . La maggior parte dei terreni rurali africani non risulta di proprietà di nessuno, nemmeno dei 428 milioni6 di contadini che vi basano la loro sussistenza, cosicché questi si trovano in balia dei governi e dei responsabili dell’amministrazione delle terre comuni7, liberi di servirsene per ottenere suno agli occhi del diritto vigente nei paesi industrializzati, in realtà, come abbiamo visto per esempio in Etiopia, sottostanno ad un sistema giuridico che affonda le radici nella tradizione del diritto consuetudinario8, secondo 9 tuiscono il fondamento stesso della vita .

4 Capitale dell’Etiopia e dell’Unione Africana 5 Human Rights Watch; Movimento di Solidarietà per una nuova Etiopia. 6 Rights and Resources Initiative (coalizione di Ong), stime risalenti a Febbraio 2012, ricerca condotta in 35 stati africani. 7 pdf) 8 Evoluzione del sistema consuetudinario in Africa e sistema dualistico di giustizia (http:// www.altalex.com/index.php?idnot=7725) 9 Op.Cit.

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In un contesto di questo tipo, ha senso allora parlare di Land Grabbing o “Accaparramento di terre”. Tale fenomeno consiste nell’acquisizione da parte di soggetti privati (multinazionali o altri investitori) o da parte di Stati, di vaste zone coltivabili (di solito superiori a 10 mila ettari) all’estero per produrre beni alimentari destinati all’esportazione, mediante contratti 10 ; per 50 miliardi di dollari11. Numerose le tesi a sostegno e a contrario: si potrebbe affermare, infatti, che con questo sistema si reperiscono risorse infrastrutture per un paese come l’Africa, accrescendone la possibilità di accesso ai mercati e le opportunità di crescita occupazionale. Tuttavia le associazioni degli agricoltori e le organizzazioni locali, oltre a quelle internazionali (come ad esempio la coalizione Rights and Resources Initiative) potrebbero replicare che tale pratica sia una modalità di sfruttamento senza alcuna considerazione per l’impatto sociale, economico ed ambientale sulle nazioni interessate, ovvero sui paesi poveri del Sud del mondo: non impegnino a rispettare i diritti delle popolazioni e le terre su cui operano; tutto ciò è stato reso possibile dai 225 mila consumatori che hanno sottoscritto l’appello lanciato da Oxfam12. E così, come risulta dallo stesso sito Internet13, uno dei più grandi distributori di bevande si adopererà in sede internazionale per sostenere valutazioni ambientali e pratiche rispettose dei diritti di fornitura, come ad esempio in Sudafrica. solito i principali investitori sono privati: gli Stati danno il loro sostegno politico, ma sono poi le imprese che concludono i contratti e ne ricavano i loro vantaggi. Non solo: anche i fondi d’investimento hedge, spesso legati a colossi bancari come JPMorgan o Goldman Sachs, giocano la loro parte in queste dinamiche. Tra i paesi investitori interessati troviamo Cina, i Paesi petroliferi del Golfo Persico, USA, Gran Bretagna, Germania, Francia e molti altri ancora. Le proporzioni del fenomeno sono allarmanti: si stima che a partire dal 2000 siano stati conclusi 1.217 contratti per lo sfruttamento su larga scala di terreni agricoli. Questi contratti interessano circa 83 milioni 10 Grain (organizzazione internazionale 11 Stime della Banca Mondiale 12 Oxford Commitee for Famine Relief. Si tratta di una confederazione di organizzazioni non governative contro l’ingiustizia e la povertà nel mondo. 13 http://www.coca-colacompany.com/stories/sourcing-sustainably-coke-takes-leadership-role-to-protect-land-rights-of-farmers-and-communities

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di ettari di territorio (poco più del 2% dell’estensione mondiale delle terre coltivabili), la maggior parte dei quali situati in Stati africani come il Sudan, la Tanzania, l’Etiopia, la Repubblica Democratica del Congo14. In particolare, sono oltre duemila le imprese cinesi che stanno investendo in più di 50 Paesi e regioni africane e l’investimento diretto della Cina è passato da 1,44 miliardi di dollari del 2009 a 2,52 miliardi di dollari del 2012. Tra le terre interessate seguono poi aree dell’Asia e dell’America Latina. Non sembra allora inopportuno parlare del Land Grabbing come “Neocolonialismo” del ventunesimo secolo. La rilevanza di tale fenomeno ha così generato la necessità di creare una sorta di codice internazionale per regolamentare le suddette pratiche. Pertanto la FAO, l’UNCTAD15 , l’IFAD16 e la Banca Mondiale stanno collaborando per mettere a punto un codice che tratti le tematiche controverse: il rispetto dei diritti legati alla terra e alle risorse, sicurezza alimentare e sviluppo rurale, trasparenza, buon governo e rispetto dell’ambiente, investimenti responsabili nell’agricoltura, la sostenibilità sociale. Già nel maggio 2012 la FAO ha approvato le “Linee guida per i regimi fondiari e l’accesso alle risorse ittiche e forestali”17, varate dalla Commissione sulla Sicurezza Alimentare. Il documento ha individuato princìpi e pratiche ai quali i governi di tutto il mondo dovrebbero ispirarsi per garantire un più equo accesso alla terra. Nonostante gli sforzi, tali linee guida mancano di obbligatorietà e dunque la loro attuazione sembra più un’utopia. Tuttavia, prescrivendo delle condotte in materia, si auspica che vengano incentivati quanto meno comportamenti più responsabili da parte di tutti i soggetti interessati. A mutare perciò, deve essere la prospettiva di un’Africa come territorio da assoggettare e sfruttare, verso un’ottica di rispetto e reale collaborazione.

14 Portale Land Matrix 15 Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo 16 Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo 17 http://www.fao.org/docrep/016/i2801e/i2801e.pdf

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Aumento di capitale, aiuti di stato e nuove strategie di impresa: il caso Alitalia tra rilancio industriale e procedure concorsuali Michele Loconsole A meno di due anni dall’EXPO di Milano 2015, da qualche analista1 visto come il punto di Archimede per il rilancio della nostra fragile economia, si ca per convogliare uomini e capitali nel nostro Paese. In particolare è tornata alla ribalta la vicenda Alitalia che, in quanto compagnia di bandiera - nell’accezione meramente campanilistica del termine - dovrebbe rappresentare il vettore di punta del trasporto aereo italiano. Se ne ritorna a parlare perché a quattro anni dalla cessione delle attività operative e di volo da parte di . alla c.d. Nuova Alitalia, sono ricomparsi all’orizzonte i medesimi problemi economici che avevano tormentato la vita della vecchia compagnia. Per far fronte a questi aumento di capitale di 300 milioni di euro, il cui inoptato verrebbe garantito da due banche, Unicredit e Intesa Sanpaolo, e da un terzo, Poste Italiane, controllata al 100% dal Tesoro. Al 28 novembre sono stati raccolti circa 173 mln di euro tanto dagli azionisti quanto dagli istituti di credito sopra menzionati 2. L’aumento di capitale Il ricorso all’aumento di capitale, deliberato dall’assemblea straordinaria di Alitalia il 15 ottobre, è lo strumento preferenziale usato dalle società di capitali tanto per rafforzarsi “strutturalmente” – si pensi alle nuove misure richieste dai nuovi schemi di regolamentazione internazionale per il rafforzamento dei sistemi bancari3 – quanto per cercare di aggredire un nuovo 1http://milano.corriere.it/milano/cronaca/speciali/2013/expo-2015/notizie/0107-2013-forum-regioni-expo-palazzo-lombardia-interventi-2221938751001.shtml 2 tale-incassati-173-milioni-164008.shtml?uuid=ABnDhTg&fromSearch 3 In particolare per i requisiti patrimoniali degli operatori bancari si veda, tra gli altri, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria – Accordi di Basilea 3, volto a rinforzare la struttura shock di mercato sulle attività bancarie

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mercato particolarmente rischioso o necessitante di cospicui investimenti. Per portare a compimento questa delicata operazione societaria, l’assemblea straordinaria, ai sensi dell’art. 2365 del codice civile, ha optato per la richiesta di nuovi conferimenti da parte dei soci della compagnia. Come è noto4 l’aumento di capitale può essere effettuato anche in maniera differente, cioè semplicemente facendo passare le riserve e gli altri fondi disponibili sotto la voce di bilancio capitale sociale, con conseguente emissione di nuove azioni proporzionalmente ripartite tra i soci, ai sensi dell’art. 2442 cod. civ., che dunque vedrebbero accresciute le loro quote “gratuitamente”. Il problema è che nel caso di Alitalia sono richiesti nuovi conferimenti per ripianare consistenti perdite che si sono accumulate negli esercizi dal 2009 ad oggi. Analizzando l’ultimo bilancio approvato, relativo in perdita di 280 mln di euro con un aggravio del rosso di oltre 200 mln rispetto all’esercizio precedente. I dati5 indicano con chiarezza che anche la nuova Alitalia, come la vecchia bad company, non riesce a fare utili. Questo sostanzialmente anche perché il mercato del trasporto aereo globale, pur essendo in espansione come si evince dai dati IATA relativi al 2012 6, è in larga parte terra di conquista dei vettori 7 8 Il lanciato qualche mese fa dal vettore low cost irlandese Ryanair non deve illudere: a detta di chi scrive il futuro del trasporto aereo, perlomeno nel corto-medio raggio, è la formula low cost. Nel lungo raggio non si vedono però praterie da cavalcare: la concorrenza di imprese forti da una parte (in testa la teutonica Lufthansa) e di competitors continuamente foraggiati dal basso costo del carburante dall’altra (Emirates, Qatar Airways), lasciano poco spazio ad un eventuale espansione nelle redditizie tratte da e verso Asia e Nord America. Alitalia si trova dunque tra due fuochi: la progressiva depauperizzazione del mercato interno ad opera di

4 gratuito data dalla dottrina commercialistica (tra gli altri vedi JAEGER, DENOZZA, TOFFOLETTO, Appunti di diritto com5 http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Alitalia-assemblea-approva-bilancio-conferma-Torchio/29-04-2013/1-A_006173017.shtml 6 Si veda a tal proposito il documento a cura dell’International Air Transport Association per indicare una probabile contrazione degli utili o del fatturato rispetto ai valori di essi preventivati dagli analisti di mercato 8 -

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vettori low cost, e la concorrenza impossibile con i colossi mediorientali (ed in parte anche europei) sulle rotte intercontinentali. Quali sono dunque le prospettive per l’avvenire? Le nuove possibili strategie di impresa La soluzione a mio avviso più sensata sarebbe quella che porta alla corte di Air France – KLM, gruppo controllato dalla compagnia di bandiera d’oltralpe, che, acquisendo le quote necessarie al controllo di Alitalia, metterebbe un’altra importante pedina sul suo scacchiere commerciale europeo. Questa strategia economica, già adottata in campo bancario da Tim bancarotta di Lehman Brothers nel 20089, porterebbe la compagnia italiana nella galassia delle controllate di Air France, la quale ne potrebbe fare una compagnia regional (operante solo su rotte nazionali) priva di rotte transoceaniche ed intercontinentali (specie quelle con l’America Meridionale ove Alitalia è in concorrenza col vettore franco olandese). Sebbene gio10, “giovani” (l’età media del parco aeromobili è di soli 6,5 anni) e che low cost passerebbe dunque sul piano del miglior confort di viaggio, contrapposto allo stile di crociera “spartano” o “ Ryanair). Su questa soluzione pende tuttavia la spada di Damocle relativa all’esercizio del diritto di opzione sulle nuove azioni11 da parte di Parigi. Secon9 a causa dell’insolvenza dei debitori dei mutui c.d. Subprime, il segretario al Tesoro dell’Amministrazione Bush H. Paulson e l’allora presidente della FED di New York T. Geithner, per salvare gli istituti più esposti ai trash bonds, spinsero con successo le maggiori banche del paese a procedere a fusioni o acquisizioni reciproche per raggiungere i necessari requisiti di solidità patrimoniale per tranquillizzare gli investitori (es. l’acquisizione di Merrill Lync Inc. da parte di Bank of America). È l’applicazione pratica di una delle tante sfaccettature della dottrina del Sul mercato del trasporto aereo questa strada è stata già percorsa sia negli Stati Uniti (Continental Airlines e United Airlines) sia in Europa con la stessa Air France - KLM. 10 11 Il diritto di opzione è il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione conferito agli azionisti e agli obbligazionisti in possesso di bond convertibili da esercitarsi nel termine concesso dalla delibera e non inferiore a trenta giorni successivi all’offerta depositata presinoptate, i soci che hanno esercitato l’opzione hanno il diritto di prelazione legale su queste ultime ai sensi dell’art. 2441 comma 3 cod. civ.

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do quanto disposto dall’art. 2441 del codice civile, spetta agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili esercitare l’opzione ed il gruppo Air France – KLM ad oggi12 ha dato in questo senso indicazioni negative. La diluizione della quota della compagnia d’oltralpe - che potrebbe essere parzialmente mitigata dalla conversione di obbligazioni in azioni ordinarie13 industriali della compagnia. Il rafforzamento dell’alleanza commerciale Sky Team della quale tutte e tre le compagnie in questione fanno parte potrebbe essere una buona scelta di mercato per tentare di incrementare la resilienza di Alitalia su un mercato dal quale rischia drammaticamente di scivolare via. I competitors continentali e gli aiuti di stato iuti di stato, per comprendere l’affermazione di un portavoce di International Airways Group (la holding che controlla, British Airways e Iberia) che ha sollecitato un intervento della Commissione europea nella vicenda Alitalia14. Da una prima lettura dell’art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 87 TCE) emerge come “siano incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati Membri, gli aiuti concessi dagli stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo alcune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorLa partecipazione al capitale di una società (derivante dall’acquisizione di quote di capitale di rischio) da parte dello Stato o di altro ente pubblico può rientrare nelle modalità di aiuto menzionate nella sopra citata disposizione 16. Come affermato in numerose pronunce della Corte di TFUE come questa partecipazione (ed in generale l’intervento considerato lesivo della concorrenza) si concretizzi, tanto che alla base può esservi sia 12 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-11-13/alitalia-tanno-approvato-nuovopiano-industriale-213937.shtml?uuid=ABe3U1c&fromSearch 13 Le obbligazioni convertibili sono emesse dall’assemblea straordinaria ai sensi degli artt. 2364 e 2420-bis cod. civ. Sono uno strumento che - tra le sue diverse funzioni economiche “attori societari”, posizione questa che consente una attività di controllo maggiore sull’operato degli amministratori rispetto a quella esercitabile ex artt. 2411, 2415 e 2419 cod. civ. 14 http://www.ilsole24ore.com/art/servizio/2013-10-14/alitalia-vicina-ricapitalizzazione-aiuti-stato-british-a-chiede-intervento-ue-commissione-valuteremo--200011.shtml 15 Per una raccolta di norme dell’Unione vedi NASCIMBENE, Unione Europea Trattati - II edizione, ed. G. Giappichelli, Torino, 2013 16 TESAURO, Diritto dell’Unione Europea – settima edizione, ed. CEDAM, Padova, 2012 pag. 813

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un provvedimento amministrativo (es. una concessione ad un privato fatta con decreto ministeriale) sia un mero accordo tra privati come può essere la sottoscrizione di nuove azioni emesse ai sensi degli artt. 2346 ss. del codice civile. Dette le modalità di intervento che il settore pubblico può fare all’interno del mercato con l’impiego di risorse statali, occorre capire quando questo intervento sia lecito, in particolare quando l’ingresso nel capitale di un privato da parte dello Stato non integri violazione dell’art. 107 TFUE. La Corte di giustizia, nella sua consolidata giurisprudenza17, che trova riscontro anche nell’orientamento della Commissione18, ha elaborato un criterio squisitamente economico per capire ove si sia in presenza di alterazione illecita del mercato concorrenziale: il pubblico investitore deve, in buona sostanza, indossare le vesti di un investitore privato e comportarsi come tale, nel senso che l’intervento deve in astratto essere economicamente concepibile anche da un privato che persegua obbiettivi di redditività19. La prospettiva, valuterà se l’investimento fatto dal capitale pubblico rispetti effettivamente i principi di conseguimento di redditività sul medio e lungo termine prescritti e modellati sull’azione dei privati. Dal punto di vista economico, la ratio del legislatore europeo nel prevedere queste norme è chiara e sottesa alla convinzione che una eventuale alterazione del mercato da parte dello Stato possa far insorgere esternalità negative che danneggino soggetti economici interni all’Unione. Nel caso di specie, l’obiezione di British Airways sembra fondarsi sul fatto che l’ingresso del Ministero dell’Economia (mediante le Poste Italiane, possedute al 100% dallo Stato come detto in precedenza) nel capitale di Alitalia sia idoneo ad incidere sugli scambi intracomunitari, in un settore peraltro nevralgico per circolazione di persone e capitali nei territori dell’Unione, pertanto danneggiando gli altri vettori europei, che in un regime di concorrenza alterata si vedrebbero – a loro avviso – potenzialmente privati della 17 Italia contro Commissione Europea, causa C-303/88 del 21 marzo 1991; Germania contro Commissione Europea, causa C-334/99 del 28 gennaio 2003; Elliniki Nafpigokataskevastiki contro Commissione Europea, causa T-348/08 del 10 novembre 2011 e numerose altre, anche relative a contenziosi sorti su note vicende economiche del nostro paese, su tutte il caso dell’ingresso dell’IRI nell’azionariato di Alfa Romeo 18 pagina 92 e successive 19 Giudizio della Corte del 14 Settembre 1994, Regno di Spagna contro Commissione delle Comunità Europee. Aiuto di stato in materia di iniezione di capitale in imprese agricole. Sentenza C-42/93. P. I - 4193

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Paese che verrebbero lasciati liberi da un progressivo recedere di Alitalia sul mercato. L’obiezione sollevata dal vettore britannico sembra peraltro particolarmente solida dal punto di vista giuridico, in quanto l’ingresso di Poste Italiane nel capitale di Alitalia non sembra soddisfare quei criteri di persecuzione di redditività sopra citati. In particolare, numerose sono le obiezioni a quanti sostengono che la sottoscrizione (indiretta) delle quote della compagnia da parte del Ministero della Economia non comporti la violazione dell’art. 107 par. 2 TFUE. Anzitutto occorre dissipare i dubbi riguardanti l’idoneità della predetta modalità di intervento a rientrare tra quelle elencate dalla corte come strumentali all’erogazione di un aiuto: l’acquisto di quote di Alitalia da parte delle Poste Italiane implica una iniezione di liquidità proveniente dai contribuenti in quanto fatta con l’impiego di risorse statali20 21. Chiarito che la longa manus del settore pubblico è ben visibile nella vicenda, occorre valutare la liceità dell’intervento, che ovviamente per essere tale non deve alterare il mercato concorrenziale22: ebbene la valutazione del piano industriale approvato lo scorso 13 novembre dal CDA non depone certe a favore dei sostenitori della predetta tesi, in quanto non si ravvisano quelle volontà di potenziamento e di espansione industriale che invece 23 . Da questo punto di vista la giurisprudenza della Corte di Giustizia è chiara e piuttosto restrittiva: l’aiuto non può essere dato arbitrariamente nemmeno se sia volto a 20 Questa affermazione viene coadiuvata dal fatto che la commissione intende per risorse statali ex art. 107 par. 1 TFUE anche le risorse di imprese pubbliche che di fatto sono controllate dallo Stato. Vedi nota 45 al progetto di Comunicazione sulle linee guida sugli aiuti di stato elaborato dalla Commissione Europea. Vedi inoltre causa “ C-482/99 Repubblica Francese contro Commissione. 21 http://ec.europa.eu/competition/consultations/2013_aviation_guidelines/aviation_ guidelines_it.pdf 22 misura in cui rafforza la posizione di un’impresa rispetto ad altre imprese, sul punto vedi Causa C-310/99, Italia contro Commissione, 23 plicato il cosiddetto test dell’operatore in un’economia di mercato (“test MEO”). Tale esame nanziamento pubblico è stato concesso e non su un’analisi basata su una situazione successiva. Questo criterio, elaborato in generale per tutta la disciplina degli aiuti di stato ma nello la nuova Alitalia non ha mai fatto utili dalla sua fondazione). Non sembra essere rilevante il fatto che le quote sarebbero acquistate da Poste Italiane al prezzo di mercato.

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tutelare (o addirittura salvare) un’impresa erogante un servizio economico di interesse generale (SIEG) come può esserlo quello del trasporto aereo24. L’azione del Ministero dell’Economia si colloca dunque in un campo ove si ritiene che l’economia di mercato possa comunque soddisfare l’interesse della comunità a ricevere a prezzi di mercato il servizio di trasporto, vero interesse protetto dalla disciplina di cui all’art. 107 TFUE: in buona sostanza, il salvataggio di Alitalia può essere lecitamente perseguito solo con l’ingresso di soci privati nella compagnia, senza ricorrere all’uso di risorse pubbliche. La conseguenza di una mancata adozione di una strategia commerciale che guardi solo ai privati sarebbe la probabile apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione nei confronti dell’Italia per violazione dell’art. 107 TFUE. Il futuro della compagnia e lo spauracchio dell’amministrazione straordinaria Il deja-vu che molti commentatori della vicenda hanno avuto analizzando gli ultimi avvenimenti non lascia dunque particolarmente stupiti se si considera la storia “attuale” della vecchia Alitalia L.A.I. (o c.d. bad company), sottoposta dal 2008 alla procedura di amministrazione straordinaria. In particolare nell’analisi fatta a suo tempo dal commissario straordinario unico Augusto Fantozzi (ora sostituito da Stefano Ambrosini, Gianluca Brancadoro e Giovanni Fiori), sembrano emersi seri dubbi sulla correttezza della gestione della compagnia fatta dagli amministratori nel corso degli anni25. Queste accuse invece non investono la gestione della nuova compagia. 24 ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE se sono rispettate le quattro condizioni tra una procedura di appalto pubblico, che permette la fornitura del servizio al minor costo per la comunità, il livello di compensazione concesso deve essere determinato sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa tipo, ben gestita, avrebbe sostenuto per espletare tali obblighi, tenendo conto delle relative entrate e di un utile ragionevole. Rientrandosi nella fattispecie summenzionata non si vede il motivo per cui privilegiare Alitalia nella fornitura del SIEG essendo essa a tutti gli effetti un operatore privato soggetto a regime di concorrenza. Sul punto vedi Cfr. op. cit., causa C-280/00, punti da 86 a 93., nota 64 al progetto di Comunicazione sulle linee guida sugli aiuti di stato della Commissione Europea. La linea di trasporto aereo il riferimento è il regolamento 1008/2008. 25 http://www.lastampa.it/2013/04/06/economia/alitalia-richieste-danni-per-miliardi8pAUjEfzf6bCtkKlgTj3nN/pagina.html

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Quel che è certo è che la nuova Alitalia, a due anni dall’EXPO, non può permettersi un’altra gravosa procedura concorsuale, che questa volta potrebbe essere l’anticamera del fallimento vero e proprio e della liquidazione non solo del patrimonio sociale, ma anche dell’intera cinquantennale storia del vettore aereo.26 26 Questo scenario, senza dubbio il più nero per la compagnia, potrebbe inoltre portare a conseguenze nefaste anche nei confronti degli amministratori, qualora si ritenga che la gestione della compagnia sia stata fatta contravvenendo alle regole di diligenza imposte dall’art. 2392 cod. civ. La disciplina codicistica suddivide le fattispecie di responsabilità agli amministratori di adempiere ai loro doveri legali o statutari con la diligenza dovuta alla norma abbia una spiccata duttilità applicativa a seconda delle diverse realtà societarie nella quale si collochi l’operato dell’amministratore: un amministratore esperto in programmadi acquisire una società che di lì a poco si sarebbe dimostrata insolvente (l’erronea valutazione del rischio poteva essere evitata date le sue competenze, cosa che invece il legislatore ritiene di poter “perdonare” ad un amministratore non esperto in materia). Ancora più forte appare la tutela garantita alla società dal secondo comma della medesima disposizione, che impone un preciso dovere di eliminare o attenuare le conseguenze dannose di fatti pregiudizievoli per la società dei quali gli amministratori siano a conoscenza. Quest’ultimo caso è stato da più parti invocato quando si è trattato di capire le colpe della sciagurata gee dei suoi amministratori, rei di non aver evitato ne’ rimosso questi pregiudizi, ostacolo è promossa ai sensi dell’art. 2393 cod. civ. In particolare, sempre con riguardo alla vicenda della vecchia ora In amministrazione straordinaria – ammessa a questa particolare procedura concorsuale ai sensi della c.d. Legge Marzano o Legge Parmalat -, i commissari nominati dal governo nel 2008 hanno provveduto all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti di vari amministratori succedutesi nel tempo., segno che la vecchia compagnia era già stata,o, al condizionale, sarebbe stata teatro di una gestione né diligente nei confronti dei soci, né conservativa del patrimonio sociale, avendo creato un notevole pregiudizio ai creditori. L’azione appena descritta è stata esercitata ai sensi dell’art. 2394-bis cod. civ. essendo la vecchia Alitalia in regime di amministrazione straordinaria. Le forme tradizionali di azione di responsabilità verso i creditori sociali sono invece quelle di cui al 2394 c. (e 2395 c., solo però nel caso derivante da atto dell’amministratore). Si badi bene che l’azione di responsabilità può essere intentata anche nei confronti del c.d. amministratore di fatto, un soggetto che pur non essendo formalmente amministratore, nella sostanza concorre concretamente o addirittura si sostituisce – col benestare dei soci - a quelli che occupano la carica. Tornando alle vicende della nuova Alitalia, nessuna azione di questo tipo (contro amministratori di fatto o legittimi) è stata ad oggi intentata. Per un’ampia trattazione delle tematiche si rimanda alle seguenti fonti dottrinali: JAEGER, DENOZZA, TOFFOLETTO, CAMPOBASSO,

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PRESTI, RESCIGNO,

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Il reato di “concussione” nella Legge 190/2012:

Paolo Petralia Camassa

La Legge 190/2012, nota anche come “Legge Severino”, recante “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, trae il suo presupposto dagli studi, a dir poco allarmanti, compiuti dall’ UE e dall’ OCSE (Organizzazione per la cooperazo paese OCSE con il più elevato tasso di corruzione. La presa di posizione del Ministro Severino è stata ben accolta dai rappresentanti dei cittadini in Parlamento, i quali, in maggioranza, hanno votato a favore della norma “anticorruzione”. Nonostante il fascino del suo obiettivo, questa norma contiecomprensione. Intendo riferirmi, in c.p. riguardante il reato di concussione. Prima di passare al contenuto delle novità apportate dalla Legge, è necessario descrivere in cosa consiste il reato di concussione e come era disciplinato dall’art. 317 c.p. prima delle Art. 317(vecchia formulazione): cato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici Secondo tale disposizione è evidente che il reato di concussione si presenta come reato proprio, in quanto necessita, in capo all’autore, del possesso co servizio); è reato monosoggettivo, perché la fattispecie descritta può , è fattispecie a condotta alternativa (costrizione e induzione). Da più parti si è detto come con la Legge 190/2012 sia stato messo in atto un c.d. “spacchettamento” della mento della fattispecie in una duplice ipotesi autonomamente disciplinata.

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Infatti, a seguito della riforma, sono gemmate due fattispecie: l’art. 317 c.p. che, mantenendo la dizione di “concussione”, punisce con una pena maggiore nel minimo rispetto a quella precedente (oggi “da sei a dodici anni di le (e non più anche l’incaricato di pubblico servizio come previsto prima) “che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo denaro o altra utilità”. L’ipotesi di concussione per induzione ricompare invece nell’appena introdotto art. 319 quater, primo comma, codice penale, la cui rubrica recita “induzione indebita a dare o promettere utilità”. Tale norma sanziona, con una pena inferiore, sia rispetto alla novellata che alla pregressa concussione, (la reclusione “da tre a otto anni”) “ servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità”.1 Come sottolineato nella citata Relazione, la novità più rilevante di quest’ultima norma è, però, contenuta nel suo capoverso, laddove prevede che “nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità, è i”. Come è stato detto,“un conto è accusare qualcuno di aver indotto una parte lesa a subire un reato per evitare un danno, e altro è accusarlo di aver indotto un concorrente a delinquere .2 Tornando alle modalità di manifestazione del reato di concussione, sono previste, quindi, due condotte separatamente considerate, quella costrittiva e quella induttiva; una distinzione, in verità, stregua dell’una o dell’altra modalità concussiva reca oggi, diversamente rispetto al passato, conseguenze diverse sul piano sanzionatorio. E così, la Corte di Cassazione, nella Sent. 30 Aprile 2013 n. 18968 – la pronuncia forse più d’ogni altra capace di “scolpire” il discrimine tra le due condotte – marca la differenza tra la concussione nella forma costrittiva e in quella induttiva, analizzando il diverso carattere del tipo di condotta: <<mentre pur non eliminandola del tutto, condiziona gravemente la libertà di autode1 Relazione 19/2013 Massimario- “www.penalecontemporaneo.it” 2 cfr. Davide Steccanella “la nuova concussione, forse qualcuno ha sottovalutato il proble-

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costrizione(persuasione, ostruzionismo, silenzio antidoveroso), che sia pure non estrinsecandosi in minacce esplicite, convincono il privato a dare o promettere l’indebito>>3. Certamente la condotta costrittiva risulta essere più grave di quella induttiva, ma la scelta di ridimensionare la pena per l’induzione appare criticabile su due punti. Il primo concerne il termine di prescrizione del reato ex art. 319 quater che, rispetto alla precedente disciplina, è stato diminuito di quattro anni (da dodici a otto anni). E’ noto infatti che il termine prescrizionale si commisura all’entità della pena massima edittale. In tal modo la scelta di mitiè il vero ed importante scopo della riforma, punire la corruzione e le sue varie forme di manifestazione. Il secondo rilievo riguarda una certa incomprensibilità di tale scelta san-

(spesso, infatti, gli ammiccamenti e le mezze frasi sortiscono risultati più celeri e sicuri di condotte costrittive plateali e rischiose). Un ultimo punto sul quale, ritengo, sia necessario soffermarsi riguarda, come già accennato precedentemente, la scelta di sanzionare la vittima della concussione per induzione; a tal proposito non c’è migliore commento una scelta che suscita perplessità (…) essa avrà l’effetto di ostacolare le indagini nei reati di concussione per induzione”4.La previsione dell’ art. 319 quater di punire anche la vittima della concussione per induzione tradisce, più delle altre problematiche della riforma, quelli che dovevano essere i suoi scopi disciplina perché a nessuno sfugge come tale scelta funga da vero e proprio disincentivo alla denunzia di fatti che, senza la parola accusatrice del concusso, sarebbero destinati a rimanere sconosciuti.

3 Sent. 30 Aprile 2013 n. 18968-“www.penalecontemporaneo.it” 4 Parere CSM 24 Ottobre 2012; www.csm.it

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Sedriano l’intreccio politico affaristico. Primo comune Lombardo Laura Caroleo “Il sistema criminale tende a costruire uno stato nello stato, le cui strutture (Ferracuti, Bruno 1988) Sedriano (Milano)21 Ottobre 2013 Una patologia in un organo statale complesso, tale appare agli occhi di molti il problema della criminalità organizzata o, per voler richiamare il Un morbo che si propaga sempre di più all’interno del nostro territorio abbandonando, dunque, il sistema periferico che vedeva interessate le regioni del sud Italia per allargarsi oramai all’intera nazione. Il controllo territoriale assurge ad attività fondamentale degli apparati pugliese o ‘ndrangheta calabrese) e viene attuato attraverso sistematiche intromissioni nel potere governativo e amministrativo, esercitando forme di coazione o di pressione sulla politica. Ciò che spinge la criminalità organizzata a voler instaurare uno sposalizio illecito con gli enti locali, anche attraverso un sistema di scambio di voti elettorali per introdurre tra le attività più redditizie per la malavita: i pubblici appalti, la speculazione sulle aree urbane (dunque l’attività edilizia) e favoritismi sulla pubblica contrattualistica. Il 16 ottobre 2013 la maggior parte dei quotidiani nazionali hanno riportato la notizia dello scioglimento del comune di Sedriano (Milano) con la ‘Ndrangheta. Nell’ambito di un procedimento penale avviato dalla di un provvedimento cautelare a carico, tra gli altri, del sindaco del comune di Sedriano, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, sono emersi indotto il Prefetto di Milano a disporre l’accesso presso il Comune . 1 Decreto Del Presidente Della Repubblica del 21 ottobre 2013

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Una vera e propria liaison tra pubblici amministratori ed esponenti della malavita. In cambio di supporto elettorale, la criminalità organizzata, sarebbe stata in grado di condizionare la vita dell’ente e così ottenere l’aggiudicazione di pubblici appalti. Dall’indagine si riscontra come nel 2009, il sindaco di Sedriano, Alfredo Celeste, abbia vinto le elezioni e si sia piegato ai voleri della compagine criminale, in seguito ad un patto illecito di un consigliere comunale appartenente alla stessa coalizione del primo cittadino avente uno stretto legame di parentela con un esponente di rilievo della malavita e di un imprenditore il quale avrebbe fatto da tramite tra i boss e i pubblici amministratori. Lavori relativi al verde cittadino e alla ristrutturazione di manufatti appartenenti all’ente, sarebbero così all’indebolimento o addirittura all’azzeramento delle procedure previste dalla legge per i pubblici appalti. Si riscontrano anche i mancati pagamenti

le norme sul pubblico impiego, un posto di rilievo ad un soggetto vicino alla criminalità organizzata. Un fatto eclatante, essendo Sedriano, il primo comune lombardo ad essere sciolto per applicazione dell’articolo 143 del Decreto Legislativo 18 Agosto 2000, n. 267 Testo Unico degli Enti Locali. Riportiamo il testo del Decreto Del Presidente Della Repubblica del 21 Considerato che nel comune di Sedriano (Milano) gli organi elettivi sono stati Considerato che all’esito di approfonditi accertamenti sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e Rilevato, altresì, che la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata ha arrecato grave pregiudizio per gli interessi della e deterioramento dell’amministrazione comunale, si rende necessario far luogo allo scioglimento del consiglio comunale e disporre il conseguente commissariamento dell’ente locale per rimuovere tempestivamente gli effetti pregiudizievoli per l’interesse pubblico e per assicurare il risanamento

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all’insediamento degli organi ordinari a norma di legge, le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco nonché ogni altro

Dunque, appare evidente la “presa di potere” anche al nord delle organizzazioni criminali, territorio estraneo sino a poco tempo fa a questo controllo occulto della malavita. Evoluzione storica della normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli enti locali conseguente a fenomeni di Nei primi anni ‘90 un famoso quotidiano nazionale titolò un articolo comune di Taurianova (RC) in Calabria tra alcune famiglie ‘ndranghetiste e caratterizzata da una brutalità, a tratti, macabra (all’epoca dei fatti la testa “mozzata” di una delle vittime, venne lanciata in aria per consentire che portarono a legiferare per cercare di abbattere il problema delle Nel 1991 si arrivò, dunque, all’emanazione del decreto legge n. 164, art. 1 del dalla L. 22 luglio 1991, n. 221 che emendava così la legge 19 marzo 1990, n. 55 (la legge 19 marzo 1990, n. 55 nell’art. 15 imponeva delle restrizioni in merito all’elettorato passivo e la sospensione dalle cariche ricoperte per quei soggetti che erano stati rinviati a giudizio per i delitti dell’art. 416 bis del codice penale). Si introduceva così l’art. 15 bis concernente “Misure urgenti per lo

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scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti “speciale” rispetto a quella prevista nella legge 8 giugno 1990, n 142 sulle autonomie locali la quale consentiva lo scioglimento dei consigli comunali solo in caso di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di leggi, o per gravi motivi di ordine pubblico. Questo è quanto enunciava il primo comma dell’art. 15 bis: i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza Questa disposizione offrì la base normativa per procedere allo scioglimento dei comuni di Taurianova (RC) e Casandrino (NA): i primi due consigli della criminalità organizzata. precisamente nell’art. 143. Procedimento di attuazione art. 143, decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 L’impulso del procedimento viene dato dal Prefetto competente per territorio, il quale istruisce la causa per delega del Ministero Dell’Interno. Il Prefetto predispone l’accesso agli atti presso l’ente coadiuvato da una commissione d’inchiesta composta da tre funzionari della Pubblica Amministrazione i quali, entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una sola volta per un periodo massimo di altri tre mesi, devono consegnare le proprie conclusioni al Prefetto che li ha incaricati. Qualora questi ritenga di non effettuare l’accesso agli atti, ha il dovere di indicare i dal deposito delle conclusioni il Prefetto deve interpellare il comitato

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provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica e il Procuratore Della Repubblica competente per territorio. Deve, inoltre, redigere una relazione nella quale si dia conto degli elementi di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento Se dovesse, invece, pendere un processo penale che interessasse i suddetti casi, il Prefetto può richiedere informazioni al Procuratore della Repubblica competente. Lo scioglimento, dunque, viene previsto entro tre mesi dalla trasmissione della relazione con decreto del Presidente Della Repubblica, su proposta del Ministero degli Interni, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri ed è trasmesso alle Camere. Contro tale Decreto è ammesso il ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. Il commissariamento, in caso di scioglimento, è devoluto ad una commissione straordinaria di tre componenti scelti tra pubblici funzionari e magistrati che siano in quiescenza o in servizio. E’ da sottolineare che, quando non sia disposto lo scioglimento del consiglio comunale, ma comunque risultino provati degli elementi di collegamento con la criminalità organizzata di singoli dipendenti degli enti locali, questi incorrono in una sospensione (ex art. 143 comma 5). Gli amministratori responsabili delle condotte che hanno portato allo scioglimento dell’organo, invece, non possono essere ricandidati nel territorio in cui si trova l’ente interessato, limitatamente al primo turno successivo, questa prevenzione verrà meno nelle legislature a seguire, salvo che i soggetti in questione non siano stati interdetti dai pubblici un effetto “demolitorio” e ciò viene fondato sull’esigenza di evitare che il fenomeno possa riprodursi essendo questo provvedimento non di tipo sanzionatorio ma preventivo. De Iure Condendo, si potrebbe ipotizzare, di poter prolungare il periodo di commissariamento oltre i limiti previsti per quei comuni che vedono 2 Art. 143 comma 1 Decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267

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opportuno l’applicazione della normativa sulla incandidabilità (Decreto legislativo 31.12.2012 n° 235 cd Legge Severino) onde evitare, come accaduto di recente a Nardodipace (VV) , che i soggetti responsabili dell’emanazione del Decreto di scioglimento, possano essere rieletti a discapito del buon andamento della pubblica amministrazione. giurisprudenziale sui requisiti necessari per lo scioglimento del

alta amministrazione deriverebbero delle conseguenze sulla possibilità di un sindacato giurisdizionale. L’atto politico è considerato espressione del L’atto di alta amministrazione, invece, rende esecutiva la programmazione e l’indirizzo del primo ed è espressivo dell’attività amministrativa avendo Nel corso di un giudizio sui ricorsi per l’annullamento di due Provvedimenti del Presidente della Repubblica, relativi allo scioglimento di due consigli comunali, il Tar del Lazio ha sollevato la questione di legittimità. Questione risolta dalla Corte Costituzionale la quale, ha escluso, che il decreto possa considerarsi un atto di natura politica. Il giudice amministrativo valuta la presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusione anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata3. Il provvedimento emanato in seguito all’applicazione dell’art. 143 TUEL è un atto dunque di “alta amministrazione”. Gli atti di alta amministrazione pertanto al relativo regime giuridico, ivi compreso il sindacato giurisdizionale, sia pure con talune peculiarità connesse alla natura spiccatamente Infatti, il controllo del giudice non è della stessa ampiezza di quello esercitato in relazione ad un qualsiasi atto amministrativo, ma si appalesa meno intenso e circoscritto alla rilevazione di manifeste illogicità formali e procedurali Il procedimento di esecuzione del sindacato giurisdizionale riguardante il provvedimento di scioglimento, non appare difforme, nei criteri di base, dai principi che caratterizzano il controllo del giudice amministrativo sugli atti discrezionali della pubblica amministrazione. Si riscontra, 3 Corte Costituzionale n.103 del 1993 4 Consiglio di Stato V sezione n.4502 del 27 Luglio 2011

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dell’amministrazione, dei principi giuridici di logicità, imparzialità, e parità di trattamento. Sarà, quindi, un sindacato contrapposto a quello di merito che porterà la preclusione per il giudice di esercitare poteri sostitutivi; sarà, infatti, ammesso solo l’annullamento del provvedimento impugnato senza che il giudice possa riformarlo, essendo lui consentito di controllare che non siano presenti vizi che denotino la deviazione del rito abbreviato. La disposizione dell’art. 143 lascia degli spazi di ambiguità sulla scelta dei requisiti necessari (siano essi elementi fondati, una prova concreta, o semplici elementi) per una corretta applicazione dell’art. 143 TUEL. I dubbi a riguardo sono stati risolti data dalla sentenza del Consiglio Di Stato sezione III del 6 marzo 2012, n.1266. Con decreto del 13 agosto 2010 veniva sciolto il comune di Nicotera (VV) per applicazione dell’art. 143 del D.lgs. 18 Agosto 2000, n. 267. I componenti del Consiglio Comunale e il Sindaco impugnavano tale decreto lamentando l’insussistenza di elementi rilevanti , univoci e concreti (oltre all’eccesso di potere per carenza di presupposti, il travisamento dei fatti, l’illogicità manifesta, lo sviamento di potere) il ricorso veniva rigettato con sentenza dal Tar5 e successivamente con sentenza del Consiglio di Stato. Nella sentenza del Consiglio Di Stato sezione III del 6 marzo 2012, n.1266 viene dunque risolto il problema dei requisiti necessari per lo scioglimento del consiglio comunale: La natura di questo provvedimento, di carattere straordinario, non è di tipo

di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata, ma che non devono necessariamente concretarsi in situazioni di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né in forme di responsabilità né la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, né che 5 Tar del Lazio-Roma I sezione n.6856 del 20 aprile 2011

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i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un

dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia

basta che sussistano semplici “elementi” (e quindi circostanze di fatto, non prove inconfutabili) di un collegamento tra l’amministrazione e le di un condizionamento dell attività amministrativa, riconducibile

In conclusione, detta normativa, istituita per reprimere il fenomeno delle Italia dalla sua emanazione nel 1991. La costante pressione esercitata dalla criminalità organizzata esige un continuo aggiornamento degli strumenti posti a tutela dei valori fondamentali della nostra collettività. Delle soluzioni preventive che vietassero l’interferenza di soggetti capaci di condizionare il sistema elettorale e le attività amministrative dell’ente, aborra il sistema delittuoso delle organizzazioni criminali.

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Riforme costituzionali

Le proposte di riforma costituzionale della seconda parte della Costituzione sono riapparse, puntuali e (questa volta forse) concrete, a movimentare il dibattito politico, parlamentare e dottrinale sin dagli inizi di questa XVII legislatura. Le riforme costituzionali rappresentano “ ”1 Questo è lo spirito in cui si inserisce il ddl 813 A.S. (Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali), che rappresenta la concretizzazione materiale di ciò che da tempo si andava progettando. Il tema delle riforme costituzionali difatti viene presentato regolarmente sin dagli anni ’70, senza aver avuto di fatto continuità, sebbene vi siano stati numerosi tentativi di riforma2 Volendo dare una veloce cronistoria dei fatti, si può indicare come punto d’inizio del processo riformatore l’istituzione, avvenuta il 30 marzo da parte del Presidente della Repubblica, di un gruppo di lavoro su temi istituzionali in materia economico-sociale ed europea. I cosiddetti “4 saggi di Napolitano” (Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliarello, Luciano Violante) presentarono le loro relazioni conclusive il 12 aprile e individuarono come aree di intervento prioritarie, tra le altre, quello delle riforme di alcune materie della seconda parte della Costituzione3 Nel discorso di insediamento poi il Presidente Napolitano avverte: “la necessità che al perseguimento di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di partecipazione democratica e dei partiti politici, e di riforma delle istituzioni rappresentative, dei rapporti tra Parlamento e governo, tra Stato e Regioni, si associ una forte attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi Anche il Presidente del Consiglio Letta esponendo le linee programmatiche 1 Ddl 813, www.senato.it 2 si pensi alla Commissione De Mita-Iotti, o alla Commissione D’Alema. Per approfondi3 per la relazione: www.quirinale.it 4 Testo integrale del discorso di insediamento di Napolitano, 22 aprile 2013

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dell’esecutivo riprende il tema della necessità delle riforme, auspicando in coerente contributo giuridico (ciò che poi si concretizzerà nell’istituzione della “Commissione dei saggi”)5 Successivamente, con le mozioni del 29 maggio 2013, Camera e Senato invitano il Governo ad assumere l’iniziativa della legge di revisione. Si tratta della mozione n. 1-56, presentata dai capigruppo della maggioranza della Camera on. Speranza, Brunetta, Dellai, e dal Presidente del Gruppo misto on. Pisicchio (441 voti favorevoli e 138 voti contrari) e la mozione n. 1-47 Bruno, Martini, Esposito Giuseppe, votata al Senato (224 voti favorevoli e 61 contrari). Le due mozioni impegnano il Governo a presentare alle Camere, entro giugno 2013, un disegno di legge costituzionale che istituisca una procedura straordinaria per l’approvazione delle riforme costituzionali in deroga a quella ordinaria di cui all’art. 138 Cost..Secondo parte della dottrina questo delineerebbe un caso di autosospensione del Parlamento, cioè una proclamazione di impotenza da parte dell’Assemblea :“il Parlamento infatti ha decretato, con quelle mozioni, la propria incapacità di procedere autonomamente nel solco delle riforme, delegando l’indicazione della mate”6 Il Governo dunque, in attuazione degli indirizzi parlamentari trasmette un disegno di legge costituzionale al Senato, che lo esamina l’11 giugno (A.S. 813) Al disegno di legge del Governo è stata abbinata una proposta di legge di iniziativa parlamentare volta ad istituire una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (A.S. 343). Nelle suddette mozioni si prende poi atto della volontà del governo (come anticipato da Letta, vedi supra) di avvalersi di un pool di esperti in materia per delineare le diverse ipotesi di riforma; in questo contesto si inserisce la ormai celeberrima “commissione dei saggi”, istituita dal Presidente del Consiglio con decreto 11 giugno 2013 e denominata “Commissione per le riforme costituzionali”. La Commissione ha concluso i lavori con una relatrasmessa alle Camere il 18 settembre 2013. 5 intervento Letta 29 Aprile 2013, www.governo.it 6 Michela Manetti; “il valore negativamente esemplare del percorso scelto per le riforme istituzionali”, www.costituzionalismo.it

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Il 13 giugno viene approvata dal Senato la richiesta (proveniente dal governo) di dichiarare per il ddl la dichiarazione d’urgenza ex art. 77 reg.sen. Al

trasmesso alla Camera che ne ha avviato l’esame il 17 luglio e lo ha concluso con il voto favorevole dell’Assemblea il 10 settembre 2013 (A.C.1359). Il 23 ottobre il Senato ha approvato il provvedimento in seconda deliberazione, con 218 voti favorevoli, 58 contrari e 12 astensioni. Il provvedimento è ora nuovamente all’esame della Camera per l’ultima lettura. Sulla “necessità” di riformare glio qualcosa che, così come esiste, non può più espletare al meglio le sue funzioni. L’oggetto in questione è la Costituzione: qualcosa non va, qualcosa va cambiato perché torni a funzionare al meglio. E perché non funziona più? Ma soprattutto, cosa non funziona più? Nella relazione al ddl 813 , avendo dapprima postulato la fondamentale necessità delle riforme Costituzionali nell’interesse del Paese si riporta che “ è invece opinione largamente condivisa che tale impianto necessiti di essere aggiornato per dare adeguata risposta alle diversificate istanze di rappresentanza e d’innovazione derivanti dal mutato scenario politico, agli stessi principi fondamentali contenuti nella parte prima della Carta costituzionale.” Non appaiono, a parere della dottrina e della comunità intellettuale che ritiene in sostanza illegittimo questo ddl7, ampiamente satisfattive le motivazioni riportate nella relazione, e tantomeno quelle delle lazione redatta dalla Commissione, riprendendo le parole spese dalla precedente Commissione istituita dal Presidente Napolitano è stato scritto: “ l’Italia ha bisogno di riforme in grado di ravvivare la partecipazione demoogni democrazia moderna e ingredienti del suo successo nella competizione 7 Vedi sul punto, tra i tanti: Faraguna, “La riforma della costituzione cosa, come, ma soprattutto perché” www.associazionedeicostituzionalisti.it ; comunicati stampa e dichiarazioni LibertàeGiustizia, www.libertàegiustizia.it

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il funzionamento della nostra democrazia contribuendo ad attivare i processi ”8 Qualcosa di più viene detto nella premessa alla relazione, nella quale è scritto che “ ha consentito di raggiungere importanti risultati che oggi corrono il rischio .”9 Vengono poi in rilievo altri aspetti, sempre generali, che pongono la necessità delle riforme su10 . Parte della dottrina sempre critica sul punto si esprime in senso opposto, che “ di primo ministro e di scioglimento delle Camere, di rapporto tra Stato e resperanza di futuro e di vita dignitosa.”11 È da notare comunque che il dibattito sulla necessità di riforma della seconda parte della Costituzione non è sconosciuto al panorama politicoparlamentare italiano, anzi, si protrae da ormai trent’anni, e molti sono starisultato. Le critiche dunque che muove la parte contraria possono trovare un senso in riferimento al combinato disposto “perché adesso – perché con queste modalità”. Sulla modalità delle riforme Torna quindi di stringente attualità il tema della derogabilità dell’art.138 Cost, già ampiamente discusso dalla dottrina in occasione delle l. costituzionali 1/1993 e 1/1997. È noto a tutti che il procedimento di revisione della Costituzione è disciplinato dall’art 138 Cost, secondo cui: “le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono 8 Relazione Commissione riforme, www.riformecostituzionali.gov.it 9 Relazione Commissione riforme 10 Relazione Commissione riforme 11 Massimo Villone, “Quei Riformisti della costituzione”, 11 ottobre 2013, www.costituzionalismo.it

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adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei compoVa poi menzionato l’ART. 72 quarto comma Cost. il quale dispone che : “ la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi”. Un procedimento dunque estremamente garantista, che costituisce una variazione del procedimento legislativo ordinario (due deliberazioni successive da parte di ciascuna Camera, contro una sola deliberazione a maggioranza relativa di ciascuna camera sullo stesso testo). Uno degli elementi che rende rigido il procedimento ex art. 138 Cost. è costituito dall’intervallo tra una votazione e l’altra, che, come si evince dalla lettera dell’articolo, non può essere inferiore a tre mesi. Quando, dopo tre mesi, il testo arriva alla seconda votazione, a questo non possono essere apportati emendamenti (art.123 Reg. Sen., art. 99 reg. Camera); si procederà dunque alla votaziociascuna camera, preclude la possibilità di appello al referendum: la legge viene così immediatamente promulgata dal P.d.R. In caso contrario (maggioranza assoluta), entro tre mesi, se richiesto, il testo di l. cost. può essere sottoposto a referendum ( lo possono richiedere minoranze del corpo eletminoranze politiche, con 1/5 dei membri di una Camera). Nel ddl 813 (si ricordi, presentato dal governo su indicazione delle Camere), è delineata una modalità di revisione in deroga all’art 138, che segue dunque una prassi instauratasi per la prima volta nel 1993, la quale trae la sua ragion d’essere dalla convinzione che il procedimento di revisione predella Costituzione di grande rilievo. La procedura “normale” 138 Cost. è costituzionale. riguardante l’ampiezza delle materie che questo abbraccia, l’altro riguardante le modalità del procedimento in deroga al 138 Cost.

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Ampiezza delle materie Questione molto dibattuta è quella che riguarda l’ampiezza dell’oggetto delle revisioni costituzionali; si discute se queste possano o meno avere contenuto disomogeneo, con importanti complicazioni poi per quanto riguarda il vaglio referendario. La maggior parte della dottrina12 sembra oggi orientata a ritenere che siano ammissibili solo revisioni della costituzione omogenee e parziali, e anche il ddl 813, all’art. 4 secondo comma si esprime in questo senso: “Ciascun progetto di legge è omogeneo e autonomo dal punto di vista del contenuto e coerente dal punto di vista sistematico.” Secondo Pace “ in primo luogo, dall’emendamento del Senato, che ha eliminato la doverosa forma (forma di governo, bicameralismo, rapporti Stato-Regioni), che circoè contraddetto dal ricordato inciso che consente, grazie a pretese “connes.”13 Quello della disomogeneità risulta essere dunque un rischio connaturato a questo progetto di revisione. Procedimento in deroga La funzione referente verrebbe quindi esercitata da un Comitato per le riforme costituzionali ed elettorali, composto da venti deputati e venti senatori nominati dai presidenti delle due camere14. Comitato che non è stato salutato dal più grande favore da quella parte della dottrina e della comunità intellettuale che rileva in questo procedimento di revisione costituzionale un abuso-sopruso. Molti sono i dubbi che lo riguardano (composizione, funzioni) e possono essere racchiusi nella critica di Salvatore Settis: “ le Camere che oggi abbiamo, composte di membri nominati con la pessima accordi fra i capigruppo e i presidenti delle Camere) una mini-Costituente di

12 si veda A. Pace, “La disapplicazione dell’art.138”, nota n. 8 , www.associazionedeicostituzionalisti.it 13 A. Pace, “La disapplicazione dell’art.138”, nota n. 8 , www.associazionedeicostituzionalisti.it 14 www.senato.it, ddl 813, ART.1 15 “I custodi della carta” di Salvatore Settis -

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Parte della dottrina16lamenta inoltre che Il Comitato e il Governo godrebbero di un regime “privilegiato” quanto alla presentazione degli emendamenti rispetto ai singoli parlamentari, i quali devono scontrarsi con due tipologie di limiti: contenutistici (possono essere ripresentati solo gli emendamenti respinti dal Comitato in sede referente, o strettamente correlati alle parti que giorni prima, contro le 72 ore del Comitato e del Governo). Difatti, ai sensi dell’Art. 3 comma 3 ddl. 813: “ Fino a cinque giorni prima della data possono ripresentare gli emendamenti respinti dal Comitato in sede referente e presentare emendamenti al testo del Comitato, in diretta correlazione con

è prevista la votazione degli articoli o degli emendamenti ai quali si riferiscostampati e distribuiti, possono essere presentati subemendamenti da parte al giorno precedente l’inizio della seduta in cui è prevista la votazione di tali Nella relazione al ddl 813 vi è una apposita voce, rubricata “cronoprogramma”, cioè una precisa indicazione delle scadenze dei lavori parlamentari, che rischia di far venire meno quella necessaria e costruttiva dialettica sia all’interno del Parlamento, ma soprattutto all’interno del Paese; sembra infatti indispensabile, se si vuole riformare una parte così vasta della Costituzione, poter disporre di tempi lunghi, soprattutto avendo riguardo all’importanza dei valori in gioco. Come stabilito dall’art. 4 del ddl 813, i lavori parlamentari sono organizzati in modo tale da assicurarne la conclusione entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della l. cost. in questione. Queste sono dunque le scadenze: Entro i primi 6 mesi il comitato deve esaurire la sua funzione referente e la discussione del progetto nell’o.d.g.), la quale ne conclude l’esame entro tre mesi ; il progetto di legge deve quindi passare all’altra camera, la quale deliberazioni successive (seguendo il tracciato dell’art. 138 Cost. ) ad un 16 A. Pace, cit. ma anche M.Manetti, cit.

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intervallo minimo di 45 giorni ( discostandosi dal 138 Cost, che prevede l’intervallo minimo di 3 mesi). Si prevede però (in un ottica di rispetto della “rigidità” del 138 derogato) la possibilità di sottoporre il testo al vaglio referendario in ogni caso, anche se questo è approvato con la maggioranza dei 2/3 di ciascuna camera. Sui contenuti delle riforme La relazione dei saggi, presentata alle camere il 18 settembre 2013, è divisa in sei capitoli, che rappresentano anche i sei punti verso i quali i componenti della commissione hanno diretto gli studi, e cioè: superamento del bicameralismo paritario; procedimento legislativo ;titolo v (cioè principalmente, in materia Stato-Regioni, il riparto delle competenze legislative, le mente dedicata alle autonomie locali);forma di governo; sistema elettorale ( viene preso in considerazione a causa dello stretto legame con le scelte in tema di forma di governo prospettate nel capitolo precedente, cioè l’alternativa semipresidenzialismo /parlamentarismo razionalizzato); istituti di partecipazione popolare ( la Commissione all’unanimità ritiene congruo proporre un rafforzamento delle forme di partecipazione popolare: “In tale prospettiva, il rafforzamento del circuito Parlamento-Governo richiede il parallelo rafforzamento degli istituti della partecipazione.”)17 Superamento del bicameralismo perfetto Con un’opinione unanime la commissione si è pronunciata sulla necessità di superamento del bicameralismo perfetto, delineando due opzioni: il bicameralismo differenziato e il monocameralismo.18 Principali promotori della tesi a favore del monocameralismo sono i “saggi” Pietro Ciarli e Giovanni Pitruzzella.19 Posto che il monocameralismo assisistema istituzionale (ma si allontanerebbe di molto dalla tradizione italiana, la quali ha sì visto proporre altre volte il monocameralismo, ma non ne ha mai fatto esperienza), passiamo ad analizzare la tesi che ha raccolto maggior favore e sulla quale si sono maggiormente concentrati i componenti della commissione. 17 Relazione Commissione 18 per una trattazione storica del tema si veda De Fiores, “origini del bicameralismo e prospettive di riforma” 19 si veda intervista a Pietro Ciarlo, “verso il monocameralismo”, www.lindro.it

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La proposta del bicameralismo differenziato prevede una differenziazione tra Camera e Senato: alla prima spetterebbe la funzione di indirizzo politico riali. Il Senato diverrebbe così la camera di espressione delle autonomie. Diverse sono le proposte di elezione dei Senatori. Innanzitutto ci si è chiesti se essi potranno essere eletti direttamente (eletti direttamente dai cittadini) oppure indirettamente. Su questo primo punto, i componenti della commissione prevalgono per la soluzione dell’elezione indiretta, anche se non mancano le opinioni contrarie20 E, nel qual caso si optasse per l’elezione indiretta (cioè da parte dei consigli regionali) ci si chiede se i Senatori debbano essere eletti all’interno o all’esterno di questi, e se debbano rientrare come membri di diritto i presidenti delle Regioni e se (e con quali modalità), tenuto conto della tradizione Comunale italiana, prevedere la presenza di rappresentanti delle autonomie locali. Forma di governo Su questo punto la Commissione si è letteralmente spaccata in due: i sostenitori del semipresidenzialismo “alla francese”e, di contro, i sostenitori del parlamentarismo razionalizzato. I sostenitori del semipresidenzialismo alla francese muovono da diverse considerazioni: in questo particolare momento storico i governi sono deboli, e quello italiano sconta in questo sensottoposti a forti e costanti pressioni, di tipo verticale (dall’alto: Unione Europea; dal basso: istanze territoriali) e orizzontale (opinione pubblica fomentata dai media; lobbies sostengono quindi che “ denziale, in cui è l’elezione del Capo dello Stato - quindi la scelta di una persona, quella preferita e comunque meno lontana dalle proprie preferenze - che (il sistema elettorale a doppio turno per l’elezione del Capo dello Stato e per

20 si veda l’intervento di Nadia Urbinati negli approfondimenti alla relazione

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sostituito da parte del Capo dello Stato per rispondere ad esigenze manife”. 21 Le critiche a questa impostazione vengono sollevate perlopiù da coloro i quali apporterebbero un cambiamento meno radicale, cioè dai sostenitori del parlamentarismo razionalizzato, i quali partono dal presupposto che l’esecutivo non stia affatto scontando una debolezza insita nell’organizzazione della forma di governo, anzi, esso controlla quasi totalmente l’amministrazione e determina di fatto quasi per intero la legislazione, attraverso strumenti abusati e ormai scevri della loro funzione originaria. “L’Italia di oggi non soffre di una debolezza istituzionale dell’organo Governo, ma dell’assenza di maggioranze coese e che si formino su prospettive e programmi, anziché sul seguito personale di singoli leaders, e quindi reggano ranze capacissimi di rastrellare consenso elettorale, molto meno di imprime.”22 Inoltre, gli oppositori al semipresidenzialismo, criticando l’elezione diretta del capo dello Stato, individuano in questo il coronamento di quella “deriva personalistica” che da tempo si è fatta largo nello scenario politico italiano, quale per sua nuova natura (elezione popolare diretta) non potrà più assolvere a quella funzione di garante che lo ha sempre caratterizzato, di super partes, rappresentante dell’unità nazionale. I sostenitori del parlamentarismo dunque affermano che “Il governo parlamentare avrebbe il pregio di assicurare l’omogeneità di indirizzo generale capace di funzionare in presenza di contesti politici diversi e di adattarsi alle ”23 E l’equilibrio fra le radella Repubblica, legittimato dalla sua posizione super partes. Detto ciò i sostenitori ritengono necessario inserire degli elementi di “razionalizza21commenti alle relazioni “In favore dell’elezione diretta del presidente della repubblica e della forma di governo semipresidenziale” Beniamino Caravita di Toritto ,Pietro Ciarlo, Ginevra Cerrina Feroni , Giuseppe De Vergottini, Giuseppe Di Federico, Franco Frattini, Stefano Mannoni, Ida Nicotra, Angelo Panebianco, Anna Maria Poggi, Guido Tabellini, Lorenza Violini, Nicolò Zanon. 22 Valerio Onida, commenti alle relazioni 23 relazione commissione

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quadro ordinato in cui siano delineati gli strumenti ed i modi adatti. Tra questi: ranza assoluta; tamente al Governo idonei poteri nell’ambito del procedimento legislativo che gli garantiscano tempi certi per le deliberazioni parlamentari rilevanti -rafforzamento della posizione di primazia rivestita dal Presidente del Consiglio nell’ambito del Governo; -disciplina dello scioglimento della Camera secondo linee di chiarezza e responsabilità. È scritto, nella relazione, che “La scelta ( tra le due forme di governo, ndr) dev’essere effettuata valutando le esigenze che ispirano la riforma, le possibilità del sistema di assorbire senza distorsioni l’impatto della innovazione, ”24 È da sottolineare che, se da un lato non sono nuove le proposte volte a introdurre nel nostro sistema parlamentare degli elementi di razionalizrebbe cambiare drasticamente l’assetto istituzionale. È comunque un sentore che emerge, seppur flebile, quello che in realtà suddette riforme non siano strettamente necessarie, o meglio, lo siano orrata” del cronoprogramma: “ Può sembrare per certi versi che si stia cercando di cambiare velocemente 24 relazione commissione 25 Gaetano Azzariti, “le riforme a passo di bulldozer”, 8 Luglio 2013, www.costituzionalismo.it

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mente la forma dell’assetto istituzionale ha notevole importanza, ma l’impressione che si ricava da alcuni passaggi delle pagine di approfondimento della Relazione porta il lettore a pensare che le radici della crisi siano “alle riforme, che “il punctum dolens non sta nelle istituzioni costituzionali di governo (sempre migliorabili) e nella loro riforma, ma in altri “luoghi ove si ”26 Sembra dunque, che, tacciando di “conservatorismo costituzionale” la parte della comunità intellettuale che si oppone alle riforme di specie, si voglia così in realtà coprire un immobilismo politico, che si trascina appresso precise responsabilità. 27

ll disegno di legge del Governo che, attraverso una deroga all’art. 138 Cost., istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali parlamentare sul tema delle riforme costituzionali era stato avviato con l’approvazione di mozioni da parte della Camera e del Senato il 29 maggio 2013.

26 Così si esprime Valerio Onida a riguardo del dibattito intorno alla forma di governo in uno degli approfondimenti allegati alla relazione 27 si veda la relazione introduttiva al ddl 813

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L’ambiente come diritto umano: è questa la migliore strategia per la sua tutela? Luchino Ferraris

Negli ultimi decenni è maturato in seno alla Corte Europea dei diritti umani (in seguito la “Corte”) un indirizzo fortemente innovativo, ormai pienamente consolidatosi, in virtù del quale, pur in assenza di un espresso riferimento all’ambiente nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (in seguito “CEDU”), la protezione di questo bene in chiave di diritto soggettivo dell’individuo viene resa possibile grazie all’interpretazione estensiva di altre disposizioni previste dalla Carta. Questa lacuna non può sorprendere se si considera che la CEDU è stata approvata nell’ormai lontano 1950, quando la dimensione della problematica ambientale non era ancora minimamente percepita in termini emergenziali nel dibattito politico-giuridico contemporaneo: per averne la riprova, basta osservare i testi normativi coevi (a differenza di quelli emanati dopo l’esplosione della “questione ecologica” a partire dagli anni ’70), anch’essi privi di disposizioni a riguardo; un esempio su tutti è la Costituzione italiana (1948), nell’ambito della quale la protezione dell’ambiente 9: ” Le disposizioni della CEDU la cui interpretazione ha permesso l’innesto di questa giurisprudenza innovativa sono in particolare il diritto alla vita (art. 2), il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (art. 3), il diritto ad un equo processo (art. 6), il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8) e il diritto di proprietà (art. 1 Protocollo 1): tra tutte, è in realtà l’art. 8 che ha imposto il suo ruolo cardine, vista la netta preferenza della Corte ad inquadrare i ricorsi in materia nell’ambito di questa norma, diventando la disposizione di gran lunga più frequentemente invocata. Alla base del procedimento logico seguito per ricondurre la protezione dell’ambiente a quest’ultima disposizione, risiede infatti l’idea che un dan-

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possa concretare una lesione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare; il medesimo ragionamento è applicabile comunque alle altre disposizioni citate (così il degrado ambientale può pregiudicare la vita o In realtà, in base alla celebre bipartizione di Déjeant-Pons1, vi sono due proper un verso, infatti, questi diritti possono essere compromessi dal degrado ambientale in senso stretto, causato o non impedito, direttamente o indirettamente, dallo Stato (ad esempio in caso di disastro ambientale causato da un’azienda posseduta o controllata dallo Stato); per altro verso, deterpregiudizio ai diritti tutelati e devono quindi rispettare i parametri indicati nel secondo paragrafo dell’art. 8 (v. infra): in questa seconda accezione (ad esempio, nel caso di un provvedimento amministrativo che, in funzione del potenziamento delle energie rinnovabili, disponga la costruzione di pale eoliche in prossimità di una serie di abitazioni) l’ambiente può dunque rilevare come limite per altri diritti contenuti nella Convenzione (principalmente il diritto di proprietà ex art. 1 Protocollo 1). teoria degli obblighi positivi”, in forza della quale per garantire il rispetto dei deve impegnarsi con azioni concrete a questo scopo. Il primo caso in cui la Commissione (l’organo, oggi abolito, all’epoca incaricato di decidere sull’ammissibilità dei ricorsi) ebbe occasione di pronunciarsi in questo senso fu il caso Arrondelle c. Regno Unito (ricorso 7889/77); fu tuttavia nel caso Lopez-Ostra c. Spagna (ricorso 16798/90), vero e proprio “leading case” in materia, che la Corte giunse ad affermare conclusivamente che “Severe environmental pollution may affect individuals’ well-being and prevent them from enjoying their homes in such way as to affect their private and family life adversely”; lo sviluppo di questo diritto all’ambiente nel sistema CEDU si consolidò poi grazie ad una ormai stermie Rayner c. Regno Unito, ricorso 9310/81, Guerra e altri c. Italia, ricorso 14967/89, , Hatton c. Regno Unito, ricorso 36022/97, Kyrtatos c. Grecia, 1 M. Déjeant-Pons, “L’insertion du droit de l’homme à l’environnement dans les systèmes régionaux de protection des droits de l’homme”, in “Revue universelle des droits de l’homme”, 1991, p. 461

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ricorso 41666/98, Fadeyeva c. Russia, ricorso 55723/00, Tatar c. Romania, ricorso 67021/01, Moreno Gomez c. Spagna, ricorso 4143/02, Fagerskiold c. Svezia, ricorso 37664/04). Insomma, la vastità delle occasioni in cui la Corte ha inteso pronunciarsi in questo senso, unita alla piena consapevolezza della sua opera, ci permette di giungere ad una prima, fondamentale conclusione: il riconoscimento per via giurisprudenziale di un formale diritto umano all’ambiente in seno alla Ciò non è particolarmente sconvolgente in linea di principio: del resto, anche altri organi giurisdizionali internazionali (come la Corte africana e quella Interamericana dei diritti umani) sono pervenuti alla stessa soluzione: il vero problema risiede nella portata effettiva di questo diritto per l’individuo, alla luce delle condizioni limitative poste dalla norma di volta in volta invocata. In particolare, si prenda in considerazione la formulazione dell’art. 8 CEDU, di cui abbiamo sottolineato la funzione trainante: Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine o alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla

Come risulta evidente alla lettura testuale, il secondo paragrafo enumera le condizioni da rispettare perché si possa legittimamente interferire nei diritti previsti dal primo paragrafo (e quindi anche il diritto all’ambiente, in base alla ricostruzione della Corte); Questo impianto pone una serie di problemi sul piano applicativo che, ad avviso di chi scrive, rendono sostanzialmente evanescente l’effettiva protezione per l’individuo: questa conclusione si fonda su tre ordini di ragioni. In primo luogo, infatti, il grado di tutela è fondamentalmente legato al “margine di apprezzamento” ( o “margin of appreciation” nella dottrina anglosassone) che la Corte di volta in volta accorda agli Stati nel giudicare se le misure da essi adottate a restrizione dei diritti convenzionali siano legittime, ossia rispettose del principio di legalità posto dalla norma (…”a meno

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che tale ingerenza sia prevista dalla legge”). Tuttavia, un’ analisi sistematica della giurisprudenza rivela che nella maggior parte dei casi questo margine di apprezzamento è troppo ampio, al punto da legittimare un pressoché sistematico pregiudizio dei diritti tutelati in nome di un malinteso “interesse generale”; è vero che la Corte accorda un margine diverso a seconda dell’importanza dell’ interesse che si oppone all’ambiente (ad esempio le politiche di urbanizzazione godono di ampia libertà), dell’entità del pregiudizio sofferto dall’individuo, della presenza di un dibattito democratico precedentemente all’introduzione della misura (ad esempio, referendum), e così via; ma, in generale, come giustamente rilevato, “si ha quasi l’impressione che il margine di apprezzamento agisca come causa fondante la deferenza della Corte nei confronti degli Stati Membri, e talvolta come pretesto per tale deferenza, la quale è in realtà stabilita a priori”2; senza contare che, almeno in parte, l’ampiezza eccessiva del margine di cui godono gli Stati nell’ingerirsi in certi diritti deve intendersi come il corollario della protezione della proprietà e dell’impresa garantite dall’art. 1 Protocollo 1 della Convenzione: tanto più la Corte considererà legittimo rafforzare la tutela dell’attività di impresa (ossia la tutela del diritto “di inquinare”), tanto meno troverà spazio la tutela del diritto all’ambiente (ossia del diritto “a non subire gli effetti dell’inquinamento”): è questo il caso per eccellenza in cui l’ambiente e altri beni si limitano a vicenda, conformemente alla teoria di Déjeant-Pons. In secondo luogo, il principio di legalità in quanto tale risulta scarsamente costretta dalle lungaggini delle procedure parlamentari e “sballottata” nel teatro nazionale della politica, perde progressivamente il suo peso, lasciando nuovi spazi al potere amministrativo e a quello giurisdizionale 3. Nel settore ambientale questo processo appare ancora più accentuato4: ciò a causa dell’inevitabile dimensione internazionale (si dica pure globale!) posta dalle problematiche ambientali, che non possono essere affrontate dalla legge del singolo Stato, ma soprattutto a causa della costante situa-

2 R. Descagné, “Integrating environmental values into the European Convention on human rights”, 1995, p. 551) 3 Cfr. L. Cimellaro, “Il principio di legalità in trasformazione”, in “Diritto e società”, 2006, p. 107 ss 4 Si veda F. De Leonardis, “Le trasformazioni della legalità nel diritto ambientale”, in “Diritto dell’ambiente”, a cura di G. Rossi, 2011, p. 117 ss

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violazione. Oltretutto, ciò impedisce al ricorrente di provare la sussistenza di un nesso di causalità (“direct link”) tra la condotta statale e il pregiudizio dell’individuo, richiesto invece necessariamente per integrare il requisito di vittima (“victim requirement”) . Tutto ciò si spiega per il fatto che la Corte non ha ancora realmente fatto misure, suggerirebbe un approccio più probabilistico, ossia fondato appunto sulla probabilità che una serie di concause possano determinare un certo evento nocivo: si tratterebbe indubbiamente di una prova più agevole da fornire per la vittima mentre, in conclusione, l’attuale assetto imperniato sul nesso di causalità impone al cittadino una “probatio diabolica”. gico: si tratta della sua strutturale inidoneità ad essere considerato come diritto soggettivo individuale. Questa inadeguatezza, messa in luce da voci ancora oggi minoritarie in dottrina5, è comprovata dal fatto che il diritto è giustiziabile solo nella misura in cui il concetto di ambiente viene ricondotto, tramite una procedura di “greening” di altri diritti, ad altri beni (la salute, il domicilio, la vita, e così via) che hanno una dimensione più logicaautonoma. Tra l’altro, il “victim requirement”, imponendo di allegare un “direct link” del danno con il pregiudizio effettivo subìto dall’individuo, esclude dal novero come sarebbe invece più congruo che avvenisse, dal momento che la pecusubito dall’individuo e dalla collettività possa risultare sfumata6. In conclusione, la tutela per individuo che intenda far valere il proprio diritto umano all’ambiente dinanzi alla Corte si presenta come ampiamente elementi normativi, si inserisce, ad avviso di chi scrive, in quel processo tipico delle odierne società contemporanee verso la progressiva afferma5 Il più determinato in questo senso è senz’altro F. G. Scoca, “Osservazioni sugli strumenti giuridici di tutela dell’ambiente”, in “Diritto e Società”, 1993, p. 399 ss) 6 E. Ruozzi, “La tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani”, 2011, p. 59).

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zione per via giurisprudenziale di diritti nuovi, nonché verso la manipoladi istanze in vario modo provenienti dalla società civile. Trattasi di operazione “politica” dai risvolti peraltro dubbi, dal momento che spesso, come nel nostro caso, restano incerti sia la titolarità che il contenuto dei diritti in questione: riconoscere trionfalisticamente l’esistenza ticamente, per compiacere la diffusa “retorica ecologista”, ma ciò non toglie che le garanzie effettive per l’individuo siano scarse o addirittura nulle. Probabilmente sarebbe più produttivo un approccio analogo a quello seguito dall’Unione Europea in cui, pur in una logica ancora ancillare allo sviluppo dell’economia di mercato7, le direttive in materia ambientale arrivano ben all’8% della normazione complessiva, fondandosi l’azione dell’Unione su un’articolata regolamentazione volta a porre obblighi stringenti a tutela dell’ambiente e degli ecosistemi: il tutto senza che alcun diritto individuale all’ambiente sia riconosciuto, direttamente o indirettamente. Insomma, piuttosto che un diritto soggettivo che si risolve in una “scatola vuota”, poiché riconosciuto nella forma, ma privo di sostanziale effettività, più opportuno sarebbe concentrare la protezione dell’ambiente sulla predisposizione di una serie di doveri, la violazione dei quali dovrebbe essere denunciata dalle associazioni di settore, più competenti e organizzate a questo scopo.

7 Cfr. M. Poiares Maduro, “The double Constitutional life of the Charter of fundamental rights of the EU”, in “Economic and Social Rights under the EU Charter of fundamental Rights”, a cura di T. Hervey e J. Kenner, 2003, p. 285

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Il plagio musicale: come distinguere l’originale dalla copia Adriana Spina Il panorama musicale mondiale è costellato da centinaia di canzoni somiglianti tra loro per melodia, ritmo o semplicemente qualche nota. Potrebquello di un’altra. Moltissimi tra i più amati musicisti, cantanti e cantautori internazionali si sono ritrovati a doversi destreggiare tra una nota e l’altra per affermare la propria creatività. Quando possiamo davvero parlare di plagio? Un’accusa di plagio sicuramente da ricordare è quella mossa dal cantante italiano Albano Carrisi nei confronti di Michael Jackson, accusato nel 1992 di aver fatto di “Will you be there” nient’altro che una copia di “I cigni di Bakala”, brano dell’italiano del 1987. Dopo tre differenti perizie, si stabilì che le due canzoni avevano 37 identiche note su 40 nel ritornello. 1 L’icona Pop venne in un primo momento condannata a pagare una multa di 4.000.000 di lire, come risarcimento danni.2 La situazione si capovolse in appello: le due canzoni avrebbero, infatti, trovato la loro ispirazione in un brano degli Ink Spots, “ , sprovvisto però di copyright; inoltre, ne venne accertata la somiglianza con numerose altre melodie di brani precedenti. Una copia della copia, insomma. Tunes Music Corporation, titolare del copyright del compositore Ronald Mack. L’ex Beatles venne infatti condannato al pagamento dei danni pari a circa $ 1.600.000, pur essendosi presentata la medesima situazione del caso Carrisi – Jackson. Il brano “ di Ronald Mack e la stessa “ di Harrison difettavano di una spiccata originalità, venne infatti affermata in giudizio l’assonanza con numerose melodie precedenti, 1 Trib. Milano 18 dicembre 1997, , in autore, 1999, 132. 2“ tra le opere, e non anche di armonia, dovendosi valutare il plagio alla luce di quanto è recepito dal comune fruitore delle canzoni che non è un esperto musicale in grado di apprez(Pret. Roma, 21/12/1994)

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famose o meno. Nonostante i comuni presupposti delle due cause, i giudici nel campo del plagio musicale possano essere labili e non molto chiari. Altro caso è quello riguardante il (forse) più famoso singolo dei Radiohead, “Creep”, considerato un vero e proprio plagio della canzone “The air that I degli Hollies: questi vinsero infatti la causa instaurata nei confronti della band del frontman Thom Yorke. O ancora, negli anni Sessanta, con “ , i Beach Boys vennero condannati per una palese somiglianza con “Sweet little sixteen” di Chuck Berry. Quest’ultimo può essere considerato un ‘plagiatissimo’ cantante, sono molte infatti le canzoni che rimandano a suoi pezzi, si pensi, ad esempio, a ‘You can’t catch me’, rivisitata da John Lennon in “Come together”. Le polemiche ancora aperte nel mondo della musica a cui potremmo far riferimento sono moltissime, così come le cause ancora in corso, ma quello che più ci preme capire è in che modo sia possibile stabilire, da un punto di vista giuridico, se (volendone citare una a caso) “Are you gonna be my del gruppo The Jet sia soltanto estremamente somigliante a “Lust for di Iggy Pop, se ne sia una copia bella e buona o se davvero entrambe abbiano trovato la loro ispirazione in un brano della band Supremes. Quali il plagio? Innanzitutto, il plagio consiste nell’appropriazione di alcuni o tutti degli elementi creativi dell’altrui opera, in un’usurpazione della paternità dell’opera, con conseguente violazione dei diritti morali dell’autore. Per aversi plagio non è necessario che tale appropriazione si riferisca ad ogni elemento dell’opera - in questo caso del brano – basta anche solo che questa avvenga nei confronti di una sola parte di questo e tali elementi variano di volta in volta3. Potrebbe, ad esempio, trattarsi soltanto di alcune note, ma poste in una particolare sequenza (riff), o di una melodia, un ritornello, un ritmo che abbia però un carattere essenziale all’interno della canzone (si pensi all’intro di “ dei Guns N’ Roses).

3 “È, del resto, principio acquisito in giurisprudenza e in dottrina che il plagio può riguardare anche una parte soltanto della composizione creativa, e con riferimento alla fattispecie deve affermarsi che anche un motivo non del tutto banale presente nel ritornello d’una canzone può formare oggetto di plagio quando sia stato ripreso con particolare insistenza e risalto.” (App. Roma 10/10/83, DA, 1984, 189 e ss.)

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Per fare un esempio, non ci sono regole che riconoscono plagio nell’identità di otto battute di un brano o di sette note di questo, anzi “due composizioni rispecchiano le diverse personalità dei loro autori, di cui recano l’impronta e non sono confondibili in quanto l’assonanza riscontrata è limitata a stilemi melodico – armonici di uso corrente, che costituiscono patrimonio comune di tutti i musicisti, mentre, come detto, si differenziano per tutti gli altri elemenderato contraffazione anche perché la parziale assonanza, limitata peraltro a poche battute, deve ritenersi casuale e non volontaria, mancando ogni prova in ordine alla consapevolezza dei convenuti dell’alienità dell’opera ed alla deliberazione volontaria di appropriarsene”4. Il riferimento legislativo di cui disponiamo è la legge 633/1941 sulla prooccuperemo sono “le opere e le composizioni musicali, con o senza parole, le opere drammatico-musicali e le variazioni musicali costituenti di per sé opera originale” (art.2 n.2 , legge sul diritto d’autore - L.D.A) e il soggetto legittimato dalla legge ad ottenere tale protezione sarà certamente il creatore di queste opere.5 Da un punto di vista oggettivo, esse devono essere dotate di un certo grado di creatività ed originalità per divenire oggetto di tutela, una sorta di cristallizzazione del pensiero dell’autore che per il loro tramite vuole mostrare la propria visione. Tale tesi è avvalorata dalla Relazione che accompagna il progetto di legge del 1941, come si legge, “occorre che l’opera abbia un merito, sia pur modesto, perché altrimenti non avrebbe di rappresentazione intellettuale, diretta ad una comunicazione al pubblico, . Un’opera dotata di un tale livello di creatività rientrerebbe nell’alveo delle opere protette sia civilmente che penalmente. La tutela penale scaturisce dagli artt. 168 e ss. della L.D.A , articoli in cui sono disciplinate le sanzioni previste a difesa della paternità. La legge non prevede ancora il plagio come un’ipotesi di reato, ma esso è considerato come un’aggravante della contraffazione: prevede infatti l’art. 171 comma 2 della L.D.A che , per chiunque 4 Trib. Napoli 28/11/1986, DA, 1987, 4, 522 e ss. 5 “Il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale.” (Art.6 L.D.A)

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commetta la violazione di cui al primo comma (in tema di contraffazione6), vi sia un’aggravante della pena “se i reati di cui sopra sono commessi sopra una opera altrui non destinata alla pubblicità, ovvero con usurpazione della paternità dell’opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra reputazione dell’autore multa non inferiore a 516,00 euro. La protezione che viene garantita è quella dei diritti morali dell’autore, che nascono dal suo rapporto con l’opera stessa; infatti, il diritto viene violato soltanto quando viene intaccata l’integrità dell’opera d’ingegno. Si legge che: “Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica della opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutila” (art.20 L.D.A.), il diritto morale dell’autore è dunque completamente slegato dall’utilizzazione economica dell’opera e tale diritto risulta essere inalienabile7. Il carattere morale di questa violazione è sicuramente l’elemento che lo distingue dalla contraffazione, in cui vi è una duplicazione illegittima dell’opera che sfocia nella violazione dei diritti patrimoniali dell’autore, di cui si riconosce la paternità. Tali garanzie sono presenti anche in ambito civile: la legge sul diritto d’autore prevede un sistema di difese e sanzioni a tutela dell’autore ovvero del cessionario titolare dei diritti. La protezione copre ogni atto che, non essendo stato autorizzato dall’autore o dai suoi aventi causa, né essendo lecito per legge, pregiudichi i diritti patrimoniali e morali: la Corte di Cassazione, in una recente sentenza8, ha affermato che “la lesione del diritto d’autore, pur nella componente di diritto della personalità riferito alla paternità ed integrità dell’opera e non all’utilizzazione della stessa, può dar luogo al risarcimento del danno patrimoniale, qualora dalla sua lesione sia derivato un pregiudizio economico al soggetto che ne è titolare, ed in tal caso, la risarcibilità del danno è illimitata, non restando soggetta alla restrizione ai soli casi determinati dalla legge, la quale riguarda, invece, il danno non patrimoniale, 6 Vedi: art. 171 comma 1, L. 22 Aprile 1941, n.633. 7 Vedi: art. 22, L. 22 Aprile 1941, n.633. 8 Sentenza Corte di Cassazione 16/12/2010, sezione I, n. 25510.

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Proviamo adesso a capire in che modo sia possibile ravvisare l’usurpazione della paternità dell’opera, quando una canzone possa dirsi ‘copiata’ da un’altra. I criteri a cui ricorrono i giudici sono molteplici e la loro combinazione vagiurata. Questi criteri sono frutto di un percorso giurisprudenziale e non di un apposito disegno di legge. Come si evince da una recente sentenza della Corte di Cassazione “l’elemento caratterizzante del plagio musicale d’autore per composizioni di musica leggera accessibile alla memoria del pubblico”10. Dunque, nel genere della musica leggera si analizza la linea melodica za del plagio. Infatti, essa costituisce l’elemento distintivo dell’opera, il suo nucleo creativo, quella stessa cristallizzazione dell’immaginario a cui avevamo fatto cenno poco prima, e certamente anche il maggiore elemento di riconoscibilità di una canzone, quello che la rende in un certo qual senso ‘orecchiabile’. Tale melodia è costituita non solo dalla successione di note, ma anche dalle loro accentuazioni e dalle scelte che l’autore avrà attuato in riferimento al ritmo della successione stessa. La Cassazione stessa ha elaborato “un concetto di originalità attribuendo alla melodia - successione di note con particolare articolazione ed accenti - una funzione peculiare e determinante che si fonde con il ritmo la scansione della musica nel tempo - che ”.11 Altro criterio di cui dobbiamo far menzione è quello dell’originalità, tanto discusso nelle sentenze del caso Carrisi – Jackson 12. Una melodia troppo semplice, che ricordi numerose melodie precedenti, o un testo di elementare battitura renderebbero un’impresa ardua e a dir poco impossibile l’at9“ (art. 2059 c.c.); “ (art. 158, comma 3, L.D.A.). 10 Sentenza Corte di Cassazione 15/06/2012, sezione I, n. 9854. 11 Vedi nota precedente. 12 “In un giudizio di plagio che verta esclusivamente sulla melodia di un brano musicale, è (Corte di Appello, Milano, Sentenza 24/11/1999)

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tribuzione della paternità dell’opera e la sua relativa usurpazione; si legge infatti che “in tema di composizioni musicali, non è ravvisabile il plagio qualora il richiamo della precedente composizione in quella successiva si riduca, versale, comunque inserite in un differente contesto complessivo, e riguardi, quanto alla musica, una parte priva di originalità e creatività e, come tale, . 13 In mancanza di tale requisito sarebbe dunque impossibile ravvisare un caso di plagio. Nel caso in cui il brano in questione sia dotato di un livello di creatività ed originalità tale da permetterne la tutela, è possibile attuare una comparadella musica leggera, i brani sono solitamente composti da strofe e ritornelli, privi di un elevato grado di originalità; in questi casi si analizzerà in modo più approfondito il ritornello (possibile nucleo creativo del brano), considerata come l’elemento maggiormente riconoscibile dell’opera che gli ascoltatori tendono a ricordare con maggior precisione14. In altri generi musicali - si pensi al blues, ad esempio gio: questo genere è infatti caratterizzato da un forte elemento distintivo ravvisabile nel suo carattere ‘tradizionale’, costituito da una medesima struttura armonica e in un pressoché identico numero di battute, dodici e a ritmo lento. In questi casi, come nella musica folk, una semplice somiglianza non basterà per ottenere una condanna per plagio.

sono talmente tanti e differenti tra loro che ci sembra impossibile poterne uniformare in qualche modo la disciplina. Da questo presupposto nasce l’importanza della consulenza fornita dal CTU15, conosciuto anche come perito ‘in arte’. L’appellativo di perito in arte è ricavato da una sentenza del 1868 in tema di contraffazione e si riferisce 13 T. Milano, 16-01-2006 M. P. C. Fornaciari. 14 “Non è tutelabile dal diritto d’autore il brano di musica leggera che, per la semplicità della ”. (App. Milano 24/11/1999, GI, 2000, 777) 15

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ad un esperto o cultore del preciso settore creativo in cui si colloca il fatto di presunto plagio, l’esperto deve essere tecnicamente e processualmente competente16. Egli è chiamato dal giudice ad effettuare una perizia giurata (mediante ascolto incrociato) per stabilire quale tra i due brani sia quello ‘originale’, se vi è. Oltre a tutti i criteri menzionati in precedenza, il consulente dovrà tener conto anche delle emozioni che suscita il brano nell’ascoltatore.17 Sulla base di questa perizia, il giudice provvederà ad emanare la sentenza e, nel caso in cui l’opera originale dovesse risultare usurpata, il brano ‘condannato’ potrebbe essere ritirato dal mercato e il suo autore sottoposto a varie sanzioni. In aggiunta o in alternativa alla rimozione e distruzione si può anche richiedere il risarcimento del danno sofferto a causa del comportamento illecito. La materia della responsabilità per danni segue la disciplina generale quanto ai presupposti oggettivi e soggettivi, alla prova del danno Anche dopo questa breve trattazione, non ci sembra di aver in mano strumenti concreti che ci permettano di risolvere il quesito con cui avevamo iniziato la nostra discussione. Quella tra “ e “Lust è allora solo una semplice somiglianza? Per quanto la nostra L.D.A abbia sancito l’importanza della creatività dell’autore e abbia provato a tutelarla, anche adeguandosi alle direttive europee, ci sembra che questo sia ancora un campo in cui la conclusione del giudizio verte in una situazione di incertezza, ne sono esempio clamoroso e chiara dimostrazione le perizie contrastanti avutesi nella disputa Carrisi – Jackson. to fondamentale che tutela l’identità creativa dell’essere umano e la sua usurpazione è un furto di qualcosa che ci appartiene, di un segno distintivo quando il plagio sarà evidentissimo, verrà punito, mentre, quando i brani presenteranno a un tempo somiglianze e differenze, lo sarà solo se le argomentazioni del saranno abbastanza convincenti per il giudice al quale spetta la decisione. In questo è forse ravvisabile il carattere ‘umano’ del diritto che dopo essersi servito di pochi criteri distintivi in tal campo, fa uso delle proprie convinzioni personali. Il giudice, infatti, non è giuridicamente vin16 , 1868, II, 2, 344. 17 “Non integra gli estremi del plagio l’utilizzazione, in una composizione musicale, di versi di una precedente composizione se privi di compiutezza espressiva e di idoneità a (Trib. Roma, 19/04/1997)

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colato ai pareri ottenuti, egli potrà anche non richiedere alcuna consulenza

tecniche che permettano un giudizio il più possibile oggettivo. Dunque, per quanto sia ancora un argomento attuale18 e di cui sentiamo quello del plagio resta sempre un “ primere e punire tale fenomeno con giusta cognizione di causa, a difesa di un’arte originale e della sua creatività.

19

18 “ è l’ambiguità del concetto, le sue complesse relazioni con altrepratiche riprovevoli come la violazione del copyright, il vasto spettro delle sue applicazioni, la sua relatività storica e cul. (R.A. POSNER, Il piccolo libro del plagio, Roma, 2007, 15.) 19 G. GAGLIARDI, in , 18 agosto 2006 Vedi: ‘http://www.repubblica.it/2006/08/sezioni/spettacoli_e_cultura/plagio/plagio/ plagio.html?ref=search’.

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