Anno 5 Numero 2
In questo numero abbiamo cercato di approfondire alcuni tra gli argomenti più discussi dell’ultimo periodo: la guerra in Crimea, la nuova legge elettorale e le imminenti elezioni europee. Finalmente siamo lieti di annunciarvi che “L’Alligatore” è una rivista registrata nell’apposito registro presso il Tribunale di Milano: un altro passo avanti. Buona lettura.
Se vuoi collaborare con noi scrivi a: redazione@lalligatore.org
Trimestrale - Anno V - Numero 2 - Milano, Marzo 2014 Direttore responsabile Niccolò Scremin Vicedirettore Francesco Bertolino Caporedattore Giulia Pirola Redazione Erik Brouwer, Anna Ferrari, Paolo Petralia Camassa, Adriana Spina, Valentina Todeschini, Alberta Trombetta, Ferdinando Vella.
Hanno collaborato a questo numero Luchino Ferraris Anna Pianura Giulia Re Ferrè Maria Rovero Michela Salvo Gianfranco Valsecchi Andrea Zanovello
Si ringrazia per le revisioni Prof. Giuseppe Arconzo Prof.ssa Nerina Boschiero Dott. Filippo Croci Prof. Luigi Fumagalli Prof.ssa Diana-Urania Galetta Graphic designer Prof. Bernard O’Connor Fulvio Volpi Avv. Paolo Pizza Direzione, Redazione e Sede Via Luigi Anelli, 12 - 20122 Milano redazione@lalligatore.org www.lalligatore.org Proprietari Rocco Steffenoni, Eduardo Parisi, Sandro Parziale, Daniele Rucco, Niccolò Scremin. 3lb s.r.l. - Via Leonardo Da Vinci, 3 - 23875 Osnago
Registrazione Tribunale di Milano n.34 del 07.02.2014 Tale pubblicazione è stata realizzata con il contributo dell’ Università derivante dai fondi per le attività culturali e sociali.
INDICE Diritto Internazionale Francesco Bertolino Crimea: silent enim leges inter arma?
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Giulia Pirola Spagna: un paese in bilico tra passato e futuro
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Food Law Gianfranco Valsecchi L’etichettatura d’origine obbligatoria dei prodotti alimentari nell’ Unione Europea, ovvero quanto al consumatore interessa sapere da dove viene cio’ che mangia Anna Pianura e Maria Rovero People in glass houses shouldn’t throw stones: how the US is in breach of its WTO obligations on GIs
pag. 16
pag. 23
Diritto Costituzionale Ferdinando Vella La nuova legge elettorale e la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale
pag. 33
Dititto Penale dell’ambiente Luchino Ferraris Il decreto sulla “Terra dei Fuochi”:
pag. 37
Diritto dell’Unione Europea Anna Ferraris, Giulia Re Ferrè, Michela Salvo I “controlimiti” oggi: mera retorica o strumento utile a salvaguardare l’equilibrio nel rapporto fra Corti? Valentina Todeschini Elezioni europee: quali novità?
pag. 44
pag. 53
Rubrica Erik Brouwer e Andrea Zanovello La Decrescita (felice?) secondo Latouche
pag. 57
Intervista al presidente dell’ALGIUSMI: Avv Graziano Molinaro
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A Crimea: silent enim leges inter arma? Francesco Bertolino
Nel 1954, il Presidente dell’Urss Krusciov fece dono della Crimea all’Ucraina; due territori rimasero divisioni amministrative dell’Unione Sovietica. Il trattato di Minsk1, che segnò la dissoluzione dell’Urss e la nascita della penisola allo Stato ucraino; da allora, tuttavia, l’autorità e la legittimità del governo di Kiev sono state oggetto di periodiche contestazioni da parte della comunità russofona che rappresenta la maggioranza della popolazione della Crimea2. I porti della Crimea sul Mar Nero, Sebastopoli e Yalta, peraltro, sono un crocevia strategico di fondamentale importanza poiché permettono di raggiungere le rotte commerciali del Mediterraneo; per questa ragione, la Russia concluse nel 1997 un accordo con l’Ucraina in base al quale ottenne Nei primi mesi del 2014, la decisione del presidente ucraino Viktor Yanukovich di interrompere i negoziati per l’adesione all’Unione Europea ha dato origine a imponenti moti di protesta, la cui brutale repressione ha condotto lo Stato di Kiev sull’orlo di una guerra civile. Dopo la deposizione e la fuga di Yanukovich, i leader delle opposizioni hanno dato vita a un governo provvisorio con lo scopo di creare le condizioni per lo svolgimento di nuove elezioni. Il nuovo esecutivo, però, è parso sin dagli esordi fragile, rivelandosi incapace di mantenere l’ordine interno e di comporre in una linea politica unitaria le differenti posizioni dei partiti che lo sostengono. del Governo centrale, nella Repubblica autonoma di Crimea i movimenti separatisti hanno preso il controllo del territorio, dichiarando decadute le autorità elette in precedenza e invocando l’intervento russo. La risposta dell’ex-madrepatria non si è fatta attendere: alle truppe già di stanza presso le basi navali russe a Sebastopoli, si è aggiunto su ordine del Presidente Putin un contingente di circa 15mila uomini che ha preso il controllo della penisola senza incontrare alcuna opposizione da parte dell’esercito locale, ormai allo sbando. A distanza di pochi giorni, il Parlamento autonomo si è espresso in favore della secessione dall’Ucraina e ha contestualmente approvato la richiesta di annessione alla Russia; 1 rappresentanti di Bielorussia, Ucraina e Russia. 2 La percentuale di abitanti di etnia e lingua russa è vicina al 60%; vi sono poi la minoranza ucraina e quella tatara.
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(prevista in origine nel mese di Maggio, poi anticipata al 16 Marzo). L’esito del referendum ha confermato a larghissima maggioranza (97% dei votanti) la decisione del Parlamento; due giorni più tardi, prendendo atto delle richieste della popolazione e delle istituzioni locali, il Presidente russo Vladimir Putin ha siglato il trattato di adesione della Crimea alla Federazione Russa. Le reazione della comunità internazionale è stata, nella sostanza, unanime: tanto l’Unione Europea quanto gli Stati Uniti d’America hanno dapprima deplorato l’ingerenza della Federazione Russa in una questione riguardante la giurisdizione domestica e la sovranità di uno Stato terzo, minacciando sanzioni diplomatiche ed economiche se il Presidente Putin non avesse immediatamente ritirato le truppe dall’Ucraina e rinunciato all’uso della forza. Quindi, considerando il referendum in Crimea illegale e non riconoscendone l’esito né, tanto meno, i successivi sviluppi, hanno dato seguito alle minacce limitando i visti di ingresso e congelando i beni di alcuni funzionari russi. Pur essendo la situazione in Crimea in continua ed imprevedibile evoluzione, le questioni di diritto internazionale sollevate dalla crisi la Crimea ha diritto di secedere dall’Ucraina3? La Federazione Russa aveva titolo per intervenire militarmente? Per rispondere a questi due quesiti, è bene preliminarmente analizzare quale sia la disciplina in diritto internazionale della secessione per poi vedere se il caso concreto della Crimea rientri nella fattispecie così ricostruita. La popolazione russofona della Crimea è titolare di un diritto di secessione? Nella conferenza stampa convocata dopo l’intervento in Crimea, il Presidente russo Putin ha dichiarato: “I cittadini di alcuni territori possono e devono determinare il loro futuro. Questo diritto è stato concesso al popolo del Kosovo e ad altri nel mondo. L’autodeterminazione, un diritto garantito dalle Nazioni Unite, esiste ancora, credo.”. La popolazione russofona della Crimea è, dunque, legittimata a secedere dall’Ucraina in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli? Nel corso del Novecento il principio di autodeterminazione dei popoli si è andato progressivamente affermando nella prassi della comunità internazionale sino a diventare una norma di diritto internazionale generale, riconosciuta in più trattati, fra i quali spicca la Carta delle Nazioni Unite4. In origine l’affermazione del diritto intendeva favorire l’autodeterminazione dei popoli soggetti a dominio coloniale: nella sua 3 Nella trattazione della vicenda, si ometterà di valutare la legittimità del Trattato di annessione della Crimea alla Federazione Russa, in quanto logicamente successivo e dipendente dalla legittimità della precedente secessione della penisola dall’Ucraina. 4 ““Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli...”.
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formulazione classica, dunque, il principio si riferiva precipuamente alle nazioni che aspiravano ad affrancarsi dal giogo straniero per riacquistare la loro legittima ed originaria sovranità. Diritto all’autodeterminazione non erano sempre attenti a distinguere con chiarezza le due fattispecie. Infatti, l’obiettivo dei movimenti indipendentisti degli Stati coloniali non decolonizzazione come uno smembramento territoriale in senso stretto, madrepatria; d’altra parte, l’indipendenza in questione consiste nella riconquista di una sovranità illegittimamente usurpata. Il diritto di autodeterminazione, insomma, nasce a presidio delle aspirazioni libertarie di popoli sottoposti a dominazione straniera e costituisce ormai un acquis del diritto internazionale contemporaneo; viceversa, la comunità internazionale resta ben lungi dall’affermare indiscriminatamente in favore di qualsivoglia minoranza il diritto di separarsi dal proprio Stato di appartenenza. Il riconoscimento generalizzato del diritto di secessione, infatti, avrebbe potenzialità disgregatrici dirompenti e porrebbe in serio pericolo il perno sul quale poggia l’esistenza stessa della comunità internazionale, vale a dire il principio di integrità territoriale che consente una certa continuità dei soggetti internazionali, gli Stati, assicurando così una ragionevole stabilità e sicurezza delle loro interrelazioni. Atteso che nel diritto internazionale contemporaneo non esiste un diritto di secessione universalmente riconosciuto, è bene esaminare quale sia la prassi della comunità internazionale nei casi in cui una minoranza tenti di separarsi dallo Stato di appartenenza. Sul punto, si confrontano due teorie che hanno entrambe trovato applicazione in circostanze concrete della storia recente. La dottrina dell’approccio neutralista5 considera la secessione come una questione appartenente al dominio riservato dello Stato interessato, nel quale, dunque, gli altri Stati non devono intromettersi in base al principio del divieto di ingerenza negli altrui affari interni. Solo quando e se l’iniziativa separatista porterà all’effettiva nascita di uno Stato sovrano, la secessione diverrà rilevante per i membri della comunità internazionale che potranno procedere al riconoscimento del nuovo soggetto internazionale e concludere accordi con esso.6 La dottrina neutralista conosce, tuttavia, alcuni temperamenti che concedono agli Stati una limitata facoltà di interferenza allo scopo di ottenere il rispetto di alcuni adempimenti procedurali, in difetto dei 5 Si veda lo scritto di A. Pellet, “Quel avenir pour le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes?”, in cui l’Autore afferma: “Le droit, sur ce point, s’en remet au fait.(..) Le peuple s’est constitué en Etat, non pas parce qu’il en avait “le droit” (subjectif), mais parce qu’il en avait la volonté et la force.”. 6 Si prenda ad esempio la Dichiarazione del Segretario generale dell’Onu a proposito del tentativo del Biafra di separarsi dalla Nigeria: “As far as the question of secession of a particular section of a State is concerned, the United Nations has never accepted and does not accept and I do not believe it will never accept the principle of secession of a part of its member States.”.
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A può condurre al riconoscimento della nuova soggettività internazionale: si richiede, soprattutto, che la secessione non venga ottenuta grazie all’appoggio militare diretto o indiretto di altro Stato straniero e che il supporto della maggioranza della popolazione al processo di separazione sia attestato dallo svolgimento di un referendum.7 La dottrina della cosiddetta autodeterminazione secessionista, invece, si propone di chiarire in quali occasioni il diritto di autodeterminazione dei popoli possa legittimare una secessione: tale dottrina è stata invocata ed applicata specialmente in tempi recenti per dare fondamento eticogiuridico agli aiuti economici e militari forniti da una parte della comunità internazionale a minoranze con ambizioni separatiste. I sostenitori di questa teoria ritengono, anzitutto, che ciascuna minoranza possieda un diritto di autodeterminazione interna che impone agli Stati rappresentanza all’interno delle istituzioni dello Stato di appartenenza e, se necessario, anche di autonomia politico-amministrativa. In prima battuta, dunque, la disciplina dei diritti delle minoranze spetta esclusivamente alla domestic jurisdiction; qualora, tuttavia, al mancato rispetto del violazione dei diritti umani degli appartenenti al gruppo etnico-culturale minoritario da parte della maggioranza al potere, allora la questione può assumere rilevanza esterna. Secondo questa dottrina, infatti, la negazione sistematica e grave dei diritti umani delle minoranze fa sì che esse possano vantare un diritto di autodeterminazione non più interna, ma esterna, legittimando sia le ambizioni secessioniste sia l’intervento attivo della comunità internazionale al processo di separazione.8 Venendo alla vicenda in esame, è d’obbligo constatare che il diritto di autodeterminazione, nella sua accezione classica ed originaria non viene certamente in questione, poiché la Crimea non è affatto sottoposta a una dominazione straniera: l’Ucraina esercita sul territorio una sovranità legittima che le è riconosciuta da numerosi trattati e, in particolare, dal Trattato di Minsk. Peraltro, anche qualora si accettasse la controversa tesi dell’autodeterminazione secessionista, non pare sostenibile che i diritti umani della popolazione russofona abitante la penisola siano stati violati un’eccezione al principio di integrità territoriale; infatti, l’abrogazione9 da parte del governo provvisorio di Kiev della legge che riconosceva il 7 Dopo la dissoluzione della Yugoslavia, la comunità internazionale, ad esempio, pose espressamente come condizione per il riconoscimento della Bosnia-Erzegovina lo svolgimento di un referendum sull’indipendenza. 8 Quanto accaduto in Kosovo fornisce un esempio dell’applicazione di tale dottrina: la gross violation dei diritti umani della minoranza albanese da parte del governo serbo ha legittimato l’ingerenza della comunità internazionale a sostegno dell’autodeterminazione secessionista del popolo kosovaro. 9 Il provvedimento abrogativo è stato, del resto, prontamente ritirato dal governo provvisorio dopo l’inizio della rivolta in Crimea.
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A minoranze di entità tale da legittimare una secessione. Inoltre, non va dimenticato che la Crimea, pur facendo parte del territorio dell’Ucraina, godeva già di ampia capacità di autodeterminazione interna, trattandosi di una Repubblica autonoma, con un proprio Parlamento e una propria capitale, Sinferopoli. il tentativo di secessione della Crimea dall’Ucraina risulterebbe privo di rilevanza per la comunità internazionale che dovrebbe astenersi da qualunque ingerenza e limitarsi a prendere atto della nascita di un nuovo Stato, qualora i separatisti riuscissero effettivamente a prendere il controllo del territorio e ad esercitarvi la sovranità. Come si è già chiarito, però, le più recenti formulazioni della teoria neutralista richiedono, perché la secessione possa dirsi legittima in base al diritto internazionale, non solo che il controllo del territorio da parte dei secessionisti sia effettivo, ma anche che si effettui un referendum all’esito del quale la popolazione risulti a maggioranza favorevole all’indipendenza e che il processo di separazione venga condotto a termine senza l’aiuto di Stati terzi. Quanto alla prima regola procedurale, bisognrà attendere l’esito della consultazione del 16 del voto sono stati espressi seri dubbi); quanto alla seconda, ancor più fondamentale, può sin d’ora constatarsi che questa norma internazionale è stata violata poiché l’intervento dell’esercito russo in Crimea ha senza dubbio favorito i gruppi secessionisti a danno del governo centrale di Kiev. Secondo il diritto internazionale, l’intervento della Russia in Crimea è legittimo? Il Presidente russo Putin non riconosce la legittimità del governo provvisorio di Kiev, considerando illegittima e frutto di un colpo di Stato la deposizione di Yanukovich; inoltre, ritiene che “l’uso della forza militare in Crimea non è al momento necessario, ma la Russia potrebbe essere costretta a intervenire. Una misura estrema, che in ogni caso farebbe seguito ad una richiesta del presidente legittimo.”. Contrariamente a quanto dichiarato, però, l’invio di truppe in Crimea e con tutta evidenza, già un uso della forza da parte della Russia: questa ingerenza può dirsi legittima? L’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite o Carta di San Francisco, a cui la Federazione russa aderisce, stabilisce che: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di delle Nazioni Unite.”. La Carta prevede un’unica eccezione al divieto in questione consistente nel “diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro
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le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.”. L’articolo 51 della Carta ammette, dunque, la legittima difesa individuale e collettiva: quest’ultima si ha quando uno o più membri della comunità internazionale intervengono in favore di uno Stato che è vittima di un aggressione o sottoposto ad occupazione straniera. Perciò, la comunità Stati terzi ai movimenti di liberazione nazionale che combattevano per respingere l’invasore o affrancarsi dal dominio coloniale: in entrambi i casi, si trattava di appoggiare rivendicazioni di sovranità illegittimamente sottratte. Come già chiarito, la sovranità dell’Ucraina sulla Crimea è senz’altro legittima e non può ritenersi che la Russia abbia portato aiuto a un movimento di liberazione nazionale: non essendovi né aggressione né invasione, perciò, non vi è spazio per l’esercizio da parte della Federazione russa del diritto naturale di autotutela collettiva ex articolo 51 della Carta di San Francisco. Inoltre, si è anche detto che i provvedimenti del governo provvisorio diritti umani della popolazione russofona che, alla stregua della dottrina dell’autodeterminazione secessionista, avrebbe potuto legittimare il sostegno economico-militare della Russia alla causa separatista. della comunità internazionale la “responsabilità di proteggere”10 le minoranze vittime di gravi, persistenti e sistematiche violazioni dei diritti umani. Come già dimostrato, infatti, manca il presupposto necessario a fondare in capo alla Federazione Russa il diritto-dovere di “ingerenza umanitaria” in Ucraina, cioè la gross violation dei diritti umani della minoranza russofona di Crimea. rappresenta un’evidente violazione del diritto internazionale, in specie del principio di non ingerenza negli affari interni di altri Stati e del rispetto della sovranità: l’invasione dell’esercito russo in Crimea ha alterato gli equilibri interni all’Ucraina a tutto vantaggio dei movimenti secessionisti che hanno così ottenuto con gran facilità il controllo del territorio. Per via dell’apporto determinante dell’esercito russo, l’eventuale separazione della Crimea dall’Ucraina non potrebbe considerarsi rispettosa delle norme procedurali di diritto internazionale che regolano la secessione e la comunità internazionale non dovrebbe riconoscere gli esiti del processo in atto. Quanto avvenuto in Crimea appare, insomma, in aperto contrasto con 10 La teoria della responsabilità di proteggere è stata applicata in diverse occasioni della storia recente: ad esempio, si è considerato che la massiccia violazione dei diritti umani della minoranza kosovara ad opera dell’esercito serbo potesse legittimare un intervento umanitario nei territori interessati da parte della comunità internazionale. La norma della cosiddetta R2P (responsibility to protect) ha ricevuto l’approvazione degli Stati membri dell’ONU in occasione del Vertice Mondiale del 2005. Per un’analisi più approfondita si veda: forza e la tutela dei diritti umani”, P.Gargiulo in La Comunità Internazionale, 4, 2007, pp. 639-669.
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il diritto internazionale generale e, bisogna aggiungere, viola anche il diritto internazionale pattizio. Nel 1994 con il memorandum di Budapest che sanciva l’adesione dell’Ucraina al Trattato di non proliferazione di armi nucleari, infatti, le parti contraenti, fra cui la Federazione russa, si erano impegnate a esistenti dell’Ucraina“ e ad “astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Ucraina”. 11 Per di più, con la conclusione nel 1997 del Trattato di amicizia e cooperazione, Federazione russa ed Ucraina si erano accordate per “rispettare l’integrità territoriale di entrambe le parti contraenti, confermando l’inviolabilità dei Evidentemente, inviando delle truppe in Crimea, la Russia è venuta meno agli impegni e agli obblighi volontariamente assunti con la stipulazione dei due trattati e si è resa internazionalmente responsabile nei confronti dell’Ucraina. Al di là, poi, delle considerazioni di stretto diritto che portano ad affermare l’illegittimità dell’azione del governo di Putin, l’intervento armato in Crimea dà dimostrazione, in una prospettiva più generale, di un unilateralismo nelle relazioni internazionali che va sempre più diffondendosi nella prassi recente delle superpotenze mondiali. Alla forza militare, infatti, si è fatto spesso ricorso anche in assenza di autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu e in spregio delle norme sostanziali e procedurali sancite dalla Carta delle Nazioni Unite: non si può che deplorare una simile pratica internazionale e mina le basi stesse del diritto internazionale sviluppatosi
11 Articoli 1 e 2 del Memorandum on security assurances http://www.larouchepub.com/eiw/public/2014/2014_1-9/2014-08/pdf/34-35_4108.pdf
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A Spagna: un paese in bilico tra passato e futuro Giulia Pirola
Negli ultimi mesi la nuova proposta di legge sull’aborto in Spagna è stata oggetto di dibattito in tutta Europa. Il Consiglio dei ministri spagnolo lo scorso dicembre ha approvato, infatti, una nuova disciplina in materia di diritti del concepito che riporta la Spagna indietro di 30 anni, aprendo non poche polemiche tra chi sembrerebbe favorevole al progetto e chi invece, a cominciare dalle donne, dirette interessate della normativa, risulta contrario. Il Partito Popolare (PP) al governo, sotto la guida di Mariano Rajoy, ha approvato il 20 dicembre 2013 l’ormai celebre progetto di legge del ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón. La nuova proposta si discosta in maniera considerevole dalla legge anteriore del 2010, prodotto normativo del PSOE1, soprattutto per quanto riguarda l’aborto come diritto, le circostanze in cui esso viene depenalizzato, la possibilità di abortire liberamente per le minorenni e per ultimo (last but not least) viene aggiunto un articolo per regolare l’obiezione di coscienza. Per comprendere a fondo la portata e le conseguenze che sortirebbe la nuova proposta di legge, qualora approvata dal Parlamento spagnolo, è necessario ricostruire l’iter normativo del paese in materia di aborto. La Ley Orgánica 9/19852, di riforma dell’art. 417 bis del Codice Penale, è la prima legge in Spagna a depenalizzare l’aborto in presenza di tre requisiti grave pericolo per la vita o salute abortire diventa lecito senza limiti di tempo, purchè il parere sia emesso da un medico diverso da quello che pratica in concreto l’interruzione della gravidanza; in secondo luogo, in caso di “gravi entro le prime 22 settimane di gestazione, a patto che la diagnosi sia emessa da due specialisti appartenenti ad un cenin caso di stupro” entro le prime 12 settimane, previa denuncia alle autorità competenti. 1 Partido Socialista Obrero Español 2 https://www.boe.es/boe/dias/1985/07/12/pdfs/A22041-22041.pdf
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Si tratta di una legge che per quanto restrittiva deve comunque essere analizzata in relazione alla realtà sociale in cui andava applicata, ben distante dalla nostra contemporanea, risultando quindi un grosso passo verso una società moderna. Successivamente, comunque, questa legge è stata sostituita con l’introduzione di quella vigente oggigiorno in Spagna e la cui vita è 1 sulla salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria della gravidanza, approvata dal governo di sinistra di Zapatero (PSOE), ben più in linea con una realtà sociale presente, mutata nei suoi valori. Il fondamento di questa legge si rinviene nel principio di “autodeterminazione cosciente”, così come evidenziato dal Tribunale Costituzionale2; secondo la normativa, comunque, la donna non incorre in nessuna pena qualora l’aborto avvenga in maniera non conforme ai requisiti dettati. Dunque si parla di un principio di autoderminazione che va letto insieme all’art.10.13 della Costituzione Spagnola (CE), dove tra i diritti fondamentali si enuncia il “libero sviluppo della personalità”. In particolare si prevede un diritto di aborto libero entro le prime 14 settimane, purchè la donna sia informata sui diritti, sulle prestazioni e sui servizi pubblici di appoggio alla maternità e, dal momento di tale informazione, passino almeno tre giorni4. Si prescrive, inoltre, la possibilità di abortire entro le prime 22 settimane se sussista grave pericolo per la vita o la salute della donna o, ancora, se esista un rischio di grave anomalia del gestazione qualora vi siano anomalie fetali incompatibili con la vita, oppure qualora il feto presenti un’infermità estremamente grave e incurabile; diagnosi che deve essere attestata da un medico professionista diverso da colui che in concreto pratica l’aborto. Altro punto fondamentale e criticato della normativa del 2010 è la possibilità per le minori5 di abortire anche senza il consenso di un genitore o un tutore qualora questo provochi un nosce l’obiezione di coscienza6 per il medico, purchè l’accesso e la qualità delle cure non vengano compromesse da essa. stata al centro di numerose critiche da parte della fazione più conservatrice del paese, in particolare dalla destra cattolica, tanto che non mancò un tem1 http://www.boe.es/boe/dias/2010/03/04/pdfs/BOE-A-2010-3514.pdf 2 (Sentencia Tribunal Constitucional) STC 53/1985 3 http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Lex-doc/Sp_cost.pdf 4 Art.14 a.b. Ley 2/2010 5 Art.13.4 Ley 2/2010 6 Art.19.2 Ley 2/2010
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pestivo ricorso al Tribunale Costituzionale, per violazione dell’art. 157 della Costituzione, da parte del PP con esito, però, negativo. Senza contare poi le numerose proteste e manifestazioni organizzate dalla Conferenza Episcopale, dal Foro Famiglia, con il suo movimento “Sì a la Vida”8, e dall’Opus Dei. Fu così allora che la lotta a tale normativa divenne uno dei punti cardine del programma elettorale di Mariano Rajoy per recuperare l’elettorato ultraconservatore; programma che lo portò in seguito a vincere le ultime elezioni, per poi approdare al voto favorevole del governo alla proposta del ministro Ruiz-Gallardón nello scorso dicembre. Pertanto il nuovo progetto di legge, denominato Progetto di legge Organica per la protezione della vita del concepito e dei diritti della donna incinta9, ha come ratio fondamentale quella di rinforzare il diritto alla vita del concepito, depenalizzando così l’aborto solo in due casi: per violenza sessuale entro 12 settimane dal fatto, purchè denunciato; e in caso di grave rischio per la , attestato da due professionisti sanitari diversi da chi in concreto pratica l’aborto, entro le prime 22 settimane. Ci si riferisce qui ai casi di “anomalia fetale incompatibile con la vita”, escludendo quindi il caso di grave malformazione del feto. Viene inoltre inserito il divieto di aborto per le minorenni a meno che non abbiano compiuto i sedici anni, che non ricorrano i requisiti sopra indicati e che abbiano ricevuto legge 44/200310 l’art. 4 bis relativo all’obiezione di coscienza, decisione individuale del professionista sanitario. Insomma si registra un chiaro segnale da quella parte del Paese che rimane legata alla sua tradizione cattolica, secondo cui l’aborto non è un diritto ma un atto contrario all’etica e alla vita stessa. I dati riportati da El Paìs addirittura parlano di un 41% della popolazione spagnola contraria all’aborto e alla legge del 2010. Si tratta senza dubbio di una normativa molto rigida che colloca la Spagna, dopo Malta11 e Irlanda12 Malta l’aborto è del tutto proibito, mentre in Irlanda è consentito nel solo caso di “rischi gravi e sostanziali per la salute della donna”. 7 http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Lex-doc/Sp_cost.pdf 8 http://www.forofamilia.org/ 9 Anteproyecto de Ley Orgànica para la protecciòn de la vida y de los derechos de la mujer embarazada: http://www.cadenaser.com/csermedia/cadenaser/media/201312/21/sociedad/20131221csrcsrsoc_1_Pes_PDF.pdf 10 Ley de ordenaciòn de las profesiones sanitarias 11 Criminal Code, Chapter 9 - http://www.justiceservices.gov.mt/DownloadDocument. aspx?app=lom&itemid=8574 12 Protection of Life During Pregnancy Act 2013 - http://www.irishstatutebook.ie/2013/ en/act/pub/0035/index.html
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D’altra parte se la fazione conservatrice ha espresso la sua opinione forte e chiara, il resto del paese contrario al nuovo progetto di legge non ha mancato di farsi sentire. Il vicesegretario del PSOE, Elena Valenciano, parla di Spagna come “eccezione Europea” e di una legge che non vuole essere contro l’aborto, bensì contro la donna. Lo stesso periodico nazionale El Paìs lancia la notizia come “Ritorno al passato”: con la legge del 2010 infatti non si obbligava nessuna donna ad abortire, con il nuovo progetto invece lo Stato “obbliga a dare alla luce”1. Ciò che si va a confondere, continua il noto de così il suo diritto alla libertà di coscienza, vedendosi subordinata a scelte di terzi che condizioneranno il resto della sua vita. Una protesta interessante ha avuto poi luogo in numerose città spagnole, come Madrid, Bilbao, Barcellona, Siviglia, Pamplona e Pontevedra, lanciata dall’artista e attivista Yolanda Domìnguez2. In sostanza in ogni città circa 40 donne si sono recate dei Beni Mobili (RBM), in virtù del trattamento della donna stessa come oggetto da parte della nuova normativa e di chi legifera. “E’ un territorio di necessaria riconquista da parte delle donne. Un corpo modellato da altri per altri, convertito in un oggetto, usato come merce, aggredito, manipolato e ” dice l’artista spagnola e prosegue “il corpo della donna è sempre appartenuto a tutti meno che a noi”. L’organizzatrice della stessa protesta nel Paese Vasco, May Serrano, racconta di registrare la proprietà del loro corpo e della sorpresa degli impiegati, presi alla sprovvista davanti ad una simile richiesta. “Quando presentammo il modulo per registrare la proprietà del nostro corpo, l’impiegato disse che lì si iscrivevano solo beni mobili e noi rispondemmo che allora dovevamo però far risultare da qualche parte che eravamo proprietarie del nostro corpo perché lo stavano utilizzando altre persone” continua la Serrano. Naturalmente non emblematico del malessere diffuso tra le donne. Non si parla solo di quelle spagnole: da Madrid, a Parigi, a Londra, così come in Italia, protagonista della protesta è la carovana del Treno per la libertà: un gruppo di donne dirette a Madrid per manifestare contro la proposta di legge, inneggiando lo slogan “perché io decido” in varie lingue, sottoscritto anche dalla CGIL. Senza contare poi l’appoggio attivo delle numerose associazioni femministe tra
1 Regreso al pasado - http://elpais.com/elpais/2013/12/20/opnion/1387571888_544375.html 2 http://www.yolandadominguez.com/es/
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cui la Federazione Statale delle Organizzazioni Femministe3 che si oppone al progetto di legge in quanto infrange gli standard internazionali in chiave di discriminazione contro la donna. Il presidente della Federazione Statale , Luis Enrique Sànchez, ricorda l’ulteriore appoggio dell’Associazione Nazionale di Neuropsichiatria fortemente critica o psichico per la salute, situazione da comprovarsi per mezzo di due medici (nel caso di danno psicologico due psichiatri). Il punto ambiguo, come dice Sànchez, è che il danno psicologico dev’essere affermato come qualcosa di permanente, circostanza alquanto controversa dal punto di vista medico e, di conseguenza, in tale ambito il progetto penalizzerà legalmente il proPer Sànchez si “viola la dignità della donna e dal punto di vista medico è un passo indietro enorme”. Se i partiti oppositori come il PSOE e la Izquierda Unida non sono certo rimasti in silenzio, anche all’interno dello stesso PP, promotore della riforma, emerge disaccordo. Celia Villalobos, vicepresidente del Congresso, ha espresso la sua contrarietà votando questo febbraio a favore della proposta del PSOE di ritirare il progetto di legge sull’aborto; insieme a lei, anche altri all’interno del PP si sono dissociati da esso. La proposta del PSOE è stata presentata in Congresso, la più importante delle due Camere del Parlamento spagnolo, dove tuttavia ha avuto esito negativo, nonostante a detta di molti il risultato non rappresenti il reale volere né della maggioranza del paese né dell’intero PP. Attualmente, dunque, la questione rimane irrisolta, è vero, infatti, che la proposta di legge deve ottenere l’approvazione dell’intero Parlamento, è anche vero che ciò non sembra un ostacolo alla sua conversione in una vera e propria legge statale, sia perché il PP detiene attualmente la maggioranza in Congresso, Camera con il maggior peso politico, sia considerando l’esito della votazione relativa alla suddetta proposta del PSOE. Tuttavia non si può ignorare nemmeno il caos mediatico che si è scatenato successivamente all’approvazione dell’anteproyecto, tanto che il Governo nei prossimi mesi dovrà fare i conti non solo con l’opposizione politica, ma anche con l’intera opinione pubblica internazionale. Il timore diffuso è infatti che una conseguenza della riforma possa essere l’aumento degli aborti clandestini, praticati in condizioni igieniche carenti e senza le dovute precauzioni; basti pensare che nel 1975, dieci anni prima dell’entrata in vigore della Legge del 1985, la cifra degli aborti clandestini 3 http://www.feministas.org/
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si aggirava intorno ai 15 mila all’anno. Se oggi l’aborto, in un Paese come la Spagna, sta per incontrare un serio ostacolo legislativo, occorre richiamare in parallelo l’esempio dell’Italia, in cui il numero di medici obiettori di coscienza è decisamente elevato: basti pensare al Molise dove il numero dei medici obiettori è pari all’85,7%. Rileva in proposito il richiamo operato dal il Comitato Europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa al nostro Paese per violazione dei diritti delle donne, enunciati nella legge 194/1978. Nessun dubbio che si tratti di una questione di opportunità politica: per scoprire quale sarà la sorte della Spagna occorre aspettare ancora qualche mese, mentre il dibattito continua. Certo è che se la proposta spagnola diventerà legge in questa sua prima versione radicale, le donne e le ragazze spagnole ne pagheranno care le conseguenze. Allora sì, che tutte, anche quelle che hanno appoggiato il PP in questo progetto, faranno i conti con la loro stessa libertà. Dunque si vedrà; d’altronde “la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”, diceva Piero Calamandrei.
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A L’etichettatura d’origine obbligatoria dei prodotti alimentari nell’ Unione Europea, ovvero quanto al consumatore interessa sapere da dove viene cio’ che mangia Gianfranco Valsecchi L’etichettatura d’origine dei prodotti è un’area problematica del diritto alimentare.1 Nel presente lavoro si è cercato di individuare ed analizzare l’approccio del legislatore europeo sul tema della libera circolazione dei prodotti alimentari e l’obbligo di indicare in etichetta il rispettivo luogo di provenienza. L’importanza di questo argomento deriva da una sostanziale insoddisfazione dei consumatori e di buona parte produttori (specialmente PMI2) per la disciplina attualmente in vigore (contenuta nella Direttiva 2000/13) che si ritiene non idonea a fornire un’informazione chiara e facilmente comprensibile sulla reale provenienza di un prodotto alimentare. Questa insoddisfazione nasce dai numerosi c.d. scandali che hanno coinvolto alcuni prodotti alimentari negli ultimi anni e si legge in etichetta (quando fornita). Si pensi, per primo, al celebre caso “mucca pazza” che nel corso della seconda metà degli anni ‘90 ha portato a una considerevole riduzione del consumo di carne bovina al punto da ad emanare il Regolamento 1760/2000 dove per la prima volta veniva nascita, di allevamento e di macellazione dell’animale, ove differenti. La alimentari, più forte rispetto a tutti gli altri prodotti dato che questi sono necessari alla vita umana, è stata spesso alla base dell’emanazione della c.d. legislazione verticale, indirizzata a stabilire solo per alcuni prodotti alimentari un regime diverso da quello applicabile a tutti gli altri. E’ così che l’obbligo qui trattato è stato imposto, tra gli altri, anche alla frutta e verdura fresche, al miele, all’olio vergine ed extra-vergine di oliva. Inoltre, il legame con l’origine risulta particolarmente forte per quanto riguarda 1 Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla Fornitura di 2 Piccole e medie imprese.
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A Origine Protetta (DOP). Attualmente è in corso di discussione l’introduzione dell’obbligo di etichettatura per i prodotti che contengono carne, sulla scia del recente caso the horse meat scandal, dove della carne di cavallo è stata rinvenuta in alcuni prodotti senza che questo fosse comunicato ai consumatori (ad es. lasagne surgelate, dove notoriamente il ragù è composto esclusivamente di manzo come riportato nelle etichette).3 Proprio per l’attualità dell’argomento si è scelto di concentrare l’analisi sull’approccio impiegato dal legislatore europeo relativamente a questo prodotto, cercando di evidenziare le ragioni che sostengono la posizione favorevole all’introduzione dell’obbligo e quella contraria. Il dato fondamentale che emerge con chiarezza, e che è già utile riferire, è il bilanciamento compiuto dal legislatore tra il principio della libera circolazione delle merci (che richiederebbe minori oneri in capo ai produttori) e la protezione dei consumatori (che invece sarebbe rafforzata dall’indicazione del paese d’origine obbligatoria per tutti i prodotti venduti e anche dei relativi principali ingredienti). La legislazione attualmente in vigore e le regole applicabili dal 2014 Scorrendo la normativa in vigore sin dal 1979, si può osservare che nel suo approccio all’etichettatura d’origine per i prodotti alimentari, il legislatore europeo ha dapprima scelto lo strumento legislativo della direttiva, per di tali norme è sia orizzontale, nel senso che stabilisce una regola generale valida per l’etichettatura di tutti i prodotti alimentari, sia verticale, dove Attualmente è in vigore la Direttiva 2000/13, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità. La direttiva si applica solo ai prodotti alimentari che sono destinati al In essa, nell’intento di armonizzare le normative dei diversi Stati Membri, viene affermato il principio di non ingannevolezza del consumatore (già previsto dalla Direttiva 1979/112) per il quale: A) le informazioni sugli alimenti devono essere precise, chiare e facilmente 3 Per un approfondimento sul tema rimando, tra gli altri, a http://www.ilfattoalimentare.it/ tortellini-buitoni-carne-cavallo-nestle-italia.html
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comprensibili per il consumatore medio (Articolo 13.2); B) tali informazioni non devono indurre il consumatore in errore: 1) sulle caratteristiche dell’alimento, in particolare riguardo la sua natura, identità, proprietà nutrizionali, composizione, quantità, durata di conservazione, paese d’origine o luogo di provenienza, metodo di produzione o fabbricazione; 2) attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede; 3) suggerendo che il prodotto possegga certe caratteristiche peculiari (particolarmente evidenziando la presenza o l’assenza di determinati ingredienti), mentre in realtà tutti gli stessi alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche (Articolo 2); C) l’indicazione d’origine in etichetta è facoltativa, a meno che la sua omissione non induca in errore il consumatore sulla vera origine o provenienza del prodotto (Articolo 3). Destinatari della normativa sono tutti gli operatori economici coinvolti consumatori di informazioni sugli alimenti . Dalle consultazioni condotte nel 2006 dalla DG SANCO nel corso del processo creativo del Regolamento FIAC,4 è emerso che tra gli operatori economici e gli attori istituzionali non c’è un accordo sulla posizione da assumere sull’argomento (come anticipato all’inizio di questo lavoro): imporre l’obbligo per ogni prodotto alimentare, non imporlo per nessuno, oppure mantenere l’approccio attuale. In particolare, dall’analisi condotta dalla Commissione Europea emergono le conseguenze sul piano economico per i produttori che deriverebbero dall’eventuale introduzione dell’obbligo di informare il consumatore dell’origine del prodotto venduto. L’indagine della Commissione riguarda, in particolare, proprio il caso della carne utilizzata come ingrediente che si rivela utile a spiegare perché secondo la Commissione è preferibile non introdurre l’obbligo in questione quando rilevato che quando i consumatori comprano dei prodotti alimentari, l’etichettatura d’origine è uno dei fattori più decisivi nell’orientare la scelta (il quarto su quindici elementi proposti). Inoltre, per più del 90 per cento dei consumatori questa informazione è importante. Tuttavia, 4 Ad eccezione delle norme sulla dichiarazione nutrizionale, che saranno applicabili a partire dal 13 Dicembre 2016, A partire dal 13 Dicembre 2014 si applicherà nell’Unione Europea il Regolamento No 1169/2011, noto anche come Regolamento FIAC.
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questa importanza decresce rapidamente se il prezzo del prodotto sale anche lievemente (per un aumento di prezzo dal 5 al 9 per cento la riduzione del desiderio di pagare per ricevere l’informazione sull’origine è stata calcolata tra il 60 e il 90 per cento). Nello studio si evidenzia come l’introduzione ex novo dell’obbligo di indicare da quale paese provenga il prodotto comporterebbe un importante aumento dei costi di produzione per i produttori tra il 15 e il 50 per cento, che inevitabilmente verrebbe trasmesso sul prezzo di vendita al consumatore. In sintesi, è stato osservato che i consumatori sarebbero interessati a ricevere questa informazione solo se questa fosse disponibile gratuitamente o quasi. Altrimenti essi si orienterebbero a comprare altri prodotti o semplicemente a rinunciare all’acquisto, con un impatto negativo sulla vendita delle merci così etichettate. La conclusione si può agevolmente estendere a quei prodotti che non devono certe loro caratteristiche alla loro origine o provenienza, produttiva (v. lasagne surgelate di produzione industriale). A partire dal 2002 è in vigore il Regolamento 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, tra i quali l’obbligo di rintracciabilità. Questo obbligo sancisce che i produttori debbano essere in grado di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Ora, si può affermare che se già il produttore deve sostenere dei costi per assicurare la rintracciabilità del prodotto, allora l’obbligo di etichettatura d’origine consisterebbe soltanto nel comunicare al consumatore un’informazione che è già a sua disposizione, senza comportare gli ulteriori costi paventati dalla Commissione. Tuttavia, la Commissione stessa ha osservato che il sistema di rintracciabilità imposto dal Regolamento 178/2002 (c.d. “un passo avanti e un passo indietro”), la quale è stato creato, non risulta adeguato a trasmettere l’informazione obbliga i produttori a raccogliere tutta l’informazione accumulata lungo la
struttura produttiva europea, che è composta per il 90 per cento da PMI, è “frammentata” e non aiuta in questo compito. Ancora, all’assenza di un obbligo di trasmettere tutta l’informazione sull’origine degli ingredienti
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A produttori a conoscere l’origine della carne che essi acquistano. Dall’analisi condotta dalla Commissione Europea di può notare che: A) se l’attuale sistema di tracciabilità basato sul metodo “un passo avanti e uno indietro” fosse invece stabilito su un approccio c.d. (nell’esempio, lasagne) indicare l’origine della carne contenuta, evitando così quell’aumento di prezzo che ridurrebbe la volontà di acquisto dei consumatori; B) se la struttura del mercato europeo fosse verticalmente integrata, composta cioè da grandi aziende che contengano dentro di sé l’intero ciclo produttivo, anche senza cambiare le regole della tracciabilità previste dal Regolamento 178/2002 risulterebbe meno oneroso per il produttore comunicare queste informazioni in etichetta; Pertanto si può osservare che, se per certi prodotti, specialmente quando oneri derivanti dall’obbligo della tracciabilità già vigente possano evitare l’origine della carne come ingrediente, è invece possibile sostenere ragionevolmente che in caso di prodotti alimentari che percorrano una Regolamento 1169/2011 per l’introduzione dell’obbligo di etichettatura d’origine vengano pubblicate,5 si ritiene, comunque, che la Commissione darà parere positivo all’introduzione dell’etichettatura obbligatoria, in particolare riguardo ai prodotti non processati, proprio sulla base della constatazione che i produttori già sono obbligati alla tracciabilità ai produzione. L’obbligo di etichettatura del paese d’ origine visto nella prospettiva della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
5 All’Articolo 26 del Regolamento FIAC viene stabilita la possibilità di estendere tale obbligo ad altri prodotti alimentari come altri tipi di carne diversi da quella di manzo, il latte, alimenti non processati, prodotti costituiti da un singolo ingrediente e per gli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un prodotto alimentare.
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Sin dal 1982 col noto caso Buy Irish, la Corte considera l’indicazione d’origine in etichetta come una misura contraria alla libera circolazione consumatori a favore dei prodotti nazionali. Questa posizione è condivisa anche dal legislatore europeo quando mira alla libera circolazione di prodotti alimentari legalmente prodotti e commercializzati nell’Unione (Regolamento 1169/2011) e di prodotti sicuri (Regolamento 178/2002). Tuttavia, ai sensi dell’Articolo 36 del TFUE e della giurisprudenza Cassis de Dijon,la stessa Corte riconosce la possibilità che una misura restrittiva mantenuta all’interno del sistema UE. Ciò è possibile quando tale misura giurisprudenza Cassis de Dijon e superi positivamente il test di necessità e proporzionalità. Primo fra questi obiettivi legittimamente perseguibili è la protezione dei consumatori. In particolare la Corte ha riconosciuto idonee a questo scopo le regole che proibiscono la falsa indicazione del paese d’origine di un prodotto. Anche la prevenzione delle frodi viene considerata un obiettivo legittimo, così come la protezione della proprietà industriale e commerciale. All’inizio del 2014 è stata presentata al Parlamento Europeo una relazione sulla crisi alimentare e sulle frodi alimentari che fornisce numeri inquietanti sul valore delle frodi alimentari nell’Unione nel 2012: il volume d’affari è pari a circa 36 miliardi di Euro. E’ da notare che prima dello scorso Gennaio questo tema è stato poco presente nell’agenda europea, ma ora, preso coscienza delle imponenti dimensioni del fenomeno, se ne auspica una celere regolamentazione. Comunque, per quanto concerne l’argomento qui trattato, l’obbligo di indicazione dell’origine del prodotto (uno degli aspetti maggiormente coinvolti da queste pratiche illegali) poco gioverebbe a ridurre questo problema, posto che attualmente sono già in vigore regole che impongono di non comunicare informazioni false ai consumatori e di indicarne esplicitamente l’origine quando la sua omissione possa trarre in inganno l’acquirente. Conclusioni A conclusione di questo lavoro si osserva come l’approccio del legislatore europeo sul tema dell’etichettatura del paese d’origine sia caratterizzato attualmente da un bilanciamento tra il principio della libera circolazione dei prodotti alimentari e quelli della protezione dei consumatori, della prevenzione delle frodi e della tutela della proprietà intellettuale.
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Attualmente, come si è visto, il sistema pare orientato più a garantire la circolazione dei prodotti alimentari che una completa comunicazione ai consumatori delle informazioni sull’origine dei prodotti che comprano. Tuttavia, leggendo il Regolamento 1169/2011 si trovano indizi di una maggiore importanza che il consumatore ha acquisito agli occhi del legislatore, specialmente del Parlamento Europeo che è il principale sostenitore dell’etichettatura d’origine obbligatoria. Ad oggi è allo studio della Commissione la possibilità di estendere in modo verticale tale obbligo ad ulteriori settori merceologici, come i prodotti non processati e gli ingredienti che sono contenuti per più del 50 per cento in un alimento (v. supra nota 4). Tali analisi dovranno tenere conto anche della disponibilità dei consumatori a pagare un prezzo per ricevere questa informazione in etichetta e della possibilità di evitare l’innalzamento dei prezzi facendo riferimento ad oneri già in vigore per i produttori, come l’obbligo di tracciabilità previsto dal Regolamento 178/2002. Inoltre, il legislatore europeo, nell’assicurare l’informazione sull’origine ai consumatori, non ha previsto solo regole applicabili sia a tutti che solo ad alcuni settori di prodotti alimentari. Infatti il nostro sistema giuridico garantire ai consumatori che gli alimenti riportanti quell’indicazione in etichetta posseggono certe particolari qualità in relazione al luogo dove sono stati prodotti. Questa connessione è particolarmente presente nelle Denominazioni di Origine Protetta (DOP) dove ogni fase del processo che per quanto riguarda il tema dell’origine intesa come manifestazione pochi casi, alla legislazione verticale (per es. miele ed olio extra-vergine di oliva).
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A People in glass houses shouldn’t throw stones: how the US is in breach of its WTO obligations on GIs Anna Pianura e Maria Rovero
Ever since the European Union introduced rules for the protection of Geographical Indications (GIs) in 1992,1) the United States has been a strong critic of the EU policy on GIs. In 2006 the US initiated WTO dispute settlement against the EU claiming a breach of the WTO’s rules on the protection of intellectual property.2) The “Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights” (TRIP) is the international agreement that sets forth the standards for intellectual property regulations applicable to the members of the World Trade Organization (WTO). Among these standards, the treaty lays down the rules for the protection of Geographical Indications , namely signs or names that certify the geographical origin of a product. The US claimed that Regulation 2081/92 was in breach of Article 16 of the TRIPS agreement, in that it granted the right to use a Geographical Indication (GI) that is identical, or similar, to a pre-existing Trade mark (TM), thus interfering with the exclusive right of the mark owner. 3) TRIPs Article 16 provides that owners of TMs have the exclusive right to prevent all third parties from using identical or similar signs to the registered trade mark. On this point the WTO dispute settlement Panel found in favour of the EU. 4) The Panel found that the EU system for the protection of GIs provides 1Regulation EEC 2081/1992 2 Dispute DS174/2006, WTO Dispute Settlement Body. 3 Article 16 of the TRIPS provides that “The owner of a registered trademark shall have the exclusive right to prevent all third parties not having the owner’s consent from using in the course of trade identical or similar signs for goods or services which are identical or similar to those in respect of which the trademark is registered where such use would result in a likelihood of confusion”. 4 The Panel ruling was not appealed to the WTO Appellate Body. This is a measure of the extent to which the US did not consider that an appeal would result in any changes to the WTO’s position. The EU did lose on certain administrative aspects of the WTO case and subsequently amended the Regulation to make it easier for third country GIs to register in
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A TMs and that therefore there was no violation of any of the principles envisaged in the TRIPS agreement. What is more the Panel stressed the fact that there should be no discrimination between any form of Intellectual Property, namely between Trade Marks and Geographical Indications. Both forms of intellectual property were in effect equal. The WTO ruling has not diminished US opposition to the EU system. This opposition is mostly driven by economic interests. Since the European Regulation entered into force, in fact, many traditional European products were recognized as that the continued expansion of the number of registered GIs would in some way restrict the marketing of agricultural products and foodstuff in the USA. 5) This article will show that it is the US itself that appears to be in breach of its TRIPs obligations in the protection of GIs. So rather than throwing stones at the EU, the US should be changing its own system for the protection of GIs so as to bring it into line with WTO law. GIs in TRIPS agreement ) as
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follows: “[…] indications which identify a good as originating in the territory of a Member, or a region or locality in that territory, where a given quality, reputation or other characteristic of the good is essentially attributable to its geographical origin.” as “indications” suggests that there is no limitation on the type of sign that could identify the geographical origin of a product. The protected name could be either a geographic name or a name that acquired geographical name “Feta” in fact is not a geographic name in itself, but it was recognized it was demonstrated that consumers linked the word to its territory of origin: Greece.7) Indication can also mean a sign or something less than a the EU. 5 The Consortium for Common Names promotes the US policy worldwide. 6 TRIPS is the acronym for Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, an international agreement administered by the World Trade Organization. 7
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word. 8) However it is of prime importance that the name or sign used is able to suggest to consumers that a good comes from a particular region. Indications.9) A term is considered to be generic when, in the mind of the consumer, it evokes a particular type or class of product rather than 10 ) It is also essential that there must be a direct link between the geographic origin and the given point in fact, will play an important role in understanding the difference between the EU and the US approach. The European Union and the United States have a radically different approach in implementing GI protection as required by the TRIPS agreement. The reason of this difference is to be found especially in the historical and political background of the two regions. In fact, EU considers food and production methods as part of the culture, therefore a value in itself that needs to be protected and valorised.11) The US, on the other hand, does not have this historical tradition of food production: most of their production methods are imported from other countries. For example the world famous American beer “Budweiser”, was originally inspired by “Budejoivicky”, a beer manufactured in a small region of Czech Republic.12) The strong individualistic liberal ideals underlying the US economy leads to the conviction that strong GI protection hampers or not, analysed if non-Greek producers used references to Greece in their packaging and marketing, conducted some surveys to the consumers to understand what the term and cook books. 8 Regulation 1151/2012, the current legal basis for the protection of GIs in the EU, only protects ‘words’. 9 Article 10, Regulation 1151/2012. 10 For example in the United States, the name Fontina was considered a generic name cheese originated outside the typical area of production (Valle d’Aosta). “In re Cooperativa, Produttori Latte e Fontina Valle d’Aosta, 230 USPQ 131 (TTAB 1986)”. 11 This approach is well showed in the recital of the Regulation on quality schemes for agricultural products and foodstuffs. “The quality and diversity of the Unions’ agricultural, advantage to the Union’s producers and making a major contribution to its living cultural and gastronomic heritage. This is due to the skills and determination of Union farmers who have kept traditions alive while taking into account the developments of new production methods and material”; Regulation 1151/2012. 12 For past hundred years, an international legal dispute continued between the American brewer Anheuser-Busch and the Czech beer producer Budejovicky Budvar over the right to use the trademark name Budweiser on their products.
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the spread of technical know-how and limit the overall expansion of the related market. The EU system In execution of TRIPS Articles 22 the EU has adopted Regulation 1151/2012 on quality schemes for agricultural products and foodstuffs, which sets forth the main legal provisions regarding GIs. In the EU system, Geographical Indications are a sui generis form of intellectual property granted for the protection of agricultural products and foodstuffs intended in the Regulation.13) The EU system is based on a series of elements giving a high level of protection for GIs: Generic names cannot be registered; however if purchasers start to recognize a generic name as referring to a particular geographic even if generic, might be considered distinctive and therefore protectable.14) The TRIPS agreement in fact, establishes a dual system of protection for GIs: an enhanced one for wines and spirits and a basic protection for any other product. EU goes beyond that basic protection established in the TRIPS, in fact it forbids any exploitation of the preferences, even if the misappropriation of the name does not consist in the consumers’ deception about the true origin of a product. It is not permitted in fact, “Any misuse or evocation of the registered name, even when the true origin of the products or services is indicated, or if the protected name is translated or accompanied by 13 Regulation 1234/2007 covers wines and spirits. Geographical Indications of wines and spirits, in fact, receive a kind of protection that goes beyond consumers’ deception: the use the name of the GI itself together with expressions such as “kind”, “style”, “type”. In relation to GIs covering agricultural products and foodstuffs, instead, the regulation does not forbid misappropriations of the protected name that exploit the reputation of a geographical 14 The so-called “secondary meaning” doctrine.
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expression such as “kind” “style” “type”15).
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The EU protects two different types of GIs: PDO –standing for Protection of Designation of Origin- and PGI –standing for Protection of Geographical Indication-, which respectively grant different standards of protection.16) between TM and GIs that are made up of the same designation; if the registration of the GI is prior to the TM, the application for the TM must be rejected; it is on the contrary admitted a cohabitation between a GI and a pre-existing TM, provided that the use of both signs would not mislead consumers.17) Compared to Trademark law, the discipline of GIs has a much more every member state shall establish a competent authority granting judicial initiatives to prevent or stop unlawful use of GIs.18)
The US system: a trade mark approach The US Regulator, unlike EU, chose not to adopt a sui generis form of intellectual property for GIs, arguing that establishing such new protection ) Therefore GIs are protected through the existing
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15 Article 13, Regulation 1151/2012. 16 In the PDO the link between the product and the quality has to be stronger than in the PGI: for the protection of the PDO in fact, the given quality or reputation of the product has to be not only “essentially attributable” “exclusively” due to the particular geographical environment, and all the production steps must take one of the stages of production, processing or preparation has to take place in the area. Article 5, Regulation 1151/2012. 17 Article 14, Regulation 1151/2012. 18 This public involvement is due to the fact that GIs are considered public goods. The authority needs to guarantee that if any producer is in compliance with quality standards of the product, he cannot be refrained from using the GI by somebody else claiming an exclusive right on it. Article 36, Regulation 1151/2012. 19 See http://www.uspto.gov/ip/global/geographical.
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Trademark regime20) the aim of distinguishing products coming from different industries. certify that the products to which the mark is applied either originate perform certain standards of quality, or they have been manufactured . Mark may emanate by different producers that comply with the standards classical “Trademark paradigm” does not hold the exclusive right to use the sign. Rather the owner must monitor the use of the sign instead, in order to avoid any abuse or unlawful or arbitrary use of the mark that could be detrimental for all those entitled to use that mark. Since public interest - such as the protection of consumers against deceptive use of the mark 21) and the prevention of unfair commercial practises among producers - are involved, the mark owner is often a governmental body or a government appointed body. Within the US legal framework then, restricted to a region or it can be even wider, comprehensive of a whole country, for example, “Idaho potatoes” or “Wisconsin cheese”. Moreover the mark might also indicate other characteristics in addition to the geographic origin. As a clarifying example, the registration for Roquefort Cheese provides as follows: is applied has been manufactured from sheep’s milk only, and has been cured in the natural caves of the Community of Roquefort, Department of Aveyron, France”. category of trade marks, the USPTO22) in receiving a GCM application, shall 23 ) whether 20 Section 4 of Lanham Act (US Trademark Law). 21 as to the properties and characteristics of the product. 22 Commerce, that issues patents to inventors and businesses for their inventions, and deals 23 For further details see “Examination Guide July 2013” available at ìwww.uspto.gov/ trademarks/notices/IdeaScale_GCM.jsp.
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the GCM complies with Trademark’s general validity requirements. 24)
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Does the US properly implement the TRIPS agreement? The US Regulator determined that protection of GIs through the existing trademark regime to be the most proper and cost effective way to implement its TRIPs obligations in relation to GIs. That being said it can be considered that the US system of protection has many shortcomings. First of all, in order to understand whether a name or sign is considered generic, therefore non protectable, the US evaluation system, the “genericness test” is less restrictive than the European one. As a result, in the US, it is much more common that a name ends up being considered generic. As a matter in the mark is a well-known source of the product considered. 25) This is somewhat illogical, since consumers’ perception should be analysed referring to a particular type of product rather than to the geographical origin of this product. On the basis of the US approach, names like Porto, Parmigiano and Feta are considered generic names. The application for indication of the area where the concerned good is produced. According to the USTPO examination guide, 26) applicants are allowed to identify in designation indicated in the applied -for-mark (for example “Maryland Apples” for apples produced also in Virginia and Delaware). This is only 24 distinctiveness and lawfulness. body shall carry on the “like hood confusion analysis”. In particular the Mark (or the GCM) shall not result confusingly similar to any prior mark. Regarding the “distinctiveness test”, Section 2(e)(2) of Lanham Act bars registration of primarily geographically descriptive excluded from this prohibition. 25 Evaluation of the generic nature of a name consists of a two step analysis: the USPTO shall evaluate the fame of the area and the large scale of production (products are considered to be principle products of the region or the region is famous as a source of the products); only when the absence of both fame and large scale production is proved, the Examiner shall consider whether the term, in the mind of consumers, suggests a particular type of product rather than its geographical origin. 26 examiners shall follow in the implementation of the law. Examination Paper number 13
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possible if two criteria are met: the region indicated in the mark is not products of the region. The US authority bases this requirement on the conviction that consumers may easily consider a product as originating from a certain region, if that region is a famous production venue of the product. 27) This system does not take in consideration the possibility of material deception that may occur among consumers about the effective origin of the product. As a matter of fact, the consumer is likely to be led to think that a product bearing the GCM “Maryland apples” actually originates from that particular place, even though Maryland is not a large scale apple producer. This seems to be more deceptive than protective and against the object and purpose of GIs. Apples produced in Virginia The system established by the USPTO has some internal contradictions. According to the USPTO website the application for a Geographical Descriptive Mark (not for a GCM) shall be refused when: mark. purchasers would be likely to believe that goods or services
Furthermore the USPTO Examination Guide, in addressing in particular name is used in the Mark to indicate something other than the effective origin of the product (for example “California” meaning organically growth fruits and vegetables) the application must be rejected. It is a nonsense even if applied to products not originating in the region indicated in to every other relevant characteristic of the product, such as the mode of manufacture and the quality of the good (for example the mark “Idaho Potatoes State of Idaho, that those potatoes conform as well to grade, size, weight, colour, shape, cleanliness, variety, internal defect, external defect, maturity 27 For example if Maryland were a well-known apple production area, the applicant could
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extra virgin olive oil”, the applicant in order to comply with the system must either submit standards that compliance of the effective standards of the product with the ones indicated presence of the direct link required by the TRIPS agreement, whereby “a given quality, reputation or other characteristic of the good is essentially attributable to its geographical origin.” It is not deemed to be important that the quality, reputation or any other special product’s characteristic inherent human and natural factors, such as traditional manufacturing processes and skills and determination of farmers that keep gastronomic heritage alive. In fact, the US has no means of determining whether there is a link between the geographic origin and the special characteristics of a product bearing the geographic name. Conclusion It can be concluded that the US system for the protection of GIs does not meet the requirements of the TRIPs Agreement. First of all, for the reasons explained above, products marketed under a certain geographic designation might originate from places other than the one indicated in the mark, thus causing deception of consumers about the true origin of the product. Article 22.3 of TRIPS provides that protection “shall be refused or invalidated the registration of a trademark which contains or consists of a geographical indications with respect to goods not originated in the territory indicated, if the use of indication in the trademark is of such a nature as to mislead the public as to the true origin of the product”. Secondly, because Geographical Indications are protected as Trade Marks, this means that besides names, the use of any sort of sign including colors, drawings, smells etc. is possible. This approach might be potentially useful to convey a geographic message. However the US under the Trademark Act
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Section 2(b) bars “ other insignia of the United States, any state or municipality, or any mark includes this matter, it should be refused accordingly”. This restriction seems extremely illogical since those country-related signs are the ones that can effectively help the consumer being informed about the geographical origin of a product. This restriction is based on indication” only for the protection of public health. provided in TRIPs Article 22 provides that “a given quality, reputation or other characteristics of the good shall be essentially attributable to its geographic origin”. that examines the link between the origin and the characteristics of the of this link between the characteristics of the good and the geographical environment with its inherent human and natural factors.
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A La nuova legge elettorale e la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale
Ferdinando Vella
to il sistema elettorale del nostro paese, il quale si è così trasformato in un meccanismo proporzionale senza premio di maggioranza e con soglie verso la riforma del sistema, da molti giuristi e politologi sollecitata da anni e concretizzata (forse) solo di recente con l’accordo tra le principali forze politiche. Il c.d. Italicum testo, è stato approvato il 12 marzo 2014 alla Camera dei Deputati ed è attualmente all’esame del Senato1. Pur non potendo perciò escludere mopianto generale della riforma e i suoi punti principali. La riforma elettorale interessa solo la Camera dei deputati e non il Senato, che si dovrebbe trasformare in un’Assemblea delle autonomie non elettiva entro l’attuale legislatura, tramite revisione una generica “costituzionale”. Non è nostro gli inevitabili interrogativi giuridici che si sono posti alla luce dell’importante decisione della Consulta.
Premio di maggioranza La Corte costituzionale ha in primo luogo dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme che prevedevano l’assegnazione di un premio di maggioranza (il 55% dei seggi alla Camera, cioè 340 su 630) alla lista (o coalizione di liste) che avesse ottenuto il maggior numero di suffragi. La Corte, pur rilevando che il meccanismo premiale comporti inevitabilmente 1 Il testo del disegno di legge (S. 1385) è reperibile all’indirizzo: http://www.senato.it/ service/PDF/PDFServer/BGT/00751716.pdf
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una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi, sottolinea che nel assume una misura tale da compromettere la compatibilità [del sistema elettorale] con il principio di uguaglianza del voto sancito dall’art. 48 Cost. Questo perché le disposizioni censurate non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa di voti, lasciando aperta l’ipotesi che una formazione che ottenga una percentuale anche esigua di voti ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. La Corte utilizza dunque il criterio deluna legge elettorale non violi direttamente l’art. 48 Cost., con gravi effetti a cascata su altre fondamentali disposizioni come ad esempio il principio di rappresentanza nazionale espresso dall’art. 67 della Costituzione. Nel progetto di legge approvato alla Camera è stato subito recepito l’obbligo di gioranza: l’art. 1 co. 2 ddl S. 1385 prevede infatti che un eventuale premio (ancora equivalente al 55 per cento dei seggi della Camera) venga assegnato alla lista (o coalizione di liste) che ottenga il 37% dei suffragi totali al primo turno. Nell’ipotesi che nessuna formazione ottenga tale percentuale di consensi, la nuova legge elettorale ha introdotto la sostanziale novità del ballottaggio tra le due formazioni che hanno ricevuto più voti, e il premio per la maggioranza assoluta) spetterà alla vincente. Si aprono qui due prola soglia minima indicata dalla Corte sia ragionevole (espressione da alcuni criticata per la sua eccessiva vaghezza2 cilmente potrà essere sindacata, visto anche il rischio concreto di invadere l’area della discrezionalità legislativa3. Altra questione riguarda invece il secondo turno, per il cui accesso non è prevista alcuna soglia di voti: ai sensi dell’art. 1 co. 17 ddl S. 1385 accedono infatti al ballottaggio le liste (o coalizioni di liste) che abbiano ottenuto al primo turno le due maggiori cifre elettorali nazionali. Il rischio di censura, benché ancora molto incerto, è qui secondo alcuni maggiore, in quanto anche una formazione che riceva al primo turno anche molto meno del 37 per cento di voti potrà, al secondo turno, ottenere una maggioranza assoluta, per quanto esigua.
2 Francesco Saverio Marini, La ragionevolezza come parametro incerto della costituzionalità delle leggi elettorali, www. confronticostituzionali.it 3 Antonio D’Aloia, La sentenza n. 1 del 2014 e l’Italicum, paragrafo 6, www.confronticostituzionali.it
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Liste bloccate o preferenze?
Ancor più problematico e delicato è il secondo aspetto censurato dalla Corte della l. 270/2005, quello riguardante le c.d. liste bloccate. Secondo la Corte infatti esse escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti: i partiti scelgono i propri candidati, i quali sono numero a causa di ampie circoscrizioni elettorali. Ciò risulta in contrasto con il principio di suffragio diretto (artt. 56 e 58 Cost.), con il diritto del popolo di scegliere il proprio corpo legislativo (art. 3 Protocollo addizionale alla CEDU) nonché con il diritto ad un voto libero e personale (art. 48 Cost.). Insomma, come sintetizzato nella sentenza: è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Tuttavia, continua la Corte, tale fattispecie è ben diversa dall’ipotesi di circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali). Ed è probabilmente a questa ipotesi che si sono uniformati i lavori della riforma: infatti i seggi spettanti alla circoscrizione […] sono assegnati in collegi plurinominali, nei quali è assegnato un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a sei (art. 1 co. 1 ddl S. 1385). Numeri che garantirebbero una maggiore conoscibilità da parte dell’elettorato dei candidati delle formazioni, e dunque dovrebbero evitare, nelle speranze dei promotori della riforma (ma il condizionale qui è più che mai
Aspetti critici Sia la decisione della Consulta, sia il progetto di riforma elettorale, hanno ricevuto critiche contrastanti da parte degli studiosi. Da una parte molti auspicavano l’intervento della Corte, vista l’inattività della politica, nel bocciare una legge criticatissima e che ha portato a drammatici squilibri istituzionali; dall’altra tuttavia alcuni hanno criticato la genericità dei criteri utilizzati per tale censura. Abbiamo visto, infatti, come il criterio della ragionevolezza per la soglia di voti minimi necessari per il premio di maggio-
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ranza sia incerto e non escluda a priori un nuovo intervento della Corte. E anche l’aggettivo esiguo, riferito al numero di candidati nelle liste bloccate che garantirebbe l’effettiva conoscibilità da parte del corpo elettorale, non sembra chiudere affatto la questione. Resta dunque l’impressione di una pronuncia dal basso tono costituzionale in cui è evidente la forzatura a cui la Corte è stata costretta per superare i fondati dubbi di inammissibilità della questione di legittimità4. Il dibattito sulla riforma elettorale è, insomma, più acceso che mai. Senza entrare nel merito di una discussione che vede intrecciarsi interessi politici del rasoio”, limata ad hoc per sfuggire ad un eventuale esame della Corte, corretta negli obiettivi generali che si pone, ma consapevole di muoversi su un terreno assai scivoloso. L’accordo politico sulla legge elettorale, per Corte costituzionale, ma che sembra necessario risolvere soprattutto a livello costituzionale e non esclusivamente con calcoli (va detto, meramente superamento del Senato - per cui la l. 270/2005 rimane valida, nella ver(o addirittura peggiore) a quella che dal 2005 tiene “in ostaggio” la politica: due composizioni completamente diverse per Camera e Senato e nessun vero vincitore.
4 Rosa Pastena, Operazione di chirurgia elettorale – Note a margine della sentenza n. 1 del 2014, Rivista AIC del Febbraio 2014
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A per fronteggiare l’emergenza Luchino Ferraris
6/2014, recante “Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate”1, di conversione del d. l. 136/2013, ormai noto nel linguaggio politico-giornalistico come decreto sulla “Terra dei Fuochi”, in quanto portatore di disposizioni (per la maggior parte) valevoli per l’intero territorio nazionale, ma imposte all’agenda politica dallo stato di grave crisi riguardante quella particolare
anche sotto la spinta pressante di un diffuso allarme sociale, alimentato in particolare dalla pubblicazione di testimonianze giornalistiche che hanno reso nota l’emergenza a livello nazionale e mondiale2. Il testo legislativo prevede, da una parte, una serie di misure di tipo preventivo (come obblighi di informazione e di monitoraggio e istituzione di ordall’altra, il nucleo principale del testo è costituito dall’introduzione della Se, , sono possibili soltanto alcune valutazioni provvisorie, dal momento che solo il tempo consentirà di trarre conclusioni circa il buon esito delle iniziative in discorso, al contrario è già possibile formuito rilievo prioritario nel presente contributo, che si propone il più ampio obiettivo di indagare circa la corrispondenza (o, al contrario, il clivage) tra obiettivi perseguiti e risultati concretamente ottenuti dal legislatore, valutandone l’adeguatezza in relazione al contesto di riferimento. 1 Il testo integrale della legge è disponibile su: http://www.ambientesicurezzaweb.it/ whitepaper_library/Testo_legge_6_2014.pdf 2 Si allude all’ormai celebre scritto di R. Saviano, “Gomorra”, 2006.
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A mini della problematica. La “Terra dei Fuochi” (espressione utilizzata per la prima volta nel “ ”, curato da Legambiente) copre un’area di quasi trecento chilometri quadrati di estensione, all’interno di 57 Comuni a cavallo tra la Provincia di Napoli e quella di Caserta, e caratterizzata a partire dagli anni ’80 dalla pratica generalizzata dello sversamento nalità organizzata e in particolare del “clan dei Casalesi” (nella sua doppia diramazione) e di altri gruppi minori (come il “clan Mallardo” di Giugliano). Il meccanismo dello smaltimento illecito è molto complesso e coinvolge l’opera di numerosi addetti: le imprese che intendono liberarsi a basso costo quelli ordinari, in modo da ridurre la concentrazione lesiva e dunque depericolosità. L’opera di mediazione con i gruppi criminali, che provvedono poi all’atto materiale di accatastamento e smaltimento abusivo nei centri di raccolta, è condotta dai cosiddetti stakeholder, veri e propri professio, grazie alla loro abilità di aggirare le norme e di allettare la comunità imprenditoriale con prospettive favorevoli dal punto di vista economico. Il risultato di decenni impiegati a sviluppare questo business pericolosi, concentrate in un territorio, quello del triangolo tra Giugliano, , se accatastati, formerebbero (secondo una stima di Legambiente) una catena montuosa di oltre 15000 metri, oltretutto in crescita del 30% all’anno. Evidenti sono i danni economici e sociali (l’agricoltura è ormai al collasso), nonché sanitari (secondo l’Istituto superiore di Sanità, il tasso di mortalità per cancro in Campania è aumentato del 21% negli ultimi vent’anni).
Misure di tipo preventivo-ripristinatorio A tutto ciò lo Stato Italiano ha inteso porre rimedio con il decreto menzioso il 10 dicembre 2013. Ne risulta un testo di nove articoli (inclusivo, tra l’altro, di alcune disposizioni dedicate al caso “Ilva” di Taranto), non privo
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di ambiguità e contraddizioni. Quanto alle misure di tipo preventivo-ripristinatorio, si stabilisce innanzitutto l’adozione di tecniche per effettuare la mappatura dei terreni della Regione Campania destinati all’agricoltura, (art. 1, comma 1); sono poi incentivati gli studi di settore condotti da enti specializzati (ricerche epidemiologiche da parte dell’Istituto superiore della sanità, indagini sulle prospettive di vendita dei prodotti agroalimentari da parte dell’Istituto nazionale di economia agraria), avvalendosi della collaborazione dell’ARPA della Regione Campania e dell’obbligo dei privati di ti o incentivi di qualsiasi natura per le attività in oggetto per tre anni (art. 1, comma 6-bis). Con riferimento alle azioni di monitoraggio, è prevista da un lato l’istituzione di un comitato interministeriale, tenuto con cadenza semestrale a presentare alle Camere una relazione di aggiornamento circa impiegate (art. 2, comma 3) e, dall’altro, l’istituzione di comitati consultivi rappresentativi della comunità locale, conformemente alla Convenzione di Åarhus del 1998, resa esecutiva in Italia dalla l. 108/2001 (art. 2, comma 4-bis). Si prevede poi uno screening sanitario gratuito per i cittadini di Campania e Puglia, per cui sono destinati 25 milioni di euro nel 2014 e altrettanti nel 2015, integrati con le risorse dei fondi strutturali europei 2014-2020. Si tratta di una serie di previsioni la cui effettività è tutta da valutare, considerato che nella maggior parte dei casi sono posti termini non ancora intercorsi, vista la recentissima entrata in vigore della legge: si impone perciò cautela nel trarre conclusioni. Sia tuttavia concesso di rilevare che, essendo noto lo stato comatoso dei sistemi di vigilanza predisposti in Italia (in particolare nelle aree in oggetto), il costo altissimo dei sistemi di controllo ad ogni forma di inquinamento, non è qualunquistico temere che l’impatto di tali previsioni, comunque formulate in modo piuttosto generico, risulti inferiore alle attese3, anche tenendo conto dei precedenti in materia. In questa prospettiva, emblematica è l’indeterminatezza dei compiti attribuiti all’esercito (v. infra le Forze dell’ordine e l’assenza di misure compensative per i titolari delle aziende agricole i cui terreni saranno destinati a colture no food (non 3 lexambiente.it
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destinate cioè alla raccolta di prodotti agroalimentari). D’altra parte, vi sono anche ragioni di ritenere che gli sforzi dispiegati possano considerarsi astrattamente incoraggianti nelle intenzioni ed è dunque parzialmente rassicurante che il Governo abbia già intrapreso i lavori per adempiere ad alcune delle iniziative in programma4.
Come accennato, le disposizioni in esame rivestono complessivamente un’importanza marginale nell’economia del testo di legge, ove un ruolo 152/2006 (il cosiddetto “Testo Unico ambientale”). La disposizione punisce, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, controllata in aree non autorizzate” con la reclusione da due a cinque anni, 256-bis, comma 1). Sfortunatamente, la disposizione risulta costellata da una serie ininterrotta di contraddizioni. Ciò avviene innanzitutto nelle premesse, dal momento che il Comunicato Stampa n° 39 del Consiglio dei Ministri trionfalisticamente annuncia l’introduzione “nel nostro sistema del reato di combustiosolo con contravvenzioni”. nale (e per giunta già dal 1930): da una parte, infatti, l’art. 423 c.p. punisce infatti chiunque cagioni un incendio con la reclusione da tre a sette anni, dall’altra la giurisprudenza tende (per ragioni oscure) a disapplicare tale norma, preferendo la fattispecie più elastica predisposta dall’art. 434 c.p., che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque cagioni il crollo di costruzioni o altri disastri dolosi. Trattandosi entrambi di reati di pericolo, che non richiedono quindi la dimostrazione della concreta lesione del 4 Ci si riferisce in particolare al censimento dei terreni tossici e alla mappatura delle aree coinvolte, come dimostra il decreto interministeriale approvato in data 11 marzo 2014. Cfr. nel dettaglio: http://www.governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=75098
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bene giuridico tutelato, e prevedendo l’art. 423 c.p. pene più severe della disposizione in esame (essendo dunque integrato un “più grave reato” e mettendo quindi “fuori gioco” l’art. 256-bis d. lgs. 152/2006), non si capisce davvero in che cosa consista la novità, nonché l’utilità, del provvedimento5. depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate”: in questi termini, sembrerebbe quasi che, ordinata o all’interno di aree autorizzate, non sarebbe reato dar loro fuoco6. L’art. 256-bis al comma 2 prevede la stessa pena della reclusione da tre a l’esistenza del delitto (che, essendo previsto unicamente come doloso, riaree non autorizzate, pericolosi e che la combustione fosse illecita), tale previsione appare non in linea con i canoni del nostro diritto penale, fondato notoriamente sulla concreta offesa ad uno o più beni giuridici tutelati e non sull’intenzione astratta di offendere tali beni7. Sono previste poi due aggravanti: in primo luogo (comma 3), la pena è aumentata di un terzo se i delitti sono commessi “nell’ambito dell’attività di impresa o attività organizzata”, formula anch’essa di tale vaghezza da renstakeholder, trend di scarsa precisione nella redazione di norme di diritto penale dell’ambiente8. In secondo luogo (comma 4), la stessa aggravante è contemplata se i delitti avvengono su territori interessati nei cinque anni antecedenti da dicontraddittorio che la facoltà di avvalersi dell’esercito sia conferita solo al Prefetto di Napoli e non anche ai suoi omologhi di altre zone di Puglia, Calabria, Sicilia e Lazio in cui lo stesso stato di emergenza sia stato dichiarato.
5 Cfr. la posizione netta sul punto di A. L. Vergine, “Tanto tuonò… che piovve! A proposito dell’art. 3 d. l. 136/2013”, in “Ambiente e sviluppo”, 2014, p. 7 ss.. 6 V. Paone, op. cit. 7 Cfr. G. Marinucci - E. Dolcini, “Corso di diritto Penale”, 2001. 8 Aspetto messo in luce da F. Giunta, “I contorni del “disastro innominato” e l’ombra del “disastro ambientale” alla luce del principio di determinatezza”, in “Giur. Cost.”, 2008, p. 3541.
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di proprietà dell’autore o del compartecipe del reato, fatti salvi gli obblimezzo di trasporto utilizzato per la commissione del reato, salvo che appartenga a persona del tutto estranea al reato (comma 5). L’applicabilità di tale ultima disposizione è peraltro pressoché nulla, dal momento che, nel ti e non per bruciarli: anche in questo caso, sovviene già l’art. 259 comma 2
Conclusioni In conclusione, occupando la previsione del “nuovo” reato una posizione prioritaria nell’intervento normativo in discorso, le innumerevoli lacune ed imprecisioni evidenziate rendono complessivamente inadeguata ed inmente evidenziato, il diritto penale ambientale si conferma “luogo privi: si tratta in sostanza di un blica con l’appariscente arma penale, ma incapace di risolvere il fenomeno, anche alla luce del fatto che l’attuale trend verso lo sfoltimento delle carceri e gli interminabili tempi del giudizio presumibilmente ostacoleranno in modo irrimediabile l’incisività delle misure in parola. Più opportuno sarebbe concentrarsi sulla razionalizzazione della normativa, per renderla più chiara ed applicabile, nonché sul potenziamento radicale delle strutture di controllo e di vigilanza, accompagnato evidentemente dal miglioramento della giustizia penale, al punto da renderla in grado di tornare ad essere un deterrente verso tali forme di illegalità. In realtà, aleggia il sospetto che la problematica abbia natura ancora più strutturale. Nelle testimonianze giornalistiche cui si è fatto cenno (v. nota 2), si mette in luce come l’abbat9
crescere al punto da renderle competitive su scala europea, favorendo l’Italia in termini economici e occupazionali: con riferimento alla repressione di queste pratiche alla fonte, nulla è stato fatto nel decreto, che si ferma al “contrasto” dell’aspetto più vistoso e tangibile della questione (la cosiddetta “punta dell’iceberg”). In questo contesto, emerge il timore che la produzione di una normativa a tal punto di compromesso ed evanescente, da non essere in partenza realmente applicabile, sia dettata dal timore che 9 A. Quaranta, “ novum”, in “Il quotidiano IPSOA”, 2014
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una radicale azione di contrasto alla fonte dei meccanismi di smaltimento dalla crisi economica.
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A I “controlimiti”: mera retorica o strumento utile a salvagardare l’equilibrio nel rapporto fra Corti? Anna Ferrari, Giulia Re Ferrè, Michela Salvo 1 L'argomento del seguente articolo è stato approfondito in occasione del Seminario di Diritto “Rechtpluralismus in der Europäischen Rechtsgemeinschaft”, tenutosi a Freiburg im Breisgau, Germania, lo scorso dicembre (7-10 dicembre 2013)2. Le tematiche centrali, trattate interamente in tedesco, sono state i diritti fondamentali tra Corte di Giustizia dell'Unione Vi hanno partecipato studenti italiani dell'Università degli Studi di Milano e di Pavia, coordinati rispettivamente dalla Professoressa Diana-Urania Galetta (ordinario di Diritto amministrativo presso la Facoltà di Giurispru(ordinario di Diritto dell’Unione europea presso l’Università degli Studi di Pavia), insieme a studenti spagnoli dell' Universidad Autónoma de Madrid e tedeschi della ospitante Albert-Ludwigs-Universität di Freiburg. Finanziato dall'ente tedesco DAAD (Deutscher Akademischer Austauschdienst), il seminario ha offerto, oltre che giornate di studio comparato, anche l'occasione di una visita alla Corte Costituzionale Federale tedesca a Karlsruhe. La nascita della teoria dei controlimiti Per inquadrare il tema dei “controlimiti”3 è necessario richiamare il lungo processo di adattamento dell'ordinamento italiano al diritto dell'Unione europea e ripercorrere brevemente le tappe che hanno portato, quello interno, primato che però è stato ritenuto non privo di limiti. La Corte costituzionale italiana ha infatti individuato un insieme di diritti considerati “ultrafondamentali”, che costituiscono un limite invalica1 Michela Salvo si è occupata della genesi della teoria dei controlimiti, Anna Ferrari del caso Federfarma, Giulia Re Ferrè delle valutazioni conclusive sui controlimiti dopo Lisbona. 2 Vedi M. Crippa, A. Petti (resoconto a cura di), Seminario Internazionale di Studio, Rechtpluralismus der Europäischen Rechtsgemeinschaft”, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2014/1 3 M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano 2011, pag. 98 ss.; D-U. Galetta, G. Bottino, Materiali per un corso di diritto amministrativo europeo, Torino 2008; D.U. Galetta, Le rapport entre constitution italienne et normes externes et la question des soi-disant «contre-limites»; in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2010/6, p. 1633 ss.
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bile al recepimento di una qualsiasi disposizione dell'Unione europea. La Corte di giustizia con la storica sentenza Van Gend en Loos del 5 febbraio 1963 inaugurò la sua giurisprudenza con l'affermazione di due principi fondamentali: l'autonomia dell'ordinamento sovranazionale e la diretta applicabilità delle norme comunitarie. Dal canto suo, la Corte costituzionale italiana si occupò per la prima volta dei rapporti tra diritto comunitario e il diritto interno nel caso Costa c. Enel «costituzionalismo autarchico». Facendo leva su un'interpretazione “permissiva” dell'art. 11 della Costituzione (“l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”), i giudici consentirono a dare esecuzione con una semplice legge ordinaria anche a quei trattati internazionali con cui si assumono limitazioni di sovranità nazionale, riconoscendo così la costituzionalità del processo con cui fucando però che il rapporto fra legge di esecuzione e leggi interne rimane saldamente ancorato alla logica della successione delle leggi nel tempo. Subito la Corte di giustizia con la decisione Costa c. Enel, C-6/64 affermò il principio della superiorità della norma europea su quella interna posteriore con essa incompatibile e sottolineò come con l'istituzione della Comunità, gli Stati “hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato un complesso di diritti vincolanti per i loro cittadini e per loro stessi”. Su questa stessa linea venne molto più tardi pronunciata la sentenza Simmenthal del 1978 , in cui la Corte di giustizia precisò che il giudice nazionale, qualora debba applicare norme europee dotate di effetto diretto, non deve attenderne la previa rimozione in via legislativa o mediante procedimento costituzionale. Quanto ai giudici costituzionali italiani, già nell'anno successivo alla pronuncia Costa c. Enel, intervennero con la decisione Acciaierie San Michele 98/1965, dalla quale risultò un nuovo orientamento dualista. E' questa la prima occasione per precisare l'esistenza di quell'insieme di diritti fondamentali dell'ordinamento costituzionale italiano, i quali richiedono un controllo risultino pregiudizievoli del diritto del singolo alla tutela giurisdizionale. Nella decisione Frontini, sentenza n. 183 del 1973, la Corte costituzionale ribadì l'esistenza di queste “controlimitazioni”, che rendono il riconoscimento dell'ordinamento europeo non incondizionato, ma subordinato al rispetto delle stesse (l'espressione controlimitazioni viene, a dire il vero, per la prima volta utilizzata da P. Barile nel 1973 ed è poi stata successivamente
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convertita in “controlimiti”4 ). Infatti viene puntualizzato come, nonostante le limitazioni di sovranità consentite dall'articolo 11 Cost., i principi fondamentali dell'ordinamento e i diritti inalienabili della persona umana rappresentino dei limiti invalicabili, che il nostro sistema costituzionale si riserva di opporre. Viene in questo modo introdotta una fondamentale distinzione fra norme costituzionali sottoposte ad un primato di fatto della norma comunitaria e norme costituzionali dove invece è racchiuso il nucleo dell'identità del nostro ordinamento: sono esattamente queste ultime che non sono suscettibili di essere limitate dall'ordinamento sovranazionale. Questo mostra la chiara continua ricerca, da parte dei giudici costituzionali, di un equilibrio fra ragioni dell'integrazione europea e ragioni della Costituzione nazionale. Con la sentenza Granital n. 170 del 1984 la Corte costituzionale si allii due ordinamenti come “autonomi e distinti, ancorché coordinati secondo le ripartizioni di competenze stabilita nel trattato”. Inoltre ribadisce che nel caso in cui il diritto comunitario rischi di mettere in discussione i diritti fondamentali dei cittadini o i principi fondamentali della struttura dello Stato (un'ipotesi ritenuta comunque improbabile), la competenza a valutare la legge italiana di esecuzione del Trattato sarà solo sua. Il caso Fragd, sentenza n. 232 del 1989, costituisce un'importante ipotesi di minaccia di applicazione dei controlimiti da parte della Corte costituzionale. I giudici giungono ad ipotizzare, a livello teorico, la dichiarazione di inlesiva di un principio fondamentale, ampliando così sensibilmente lo spazio di applicazione teorica dei controlimiti: non più limitato all'apparato Controlimiti: solo un problema teorico? Tentativo di applicazione concreta in Federfarma La teoria dei controlimiti è parsa tuttavia rimanere sempre e solo una queha provato ad applicarla per la prima volta. È necessario premettere che tale sentenza è stata molto commentata, persino lodata da una parte della dot5
4 P.Barile, Il cammino comunitario della Corte, in Giustizia Costituzionale, 1973, p. 2406 ss. Vedi anche F. Vecchio F., Primazia del diritto europeo e salvaguardia delle identità costituzionali, Torino 2012 5 D.U. Galetta, The European Union in the Constitutional Framework of Member States: The Italian Case, in R. Arnold (ed.), Limitation of Sovereignty by European Integration, Springer, Heidelberg-Dordrecht-London-New York, 2014; G. Tesauro, Costituzione e norme
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In gioco erano il diritto alla salute in quanto diritto fondamentale e il livello della sua tutela. Per una maggior comprensione, sarà utile ricostruire lo sviluppo del processo. La vicenda Tutto ha inizio nel 2000, quando il Comune di Milano trasformò l'azienda municipalizzata, che gestiva le farmacie di proprietà comunale, in società razione Unitaria dei Titolari di Farmacia italiani (FEDERFARMA) propose ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (in prosieguo TAR Lombardia) per ottenere l'annullamento della decisione del Comune.6 Federfarma, tra i vari argomenti sostenuti, pose la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, c.1 a) della Legge 362/1991 dedicata alle Norme di riordino del settore farmaceutico, per contrasto con l'art. 3 (principio di uguaglianza) e l'art.32 (diritto alla salute) della Costituzione. L'art.8 c.1 a) afferma infatti l'incompatibilità della gestione societaria delle farmacie private “con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produTuttavia la stessa incompatibilità non era prevista (ed ecco allora la violazione del principio di uguaglianza) tra la gestione societaria delle farmacie comunali e lo svolgimento delle altre attività che invece sono proibite a chi gestisce farmacie private. Il TAR Lombardia sottopose il problema in un giudizio in via incidentale alla Corte costituzionale, la quale ammise il ricorso. Con sentenza del 20037 , la Corte stabilì l'illegittimità costituzionale dell'art.8, c.1, della legge 362/1991 nella parte in cui tale articolo non prevedeva la stessa incompatibilità per le farmacie comunali. Il divieto della norma infatti è valevole per entrambe: “evitare lo svolgimento del servizio farmaceutico e, quindi, per il diritto alla salute”. A seguito di tale pronuncia, il TAR Lombardia accolse dunque il riesterne, in Il diritto dell’Unione europea, 2009, p.195 ss.; R. Chieppa, Nuove prospettive per il controllo di compatibilità comunitaria da parte della Corte Costituzionale, in Il diritto dell’Unione europea, 2007, p.493 ss.; G. Greco, I rapporti tra ordinamento comunitario e nazionale, in Trattato di diritto amministrativo europeo, a cura di M.P.Chiti e G.Greco, Milano 2007, parte generale, p.827 ss. 6 : A. Barone, A proposito della sentenza Federfarma: fra tutela comunitaria e tutela costituzionale dei diritti fondamentali il Consiglio di Stato smarrisce la retta via?, in Il diritto dell’Unione europea, 2006, p.201 ss. 7 Sentenza del 24 luglio 2003, n. 275. L’uso del grassetto nella citazione è, ovviamente, nostro.
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trollo della società che guidava le farmacie comunali di Milano.8 La vicenda si complicò perchè Admenta s.p.a. e il Comune di Milano proposero ricorso al Consiglio di Stato, giudice d'appello avverso le sentenze dei TAR e di ultima istanza, chiedendo: – la disapplicazione dell'art.8 c.1 a) L.362/1991 come interpretato dalla Corte costituzionale per contrasto con gli (odierni) articoli 18, 49, 63 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE)9 – in subordine, rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea per dichiarare tale contrasto.
L'inaspettato risultato della sentenza Federfarma Arriviamo dunque alla famosa sentenza Federfarma del Consiglio di Stato del 2005.10 Con essa, il Consiglio di Stato tentò di applicare in concreto e per la prima volta la teoria dei controlimiti, sostenendo, di fatto, la legittimità di un controllo diffuso dei controlimiti da parte del giudice comune. la norma italiana in quanto gli articoli del TFUE citati non hanno effetto diretto. Dopo aver rammentato la teoria dei controlimiti e la tesi dualista basata sulla separazione tra l'ordinamento comunitario e l'ordinamento giuridico nazionale, in una sorta di “armonia tra diversi”, affermò che: “in tal modo è concepibile conservare uno spazio giuridico statale del tutStato continua ad essere interamente sovrano, vale a dire indipendente, e perciò libero di disporre della proprie fonti normative. E' appunto l'area dei diritti fondamentali, la cui tutela funge da insopprimibile "controlimite" alle limitazioni spontaneamente accettate con il Trattato.” Inoltre ritenne: “non consentito che il giudice nazionale in presenza di una statuizione della Corte costituzionale che lo vincola alla applicazione della norma possa prospettare alla Corte del Lussemburgo un quesito pregiudiziale della cui soluzione non potrà comunque tenere conto, perché assorbita dalla decisione 8 Sentenza n. 4195/2004 9 TFUE Art.18 divieto di discriminazione in base alla nazionalità, art.49 libertà di stabilimento, art. 63 divieto di restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Paesi membri e Paesi terzi. 10 Sentenza del 8 agosto 2005, N.4207
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della Corte italiana, incidente nell'area della tutela dei diritti ad essa riservata.” Il diritto alla salute è un diritto fondamentale, sul quale, nel caso di specie, era già intervenuta a rinsaldarne la tutela la stessa Corte costituzionale italiana, le cui pronunce, come è noto, vincolano ogni giudice nazionale. Perciò una pronuncia della CGUEmenoprotettivaditaledirittononavrebbepotutoessereaccettataeapplicata. L'intervento correttivo della Corte costituzionale: no al sindacato diffuso della teoria dei controlimiti Un tale risultato però sarebbe stato dirompente perché avrebbe permesso allora a qualsiasi giudice comune del territorio nazionale di applicare direttamente la teoria dei controlimiti. Un secondo problema era anche che, al contrario di quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, gli articoli del TFUE richiamati hanno invece effetto diretto. Tutto ciò avrebbe causato un indebolimento inaccettabile del diritto europeo. Ed infatti arrivò presto l'alt da parte della stessa Corte costituzionale. Con un'ordinanza del 200611 , il giudice delle leggi ha fermamente chiarito che l'eventuale applicazione dei controlimiti rimane una sua prerogativa, in quanto il giudice nazionale innanzitutto deve applicare le norme comunitarie con effetto diretto e, in secondo luogo: “può investire questa Corte della questione di compatibilità comunitaria (…) qualora la non applicazione della disposizione interna determini un contrasto, sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ovvero con i diritti inalienabili della persona”. Questa prerogativa della Corte costituzionale nel controllo della teoria dei controlimiti è stata ribadita in una sua sentenza n°284 del 2007. Ciò che più ha suscitato stupore nella sentenza Federfarma sta nel fatto che essa è stata pronunciata nel 2005, in un periodo storico recentissimo in cui ormai i rapporti tra diritto europeo e diritto nazionale sembravano essersi, tutto sommato, consolidati. La teoria dei controlimiti pareva ai più ormai solo uno spauracchio, cimelio di un passato in cui era forte la rivalità tra Corti, cioè tra le Corti costituzionali dei Paesi Membri e la Corte di giustizia di Lussemburgo, e le prime avevano timore di essere espropriate delle proprie funzioni. Ebbene, a prescindere che si sia a favore o contro la teoria dei controlimiti, il caso dimostra che una certa tensione permane. 11Ordinanza del 28 dicembre 2006, n.454
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L'evoluzione recente e i casi giurisprudenziali di Germania e Spagna Innanzitutto bisogna notare che la Corte di giustizia dell'Unione europea si è sempre dimostrata attenta ad un bilanciamento di interessi tra i principi fondamentali dei sistemi costituzionali nazionali e le libertà dei Trattati. A segnare una maggiore collaborazione tra Corti, nel 2008 la nostra Corte CGUE. Ha intrapreso così la stessa strada già battuta da tempo da altre Corti costituzionali degli Stati membri 12 sia giunta la giurisprudenza della Germania e della Spagna sul tema. Per la Germania sono importanti le sentenze Solange I e Solange II13 , in cui la Corte costituzionale tedesca ha stabilito che la sua prerogativa nel controllare che le norme europee non violino i diritti fondamentali della Grundgesetz, solange pea appresti una tutela effettiva dei diritti fondamentali di egual portata. La posizione della Spagna si evince dal recentissimo caso Melloni 14, in occasione del quale la Corte costituzionale spagnola ha effettuato il suo primo rinvio pregiudiziale. Si trattava di un caso di mandato d'arresto europeo. La domanda del giudice del rinvio era se l'art. 53 della Carta dei Diritti Fondamentali15 dedicato al livello di protezione “autorizzerebbe in maniera generale uno Stato membro ad applicare lo standard più elevato di protezione dei diritti fondamentali garantito nella sua Costituzione quando questo è più elevato di quello derivante dalla Carta e ad opporlo, se del caso, all'applicazione di disposizioni di diritto dell'Unione”. Ma la Corte di giustizia UE ha risposto che una tale interpretazione non è accoglibile perché“sarebbe lesiva del principio del primato del diritto dell'Unione, in quanto permetterebbe a uno Stato membro di ostacolare l'applicazione di atti di diritto dell'Unione pienamente conformi alla Carta, sulla base del rilievo che essi non rispetterebbero i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione di tale Stato”.
12 Ordinanza del 13 febbraio 2008, n.103. In precedenza infatti la Corte Costituzionale zionale di ultima istanza ai sensi dell’art. 267, par.3 TFUE dedicato al rinvio pregiudiziale. 13 BVerfG (2. Senat), causa 52/71, 29 Maggio 1974 e BVerfG (2. Senat), causa 197/83, 22 Ottobre 1986. 14 CGUE, 26 febbraio 2013, C-399/11, punti 56-57 15 È la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea adottata a Nizza nel 2000 e, come si dirà meglio infra, parte integrante dei Trattati a partire da Lisbona 2009.
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Conclusioni. I controlimiti dopo Lisbona
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Dunque il tema dei controlimiti è ancora molto controverso, soprattutto poiché non ha ancora trovato alcuna vera applicazione pratica. La dottrina maggioritaria ritiene che il problema sia solo teorico. Una parte minoritaria d’altro canto suggerisce di considerare i controlimiti come una “valvola di sicurezza”. siderazione che l’Unione europea è fondata su principi comuni ed è un obiettivo dell’Unione stessa proteggere questi principi e diritti fondamentali, così come chiaramente espresso nell’art 2 TUE.16 È inoltre necessario chiedersi cosa succederebbe se un atto dell’Unione fosse effettivamente contrario ad un diritto fondamentale. Il Trattato di Lisbona ha introdotto una nuova versione dell’art 4 TUE che nel paragrafo 217 permette una c.d “europeizzazione dei controlimiti”. La difesa delle identità nazionali non è più solamente una questione di diritto interno, bensì un problema europeo; un atto dell’Unione non può ledere l’identità nazionale di uno Stato membro senza essere, di conseguenza, contrario al Trattato stesso. Se ne deduce che la stessa Corte di giustizia potrebbe annullare la normativa europea contrastante qualora rilevasse una violazione. Sembrano però legittimi i dubbi circa un’effettiva applicabilità di questa opzione. A. Randazzo18 suggerisce una visione diversa di questo articolo del TUE, di raccogliere un più ampio consenso tra Stati membri. Sarebbe dunque destinato a rimanere una mera clausola di stile senza applicazione pratica. Impossibile inoltre non ricordare l’art 6 TUE grazie al quale la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea del 2000 assurge allo stesso vanione la possibilità di aderire alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo19 e statuisce che i diritti fondamentali da essa garantiti “fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.
16 Art.2 TUE “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri(...)” 17 Art.4, par.2 TUE “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale(...)” 18 A. Randazzo, I controlimiti al primato del diritto comunitario:un futuro non diverso dal presente?, in www.forumcostituzionale.it 19 Il processo di adesione è in realtà tuttora in corso.
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Antonio Tizzano,20 giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea, sottolinea un ulteriore aspetto: la Corte ha costruito l’ordinamento comunitario sulle basi degli ordinamenti nazionali e nel suo lavoro ha sempre attinto alla giurisprudenza nazionale. Dal canto suo la Corte di Lussemburgo ha più volte ribadito che il rapporto con le corti nazionali è cooperativo e non presenta il carattere della subordinazione. Questo ha permesso uno sviluppo armonico e positivo. Sembra dunque evidente che la logica della stretta separazione tra ordinamenti nazionali e quello comunitario non è più sostenibile. Sarebbe probabilmente più opportuno parlare di “primauté e controlimiti” invece che di “primauté vs controlimiti”.21 Ricordiamo che già esiste una valvola di sicurezza, anche se estrema, nel caso in cui uno Stato membro rilevi una violazione di un suo diritto fondamentale: il recesso. Gli effetti negativi di una tale decisione potrebbero però essere sproporzionati. Con il passare del tempo e con l’ulteriore sviluppo dell’integrazione europea gli Stati membri avranno sempre più bisogno dell’Unione e gli ordinamenti diventeranno così intimamente legati da rendere eccessivamente drammatica una loro separazione. Alla luce di queste considerazioni, una corretta visione della teoria dei controlimiti potrebbe probabilmente trovarsi in un sempre maggiore dialogo tra l’Unione e gli Stati membri, tra la Corte di giustizia e le Corti costituzionali, a partire proprio dallo strumento dei rinvii pregiudiziali.
20 A.Tizzano, I diritti fondamentali e le Corti d’Europa, in Dir. Un. Eur., 2005; A.Tizzano, Der italienische Verfassungsgerichtshof (Corte Costituzionale) und der Gerichtshof der Europäischen Union, in Europäische Grundrechte Zeitschrift,2010, p.1 ss. 21 A. Celotto – T. Groppi, Primauté e Controlimiti nel progetto di Trattato Costituzionali
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A Elezioni europee: quali novità? Valentina Todeschini
La campagna elettorale per le prossime elezioni europee che si terranno il 22 e il 25 Maggio sta entrando ora nel vivo. Le europee 2014 saranno caratterizzate da una grande novità, cioè la possibilità di indicare una preferenza in merito al prossimo Presidente della Commissione. Tale preferenza però, è foriera di un ampio dibattito sul tema, in quanto l’art. 17, c. 7 TUE1 tare l’esito delle elezioni, onorando le preferenze espresse dagli elettori. Ciò crea quindi dei dubbi rispetto alla necessità che il Consiglio europeo resti vincolato all’esito del voto, dal momento che allo stesso spetta la nomina del Presidente dell’esecutivo. Per questo motivo, I capi di Stato e di governo dei 28 Paesi membri si riuniranno la sera del 27 maggio a Bruxelles, dove esamineranno l’esito delle votazioni. La nomina del Presidente della Commissione - se la volontà dei cittadini sarà cratico di cui vengono da anni bollate le istituzioni europee - dovrà poi essere confermata dal Parlamento, che non si pronuncerà prima di settembre. La novità - che vide contraria Angela Merkel - servirebbe sostanzialmente a rendere più “politica” la funzione di Presidente della Commissione e dovrebbe dare più forza alla campagna elettorale, attraverso la personalizzazione di questa, in modo tale che le elezioni europee siano vissute con maggior partecipazione dai cittadini dell’Unione. In più, l’indicazione del candidato alla presidenza della Commissione dovrebbe dare un peso più rilevante ai partiti politici europei, in modo che questi acquistino una struttura reale per i cittadini dell’Unione, siano effettivamente una forza politica fatta di volti e persone. Come ha fatto il nostrano PD aderendo al PSE in occasione del congresso di quest’ultimo, tenutosi a Roma l’1 Marzo 2014, la struttura dei partiti europei dovrebbe assumere la forma di una piramide
1Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultaParlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione.
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didati da proporre. Com’è noto, il Parlamento europeo viene eletto tramite suffragio universale diretto, ma, non essendoci per il momento una legge membri, ai quali dunque è riservata una competenza in modo temporalmuni ai sensi dell’art. 223 TFUE. Su 751 eurodeputati da eleggere in totale, nel nostro Paese ne saranno eletti 73 secondo un sistema proporzionale. Il territorio è diviso in cinque circoscrizioni elettorali: Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud, Isole; ciascuna circoscrizione elegge un numero di deputati proporzionale al numero di abitanti risultante dall’ultimo censimento della popolazione.
Candidati alla Presidenza della Commissione I nomi dei candidati alla presidenza della Commissione da parte dei principali partiti politici sono: stro del Lussemburgo dal 20 gennaio 1995 al 10 luglio 2013 e Presidente dell’Eurogruppo dal 2005 al gennaio 2013. A causa della lunga permanenza all’interno del Consiglio europeo è stato recentemente2 tacciato dall’avversario Schulz di essere un “rappresentante dell’esecutivo”, un uomo delle cker si difende dalle affermazioni di Schulz dicendo di aver più volte assunto un atteggiamento di dialogo con il Parlamento, interpretando come un punto di forza, non di svantaggio, la sua lunga partecipazione al Consiglio Europeo. -Martin Schulz per il PSE, partito socialista europeo, schieramento di centro-sinistra. Schulz, tedesco, 58 anni, dal 2012 è il Presidente del Parlamento europeo. Esponente di spicco della Spd (la socialdemocrazia tedesca), convinto europeista, è deputato a Strasburgo dal 1994 ed è visto con pia-
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politico brillante e ambizioso, probabilmente tra i migliori cavalli di razza che la sinistra europea schieri”.3 -Verhofstad per l’ALDE, Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, schieramento politico centrista e liberale. Verhofstad, belga, 60 anni, è stato Primo Ministro del Belgio dal 1999 al 2008 e dal 2009 è europarlamentare e Presidente del gruppo politico Alde. È l’unico tra i candidati ad essere federalista. -Alexis Tsipras per la Sinistra Unitaria Europea, Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL), schieramento politico di sinistra. Tsipras, greco, 40 anni, ha un passato da militante nella gioventù comunista ellenica, dalla quale poi si allontana per entrare nella sinistra radicale e nel 2009 diviene parlamentare di Syriza, di cui ora è il Presidente, partito della sinistra radicale greca eurocritico, non euroscettico, che nelle ultime elezioni politiche greche ha ottenuto il 27% dei voti. Sebbene il nome di Tsipras non abbia ragionevoli probabilità di essere indicato all’esito delle elezioni europee come papabile Presidente della Commissione, il quarantenne ateniese rappresenta la vera novità delle elezioni. Amato a livello europeo dalla sinistra più radicale e za, come “la lotta per la vera anima dell’Europa, di cui essere orgogliosi”4), anche in Italia, nonostante gli screzi che caratterizzano l’intellighenzia di sinistra, sta riscuotendo parecchio successo. Nata da un appello di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli e Guido Viale, la lista “L’altra Europa con Tsipras” è ora impegnata zione della lista. tedesca, 33 anni, sono stati selezionati attraverso le primarie online e sono entrambi, dal 2009, eurodeputati per il partito ecologista. Euroscettici e allarme astensionismo il fenomeno euroscettico che entrerà con forza in Parlamento attraverso le prossime elezioni. Dai sondaggi emerge che in ogni paese (e il quadro politico nazionale non può che confermare le risultanti statistiche) sono presenti sentori 5
3 Andrea Tarquini, “Un gigante incatenato ci salverà”, su Repubblica, 26 febbraio 2014 4 Alexis Tsipras e Slavoj Zizek : the role of the European Left 5 Giampiero Gramaglia, “Se non è di assi, che pokerissimo è?” 17 Marzo 2014, www.affariinternazionali.it
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e impulsi euroscettici, rafforzati sicuramente dalle ferite sociali inferte dal micidiale cocktail crisi e rigore. Fa da gagliardetto al movimento il Front National di Marine Le Pen, alla quale ha aderito la nostrana Lega e, sembrava, ma così non è risultato essere, il Movimento 5 stelle, il quale sta delineando in questi giorni i sette punti per riformare l’Europa. Al contrario degli altri schieramenti, gli euroscettici non si daranno un candidato alla presidenza della Commissione. Con forza portano avanti una battaglia contro la moneta unica, rivendicando la sovranità dello stato nel campo della politica monetaria e propongono una politica sull’immigrazione che sfocia a tratti nella xenofobia. Aleggia prepotentemente (ma non sembra preoccupare troppo, dal mozioni europee) anche lo spettro dell’astensionismo, che secondo un recente sondaggio nel nostro paese toccherebbe punte del 49%6. dei cittadini europei, l’occasione delle elezioni potrebbe essere uno degli strumenti per cercare di portare innovazione in Parlamento e in Europa, attraverso delle nuove linee politiche e dei progetti di svolta economica, ma l’aria che si respira porta in tutt’altra direzione. I crescenti nazionalismi dei 28, da Alba Dorata al Front National al Movimento 5 Stelle sembrano acquistare sempre maggiori consensi, e probabilmente la loro crescita è una naturale risposta al sonno dell’integrazione europea e all’immobilismo istituzionale. Certo è che la speranza di tutti sta in un cambiamento all’insegna della svolta, una svolta, che ci risollevi da quello che Barbara Spinelli chiama il regnante “oblio storico di quel che è stata l’Europa, del perché si è unita”.7
6 dati sondaggio Ixè per Agorà, Rai3, 21 Marzo 2014 7 Barbara Spinelli, “Gli invisibili d’Europa”, Repubblica, 28 febbraio 2014
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A La Decrescita (felice?) secondo Latouche Erik Brouwer e Andrea Zanovello
La crisi economica che stiamo vivendo in questi anni ha mostrato al mondo i difetti della moderna società capitalista. Movimenti come Occupy Wall Street o gli Indignados hanno incominciato a esercitare forti pressioni sui modo di intendere la società, che permetta di superare i grandi drammi della nostra epoca, come povertà, disuguaglianza e disastri ambientali. Tra le varie teorie che si propongono come alternative all’attuale sistema economico-sociale c’è quella della “decrescita”, il cui esponente più conosciuto è forse Serge Latouche. È interessante fare un’analisi del suo pensiero, anche solo per chiarire meglio il contenuto di questa teoria, troppo spesso banalizzata in giornali e talk show1.
La società della crescita Il punto da cui parte Latouche è molto semplice: l’attuale sistema economico è basato su una costante crescita del PIL. Questa è necessaria per ripagare gli investimenti, per poter rinnovare la spesa pubblica, per combattere la disoccupazione. Ma la crescita si basa essenzialmente sulla produzione, la quale consuma risorse naturali. Ora, è possibile auspicare una crescita modello di sviluppo economico basato sulla crescita teorizzano che una società del benessere debba avere un tasso minimo di crescita globale medio del PIL del 3% annuo. Considerato che per mantenere tali livelli è necessacifra di 9 miliardi di persone nel mondo e ci servirebbero 30 pianeti terra per mantenere l’attuale standard di vita occidentale per tutti. un “paradosso ecologico”, poiché si considera ogni attività produttiva come 1 I dati e le teorie sopra esposte sono state ricavate per la maggior parte dal libro di Serge Latouche “La scommessa della decrescita”, Feltrinelli, terza ed., 2010.
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una valore aggiunto generatore di benessere, comprese quelle attività che inquinano l’ambiente e quelle che servono a ridurre l’inquinamento prodotta dalla prima. Le due attività produrranno forse ognuna una loro ricchezza in termini monetari, ma a livello ambientale il loro risultato è nullo, quando non negativo. Si è calcolato, ad esempio, che i cambiamenti climatici prodotti dall’effetto serra potrebbero costarci dai 600 ai 1000 miliardi di dollari in termini di qualità della vita e spese sanitarie. Basti pensare alla Cina, che sta crescendo ad un ritmo impressionante, e che quest’anno ha dovuto stanziare ben 275 miliardi di dollari per cercare di diminuire l’inquinamento presente nell’aria delle sue maggiori città nei prossimi 5 anni. Il Millennium Ecosystem Assesment (agenzia dell’ONU) sostiene che in molti paesi in cui è stata registrata una crescita positiva, in realtà la ricchezza diminuisce se si considerano i costi sostenuti per il degrado delle risorse naturali. Questo costante inseguimento della produttività ha anche effetti negativi sulla nostra sfera personale. I livelli di stress hanno raggiunto livelli mai registrati prima ed il ritmo frenetico delle nostre attività lavorative ci induce ad occuparci sempre meno di aspetti essenziali della nostra vita individuale, come amicizia, cultura e famiglia.
Cos’è la decrescita? Il termine “decrescita”, per come lo intendono i sostenitori di questa corrente di pensiero, può essere paragonato al termine “ateismo”. Esso non rappresenta una involuzione o un rallentamento dell’economia, e nemmeno un “ritorno all’età della pietra”, come molti detrattori di questa teoria sostengono, ma un abbandono della sua base fondamentale, cioè la crescita per la crescita. Come scrive Latouche, infatti, “non vi è niente di peggio che una società della crescita senza crescita”. Va precisato che il progetto della decrescita è un progetto politico. Se si recupera una concezione, ormai (purtroppo) desueta, dell’economia come realtà subordinata alla politica, si comprende come essa sia l’unico mezzo per realizzare gli obiettivi proposti, tra gli altri, dall’economista francese. Il primo obiettivo di questo progetto consiste nella scissione della connessione tra benessere e PIL, cioè tra la condizione dei singoli individui e l’aumento numerico della produzione materiale. Latouche sottolinea come
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que l’abbandono del PIL come metro di misura dello sviluppo di uno Stato, per adottare diversi criteri di riferimento, che tengano conto anche di altri fattori, come l’impatto ambientale, il livello di disuguaglianza ed il benessere psichico degli individui. Latouche propone poi un modello di società più equilibrato, che produce di meno ed inquina meno. Tale modello può essere attuato, sempre secondo turare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tra questi, re spazio all’edilizia e all’agricoltura intensiva per restituire tali ambienti all’agricoltura contadina, biologica e rispettosa degli ecosistemi. Tali iniziative permetterebbero di creare nuovi posti di lavoro e rallenterebbero l’esodo rurale dal Sud del mondo verso le città del Nord. Attraverso la “rilocalizzazione” si mira a produrre localmente la maggior parte dei prodotti necessari al soddisfacimento dei bisogni della popolaziolocalmente e si avrebbe una riscoperta dei processi di autoproduzione. La promozione di attività locali come orti urbani e artigianato locale permetterebbe non solo lo sviluppo di relazioni non mercantili, ma anche la valorizzazione di un patrimonio culturale comune. nalizzazione dei costi esterni del trasporto: infrastrutture, inquinamento, effetto serra, etc. Includendo i costi ambientali nel prezzo del prodotto, le imprese produttrici riscoprirebbero il valore dei prodotti e dei mercati locali. La “riduzione” prospettata da Latouche copre diversi aspetti. Egli propone innanzitutto una riduzione dei consumi, sia di prodotti, che di energia, none pubblicità. La riduzione dovrebbe poi toccare le ore di lavoro: “lavorare meno per lavorare tutti”. Questo infatti non solo lascerebbe più tempo alle persone per dedicarsi alla cultura, alla ricerca, allo svago e all’autoprodudi scala, come inteso prima, nel senso di ripensare tutto a livello locale o, come dice una slogan molto comune, “pensare globale, agire locale”.
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Criticità della teoria La teoria della decrescita prospettata da Latouche, così come da molti altri, non è certo esente da alcuni rilievi di criticità. Ci si domanda, anzitutto, come si potrebbe giungere al varo di riforme così incisive, che andrebbero a rivoluzionare lo stile di vita di moltissime persone e a mettere in seria gime autoritario – e ciò è alquanto auspicabile - l’unica prospettiva rimane quella di una presa di coscienza da parte della popolazione dei rischi che l’attuale sistema capitalista comporta. In alcune parti d’Europa, come in Germania, i partiti “verdi” sono riusciti a conquistare grandi fette della popolazione e non è detto che in futuro questo tipo di coscienza sociale naturali di questi tempi fanno sorgere sempre maggiori interrogativi sugli effetti dell’azione dell’uomo sull’ambiente che ci circonda. Un altro nodo che resta da sciogliere è l’effettivo passaggio da una società della crescita ad una della a-crescita. Basti pensare a quei servizi pubblici che costituiscono la base del nostro sistema di welfare o che sono garantiti costituzionalmente, come sanità, giustizia e istruzione, i quali non solo dedi una quantità crescente di risorse. In questo caso un semplice taglio defavore di una piena occupazione con la necessità di mantenere i salari e i contributi perlomeno inalterati. Le problematiche, dunque, sono molte, ma non per questo, a nostro parere, bisogna etichettare il progetto della decrescita come un’utopia. Sarebbe invece importante incentivare il dialogo su tale argomento e incominciare a mettere in pratica gli aspetti più “casalinghi” della teoria, come il riciclo, la riduzione dei consumi ed il riutilizzo. Sarebbe inoltre buona abitudine comprare frutta e verdura di stagione dai mercati locali e controllare semcambiare il mondo, si inizia sempre dalle piccole cose quotidiane.
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A Intervista al presidente dell’ ALGIUSMI: Avv. Graziano Molinaro
1) Può spiegarci che cos’è ALGIUSMI? ALGIUSMI, l’Associazione che riunisce i laureati in Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, fu fondata nel Luglio del 1995 da un gruppo di laureati che avvertirono la necessità di creare un luogo di aggregazione per coloro che, avendo portato a compimento i loro studi nella nostra Università, desideravano contribuire alla formazione dei nuovi studenti della facoltà. Da allora, ALGIUSMI, promuovendo incontri, dibattiti, conferenze e pubblicazioni in stretta collaborazione con l’Università, ha sostenuto e divulgato i valori sociali e culturali che sono base imprescindibile dell’insegnamento della nostra Facoltà. Dell’Associazione, oltre ai Soci (suddivisi in neolaureati, ordinari, onorari e sostenitori), fanno altresì parte il Preside, gli ex Presidi, ed i docenti in servizio, emeriti o fuori ruolo della stessa Facoltà. Sono inoltre ammessi, in qualità di Soci Sostenitori dell’Associazione, coloro i quali abbiano conseguito la laurea in Giurisprudenza, anche presso Atenei diversi dall’Università degli Studi di Milano e intendano supportare l’attività istituzionale e lo sviluppo dell’Associazione mediante donazioni, liberalità o apporti economici di qualsiasi genere, natura od entità. 2) Quali sono, in particolare, le attività e le iniziative dell’ALGIUSMI? L’elenco sarebbe davvero lungo, perciò ci limitiamo a qualche esempio rimandando al nostro sito (www.algiusmi.it) per ogni altra informazione. ALGIUSMI organizza eventi culturali quali convegni, semisostiene con il proprio patrocinio, e a volte con contributi economici, iniziative volte alla formazione degli associati; collabora con la scuoborse di studio alcuni progetti dell’Università come la Summer school in Cina; pubblica periodicamente un notiziario; grazie all’accredita61
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mento ricevuto dall’Ordine degli Avvocati di Milano e propone opportunità formative e di aggiornamento professionale anche a chi è già attivo nel mondo del lavoro (il più delle volte con “crediti” per gli iscritti all’albo degli avvocati); promuove i cosiddetti “Sportelli Informativi” in cui avvocati, magistrati, giuristi d’impresa, notai e altri nostri laureati forniscono agli studenti degli ultimi anni del corso di laurea informazioni e orientamento circa l’accesso al mondo del lavoro ed alle professioni; ha raggiunto accordi con teatri per offrire sconti ai Soci (ad esempio, con il teatro Franco Parenti di Milano); ha stipulato convenzioni con case editrici... In particolare, ci preme ricordare che per permettere agli studenti della Facoltà di intravvedere i possibili sbocchi professionali dei loro studi e per favorire, più in generale, un dialogo amichevole con i laureati in carriera, ALGIUSMI organizza mensilmente cene-conferenza in cui è possibile incontrare personalità di spicco che hanno completato la loro carriera universitaria all’Università degli Studi di Milano: questi convivi sono aperti su prenotazione a chiunque abbia la volontà di prendervi parte e permettono di confrontarsi in modo diretto e, per così dire, “da l’Associazione conferisce premi ai (neo) Laureati Meritevoli (laureati di corso, col massimo dei voti) e ai Laureati Benemeriti (coloro che si sono distinti, anche al di fuori dallo stretto ambito professionale). 3) Che rapporti ci sono tra l’Associazione e l’Università? Quali sono i progetti futuri dell’Associazione? L’Associazione mantiene un rapporto di stabile e di feconda collaborazione con le istituzioni e i professori dell’Università: l’attuale Preside interviene frequentemente alle riunioni del Consiglio direttivo iniziative e prestando, al contempo, ascolto ai suggerimenti dei Soci relativi al costante adeguamento dell’offerta formativa della Facoltà all’evoluzione culturale, sociale ed economica della società italiana del Vecchio Continente. Inoltre, ALGIUSMI grazie all’esperienza e alle competenze professionali dei suoi Soci ha dato avvio ad una stretta collaborazione con il Cosp (Centro per l’orientamento allo studio ed 62
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alle professioni) per aiutare gli studenti e i neolaureati ad inserirsi nel mondo del lavoro, in modo da agevolare una ponderata e consapevole scelta del settore in cui intraprendere la propria carriera postuniversitaria. Tra i nuovi progetti dell’Associazione spicca senza dubbio alcuno l’impegno per favorire l’accordo - tutt’ora mancante - tra l’Ordine formativo nell’ ultimo semestre di studi.
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