NINETIES MAGAZINE | JULY 2013 | YEAR 1 ISSUE 1 | ITALIA EURO 4,50 | MESTRE VENEZIA
THE VERY FIRST ISSUE July 2013 | 4,50 euro ninetiesmagazine.com
Nineties overview on GRUNGE Enrico Brizzi’s JACK FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO Just a little MATRIX thought MICHAEL JORDAN’s story
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‘SELF AND OTHER’ Analogue transpositions of the self and of the other
MOSTRA FOTOGRAFICA DI FEDERICO ROSA 28/09/2013 INGRESSO GRATUITO Aperitivo di presentazione 3 aperto a tutti dalle 19:00
NINETIES ISSUE #1
11 | INFERNO SUL KUWAIT
27 | A DIRTY REVOLUTION
la guerra del golfo
il grunge
37 | L’ARTE DEL DETURPARE il grunge nell’arte
20 | LA FOLLIA DELL’INTERESSE la protesta post-guerra
4 | NINETIES
54 | PRESERVE THE LIFE l’attivismo di emergency e greenpeace
68 | HAPPINESS IS A WARM GUN jack frusciante è uscito dal gruppo
44 | THERE’S NO METHOD FOR MADNESS il grunge nella grafica
62 | HAPPINESS IS REAL ONLY WHEN SHARED into the wild
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79 | UNA NUOVA DIMENSIONE DEL CINEMA cinema e CGI
86 | WHAT’S MATRIX? the matrix
73 | UN SOGNO CHE DIVENTA REALTÀ j.k. rowling
95 | TECNICA ED EMOZIONE toy story
6 | NINETIES
102 | I BAMBINI DI SEMPRE nintendo e playstation
111 | HERE COMES HIS AIRNESS michael jordan
106 | A WORLD NOT ONLY WIDER: JUST WEB the world wide web
120 | BORN IN THE NINETIES
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NINETIES MAGAZINE THE VERY FIRST ISSUE JULY 2013
REDAZIONE CONTENUTI TESTUALI Matteo Danieli Enrico Forlin REVISIONE CONTENUTI TESTUALI Matteo Danieli supervisione di Mauro Cassiani IMPAGINAZIONE E TRATTAMENTO FOTOGRAFICO Enrico Forlin supervisione di Fabio Mialich ADVERTISEMENT Alberto Barosco Giacomo Marangon Federico Rosa POSI+TIVE MAGAZINE
Progetto realizzato e stampato presso l’Istituto Salesiano San Marco Anno scolastico 2012/2013 - Via dei Salesiani, 15 30174 Mestre Venezia
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10 | LA GUERRA DEL GOLFO
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cco dove tutto ebbe inizio, la guerra del pendenza dal dominio inglese, avvenimento che Golfo; il simbolo di un conflitto basato su interessi diede la possibilità all’Iraq di avere uno sbocco sul economici, la scintilla che fece scoppiare la rabbia mare per i commerci e a non dipendere più da Iran; dei giovani americani; non era bastata la seconda un’altra causa potrebbe risalire al 14 maggio 1948, guerra mondiale, la caduta del muro di Berlino, la quando la costituzione dello Stato di Israele creò guerra fredda e la guerra delle tensioni, destinate nel Vietnam per calmare a protrarsi nel tempo. gli animi. Parliamo di un numero di vittime che Le cause potrebbero va da 20.000 a 100.000; essere moltissime, ma parliamo di una valuanalizzando i fatti antetazione sbagliata dei cedenti al 2 agosto 1990 media nei confronsono 4 le motivazioni ti degli USA; parliamo che emergono. della presunzione di due La prima è dovuta ad capi di stato Saddam una proposta avanHussein e George Bush, zata dall’Iraq in sede nemici, eppure con un OPEC (organizzazione obbiettivo comune, il dei paesi produttori di potere. petrolio) dove chiedeva Ancora una volta la terra di limitare la produziosi bagnava di sangue, il ne e di elevare il prezsangue di civili che non zo al barile del greggio; volevano quella guercasualmente però pochi ra, il sangue di soldati giorni prima dell’invasioche avevano lasciato a ne del Kuwait i “signori casa genitori, fidanzadel petrolio” aumentate, mogli e figli. Sangue rono la produzione e versato per interessi abbassarono il prezzo economici; il greggio, Jim Brown 10th Mountain Division (1991) del petrolio al barile. l’oro nero; nero quanUn’altra causa è sicurato le anime di chi fece mente il pesante debiscoppiare questa inutile to estero accumulato guerra. dall’Iraq per sostenere le spese militari; Saddam Quando si parla del Hussein, dopo aver Guerra del Golfo il provato invano di trovapensiero va alla prova di re un accordo per allegforza fatta nel fatidico gerire tale peso econo2 agosto 1990 dall’Omico con i paesi arabi, si NU, guidato dagli Stati convinse del fatto che i Uniti; svolta di consepaesi del Golfo stessero guenza ad una politica tramando una strategia mediorientale portata economica con obbietdal governo degli USA tivo l’esclusione dell’Idurante la guerra tra raq. Iran e Iraq. Inoltre tra Iraq e Kuwait Si potrebbe però colleesisteva un contenziogarla al 1961 quando il so, che si prolungava Kuwait ottenne l’indi da ottant’anni riguar-
“The biggest problem I’ve been having, is watching history repeating itself”
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L’ESERCITO ONU La coalizione contava all'incirca 650.000 uomini di cui 500.000 solo americani, il dipartimento della difesa USA ha stimato che i costi della guerra del Golfo siano stati pari a 61 miliardi di dollari.
dante un limitato territorio desertico apparentemente senza controllo politico; da questo terreno i Kuwatiani furono accusati di aver estratto 3 miliardi di dollari di petrolio a danno dell’Iraq, che chiese in cambio la compensazione del debito. Infine, il fatto più eclatante, il 25 luglio 1990 Saddam Hussein fece un colloquio con l’Ambasciatore degli USA in Iraq al fine del quale, sicuro di aver esposto le sue intenzioni in modo chiaro, si convinse di aver ottenuto un tacito “via libera” ad un’invasione del Kuwait. Fu così che alle tre di notte del 2 agosto del 1990, un enorme esercito penetrò nel territorio del Kuwait rompendo la tranquillità del territorio durata per oltre 200 anni.
“In guerra, la prima vittima è la verità” Gustav Hasford
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MA L’ONU, PERCHÉ ENTRÒ IN GUERRA? In effetti l’ONU non entrò effettivamente nella Guerra del Golfo; esso fu coinvolto in un processo, guidato dagli Stati Uniti, che non riuscì a controllare. Con molta abilità infatti gli USA riuscirono ad ottenere una copertura formale per la loro iniziativa militare, non a caso il 90% delle forze armate impegnate in Kuwait erano americane! Ma sul piano giuridico l’entrata in guerra fu dichiarata dall’ONU.
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Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro E L’ITALIA COME SI SCHIERÒ? L’opinione pubblica italiana passò ore di angoscia e di forti contraddizioni; gran parte dei media si erano schierati con l’iniziativa americana, trascurando le responsabilità che essi avevano; in generale però l’idea era quella di un no assoluto a qualsiasi azione o presenza militare italiana nel territorio del Kuwait, ma l’accettazione dell’iniziativa americana.
Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca È il mio cuore Il paese più straziato
AUTOSTRADA DELLA MORTE “Autostrada della morte” è il soprannome attribuito alla strada che congiunge Kuwait ed Iraq; teatro di un bombardamento sulle forze irachene in ritirata.
G. Ungaretti
DESERT STORM Era il 17 gennaio 1991 quando l’esercito americano diede vita all’operazione “Desert Storm”. In pochi giorni grazie ad una serie continua di bombardamenti le forze di terra conquistarono il suolo iracheno costringendo Saddam ad ordinare il ritiro delle truppe
dal Kuwait il 26 febbraio 1991; in pochi giorni il territorio venne liberato, durante la ritirata gli iracheni incendiarono i vari pozzi petroliferi
che trovarono lungo la strada e convogliarono tutti quanti lungo l’autostrada tra Iraq e Kuwait formando un gigantesco ingorgo. Ma la vera catastrofe doveva ancora avvenire; le milizie internazionali infatti bombardarono pesantemente l’intero convoglio senza tregua. Fu una vera e propria strage. I giornalisti che si recarono sul luogo della battaglia ribattezzarono l’autostrada con “l’Autostrada della Morte” un campo di battaglia che non lasciò la possibilità di fuga alle milizie irachene. Dopo questo forte scontro l’Iraq venne accusato di aver versato in mare 40 milioni di galloni di petrolio per ostacolare l’avanzata dei Marines e anche se il governo declinò ogni accusa la
Guerra del Golfo ebbe conseguenze devastanti anche sull’ecosistema dell’intera area. Furono inflitte numerose sanzioni da parte della coalizione, ma che non furono mai abrogate; si applicò invece un “programma” detto Oil for Food che permetteva all’Iraq di vendere petrolio solo per aver in cambio generi di prima necessità. Come in tutte le guerre la stima dei morti è imprecisa e dipende da chi fa la conta dei cadaveri; ma sicuramente una cosa è certa: la guerra del Golfo non risparmiò civili.
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La maggior parte degli statunitensi tornati dalla guerra soffrono attualmente di gravi sintomi causati dai vari elementi tossici usati nelle operazioni militari, dall’uranio impoverito e dalla costante pressione psicologica. Ancora una volta la tragica enormità di una guerra fatta per interessi economici ha dato il suo frutto: morte e distruzione. E per l’ennesima volta l’uomo non ha imparato la lezione; la guerra è stata, c’è e, ahimè, ci sarà sempre.
16 | GUERRA DEL GOLFO
INFERNO SUL KUWAIT | 17
Come può l’interesse distruggere tanta bellezza.. Come può il potere oscurare questa luce.. Come può l’uomo uccidere un altro uomo.
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difficile trovare un conflitto alla base del quale non ci siano interessi economici, essi sono la causa principale per l’entrata in guerra di un paese; generalmente puntano al controllo delle fonti energetiche, e per raggiungere l’obbiettivo stabilito distruggono migliaia, per non dire milioni di civili; tutto per il controllo dell’oro nero, il petrolio. Prima in Vietnam, con l’obbiettivo di “contrastare la minaccia comunista”, poi la serie di conflitti in Kuwait e Iraq; il controllo dell’oro nero non doveva andare nelle mani di Saddam; motivi, giustificazioni, spiegazioni che però non hanno mai tenuto conto del prezzo della vita; dell’importanza di essa. Guerre che portarono alla distruzione di centinaia di miglia 20 | LA PROTESTA POST-GUERRA
ia di uomini e scatenarono un’ondata di protesta che si diffuse dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia all’Inghilterra, migliaia di persone stanche di vedere questi orrori in televisione e di non poter far nulla per ostacolarli, si riversarono per le strada chiedendo il ritiro delle truppe e l’armistizio. In soli 4 anni la politica di guerra in Iraq del presidente americano Bush fu condannata in tutto il mondo, a Washington gruppi di manifestanti percorsero la stessa strada che era stata percorsa da oltre cinquantamila persone il 21 ottobre 1967 per la stessa causa, la cessazione delle ostilità in Vietnam. Un’immensa folla afflitta e arrabbiata a causa del proprio paese, migliaia di patrioti alzavano le mani e urlavano per la pace.
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“La guerra toglie ogni colore” Sfilavano davanti la Casa Bianca e si dirigevano verso il Pentagono, dove in un’area destinata al parcheggio si svolse un comizio, e lì vicino, su di un palco c’era una bara ricoperta dalla bandiera a stelle e strisce, la fotografia di un giovane soldato campeggiava su di essa, un vento gelido spirava quel giorno, un vento che sapeva di morte, di dolore. Nell’aria si udivano i pianti delle madri rimaste senza il loro “bambino”, delle mogli lasciate da sole con i figli, delle fidanzate che volevano soltanto accarezzare il proprio amato, ma che non hanno potuto farlo, perché l’esistenza di quel giovane era stata spazzata via come il vento d’ottobre spazza le foglie morte sulla strada. “Noi siamo venuti qui, all’ombra dell’apparato militare, e pare quasi di essere nell’ombra della morte stessa! Stanno esportando in tutto il mondo morte e
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distruzione, dobbiamo fermarli!” Queste parole uscivano dalla bocca di una madre disperata, parole che zittivano la folla, che davano uno schiaffo ai politicanti sostenitori della guerra. Queste parole alimentavano un disappunto che ormai era insostenibile da tutta l’America e da tutto il mondo. Bush, che per anni aveva portato avanti una politica insensata per una guerra altrettanto inutile, ora era paragonato ai peggiori dittatori della storia, “L’Iraq, il Vietnam di Bush”, era lo striscione che campeggiava ormai in tutte le manifestazioni di protesta.
BOB DYLAN Bob Dylan è un cantautore di rilievo nel movimento dei diritti civili. Partecipò a numerose manifestazioni contro la guerra e suonò a Washington quando Martin Luther King pronunciò il suo famoso discorso "I have a dream". Sempre in prima linea con la sua chitarra e la sua armonica, Dylan è sicuramente un simbolo di libertà di espressione.
“An eye for an eye will make us all blind”
Mahatma Gandhi
Bob Dylan, nel lontano 1964 nella sua “The Times They Are a-Changin’ “ diceva: “Venite senatori, membri del congresso. Per favore date importanza alla chiamata E non rimanete sulla porta Non bloccate l’atrio Perché quello che si ferirà Sarà colui che ha cercato di impedire l’entrata C’è una battaglia fuori E sta infuriando. Presto scuoterà le vostre finestre E farà tremare i vostri muri Perché i tempi stanno cambiando.” E forse non c’è nulla di più veritiero di questo estratto per comprendere i movimenti di protesta scatenati dalle ultime guerre per il petrolio; una protesta pacifica, una protesta uniforme che lanciò un grido di disperazione ai signori della guerra, chiedendogli di cessare le ingiustizie, invitandoli alla ragione; un invito che ancor oggi, nonostante i cambiamenti positivi, non è considerato. LA FOLLIA DELL’INTERESSE | 23
24 | LA PROTESTA POST-GUERRA
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26 | IL GRUNGE
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entendo la parola “grunge” oggi solitamente il collegamento diretto va ai Nirvana, la famosa band di Seattle che si fece portavoce del genere musicale; ma il grunge non fu solo musica, fu un vero e proprio movimento sociale, che contagiò in pochissimo tempo tutto il mondo, fino a terminare tragicamente all’improvviso.
Ci troviamo a Seattle, USA West Coast, nello stato di Washington; al confine tra Canada e Stati Uniti. Siamo in pieni anni ‘80, un’ epoca tartassata da piaghe sociali sempre più
profonde e incancellabili e destinate ad esistere per sempre, da un lato la disoccupazione e l’eroina, e dall’altro la facciata attraente degli Stati Uniti, con tutto il loro impero capitalistico.
Il forte disagio, vissuto e percepito soprattutto dai giovani, si sfogò in molti modi, tutti accomunati da un solo obbiettivo dovuto alle contraddizioni di questo tipo di società, uscire
dalle regole, gli schemi tradizionalisti erano da cestinare come carta stracciata, i giovani erano il futuro, e i giovani dovevano crearlo. Fu così che un gruppo ristretto di ragazzi diede vita ad alcune band, un basso dai suoni dirompenti, una vecchia chitarra tirata fuori da qualche garage abbandonato, una batteria più o meno sfasciata e una voce carica di dolore e rabbia riuscirono a creare una valvola di sfogo a tutto quel disagio che era stato costretto a rimanere in una gabbia; ora era possibile liberarlo, e far vedere al mondo la forza dei giovani.
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AN UNACCEPTABLE CHAOS JUST FOR ANGER 28 | IL GRUNGE
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Nacquero così band quali Pearl Jam, Alice In Chains, Stone Temple Pilots e Nirvana, tutte quante entro i confini di Seattle City. Ma perché proprio Seattle? Perché non Los Angeles o New Orleans? La risposta sta nella storia; Seattle è sempre stata una delle città crocevia della cultura americana; crocevia, e non centro appunto. È sempre stato un luogo fortemente legato alla cultura statunitense, diversamente da New York ad esempio nel quale confluivano varie esperienze europee.
Seattle era la città dei cantautori, dei poeti di strada e dei letterati indipendenti, era solo lì che la trasformazione del rock doveva avvenire, e doveva verificarsi in modo spietato, trasgressivo. Proprio da questo derivò il termine “Grunge” in inglese “sporcizia” fa infatti riferimento a quello che era il sound di queste band, aggressivo, incontrollato e selvaggio; al disordine provocato da questi ragazzi che con anfibi, pantaloni strappati camicie a quadri “infestavano” la città, al loro rifiuto delle regole e al loro atteggiamento apparentemente pigro e menefreghista. A DIRTY REVOLUTION | 31
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Ma purtroppo il Grunge non fu solo musica; ci sono infatti molti pareri contrastanti sul perché il grunge ad un certo punto abbia preso una piega del tutto diversa da com’era partito. Inizialmente infatti era l’entusiasmo e la rabbia dei giovani a portare alta la bandiera di questo movimento, poi però sembrò tutto prima appiattirsi, poi disgregarsi ed infine terminare ferocemente. Negli anni successivi alla nascita di queste band, sembrò che la palla passasse in mano alle etichette discografiche, che con i loro contratti esagerati ed i loro investimenti cominciarono a scommettere su questi ragazzi, caricando sulle loro spalle un peso troppo grande, dato dal successo; il peso di un successo che questi giovani non riuscirono a sostenere cadendo nei baratri della droga e della delusione.
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“GRUNGE È FRUSCIO DI DENARO, È IL SUONO UNDERGROUND CHE FINALMENTE FA I SOLDI” BRUCE PAVITT
Negli anni ‘50/’70 un altro movimento di massa aveva dettato le proprie regole; il rock con tutte le sue diramazioni, aveva imposto al mondo la propria volontà, non si trattava di un gruppetto di giovani sbarbati che cercavano qualcosa che non esisteva, i rockers costrinsero le case discografiche ad adattarsi, a stare alle loro regole. Cosa che non accadde per il grunge; questi ragazzi furono vittime di un music business basato su video musicali, gadgets, e sponsor; furono immersi in un fiume di denaro che li portò all’autodistruzione. Alcune band, come i Pearl Jam se ne tirarono fuori, dandosi all’attivismo e alla lotta per la “giustizia” nel mondo della musica, affrontando ad esempio un processo dove puntarono il dito contro le major della vendita di biglietti per i concerti accusandole di aver aumentato
in modo considerevole il prezzo dei tickets. Altre invece cavalcarono l’onda del successo fino a quando la stessa non gli inghiottì facendoli affogare; Kurt Cobain, simbolo del disagio adolescenziale grazie alle le sue canzoni trasgressive fu dipinto come simbolo, come esempio, la sua faccia fu messa sulle t-shirts, i suoi poster campeggiavano per le città, le sue pazzie sul palco furono dipinte come imprese! Fu creata un immagine commerciale intorno ad una persona, senza contare che egli odiava se stesso, odiava la gabbia d’oro nella quale viveva, non era più capace di distinguere ciò che era bene o male, la droga e l’alcool lo annientarono, egli era un poveraccio nella sua fasulla immensità; e si uccise, lasciando tutto il mondo della musica sconcertato; era il 5 aprile 1994 a Seattle, Kurt Cobain pose fine alla sua vita con un fucile, togliendo così la spina al grunge.
Proprio per questo motivo il grunge viene definito come un movimento che non portò a nulla, ma nella sua breve vita, diede l’opportunità ai giovani di credere in qualcosa, gettò le basi di un cambiamento, e positivo o negativo che sia stato, il grunge spopolò nella sua breve durata divenendo così il simbolo dell’adolescente che non si arrende al potente.
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PAUL SENYOL È un writer sudafricano fortemente influenzato dalla cultura skate e dalla musica punk rock. Iniziò con il disegnare copertine di album e grafiche per skateboard. Successivamente si dedicò al graffittismo inventando uno stile proprio composto da linee e forme pesanti in contrasto con colori tenui.
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l Grunge influenzò moltissimo vari campi artistici oltre alla musica; nella letteratura, la fotografia e l’arte si andò a creare una linea di pensiero trasgressiva, che puntava a colpire l’osservatore. Ma come fare tutto questo? Anche il caro vecchio Giotto aveva colpito l’osservatore inventando la prima prospettiva nei suoi quadri! Ma Giotto apparteneva ad un’altra epoca, ora bisognava inventare qualcosa di diverso, cercare qualcosa di nuovo in un mondo che ormai aveva già tutto! L’unico modo era la trasgressione, unica arma nelle mani dei giovani artisti di tutto il mondo in grado di colpire il bersaglio: la società. Fu così che i muri delle città si cominciarono a tappezzare di strane scritte, fatte con una moltitudine di stili, alcune geometriche ed imponenti, altre ondulate che sembravano quasi colare dal muro; erano i graffiti, l’arte dei giovani degli anni ‘90. Il “graffito” o Murales nasce nei primi anni del 1900, come forma d’arte “alternativa” e si diffuse sempre di più nel corso del secolo fino ad arrivare al 1990, quando sostenuta dal movimento Grunge, raggiunse la sua massima espansione. Il tessuto urbano delle città di tutto il mondo fu tappezzato di queste opere, metropolitane, stazione ferroviarie, locali in abbandono, parcheggi pubblici, furono questi luoghi che divennero palcoscenici per “writers”. Il graffittismo infatti è considerato un’attività illegale, poiché va a “deturpare” i beni pubblici, e soltanto in questi ultimi anni a questi artisti è stato concesso un loro spazio all’interno delle città dove poter sfogare la propria arte. Ma, ritornando a noi, questa forma d’arte aveva un 38 | IL GRUNGE NELL’ARTE
solo obbiettivo, sensibilizzare! Questi artisti erano spesso infatti attivisti politici e rappresentavano tematiche di attualità legate a situazioni di disagio: giustizia sociale, libertà di espressione, volontà di cambiamento e rivoluzione. Essendo “arte libera” conta milioni di seguaci che la praticano. Proprio per questo ci limiteremo a presentare alcuni tra i più influenti artisti di questo movimento: AUGUSTINE KOFIE È un artista di Los Angeles che contribuì in modo sostanziale a quella che è la street art, con il suo inconfondibile “drafting style” caratterizzato da precisi schemi geometrici utilizzati tutt’ora in spot, video musicali e gallerie d’arte. “Sebbene molti considerino il graffitismo un atto vandalico, bisogna riconoscere che vi sono casi in
“GRAFFITI IS MY
LIFE'S TURBULENCE
EXPLODED ON A WALL” Mint Serf
cui il graffito diventa una vera opera d’arte. Molti artisti writer non si limitano all’arte dei murales, ma sono dei veri e propri grafici da cui prendere ispirazione.” REMI ROUGH Un altro artista contemporaneo è Remi Rough nato e cresciuto a sud
di Londra. Lavora come writer, artista, illustratore e designer; è consulente per Red Bull e Nike. “Per rendere il buio innocente e bello, per trovare l’anima del tutto, ornamenti geometrici da qualche parte al di là della vernice acrilica, del colore di emulsioni e spray.”
BANKSY Uno dei maggiori esponenti della street-art contemporanea, le sue opere tappezzano i muri delle strade londinesi, ma vengono anche esposte in grandi musei come il British Museum e il Tate Modern. Spesso a sfondo satirico, trattano temi politici, etici e ambientali, tutte
vengono disegnate a mano o realizzate tramite stencil ovvero una striscia di carta intagliata che permette una volta attaccata provvisoriamente alla parete, di ricreare con dei colori il disegno che c’è sopra. “La gente si lamenta che i graffiti sporcano i muri, chissà che ne diranno di un graffito che sta proprio facendo le pulizie su un muro!”
“THINK OUTSIDE THE BOX, COLLAPSE THE BOX, AND TAKE A FUCKING SHARP KNIFE TO IT”
STREET ART La street art è un genere artistico che racchiude tutte le cosiddette “arti di strada”: stencil art, Banksy graffiti, sticker art, disordinazioni segnaletiche, ecc... Le motivazioni per ca dei suddetti luoghi. diventare uno street artist sono varie; alcuni portano Un’altra forte motivazione è la possibilità di esporall’attenzione delle persone tematiche sociali e polire le proprie opere dove chiunque le possa vedere, tiche, con messaggi e opere anche molto forti, altri rendendole quindi visibili e affrontando temi a stamtramite l’arte si rimpossessano dei luoghi pubblici po sociale quali libertà di espressione, il pacifismo, della città, sottolineando l’effettiva proprietà pubblil’antiproibizionismo e la libertà sessuale. 40 | IL GRUNGE NELL’ARTE
BANKSY Esponente della “Guerilla Art”, era solito appendere i suoi quadri nei musei vicino ad altre opere; i quadri restavano giorni senza che nessuno se ne accorgesse fino a quando non venivano rimossi.
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L’interesse pubblico per questa “arte di strada” è esploso intorno alla fine degli anni ‘90, grazie agli artisti sopra elencati. Da allora sono stati stampati numerosi libri che trattano l’argomento e la Street Art è spesso sfruttata dalle aziende di marketing. L’impatto della Street Art e della cultura metropolitana sull’immaginario pubblico è ormai evidente. Sempre più spesso è utilizzata nelle campagne pubblicitarie, purtroppo a volte snaturandosi e divenendo così “commerciale”; in molti negozi infatti si possono trovare magliette con le stampe di Banksy o di altri writers famosi, così come spille, borse e molti altri generi commerciali mentre altri, per esempio Obey (Shepard Fairey) hanno creato, parallelamente alle loro carriere artistiche, veri e propri brand. Nonostante questo, quasi tutti gli street artists promuovono l’assenza di copyright sulle loro opere, incoraggiandone anzi la copia e la diffusione, fornendo addirittura kit e istruzioni per l’assemblaggio. L’ARTE DEL DETURPARE | 43
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porco, grezzo, libero, sprezzante delle regole e di chi le detta, un grido contro le convenzioni... Un turbinio di emozioni violente, di parole sfregiate, di lettere sfocate, di texture spesse, di interi mondi in contrasto: Arte, in altre parole. Questa è solo una parte di ciò che il Grunge è stato e sempre sarà per la tipografia e la grafica. Se vi è possibile saltare sul treno della nostalgia e ritornare agli skateboards, ai graffiti, e a tutti i prodotti di questa generazione ribelle, allora non potete ignorare questo movimento e il suo stile indefinito e frenetico. Gli anni ‘90 sono solcati indelebilmente da questo fenomeno, il quale ha spaziato in ogni ambito, anche nel type design, divenendo il più grande e coeso nella storia del design recente. Era ovunque... E poi è scomparso. L’EFFETTO RAYGUN Il principale fautore dell’onda Grunge nell’ambito grafico è stato sicuramente David Carson. Carson è un graphic designer ed editore statunitense, nato in Texas nel 1954. All’inizio il suo approccio alle arti grafiche è stato davvero molto marginale; nei suoi primi anni di lavoro fu infatti un insegnante ed addirittura un surfer professionista, riuscendo a conquistare dei buoni piazzamenti nelle World Surfing Championships. La sua passione, però, in sintonia con la cultura del momento storico unico, lo portò a crescere rapidamente come artista, soprattutto dopo l’incontro con un famoso designer svizzero: Hans-Rudolph Lutz. È stato forse questo suo approccio così amatoriale al type design che lo portò ad adottare un metodo prettamente sperimentale, evolvendo moltissimi stili completamente differenti e molto spesso unendoli, a formare composizioni impossibili e superfici in cui l’occhio tuttora si smarrisce. Il suo metodo era semplice ed il suo vangelo duplice: non è necessario conoscere le regole prima di romperle e soprattutto non confondere mai la leggibilità con la communicazione. Queste prerogative spesso lo portarono ad essere fortemente criticato ed anche a scelte estreme; come quella volta che, non essendo d’accordo su di un articolo, impostò l’intero testo in Zapf Dingbats, rendendolo totalmente illeggibile.
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Già con i suoi primi lavori David fu apprezzato notevolmente; di lui, per esempio, il fotografo Albert Watson disse: “David utilizza il carattere come gli artisti fanno con la pittura, per evocare emozioni ed esprimere ideali”. Ad ogni modo nel 1989 troviamo uno dei momenti più importanti per la carriera e la vita di Carson. Venne infatti assunto come art director presso Beach Culture, una rivista sul surf. Grazie a ciò, i suoi lavori iniziarono ad essere pubblicati sulla rivista e con essi David fu premiato con oltre 100 design awards; impensabili in confronto al numero esiguo degli issues con le quali Beach Culture è uscita:
soltanto sei. L’effetto trampolino di Beach Culture si fece sentire appena tre anni dopo quando il designer americano fu assunto da Marvin Jarret, edito-
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re della rivista Ray Gun. Nel 1995 David Carson, dopo aver ottenuto un successo a dir poco monumentale con Ray Gun, lascia la rivista per dedicarsi alla sua
personale firma, David Carson Design, la quale, rapidamente guadagnò un’ottima reputazione e attrasse numerosi clienti importanti come Armani o Western Union.
HARRIET R. GARREN È una type designer Svizzera. Si occupa della progettazione di siti web, immagini coordinate e materiale promozionale per numerose industrie. Ha lavorato in diversi importanti studi grafici prima di mettersi in proprio; inoltre detiene una laurea in arte ottenuta alla Yale University.
In questo periodo realizza anche il suo portfolio personale, da molti considerato un evento storico: The End of Print. Questi ed altri innumerevoli progetti, portano David Carson ad essere considerato uno dei più grandi designer al mondo. L’ astrattezza, il contrasto grezzo, i caratteri, i colori, anche l’uso dello spelling errato, sono diventati simboli di un’arte unica.
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A GRUNGY TIME L’attrazione del grunge era basata su una semplice idea: non è mai stato visto prima. Non era solo il design sperimentale delle lettere, ma il modo in cui erano messi sulla pagina. Il suo caos, il suo linguaggio del corpo. Questa sintonia produsse un cambiamento vitale nel motodo tipografico: in un campo per decenni dettato dal principio di neutralità, del significato implicito nel testo piuttosto che nel disegno del carattere. Anche la tecnologia ebbe un ruolo fondamentale, infatti l’ascesa della tipografia Grunge coincise con la fiorente popularità del Macintosh, il quale, introdotto nel 1984, alterò permanentemente il panorama del design e della tipografia. L’arte del design a mano, un difficile mestiere di precisione e attenzione, non fu più l’unica opzione. I designers erano liberi: lo schermo e la loro immaginazione erano gli unici vincoli. Il DECLINO La vecchia guardia era scandalizzata da questa ribellione. Nel documentario Helvetica, Massimo Vignelli, un designer italiano fortemente attaccato alla tradizione del Modernismo classico, si tiene distante dalle stravaganti tendenze dei tipografi grunge, una “generazione sprecata” che non era “per ogni cosa” ma “contro ogni cosa”. “Ci sono persone che pensano che il carattere dovrebbe essere espressivo” dice Vignelli nel film. “Loro hanno un punto di vista differente dal mio... Puoi dire ‘I love you’, in Helvetica. E puoi dirlo con Helvetica Extra Light se vuoi essere veramente raffinato. Oppure puoi dirlo con l’Extra Bold se è veramente intenso e passionale, e può funzionare.” Designer come Vignelli credono che la tipografia dovrebbe essere un involucro formato da parole, allo scopo di supportare il linguaggio ma mai di elaborare sopra di esso. Esso dovrebbe, dal loro punto di vista, essere discreto, elegante e, soprattutto, senzatempo. Tuttavia la tipografia Grunge non era fatta per continuare oltre. Il mercato, infatti, divenne presto saturo di Grunge e la loro richiesta si abbassò notevolmente. Si stava ritornando verso la semplicità precedente. Le aziende distributrici di Grunge font si ritrovarono in difficoltà, incasellate in un segmento che si stava via via riducendo. Molte di queste si ritrovarono costrette a riconvertirsi per assecondare il cambiamento. E i tipografi giovani, una volta cosi innamorati dell’idea di gettare al vento la prudenza, iniziarono a realizzare il valore del contenimento. Inevitabilmente l’utilità della tipografia Grunge si ridusse. Iniziò a sembrare povera, sempre uguale, noiosa. 50 | IL GRUNGE NELLA GRAFICA
Il ciclo si era completato, e la tecnologia facilitò la fine come aveva fatto per l’avvento. Forse adesso la tendenza è la stessa in relazione al successo esponenziale che sta avendo il font Helvetica. È una tendanza quasi estrema, perché ora tutti hanno iniziato ad utilizzare Helvetica, innalzandolo a risposta standard per ogni progetto di type design. Forse anche questo è sbagliato, in quanto determina un appiattimento degli stili, declassando incredibilmente il panorama grafico e tipografico. In molti modi la morte del grunge è in accordanza perfetta con i suoi ideali. Il cambiamento deve essere costante e le regole non possono mai essere sostenute per troppo tempo, anche se queste sono contro la loro stessa presenza. A discapito di ciò che i classicisti pensano, il design non è senzatempo. Nemmeno la tipografia grunge. Dipende a un periodo definito e molto specifico di ribellione. Ha lo stesso principio con il quale un oggetto, un particolare, un gesto ti ricordano un mondo. È un testamento all’eterno potere con il quale la tipografia, con il modo in cui una lettera è disegnata, le sue curve, il suo spessore, il suo peso, può incarnare un’era.
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GUERRA #0902 SIAMO IO
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GUERRA #0902 SIAMO IO
Troppe persone passano la loro esistenza cercando continuamente un altrove e non arrivano da nessuna parte. L'uomo del terzo millennio è sempre più ossessionato dalla ricerca continua e sfrenata dell'apparenza perfetta. L'uomo è TUTTAVIA cosciente della irragMOSTRA D’ARTE CONTEMPORANEA giungibilità di tale di alberto barosco impresa. Uno dei modi per compren. INAUGURAZIONE . dere il proprio SABATO 9 FEBBRAIO 2013 scopo nella vita è quello di ritornare @ 17.00 @ alla natura, di riscopriRassegna d’arte contemporanea 2012/2013 re la propria nuovo spazio espositivo giardino agorÀ natura. san donÀ di piave
l ’ e s p os iz ione durerÀ s ino al 17 . 0 2 . 1 3 c o n orar io 1 7 -19. c hi u so i l lunedì
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WHAT ABOUT EMERGENCY
mergency è un’attività umanitaria italiana, fondata il 15 maggio 1994 a Milano da Gino Strada e la moglie Teresa Sarti con l’obbiettivo di portare aiuto alle vittime civili della guerra e della società fornendo cure gratuite e di altà qualità e promuovendo una cultura di pace, solidarietà e rispetto per i diritti umani. Costruendo ospedali, centri chirurgici, centri pediatrici, posti di primo soccorso e centri di maternità nelle città martoriate dalla guerra, dalla povertà e dalla carestia, è intervenuta in molti paesi, tra i quali Afghanistan, Iraq, Repubblica Centroafricana, Sierra Leone e, dal 2005 in Italia. Ebbene si, anche nel nostro paese opera Emergency, per garantire a tutti il rispetto del diritto ad essere curati sancito dalla Costituzione. La classe politica italiana in nome della “libertà” ha costruito un sistema di privilegi basato sull’esclusione e sulla discriminazione; il principio di convivenza civile va via via a sbiadirsi, diventando un’utopia. La democrazia dev’essere un sistema politico basato sulla cooperazione per il bene comune di tutti, privilegiando i gruppi sociali più deboli,; sist-
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ma che in Italia al giorno d’oggi è un solamente un sogno, ed Emergency si batte per far si che questo sogno possa realizzarsi. Proprio per questi motivi Emergency è impegnata nella promozione dei valori di pace, ha messo in atto campagne che portarono a grandi successi, come ad esempio ponendo l’embargo al commercio e la produzione delle mine antiuomo in Italia; con la campagna “Fermiamo la guerra, firmiamo la pace” ha promosso una raccolta di firme per l’iniziativa popolare “Norme per l’attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall’articolo 11 della Costituzione e dallo statuto dell’ONU”. È inoltre impegnata nel resto del mondo dove conduce e porta a termine numerosi programmi sanitari come ad esempio la Costruzione di un centro chirurgico e di cinque posti di primo soccor-
so a Battambang in Cambogia, la realizzazione di un centro di riabilitazione e di produzione protesi in Algeria avvenuta nel 2003, la costruzione di 91 abitazioni destinate alle famiglie vittime dello tsunami in Sri-Lanka e ancora la realizzazione di un programma di chirurgia in Libia, nella città di Misurata sotto assedio. I fronti su cui Emergency opera sono molteplici, molteplici sono anche le attività di sensibilizzazione svolte e gli eventi culturali proposti. Tutti legati ad una serie di principi che guidano l’attività di quest’associazione, e dal “diritto ad essere curato”; il diritto fondamentale ed inalienabile appartenente ad ogni membro della famiglia umana che richiede una sanità basata sull’equità, sulla qualità e sulla responsabilità sociale.
...di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’ uomo e il sollievo della sofferenza...”
Dal Giuramento di Ippocrate
WHAT ABOUT GREENPEACE Ormai i disastri ambientali sono sempre più frequenti nel nostro pianeta. Petroliere che affondano versando in mare milioni di galloni di greggio, centrali nucleari che contaminano i territori circostanti, industrie che scaricano sostanze nocive nei corsi d’acqua per evitare i costi della depurazione, discariche costruite senza una regola, animali cacciati senza rispetto e buon senso, foreste cancellate dalla faccia della terra per far posto all’industrializzazione. Molte organizzazioni operano per contrastare queste ingiustizie, e tra queste Greenpeace è pioniera. Pur essendo nata negli anni ‘70; fu negli anni ‘90 promotrice di numerosissime campagne legate alla salvaguardia dell’ambiente. Greenpeace è un’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver con lo scopo di intervenire in maniera diretta e non violenta per la difesa del clima e dell’ambiente. Come già detto, fina dalla nascita promosse molte campagne, più o meno discutibili, ma sicuramente d’impatto. Da ricordare è quella mossa per salvare le balene, 56 | ATTIVISMO
che nel 1994 ottenne un importante successo con la creazione di un “Santuario delle Balene” nell’Oceano Antartico che fu seguito da una successiva creazione di vari “santuari” in tutto il mondo. Inoltre, sempre in questo periodo, Greenpeace cominciò a concentrarsi su campagne relative i rifiuti. Con lo sviluppo della tecnologia infatti, oltre al problema dello smaltimento dei normali rifiuti prese corpo il problema dell’accumulo di prodotti tecnologici nelle discariche e il successivo rischio ambientale. Grande rilevanza ha anche la campagna “Save the Artic” che punta alla sensibilizzazione verso un problema di cui tutti ne conosciamo l’esistenza e tutti ne sappiamo la gravità ed eppure la soluzione sembra lontana: il surriscaldamento globale. Come ben sappiamo infatti tutte le maggiori potenze mondiali si sono impegnate a diminuire le emissioni di gas serra nell’atmosfera con la firma del Protocollo di Kyoto. Un trattato internazionale in ambito ambientale sottoscritto nel 1997 che prevedeva l’obbligo di ridurre le emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera. Ma fu sempre stato rispettato ciò che era stato promesso; proprio
per questo motivo nelle principali capitali del pianeta i volontari di Greenpeace hanno cercato di attirare l’attenzione sul tema dello scioglimento dei ghiacci al Polo Nord e sui pericoli che si corrono con l’effetto serra, che potrebbero comportare a breve conseguenze impressionanti come la distruzione degli habitat di molte specie animali e all’innalzamento delle acque del pianeta. La sensibilizzazione sta avvenendo su più fronti e vede anche il coinvolgimento di artisti prestigiosi; ad esempio
20 APRILE 2010 Lla piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon” si incendia a causa di un’esplosione e rovescia in mare per ben 106 giorni milioni di litri di greggio. Greenpeace si è subito adoperata per alleviare il danno, impegnando mezzi e uomini anche se purtroppo la gravità fece si che il danno fosse irreparabile.
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con la produzione di un video in collaborazione con la band inglese Radiohead (“Everything in its right place”) che mostra le peripezie di un’orsa polare, privata del suo habitat a causa dei cambiamenti climatici ed in cerca di cibo a Londra. Il suo cammino termina davanti ad un distributore Shell, la compagnia petrolifera che ha come obiettivo le prossime trivellazioni per l’estrazione di petrolio nell’Artico. Ci riguarda particolarmente da vicino inoltre la campagna di Greenpeace svolta nel 2011 in occasione del referendum sulla privatizzazione dell’acqua pubblica e sull’adesione alla costruzione di centrali nucleari. Greenpeace diede vita ad una serie di video, articoli e foto posti sotto il nome di “Un problema senza soluzione” facendo inoltre leva sul disastro nucleare di Fukushima, avvenuto proprio in quei giorni in Giappone, per mostrare alla popolazione italiana, anch’essa predisposta ai terremoti, quali potevano essere gli effetti di un eventuale approvazione. La campagna si risolse in modo positivo; gli italiani infatti si esprimettero negativamente sia sull’adesione alla costruzione di centrali nucleari sia sull’adesione alla privatizzazione dell’acqua. 58 | ATTIVISMO
Da mettere in luce sono inoltre gli scontri che Greenpeace ebbe, ha e avrà in futuro con le principali industrie capitalistiche del pianeta come ad esempio la compagnia petrolifera Shell, le major della pesca, con Apple, Samsung e perfino con l’industria Mattel, produttrice di giocattoli. Nel bene e nel male, con azioni più o meno di impatto, Greenpeace ha sempre fatto sentire la propria voce al mondo senza mai dare cenni di resa. Si può quindi infine dire che Greenpeace negli anni ‘90 ottenne sempre più consensi derivati da un’attenzione crescente nei riguardi dell’ambiente, e nonostante i discutibili mezzi e metodi, gli sconvolgenti messaggi usati nelle proprie campagne pubblicitarie e le “ombre” economiche che la perseguitano, questa organizzazione è leader nella lotta a favore dell’ambiente che ci circonda.
“QUELLO CHE STIAMO FACENDO ALLE FORESTE DEL MONDO è IL RIFLESSO di quello che stiamo facendo a noi stessi e agli altri” Mahatma Gandhi
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a maggior parte delle persone conosce questa storia con il nome “Into The Wild”, film tratto dall’omonimo libro ed entrambi tratti da una storia vera, una storia che accattata o no che sia, fa sicuramente pensare, fa riflettere su ciò che è davvero importante nelle nostre vite, da la possibilità di dare una vista generale a quelli che sono i valori ormai perduti di una società ormai inscindibile dal capitalismo. Il libro venne pubblicato nel 1996, e diventò subito un classico della letteratura di “viaggio d’evasione”, e racconta la storia di Christopher McCandless, un ventiduenne che nell’estate del 1990, diede in beneficenza tutti i suoi risparmi e partì verso l’ignoto, senza una meta, cercando la felicità che non aveva mai ottenuto. Fu un infanzia difficile quella di Christopher, figlio illegittimo dovette sempre sbattere la faccia addosso il muro di materialità imposto dai propri genitori; la scuola privata, la bella macchina, la laurea, una vita già scolpita su una pietra, una pietra fredda, come freddo ormai era il suo cuore. 62 | INTO THE WILD
Il malessere che egli cullava lo portò ad una decisione estrema, un taglio netto; diede i suoi risparmi in beneficenza, bruciò i documenti e partì. Nel corso del suo viaggio conobbe molte persone, persone che successivamente intervistate lo descriveranno come un ragazzo intelligente e che sapeva ciò che voleva, ma egli scappava, scappava dagli affetti, pensava di bastare a se stesso. Verso la fine del suo viaggio Christopher arrivò in Alaska, dove visse 113 giorni, sfidando la fame, il freddo e la natura; un sfida che perse tragicamente; fu infatti trovato morto da un cacciatore con vicino il suo diario, dove aveva annotato scrivendo in terza persona, giorno per giorno, la vita e la lotta per la sopravvivenza in quei luoghi ostili. L’ultima frase da lui scritta fu “Happiness is real only when shared” che tradotta significa “la felicità è autentica solo se condivisa”, frase molto discutibile, almeno nel suo caso; un ragazzo che aveva voltato le spalle agli affetti, Christopher con la sua voglia ribelle di libertà aveva fatto del male alle persone che gli stavano attorno abbandonandole e facendole soffrire.
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È possibile che proprio per questo motivo scrisse questa frase, forse si rese conto di ciò che aveva fatto, comprese che la felicità si deve condividere con le persone che ci stanno attorno, affrontando giorno per giorno le difficoltà della vita senza scappare. Egli era pronto per tornare nella società, ma fu fermato dalla morte. Si potrebbe argomentare ancora per molto su questa storia senza giungere ad una conclusione; l’unica considerazione che si può fare è che nel bene o nel male questo racconto più o meno “riempito” a piacimento dello scrittore, suscita al lettore numerose riflessioni, legate alla società in cui viviamo, ai falsi idoli a cui ci leghiamo, al insen64 | INTO THE WILD
sato peso che attribuiamo cose superflue, ad una materialità che per quanto possibile dovrebbe essere abbandonata aprendo gli occhi e ammirando la bellezza del mondo che ci circonda. Parte essenziale del film è sicuramente la colonna sonora scritta completamente da Eddie Vedder. La collaborazione tra Sean Penn e Eddie Vedder risale al 1995 quando Penn fu regista e attore nel film Dead Man Walking e Eddie Vedder scrisse due brani della colonna sonora: Face Of Love e Long Road. Successivamente nel 2011 con il film “Mi Chiamo Sam” Penn richiamò Eddie per incidere una cover dei Beatles “You’ve Got to Hide Your Love Away”. Ed eccoci ad Into The Wild, Penn affidò l’intera gestione delle musiche ad Eddie Vedder che scelse come collaboratori i chitarristi Michael Brook e Kaki King; ed ecco la magia. Lasciate da parte distorsioni e suoni dirompenti Eddie Vedder si abbandona al caro e vecchio folk, avvalendosi di chitarra acustica, percussioni, banjo,
TO THE LOVERS OF WILDERNESS
ALASKA L’Alaska fa parte degli Stati Uniti, è un territorio freddo, caratterizzato da grandi foreste, ghiacciai, monti e numerosi fiumi. L’ambiente selvaggio attrae gli amanti della natura, i viaggiatori e tutti coloro che amano essere inebriati dall’aria di libertà che aleggia in questi territori sconfinati.
mandolino e l’ukulele da vita ad undici tracce, dolci melodie composte da pochi e semplici accordi e accompagnate dalla sua profonda voce baritonale. Dalle sue labbra escono parole che vanno a comporre testi paragonabili a vere e proprie poesie. Tematiche di vario genere si intrecciano; la libertà, la solitudine, la ricerca della felicità nelle cose semplici, il desiderio di uscire dalla società, una società malata dalla quale Christopher si sentiva oppresso. Uno stile musicale che si adatta perfettamente alla varietà dei temi affrontati, sottolineando la bellezza della natura che circonda il viaggiatore, accen-
tuando l’umore del protagonista nel corso di tutto il film, dai momenti di gioia fino alla tragica morte di quest’ultimo. Un’assieme di suoni fondamentali per la lettura e la comprensione del messaggio che il film vuole trasmettere.
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RATHER THAN LOVE, THAN MONEY, THAN FAME
Henry David Thoreau
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68 | JACK FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO
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ome già detto, il disagio sociale portato dal Grunge si diffuse in molti campi artistici, tra i quali la letteratura. Il desiderio di fuggire dalla società, della trasgressione, dell’essere contro “il potente” si era già manifestato prima degli anni ‘90, ma in questo decennio nacquero moltissimi autori che non pretendevano il successo, ma semplicemente di dire la loro opinione, di portare una panoramica il più possibile oggettiva della società da quella che poteva essere la semplice visione di un adolescente, con le sue emozioni e i suoi sentimenti. Questa tendenza si manifestò in tutto il mondo; in Italia in particolare un opera spopolò, un libro che andò a colpire tutti gli adolescenti dell’epoca e fece ritornare alla mente l’adolescenza agli adulti che l’avevano persa o dimenticata. Forte è il richiamo al tema della felicità, una felicità che un adolescente fa fatica a trovare, una felicità che sembra scappare, una felicità che potrebbe anche non riuscire mai a raggiungere; ma Alex è come noi, un depresso tra i depressi, un vagabondo alla ricerca di una luce nell’oscurità.
Fu infatti nel 1994 che uscì in Italia “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi. Questo romanzo narra la storia di Alex, un adolescente liceale di Bologna totalmente riluttante nei confronti della società e dei limiti che essa gli imponeva. Il “vecchio Alex” (così era chiamato dagli amici) è completamente perso per Adelaide, una sua compagna di scuola. Con lei ha in comune molte passioni e trascorrerà insieme ogni giorno, condividendo chiacchierate e musica fino a quando quest’ultima dovrà partire per gli Stati Uniti lasciando Alex da solo. Momenti di dolcezza, momenti d’ira contro la famiglia, il dolore per il suo amico Martino che in seguito a problemi con la legge e avendo una vita senza soddisfazioni decide di suicidarsi, la trasgressione, le riflessioni fatte tra sè e sè, porteranno Alex ad una crescita interiore, diventando una persona più buona e ricca di sentimenti. Come già detto prima il “vecchio Alex” non accetta la realtà in cui vive, odia i ragazzi che cantano nel coro della chiesa solo perché fa moda, odia la gente senza ideali che conduce una vita inutile, opaca e dando peso alle cose materiali. HAPPINESS IS A WARM GUN | 69
L’odio verso i favoritismi dei professori e verso la propria famiglia, considerata fortemente chiusa e tradizionalista rende il protagonista freddo e brutale nelle scelte e nelle posizioni che prende. Proprio in quest’ottica si può comprendere il paragone al personaggio nominato nel titolo del romanzo: John Frusciante, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers. Egli abbandonò la band proprio quando quest’ultima aveva cominciato a fare successo; collegamento diretto al fatto che nella vita la materialità e le consuetudini non contano nulla, il successo e il denaro attanagliano la mente dell’uomo fino a renderlo insensibile e freddo come un pezzo di ghiaccio; l’unica soluzione è continuare a fare ciò che desideriamo, facendolo con il cuore, conducendo una vita piena di emozioni belle o brutte che siano perché l’unica certezza che abbiamo in questo; è che ci porteranno a crescere e a maturare.
Semplicemente dite al mondo che sono impazzito” John Frusciante al suo primo ritiro dai RHCP
JOHN FRUSCIANTE Chitarrista dei Red Hot Chili Peppers,nel 1992, in pieno tour mondiale, stanco della vita on the road che gli aveva fatto conoscere eccessi di ogni tipo, decide di lasciare la band. Il ritorno avvenne solo dopo 7 anni con l’uscita dell’album “Californication”; un successo intramontabile della band.
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“E lui non aveva mai amato così tanto, poiché si ama davvero forse solo nel ricordo” da Jack Frusciante è uscito dal gruppo
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72 | J.K. ROWLING
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ra il 1997 quando in Inghilterra uscì un libro per ragazzi; è un romanzo fantasy, uno dei tanti, la storia di un maghetto adolescente impegnato nella sua guerra personale contro colui che non può essere nominato, Voldemort. Chi avrebbe mai detto che a un anno dall’uscita “Harry Potter e La Pietra Filosofale” avrebbe conquistato i cuori degli adolescenti di tutto il mondo? Record di vendite e premi letterari fecero entrare Harry Potter nell’albo dei libri più letti della storia. Ma, tralasciando il fascino della trama e delle tematiche di questo libro, quello di cui vogliamo parlare risiede in una Londra
“Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità Albus Silente
molto più concreta e reale di quella del binario 9 e 3/4 da dove parte l’Hogwarts Express. È una vicenda che si dipana tra molte difficoltà e molti sacrifici, dominata però da un sogno. Era il 1990 quando J.K Rowling lavorava come segretaria bilingua per Amnesty International a Londra. Aveva la passione per la scrittura e, nonostante non fosse un’autrice riconosciuta, impiegava il poco tempo libero che aveva per scrivere delle storie. Intorno ai 26 anni decise di dare una svolta alla sua vita e, dopo essersi licenziata, si trasferì in Portogallo per insegnare inglese, lavoro che era ben lontano dalle sue aspettative, ma che le concedeva maggiori possibilità per dedicarsi ancora alla scrittura delle sue opere; tra le quali una in particolare, che lei credeva fosse la migliore. Era una storia che parlava di un ragazzino che era stato mandato in una scuola di maghi. Giorno per giorno, nei ritagli di tempo, “Harry Potter” prendeva forma. Dopo un matrimonio andato male e con una figlia, Rowling decise di ritornare a casa; ad Edinburgh lei rimaneva però solo una madre single in forte crisi depressiva, con una bambina a carico e in cerca disperatamente di un posto di lavoro. È a questo periodo che è riconosciuta l’idea dei Dissennatori, esseri in grado di risucchiare la pace, la serenità e la felicità, uccidendo gli individui. Trovò posto come insegnante di francese, ma il suo obiettivo rimaneva comunque il suo libro. Fra lavoro, impegni vari e la figlia, la Rowling continuò a scrivere il racconto, soprattutto in pub e coffe house. 74 | J.K. ROWLING
“Sapevo quanto sarebbe stato difficile pubblicare un acquistati da una casa editrice americana per una libro” racconta lei “ero una scrittrice completamengrossa somma di denaro. Così J.K. Rowling decise te sconosciuta”. La scrittrice riuscì a finire il proprio di dedicarsi interamente alla scrittura, abbandonanlibro prima di cominciado il suo ruolo di insere il nuovo lavoro; e lo gnante. Oggi la storia inviò a 2 diverse case scritta tra un bar e l’aleditrici. Le sue paure tro è diventata famosa erano però ben fondate; in tutto il mondo e non infatti ambedue le case solo per i libri, ma anche editrici rifiutarono il suo per i film, i videogame, la lavoro. Ma lei dimostrò musica e da tutto quello una grande perseveranche ha contribuito alla za diffusione del “maghete rimase determinata a to Harry”. perseguire il suo sogno Ora lei è tra le scrittrici e vedere la sua storia più quotate nella storia pubblicata; inviò infatti il dei romanzi moderni racconto ad altre tredici e solo nel 2007, con il editori. Dodici delle case Mrs Figg su i dissennatori sesto libro della saga, editrici lo rifiutarono, ha venduto 325 milioma la tredicesima fiutò ni di copie! Nonostante in quel lavoro ciò che successivamente si realizzò. la dura strada per il successo, J.K. Rowling ha inseAlcuni mesi più tardi venivano alla luce le prime gnato che un sogno può sempre diventare realtà se copie di Harry Potter e i diritti del romanzo furono perseguito con determinazione e sacrificio.
“Li percepii... Mi sentii come se tutta la felicità se ne fosse andata dal mondo”
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“In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura Albus Silente
ALBUS SILENTE Preside di Hogwarts, è colui che indirettamente guida Harry Potter durante la sua lotta contro il male. Saggio e ironico è ritenuto il mago più potente del mondo, l’unico che Voldemort abbia mai temuto
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Troppe persone passano la loro esistenza cercando continuamente un altrove e non arrivano da nessuna parte. L'uomo del terzo millennio è sempre più ossessionato dalla ricerca continua e sfrenata dell'apparenza perfetta. L'uomo è TUTTAVIA cosciente della irragMOSTRA D’ARTE CONTEMPORANEA giungibilità di tale di alberto barosco impresa. Uno dei modi per compren. INAUGURAZIONE . dere il proprio SABATO 9 FEBBRAIO 2013 scopo nella vita è quello di ritornare @ 17.00 @ alla natura, di riscopriRassegna d’arte contemporanea 2012/2013 re la propria nuovo spazio espositivo giardino agorÀ natura. san donÀ di piave
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78 | CINEMA E CGI
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A COS’È LA CGI? JURASSIC PARK CGI è l’acronimo di Computer Generates Imagery, Questo film, diretto da Steven Spielberg e uscito ossia immagini generate dal computer. In inglese nelle sale nel 1993, è basato sull’omonimo libro scritlo si utilizza per chiamare la computer grafica 3D to da Michael Crichton. La grande novità di questa evitando l’ambiguità, parlando di cinema realizzaproduzione cinematografica è tuttavia estetica e to con questa tecnica, che si è creata in italiano, in non tematica: risiede nella capacità di aver unito, cui fino a poco (pochissimo) tempo fa parlando di non per la prima volta nella storia del grande scherfilm “in 3D” si intendeva, appunto, un film realizzamo ma con un realismo senza precedenti, dinosauri to con computer grafica 3D, mentre ora chiamiamo digitali e attori in carne ed ossa. allo stesso modo i film visti con gli occhialini, ossia Rappresenta il primo importante film nella storia la tecnologia 3D stereoscopica, ma stiamo andandel cinema ad aver impiegato la cosiddetta C.G.I. do fuori tema... La computer grafica 3D è un ramo Fu un successo; nonostante le numerose difficoldella computer grafica che si basa sull’elaborazione tà d’uso, questa tecnologia fece rimanere tutti a di modelli virtuali in 3D bocca aperta nei cineda parte di un compuma, dando definitivater. Essa viene utilizzata mente a Jurassic Park il insieme alla computer primato di colossal della animation nella realizzaCGI. Computer grafica zione di immagini visuali di alto livello a parte, per cinema o televisioconiugando fantascienne, videogiochi, ingeza, horror e azione, la gneria, usi commerciali dream factory del regio scientifici. Il termine sta americano è riuscita può anche essere riferia sfornare l’ennesimo to ad immagini prodotfilm visionario, che antite con lo stesso metodo. cipa a tinte fosche un La grafica computerizfuturo dominato dall’inzata tridimensionale è gegneria genetica. basilarmente la scienza, lo studio e il metodo di UN PICCOLO proiezione della rappreASSAGGIO sentazione matematica Tutto ha inizio con John di oggetti tridimensioHammond; un anziano nali tramite un’immagimagnate il quale decise ne bidimensionale attraTom Hanks un giorno di dar vita alle verso l’uso di tecniche illu- sioni, costruendo un come la prospettiva e l’ombreggiatura (shading) parco le cui attrazioni fossero veri e propri dinosauri. per simulare la percezione di questi oggetti da Grazie alle possibilità offerte dall’ingegneria genetiparte dell’occhio umano. Ogni sistema 3D deve ca e a cospicue somme di denaro, il suo sogno si è fornire due elementi: un metodo di descrizione del concretizzato nel Jurassic Park. John è il bambino sistema 3D stesso (“scena”), composto di rappreviziato che gioca a fare Dio, convinto di poter realizsentazioni matematiche di oggetti tridimensionazare un mondo sulla falsariga di quello vero, dove i li, detti “modelli”, e un meccanismo di produzione sogni di qualsiasi fanciullo prendono corpo. Gioca di un’immagine 2D dalla scena, detto “renderer”. con un giocattolo costoso che ha acquistato persoOvviamente questa tecnologia trova innumerevoli nalmente ignorandone la pericolosità e l’impossibiliapplicazioni, alcune anche apparentemente molto tà di controllarlo. distanti da quello che si può immaginare. La visione E’ infatti sufficiente un semplice blackout e l’avanzadi un virtuale tale da sembrare reale sembra solo ad to uomo del ventesimo secolo si ritrova alla mercè un palmo ormai. di una natura ostile che misconosce e che si rivelerà letale...
“Sullo schermo puoi far accadere qualsiasi cosa tu possa mai desiderare”
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JURASSIC PARK I costi impressionanti sostenuti per l’applicazione della CGI, per l’apparato logistico organizzato e per gli spostamenti da un set all’altro appagarono i produttori. Il film fu un autentico campione d’incassi; costò 63 milioni di dollari e ne incassò più di 900! Record battuto solo dal film “Titanic” nel 1998.
“La vita vince sempre” Ian Malcom
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GEORGE LUCAS Ottimo ideatore di storie, personaggi e ambientazioni, ha sempre affidato ad altri il compito di ricreare le sue idee sullo schermo. È un grande uomo di marketing, riuscito a vivere per anni di rendita grazie alle mosse commerciali svolte parallelamente ai suoi film (giocattoli, videogiochi ecc..).
STAR WARS Tra i primi film su cui si sperimentò la CGI non si può ci certo dimenticare Star Wars. Nella saga narrante le guerre tra L’Impero e i guerrieri Jedi infatti l’uso della tecnologia fu essenziale per la riuscita dell’opera. Con il primo film della serie, “Star Wars” appunto, del 1997 fu applicata la 3D wireframe graphic nella scena in cui i ribelli progettano l’attacco contro l’Impero; 10 minuti in cui si può assaggiare ciò che solo in futuro potrà essere applicato.
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Successivamente, il regista George Lucas riuscì a far crescere i propri film con la tecnologia fino ad arrivare ad un ampio uso della CGI, prima nelle ambientazioni e successivamente nei personaggi, come ad esempio gli alieni che, renderizzati al computer, potevano essere più realistici. Dal punto di vista cinematografico è riconosciuto come un capolavoro, ottenendo uno dei più grandi incassi della storia e ben 6 oscar che comprendono, tra gli altri, la scenografia, i suoni e i costumi. Indubbio il fatto che abbia influenzato enormemente l’intera industria cinematografica. Forse è un po’ carente nella trama e nelle riflessioni che può scatenare, tanto da essere stato definito da alcuni come “madornale favola d’avventura” o “festa pirotecnica di effetti speciali”. Ma probabilmente tutto ciò è troppo definitivo e riduttivo, e limita enormemente il senso di un’intera saga che, per un arco di tempo lungo quasi 30 anni, ha fatto sognare milioni di persone.
“What does your heart tell you?” Shmi Skywalker
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84 | THE MATRIX
WHAT’S MATRIX? | 85
86 | THE MATRIX
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ome fare ad addentrarsi nel panorama cinematografico degli anni ‘90 senza rimanere almeno per un attimo attoniti e meravigliati dinanzi a questa pellicola? Come non perdersi in mezzo alle migliaia di righe di codice, ai labirinti della mente, alle barriere dell’impossibile, scoprendo tuttavia che esiste un intero universo oltre a tutto questo? Un intero universo che è precluso a chiunque non riesca a superare ciò che sono i meri fotogrammi. È il cammino di un uomo e di un’intera comunità alla ricerca dell’emancipazione più pura. È il simbolo di un’intera generazione.
The Matrix è un film rilasciato negli Stati Uniti il 31 marzo 1999. Scritto e diretto da Andy e Larry Wachowski con Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss e Hugo Weaving. The Matrix ha ricevuto numerosi oscar per gli editing digitali operati sul film, in particolare sugli effetti sonori/grafici, e sul montaggio. Gli effetti grafici e sonori sono infatti una peculiarità importantissima di questo film, rendendolo uno dei primi risultati eccellenti in questo campo. Determinante in tutto ciò è stato l’utilizzo degli effetti di flow motion, che caratterizzano la quasi totalità delle scene di combattimento. Questa tecnica, nella quale l’azione viene scomposta e rallentata per creare drammaticità, fu, dall’uscita del primo Matrix, largamente impiegata in gran parte dei film d’azione. LA TRAMA La storia parla di un giovane impiegato di nome Thomas A. Anderson, al quale preferisce però il suo nome fittizio da hacker, “Neo”, che viene contattato da un gruppo di uomini che resistono a Matrix. Morpheus, loro leader, spiega a Neo che Matrix è una realtà falsa, invitandolo ad entrare nel “mondo reale”.
“Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?”
Morpheus
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“Tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri sei nato in catene. Sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha muri, che non ha odore. Una prigione, per la tua mente” Morpheus
In seguito Neo scopre di non essere nel 1999 ma in un ignoto futuro, nel quale la razza umana sta combattendo una lunga guerra contro delle macchine intelligenti da loro stessi create. È appunto per risolvere la guerra che Morpheus salva Neo, in quanto lui crede che sia “l’Eletto”: la persona destinata a porre fine alla guerra. Inoltre si comprende che Matrix non è altro che una realtà illusoria del mondo del 1999, una neurosimulazione sviluppata dalle macchine allo scopo di tenere prigioniera inconscia l’intera umanità, in modo da poterla sfruttare come fonte di energia, per l’eterni88 | THE MATRIX
tà. Agli inizi Neo è scettico, ma impara poco a poco come andare oltre alla regole di Matrix, apprendendo che l’illusione intorno a questi è formata da nient’altro che impulsi elettrici che arrivano al suo cervello, e come tali possono essere controllati. Oltre a ciò, Neo sviluppa un forte rapporto con una donna membro dell’equipaggio della nave sulla quale si trovano: Trinity. Si fa quindi la conoscenza di alcuni programmi autosufficienti all’interno di Matrix con il compito di controllare gli umani, vengono chiamati gli Agenti. Essi possiedono delle capacità incredibili, come scagliare pugni attraverso i muri, evitare
le pallottole e una perfetta conoscenza delle arti marziali. Corrispettivo degli Agenti dalla parte dei “buoni” (nonostante la sua figura si molto enigmatica e mai del tutto chiarita) è forse l’Oracolo, un programma che appare come un donna di età avanzata, la quale ha predetto l’avvento dell’Eletto. Quando un membro della resistenza tradisce il gruppo, permettendo agli Agenti di catturare Morpheus, Neo torna in Matrix con Trinity per salvare il loro leader. L’impresa riesce, ma, dopo che Morpheus e Trinity escono da Matrix, Smith, il più ambiguo e strano
degli Agenti, distrugge il telefono mediante il quale il gruppo della resistenza stava inviando il segnale pirata per sconnettere Neo da Matrix. L’uomo tenta di raggiungere il secondo telefono, ma viene colpito da un colpo di pistola al petto e cade a terra, apparentemente morto. Tuttavia Neo, risvegliato da un sussurro di Trinity e dalla sua forza di volontà, realizza completamente la natura di Matrix e il codice dal quale è governato, riuscendo a soggiogarlo. Grazie a questa nuova conoscenza Neo riesce a sconfiggere gli Agenti cancellandoli dal sistema. È l’inizio di una nuova fase per il genere umano.
SLOW MOTION È un effetto cinematografico in cui il movimento è riprodotto a velocità molto più lenta del reale. Questo effetto in Matrix è reso possibile dalla digitalizzazione delle immagini successivamente renderizzate con velocità inferiore.
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LO SFONDO STORICO LETTERARIO La storia ha numerosi riferimenti storici e letterari, come le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, immagini cristiane e i romanzi di Willian Gibson, soprattutto Neuromancer. Con Neuromancer Gibson ha introdotto il concetto di una rete mondiale con un’interfaccia virtuale, chiamato “The Matrix”, il quale è dominato da un sistema oppressivo e collegato con il potere politico e militare. Le ambientazioni riguardanti mondi in cui le intelligenze artificiali hanno il sopravvento sull’umanità, sono state largamente utilizzate da centinaia di serie di fantascienza, uno su tutti il film del 1984 di James Cameron: The Terminator. Inoltre, gli spettatori più attenti non mancheranno di notare diversi temi particolari che vengono toccati nel film, come la volontà umana contro il fato, la natura della realtà, la percezione, l’esistenza, il nirvana e la rinascita. Alcune influenze nelle riprese sono tipicamente orientali e possono essere ricondotte all’animazione giapponese (i cosiddetti “Anime”) e al Kung Fu, ovviamente per quanto concerne gli stili di combattimento. Difetto e curiosità di questo film è la ragione per la quale le macchine soggiogano l’intera umanità, cioè per ottenerne energia. Tutto ciò è strano, in quanto l’energia chimica necessaria a far sopravvivere un essere umano è molto più grande dell’energia che si può ricavarne dal punto di vista bio-elettrico. SOLO ALCUNE RIFLESSIONI Il film, oltre ad essere un capolavoro tecnico, intreccia diversi aspetti dal punto di vista simbolico, mitologico, filosofico e psicologico. In superficie, il film si occupa del dominio della tecnologia nella nostra cultura e legge nel futuro un risultato apocalittico. Tuttavia, dietro agli struggimenti umani per la sopravvivenza, all’interno del film si possono notare numerosi riscontri con le teorie di Carl Gustav Jung, lo psicologo svizzero teorizzatore di una tipologia di psicanalisi alternativa rispetto a quella offerta da Sigmund Freud. Neo sta dormendo appoggiato sulla scrivania di casa nelle prime scene. Sul monitor del computer appare ripetitivamente la scritta: “Wake up Neo”. Il messaggio è un’istruzione da Neo stesso, dall’individuo. L’uomo dormiente è l’espressione del suo ego, sintomo della sua psiche egocentrica. Lui è ignaro della possibilità della presenza di qualcosa oltre a se stesso e a ciò che può vedere, è ignaro dell’esistenza di un mondo. Si può vedere che questo si adatta molto bene a tutto ciò che verrà poi scoperto nel corso della trama. È quasi una rivelazione. Il messaggio che appare successivamente sul pc “Follow the white rabbit”, è, oltre ad un chiaro rife90 | THE MATRIX
“Mostrerò loro un mondo senza di voi, un mondo senza regole e controlli, senza frontiere e confini. Un mondo in cui tutto è possibile” Neo
rimento ad Alice nel Paese delle Meraviglie, uno stimolo che dovrebbe indurre la persona ad uscire dal suo stato di isolamento. La stessa Trinity, secondo le teorie di Jung, è un elemento importante per la psiche di Neo. Lei è infatti considerata come la guida che accompagna l’individuo verso la verità, aiutandolo nel suo cammino. Altri temi fondamentali per la psicologia nel film sono quelli della personalità e della scelta. Questi vengono espressi più volte, ad esempio quando vi è la prima discussione fra l’agente Smith e Neo, il quale gli riconosce due personalità. La prima è quella di un cittadino che paga le tasse e che va a lavorare ogni giorno. L’ altra personalità è un hacker. Una personalità ha un futuro, l’altra no. E’ una sua scelta. Le due personalità di Neo, identificabili come lo stesso Neo e il signor Anderson, dimostrano inoltre una delle teorie di Jung, la quale recita: “La persona è un sistema complicato di relazioni tra la coscienza individuale e la società, sulle quali viene apposta una maschera, opportunamente disegnata per avere una determinata impressione sugli altri e per conciliare la vera natura dell’individuo con l’esterno”. “The Matrix is all around us. It’s like projected psyche created by man. It has been pulled over your eyes to shield you from the truth.” Anche Morpheus è una figura riconducibile dalla psicoanalisi. Lui viene infatti associato all’oscurità e all’incertezza del cambiamento. Il cambiamento, nel caso di Matrix, è notevolmente enfatizzato; si passa infatti per una rinascita del protagonista. Questa rinascita è suggerita anche dal fisico, il quale, non essendo mai stato realmente sfruttato, è atrofizzato. Ad ogni modo The Matrix non si esaurisce certo a questo punto, dimostrando una ricchezza che forse non ha eguali nel panorama cinematografico del anni ‘90.
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John Alan Lasseter, americano classe 1957, primo fra i principali fondatori della Pixar, fu poi regista-pioniere della casa cinematografica di Emeryville attraverso cortometraggi come “Luxo jr.”, “Il sogno di Red”, “Tin toy” e “Knick knack”.
el 1995 il fenomenale passo in avanti atteso da tutti: Lasseter dirige il primo lungometraggio della Pixar e della storia del cinema d’animazione realizzato completamente a computer: “Toy story”, destinato sin dalla sua uscita ad essere una vera e propria rivoluzione cinematografica. Sin dagli esordi si era capito che l’animazione computerizzata sarebbe dovuta partire da oggetti semplici, magari inanimati (l’essere umano è probabilmente uno dei soggetti più difficili da modellare e animare) e non è un caso che i primi corti della Pixar hanno avuto per protagonisti animali e oggetti vari, tra cui la lampada da scrivania che poi è diventata la mascotte dello studio.
CURIOSITÀ Woody non è altro che il protagonista della serie in bianco e nero “Woody’s Round Up” andata in onda tra il 1941 e il 1957. Il programma riscosse un grande successo, quando fu improvvisamente cancellato. L’Unione Sovietica aveva infatti lanciato in orbita lo Sputnik e i giocattoli futuristici divennero la nuova moda. Lo show venne cancellato lasciandolo così senza un finale. Da cui nacque l’idea di Toy Story.
Certo, vedendo “Toy story” oggi, nonostante i protagonisti si mostrino ancora grandiosamente disegnati ed animati, i personaggi umani appaiono grezzi nel modelling, come anche sembrano poco curati i poligoni e le texture delle scenografie (specie nei campi lunghi che riprendono case, giardini, auto e strade), ma sappiamo bene che, per l’epoca, tutto ciò era davvero una cosa fuori dal comune! Come già detto, una vera e propria rivoluzione.
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“Diciamolo, non c’è un solo occhio asciutto in sala durante gli ultimi dieci minuti di film” Dezhda Gaube, E! Online
Ma poi perché soffermarci su questi aspetti meramente tecnici? Sappiamo bene che i film non sono fatti di tecnologia e di effetti speciali! Sono invece le storie e i personaggi che vengono raccontati che rendono grande una pellicola e, in quanto a storia e personaggi, chi osa dire che “Toy story” delude lo spettatore?! Ciò che ha sempre distinto la Pixar da tutte le altre case di animazione 3D è sicuramente il saper dare un’anima ad ogni singolo pixel che vediamo sullo schermo e, sin da questa prima opera, questa regola è sempre stata rispettata. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Lasseter e altri tra cui Pete Docter (regista di “Up” e “Monsters & co.”) e Andrew Stanton (regista di “WALL-E” e “Alla ricerca di Nemo”), è incredibile nella sua consistenza, nella sua struttura narrativa ricca e complessa ma allo stesso tempo diretta, coinvolgente ed efficace. Lo svolgimento delle vicende è originale, molti ben pensato, disseminato di ironia e curiosi riferimenti, e raccontato con un ritmo perfetto e in grado di intrattenere ogni tipo di spettatore. 96 | TOY STORY
TOY STORY Uscì nelle sale cinematografiche americane nel novembre 1995, ma solo nel marzo 1996 uscì in Italia. Primo film completamente sviluppato con la computer grafica incassò la bellezza di 357.000.000 $.
I protagonisti Woody e Buzz sono molto simpatici e carismatici, come anche il resto dei personaggi: da Mr. Potato a Rex, da Slinky Dog al malvagio Sid, passando per Bo Peep, Hamm, i soldatini di plastica e tutti gli altri. Sebbene questi ultimi siano a tratti messi da parte, chi più chi meno, tutti i caratteri sono ottimamente trattati coinvolgendo temi come l’invidia, l’amicizia, la gelosia e il coraggio, rispecchiati in maniera brillante attraverso le psicologie ed i comportamenti di ognuno. Insomma, “Toy story” non è certo un film di successo solo per la tecnica avanzatissima ma soprattutto perché è una pellicola con un cuore e un’anima. Perché, come lo stesso Lasseter ha dichiarato, ”la tecnologia non crea i film. Le persone lo fanno. Non sei un animatore solo perché sai muovere un oggetto dal punto A al punto B. Sei qualcuno che dà vita ad un personaggio: un TECNICA ED EMOZIONE | 97
“C’è la capacità di passare da un cinema d’invenzione a uno di emozione a un altro ancora di riflessione senza perdere mai di vista il piacere dell’avventura e della sorpresa”
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera
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qualcosa che i software e la tecnologia non possono e non potranno mai fare”. Tuttavia è facile ricordare “Toy Story” come un film divertente e appassionante. Ha raggiunto un’intera generazione di bambini e adulti, realizzando un’incredibile trilogia di enorme successo. Quello che non è sempre ricordato invece, è quanto è stato fondamentale per il mondo del 3D. E’ stato il primo film completamente realizzato con lo sfruttamento del CGI (Computer Generated Imagery) e ha contribuito moltissimo a formare il ruolo che ha il 3D oggi.
I CGI non hanno solamente fatto esplodere il genere dei film d’azione o hanno costretto a indossare gli occhiali 3D al cinema, loro possono essere la base per raccontare una storia e creare un mondo interno. È stato attraverso un film animato in maniera completamente digitale che Pixar ha dimostrato questo. È incredibile constatare quanto è andata lontano l’animazione 3D da quando “Toy Story” è stato rilasciato nel 1995. La qualità degli ambienti, dei personaggi e dell’animazione si è sviluppata enormemente in questi 17 anni. Basta mettere a confronto Toy TECNICA ED EMOZIONE | 99
Story 1 e Toy Story 3 per notare una decisa differenza, nonostante li abbia prodotti il medesimo studio. La domanda è: dove ci porterà tutto questo? Come la tecnologia migliora di anno in anno, le possibilità del 3D crescono esponenzialmente. La qualità della computer grafica, ormai, non è quasi
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più in discussione. Forse tutto questo porterà il livello tecnico a non essere più così determinante come prima, e le emozioni che l’avventura di questi giocattoli riesce a donare, torneranno ad essere protagoniste ancora una volta.
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intendo e Sony hanno segnato profondamente gli anni ‘90 con le loro creazioni informatiche chiamate rispettivamente Game Boy e Playstation. Parliamo delle piattaforme per videogiochi più famose al mondo, che hanno fatto i record nelle vendite e che non sono mai “passate di moda”. Infatti chi di noi giovani ancora proprietario di una Playstation 1 o di un Game Boy Color non ne è tutt’oggi orgoglioso? È lo spirito del bambino dentro a noi, è ciò che ci fa emozionare ancora delle piccole cose, interessare per un “giochino” vecchio e consunto dal tempo, che pur stringiamo tra le mani per vivere ancora una volta i momenti che sono stati e riconoscere quelle passioni appartenute a giorni così spensierati e incoscenti. Naturale che queste emozioni non si manifestino per tutti con gli stessi oggetti o gli stessi eventi, ma è insito in noi, è lì, aspetta solo di un segno per uscire. Ed è per questo che Game Boy e Playstation sono un elemento indimenticabile... È un inchino alla loro capacità di ricordare a chiunque sia nato negli anni ‘90 (e abbia avuto la fortuna di provarli) la sua infanzia.
Nate entrambe nella metà del 1990, queste piattaforme puntavano a due differenti tipologie di giocatori, proprio per questo le creazioni di entrambe le case produttrici riuscirono a fare successo. Game Boy era un sistema di gioco portatile, infatti per giocare erano necessarie delle cartucce che, inserite nell’apposita cache fornivano l’opportunità di dare inizio al divertimento. Playstation invece si basava sulla lettura dei CD: la console che, opportunamente collegata alla TV di casa, dava l’opportunità di avviare il videogioco.
“I giochi sono sempre stati una grande parte della mia vita. Io ero quel ragazzino che andava fuori di testa sul suo nuovo nintendo” Shaun White
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Ed eccoci giunti a due grandi differenze nel campo tecnico: le scelte grafiche e i videogiochi adottati per quanto riguarda il primo punto, si può notare come la grafica 2D del Game Boy non sia mai stata di tipo avanzato e tale tendenza ad una risoluzione essenziale fu mantenuta nel tempo dai creatori della Nintendo, fino ad arrivare ai giorni nostri con la Wii che sebbene gode dello stesso principio di funzionamento della Playstation non supporta una grafica avanzata. Caso contrario per la console di casa Sony, che puntò e migliorare sempre di più la grafica dei propri videogiochi fino a raggiungere effetti sbalorditivi. La seconda differenza è legata alla scelta dei videogiochi adottati; Game Boy infatti originalmente montava il leggendario Super Mario e il fantastico gioco d’avventura Zelda prima dell’arrivo della saga Pokémon, che fece impazzire gli amanti della
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serie cartoon. Dall’altra sponda Playstation si dava alla produzione di migliaia di giochi differenti, dalle corse agli “sparatutto” fino alla strategia, creando una gamma di giochi che potevano soddisfare chiunque volesse avvicinarsi alla console. Concludiamo dicendo che sicuramente Nintendo e Sony hanno sconvolto gli anni ‘90 con la loro creatività nel campo dei videogiochi (forse anche con modi non del tutto positivi). Lo sviluppo di questo settore della tecnologia ha portato negli anni un miglioramento continuo fino ai giorni nostri in cui ormai sembra che la crescita tecnologica delle console non si possa più fermare. Chissà quali novità ci aspettano per il futuro, nel frattempo però guardiamo al passato e godiamoci le piattaforme più longeve della storia dei videogiochi.
“I’m still a big little kid and I just love toys, you know?” Catherine Bell
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orse non molti lo sanno, ma il web non è sempre stato così libero e accessibile come è oggi. Non è sempre stato dominato dai social network e dai motori di ricerca. Infatti la storia del web è, almeno per quello di massa, abbastanza recente e la sua evoluzione, vertiginosa. L’origine di Internet, invece, risale agli anni sessanta, grazie al progetto del Dipartimento della difesa statunitense denominato ARPANET (Advanced Research Projects Agency Network). È grazie a tale progetto che vengono sviluppati i protocolli di rete basilari per il funziona-
mento di Internet. ARPANET rimase segreta fino al termine della guerra fredda, venendo poi estesa alle università e ai centri di ricerca, continuando con le unità aziendali e arrivando finalmente all’ambiente domestico. Negli anni successivi la rete venne ampliata oltreoceano, comprendendo anche l’Europa. Fu in questa occasione che nacque il primo virus informatico, generato per errore, ma che bloccò totalmente ARPANET per un giorno.
“Il web è informazione, interazione e partecipazione” Curiosità di questo periodo è quella per cui si inizia a parlare di una rete parallela ad Internet. Una rete prettamente militare in grado di controllare le comunicazioni a livello globale. Una rete non molto conosciuta, che si sente nominare a volte nei film polizieschi di vecchio stampo: Echelon. Ma tutto ciò risale alla vita più sconosciuta di Internet, quella in cui ai fruitori era consentito unicamente la visualizzazione dei contenuti, magari con connessioni molto lente. Dal punto di vista dell’interazione non era differente da un libro o da un CD-ROM, un grosso deficit per una tecnologia così potenzialmente rivoluzionaria. In questo scenario le persone che erano in grado di gestire la rete o di creare un nuovo sito web erano davvero poche, in quanto necessitavano di possedere un bagaglio di conoscenze tecniche ed informatiche davvero notevole. Il vero sviluppo si ebbe agli inizi degli anni ‘90 presso il CERN di Ginevra. Qui il ricercatore Tim BernersLee definì il protocollo HTTP, un insieme di regole così ben strutturate che, da allora, sono sempre state utilizzate per il funzionamento di Internet.
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Grazie a questo protocollo, unitamente al linguaggio HTML, nacque il World Wide Web, che da questo momento appare come prefisso di ogni indirizzo web con le ormai classiche “www”. La grande svolta del web inizia qui, facendolo passare da regno di pochi eletti a luogo di interazione tra miliardi di persone.
DIGITAL DIVIDE È il termine con cui si indica il dislivello tra chi ha accesso ad internet e chi ne è invece escluso parzialmente o totalmente. Causato principalmente da motivi economici, esso costituisce un vero e proprio problema poiché contribuisce all’aumento delle disuguaglianze sociali ed incide fortemente sull’accesso libero all’informazione.
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ichael “Air” Jordan, leggenda del basket americano, nasce il 17 febbraio 1963 a New York, nel quartiere di Brooklyn, dove i genitori James e Delores si erano appena trasferiti. La famiglia è di umili origini: il padre lavora come meccanico alla centrale elettrica, mentre la madre ha un modesto impiego in banca.
GLI INIZI Studente medio, ma già atleta eccezionale, brilla nel basket, ma anche nel football americano e nel baseball. Tutto questo però sembra insufficiente per l’allenatore di basket, il quale decide di non sceglierlo per la squadra di quella che in America equivale alla scuola media. Eppure le sue doti emergono: nelle poche partite che gli è consentito giocare conquista in breve la fama di “dunker”, a causa delle bellissime schiacciate che è in grado di effettuare. Dopo un anno di duro lavoro personale viene inserito in prima squadra e diventa subito famoso in tutto lo stato tra i migliori giocatori del campionato scolastico. A fine stagione la squadra di Wilmington è campione e per Michael arriva anche la convocazione per la partita degli all-stars delle High School. Alla North Carolina university, al suo primo anno (1981) segna il tiro decisivo nella finale della NCAA, la famosa lega universitaria americana di basket. Terribilmente assorbito dall’impegno e dalla passione sportiva, abbandona prematuramente l’università. Partecipa alle Olimpiadi di Los Angeles, vince l’oro e approda all’NBA. Al termine della prima stagione viene eletto “Rookie of the year” (matricola dell’anno) e dopo pochi mesi viene votato per partecipare agli All Star Game, che gli permettono di essere messo sotto gli occhi del grande pubblico. LE PRIME DIFFICOLTÀ E I SUCCESSI La seconda stagione però non inizia nemmeno: la causa è un infortunio, il 25 Ottobre 1985, in una partita di allenamento contro i Golden State Warriors. Il risultato sono cinque mesi di stop per una frattura da stress. Il rientro avviene il 14 marzo 1986 quando mancano ancora 18 partite di stagione regolare. La voglia di rivincita è tanta e soprattutto c’è il desiderio di dimostrare che le sue capacità non sono scomparse. Il risultato di questa spinta interiore è eccezionale: nei playoff segna 63 punti contro i Boston Celtics di Larry Bird, la sua miglior prestazione di sempre. Nell’estate 1986 inizia a prendere forma attorno a Micheal Jordan la squadra che diventerà la dominatrice degli anni ‘90. Il terzo campionato NBA è 112 | MICHAEL JORDAN
“È questo il doping del campione vero: la voglia di giocare” SPIKE LEE
per Jordan quello della conferma e della continuità, vince infatti per la prima volta la classifica marcatori con 37.1 punti a partita, una media da fantascienza del basket che forse nessuno riuscirà mai ad avvicinare. Negli 82 incontri di regular season Mike è il miglior realizzatore dei Bulls in 77 partite, segna due volte 61 punti, arriva a 50 in otto partite, ne mette 40 o più per addirittura 37 volte. Supera la barriera dei tremila punti e con 3041 segna il 35% dei punti totali realizzati da Chicago. Tutto ciò non lo distoglie dall’applicazione in difesa: è il primo giocatore della storia a concludere un campionato con 200 palle recuperate accoppiate a 100 stoppate. Dopo le edizioni “Slam Dunk Contest” del 1987 e del 1988 Michael viene consacrato “Air”, per la sua gran- diosa capacità di volare a canestro. Sono
infatti attribuiti a questo evento soprannomi come “His Airness”. Grazie a questi risultati e all’immenso seguito di cui gode negli Stati Uniti, il suo nome e la sua immagine diventano, com’è facilmente immaginabile, una macchina per fare soldi. Tutto quello che tocca diventa oro. Anche il valore complessivo dei Bulls ha avuto una crescita inimmaginabile: passa da 16 a 120 milioni di dollari. Alle olimpiadi del 1992, la squadra statunitense composta da giocatori come Scottie Pippen, Magic John- son, Larry Bird, Charles Barkley, Patrick Ewing, Karl Malone e lo stesso Michael Jordan, conquista l’oro. È in questa occasione che viene coniato il termine Dream Team. È il secondo oro olimpico per Jordan.
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“If you look up the definition of greatness in the dictionary, it will say Michael Jordan” Elgin Baylor
IL PRIMO RITIRO La crisi però è dietro l’angolo; dopo aver ottenuto tutto ciò che era umanamente possibile ottenere come atleta, Michael Jordan annuncia a sorpresa il suo ritiro. Il 6 ottobre 1993 in una conferenza straripante di giornalisti comunica al mondo la sofferta decisione. Lui stesso ammette in una dichiarazione: “Ho perso ogni motivazione. Nel gioco del basket non ho più nulla da dimostrare: è il momento migliore per me per smettere. Ho vinto tutto quello che si poteva vincere. Tornare? Forse, ma ora penso alla famiglia”. A parte queste dichiarazioni “esistenziali”, a incidere sulla sua decisione sono soprattutto due fattori. Il primo è legato alla vicenda del gioco d’azzardo e alle scommesse, il secondo è la tragica morte di suo padre James, ucciso con un colpo di pistola cali114 | MICHAEL JORDAN
bro 38 ai bordi di un’autostrada del North Carolina a scopo di rapina. Quasi un anno dopo il ritiro, il 9 settembre 1994, torna a giocare al Chicago Stadium in una partita di beneficenza tra giocatori NBA organizzata dal suo ex compagno Pippen. La cerimonia avviene dentro ad uno United Center stracolmo, le lacrime si sprecano quando viene alzata sul soffitto la tela della sua maglia: la storia del fantastico ‘Air’ Jordan sembra davvero finita. “Voglio dimostrare di poter primeggiare anche in un’altra disciplina”, sono le prime parole del nuovo Jordan. Ecco allora che il 7 febbraio 1994 firma un contratto con la i Chicago White Sox, squadra della major league di baseball. Un sogno coltivato sin da quando era ragazzino, che però si infrange solo dopo 45 giorni quando si dovrà accontentare della molto
meno prestigiosa maglia dei Birmingham Barons in una lega di seconda divisione. “E’ stato un sogno per me, 16 dollari al giorno per mangiare attraversando le piccole città dell’America in pullman, un’esperienza che mi ha arricchito. Mi ha dato più voglia di tornare a giocare a basket”. I’M BACK! Ben presto dunque torna a casa, dichiarando che la sua esperienza con il baseball è conclusa. I suoi tifosi iniziano a sperare quando si allena per due giorni di fila con i Bulls. La rete televisiva ESPN interrompe i programmi per dare la notizia di un suo possibile ritorno. La Nike invia 40 paia di scarpe ai Bulls, quelle di Jordan. Il 18 marzo alle 11:40 del mattino i Bulls emanano un breve comunicato: “Michael Jordan ha informato i Bulls di aver interrotto il suo volontario ritiro di 17 mesi. Michael Jordan, accompagnato da alcune guardie del corpo, si presenta a una conferenza stampa super- affollata balbettando solo poche parole: “I’m back!” Non ancora appagato dei trionfi ottenuti, decide di continuare per un’ulteriore, forse ultima, stagione.
La marcia dei “Tori” durante la regular season 97-98, anche se non emozionante come le precedenti, è comunque convincente. L’esito è sempre lo stesso. I Bulls arrivano al sesto titolo, forse l’ultimo, come detto, per Michael Jordan, che intravede all’orizzonte sempre più da vicino il momento del ritiro definitivo. Si ritirerà ripensandoci per ben due volte, fino al ritiro definitivo nel 2003. Michael Jordan lascia i parquet con un interminabile numero di record alle spalle e, insieme a questi, l’idea di un atleta, un giocatore, ma soprattutto di una persona che ha superato se stesso, sfidato tutto e tutti, ed ha vinto.
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“I’ve missed more than 9000 shots in my carrer. I’ve lost almost 300 games. 26 times, I’ve been trusted to take the game winning shot and missed. I’ve failed over and over again in my life, and that is why I succeed”
#23 MICHAEL JORDAN HERE COMES HIS AIRNESS | 117
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bbene si, la maturità è giunta. È una fine ed un inizio, un traguardo ed una partenza. Cinque anni passati così velocemente che a volte, guardando fuori, ci si accorgeva che era giunta la primavera, mentre sembrava di aver appena passato il Natale. Cinque anni di studio, di lavoro pratico, di litigate tra compagni e di momenti di gioia. Cinque anni dove siamo cresciuti insieme, abbiamo preparato le basi per il nostro futuro grazie all’aiuto dei docenti e abbiamo maturato l’idea che, una volta fuori dalla scuola superiore, saranno le nostre abilità coltivate qui dentro a farci fare strada nel mondo. Non c’è modo migliore per concludere questi cinque anni: Nineties (in italiano “Anni 90”), è un progetto nato in occasione del nostro ultimo anno prima del fatidico esame di maturità; ma non è solamente per questo evento che lo abbiamo realizzato. Nineties è un ritorno alle origini, un tentativo di recuperare ciò che è stato significativo nel decennio che ci ha visti nascere e crescere, un momento che ci viene concesso per verificare cosa abbiamo appreso in tutti questi anni di scuola, per capire chi siamo e, soprattutto, cosa vogliamo. Molteplici fattori hanno cooperato nella realizzazione di questa rivista. Non ultimo tra questi vi è sicuramente la collaborazione tra due persone completamente diverse, accomunate solamente dalle loro idee e dalla loro amicizia. Questo aspetto è stato davvero interessante e qualche volta problematico, ma spesso molto bello: l’organizzazione, il venirsi incontro a seconda degli impegni, la difficoltà di interagire lasciando comunque un margine per esprimere la propria individualità. Ci siamo aiutati; sguardi d’intesa, parole confortanti e qualche pacca sulla spalla hanno reso possibile il mantenimento di un clima di collaborazione ottimale anche nei momenti di sconforto. Abbiamo potuto assaporare cosa vuol dire “l’unione fa la forza”; abbiamo lasciato da parte il nostro egocentrismo e ci siamo sorretti a vicenda... Anche perché forse la scuola è un po’ carente in questo, in quanto forma individui in modo da essere quanto più autonomi possibili, dimenticando che fuori, nel mondo, da soli non si viene a capo di molto. Ma torniamo alla rivista... Lo scopo di questo progetto non è quello di riassumere appieno la trama storica degli anni ‘90 (un’impresa quanto mai ardita), ma è quello di mettere in piena luce gli eventi e i momenti che risaltano nella memoria di un adolescente italiano nato in quel decennio. Su questo presupposto è facile trovare altri elementi, ampia122 | NINETIES
mente condivisibili, che avrebbero tutte le carte per essere inseriti in questa rivista. Si tratta quindi di una visione molto soggettiva legata alla nostra vita, che riflette le nostre passioni e interessi; tutto ciò cercando di mantenere un occhio curioso e una mente quanto più aperta possibile. Come appena detto è una visione soggettiva, ma non superficiale. Ci siamo noi in questi articoli. Le nostre idee, il nostro senso critico di fronte ad eventi di enorme portata; la nostra volontà di scrivere i fatti come sono stati, e non come ci sono stati raccontati. Il tutto accompagnato da citazioni, non quelle semplici citazioni legate al senso della vita, ma frasi pronunciate da personaggi che hanno testimoniato ciò in cui credevano; loro hanno creduto in un sogno, loro hanno raggiunto uno scopo. Si è andato così a costruire un sentiero che parte dall’onda delle manifestazioni per la fine della Guerra del Golfo, passando per la rabbiosa rivoluzione Grunge, continuando verso l’impegno costante di Greenpeace e Emergency, soffermandosi sul magico mondo del cinema e sulle molteplici innovazioni tecnologiche, sognando sulle parole di scrittori come J.K. Rowling, Enrico Brizzi o Jon Krakauer, arrivando infine allo spettacolo dell’NBA con Michael Jordan. Siamo a conoscenza che resta comunque un progetto molto ambizioso per due diciottenni, ma, come già detto, le motivazioni che ci hanno spinto a farlo sono, a nostro avviso, sufficienti per consentirci di realizzare un lavoro significativo. Una collaborazione che probabilmente non ci sarà più, entrambi ora prenderemo le nostre strade, perseguiremo i nostri obbiettivi, che molto probabilmente saranno distanti da questo tipo di lavoro. Dentro di noi però porteremo sempre quest’esperienza, che non è stata un lavoro tra due colleghi, ma il sogno di due amici. Ringraziamo nel modo più sincero possibile quanti hanno avuto una parte in questo progetto ed in particolare il professor Mauro Cassiani e il professor Fabio Mialich per aver collaborato nella realizzazione contenutistica e grafica. Inoltre ringraziamo i componenti delle classi 5 ITI A e B dell’Istituto Salesiano San Marco, quali compagni delle fatiche che ci porteranno all’esame di maturità, che tuttavia non si sono risparmiati nell’offrire consigli, suggerimenti, materiale e sostegno morale… Senza di voi tutto ciò non avrebbe visto la luce. Enrico e Matteo
La Via prosegue senza fine lungi dall’uscio dal quale parte. Ora la Via è fuggita avanti, devo inseguirla a ogni costo rincorrendola con piedi alati sin all’incrocio con una più lunga dove si uniscono piste e sentieri. E poi dove andrò? Nessuno lo sa. J.R.R. Tolkien
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