Matteo Innocenti Gradienti
la c.
Questo libro è pubblicato da
la centrale edizioni un nome collettivo senza scopo di lucro, fondato in sud Europa nel 2018 no ISBN printed in Italy
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La collana
la c. è realizzata con il supporto della Fondazione Lac o Le Mon vol. 26, luglio 2019 stampato in 50 copie
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Parole
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Venuta nell’istante come un niente e uguale a una divinità ora crea, s’esprime in versi più profondi dei giorni ché alcun giorno ha senso, supera, per così dire, le cadute a cui ogni corpo soggiace, nell’assenza di grazia la poesia benedice l’esistenza anzi di condanna, s’insinua nelle storture perché il cielo con la sua luce nutra.
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Avvitarsi verso desideri che non compiranno in realizzazione perché solo un’immagine vorace o troppo spinta ci ha trascinati ad essi senza porvi resistenza, la vita fatta gioco d’inseguimento e umiliata nella sua sostanza fino a che almeno altro dominio di mente, raffrenata, non riporti noi a noi il controllo, vedo così stuole di corpi giovani cadervi e doverne soffrire… un po’ come noi facemmo, noi che eppure avemmo un vento più caldo d’estate e ci siamo rialzati, certo, e lo faranno anche loro per la legge della somma che torna costante, ma in tutto questo resta un che di marcio, agognammo i principi e il loro splendore, la bellezza di corpo e diademi delle imperatrici o i palazzi regali d’infinita altezza, ammirammo la realizzazione umana più distillata ed estrosa, allora, e restiamo senz’altro di così notevole da rimirare. Il tempo è sconnesso, sgangherato oppure noi non abbiamo più occhi.
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Di pena in pena sull’affaticarsi del lavoro s’adegua la mente, dapprima furono pietre per smusso e collettivo costruire o prima ancora il seme che generasse di regola fertilità, ma non importa, quasi non lo ricordiamo, ci impiegammo troppo da rendere lo strumento fine ed esso sogno d’esistenza, equivalenti all’immagine del dare effettivo e pragmatico, il calcolatore che non s’interrompe e le sue trasmissioni rendono appena differente il compito, più agevole per degli aspetti più ostico per altri, solo ciò, anime sbevute di virtualità che unisone cantiamo doo doo doo doo doo di svaghi, di offese, di apparire, di pareri ma niente ancora di affrancamento.
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Dopo la questua dei santi da combattimento furono eletti in trono, piccolo, ma pur sempre in trono; lo scettro di colpo dava loro l’autorità non tanto a decidere: a essere rispettati come e quando, dall’altra parte i corpi o le identità stavano ammucchiandosi via via che s’inaspriva il vento, poco potevano, quasi un niente, opponendosi alla mossa e non alla regola per una reale paura di disfarsi, gli istituti file ordinate e lunghe di troni, piccoli, riempiti si svuotavano senza tema di polvere, sarebbero stati di nuovo riempiti domani da sederi fasciati in fibra contro vento, i santi così divennero secolari.
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Echi
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Louis-Ferdinand Céline (o Dott. Destouches) Ruzzolar giù di parole in discesa che s’inseguono o meglio parola mangia parola nel cannibalismo del linguaggio… … la terribile tosse del dottor Destouches insistente come una sessione jazz scomposta a orbitare nella gola era farsi di scrittura già disfatta nell’oblio come un suono e nient’altro, né più né meno di tre puntini d’inchiostro sul mondo intero un sapore nero di umana miseria.
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Stéphane Mallarmé Una pagina vuota per versi perfetti il tuo punto d’arrivo. Nomi desideravano sottrarsi all’errore da restare cristallo, frasi vaghe compiutamente contro le imprese interrotte dal mondo. Davvero, un colpo di dadi non abolirà mai il lavorio prezioso ritmato di poeta, l’uomo che cercò nell’arte sua un risuonare universale.
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Fëdor Dostoevskij Dal gioco per il gioco all’eeepilessia il dono della scrittura, il macigno più potente per affrontare la natura umana col suo scatenarsi, ogni tuo romanzo gigante russo eppure così piccolo ogni tuo romanzo avvenne nell’istante della grazia alla tua fucilazione. I tomi portentosi infinita variazione di una cosa: uccidere — la possibilità del male, la sua scelta, Dio essere noi nella libertà.
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Carmelo Bene L’essere a latere oscenità d’ogni scena per la sua voce più simile tra i vivi a quella tuonante di un Dio, era quel dire un non detto a sperdersi, transeunte continuo dell’io nell’oblio: significante occidentale.
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Albert Camus La calma silenziosa vicino alla solitudine a dominio della sua intelligenza smuove le pietre di Algeri quanto la folla parigina, i nodi della letteratura e della filosofia… Di sé straniero un uomo retto e onesto rivoluzionario più di quanto potrebbe apparire, e poi anche una fine suo malgrado, da maledetto, la strada che si interrompe in un botto prendendogli la vita, sul sedile posteriore riverso l’editore esanime al vento dell’impatto scombinate nuove pagine in attesa, che cosa resta di tutto ciò, se non la traccia di un pensiero e la sua lapide d’integrità?
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Viaggi
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Leggo di un beat e di un suo desiderio d’Europa sogna, una terra diversa ed antica divisa fino all’irriconoscibile, mi stendo alla luce ricca e secca di un sole mediterraneo e divido quel sogno con il poeta e al sogno aggiungo altro sogno, è quello dell’America terra moderna di acciaio e mattoni neon artificialmente caldi in inverno mi vedo! percorrere infinite vie di terra rossa un compagno ogni mille chilometri e una pompa di benzina, senza denaro perché non l’ho mai avuto. Io e lui in questo momento non possediamo niente, solo aria che sulla nostra faccia si aggiunge ad altra aria ma smettendo di pensare e di sperare rimarremmo con molto meno.
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Scendendo dall’altopiano giunti al suo limite basso ci venne detto che il paese sarebbe morto il giorno stesso. Troppa polvere consumava le opere contro un fare stanco degli uomini e delle donne indigeni di secoli, alcuna salvezza nÊ sarebbe valsa la pena, il profeta insistette a rimirarci negli occhi e forte disse che stava parlando stava parlando del nostro avvenire. Volle ritrarsi nelle pagine del suo QohÊlet. Noi, quella sera, non cenammo.
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Dalla linea del gelso acquatica, si partì un nuovo inizio, in qualunque posto qui il pensiero ha creato visioni d’avvenire: naviganti di un sughero ai lati di vegetazioni pluviali un confine rosso privo di peso stante a traccia di eccidi sepolti, la città divenne di fosforo colma d’elettricità coi furbi aitanti che offrivano passaggi, da gusci di testuggine ci venne letto il futuro quando il cielo schiarì d’un tratto, avemmo da proseguire la linfa non s’era evaporata i quattro punti cardinali divennero occasione per legami tra popoli sconosciuti, i passi come impronte affondate nella sabbia e nel fango dopo l’asciutto di terra battuta per chiuderci nella tecnica di una banca capitale, infine il volo, il volo a respiro perso, la natura prese a rimangiarsi tutto, essa dominava e solo a lei si poteva andare.
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Tornate, vi prego tornate indietro il filo impossibile vostro Parche a mostrare che cosa sia stato giusto prima di adesso giusto prima di esserci, slegate il vostro cappuccio perché dalla bruttezza di volto avuto in sorte si riveli il sapore denso del classico. Dal pensiero dell’in-conosciuto hai avuto il tuo primo pane mondo vivente nostro (donna, uomo) e le opere presero avvio: il frego dei Sumeri fu scrittura esordio di terra, d’astrologia, al sole secco di Grecia maturò il frutto di olivo succhiato per accesso a Sophía, gli Egizi vollero di balsamo lo splendore del proprio governo sacrale, mentre più su del mediterraneo, germinava il seme razionale, prospettico di lettera e calcolo non dirò d’altri; ma sempre siamo stati, abbiamo percorso ogni strada tracciata, spenta ogni rivoluzione, morte, basta il tempo di un sogno, una concentrazione languida di misticismo a ritrovare la mente, di pieghe, che sa ricordare tutto e rivede tutto.
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Serali
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In accordo ai tuoi desideri si sciolgono brine ataviche si legano brezze alla ricerca di un cuore Mia donna futura da un cupido giocoliere distratta e poi attratta e poi in certo modo convinta Esisterai per uno strano caso di destino esisterai come un sorriso a metà mentre tendo all’ascolto Di trama distante che possa tenerci insieme di note unite ad armonia.
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Vedeva farsi tramonti a immagine del tempo nella sua vita, contante i giorni la clessidra di sabbie colorate strana lì sul comò, s’inverdiva l’erba anno ad anno e qualcosa pur cambiava (davvero?) negli eventi e nel provarli. Senza rumore restava adagio da una seduta di veranda giusto oltre l’angolo, e ancora non sapeva se li attendesse il grande spavento, quell’ultimo di cui sempre parlavano.
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Perché i suoi seni ben fatti dovessero restare un mistero, perché la mano che al tramonto correva veloce poco prima sparisse, perché i suoi occhi di taglio non riuscisse a vederli. Erano storie d’amore postume e mai esistite, infinite come l’accadere del mondo. Erano storie d’amore irrealizzate al modo del suo cuore spalancato e sordo. Alzò il collo del pastrano tenendosi al guinzaglio, in fiocchi la neve all’ora serale. Dlon, un richiamo da un piccolo triangolo o da una voce amica. La strada tornò a correre dalle orme, fino ad accorgersi che ogni altro essere già era rientrato.
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Poco scorrono, come foglie adagiate in assenza di vento questi giorni di calma e solitudine. Intorno all’aurora si dipinge un pensiero violetto che già porta la sera, lì mi sento svuotato. Vedere una casa due volte è sentire un gusto di morte, da quando ci sono i tuoi occhi vivo nel dubbio di perderli.
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Sono certo, nell’adorazione di te diventa infinita ogni cosa.
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Gradienti di Matteo Innocenti Poesie sparse scritte in periodi differenti, ora in una qualche disposizione, con interlinea 11,1 (tre volte uno)
vol. 26, 2019 50