M ARINA
n o T I Z I A R I o de l l a
A n n o L X I V - F E B B R A I o 20 1 7 - € 2 ,0 0 -
SOMMARIO FEBBRAIO 2017
Il Notiziario della Marina è una testata giornalistica della Marina Militare fondata nel 1954 Registrazione Tribunale di Roma n.396/1985 dell’ 8 agosto 1985 Proprietà Ministero della Difesa Editore Ministro della Difesa
DIRETTORE RESPONSABILE Antonio COSENTINO
In copertina: operatori del G.O.S. durante un’attività addestrativa in mare. (foto di Rosario Caruso)
REDAZIONE:
Luciano REGINA, Pasquale PRINZIVALLI, Emanuele SCIGLIUZZO Per la collaborazione a questo numero si ringrazia Anna Romano dell’Università di Roma Tor Vergata e la sezione Cinefoto di Upicom.
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L’editoriale
D IREZIONE E R EDAZIONE : Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione della Marina - Notiziario della Marina piazza della Marina, 4 - 00196 Roma tel. 06.3680.5556 mail: notiziario.marina@gmail.com segreteria e abbonamenti tel. 06.36806318 partita iva: 02135411003
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Situation Report
N ORME
PER LA COLLABORAZIONE
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di Antonio Cosentino
Nave Carabiniere, la sosta a Sidney di Antonio Cosentino
Due G.O.S. sotto il ghiaccio di Giampaolo Trucco
Italia - Libia obbiettivo formazione di Giuseppe Mirto
L’evoluzione della subacquea di Giampaolo Trucco
La classe Costellazioni nella lotta antinquinamento di Ilaria Cerra
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Nave Scuola Amerigo Vespucci, ottantasei e non sentirli di Antonio Cosentino
Avvenimenti e curiosità in breve di Emanuele Scigliuzzo
Allenatori di Marina : Paolo Fava di Emanuele Scigliuzzo
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Editoriale
di Antonio Cosentino
uesto mese ricordiamo il compleanno della nave più longeva della Marina, motivo di orgoglio per il nostro Paese. Nave Vespucci compie 86 anni, era infatti il 1931 quando salpò in mare per la prima volta attraverso il golfo di Castellammare di Stabia. Molto più di una semplice nave scuola, rappresenta l’unione tra passato e futuro della nostra Marina, portatrice di valori e tradizioni che ogni marinaio conosce e tramanda. Continua la campagna di nave Carabiniere con una sosta nella città di Sidney. Ad accogliere la nostra FREMM, c’erano la ministra della Difesa senatrice Roberta Pinotti e il capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Valter Girardelli, che ha voluto ricordare l’importanza della cooperazione tra Italia e Australia. L’obiettivo della visita della ministra Pinotti, era proprio quello di rafforzare la partecipazione tra i due paesi contro la minaccia globale del terrorismo. Tra gli altri argomenti di spicco, il termine della 32° spedizione Italiana in Antartide che ha visto impegnati due palombari di Comsubin, che con i loro interventi hanno permesso di controllare e prelevare le informazioni sulle dinamiche del benthos antartico, sulla fauna e flora subacquea e sul mareografo installato a circa 30 metri di profondità. Proprio ai palombari e all’evoluzione della subacquea è dedicato lo speciale di questo mese. Ripercorriamo insieme la nascita, la storia e le curiosità sull’attività subacquea in Italia, in un inserto che può essere staccato e conservato! Per la prima volta nella storia è stata impiegata un’Unità della Marina Militare per un’attività formativa così complessa, si è appena conclusa infatti, la prima fase addestrativa a favore della Lybian Navy/Coast Guard a bordo dell’Unità anfibia San Giorgio. Completano il numero un approfondimento sulle attività della Marina contro i pericoli derivanti dall’inquinamento e la rubrica sugli allenatori di Marina. Un particolare del giardinetto di poppa della nave scuola Amerigo Vespucci. (foto: Silvio Scialpi).
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oceano atlantico
mar
mar mediterraneo
Situation Report febbraio 2017
con la collaborazione della sala monitoraggio 3° Reparto - Stato Maggiore Marina
nero
Sea Guardian
Operazione di sicurezza navale dell’Alleanza Atlantica: Pattugliatore di Squadra: Aviere.
Unifil
Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite. Personale Marina Militare.
Operation Inherent Resolve
Operazione di contrasto del terrorismo islamico. Gruppo Operativo Incursori.
Combined Maritime Forces
Forza marittima multinazionale per la sicurezza marittima nella regione (Bahrain) personale Marina Militare.
Resolute Support Mission
Missione Nato di assistenza e supporto alle forze di sicurezza e istituzioni dell’Afghanistan. Gruppo Operativo Incursori e personale Brigata Marina San Marco.
M.F.O.
golfo arabico
Controllo e verifica della libertà di navigazione nello Stretto di Tiran. Grupnavcost 10: pattugliatori Esploratore, Sentinella e Vedetta, personale Brigata Marina San Marco.
Eunavfor-Med
Operazione di contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo. Portaeromobili Garibaldi.
BMIS Gibuti
Base Militare Italiana di Supporto in Gibuti. Missione di supporto tecnico-logistico alle forze nazionali in transito/sosta. Personale Marina Militare.
Operazione Mare Sicuro
Operazione di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mediterraneo centrale per la tutela degli interessi nazionali. Fregate: De La Penne(flagship), Margottini, Grecale. Pattugliatori: Cigala Fulgosi,Vega.
Vi.Pe. Costant Vigilance
Attività di presenza/sorveglianza Vigilanza Pesca/Controllo flussi migratori. Pattugliatore: Orione, Sirio. Corvetta: Driade.
Joint Operation Triton
Operazione congiunta di controllo delle frontiere esterne della U.E. sotto l’egida dell’agenzia Frontex.
South-East Asia & Australian Campaign nave Carabiniere.
Nave Carabiniere, la sosta a Sidney
di Antonio Cosentino
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a campagna di nave Carabiniere passa per Sydney dove, per l’occasione, si è recato anche la ministra della Difesa, senatrice Roberta Pinotti, in visita ufficiale su invito della collega ministra Marise Payne. Durante la sosta anche il saluto al personale dell’Unità della Marina. Ad accoglierla il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Valter Girardelli, che ha voluto ricordare l’importanza della cooperazione tra Italia e Australia. A bordo della stessa FREMM, la firma del protocollo di intesa tra la federazione delle Aziende Italiane per l'Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD), rappresentata dal suo presidente, Guido Crosetto, e dai suoi omologhi, Alan Rankins e Peter Burn, a capo delle organizzazioni di industriali del settore difesa rispettivamente AIDN e AI Group. L’obiettivo della visita della senatrice Pinotti
Australia, Sydney 16 febbraio 2017. Nave Carabiniere nelle acque della baia di Sydney, sullo sfondo l’Opera House.
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L’obiettivo della visita della ministra Pinotti è stato quello di rafforzare la cooperazione bilaterale tra i due paesi.
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Nave Carabiniere, la sosta a Sidney
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è stato quello di rafforzare la cooperazione bilaterale tra i due paesi, che condividono una visione globale riguardo i temi di difesa e sicurezza, anche in ragione dei diversi progetti in comune, creando nuove partnership che abbiano importanti ricadute in termini di occupazione, tecnologia, cantieristica navale e progetti militari. Temi evidenziati dalla ministra Pinotti durante i numerosi incontri istituzionali svolti a Sydney, dai quali è emersa la volontà di consolidare la cooperazione nel comparto della Difesa a “360 gradi” sia nel settore prettamente operativo, sia in quello industriale, definendo progetti ad ampio spettro. Italia e Australia sono distanti da un punto di vista geografico ma, ha evidenziato la ministra della Difesa, hanno “comuni punti di vista su come sconfiggere la minaccia
globale rappresentata dal terrorismo”. Il riferimento “all’approccio italiano”, divenuto ormai un elemento caratteristico delle nostre Forze armate che operano in teatri internazionali, è riconosciuto a livello globale: “sia che addestrino la guardia costiera libica - nell’ambito dell’operazione Sophia - sia che formino le truppe locali irachene per sconfiggere i terroristi – ha detto la Ministra - hanno la capacità di entrare in relazione, e trasmettere il messaggio che l’obiettivo sicurezza è un obiettivo condiviso”. La visita è stata contrassegnata anche dai tanti incontri con i rappresentanti della comunità italiana ai quali, la ministra della Difesa, ha rivolto il suo ringraziamento per l’importante ruolo svolto nella promozione della cultura del nostro Paese. La campagna di nave Carabiniere continuerà
in Indonesia, Malesia, Oman, Pakistan, Singapore e Sri Lanka. La sosta in Malesia vedrà la partecipazione della Nave alla Langkawi International Maritime and Aerospace Exhibition 2017, la più importante esposizione del settore Difesa del Sud Est Asiatico. Nave Carabiniere sarà anche impegnata in attività addestrativa congiunta con le marine locali oltre a condurre attività di dialogo e cooperazione, nonché di Maritime Capacity Building, conferendo alla campagna una importante valenza nel campo dell’assistenza e supporto umanitario. Nel corso del suo viaggio la nuova FREMM promuoverà le eccellenze italiane attraverso l’organizzazione di eventi sociali, culturali e di promozione dell’immagine dell’Italia, in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche nazionali nei Paesi ospitanti.
Nave Carabiniere è espressione di uno sviluppo sostenibile del nostro Paese, in un contesto dove la marittimità rappresenta una risorsa fondamentale per la crescita commerciale, occupazionale e tecnologica. La nuova Unità della Marina Militare viene considerata un gioiello dell’industria italiana della difesa, si inserisce in un vasto programma al servizio del Sistema Paese, rappresentato dal personale della Marina e dalle navi della Squadra Navale, che svolgeranno diverse attività addestrative e di relazioni internazionali. In questa ottica il progetto, che vede la collaborazione di numerosi partner industriali tra cui Fincantieri, Leonardo, Elettronica MBDA Italia e Telespazio, costituisce anche una vetrina internazionale per l'industria italiana, a sostegno del “Sistema Italia”.
In alto a sinistra: La ministra della Difesa, senatrice Roberta Pinotti incontra la ministra australiana della Difesa, senatrice Marise Payne per discutere di cooperazione e di difesa marittima tra i due Paesi. A seguire: la senatrice Pinotti e il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Valter Girardelli, incontrano le comunità italiane locali; nave Carabiniere nelle acque della baia di Sydney; In alto: il comandante dell’Unità, capitano di fregata Francesco Pagnotta impegnato in plancia. Sopra: la ministra Pinotti durante il suo discorso a bordo dell’Unità. (foto: Donato Montemurro).
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DUE G.O.S. SOTTO IL GHIACCIO
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di Giampaolo Trucco
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32 volte Antartide
n questi giorni è terminata la 32° spedizione Italiana in Antartide che ha visto impegnati due Palombari di Comsubin nella delicata missione di coordinare le immersioni a carattere scientifico e logistico che si sono svolte nelle acque della base Mario Zucchelli. Tale attività è una conseguenza dell’accordo siglato con l’ENEA che sancisce l’adozione delle norme per le immersioni della Marina Militare nell’ambito delle spedizioni italiane in Antartide, nonché la primazia professionale
degli uomini del Gruppo Operativo Subacquei nella direzione di tutte le operazioni subacquee. Giunti in area il 15 novembre 2016 attraverso un volo organizzato dal P.R.N.A. (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide) che è atterrato su una pista di ghiaccio consolidatosi sul mare durante l’inverno, gli uomini di Comsubin hanno immediatamente approntato le attrezzature necessarie a condurre le attività d’immersione in condizioni estreme, garantendo la piena efficienza sia delle
dotazioni individuali (gran facciali, erogatori, mute stagne, ecc..), sia degli impianti a supporto della sicurezza delle immersioni, come la camera iperbarica ed i compressori per la ricarica degli autorespiratori. Le operazioni subacquee, iniziate il 23 novembre 2016, sono state condotte sotto il ghiaccio ed in acque libere per un totale di oltre 20 ore d’immersione alla profondità media di 25 metri e ad una temperatura dell’acqua di -1.8°C. Gli interventi effettuati dai team guidati dai Palombari della Marina, hanno permesso di controllare e prelevare le informazioni sulle dinamiche del benthos antartico, acquisite dalle attrezzature del progetto Ice Laps, prelevare numerosi campioni di flora e fauna subacquea
secondo le richieste che, di volta in volta, venivano rappresentate dal personale scientifico e recuperare il mareografo installato a circa 30 metri di profondità per scaricarne i dati e, una volta manutenuto, riposiozionarlo in loco. Particolare soddisfazione per gli esiti dell’operazione è stata rappresentata dal dott. Stefano Schiapparelli dell’Università di Genova, ricercatore del progetto Ice Laps e Direttore del Museo Nazionale dell’Antartide, che ha ringraziato gli operatori del G.O.S. non solo per il lavoro svolto nel loro specifico settore, ma, soprattutto, per gli interventi migliorativi che i Palombari di Comsubin hanno apportato alle apparecchiature subacquee utilizzate nell’ambito del progetto stesso.
Alcune fasi dell’attività svolta tra i ghiacci dell’Antardide dai due operatori del G.O.S., durante la 32^ edizione della spedizione italiana nell’emisfero australe.
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ITALIA-LIBIA OBIETTIVO FORMAZIONE
Con lo sbarco degli 89 trainees libici si è conclusa la prima fase addestrativa svolta interamente per mare - a favore della Lybian Navy/Coast Guard a bordo dell’Unità anfibia San Giorgio.
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di Giuseppe Mirto
er la prima volta nella storia è stata impiegata un’Unità della Marina Militare per un’attività formativa così complessa. Gli 89 militari della Lybian Navy/Coast Guard hanno terminato la prima fase di addestramento ricevendo il brevetto a bordo di nave San Giorgio. La cerimonia di consegna dei brevetti si è svolta nella splendida cornice di La Valletta, alla presenza della ministra della Difesa,
senatrice Roberta Pinotti, del primo ministro maltese Joseph Muscat e dall’Alto Rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, del Capo di Stato Maggiore della Difesa Italiana, generale Claudio Graziano, autorità militari e civili libiche e maltesi. L’attività addestrativa appena conclusa è solo la prima di tre che ha visto la formazione di ufficiali, sottufficiali e marinai imbarcati su nave San Giorgio. Il personale dopo questa fase è stato abilitato come istruttore, quindi formatore per equipaggi libici. La collaborazione della Forza Navale Europea con la nascente Lybian Navy/Coast Guard, nasce lo scorso 20 giugno con la firma del Memorandum of Understanding da parte del Comandante dell’Operazione Sophia, ammiraglio Enrico Credendino, e del Commodoro Abdalh Toumia, Comandante della Guardia Costiera Libica. L'obiettivo della formazione è quello di ottenere una maggiore sicurezza marittima consentendo alla Guardia Costiera Libica di riacquisire il controllo dei mari territoriali oltreché contrastare ogni forma di traffico illecito sul mare incluso il traffico di esseri umani.
L’evoluzione della subacquea
dal 3000 a.C. al 1939 di Giampaolo Trucco
L’evoluzione della subacquea in Italia dal 3000 a.C al 1849
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d una prima e superficiale analisi la subacquea potrebbe essere considerata una disciplina relativamente moderna, sviluppatasi grazie all’evoluzione delle tecnologie degli ultimi due secoli. Con il seguente articolo intendiamo raccontare una storia che è molto più lontana nel tempo e che, addirittura, può essere ricondotta ad oltre 50 secoli fa. Benché durante una campagna di scavi archeologici condotti tra le rovine di Babilonia siano stati rinvenuti antichissimi oggetti ornati di madreperla risalenti a 4500 anni fa, considereremo quale primigenia attività subacquea quella condotta nel 3000 a.C. da alcuni pescatori di corallo egiziani che permettevano la realizzazione di meravigliosi monili e gioielli. Intorno al 2000 a.C. i pescatori di Creta raccoglievano spugne, mentre indiani e cinesi pescavano ostriche per la raccolta delle perle e l’utilizzo della madreperla. Se da queste prime analisi è solo possibile dedurre che sia stata effettuata una qualsivoglia attività subacquea, risulta invece molto interessante quanto è rappresentato in un bassorilievo assiro del IIIV secolo a.C. L’immagine impressa nella pietra mostra dei soldati che, per attaccare città, vi si avvicinano nuotando sott’acqua ed utilizzando un otre per respirare: il primo autorespiratore della storia. Lo storico greco Erodoto, nel 420 a.C., descrisse le imprese di Scyllias, il più abile "palombaro" del tempo, specializzato nel recupero di relitti. Costui riuscì a riportare in superficie i tesori della flotta persiana di Serse. E divenne così celebre che la leggenda gli attribuì un percorso di tre miglia sott'acqua. La figlia di Scyllias, Cyana, per
Genova, 1849. Scuola Palombari. Nella pagina precedente: Lo scafandro rigido articolato Mac-Duffy, dotato di cuscinetti nelle articolazioni.
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La subacquea, considerata una disciplina relativamente moderna, sviluppatasi grazie all’evoluzione delle tecnologie degli ultimi due secoli, ha una storia che può essere ricondotta ad oltre 50 secoli fa.
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aver reso gli stessi servigi ebbe l'onore di avere una propria statua nel tempio di Apollo a Delfi (Grecia). In un vaso greco del periodo è rappresentata una scena subacquea dove Cyana, dotata di tubo per immersione un oggetto reinventato 25 secoli dopo col nome di snorkel, osserva il padre Scyllias tagliare le cime delle ancore delle navi di Serse. Solo 6 anni dopo il racconto delle imprese di Scyllias si ha la testimonianza scritta della prima incursione subacquea, lo storico greco Tucidide descrive un'azione di guerra condotta da sommozzatori: nell'assedio di Siracusa condotto dai Greci nel 414 a.C. abili tuffatori riuscirono a segare le palafitte che proteggevano gli ormeggi delle navi siracusane. Nella sua opera "Problemata" il filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.) accennò al problema della respirazione subacquea, e suggerì che gli uomini sott'acqua avrebbero potuto procurarsi aria da vasi capovolti, calati in modo che fosse l'aria e non l'acqua a riempirli. In pratica lo stesso principio della moderna campana subacquea. Sembra, infatti, che Aristotele fosse riuscito
a costruirne il primo modello. Si tramanda poi la leggenda che attribuisce ad Alessandro Magno la realizzazione della prima campana per immersioni. Sembra che nel 322 a.C. si sia fatto costruire una campana di cristallo, realizzata su progetto di Aristotele, che gli abbia permesso di scendere a 10 metri di profondità. In tempi più recenti, gli storici romani Plinio il Vecchio e Tito Livio del I secolo d.C. riferirono di guerrieri romani particolarmente addestrati nel recupero di valori affondati. È noto inoltre che tra i ranghi della Marina di Roma ci fosse anche uno speciale corpo costituito da abili sommozzatori, detti urinatores, addestrati ad attaccare le navi nemiche portando con loro gli arnesi adatti a forarne le carene. Nel sesto secolo d.C. lo scrittore latino Vegezio, nel suo trattato "De Re Militari" (ristampato nel 1553) descrisse apparecchi respiratori e scafandri di cuoio riforniti d'aria mediante tubi. Questi apparecchi, tuttavia, presentavano gravi inconvenienti, dovuti all'imperfetta impermeabilità e alla cattiva erogazione d'aria. Si preferirono quindi per molto tempo ancora le im-
mersioni libere. Nell'opera "Mundus subterraneus" (1665) dell'erudito gesuita Athanasius Kircher sono riportate le prodezze del siciliano Pescecola (Nicolò Pesce), che Federico II di Svevia (XIII sec) mise alla prova più volte nel ricercare e recuperare oggetti che lui stesso gettava nel mare. Nel 1191, durante l'assedio di San Giovanni d'Acri in Palestina condotto dai Crociati, il Saladino affidò al marinaio Ah san al Ghawasin il compito di portare messaggi e denaro nuotando sott'acqua, grazie a un apparecchio respiratore, allo scopo di rompere l'assedio. Come rappresentato nel Codice Atlantico (1490), Leonardo da Vinci progettò particolari scafandri di cuoio, dotati di sacche d'aria da portare sulle spalle e pinne da applicare ai piedi, che erano dotati altresì di speciali apparecchi che assicuravano la respirazione attraverso una presa galleggiante e affiorante sulla superficie una ricostruzione del vestito pensato da Leonardo. In seguito, fra il 1600 e il 1700 apparvero diversi progetti, più o meno interessanti, che illustravano palombari muniti
di scafandri di cuoio presenti nelle opere di Kaspar Schott, Fausto Veranzio, Buonaiuto Lorini e Giovanni Alfonso Borelli. Quest’ultimo progettò un apparato per immersioni con un tubo d’aria a volume regolabile. In esso il subacqueo respirava all’interno di un casco realizzato in cuoio cotto il cui volume, al crescere della pressione idrostatica esterna, veniva compensato attraverso un polmone artificiale azionato a mano. Ovviamente questo sistema avrebbe potuto funzionare solo in prossimità della superficie a causa delle limitate capacità di bilanciamento del polmone artificiale. Nel 1660 Boyle studiò le proprietà fisiche dell'aria compressa arrivando a scrivere la legge che mette in relazione la pressione di una certa massa di gas con il proprio volume. Tale scoperta permise ad Edmund Halley, l’astronomo che scoprì la famosa omonima cometa, di realizzare nel 1690 la prima campana per lavori subacquei. Per aumentarne l’autonomia inventò inoltre un metodo per forzare l'aria ad entrare all’interno della campana: Halley utilizzò dei barilotti vuoti, dotati di fori nella parte inferiore e di tubi flessibili, in quella supe-
In alto da sinistra:: Scyllias e la figlia Cyana, imprigionati a bordo di una nave persiana, scappano e tagliano le cime delle ancore delle navi di Serse. Particolare di un’immagine del V secolo a.C. In basso: guerrieri assiri che attaccano una città Bassorilievo rinvenuto nel Palazzo di Ashurnasirpal II, Nimrud (Iraq), 860 a.C. A seguire: realizzazione del palombaro disegnato da Leonardo Da Vinci nel Codice Atlantico (1490). Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano. A seguire: Apparato per immersioni progettato da Giovanni Alfonso Borelli,VII secolo In alto: la prima campana subacquea realizzata per Alessandro Magno nel 322 a.C. – Pittura del XVI secolo..
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dal 3000 A.c. al 1849
L’evoluzione della subacquea
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riore, che erano collegati alla campana attraverso un rubinetto; in questa maniera veniva equilibrata la pressione dell’aria a quella idrostatica esterna. Halley impiegò la sua invenzione molte volte e fino a 20 metri di profondità, allo scopo di recuperare materiali preziosi inabissatisi all’interno dei porti. Nel 1772 il francese S. Fréminet propose uno scafandro, da lui denominato "macchina idrostatica", che consisteva di un abito intero di cuoio, munito di anelli di rinforzo per resistere alla pressione dell'acqua. L'aria era contenuta in un serbatoio calato alla solita profondità del palombaro. Da questa “riserva di aria” partivano due lunghi tubi flessibili collegati all’elmo: uno di mandata che giungeva alla bocca del palombaro e uno di richiamo dell’aria viziata fissato al di sopra del primo. Un meccanismo a molla faceva poi funzionare un mantice che provocava la circolazione dell’aria in andata e ritorno. La cosa che meraviglia è che con questo scafandro lo stesso Fréminet ed altri volontari riuscirono a immergersi svariate volte fino ad arrivare, secondo le cronache ben circostanziate del tempo, ad una permanenza
di un’ora a 16,50 metri di profondità. Nel 1797 il tedesco K. H. Kleingert propose un sistema per immersione che aveva molti punti in comune con quelli realizzato da Freminet. Anche qui la circolazione dell’aria avveniva attraverso due tubi flessibili, uno di andata e uno di ritorno, ma il sistema venne perfezionato attraverso l’adozione di un boccaglio direttamente collegato al tubo di ritorno che permetteva di espellere l’aria, mentre l’aria pura era direttamente insufflata all’interno dell’elmo. A questa prima versione Klingert face seguire un perfezionamento che vedeva lo scafandro accoppiato ad un ingegnoso sistema di rifornimento di aria che contemporaneamente fungeva da “ascensore idrostatico”. L’apparato venne sperimentato con più immersioni pratiche consentendo al “palombaro” di arrivare a segare un tronco sul fondo del fiume Oder. Nel 1808 M. Frédéric de Drieberg realizzò il Tritone, un’apparecchiatura che, per la prima volta, fu progettata con uno scafandro pesante ma come una vera e propria “machine à plonger”, in pratica un autorespiratore subacqueo. In sintesi era costituito
da un “polmone” dotato di soffietto che era portato sulla schiena dal palombaro. Questo era azionato da un delicato meccanismo mosso con i movimenti di una corona che veniva fissata sul capo dell’operatore. Benché il Tritone fosse innovativo per molti aspetti non si hanno informazioni su di un suo pratico utilizzo. Il primo casco o elmo moderno di rame fu inventato dal tedesco August Siebe. Nato nel 1788, emigrò in giovane età in Inghilterra nel pieno della rivoluzione industriale. In quel periodo la grande crescita delle attività inerenti i recuperi marittimi, impose un altrettanto veloce sviluppo di nuovi tipi di equipaggiamenti subacquei. Nel 1828 Siebe registrò il primo brevetto della pompa a mano per palombaro, fu un successo. Poi, intorno al 1830, i fratelli Deane lo consultarono per trasformare il loro casco da impiegarsi in caso di fumo o gas nocivi, in un sistema per immersione: Siebe applicò il casco ad un vestito stagno, realizzato con gomma e tela, dove si poteva immettere aria grazie alla sua pompa. Questa combinazione risultò essere il primo equipaggiamento da immersione con casco
aperto che venne commercializzata a livello mondiale, nel 1839, col nome di First closed diving helmet. Nel 1864 l'ingegnere minerario francese Benoit Rouquayrol ed il tenente di vascello August Denayrouse collaudarono un innovativo sistema per la respirazione subacquea. Esso consisteva in una bombola orizzontale, operante alla pressione di 250-300 psi, posizionata sulla schiena dell’operatore dalla quale egli poteva respirare attraverso un erogatore a membrana. Il subacqueo era inoltre collegato con la superficie tramite una manichetta che permetteva il riempimento della bombola per mezzo della pompa a mano posta in superficie. L'apparecchiatura oltre a continuare ad erogare aria in caso di rottura della manichetta, consentiva di distribuirla in maniera costante, slegandola dal ritmo di pompaggio, ed eliminando così le variazioni del flusso dell’aria che determinavano il problema della gestione dell’assetto del palombaro. Questo sistema accoppiato all'elmo di Siebe, diedero vita allo scafandro classico da palombaro o apparato normale da palombaro.
In alto da sinistra: una stampa della campana di Halley, realizzata dall’astronomo nel 1690 per effettuare recuperi subacquei di materiali preziosi. A seguire: Scafandro da palombaro ed ascensore idrostatico realizzato dal tedesco K. H. Kleingert nel 1797 A seguire: una stampa del “Tritone”, apparecchiatura subacquea realizzata da M. Frédéric de Drieberg nel 1808 A seguire: il First closed diving helmet, la prima apparecchiatura da palombaro moderna realizzata nel 1839 da August Siebe.
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L’evoluzione della subacquea in Italia dal 1849 al 1910
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I Palombari nel Regno di Sardegna
a prima Scuola Palombari venne istituita a Genova il 23 luglio 1849 su proposta del Generale Della Bocca, Ministro della Guerra e della Marina del Regno di Sardegna. Già nel mese di settembre dell'anno precedente fu assoldato il marangone Gardner, con la paga giornaliera di 12,55 lire, per la formazione dei giovani subacquei italiani. Tuttavia, la scarsa adesione dei giovani indusse il Della Bocca a proporre incentivi economici necessari a rendere appetibile la professione del palombaro.
Fra le altre cose venne disposto che al palombaro fosse corrisposto 5 lire per la prima ora di immersione e 2 lire per le ore successive. Tale ammontare, peraltro cumulabile con la paga da marinaio, rappresentava una primigenia forma d'indennità per questa professione. L'istituto con cui Mr. Gardner formava il personale subacqueo non poteva essere considerato come una scuola, secondo i parametri moderni. Aule, istruttori, lezioni standardizzate e quant'altro fosse riconducibile ad un programma organico d'istruzione erano del tutto assenti. L'attività di apprendimento era basata sulla tradizione tipica dell'uomo di mare attuata sui bastimenti a vela, dove il mozzo assimila ciò che dice e fa il nostromo, in cui l'allievo segue le indicazioni del primo Ufficiale e dove il cannoniere fa tesoro delle disposizioni del capopezzo. In estrema analisi, il processo formativo degli antichi palombari italiani avveniva previo il superamento di una sorta di tirocinio pratico. Alla scadenza del contratto con Mr Gardner, avvenuta nel 1850, iniziò l’avventura dell'attività subacquea militare italiana. In quell'epoca i pochissimi palombari erano operai dell'Arsenale Militare della Spezia, che impiegano apparecchiature tipo Heinke Già nell’agosto del 1851 si ebbero i primi buoni auspici di questa neonata specialità: i palombari dell'Arsenale della Spezia eseguirono, con buona perizia, un’ispezione in carena alla USS Mississippi, attività che fu oggetto di una lettera di ringraziamento redatta dal Comandante dell’Unità, Capitano di Fregata J.C. Long.
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I Palombari - Torpedinieri nel Regno d’Italia
on la nascita dello Stato italiano, avvenuta in forma solenne il 17 marzo 1861, nascevano anche le Forze Armate in sua difesa. In quel periodo, la Regia Marina ed il Paese disponevano già di un nucleo di persone capace di operare sotto la superficie del mare in compiti di carattere essenzialmente difensivo e tendente al recupero delle merci e degli scafi affondati. Nell'estate del 1861 venne emanata la legge organica sulla leva di mare, riordinata la Scuola Novizi e Mozzi e vennero promulgate numerose disposizioni che riguardavano anche l'assunzione in servizio dei
palombari che operavano presso gli arsenali. Nel febbraio 1863 l'ordinamento della Marina venne nuovamente ristrutturato: nel titolo II (Servizio militare dei lavori negli arsenali marittimi e nei cantieri dello Stato), Capo 3° (Servizio della direzione dei lavori), paragrafo 2° (Direzione degli armamenti), l'articolo 447 disponeva che dalla Direzione degli Armamenti dipendevano le officine: veleria, corderia, attrezzatura, pittura, bandiere e palombaro. I Palombari erano quindi considerati nulla di più che operai che avevano la capacità di andare sott'acqua per lavori elementari, essi potevano anche non essere arruolati. La paga era assegnata in base alla categoria ma veniva specificato che il lavoro subacqueo era remunerato a parte, come lavoro a cottimo. I mozzi al termine del corso di un anno, svolto sulla nave scuola posta direttamente alle dipendenze del Ministero, potevano continuare la loro formazione direttamente a bordo come nocchieri e timonieri, oppure potevano frequentare i corsi svolti presso le scuole cannonieri o torpedinieri (presso la quale erano formati i palombari). L’Italia in questo periodo storico non aveva una propria identità industriale nella produzione di attrezzature da palombaro. Si è avvalsa pertanto della Nazioni che per prime si erano contraddistinte come produttori di tali apparati, cosi nell'era pionieristica dell'immersione italiana l'apparecchiatura impiegata era uno scafandro inglese di tipo Heinke che era alimentato da una pompa a mano posizionata sulla lancia d'assistenza. Le sempre crescenti estensioni delle navi, la crescente frequenza che assunsero i lavori sottomarini, resero sempre più importanti le problematiche connesse al lavoro subacqueo. Il Ministero della Marina, preoccupato delle nuove necessità e molto interessato ai progressi tecnici nel settore, dispose di acquisire dell'apparecchiatura da palombaro francesi tipo Rouquayrol. Nell'anno 1866, con la circolare n°1824, furono emanate disposizioni di tipo amministrativo per quanto riguarda i lavori subacquei. In pratica alla paga giornaliera 4 lire fu aggiunta una retribuzione di 4 lire per la prima ora di immersione e di 2 lire per le ore successive. L'anno 1872 costituisce un'altra pietra miliare nella normativa subacquea, veniva stabilita infatti, e per la prima volta, una forma di primordiale indennità per gli ope-
ratori di assistenza in superficie ai lavori subacquei. Il personale in superficie avrebbe percepito un supplemento di paga di venti centesimi per ogni ora di lavoro del palombaro. Col Regio Decreto del 15 novembre 1874 venivano aggiornate molte disposizioni inerenti le diverse categorie della Marina. Tra queste ne vennero varate alcune relative al servizio da Palombaro nell’ambito della categoria Torpedinieri: Art. 6 Per il personale della classe di leva 1855 venivano date alcune disposizioni che regolavano l'afflusso alla categoria torpedini e quindi al servizio di palombaro. Se precedentemente era unicamente considerata l'intelligenza, la circolare introduceva il concetto di robustezza fisica, per il possesso delle qualità necessarie all'addestramento quale palombaro. L'istruzione doveva essere, principalmente impartita sulla nave scuola torpedinieri e ad essa dovevano parteciparvi tutto il per-
A sinistra: tavola estratta dal “A History of Diving” di F.W. Heinke & W.G. Davis del 1871. Fu il primo elmo utilizzato dai palombari della Regia Marina (concessione di Fabio Vitale). In alto: copertina dell’edizione del 1878 delle Istruzioni per il Servizio da Palombaro compilato dalla Nave Scuola dei Torpedinieri “Caracciolo” (Museo Navale della Spezia).
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sonale allievo, in possesso di una costituzione fisica tale da metterli in grado di sopportarne la durezza. Art. 8 La Nave Scuola nel rilasciare i certificati di idoneità a torpediniere aggiungerà il titolo di palombaro a coloro i quali possedevano tale prerogativa. Varranno, per i torpedinieri palombari le stesse disposizioni amministrative emanate a favore dei palombari degli arsenali. Nel corso degli anni furono impiegate in qualità di Nave Scuola la R.N. Italia fino al 1911 e, successivamente per brevi intervalli, le Regie Navi Elena e Pisa.
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Il servizio da Palombaro circolare n°795 del 7 aprile 1884
e prime norme tecniche ed operative, furono emanante il 7 aprile 1884 dalla sesta Direzione Generale d'Artiglieria e Torpedini attraverso la circolare n° 795: Art. 1 Potevano ottenere la qualifica da palombaro tutti coloro che non appartenevano alle categorie infermieri, furieri, trombettieri e musicanti. Art. 2 Il certificato di palombaro potrà essere emanato dal Comando della Nave Scuola Torpedinieri. Ottenevano il certificato di Palombaro di Prima Classe coloro i quali avevano dato prova di operare per almeno un’ora e mezza alla profondità di venti metri, quello di seconda classe per il personale che raggiungeva almeno i dieci metri di profondità. Art. 3 Il registro sul quale sono trascritti i certificati da palombaro era conservato ed aggiornato sulla Nave Scuola Torpedinieri e presso il Comando del Corpo Reale equipaggi. Art. 4 Solo i torpedinieri della specialità palombari dovevano possedere il certificato di palombaro di prima classe per ottenere la promozione a torpediniere di prima classe. Art. 5 In quest'articolo era disposto che l'aspirante dovesse fare domanda al Comando del Corpo Reale Equipaggi tramite l'Autorità da cui dipendeva. In seguito i frequentatori dei corsi sarebbero stati inviati sulla nave scuola (non necessaria-
mente imbarcati) per sostenere le prove del caso. Tali prove non si limitavano a far permanere per un certo periodo di tempo il candidato sott'acqua ma contemplavano, inoltre, lo svolgimento di lavori subacquei. Art. 6 Venivano fornite le indicazioni da seguire per l'assegnazione dei lavori subacquei. Art. 7 Era un articolo di tipo amministrativo che definiva il compenso per l'attività subacquea similmente a quanto stabilito dalla circolare 1824 del 1866. Art. 8 Veniva data facoltà ai vari Comandanti di proporre al Ministro o di accordare, secondo i casi, particolari remunerazioni straordinarie relativamente a rischi particolari e risultati conseguiti nell'ambito di operazioni subacquee di guerra. Art. 9 L'indennità d'immersione dell'allievo veniva percepita, per intero, dall'istruttore che scendeva in acqua per dirigere l'esercizio. Al frequentatore non competeva alcuna indennità. Art. 10 Si disponeva che settimanalmente, sia sulle navi che presso gli stabilimenti, si conducessero esercitazioni subacquee. Art. 11 L'assegno d'immersione per l'attività subacquea addestrativa era ridotto al 50%.
Art. 12 A cura del Comando del Corpo Reale Equipaggi e da quello delle Regie Navi, semestralmente, doveva essere inviato al Ministero uno specchio nominativo e riepilogativo, delle attività subacquee svolte, attestante: numero, durata, profondità delle varie immersioni, i lavori eseguiti, le cause ostative particolari, la tipologia dell'esercizio svolto ed il tempo d'effettuazione.
L’evoluzione della normativa per il servizio da Palombaro (1885-1895)
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al 1884 la normativa emessa con la Circolare 795 subì, come logico, successive modificazioni e perfezionamenti divenendo sempre più sofisticata. La standardizzazione delle prove per ottenere le qualifiche di palombaro di prima o seconda classe furono definite con lo svolgimento di 45 minuti di lavoro alla profondità rispettivamente di venti e dieci metri ripetuta per due volte. La guida doveva, poi, provenire dalla specialità palombari e doveva essere scelta a cura dell'operatore subacqueo. Le approssimazioni orarie per il lavoro
erano definite all'ora per i primi sessanta minuti ed al quarto d'ora superiore successivamente. La pulitura delle carene era considerata esercitazione con le ricadute amministrative conseguenti. I resoconti nominativi divennero quindi trimestrali anziché semestrali. Vennero inoltre stabilite le modalità di revoca della specialità al personale non più idoneo. Nel 1895 variarono le modalità per l'acquisizione della specialità ed, in particolare, benché la durata dell’immersione rimase di 45 minuti, dovevano essere condotte: - 4 immersioni alla profondità non inferiore ai 20 metri per il Palombaro di prima classe; - 6 immersioni alla profondità non inferiore ai 10 metri Palombaro di seconda. Con l’atto n°42 del Giornale Militare per la Marina del 1895 vennero ridefinite le norme che disciplinavano sia la concessione della specializzazione da palombaro, sia l’accertamento dell’attitudine dei concorrenti. La necessità di addestrare in maniera ottimale pochi palombari esperti fu preferita a quella di disporre di molti operatori subacquei di scarsa qualità. Fu, pertanto, disposto che venisse vigilato attentamente affinché le diverse prove fossero svolte nella maniera più rigida possibile. Infine, furono emanate delle disposizioni affinché fosse revocata la specializzazione di palombaro al personale che nell'anno precedente non avesse effettuato alcuna immersione, che avendo smarrito il libretto da palombaro non si fosse curato di richiederne il duplicato e che per ragioni di salute non fosse stato più in grado di immergersi.
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L’idoneità fisica per il servizio da Palombaro
e disposizioni emanate nel 1897 regolavano la normativa necessaria alla certificazione dell'idoneità fisica all'immersione. Venne prescritta, infatti, una visita medica attestante l'idoneità al servizio da palombaro identica a quella necessaria al reclutamento del personale minatore palombaro navigante. Secondo tale normativa era inadatto a divenire palombaro l'individuo: - di collo corto e quelli che hanno le vene del collo grosse e gonfie; - che soffre particolarmente di mal di testa, che non presenti capacità uditive
A sinistra: copertina del Libretto da Palombaro per Ufficiali (Comsubin). A seguire: libretto Palombaro di Teseo Tesei.
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dal 1849 al 1910
L’evoluzione della subacquea in Italia
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nella norma o che comunque soffra di qualsivoglia patologia uditiva; - esili di petto, sofferenti di emorragie, soggetti ad aneurismi ed i convalescenti; - sofferenti di cuore ed ai reni; - sofferenti di malattie sifilitiche; - sofferenti di malattie della pelle, polipi nasali o fiato cattivo. La possibilità, inoltre, di accedere al corso era condizionata dalle ragioni di servizio e di permanere per altri due anni nell'organizzazione. Venne stabilita la visita medica pre immersione, le norme per la tenuta del registro generale dell'attività subacquea e viene istituito il Libretto da Palombaro che, immutato, rimarrà uguale sino al 1970. Successivamente, si susseguirono negli anni ulteriori definizioni ed affinamenti legislativi e normativi, sino a giungere all'attribuzione della caratteristica “P” al personale in possesso della specialità palombaro. Venne definita in tre mesi la durata minima del corso per conseguire le sufficienti capacità operative per la specialità Palombaro.
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L’evoluzione dei Torpedinieri - Palombari
l marinaio di leva ed il torpediniere erano, quindi, inviati a bordo della Nave Scuola per frequentare il corso da torpediniere e svolgere gli esercizi da palombaro. Il corrispondente operaio civile, presso gli stabilimenti da lavoro veniva formato, quale palombaro, attraverso un processo "più artigianale" direttamente sul posto di lavoro. Per il torpediniere l'orizzonte lavorativo era sicuramente più ampio rispetto a quello dell'operaio. Oltre alla specialità palombari si avevano, infatti, quelle di silurista, conduttore di apparati elettrici, conduttore di apparati meccanici e di torpediniere (propriamente detto). I programmi per gli esami d'avanzamento dei torpedinieri della specialità palombari, al grado superiore contemplavano quasi unicamente argomenti tecnici e culturali esulanti dall'attività subacquea. Era, infatti, unicamente contemplato il possesso del certificato di palombaro di prima classe
(di seconda classe unicamente per l'avanzamento a torpediniere di seconda classe). Nell'anno 1897 venne emanato quello che poteva essere considerato come il documento fondamentale della categoria Torpedinieri anche se passò sotto il titolo di Regolamento organico della Regia Nave Scuola Torpedinieri. Il regolamento era piuttosto corposo e consisteva di otto capitoli e numerosi allegati e schemi ma riusciva ad inquadrare tutta la materia inerente la categoria Torpedinieri abrogando, inoltre, tutte le disposizioni precedentemente emanate. Risulta tuttavia decisamente interessante esaminare gli aspetti peculiari che afferiscono al comparto palombari, in particolare laddove vi sia un'interfaccia con altre specialità della stessa categoria. Il Regolamento stabiliva, per quanto attiene al reclutamento, che gli allievi non ritenuti idonei alla specialità torpedinieri, se ritenuti idonei fisicamente ed allorquando inoltrino regolare domanda possono essere ammessi alla specialità minatori - palombari per la frequenza del relativo corso ordinario, denominazione tuttora in uso che compare per la prima volta. Otteneva la denominazione Torpediniere m.p. il personale che riusciva ad ottenere il certificato di palombaro, gli altri quella di Torpediniere m. Le necessità di minatori palombari erano stabilite sulla base dei seguenti criteri: - reclutare i giovani che avessero raggiunto il pieno sviluppo organico e di età compresa fra i 18 ed i 25 anni; - i giovani da arruolare dovevano manifestare la volontà di essere impiegati quali palombari e dovevano possedere i necessari requisiti fisici. Veniva, inoltre, disposto che dopo due mesi di corso, i frequentatori che non avessero manifestato, in alcun modo, garanzia di concludere positivamente il corso, sarebbero stati congedati d'autorità senza poter transitare in altra categoria; allo stesso modo il corredo che veniva fornito era sufficiente solo per i primi due mesi del corso, in seguito sarebbe stata effettuata una distribuzione suppletiva.Nel Capitolo 2° del Regolamento erano indicati i compiti del personale facente parte della direzione della scuola (Comandante, Ufficiale in Seconda, Ufficiale al Dettaglio, Relatore, Te-nenti di Vascello comandanti delle squadre, Ufficiali Macchinisti, Medico, Commissario …) degli istruttori e degli operai.
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Torpediniere - Artificiere
e disposizioni del 1897 costituirono, quindi, un riferimento preciso per il personale della categoria torpedinieri, nonostante le notevoli varianti introdotte per i vari ruoli ed il possesso o meno del certificato da palombaro. Tra queste molteplici varianti venne introdotta anche la specialità di Torpediniere artificiere. Il 10 maggio 1899 il Ministero emanò le disposizioni per il reclutamento del personale da far confluire nella nuova specialità. Le attribuzioni principali furono riguardanti il campo degli ordigni esplosivi, fra quelle secondarie fu prevista la collaborazione con il servizio da palombaro in modo particolare per quanto atteneva le apparecchiature da immersione. Per quanto attiene il servizio da palombaro, le materie previste dai programmi di studio prevedevano la descrizione particolareggiata degli apparecchi da palombaro, la respirazione nei fumi intensi e le istruzioni nel servizio di palombaro.
A sinistra: certificato di Torpediniere Scelto Minatore dell’ agosto 1907. In alto: libro di Testo della Scuola Torpedinieri “Istruzioni per i Torpedinieri, Parte Quarta, Materiale e Servizio da Palombaro” (1890) (concessione di Fabio Vitale).
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I Palombari al Varignano
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Il Corso Ordinario Torpedinieri M.P. (minatoripalombari) aveva la durata di sei mesi ed i frequentatori potevano essere allontanati qualora non manifestassero sufficienti qualità specifiche e scarsa affidabilità
l 10 novembre 1910, la scuola Torpedinieri venne trasferita presso la sede della Difesa Marittima ubicata nel comprensorio del Varignano dove, da quel momento, vennero svolti i corsi ordinari e di perfezionamento. Come previsto dall’ordinamento dell’epoca, nell’ambito della scuola Torpedinieri veniva abilitato al servizio da Palombaro anche il personale delle altre categorie del Corpo Reale Equipaggi, attraverso lo svolgimento di corsi speciali.
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L’organizzazione della Scuola Torpedinieri
l Direttore della Scuola era un Tenente di Vascello alle cui dipendenze vi erano tre Sottotenenti di Vascello con l'incarico di responsabili rispettivamente delle sezioni artifici, minatori e palombari. L'organico annoverava anche un Ufficiale Medico ed uno Commissario. Il corpo istruttori costituiva il nucleo principale della Scuola. Il Corso Ordinario Torpedinieri M.P. (minatori-palombari) aveva la durata di sei mesi ed i frequentatori potevano essere allontanati qualora non manifestassero sufficienti qualità specifiche e scarsa affidabilità Il corso di perfezionamento per sottocapi e secondi capi aveva una durata di quattro mesi comprensivo del periodo di esami. Per quanto atteneva, invece, ai corsi speciali l'inizio coincideva con quello dei corsi ordinari ma la durata era in relazione alla preparazione specifica dei partecipanti. Il personale destinato alla Scuola era responsabile della didattica, dei servizi e della tenuta della documentazione, tra cui il Giornale delle esercitazioni dei palombari e
Un corso ordinario Palombari degli anni ‘20.
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I Palombari al Varignano
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documenti relativi per quello destinato alle sezioni MP. L'ammissione al corso era subordinata alle capacità del candidato di saper leggere e scrivere correttamente, senza gravi errori, sotto dettatura; saper leggere e scrivere i numeri. Al corso ordinario artificieri e torpedinieri erano impartite nozioni sul materiale e sul servizio da palombaro. Gli allievi disponevano di idonee imbarcazioni e galleggianti per la cui manutenzione e cura era assegnato del personale specifico, fra questo naviglio minore erano da annoverare sei lance da lavoro per palombaro. Le prescrizioni emanate nel 1911, davano disposizioni circa la condotta e lo svolgimento delle esercitazioni da palombaro (nella parte IV del Materiale e Servizio da Palombaro). L'attività didattica si svolgeva in armonia con i programmi stabiliti e, al momento degli esami, i frequentatori erano valutati anche per il rendimento profuso nel durante le immersioni svolte nell'ambito del corso. A coloro che avessero superato positivamente gli esami era rilasciato il certificato di idoneità, mentre ai Palombari oltre a questo era consegnato il certificato - libretto da palombaro secondo le norme emanate nel 1908, mentre la Scuola aveva
l'onere di mantenere aggiornato il Ruolo Generale dei Palombari. Rispetto al passato, l'insieme di nozioni e d'attività pratica si era allargato notevolmente, inoltre, la guerra in corso, imponeva una preparazione decisamente più approfondita. In particolare sia per il corso ordinario, sia per quello di perfezionamento furono introdotti degli stage di impiego, a caldo, di armi subacquee e terrestri per mettere in evidenza agli allievi gli effetti dell'esplosione dal punto di vista difensivo ed offensivo. Inoltre, come già da tempo accadeva, continuavano ad essere impartite lezioni d'impiego di armi portatili e cannoni leggeri. L'Ufficiale Medico della difesa, oltre che a presenziare all'attività subacquea dei palombari, era incaricato di impartire agli allievi gli insegnamenti di pronto soccorso ai feriti, in caso di asfissia o annegamento. Il programma del corso Ordinario Palombari era il seguente: - Possedere un'istruzione scolastica, saper leggere e scrivere sotto dettatura senza commettere gravi errori di ortografia ed eseguire correttamente le quattro operazioni aritmetiche. - Armi subacquee. Gli allievi dovevano conseguire una buona familiarità con l'impiego
delle torpedini e dei siluri in uso presso la Regia Marina; dovevano, inoltre conseguire le conoscenze necessarie ad impiegare, mettere in opera e recuperare dette armi. Gli allievi dovevano apprendere il funzionamento della componentistica elettrica, del galvanometro, delle batterie a secco/a liquido e di tutti gli altri sistemi costituenti le armi stesse. - Servizio da palombaro. Era richiesta una particolareggiata conoscenza delle apparecchiature da palombaro e di quelle per la respirazione nei fumi intensi; per i minatori palombari era, inoltre, necessario compiere con buona perizia qualsiasi lavoro sottomarino, mentre per i minatori era necessario che potessero svolgere il compito di guida. - Servizio mine terrestri. Le definizioni delle mine, le materie esplosive, la formazione delle cariche, il relativo innesco (micce, accensioni ordinarie ed elettriche, successiva); attrezzi da mina e cenni sommari su i principali lavori da mina costituivano il programma relativo alle mine terrestri. - Cannoni leggeri e mitragliere. L'impiego delle armi leggere (carabina e pistola) e di reparto (mitragliera e cannone da 57); era necessario conoscere il servizio di sentinella,
il codice di segnalazione a bandiere e il codice di disciplina per quanto riguardava i reati comuni. Il programma del corso Speciale Palombari era il seguente: - La concessione del certificato di palombaro ai militari della Regia Marina, non appartenenti alla categoria Torpedinieri specialità Minatori Palombari, avveniva qualora il personale avesse una conoscenza particolareggiata delle apparecchiature da palombaro e che manifestasse una buona familiarità con il relativo uso; - inoltre doveva conoscere la normativa del servizio da palombaro ed essere in grado di assolvere il compito di guida; - doveva apprendere l'architettura navale relativa alle parti immerse delle unità navali e della relativa circuiteria idraulica; - era necessaria una conoscenza approfondita delle mine, dei relativi congegni esplosivi, il loro impiego e messa in opera e avere basilari informazioni sulle demolizioni condotte attraverso gli esplosivi; - dal punto di vista pratico dovevano essere in grado di svolgere qualsiasi lavoro subacqueo, come districare un cavo dall'asse dell'elica, pulire le prese a mare di una nave e saper recuperare oggetti affondati.
A sinistra: esercitazione al Varignano 1910. A seguire: la fuoriuscita dai sommergibili con scafandro tedesco Dräger DM 40 (1912). Schema della manovra per la fuoriuscita (Ufficio Storico M.M.). Prova a secco della manovra. Dalle fotografie si comprende la difficoltà dell’operatore ad uscire dal boccaporto (Ufficio Storico MM).
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Il servizio sanitario a supporto delle attività subacquee
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e prime indicazioni di una valutazione sanitaria relativa all’attività da Palombaro furono quelle indicate nella circolare 1701 del 13 febbraio 1875, con le precisazioni del F.O.M. n°23 del 23 gennaio 1875, per le quali il personale destinato al mestiere del palombaro doveva avere una grande robustezza fisica. Tali condizioni furono riscontrate anche nei manuali pubblicati dalla Scuola ove venivano riportate delle disposizioni di carattere igienico sanitario e le norme sulla trattazione degli incidenti. Tuttavia ancora non si faceva menzione del personale medico o comunque del servizio sanitario, in assistenza alle operazioni subacquee. La problematica dell'assistenza medica al personale subacqueo iniziò con gli studi sugli operai dei cassoni impiegati in grande numero, dopo la seconda metà del 19° secolo, per la costruzione delle opere di
banchinamento di molte città europee. Unicamente in epoche più recenti inizierà il confronto fra la fisiologia e l'immersione umana, che porterà alla definizione delle tabelle di decompressione di Haldane.
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La fisiologia dell’immersione e la Scuola Torpedinieri della Regia Marina
programmi d'istruzione degli allievi palombari non prevedevano un insegnante che tratteggiasse la fisiologia umana, le leggi dei gas e la fisica dell'immersione. Nel 1902 il Medico Capo di prima classe Abbamondi indicò in un suo studio che gli incidenti erano frequenti: - tra il 1885 e il 1898 furono cinque i casi di emiplegia con disturbi della sensibilità e perdita di coscienza a carico di cinque allievi subito dopo aver terminato la propria immersione; - nel luglio 1885 due allievi al termine di un'immersione di due ore alla quota di venti metri presentarono i tipici sintomi d'embolia (malattia da decompressione);
- nel novembre dello stesso anno si ripeté un caso simile al termine di un'immersione svolta a 27 metri per due ore e trenta; - altri tre casi di paresi, paraplegia (dopo due immersioni a trenta metri separate da un breve intervallo in superficie, immersione successiva) ed un'omessa decompressione risolta positivamente, furono il risultato dell'anno 1886. In quegli anni l'effetto ventosa non era ancora conosciuto, pertanto un operaio dell'arsenale della Spezia morì nel 1892 e nel 1900 un secondo si salvò a stento dopo una rapida discesa verso il fondo. Se un alto rateo di incidenti erano indice di una mancanza di conoscenze di alcuni elementi specifici dell'immersione, si può costatare che molti Ufficiali Medici si interessarono direttamente a sviluppare ricerche sull'organismo sottoposto a pressione idrostatica. In particolare, nel 1899 le ricerche del Curcio e di Giovan Battista Abbamondi, svolte presso la base di La Maddalena, furono orientate a compiere sperimentazioni su animali tese a verificare gli effetti causati da una decompressione veloce, mentre nel 1910 per stabilire le alterazioni all'udito.
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Le prime diposizioni sanitarie
risultati non si fecero attendere, così già dal 1898 vi fu un pesante richiamo sulla selezione e l'ammissione del personale ai corsi ordinari per palombaro. Venne inoltre, istituita la Cassetta per i primi soccorsi ai palombari che doveva essere sempre al seguito del personale che si immergeva, a prescindere della presenza del Medico. Fu disposto, per mezzo di una circolare, che a bordo della Regia Nave Scuola Torpedinieri fossero svolte, con regolarità, delle lezioni ed esercitazioni pratiche sulle modalità di prestare i primi soccorsi. Tali istruzioni dovevano essere impartite dal medico a tutto il personale torpediniere delle diverse specialità ed agli altri militari delle varie categorie che svolgevano le prove di immersione, per conseguire il certificato di palombaro. In quest’ultimo caso, come peraltro accadeva per i Torpedinieri M. P., le istruzioni mediche costituivano parte integrante del programma di esame.
In alto: l’affondamento del sommergibile Thetis, a seguire nave Ciclope.
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Allo stesso tempo, gli Ufficiali Medici delle navi e della difesa costiera, dovevano curare l'istruzione al personale palombaro, per l'impiego del materiale contenuto nella Cassetta e fornire i primi soccorsi al personale subacqueo infortunato. In quel periodo il contenuto della cassetta per i primi soccorsi veniva incrementato con l'aggiunta di una scala cromatica e di una serie di lane colorate che venivano utilizzate per determinare l’eventuale daltonismo del personale.
I requisiti per l’ammisisone al corso Palombari
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ol Regio Decreto n°54 in data 23 febbraio 1902, vengono emanate norme dettagliate che consentivano al personale medico di giungere ad una corretta determinazione della circonferenza toracica, parametro sbarrante per l'ammissione al corso Ordinario Palombari. Nel 1914 furono implementate ulteriori
prove di tipo oculistico per l'idoneitĂ alla categoria Torpedinieri. I candidati dovevano saper leggere i caratteri tipografici da 22,5 mm dalla distanza di dodici metri e saper distinguere correttamente i colori secondo la scala cromatica di Wecker, sia luce naturale che con illuminazione artificiale.
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Incidenti da palombaro
el 1907 venne effettuato un esame critico da parte di Zogafridi, Boinet e Audibert della numerosissima casistica di incidenti e decessi registratasi sia tra le mancate decompressioni dei pescatori di spugne, che raggiungevano i 6070 metri, ed il metodo impiegato in Marina. Nell'agosto dello stesso anno il rapporto di una commissione della Royal Navy, sui problemi dell'immersione, analizzava l'effetto della CO2 nell'elmo da palombaro e le problematiche relative alla sua ventilazione. Inoltre nello stesso rapporto venne studiato il problema dell'assimilazione dell'azoto,
durante l'immersione, da parte dei tessuti introducendo così i concetti di saturazione e decompressione a tappe.
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La malattia dei cassoni
on l'invenzione della pompa a mano, che consentiva di erogare aria compressa all'interno di uno scafandro, fu possibile costruire camere che permettevano di alloggiare più persone nel fondo di fiumi o del mare allo scopo di costruire banchine o fondamenta in acqua.Tali sistemi permettevano di lavorare sul fondo, restando all'asciutto. L’utilizzo di queste camere, che presero il nome di “cassoni”, mise in luce una nuova inspiegabile malattia: terminato il turno di lavoro e tornati in superficie gli operai erano frequentemente colpiti da disturbi respiratori o acuti dolori articolari o addominali. In genere dopo qualche tempo i disturbi scomparivano ma, in alcuni casi, non riuscivano più a liberarsene se non durante il lavoro, per
poi peggiorare nuovamente alla fine della giornata. Con l'aumentare del tempo d'esposizione e della profondità del cassone aumentarono i disturbi e comparirono i primi decessi con una frequenza che divenne preoccupante. Questa patologia fu chiamata “malattia dei cassoni”.
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John Scott Haldane e prime tabelle decompressive
aureatosi in medicina nell’università di Edimburgo, Haldane fu un fisiologo specializzato sugli effetti dei gas sul corpo umano, che aveva già dato un grande contributo alla scienza scoprendo che l’anidride carbonica regola il ciclo della respirazione. Nel 1906 fu chiamato dall’Ammiragliato britannico a studiare sintomi, analoghi alla malattia dei cassoni, che venivano accusati dai palombari della Royal Navy.
A sinistra: libri della Scuola Palombari. A destra: il fisdiologo John Scott Haldane.
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Basandosi sulle precedenti esperienze di Paul Bert, Haldane effettuò le sue sperimentazioni su animali da laboratorio e giunse a verificare che i sintomi comparivano quando veniva superato il rapporto di 2 a 1 tra pressione di partenza e pressione di arrivo. Le sue ricerche gli permisero di comprendere inoltre che i diversi tessuti che compongono un corpo hanno tempi di saturazione all’azoto differenti. Scoprì così che l’assorbimento ed il rilascio dei gas dai tessuti non procedevano a velocità costante, ma diminuivano con il passare del tempo. Concluse che un operaio dei cassoni, o un subacqueo, potesse risalire dal fondo senza incorrere in incidenti fino a quando venisse mantenuto un rapporto pressorio di 1:2 e che la risalita rimanente avrebbe dovuto essere effettuata molto più lentamente, per consentire l'eliminazione dell'azoto in eccesso dai tessuti che costituivano il corpo umano. Le tabelle di Haldane, pubblicate nel 1907,
furono le prime tabelle di decompressione funzionali e contribuirono alla drastica riduzione degli incidenti da quelle che oggi sono definite Malattie da Decompressione. Da quel momento vi fu un continuo sviluppo di questi algoritmi, condotto soprattutto dalla US Navy, che permisero di ottimizzare sempre di più i tempi decompressivi contribuendo, nel contempo, ad accrescere la sicurezza delle immersioni.
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La sperimentazione in Italia
seguito di cambiamenti introdotti dalla Royal Navy, nel 1909 il Comando della Scuola Torpedinieri nominò una commissione con l'incarico di studiare e far approvare il nuovo metodo d'immersione. Le prove furono condotte dall'ottobre del 1909 al settembre del 1910 alla profondità di 29 metri nelle acquee della Spezia. Parteciparono cinque palombari esperti e, congiuntamente al
personale di assistenza, frequentarono un corso d'indottrinamento teorico sulle nuove procedure. Con il nuovo sistema furono inoltre formati i frequentatori del corso ordinario dal 14 aprile al 19 settembre 1910. I 63 allievi svolsero un totale di 885 immersioni a profondità variabile fra i 4 e i 29 metri con tempi sul fondo compresi fra i 20 e i 45 minuti. Fra tutti si riscontrò un solo caso di embolia, peraltro leggera, dopo un’immersione a 28 metri per trenta minuti.Tale patologia fu risolta pienamente con una ricompressione in mare per 15 minuti a tre metri di quota. Le immersioni sperimentali continuarono a La Maddalena dal settembre 1910, con i cinque palombari prescelti. Furono effettuate 32 immersioni fino alla quota di 40 metri con un solo incidente lieve, occorso il 25 ottobre, durante un immersione alla massima profondità per 30 minuti. La ricompressione per 15 minuti a tre metri (in mare) risolse pienamente la problemati-
ca. La commissione, verso la fine del 1910, sulla base delle 1071 immersioni eseguite, compilò il rapporto esponendo il concetto impiegato nel sistema inglese ed i principi sul quale era basato, effettuando inoltre il confronto con quello in vigore presso la Regia Marina. Propose, quindi, l'adozione di tale sistema e delle tabelle connesse evidenziando che il nuovo metodo rappresentava un passo avanti per quanto concerneva l'aspetto fisiologico. Venivano, inoltre, sottolineati i vantaggi di tale metodo, quali il minore assorbimento di azoto mediante discese più rapide verso il fondo, l’incremento della quantità d'aria fornita al palombaro in relazione all'aumento della quota di esposizione, la limitazione dei tempi sul fondo in connessione alla profondità (quello che oggi è chiamato curva di sicurezza), la risalita a tappe con velocità variabile in funzione della quota raggiunta, ed il suo limite di applicabilità posto 61 metri di profondità.
In basso a sinistra: Genova, 1849, Scuola Palombari. Al centro: il fisiologo Paul Bert. Nelle altre immaginini momenti di palombari in attività.
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Il Servizio Sanitario a supporto delle attivitĂ subacquee
Si riporta, di seguito, un quadro comparativo delle norme per effettuare immersioni da palombaro con il nuovo e vecchio metodo utilizzato al 1910 :
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Operazioni per le immersioni
Vecchio metodo
Discesa sul fondo del palombaro
2 m/min
Risalita in superficie
1 m/min
Tempo massimo di immersione
Non definito
Flusso d'aria necessario alla respirazione Numero degli uomini alla pompa
nessuna norma (2 serventi devono azionare la pompa) nessuna norma
Giri al minuto della pompa
nessuna norma
ProfonditĂ massima
30 metri
Soccorso ai palombari
Si faceva solo riferimento alle problematiche di asfissia e annegamento
Nuovo Metodo Massima velocità possibile compatibilmente con le capacità di compensazione a circa 18 m/min - Un metro ogni tre secondi dal fondo sino alla quota corrispondente al dimezzamento della pressione massima raggiunta. - Un metro ogni sei secondi con fermate variabili per tempi quote e numero in relazione alla profondità raggiunta Indicazioni speciali per limiti variabili dai 9 min. alle 3 ore in relazione alla profondità
Viene stabilito in 42,5 litri di aria a qualsiasi pro-fondità. Pertanto il valore 42,5 deve essere molti-plicato per il valore della pressione alla quota di lavoro. 2 da 0 a 16 m; 4 da 16 a 23,5 m, 6 da 23,5 a 29 m, 12 da 29 a 54 m, 18 da 54 a 61 m
Da 15 a 30 g/m in relazione alla profondità al numero degli uomini ed al tipo di pompa 61 metri Vengono date indicazioni speciali per la trattazione: dell'embolismo gassoso; dell'annegamento; della venuta a galla a pallone; dei dolori alle orecchie durante le immersioni rapide
A sinistra: Porto di La Spezia, 1909. Palombari in azione. A seguire: lo scafandro rigido articolato Mac-Duffy, dotato di cuscinetti nelle articolazioni.
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L’evoluzione dei presso - resistenti e la nascita della camera di decompressione
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Nel 1749 l'inglese John Lethbridge descrisse la propria “macchina per immersioni” che permetteva di raggiungere la profondità di 18 m.
e sperimentazioni sul comportamento ed i limiti imposti dalla fisiologia umana durante un’immersione, favorirono lo sviluppo di apparecchiature in grado di curare il personale incappato in un incidente subacqueo, oppure capaci di resistere alla pressione idrostatica. In particolare, questi ultimi sistemi cercavano di non sottoporre alla pressione idrostatica il palombaro posto al loro interno e, per tale ragione, sono stati anche denominati “a pressione atmosferica”.
P
Gli scafandri rigidi articolati
arallelamente allo sviluppo dell’immersione tradizionale descritta nei capitoli precedenti, si assistette in tutto il mondo allo sviluppo di apparecchiature e scafandri rigidi, con più o meno gradi di articolazione, che permettessero il raggiungimento di profondità considerevoli senza sottoporre l’operatore ad incrementi di pressione. Nel 1749 l'inglese John Lethbridge descrisse la propria “macchina per immersioni” che permetteva di raggiungere la profondità di 18 m. Questa è stata realizzata essenzialmente con un barile di legno di circa 1 metro e 80 di lunghezza che era dotato di due fori sigillati con cuoio, che ospitavano le braccia, e un oblò di vetro in prossimità del volto dell’operatore. La macchina per immersioni venne utilizzata per recuperare consistenti quantità di argento dal relitto della East Indiaman Vansittart, affondata nel 1718 di fronte a Capo Verde. Lodner D. Phillips progettò il primo scafandro rigido articolato nel 1856 .
A sinistra: rappresentazione grafica del progetto del primo scafandro rigido articolato ideato da Lodner D. Phillips nel 1856 e giunture a sfera delle articolazioni dello scafandro Neufeldt und Kuhnke. A seguire: primo scafandro rigido articolato di forma antropomorfa realizzato dai fratelli Alphonse e Theodore Carmagnolle nel 1878. Musée National de la Marine (Parigi).
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Realizzato in acciaio, presentava le prime giunture sferiche per la mobilità degli arti superiori e ulteriori due bracci manipolatori. Era dotato di un sistema di bilanciamento del proprio assetto realizzato attraverso un pallone di sollevamento. Tale dispositivo, associato ad un’elica manovrata a mano dall’interno dello scafandro, gli dava anche una minima propulsione. L'aria veniva fornita dalla superficie tramite un ombelicale. Nel 1878 i fratelli Alphonse e Theodore Carmagnolle realizzarono il primo scafandro a forma antropomorfica attraverso l’utilizzo di 22 giunture a tenuta stagna, formate da sezioni di sfera concentriche, e 20 vetri istallati nell’elmo per consentire al palombaro la visione migliore possibile. Per l’epoca rappresentava un apparato avveniristico, ma il numero così alto di articolazioni, che per le capacità tecnologiche del tempo non riuscivano ad essere stagne, ne impedì l’impiego in acqua. Fin da subito trovo posto in un museo. Venne poi realizzato lo scafandro rigido MacDuffy le cui articolazioni erano effettuate attraverso cuscinetti a sfera. Costruito nel 1914 l’apparecchiatura fu testata a New York fino a 65 metri di profondità.
Nel 1917 la società tedesca Neufeldt und Kuhnke costruì un primo modello di scafandro rigido che, per le articolazioni, utilizzava una giuntura a sfera corredata di cuscinetti sferici con lo scopo di smorzare il carico della pressione idrostatica. Questo apparato presentava notevoli difficoltà di movimento e le giunture non risultavano ancora sicure ed il loro numero elevato aumentava le possibilità d’infiltrazione d’acqua. Una grande novità, introdotta dalla Neufeldt und Kuhnke sui propri scafandri, fu quella delle casse di assetto gestite direttamente dal palombaro posto all’interno. Questo sistema permetteva di variare il peso apparente dello scafandro in funzione dell’operazione da compiere. Dopo la realizzazione di un secondo modello che non differiva molto dal precedente, nel 1924 venne prodotta la terza generazione dello scafandro che aveva meno giunture delle precedenti allo scopo di ridurre le possibili penetrazioni d’acqua mare. Questa versione permetteva di raggiungere la profondità di 163 metri. Nel 1924 la Neufeldt und Kuhnke siglò un contratto di esclusiva con la SO.RI.MA. la
Società Recuperi Marittimi famosa per i recuperi subacquei dell’Artiglio. Questo permise di migliorare l’ultima versione dello scafandro attraverso il contributo dell’ing. Roberto Galeazzi che, nel 1926, brevettò la sua rivoluzionaria struttura sferica, altamente resistente alle pressioni. Tale innovativa struttura permise di ridurre gli spessori dei materiali e quindi i pesi delle apparecchiature subacquee, aumentandone nel contempo le quote operative. Così nel 1927 venne prodotto lo scafandro Neufeldt und Kuhnke-Galeazzi che introduceva in alcuni elementi la struttura sferica permettendo così di raggiungere i 200 metri di profondità.
Il Palombaro Alberto Gianni e le sue invenzioni
A
lberto Gianni, un giovane viareggino con 10 anni di imbarco sulle spalle, decise di arruolarsi in Marina nel 1911 chiedendo di poter diventare palombaro. Nel 1912, dopo aver frequentato la scuola
torpedinieri-palombari del Varignano, conseguì il brevetto di torpediniere scelto e minatore palombaro, che mise immediatamente a frutto durante la guerra per la conquista della Libia quando venne imbarcato su Nave Regina Elena. Lì in qualità di palombaro di bordo riparò un danno all'incrociatore SaintBon permettendogli di continuare la campagna operativa. Congedatosi nel 1914, venne immediatamente richiamato allo scoppio della prima guerra mondiale (1915) ed assegnato all'Arsenale della Spezia in qualità di palombaro. Nel 1916 il sommergibile S3, con 40 uomini di equipaggio, affondò a 34 metri di profondità fra le isole della Palmaria e del Tino durante un’attività addestrativa. Alberto Gianni fu incaricato del salvataggio del sommergibile, attività che fino ad allora non era ancora stata effettuata. Pensò di sollevarne la poppa dal fondo fino a farla uscire sulla superficie del mare e così trarne in salvo i marinai. L’operazione fu un successo, ma il Gianni per predisporre il recupero del battello fu costretto a rimanere ad oltre trenta
A sinistra: “Macchina per immersione” realizzata da John Lethbridge nel 1749. Musée International de la plongée autonome Frédéric Dumas, Sanary su mer (Francia). A seguire: disegni della I, II e IV versione degli scafandri Neufeldt und Kuhnke. Dal confronto degli stessi si vede l’impiego progressivo della “sfera” ideata da Galeazzi. In alto: 1° modello dello scafandro rigido articolato Neufeldt und Kuhnke (1917).
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L’evoluzione dei presso - resistenti e la nascita della camera di decompressione
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metri di profondità per circa sette ore, accusando una grave malattia da decompressione, che lo costrinse in un letto di ospedale per molti giorni fra la vita e la morte. Si salvò ma perse, irrimediabilmente, l'udito dall'orecchio destro. Tuttavia quest’incidente destò in lui l’idea di costruire un sistema che permettesse di salvare i palombari affetti da un embolia. Progettò così la cassa disazotatrice. Quest’apparato, la primigenia invenzione della camere di decompressione, avrebbe permesso di ricomprimere gli operatori in caso di incidente subacqueo. Da quel momento questo nuovo apparato salva vita ideato da Alberto Gianni venne ingegnerizzato e realizzato dall’ingegner Roberto Galeazzi e si diffuse in tutti i nuclei palombari del mondo. Tornato a Viareggio alla fine della guerra, gli venne affidato l’incarico del recupero del carico di nave Fert, affondata presso san Carlos della Rapita in Spagna. Costituì quindi una società di recuperi marittimi insieme al palombaro Giovanni Francesconi ed allestì diverse navi attrezzate per i recuperi subacquei. La fama di Alberto Gianni arrivò al suo apice quando, nel 1927, venne chiamato dalla Società Recuperi Marittimi, nota come SO.RI.MA., del commendatore Giovanni Quaglia. In questo nuovo incarico il Gianni ebbe l’idea di realizzare un nuovo apparato subacqueo che permettesse di ovviare agli inconvenienti che presentavano gli scafandri rigidi articolati in condizioni di corrente: la torretta butoscopica. Gli scafandri rigidi, per loro conformazione, tendevano ad orientarsi con la corrente, costringendo il palombaro a faticose contorsioni che, comunque, non permettevano di vedere dall’unico oblò frontale di cui era dotato il sistema. La torretta del Gianni era, invece, di forma cilindrica e dotata di una serie circolare di oblò che permettevano all’operatore una facile osservazione esterna, in ogni condizione di orientamento. Il palombaro al suo interno non era sottoposto alla pressione idrostatica e quindi non doveva effettuare alcuna decompressione. Anche questo sistema, brevettato nel 1926, fu ingegnerizzato e realizzato in più modelli dalla società Roberto Galeazzi a partire dal 1929.
Istituzione della categoria Palombari nella Regia Marina
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a sempre crescente necessità di potenziare la componente subacquea della categoria Torpedinieri, determinò la costituzione della Categoria Palombari il cui nuovo Ordinamento venne approvato il 21 marzo 1934. È interessante leggere il primo articolo dell’ordinamento perché fa comprendere come la Marina volesse proiettare verso il futuro questa nuova categoria: Art 1 - La categoria Palombari, istituita con la legge 15 giugno 1933, n. 778, è costituita in unico ruolo, per tutti i gradi, e comprende: - i “palombari ordinari” impiegabili in immersioni fino ai 40 metri di profondità; - i “palombari di grande profondità” (G.P.) impiegabili in immersione anche oltre tale quota”. Fece quindi comparsa la specialità dei “Palombari G.P.”, addestrati all’uso di scafandri rigidi articolati e torrette butoscopiche,
attrezzature che consentivano le immersioni fino a 200 metri di profondità. Nel 1934 che la Scuola Palombari del Varignano fu trasferita, in ottemperanza a quanto stabilito dal nuovo ordinamento, alle scuole C.R.E.M. di S. Bartolomeo a La Spezia dove rimase in attività fino all’8 settembre del 1943.
L’evoluzione degli autorepiratori in Italia
A
Il Cappuccio Belloni
l termine della prima guerra mondiale l’Ing.Angelo Belloni, ex ufficiale di Marina, sommergibilista e brillante inventore, continuò ad approfondire la possibilità di fare uscire un palombaro da un sommergibile in immersione per scopi bellici, attività che condusse freneticamente durante il conflitto. Grazie all’ammiraglio Thaon di Revel, ministro della Marina nel 1919, Belloni poté continuare le sue sperimentazioni con il sommergibile Ferraris e gli scafandri te-
deschi Dräger DM 40 che, per la prima volta, svincolavano il palombaro dalla manichetta di mandata dell’aria proveniente dalla superficie. Il DM 40 era il primo scafandro dotato di un innovativo sistema autonomo per la gestione sia della respirazione del palombaro, sia del suo assetto (apparato che qualche anno dopo sarebbe stato definito col termine di autorespiratore a miscela. Benché il sistema tedesco permettesse di raggiungere la profondità di 40 metri, facendo respirare all’operatore posto all’interno una miscela costituita da Azoto ed Ossigeno, presentava sempre l’inconveniente delle grandi dimensioni e considerevoli pesi che caratterizzava l’apparato normale da palombaro. Inconvenienti che lo avrebbero reso scomodo ed inadeguato per effettuare azioni insidiose. Sia per queste ragioni, che per realizzare un sistema che consentisse di condurre la fuoriuscita in emergenza da un sommergibile, nel 1928 Angelo Belloni iniziò a produrre i primi prototipi del “Cappuccio Belloni”. Questo era costituito da una tela gommata dotata di fori oculari stagni che, sagomata opportunamente, potesse
A sinistra: 4° modello dello scafandro rigido articolato Neufeldt und Kuhnke. A seguire il Palombaro Alberto Gianni. A seguire: Il Palombaro Alberto Gianni e la sua Torretta Butoscopica (Museo della Marineria di Viareggio)
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creare una campana d’aria nella quale una persona potesse immergersi. La respirazione all’interno del cappuccio sarebbe stata effettuata attraverso un autorespiratore, derivato dagli autorespiratori Davis, che in quell’epoca venivano utilizzati da molte Marine per la fuoriuscita in emergenza dai sommergibili. L’autorespiratore Davis, realizzato da Robert Henry Davis nel 1910, su derivazione del respiratore ideato da Henry Albert Fleuss nel 1878 per interventi in miniere o locali ricchi di fumi, era essenzialmente costituito da una piccola bombola di ossigeno, un sacco polmone dal quale respirare, una capsula di materiale assorbente la CO2 emessa dall’operatore e da un tubo corrugato dotato di boccaglio. Tale sistema era però privo di un altro apparato che consentisse di far uscire l’equipaggio senza dover, necessariamente, allagare completamente il sommergibile. A quel tempo, infatti, non esistevano ancora le garitte di fuoriuscita. Con l’affondamento del sommergibile Thetis della Royal Navy, avvenuto il 3 giugno 1938 e che causò la morte di 36 persone dell’equipaggio, si ebbe la conferma che l’autorespiratore Davis da solo era insufficiente a salvare gli occupanti di un battello in emergenza. Vennero così valorizzate il “Cappuccio Belloni”, molto più performante del Davis, e la “Vasca Belloni” la prima garitta per sommergibili.
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L’autorespiratore ad ossigeno (ARO)
n quello stesso periodo, in collaborazione con il Tenente di Vascello del Genio Navale Teseo Tesei, Belloni realizzava un sistema per immersioni occulte derivato dal proprio Cappuccio. Nel 1934, col supporto di Nave Ciclope, iniziò la fase finale dello lo sviluppo dell’Autorespiratore ad Ossigeno, che si concluse con le sperimentazioni condotte nel 1938 a bordo del proprio yacht, lo Jolanda, dove venne affinata l’ingegnerizzazione del G-50 un apparato che consentiva 4-5 ore di autonomia e che fu talmente innovativo e performante da essere impiegato dai reparti subacquei di molte Nazioni per i successivi 50 anni. Col numero 50 era indicata la versione sequenziale del progetto, questo sta a significare che per raggiungere quella perfe-
zione Belloni sviluppo 49 precedenti prototipi! Quest’apparecchiatura permetteva, definitivamente, di scollegare l’operatore subacqueo dalla superficie in quanto la riserva di gas respiratorio, l’ossigeno, era trasportato dall’operatore stesso. Il sistema di funzionamento era di tipo pendolare a circuito chiuso: il ciclo respiratorio avveniva per il tramite di un corrugato che, collegato ad una capsula che assorbiva l’anidride carbonica emessa, riemetteva solo ossigeno puro all’interno del sacco polmone, dal quale ricominciava il successivo atto respiratorio. Questa ottimizzazione del gas respiratorio faceva si che l’autorespiratore avesse una lunga autonomia e, soprattutto, fosse silenzioso non emettendo alcuno scarico verso la superficie. L’unico limite dell’ARO era determinato dai potenziali effetti tossici dell’ossigeno. Questo gas, infatti, imponeva a 12 metri la quota massima d’impiego dell’apparato (per soli 15 minuti), pena la possibilità di incorrere nell’iperossia una problematica fisiologica scoperta contestualmente allo sviluppo dell’autorespiratore. Per superare tali limiti, spesso determinati dalla situazione contingente, gli uomini dei Mezzi di Assalto lasciavano dell’aria all’in-
terno del sacco polmone, creando così, artigianalmente, una miscela di Azoto-Ossigeno che permetteva escursioni di breve durata fino alla profondità di 20/30 metri. Nasceva così il Sommozzatore, un'altra figura professionale che si affiancò al Palombaro.Venne istituito il ruolo Sommozzatori, nel quale Teseo Tesei è iscritto col n°1, che venne custodito dalla Scuola Sommozzatori che Belloni contribuì a fondare a Livorno (San Leopoldo) l’1 settembre 1940.
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Vestito, gran facciale, orologio e pinne
a l’invenzione dell’autorespiratore ad ossigeno non bastava a completare la metamorfosi che ha visto trasformare il Palombaro nel Sommozzatore. Occorreva realizzare tutti gli altri accessori che permettessero di sfruttare al meglio questa innovativa apparecchiatura che era stata studiata per scopi militari. Vi era la necessità di trasformare il vestito pesante da Palombaro in uno più versatile che garantisse comunque la permanenza a lungo in acque fredde. Venne risolto questo problema ancora
una volta da Angelo Belloni che realizzò la prima muta stagna della storia della subacquea: il “vestito Belloni”. Realizzato in tela gommata era sagomato in forma antropomorfa con un unico accesso nel lato ventrale che veniva poi chiuso attraverso un elastico. Al di sotto del vestito era poi indossata una lana da palombaro per resistere alla dispersione termica dovuta alle immersioni prolungate ed alle acque fredde. Poi occorreva realizzare un apparato che sostituisse il Cappuccio Belloni, troppo ingombrante per le attività che avrebbero dovuto condurre i sommozzatori dei Mezzi di Assalto ma, soprattutto, non impiegabile in posizioni del corpo diverse da quella verticale. Sempre il Belloni si rese conto che occorreva realizzare un oggetto che derivasse dalle varie evoluzioni del suo cappuccio. Così nacque la prima maschera da sommozzatore: il “gran facciale”. Questo oggetto realizzato in gomma aderiva ai lineamenti del volto ed era dotato di tre fori, due coperti da vetri in corrispondenza degli occhi, ed uno che ospitava il boccaglio dell’autorespiratore ad ossigeno. La maschera aveva il vantaggio di essere di ridotte dimensioni e impiegabile in tutte le posizioni che il subacqueo avesse assunto sott’acqua.
In alto da sinistra: Il tenente di vascello del Genio Navale Teseo Tesei durante una immersione da Palombaro (Comsubin). A seguire: un operatore subacqueo del Mezzi di Assalto della Marina che indossa un ARO G-50 realizzato da Angelo Belloni (Comsubin); Angelo Belloni durante un test di fuoriuscita da un sommergibile attraverso l’impiego del Cappuccio Belloni e della Vasca Belloni, creati da lui nel 1928. (per concessione della famiglia Belloni).
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L’evoluzione degli autorespiratori in Italia
In alto: rappresentazione grafica della Campana di Salvataggio realizzata da Charles Momsen e Al McCann nel 1937. A seguire: uno dei tanti prototipi del “Vestito Belloni”, la prima muta della storia dell’immersione (per concessione della famiglia Belloni).
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Vi fu poi la necessità di portare sott’acqua oggetti di uso comune, indispensabili per compiere azioni militari, come l’orologio. Fino al 1936 non era nata l’esigenza di utilizzarlo durante un’immersione in considerazione del fatto che i palombari, essendo vincolati alla superficie, avessero del personale di assistenza che ne gestiva le loro attività. Con la nascita dei sommozzatori e soprattutto con le azioni che si preparavano a condurre gli operatori dei Mezzi di Assalto ci fu la necessità di realizzare un orologio subacqueo che si vedesse in assenza di luce. Vennero così realizzati dalle Officine Panerai di Firenze i primi prototipi di un orologio subacqueo che prese il nome di Radiomir, per l’impiego di pittura a base di radio che posta sulle lancette e tacche del quadrante le rendeva luminose. L’ultimo oggetto ad essere inventato in quegli anni furono le pinne. Si pensi infatti che gli operatori dei Siluri a Lenta Corsa dei primi anni della seconda guerra mondiale non le indossavano in quanto non erano state ancora inventate. Fu un altro grande subacqueo a suggerirne la realizzazione per utilizzarle sempre a fini bellici: Luigi Ferraro, Medaglia d’Oro al Valor Militare per le azioni da lui condotte in Turchia come operatore Gamma dei Mezzi di Assalto della Marina. L’introduzione della pinna, copiata dalle pinne natatorie dei
pesci, permise al Sommozzatore di sfruttare una dimensione in più rispetto a quelle che fino al quel momento potevano essere fruite dal Palombaro, quella orizzontale.
Le origini delle immersioni profonde
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La narcosi d’azoto
ome anticipato, le sperimentazioni e lo sviluppo delle tecniche d’immersione con l’apparecchiatura normale da palombaro permise di raggiungere profondità sempre più impegnative. Questa tendenza palesò un fenomeno neurologico, fino ad allora sconosciuto, che si presentava oltre una determinata profondità. Si consideri che l’apparecchiatura subacquea utilizzava aria che, come noto, è costituita essenzialmente dal 79% di Azoto, 21% di Ossigeno. Di questi gas l’Ossigeno viene consumato dall’organismo, mentre l’azoto (gas inerte) si discioglie facilmente nei tessuti determinando le malattie da decompressione. Venne constato che l’azoto assorbito a profondità superiori ai 40 metri determinava un’alterazione neuro psichica che, in sintesi, rallentava il potere d’azione dei palombari, i loro riflessi e addirittura i pensieri.
Fu verificato che questo fenomeno, chiamato narcosi d’azoto, era un meccanismo momentaneo, legato alla sola immersione in corso, e non provocava danni permanenti.
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Dall’azoto all’elio e la sperimentazione delle miscele heliox
el 1919 Elihu Thomson, inventore e cofondatore con Thomas Edison della General Electric Company, teorizzò che la narcosi da gas inerte avrebbe potuto essere ridotta impiegando un gas diverso dall’azoto. Teorizzò quindi di utilizzare l’elio puro quale diluente di una miscela respiratoria, ma il costo eccessivo di quest’ultimo (90 $ c.a. al litro) rese tale proposta non economicamente sostenibile. Nel 1925 la US Navy prese in considerazione l'uso di elio per le immersioni profonde. Iniziarono così le sperimentazioni sugli animali da laboratorio, condotte in camera di decompressione, relative all’impiego di miscele respiratorie costituite da elio e ossigeno (heliox). Gli esiti delle prove furono eccezionali in quanto la decompressione di una immersione effettuata con heliox necessitava di un sesto del tempo della medesima immersione effettuata ad aria.
La nascita delle immersioni profonde
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ioniere di questa nuova tecnica d’immersione fu il Comandante Charles Momsen della US Navy, che dal 1937 al 1939 condusse una serie d’immersioni tese a standardizzare le immersioni condotte attraverso le miscele heliox. Il team di Momsen sviluppò un protocollo per miscelare l'elio con ossigeno a seconda della profondità da raggiungere. Con tale sistema riuscirono a operare in sicurezza fino a 91 metri di profondità. Momsen fu anche l’ideatore della Campana di Salvataggio per gli equipaggi dei sommergibili in difficoltà. La campana terminata nel 1930 da Lieutenant Commander Al McCann, dal quale prese il nome, è ancora oggi utilizzata nelle operazioni del soccorso sommergibili da tutte le principali Marine del mondo. Con l’affondamento del sommergibile USS Squalus a 74 metri di profondità, avvenuto per cause tecniche il 23 maggio 1939 al largo delle isole di Shoals (USA), venne dimostrata l’efficacia sia delle nuove procedure per immersioni profonde sia la campana di salvataggio. Infatti i 4 palombari abilitati alle immersioni profonde e quelli che pilotavano la Campana McCann riuscirono a salvare i 33 superstiti del sommergibile.
In alto: uno dei segreti militari dei Mezzi di Assalto della Marina fu la pinna. Quella rappresentata in foto è una delle pinne utilizzate da Luigi Ferraro nel 1943 durante le sue imprese (per concessione della famiglia Ferraro). A seguire: orologio Radiomir delle Officine Panerai di Firenze appartenuto alla Medaglia d’Oro al Valor Militare Luigi Ferraro. (per concessione della famiglia Ferraro). Gran Facciale realizzato da Angelo Belloni per essere abbinato all’ARO G-50. Questo esemplare è stato rinvenuto nel 1984 all’interno del relitto del sommergibile Scirè (Comsubin). Schrader Navy MK V Dive Helmet, realizzato negli Stati Uniti dal 1942 sulle sperimentazioni d’impiego delle miscele heliox per grandi profondità.
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La classe Costellazioni
nella lotta antinquinamento di Ilaria Cerra
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La classe Costellazioni nella lotta antinquinamento
Cassiopea, Libra, Spica,Vega, Sirio ed Orione sono le navi dedicate anche ad interventi antinquinamento marino.
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a Marina Militare ci tutela non solo da “minacce” esterne legate alla sicurezza ma anche da pericoli derivanti dall’inquinamento marino. Questo problema si verifica quando si ha uno sversamento di liquidi tossici ed inquinanti in mare causati o da eventi fortuiti, come incidenti, o da atti illeciti voluti. L’emergenza può essere di carattere locale o nazionale, a seconda della sua entità e gravità, e viene affrontato con piani operativi calibrati. Proprio al fine di vigilare nel modo più efficace possibile, il nostro Paese, insieme
alla Francia ed al Principato di Monaco, aderisce all’accordo RAMOGE per la prevenzione e la lotta all’inquinamento marino, effettuando un quotidiano monitoraggio ambientale, fondamentale per il mantenimento della salute dei nostri mari. Tutte le navi della Marina rappresentano una risorsa costantemente attiva, in grado di fornire un primo intervento per le fasi di allarme, di raccolta delle prove e di confinamento dell’emergenza in caso di navi sinistrate. Nei casi più rilevanti, in cui si rende necessario un intervento specializzato, la Ma-
rina può far ricorso alle sei unità della classe Costellazioni. Cassiopea, Libra, Spica,Vega, Sirio ed Orione sono le navi in grado di assicurare interventi a seguito di sversamento in mare di idrocarburi, durante i quali l’equipaggio assume un “ruolo” specifico seguendo delle procedure ad hoc. Quando si riceve un allarme di inquinamento marino, la tempestività e l’operatività sono aspetti essenziali. L’intervento di risanamento si divide in due fasi: la prima è il contenimento e la secoda è la rimozione. Nella prima fase, il team dedicato provvede a stendere in mare, tramite le lance di bordo, le panne galleggianti pneumatiche per contenere l’area inquinata. Una volta circoscritta l’area, passa alla seconda fase rimuovendo le sostanze inquinanti utilizzando il “Discoil”, un dispositivo che viene calato in mare tramite le gru di bordo. Il principio del funzionamento di questo macchinario si basa sulla rotazione
ad alta velocità di dischi metallici, capaci di raccogliere, data la diversa densità tra metallo e liquido, le sostanze inquinanti in apposite casse e successivamente analizzarle nel laboratorio di bordo. Un’altra funzione essenziale del centro analisi è il calcolo del cosiddetto punto di spiaggiamento delle sostanze inquinanti sulla costa. Solo in casi di estrema necessità, si può poi richiedere l’autorizzazione ad impiegare speciali materiali disperdenti in grado di reagire con gli agenti inquinanti e ridurre l’area colpita. Per mantenere sempre efficienti le unità e gli equipaggi in questa tipologia di operazioni, è necessario un continuo addestramento che culmina in esercitazioni complesse. La Marina, come sempre, è attiva a 360° e pronta ad intervenire e risolvere emergenze per la difesa e salvaguardia del nostro Paese.
Fasi di esercitazioni antinquinamento degli equipaggi della Marina.
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Nave Scuola Amerigo Vespucci
ottantasei e non sentirli di Antonio Cosentino
Era il 22 febbraio 1931 quando fu varato il veliero senza tempo della Marina Militare, Amerigo Vespucci
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he la nave fosse destinata ad avventure straordinarie lo lasciavano presagire sia il giorno del varo in cui ricorreva la morte del grande esploratore cui era intitolata l’unità, sia l’aspetto del vascello. A volere questa nave e la gemella Cristoforo Colombo, fu l’ammiraglio Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della Marina, che aveva condotto l’Italia alla vittoria della Grande Guerra sul mare. La nave scuola Amerigo Vespucci fu interamente costruita e allestita presso il Regio Cantiere Navale di Castellamare di Stabia. Un migliaio di uomini partecipò all’allestimento, erano maestri d’ascia, ferrai, tornieri, fonditori, pittori, sommozzatori, velai e i cordari dell’attigua corderia della Regia Marina. Correva l’anno 1931 quando le vele del Vespucci si gonfiarono per la prima volta ed il profilo elegante della nave attraversò il golfo di Castellammare di Stabia. Da allora, al motto “Non chi comincia ma quel che persevera”, si sono formati al mare quasi tutti gli Ufficiali della nostra Marina di ieri e di oggi, missione interrotta solo per cinque lunghe pause per lavori, l’ultima delle quali conclusasi proprio lo scorso anno, di volta in volta necessarie per allungarle la vita. Nella propria memoria, nave Vespucci porta ricordi indelebili come la prima Campagna d’Istruzione nel 1931, al ter-
Nave Amerigo Vespucci in navigazione.
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La Marina Militare ha voluto fortemente mantenere in servizio e in piena efficienza una unità come questa, con il compito sia di nave scuola ma anche di rappresentanza
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mine della quale le fu conferita la bandiera di Combattimento, il secondo conflitto mondiale, che ha trascorso da nave scuola ma che avrebbe potuto combattere come nave appoggio sommergibili , il rischio della cessione come bottino di guerra, l’onore di avere avuto a bordo il Fuoco di Olimpia nel 1960, per non parlare di quando nel 1962 l’USS Independence incrociandola le segnalò di essere la nave più bella del mondo o ancora, nel 1965, quando Straulino in comando la condusse fuori dal Mar Piccolo di Taranto a vele spiegate! Era l’ammiraglio padrone del vento, Agostino Straulino, che amava ricordare “un uomo di mare non si troverà mai a disagio nella vita, anche se decidesse di cambiare mestiere”. Ed è la perfetta parafrasi del motto della nave: il mare non uscirà mai dal cuore di
chi se lo sia guadagnato imparando quella dote fondamentale, la perseveranza, che nave Vespucci insegna solo a chi ha l’umiltà di volerla apprendere.
Questo simbolo insostituibile della nostra Forza Armata, attualmente ormeggiata presso la base di La Spezia per sosta scadenze di legge (SSL), a breve si accingerà a toccare nuovamente, in tutta la maestosità, i principali porti della penisola e del mondo. Nave Vespucci è molto più di una semplice nave scuola: rappresenta il punto di raccordo tra l’arte marinaresca e l’innovazione, la continuità tra la Marina del passato e la Marina del futuro, portatrice di storia, Valori e tradizioni. Buon compleanno, nave Vespucci.
(foto: Maurizio Lapera) Castellammare di Stabia, 22 febbraio 1931. Il varo di nave Amerigo Vespucci.
Il Vespucci... in poche righe
di Emanuele Scigliuzzo
Si rinnova ogni anno la storia di una nave, l’Amerigo Vespucci, che da sempre suscita in quanti incrociano la sua rotta, intense emozioni. Un veliero pensato e voluto nel momento in cui la marineria velica volgeva al tramonto, per assicurare la conservazione di una cultura, di tradizioni di un linguaggio antico che oggi riesce ancora a essere attuale e necessario. Disegnata dall’ingegnere di Marina, tenente colonello del Genio Navale Francesco Rotundi, il Vespucci eredita forma e colori dello scafo dal Pirovascello della Marina borbonica Monarca. Tecnicamente la nave scuola della Marina, è considerata una nave a vela con motore, i suoi tre alberi verticali, trinchetto, maestra e mezzana, ai quali si aggiunge il bompresso che si può considerare un quarto albero, la rendono dal punto di vista dell’attrezzatura velica “armata a nave”. La sua superficie velica, che raggiunge una superficie di 2.600 metri quadrati, ancora oggi realizzata in tela olona, è composta da pennoni e vele quadre oltre che di fiocchi, stralli, randa, boma e picco. Ideata come nave scuola, l’Amerigo Vespucci, come la sua pressoché gemella più anziana, furono concepite come navi appoggio per i sommergibili. Dal varo ad oggi, ad eccezione degli anni 1940 a causa degli eventi bellici e degli anni in cui è stata ferma per sosta lavori, il “veliero orgoglio della Marina Italiana”, ha addestrato i futuri ufficiali.
Il Vespucci porterà l’eccellenza italiana all’estero, numerosi impegni attenderanno il veliero, simbolo della Marina Militare e fiore all’occhiello dell’Italia.
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di Emanuele Scigliuzzo
avvenimenti e curiosità in breve
Due ori per il nuoto sincronizzato
Sono tornate in acqua le ragazze del nuoto sincronizzato per i Campionati Italiani Assoluti invernali. La coppia olimpica composta dai sottocapi Linda Cerruti e Costanza Ferro hanno conquistato la medaglia d’oro. Linda Cerruti sale anche sul gradino più alto del podio nella prova del “solo” confermandosi campionessa indiscussa nella specialità. (foto 1 e 2)
Rotta verso il Comando per 11 ufficiali
Giunta alla 275^ sessione, il 30 gennaio è iniziata presso il Comando delle Forze di Pattugliamento per la Sorveglianza e la Difesa Costiera, la Scuola Comando che coinvolge 11 tenenti di vascello con differenti pre-
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5 gressi professionali. Un momento significativo questo per la carriera di quanti sono impegnati ad acquisire in queste sei intense settimane, le capacità necessarie a comandare le Unità della Marina. (foto3)
Il Comandant’s Prize ad un ufficiale italiano
Concluso il 129° Senior Course presso il Nato Defence College a Roma, che ha visto la partecipazione di 60 frequentatori provenienti da 28 Paesi diversi. Il corso, il più importante dell’Istituto, ha come obiettivo la preparazione dei frequentatori a incarichi di rilievo in ambito internazionale. Prima della consegna dei diplomi, sono stati conferiti i due premi istituiti dal Col-
legio: il Commandant’s Prize assegnato all’autore del miglior lavoro individuale e l’Eisenhower Prize, assegnato al miglior lavoro di gruppo. Per la prima volta il Comandant’s Prize è stato assegnato ad un ufficiale italiano, riconoscimento ottenuto dal capitano di fregata Enrico Pieroni. (foto 4)
Una medaglia per il nuoto per salvamento Nei Campionati Italiani Primaverili le ragazze del Centro Sportivo di Roma i sottocapi Cristina Tempera e Giulia Nazzarri e dai comuni Vittoria Borgnino e Annamaria Padovano ottengono il bronzo nella staffetta 4x50 ostacoli e 4x25 trasporto manichino. Bronzo anche nella gara individuale di Vittoria Borgnino nella gara 100 trasporto manichino con pinne. (foto 5)
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Conferenza sulla Blu economy nel Mediterraneo
Si è svolta il 2 febbraio nel Palazzo Pedralbes, Barcellona, la conferenza Towards an Initiative for the sustainable development of the blue economy in the western Mediterranean, occasione di confronto sulle politiche marittime nell’area del Mediterraneo. All’appuntamento organizzato dalla Commissione europea, in stretta collaborazione con il Segretario dell’Unione per il Mediterraneo, ha partecipato il direttore dell’Istituto Idrografico della Marina, capitano di vascello Luigi Sinapi. Il direttore ha illustrato il contributo della Marina per lo sviluppo della Blu economy anche attraverso l’utilizzo di tecnologie, mezzi e collaborazioni con enti scientifici. (foto 6)
Certificazione di Aeronavigabilità
E’ stata consegnata presso la Direzione degli Armamenti Aeronautici e Aeronavigabilità la certificazione di Aeronavigabilità conseguita dal Gruppo Aerei Imbarcati. Un riconoscimento ottenuto per la prima volta da un comando della Marina Militare, conseguito dopo un impegnativo processo di valutazione che attesta la qualità e l’idoneità del Gruppo al mantenimento dell’aeronavigabilità degli aerei assegnati e dell’efficienza dell’equipaggiamento in dotazione. La cerimonia presieduta dal Direttore Generale di Armaero, generale ispettore capo Francesco Langella, si è svolta alla presenza del Comandante delle Forze Aree, ammiraglio Giorgio Gomma. (foto 7)
Importante sinergia Marina e Beni Culturali Dopo cinque mesi di restauro, grazie ad una sinergia tra Marina Militare e Beni Culturali, un dipinto del XVIII secolo che raffigura la Crocifissione di Cristo può essere restituito alla Curia Vescovile che lo riposizionerà nella chiesa di San Sebastiano. La cerimonia si è svolta alla presenza del Comandante Marittimo in Sicilia, ammiraglio Nicola de Felice, l’Arci-
Sette nuovi palombari per il Gruppo Opoerativo Subacquei
9 vescovo metropolita di Siracusa, monsignor Salvatore Pappalardo, il sindaco di Augusta, avvocato Maria Concetta Di Pietro, e l’architetto Fulvia Greco in rappresentanza della soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Siracusa. Momento particolare di questo evento è stata l’illustrazione dei lavori da parte della restauratrice Giovanna Comes che ha conquistato la platea, composta anche da alunni delle scuole superiori ad indirizzo artistico. (foto 8)
Presso il Comando Subacquei Incursori si è svolta il 10 febbraio la consegna dei brevetti e dei baschi blu, alla presenza del Comandante di Comsubin, ammiraglio Paolo Pezzuti, a sette giovani palombari. Al termine di un periodo di formazione impegnativo durato 10 mesi, e dopo una difficile selezione, i nuovi palombari sono entrati a tutti gli effetti nelle file del Gruppo Operativi Subacquei. (foto 9)
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Allenatori di Marina Paolo Fava
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di Emanuele Scigliuzzo
Incontriamo Paolo Fava, responsabile del settore classe olimpica dello Sport Velico della Marina Militare
Nella foto il responsabile del settore classe olimipiche dello sport velico della Marina, primo maresciallo Ismef Paolo Fava.
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aolo Fava è il secondo protagonista di questo appuntamento: un passato da velista, un trascorso da segnalatore in Marina, il concorso nel 1995 per il passaggio a Istruttore Marinaresco Educatore Fisico, un presente come Responsabile del settore classe olimpica dello sport velico della Forza Armata e Direttore del Centro Sportivo Agonistico del Comando Militare Marittimo della Capitale. Vista la lunga esperienza, ci può dire quali sono le caratteristiche secondo lei di un buon velista? Un velista, prima di tutto, deve essere un ottimo marinaio. Non serve solo una preparazione tecnica nella disciplina sportiva, ma anche saper adoperare tutti gli strumenti per mantenere la barca efficiente. Qual è il ruolo del responsabile del settore classe olimpica della Marina Militare? È un compito bellissimo, mantiene i rapporti con la direzione tecnica della Federazione Italina Vela come anello di congiunzione tra
la Marina Militare e il quadro tecnici della FIV, pianifica la stagione agonistica insieme ai propri collaboratori/tecnici e si occupa anche dello “scouting”. Dai tempi dell’ammiraglio Agostino Straulino, la Marina non ha conquistato nessuna medaglia olimpica nella vela, l’ha sfiorata nell’edizione di Londra con la classe 470 maschile, quali sono le cause? E’ una domanda che si pongono in molti. A Rio la squadra italiana l’ultimo giorno delle regate è scesa in acqua potenzialmente con tre medaglie al collo, purtroppo la sera dopo le finali non ne aveva vinta neanche una. Noi, in Marina, stiamo lavorando per raggiungere questo grande obbiettivo. Qual’è lo stato di salute della vela italiana? I circoli in collaborazione con la federazione svolgono un ruolo eccellente. I problemi sorgono nelle classi olimpiche in quanto è richiesto un grosso impegno sia in termini di tempo che economico per gli allenamenti e la partecipazione alle regate in calendario. Quali sono le aspettative per il settore vela olimpica in vista di Tokyo 2020? Siamo solo al primo anno del quadriennio di preparazione olimpica, è prematuro fare pronostici. Stiamo seguendo dei progetti con dei ragazzi giovani e probabilmente per Tokyo incrementeremo la squadra con atleti di altissimo livello. Chiudiamo con due consigli, uno rivolto ai ragazzi che pensano di avvicinarsi a questo sport e l'altro ai genitori che magari per “paura” indirizzano i propri figli verso altre discipline. La vela è uno sport affascinante, un ragazzo attraverso questo sport vive un ambiente completamente nuovo che lo “costringe” a migliorare delle abilità che in altre discipline difficilmente svilupperebbe. Per quanto riguarda i genitori, a loro è spesso difficile far credere che “il piccolo marinaio” che gioca con le onde, planando con un vento di 20 nodi e onda formata, è il loro bambino.
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