Notiziario della Marina luglio agosto 17

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M ARINA n o t I Z I A R I o de l la

A n n o L X I V - L u g L I o - A g o s t o 2 01 7 - € 2,0 0 - C o p I A o m A g g I o



di Antonio Cosentino

Ci inoltriamo in questa calda estate, rievocando in questo numero un momento formativo importante che segna il passaggio “dalla terra al mare” per gli allievi di oggi e ufficiali di domani, con le Campagne d’istruzione di nave Vespucci approdata a New York dopo 17 anni e, con la goletta della Marina, Palinuro che ha ospitato a Trieste, per poi riprendere la rotta prevista, l’incontro trilaterale tra Francia Germania e Italia. Continua poi il nostro viaggio con le unità della Squadra Navale, la fregata Virginio Fasan partita il 14 luglio da La Spezia, è impegnata in Oceano Indiano, nell’area del Corno d’Africa, quale flagship dell’operazione di contrasto alla pirateria marittima “Eunavfor Atalanta”. Mentre, entrando in pieno regime nell’attività operativa, nave Durand De La Penne diventa flagship dell’operazione “Mare Sicuro” missione nel Mediterraneo centrale. Rivivremo poi la storia della Marina con la spedizione artica di 89 anni fa, un’impresa in cui molti uomini persero la vita, ma che contribuì in modo determinante agli studi scientifici. E ora, la Marina dopo l’impresa del 1928 del comandante Nobile, torna a solcare quelle acque lontane con nave Alliance per una missione al servizio della scienza. Ripercorriamo poi, con un inserto centrale, la seconda e ultima parte della storia dell’evoluzione della subacquea fino ai giorni nostri. Ma vi garantiamo altra adrenalina, con le esercitazioni Goldfinger e Adrion. La prima, condotta in Adriatico, ha visto addestrarsi gli uomini delle forze speciali, in azioni di controterrorismo marittimo, dal mare e dall’aria; mentre, con nave Comandante Cigala Fulgosi, impegnata nelle acque del Mar Egeo, con l’esercitazione Adrion, ha visto migliorare la conoscenza reciproca e di una maggiore interoperabilità nell’attività in mare fra le Marine di Albania, Croazia, Grecia, Montenegro, Slovenia e Italia. E’ così che sul fondo del mare, dove giace il relitto del sommergibile Veniero, i palombari di Comsubin si immergono con la tecnica della saturazione, in occasione del primo anniversario della scomparsa di Enzo Maiorca. Parliamo poi dei 152 anni delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera rivivendo una tappa storica di uno dei Corpi più noti della Marina. L’importante traguardo celebrato, per la prima volta nella storia del Corpo presso il Comando Generale, quest’anno reso ancora più “speciale” con la visita del Capo dello Stato che ha voluto testimoniare la profonda gratitudine alla Guardia Costiera per il suo operato al servizio del Paese e, a proposito delle molteplici competenze del Corpo, ha evidenziato come “la dipendenza da una pluralità di Dicasteri sia dimostrazione della complessità dei compiti affidati”. L’incontro si è concluso con la visita alla Centrale Operativa, ove il Presidente ha potuto “toccare con mano” il complesso delle attività della Guardia Costiera, osservando in prima persona gli avanzati sistemi di controllo e monitoraggio del traffico marittimo di cui il Corpo dispone nell’espletamento delle proprie attività. Ultimo, anche se non per ordine d’importanza, è il diario di bordo del velista della Marina Andrea Pendibene che si racconta in una intervista, durante la preparazione della barca a La Rochelle in Francia, per la regata oceanica Minitransat che partirà il prossimo 1º ottobre.

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SOMMARIO

Il Notiziario della Marina è una testata giornalistica della Marina Militare fondata nel 1954

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Registrazione Tribunale di Roma n.396/1985 dell’ 8 agosto 1985

2017

Proprietà Ministero della Difesa Editore Ministro della Difesa

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26 luglio 2017 - le vele del Vespucci a New York dopo 17 anni.

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Le vele del Vespucci a New York dopo 17 anni di Giuseppe Lucafò

Nave Palinuro... “rotta per Trieste” di Umberto Monteneri

Tra attività operativa e Campagna d’istruzione di Alessandro Lentini La Marina impegnata nel contrasto alla pirateria di Alessandro Busonero

High North di Emanuele Scigliuzzo

La Marina e la spedizione artica di 89 anni fa di Desirée Tomaselli

L’evoluzione della subacquea (II parte) di Giampaolo Trucco

Adrion 2017 di Antonio Cosentino

Esercitazione Goldfinger di Luigi Romagnoli Operazione Veniero di Giampaolo Trucco In ricordo di due “leggende” di Emanuele Scigliuzzo

Insieme in immersione di Alessandro Lentini

Passato, presente e futuro di Antonio Cosentino

“Quando capite alzate intelligenza” di Silvano Benedetti

Io, Andrea Pendibene di Pasquale Prinzivalli Mare Mostro un anno dopo di Emanuele Scigliuzzo

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Le vele del Vespucci a New York dopo 17 anni

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di Giuseppe Lucafò

'ultima volta era stato nel 2000, quando la "nave più bella del mondo" aveva visitato New York, ormeggiando nel porto di Midtown a Manhattan. A distanza di 17 anni è durata 5 giorni l'ottava sosta della storia di nave Amerigo Vespucci nella Grande Mela, svolta quest'anno in occasione dell'ultima tappa statunitense della Campagna d'istruzione 2017 che ha completato l'avventura nel continente Nord americano per gli allievi della prima classe dell'Accademia N OT I Z I A R I O

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Navale di Livorno. Il Vespucci, con la bandiera italiana, statunitense e dell'UNICEF a riva, è stato accolto nelle prime ore della mattina dalle barche a vela locali che lo hanno seguito in scia navigando sul fiume Hudson e costeggiando il suggestivo skyline nell'elegante contesto di Manhattan. Emozionante la vista da terra a Battery Park quando il veliero, emblema del nostro Paese e dell'italianitá in tutto il mondo, ha defilato sotto la statua della Libertà, uno dei più importanti simboli

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statunitensi, per poi dirigere all'ormeggio nei pressi della portaerei museo Intrepid, altro simbolo americano che ha operato in Oceano Pacifico durante il Secondo Conflitto Mondiale. Intenso è stato il programma che ha caratterizzato e arricchito i giorni di permanenza del Vespucci e del suo equipaggio a New York, attraverso una serie di attività impegnative e piene di significato. Oltre all'incontro con la numerosa comunità italiana residente negli Stati Uniti, che durante le visite a bordo ha avuto l'occasione di ammirare la bellezza senza tempo del veliero e ha avuto l'opportunità di abbracciare i propri connazionali, l'equipaggio del Vespucci ha partecipato alla toccante cerimonia per la deposizione di una corona di fiori presso il memoriale dell'11 settembre così da esprimere la vicinanza del nostro Paese alle vittime di Ground Zero del 2001. Inoltre, gli allievi della prima classe dell'Accademia Navale di Livorno hanno avuto la fortuna di poter effettuare una visita presso il Palazzo di Vetro, quartier generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, e di incontrare a bordo del Vespucci il dottor Anthony Lake, Executive Officer di UNICEF, insieme al Comandante della Nave scuola, capitano di vascello Angelo Patruno, per rafforzare l'ormai storico legame esistente fra il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia e lo storico veliero della Marina Militare Italiana, Goodwill Ambassador di UNI-

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CEF già dal 2007. Giorni di sosta indimenticabili, nonché giro di boa della Campagna distruzione 2017, soprattutto per questa nuova generazione di ufficiali della Forza armata presenti a bordo, che stanno completando l'impegnativo ciclo di addestramento iniziato in Accademia e che ora si apprestano a effettuare la traversata dell'Oceano Atlantico in direzione Europa, dove a fine settembre completeranno la propria esperienza a bordo, dopo aver visitato il porto spagnolo di Cadice, quello francese di Tolone e i due italiani di Portoferraio e Livorno.

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Nave Vespucci un gioiello di storia e tecnologia, incontriamo il direttore di macchina di Umberto Castronovo

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er continuare a brillare di luce propria l’Amerigo Vespucci ha bisogno di seguire la scia che il destino stesso le ha scritto; un destino legato non solo alla tradizione marinaresca e allo stile made in Italy tanto amato ed apprezzato in Patria ed all’estero, ma anche alla tecnologia e l’elettronica che caratterizzano gli apparati motore, ausiliari, sistemi antincendio e quanto altro consenta a nave Vespucci, di rappresentare un connubio unico di arte e tecnologia. Incontriamo il tenente di vascello Giovanni Garofalo, Direttore di Macchina di nave Vespucci. Brianzolo d’adozione e originario del salernitano, Garofalo è entrato in Accademia Navale a Livorno nel 2002. Una carriera trascorsa a bordo delle unità navali, con la passione per il bricolage e i libri, dal 4 luglio 2016 sta realizzando il sogno che seguiva già da allievo, ovvero diventare il Direttore di Macchina della “nave più bella del Mondo”. “Il Vespucci è il Vespucci, non ci sono eguali. La peculiarità di questa nave consiste nel fatto che in ogni parte del mondo si vada, chi ci viene a visitare associa immediatamente nave Scuola Amerigo Vespucci all’Italia e alle sue bellezze. Sapere di rappresentare con orgoglio la nostra Nazione agli occhi di chi dall’estero ci guarda e ci giudica, ci riempie il cuore e ci inorgoglisce quali cittadini italiani”. Il tenente di vascello Garofalo è a capo di un team composto da 2 Ufficiali e 60 militari tra sottufficiali e graduati, ne coordina e dirige le attività giornaliere e future per mantenere in perfetta efficienza questa preziosa regina dei mari. “Contrariamente a quello che si possa pensare, il Direttore di Macchina del Vespucci svolge le stesse funzioni tecniche dei colleghi imbarcati sulle “navi grigie”; su questa nave, a differenza del naviglio “combattente”, vi è la componente aggiuntiva della Rappresentanza, che è considerata prioritaria”. Poi, prosegue – “sul Vespucci, prestiamo anche molta attenzione a tutte le manutenzioni del Servizio Genio Navale ed Elettrico svolte in coperta, poiché la cura dei dettagli e delle attrezzature marinaresche su questa unità, hanno un ruolo fondamentale in porto e soprattutto in navigazione. Su questa nave ogni membro dell’equipaggio, indipendentemente dal grado e dalla categoria, contribuisce, anche con il “cuore”, a mantenere nave Vespucci così bella come la conosciamo”.

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Nave Palinuro... “rotta per Trieste” di Umberto Monteneri

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l comandante di nave Palinuro, capitano di fregata Giuseppe Valentini annuncia: “Rotta per Trieste”, tra lo stupore generale mentre l’Unità era in sosta ad Ancona. Il motivo del ritorno a Trieste del Palinuro, è il vertice trilaterale voluto dal presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni con il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e la Cancelliere Angela Merkel. L’incontro, avvenuto il 12 luglio scorso, si è tenuto a margine del summit sui Balcani occidentali, dove i tre partner hanno affrontato il problema della migrazione. Sicuramente un incontro che resterà impresso negli allievi della Scuola Navale Morosini che hanno vissuto questa parentesi internazionale, durante l’addestramento estivo che terminerà con il ritorno proprio a Trieste. Gli allievi, hanno affrontato la loro avventura estiva con determinazione in tutte le attività svolte, sia nelle soste in porto, dove l’Unità è sempre stata accolta da un forte entusiasmo dalla cittadinanza, sia in navigazione in tutte le attività di bordo. Nave Palinuro proseguirà poi la sua attività, ospitando gli allievi della scuola sottufficiali di Taranto, che avranno occasione per mettere in pratica quanto appreso nelle classi dell’Istituto di formazione. La 53ª Campagna di Istruzione terminerà il prossimo 20 ottobre nel porto di La Spezia, dopo sei mesi intensi.

Trieste, 12 luglio 2017 - A destra: un momento dell’incontro trilaterale. La foto di sfondo nave Palinuro in navigazione a vele spiegate. N OT I Z I A R I O

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” Incontriamo il comandante dell’Unità, capitano di fregata Giuseppe Valentini.

Comandante ci parli di nave Palinuro. Il Palinuro ha una storia diversa rispetto alle altre navi della Marina, sicuramente affascinate e particolare. L’Unità nasce infatti nel 1934 come nave da pesca dedita alla cattura dei merluzzi sui Banchi di Terranova. Nel 1951 venne acquistata dall'Italia per affiancarla all'Amerigo Vespucci nel ruolo di nave scuola. La nave, dopo i lavori di trasformazione entrò in servizio nella Marina Militare il 16 luglio 1955.Venne ribattezzata Palinuro in onore del mitico nocchiero di Enea nell'Eneide di Virgilio. Il motto della nave è Faventibus ventis (col favore dei venti). Come si svolge la vita dell’Allievo a Bordo? L’allievo svolge ogni tipo di compito a bordo della nave, dal lavare le gamelle a partecipare al pranzo in quadrato ufficiali, passando dal timonare e dall’effettuare guardie in plancia. Questo per far capire come ogni compito su una nave è importante e necessario e rappresenta un anello indispensabile nel sistema di bordo. Tutti gli allievi vengono divisi in squadre che seguono l’alternarsi delle squadre di bordo. L’unica attività loro preclusa è la salita a riva per ovvie ragioni di sicurezza. Come mai il mare Adriatico? Nave Palinuro, oltre ad essere preposta all’addestramento del personale, svolge anche la funzione di piattaforma relazionale. In questo ambito la nave porta il suo contributo nei paesi dell’iniziativa ADRION ovvero, tutti i paesi che si affacciano sul Mare Adriatico e Ionico quindi Albania, Montenegro, Croazia, Slovenia e Grecia, oltre ovviamente al nostro Paese.

Nave Palinuro ha ospitato, durante la Campagna estiva, l’incontro trilaterale tra i tre partner europei, per poi riprendere la rotta prevista.

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Tra attività operativa e Campagna d’Istruzione Il cacciatorpediniere Luigi Durand de La Penne durante la Campagna d’Istruzione 2017 a favore degli allievi della 2 ªclasse dell’Accademia Navale è stata flagship dell’operazione Mare Sicuro.

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di Alessandro Lentini l cacciatorpediniere Luigi Durand de la Penne è partito da Taranto lo scorso 11 agosto per la Campagna d’istruzione 2017 nel Mediterraneo con a bordo gli allievi ufficiali della seconda classe dell’Accademia Navale di Livorno. In questa seconda campagna addestrativa della loro carriera gli 88 allievi hanno potuto mettere in pratica la teoria appresa in Accademia nel settore marinaresco, in quello della condotta della navigazione e nell’ambito etico-militare acquisendo dall’equipaggio il senso e l’importanza del

lavoro di squadra a bordo di una nave della Marina. Ad amplificare il bagaglio di conoscenze assimilate, due giorni dopo la partenza nave Durand De La Penne è diventata flagship dell’operazione Mare Sicuro, missione nel Mediterraneo Centrale al comando del contrammiraglio Enrico Pacioni, entrando così a pieno regime nell’attività operativa. Equipaggio e allievi ufficiali hanno così visto da vicino questa realtà della Marina Militare a difesa delle vie di comunicazione strategiche e dei confini marittimi del Paese, attività di vitale importanza in questo “secolo blu”, così definito dagli analisti per la centralità del mare nella prosperità delle Nazioni. Gli allievi della 2ª classe dell’Accademia Navale prima della partenza per la Campagna d’istruzione.

I “professionisti del mare” di domani hanno portato l’eccellenza italiana ed il prestigio delle nostre Forze Armate nei porti di Grecia,Turchia e Bulgaria, attraverso la partecipazione ad eventi culturali e promozionali, in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche nazionali nei Paesi ospitanti. Gli allievi a bordo della nave affrontano così gli insegnamenti ricevuti in Accademia nelle attività reali anche dal punto di vista dei modi di comportamento e delle relazioni sociali, oltreché nell’ambito marinaresco al timone di una “nave grigia”, così diversa dall’Amerigo Vespucci, dove gli allievi lo scorso anno hanno effettuato la loro prima campagna d’istruzione. Nave Durand De La Penne raggiungerà Porto Ferraio il 21 settembre dove si unirà alle altre navi scuola: l’Amerigo Vespucci di ritorno dal Canada e Nord America con a bordo allievi ufficiali della prima classe, nave Palinuro che ha addestrato gli allievi sottufficiali nei porti del Mediterraneo orientale e le navi scuola a vela Orsa Maggiore, Corsaro II, e Caroly. Tutte insieme concluderanno le campagne d’istruzione 2017 due giorni più tardi a Livorno.

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La Marina impegnata nel contrasto alla pirateria L’Operazione marittima di contrasto alla pirateria “Eunavfor Atalanta�.

di Alessandro Busonero

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Nave Fasan, flagship dell’operazione antipirateria Atalanta al comando dall’ammiraglio Gregori.

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a Fregata Europea Multi Missione (FREMM) Virginio Fasan dal 27 luglio si è unita alla flotta europea impegnata nell’operazione marittima di contrasto alla pirateria “EUNAVFOR Atalanta”, missione dell’Unione Europea. Lasciata l’Italia il 14 luglio dal porto di La Spezia, la fregata Virginio Fasan per la prima volta è stata designata alla partecipazione di questa importante missione. Negli ultimi quattro mesi anche le fregate Espero e Carabiniere sono state impegnate nella stessa missione europea. Al fenomeno criminale d’interesse mondiale della pirateria, nel 2008 hanno risposto le Nazioni Unite facendo si che l’Unione Europea scendesse in campo per contrastare il fenomeno della pirateria nel Golfo di Aden e Bacino Somalo. In questo modo si è messa in pratica la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare sull’obbligo di cooperazione internazionale nella lotta alla pirateria. Il dispositivo nazionale è inquadrato sotto il comando e controllo dell’Unione Europea che opera dietro il mandato dell’ONU tramite le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza n. 1814, 1816, 1838, 1846 e1851 del 2008 e la decisione del Consiglio dell’UE 2008/851/PESC (10 novembre 2008) modificata con la decisione del Consiglio UE 2012/174/PESC del 23 marzo 2012. Lo scopo dell’operazione è quello di assicurare, concorrere alle attività di contrasto del fenomeno della pirateria, al fine di garantire la libertà di navigazione e la sicurezza del traffico mercantile dell’area di interesse, nonché la protezione degli aiuti umanitari/sanitari destinati alla Somalia a bordo delle navi del World Food Programme ONU. In sintesi gli obiettivi dell’Operazione Atalanta e quindi delle navi della Marina Militare che vi partecipano sono: - proteggere le navi del World Food Programme – WFP - (Programma Alimentare Mondiale) che hanno il compito di distribuire i viveri alle popolazioni somale, nonché la protezione del trasporto marittimo per l’African Union Mission in Somalia (AMISOM); - effettuare opera di deterrenza, prevenzione e repressione degli atti di pirateria; - difendere il naviglio mercantile al largo delle coste somale; - contribuire al monitoraggio delle attività di pesca a largo della coste somale; - supportare altre missioni dell'Unione Europea e le organizzazioni internazionali che lavorano per rafforzare la sicurezza marittima. Nave Fasan sarà impegnata nell’area del Corno d’Africa sino al mese di dicembre. Flag Ship dell’operazione, la fregata Fasan imbarca il contrammiraglio, Fabio Gregori quale Force Commander della Task Force 465 che ha sostituito l’ammiraglio della marina spagnola Rafael Fernández-Pintado Muñoz-Rojas.


La Marina Militare al servizio della scienza

High North 2017 di Emanuele Scigliuzzo

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a Marina Militare è tornata a solcare il mar Glaciale Artico con nave Alliance per una missione al servizio della scienza dopo l’impresa del comandante Nobile del 1928. In quella missione, alla quale partecipò in maniera determinante anche nave Città di Milano, vennero raccolte informazioni scientifiche determinanti per gli studi che seguirono negli

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anni successivi. High North 2017 è una campagna svolta con il personale dell’Istituto Idrografico di Genova (IIM), in sinergia con altre eccellenze del nostro Paese quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) e l’ Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie l’energia e lo sviluppo economico soste-

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nibile (ENEA). A bordo di nave Alliance erano presenti inoltre, i ricercatori internazionali del Centre for Maritime Research and Experimentation della NATO, che hanno dato una connotazione internazionale alla campagna che si è svolta dal 9 al 29 luglio scorso, in prossimità delle isole Svalbard.


Grazie alla strumentazione messa in campo dall’Istituto Idrografico della Marina Militare, si potrà contribuire ad accrescere le conoscenze sull’evoluzione dell’ambiente marino

Grazie alla strumentazione messa in campo dall’IIM, si potrà contribuire ad accrescere le conoscenze sull’evoluzione dell’ambiente marino in una zona del pianeta, l’area polare artica, che per le sue caratteristiche rappresenta un punto cruciale per i mutamenti climatici. In una vision allargata

Nave Alliance è una unità polivalente di ricerca iscritta nel registro del naviglio navale militare dal 2016, grazie ad un’intesa raggiunta tra la Marina Militare e il Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE), che svolge attività per conto della Science and Technology Organization (STO) della Nato.

che coinvolge equilibrio ambientale e interessi economici, la Marina insiste in attività per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche di settore, attraverso anche la partecipazione al Tavolo Artico e al sostegno al gruppo di lavoro EPPR (Emergency, Prevention, Preparedness and Response) dell’Artic Council. I dati scientifici che la Campagna fornirà, con attività svolte nel campo della

Geofisica e della Geologia Marina, potranno risultare ancora una volta utili per sviluppare le conoscenze in diversi settori, compreso quello dei cambiamenti climatici. Nave Alliance in attività durante la High North 2017.

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La Marina e la spedizione artica di 89 anni fa di Desirée Tomaselli

Un’impresa in cui molti uomini persero la vita, ma che contribuì in modo determinante agli studi scientifici.

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el 1928 la Marina partecipa alla famosa impresa polare del generale del genio aeronautico Umberto Nobile con l’impiego della nave Città di Milano; l’Unità, comandata dal capitano di fregata Giuseppe Romagna Manoia, diviene uno dei principali protagonisti dell’impresa. Opportunamente modificata per affrontare il particolare habitat, parte da La Spezia il 20 marzo 1928 con a bordo motori di ricambio, potenti impianti radiotelegrafici, una stazione meteorologica e materiale vario per il dirigibile. Destinata alle isole Svalbard con funzione di nave appoggio e base logistica avanzata della missione, deve assicurare i collegamenti radiotelegrafici con l’aeronave e svolgere attività scientifica. Il 2 maggio giunge alla Baia del Re ma rimane bloccata dal ghiaccio qualche miglio prima della banchina. Gli uomini trascorrono diversi giorni a trasportare materiali, tra cui quelli necessari alla costruzione dell’hangar dell’Italia, che raggiungerà quella base il 6 maggio. Il 24 dello stesso mese, Nobile con il suo dirigibile conquista il Polo Nord. Seguirà il naufragio N OT I Z I A R I O

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che tanto colpirà l’opinione pubblica mondiale dell’epoca, tenendola col fiato sospeso. Come consuetudine in occasione di campagne effettuate in zone geografiche poco note, alla nave militare è assegnato l’importante compito di organizzare ed eseguire rilievi oceano-

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grafici, geodetici, topografici e misurazioni del magnetismo terrestre. Pertanto vengono imbarcati ufficiali di Marina idrografi o con esperienza di campagne idrografiche, quali il tenente di vascello Ernesto De Pellegrini dai Coi, il tenente di vascello Adalberto Giovannini e il sotto-


La Marina contribuisce con i suoi uomini e mezzi all’avanzamento delle conoscenze scientifiche

tenente di vascello Luigi Donini, affiancati da alcuni ricercatori. La Marina contribuisce alla missione fornendo proprio personale anche all’Italia su cui salgono il capitano di corvetta Filippo Zappi, dirigibilista impiegato nella condotta dell’aeromobile, nel servizio di rotta e nelle osservazioni astronomiche per la determinazione del punto nave, il capitano di corvetta Adalberto Mariano, deputato alla preparazione e organizzazione del servizio cartografico e di rotta della spedizione -, il tenente di vascello Alfredo Viglieri, con compiti inerenti al servizio di rotta e alla determinazione del punto nave mediante osservazioni astronomiche, e il capo di 3 a classe radiotelegrafista Giuseppe Biagi, colui che, dopo il naufragio del mezzo

aereo, metterà in funzione la stazione radio campale di emergenza e trasmetterà il segnale di SOS con incredibile caparbietà, dando così ai sopravvissuti la possibilità di essere messi in salvo dai soccorritori. La Marina dell’epoca non è nuova alle spedizioni artiche, potendo vantare tra i suoi ufficiali ben tre esploratori polari dell’Ottocento (Eugenio Parent, Giacomo Bove e Alberto De Rensis) e l’impresa della Stella Polare (1899- 1900) con il raggiungimento, da parte del capitano di fregata Umberto Cagni, della massima latitudine Nord mai toccata dall’uomo fino ad allora. L’intento di Nobile è ora quello di assicurare all’Italia il primato del Polo attraverso il mezzo aereo. A questa finalità idealistica si affianca anche quella

scientifica, confermata dalla selezione, sulla base della preparazione tecnica, del personale imbarcato sia sul dirigibile sia sulla nave appoggio. La Marina contribuisce con i suoi uomini e mezzi all’avanzamento delle conoscenze scientifiche e i risultati ottenuti, soprattutto dalla Città di Milano, tra cui lo studio della deriva dei ghiacci, risulteranno fondamentali, al di là delle polemiche seguite all’epilogo della missione di Nobile.

Nella pagina precedente: in alto, nave Città di Milano bloccata dai ghiacci; in basso, il dirigibile Italia esce dall’hangar, costruito da personale imbarcato su nave Città di Milano. In questa pagina, il dirigibile Italia arriva alla Baia del Re dopo il primo volo.

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L’evoluzione della subacquea seconda parte - dal 1939 ad oggi di Giampaolo Trucco


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Luigi Ferraro

fig. 1

ell’articolo precedente pubblicato sul numero di febbraio, abbiamo assistito alla metamorfosi dell’attrezzatura normale da Palombaro che, per necessità bellica, si trasformò nel sommozzatore. Come è stato anticipato, tra i pionieri che permisero lo sviluppo di questo nuovo modo di immergersi ci fu Luigi Ferraro (fig. 1). Nato a Quarto (Genova) nel 1914, già dagli anni ’30 s’immergeva insieme agli amici Duilio Marcante ed Egidio Cressi nelle acque di Genova utilizzando le maschere artigianali ed i primi fucili da sub realizzati insieme a Egidio (fig. 2). Allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale si arruolò volontario nell’Esercito come tenente di complemento

fig. 2

e fu assegnato inizialmente al 20° Reggimento Artiglieria, per poi transitare in Marina, a disposizione della Milizia marittima di artiglieria. Già esperto subacqueo, chiese di poter far parte degli uomini dei mezzi d’assalto della Marina, frequentò così la scuola sommozzatori di Livorno e, successivamente, fu assegnato al Gruppo Gamma, un gruppo speciale di nuotatori d’assalto, del quale divenne poi vicecomandante e istruttore. Nel 1933 il francese Louis de Corlieu brevettò delle palette per le mani e pinne per i piedi, ma la sua idea non fu La prima maschera subacquea ideata negli anni ’30 da Luigi Ferraro in collaborazione con Duilio Marcante ed Egidio Cressi; a destra: Luigi Ferraro con il vestito con materiali subacquei che utilizzò ad Alessandretta e Mersina (Turchia) dal giugno al luglio 1943 per effettuare operazioni speciali nell’ambito delle attività condotte dal Gruppo Gamma della X flottiglia MAS. Per tali operazioni Ferraro conseguì la Medaglia d’Oro al Valor Militare. N OT I Z I A R I O

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fig. 3 e 4

A sinistra: la prima pinna natatoria sviluppate per gli operatori subacquei della Xa Flottiglia MAS. Prodotta dalla Superga fu subito accantonata per le sue limitate performance. A destra: l’esperienza di Luigi Ferraro permise di realizzare queste pinne natatorie, simili a quelle dei pesci, che garantivano un’eccellente resa energetica in acqua agli operatori subacquei della Xa MAS.

fig. 5 e 6

valorizzata nell’ambito militare. Fu invece la Marina italiana che, intuendo per prima le possibilità operative che le pinne potevano offrire, le adottò per gli operatori subacquei della X° Flottiglia MAS. Il loro sviluppo, al quale ha contribuito fattivamente Ferraro, era considerato alla stregua di quello di un’arma segreta.Vennero realizzati diversi modelli sperimentali dalla Superga-Pirelli e, alla fine, ne venne adottato uno con pala asimmetrica perché favoriva la pinneggiata (fig. 3 e 4). Nel maggio 1943 Ferraro venne inviato ad Alessandretta (Turchia) dove, sotto copertura del passaporto diplomatico dal quale figurava come impiegato del consolato italiano, condusse quattro azioni di sabotaggio che permisero di affondare tre mercantili nemici, ostacolando l’approvvigionamento marittimo dell’Inghilterra. Queste azioni valsero a Luigi Ferraro la medaglia d’Oro al Valor Militare. Con l’esperienza acquisita durante la guerra e con la proficua collaborazione con Egidio Cressi, nel 1952 dopo pazienti studi e prototipi Ferraro realizzò per la Cressi Sub sia la maschera “Pinocchio”, sia le pinne “Rondine”, attrezzature per sommozzatori capostipite di quelle moderne (fig. 5 e 6). In particolare la maschera permetteva di effettuare la manovra di compensazione senza dover impiegare lo scomodo stringinaso.

Continuiamo la storia dell’evoluzione della subacquea partendo dal contributo che le apparecchiature, gli studi fisiologici e le procedure ideate nell’ambito dei Mezzi di Assalto della Marina italiana offrirono allo sviluppo dell’immersione militare e, per la prima volta, di quella ricreativa.

Maschera sportiva Pinocchio prodotta ancora oggi dalla Cressi Sub, ideata da Luigi Ferraro. La particolarità principale della maschera era l’incavo in gomma per ospitare il naso (dal quale prese il nome la maschera) che consentiva una semplice manovra di compensazione.

Pinne natatorie Rondine prodotte dalla Cressi Sub ed ideate da Luigi Ferraro attraverso l’esperienza acquisita durante le operazioni speciali condotte durante la guerra.

Nel 1962 fondò la Technisub e con essa continuò a innovare, realizzando la prima pinna in materiale composito, la Caravella ed un Autorespiratore ad Ossigeno completamente re-ingegnerizzato rispetto a quello utilizzato durante il conflitto (fig. 7). Realizzato negli anni ’70 in collaborazione

fig. 7

Autorespiratore ad Ossigeno utilizzato da Luigi Ferraro ad Alessandretta e Mersina (Turchia) dal giugno al luglio 1943.

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con il Prof. Zannini, questo apparato fu costruito intorno a un’innovativa capsula contenente il materiale assorbente (calce sodata) necessario a fissare l’anidride carbonica emessa dal subacqueo. Presentava inoltre ulteriori novità tecniche, quali: • il percorso ciclico effettuato dal gas respiratorio, che prevedeva l’impiego

fig. 8

ARO prodotto dalla Technisub, azienda fondata da Luigi Ferraro.

La nascita della subacquea ricreativa

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a nascita della subacquea ricreativa va riconosciuta ancora una volta a Luigi Ferraro.A soli tre anni dal termine della seconda guerra mondiale Ferraro tenne all’Isola d’Elba, per conto della Cressi Sub e con la collaborazione del Touring Club Italiano, i primi corsi di “turismo subacqueo”.

Le attività venivano condotte impiegando il G-50 l’autorespiratore ad ossigeno impiegato dalla Marina Militare durante il conflitto (fig. 9). Ma fu con l’amico Duilio Marcante che si ebbe il vero e proprio passaggio dalla subacquea militare a quella ricreativa.Tutto quello che Ferraro inventava e utilizzava nei corsi

fig. 9

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di due tubi corrugati uno per la inspirazione e l’altro per l’espirazione; • il riduttore di pressione che permetteva di addurre ossigeno al sacco polmone sia in maniera completamente automatica, sia in modalità manuale; • il guscio protettivo delle componentistiche dell’auto - respiratore realizzato in materiale plastico. Queste caratteristiche sono diventate oggi standard produttivi dei moderni rebreather (fig. 8).

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subacquei, Marcante lo sviluppava e incrementava in una fase successiva. Avvenne sia con i Carabinieri Subacquei, per anni addestrati da Marcante dopo l’avvio di Ferraro, sia con i Vigili del Fuoco nel cui centro di addestramento Marcante divenne direttore dei corsi, quando Ferraro dovette lasciare l’incarico per gli aumentati impegni di lavoro. Il metodo Marcante, tratto dall’esperienza maturata insieme con Luigi Ferraro, fu quindi adottato dalla F.I.P.S.A.S. (Federazione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee) che lo ha fatto proprio, diffondendolo in tutto l’ambito nazionale assieme al primo "Manuale Federale di Insegnamento" sempre scritto dal Marcante. Con lo sviluppo dell’attività subacquea ricreativa Jacques-Yves Cousteau propose di costituire la Confederazione Mondiale delle Attività Subacquee (CMAS - Confédération Mondiale des Activités Subaquatiques). Nel gennaio del 1959 l’assemblea costituente della CMAS propose Cousteau e Ferraro quali Presidente e Vicepresidente. In quest’ambito Luigi Ferraro si occupò di redigere ex novo la prima didattica internazionale che si occupasse delle attività subacquee ricreative.

Isola d’Elba 1948, Luigi Ferraro spiega come utilizzare l’ARO agli allievi della prima scuola per la subacquea ricreativa.


Jacques Yves Cousteau

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ato a Saint Andres de Cubzac (Bordeaux, Francia) l’11 giugno 1910, Jacques Yves Cousteau (fig. 10) si arruolò in Marina divenendo nel 1930 ufficiale cannoniere. Innamorato del mondo subacqueo nel 1936 si rese disponibile per sperimentare un

Jacques-Yves Cousteau pronto ad immergersi con l’autorespiratore ad aria (ARA) ed il suo erogatore CG45, anche chiamato Aqualung

fig. 10

modello di occhiale subacqueo, progenitore delle odierne maschere. Durante la guerra Cousteau partecipò alla resistenza coinvolto nello spionaggio. Ciò gli valse la Legione d'Onore attribuitagli dal generale De Gaulle. Fu proprio durante gli anni della guerra, esattamente nel 1942, che Jacques Cousteau mise a punto, con l'ingegner Emile Gagnan, il primo erogatore per immersione ad aria, il CG45, un’invenzione che avrebbe rivoluzionato il modo della subacquea. Il CG45 (Cousteau-Gagnan), che per il mercato esterno alla Francia era chiamato “Aqualung”, era un erogatore monostadio, collegato ad una coppia di bombole contenenti aria ad alta pressione, che permetteva di effettuare immersioni da sommozzatore a profondità superiori a quelle consentite dall’Autorespiratore ad Ossigeno (12 m) e con una sostanziale riduzione dei costi di gestione. In sintesi, veniva sfruttata la consolidata esperienza d’impiego dell’aria per le

immersioni acquisita nel tempo con l’apparato normale da palombaro, descritta nel precedente articolo, pubblicato sul numero di febbraio. Col sommozzatore e l’autorespiratore

ad aria si entrava nell’era dell’immersione moderna, si poteva scendere in profondità senza avere i limiti imposti dall’armamento da palombaro. Probabilmente per tale ragione Cousteau battezzo questo primo erogatore come Scafandro Autonomo (fig. 11). Con quest’apparecchiatura il subacqueo Frédéric Dumas raggiunge i 62 metri di profondità nel ottobre del 1944. Questo primo erogatore venne sostituito dalle diverse versioni dell’erogatore Mistral che fu una pietra miliare dello sviluppo dell’immersione con autorespiratore ad aria. La passione per il mondo subacqueo e il desiderio di renderlo fruibile da tutti, spinse Cousteau a realizzare una delle prime cineprese subacquee. Nel 1957, insieme all’ingegnere aeronautico belga Jean de Wouters, sviluppò la Calypso: una macchina fotografica subacquea resistente alla pressione dell’acqua fino alla profondità di 50 mt

fig. 12

(fig. 12). Questo progetto fu poi acquistato dalla Nikon che la battezzò Calypso-Nikka, e in seguito Nikonos, una delle più famose macchine fotografiche subacquee esistenti al mondo.

fig. 11

Sopra: la Calypso, la prima macchina fotografica subacquea che potesse essere impiegata fino a 50 metri. A sinistra: l’insieme delle componenti dell’ARA ideato da Cousteaau. In primo piano l’erogatore monostadio CG45.

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Auguste Piccard e il batiscafo

fig. 13

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rofessore di Fisica all’Università di Basilea, benché la sua attenzione fosse inizialmente rivolta agli stati ionizzati, i raggi cosmici e la radioattività nell'atmosfera, Auguste Piccard fu attratto soprattutto dall'esplorazione subacquea. A tale scopo ideò il batiscafo, concepito come un pallone aerostatico sottomarino: uno scafo leggero di notevoli dimensioni e con funzione di galleggiamento, costituito da compartimenti stagni pieni di gas o di liquidi con densità inferiore a quella dell'acqua (per esempio benzina) e uno scafo resistente alla pressione idrostatica che era costituito da una cabina sferica di acciaio dove trovavano posto le apparecchiature di comando e l'equipaggio. Il cambiamento di assetto del batiscafo avveniva facendo entrare acqua all’interno dello scafo leggero per ottenere un assetto negativo e quindi iniziare la discesa verso il fondo, oppure sganciando della zavorra per cambiare

l’assetto in positivo ed avviare la risalita verso la superficie. Nel 1948 Piccard realizzò in Belgio l’FNRS 2 il primo modello di batiscafo che scese in quell’anno fino a 1.308 m al largo delle isole di Capo Verde. Sottoposto a sostanziali modifiche in un cantiere navale francese, il batiscafo denominato FNRS 3 (fig. 13) nel 1953 scendeva a 2.100 m al largo di Tolone e nel 1954 a 4.050 m al largo di Dakar. Ma August volva raggiungere la profondità più elevata degli oceani, cosi ideò

Dal batiscafo al minisottomarino

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enché il primo minisottomarino sia stato realizzato nel XVII secolo e durante la seconda guerra mondiale ne siano stati realizzati diversi per fini bellici, immediatamente dopo l’epopea dei batiscafi, venne ripreso lo sviluppo di questi battelli che erano dotati di sistemi di propulsione autonoma (di norma motori elettrici alimentati con batterie) e dei sistemi di assetto, di comunicazione e navigazione simili a quelli dei sottomarini. Anche in questo settore fu molto attivo Jacques Figura 16 Yves Cousteau. Infatti, la voglia di spingersi sempre più a fondo lo indusse a realizzare nel 1959, insieme all’ingegnere Jean Mollard, un minisottomarino biposto denominato SP-350, che poteva raggiungere la profondità di 350 metri (fig. 15). In seguito, il sottomarino fu migliorato ulteriormente, in modo da raggiungere i 500 m. Con queN OT I Z I A R I O

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un nuovo batiscafo, il Trieste I, costruito a sue spese in Italia nel 1953. In quello stesso anno il figlio Jacques toccò i 3.150 metri al largo d’isola di Ponza (fig. 14). Nel 1958 il batiscafo passò infine agli USA dove venne modificato e ribattezzato Trieste II. Il 23 gennaio 1960, con a bordo J. Piccard e il tenente di vascello Don Walsh, veniva stabilito il record di profondità raggiungendo 11.022 metri nell'abisso Vitjaz, al largo dell’isola di Guam.


A sinistra: Il batiscafo FNRS 3 (Fondo Nazionale per le Ricerche Scientifiche) realizzato da August Piccard nel 1948. In questa foto: il batiscafo Trieste I realizzato in Italia da Jacques Piccard nel 1953.

fig. 14

Il primo minisottomarino della storia realizzato da Jacques Yves Cousteau in collaborazione con l’ing. Jean Mollard nel 1959.

fig. 15

sto minisottomarino di forma quasi circolare dal diametro di circa 2 metri e un dislocamento di 3,8 tonnellate, nel 1975 Cousteau ispezionò il relitto del transatlantico Britannic affondato a 122 metri di profondità nel mare Egeo il 21 novembre 1916 a seguito di un’esplosione causata da una mina. Nell’ambito delle attività militari, queste apparecchiature trovarono valido impiego dagli anni ’60 nelle operazioni di soccorso al personale dei sottomarini sinistrati. Vennero pertanto realizzati con un modulo comando, nel quale trovava posto un equipaggio costituito da 2/3 persone, e un modulo di soccorso nel quale venivano ospitati i naufraghi. Il primo minisottomarino di salvataggio fu realizzato a seguito dell’affondamento del USS Thresher, avvenuto durante le prove di collaudo nel 1963 e nel quale persero la vita 146 persone. Nel 1965

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DSRV-1 Mystic (Deep Submergence Rescue Vehicle), il primo minisottomarino di salvataggio realizzato dalla UN Navy nel 1965.

fig. 16

la US Navy avviò il Deep Submergence System Project che nel 1970 si concretizzò col DSRV-1 (Deep Submergence Rescue Vehicle) Mystic (fig. 16), un minisottomarino di 15 metri che poteva operare fino a 1500 metri di profondità, connettersi al portello di fuoriuscita dei battelli e portare in superficie 25 naufraghi alla volta. Per quanto riguarda questo specifico settore, la Marina Militare realizzò il primo minisottomarino di salvataggio nel 1978, il MSM-1/S Woodstock (fig. 17). Lungo circa 10 metri era imbarcato su nave Anteo e poteva effettuare immersioni fino a 600 metri (300 in modalità di soccorso). Oltre ai comuni sistemi di navigazione subacquea, era dotato di luci, telecamere, 2 bracci manipolatori e di un oblò a forma di iride posto nella prora che permetteva al pilota di vedere all’esterno. Il Woodstock in modalità di soccorso poteva ospitare 8 naufraghi per corsa e poteva operare indipendentemente da nave Anteo per 8 ore. Il 19 settembre 1998 l’MSM-1/S è stato il primo minisottomarino di salvataggio della NATO ad appontare su un sommergibile del ex Patto di Varsavia, lo Slava, un battello bulgaro della classe Romeo. Nel 1998, dopo 20 anni di onorato servizio, l’MSM-1/S fu sostituito dall’attuale SRV-300 (Submergence Rescue Vehicle, in (fig. 18) prodotto dalla Drass-Galeazzi. Della lunghezza di 8,46 metri e caN OT I Z I A R I O

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fig. 17

fig. 18

pace d’immergersi fino a 300 metri di profondità, l’SRV 300 può soccorrere 12 persone alla volta, consentendogli inoltre di effettuare una eventuale decompressione qualora il battello sinistrato sia in pressione. Dotato di un braccio manipolatore e di un gripper (una particolare ganascia idraulica), ha un autonomia di 14 ore in operazioni di soccorso e di 10 ore in quelle di ricerca. Come il precedente modello l’SRV 300 è dotato di un particolare

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al centro: MSM-1/S Il primo minisottomarino di salvataggio italiano realizzato nel 1978 dai cantieri Breda per la Marina Militare; sopra: SRV 300 (Submergence Rescue Vehicle) l’attuale minisottomarino di salvataggio della Marina Militare, realizzato dalla Drass-Galeazzi nel 1998.

sonar per la navigazione subacquea, di luci e telecamere in alta definizione e di un oblò a forma di iride posto nella prora del veicolo.


Il super A.R.O.

Lo “Sport Diver” il primo erogatore a singolo tubo

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Super ARO, realizzato dalla Cressi Sub a partire dal 1947 grazie alla collaborazione con Luigi Ferraro.

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el 1947 sulla base degli autorespiratori ideati dal comandante Belloni e dall’esperienze effettuate da Luigi Ferraro durante la guerra, la Cressi Sub inizia a produrre il Super ARO AR47, che verrà sostituito nel 1957 dal ARO AR57B. Impiegato dagli incursori di Marina e da altre Forze Armate per i propri reparti subacquei ed incursori, l’autorespiratore è stato utilizzato sia con un gran facciale della Salvas, che richiedeva l’utilizzo di uno stringinaso per compensare, sia con un gran facciale della Cressi, derivato dalla maschera Pinocchio.

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rodotto dal 1948 al 1953 dal californiano E.R. Cross, l’erogatore “Sport Diver” era il primo erogatore dotato di un unico tubo corrugato che unisse un primo stadio, posto sulla bombola, e un secondo stadio istallato sul boccaglio indossato dal subacqueo. Il sistema, commercializzato contemporaneamente all’Aqualung di Costeau, benché avesse avuto poca fortuna, è stato il primo erogatore bistadio della storia dal quale sono stati realizzati i successivi dispositivi.

Il “polmone erogatore” la risposta italiana all’Acqualung

’erogatore Explorer realizzato nel 1959 dal medico Alberto Novelli e dal tecnico Pietro Buggiani fu il primo erogatore bistadio italiano. Con questo erogatore le bombole dovevano essere indossate con i fondelli in alto e alla rubinetteria si fissava il primo stadio, un riduttore di pressione, dal quale fuoriusciva una frusta che portava l’aria a un soffietto a due valve da collocare sul petto in corrispondenza dell’apice dei polmoni e quindi alla bocca del sommozzatore. Con questo apparato, commercializzato dalla Pirelli in due versioni, Explorer ed Explorer Major, il 19 agosto 1959 il collega di Novelli, Cesare Olgiay fissò il record d’immersione con autorespiratore ad aria a 131,35 metri. In particolare, il modello Major era dotato di un dispositivo per la depurazione dell’aria espirata mediante cartuccia di calce sodata, anticipando di fatto i moderni rebreathers.

L’Explorer, il primo erogatore bistadio realizzato in Italia dalla Pirelli (1959).

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Gli erogatori bi-stadio

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u grazie a queste esperienze che iniziarono a essere prodotti i primi erogatori bi-stadio nelle conformazioni analoghe a quelle attuali: un primo stadio collegato alla bombola che riduce la pressione dell’aria in essa contenuta a circa 8 bar più la pressione idrostatica esterna e un secondo stadio, che consente all’aria di espandersi al suo interno per essere respirata dal sommozzatore alla pressione alla quale si trova. In sostanza, con la pressione intermedia di 8 bar per respirare agevolmente non occorreva più assumere alcune specifiche posizioni, né esercitare uno sforzo respiratorio eccessivo. Il primo erogatore bi-stadio della capostipite di quelli moderni è lo Scubapro Mark 2, realizzato nel 1963.

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Altri accessori per l’immersione

fig. 19

ra i diversi accessori che nel tempo sono stati realizzati per supportare l’attività subacquea interessante è lo sviluppo del coltello. Nato per gli operatori militari, come quasi tutto in questo settore, oggi è un elemento di sicurezza fondamentale per ogni tipologia d’immersione. Interessante è il coltello realizzato da Roberto Galeazzi su indicazione del neonato Gruppo Incursori della Marina Militare nella seconda metà degli anni ’50 (fig. 19). A rendere assolutamente originale il pezzo è la chiave inglese posta sulla testa dell’impugnatura, capace di aprirsi fino a 5 cm. Particolarità che ne fa uno dei coltelli più ricercati nel mondo dei collezionisti. Un altro accessorio le cui forme seguirono la metamorfosi del palombaro in sommozzatore fu la torcia subacquea. Negli anni ’40 la Galeazzi produceva diverse lampade per palombari (fig. 20), di grandi dimensioni, realizzate in bronzo e di dimensioni che non badavano troppo al loro peso fuori dall’acqua. Negli anni 50/60 la Panerai produsse delle torce per sommozzatore a compensazione manometrica (fig. 21). Il N OT I Z I A R I O

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Il MARK 2, il capostipite degli erogatori moderni realizzati da Scubapro nel 1963.

Il coltello ad usi multipli per sommozzatore, realizzato da Roberto Galeazzi per il neo costituendo Gruppo Operativo incursori (anni ’50).

corpo metallico era rivestito in gomma anti salmastro e anti olio ed erano dotate di pulsante per lampi di luce e sistema di bloccaggio del pulsante per fissarlo in posizione di spento o acceso. La torcia di destra aveva una lampadina classica mentre quella di sinistra utilizzava un brevetto Panerai di nome Elux. In questa torcia la lampadina era sostituita da un disco elettroluminescente in grado di emettere una luce biancastra.

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fig. 20 e 21

Sopra a sinistra la lampada per palombaro realizzata da Roberto Galeazzi negli anni ‘40; a destra le torce per sommozzatore realizzate dalla Panerai negli anni ‘50.


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Dal vestito Belloni alla muta umida

gli albori dell’era del sommozzatore, allo scopo di limitare la dispersione termica conseguente all’immersione, venivano utilizzate delle mute derivate dal vestito che Angelo Belloni aveva realizzato per gli operatori dei Mezzi d’Assalto della Marina Italiana. Una prima innovazione si ebbe nel 1951 quando la Pirelli brevettò e iniziò a commercializzare la propria muta in gomma, definita anche muta “gamma” (fig. 22) che era già stata disegnata negli anni ‘30. Realizzata in due pezzi diventava stagna utilizzando un elastico, denominato “canguro” che posto alla vita ne assicurava l’isolamento.Allo scopo di limitare gli effetti dell’eventuale “colpo

di ventosa”, causato dalla riduzione del volume dell’aria rimasta all’interno della muta, determinato dall’aumento della pressione idrostatica (legge di BoyleMariotte), l’operatore indossava anche una sottomuta in lana che offriva inoltre una maggiore protezione dal freddo. La muta era così performante per l’epoca che fu adottata per molto tempo dai palombari e incursori della Marina Militare Italiana. Tuttavia questa muta aveva alcuni difetti che dovevano essere colmati: a) se ben indossata non assicurava spinta positiva all’operatore in caso di emergenza; b) qualora non fosse stata esaurita l’aria rimasta all’interno della muta questa avrebbe potuto

La muta era così performante per l’epoca che fu adottata per molto tempo dai palombari ed incursori della Marina Militare Italiana. Tuttavia questa muta aveva alcuni difetti che dovevano essere colmati...

determinare il fenomeno del colpo di ventosa. Su tali presupposti nel 1951 venne realizzata la prima muta “umida” della storia da Hugh Bradner, un fisico del MIT (fig. 23). La ricerca di Bradner fu commissionata dalla US Navy allo scopo di garantire una più lunga permanenza in acqua degli operatori subacquei militari indossando inoltre una divisa da combattimento marina molto flessibile. La muta umida venne realizzata col neoprene, un nuovo prodotto realizzato nel 1930 dagli scienziati Arnold Collins e Wallace Carothers dell'azienda DuPont (USA). Il neoprene (originalmente denominato duprene) appartenendo alla famiglia delle gomme sintetiche si presentava come una gomma porosa, la cui massa era costituita da cellule gassose uniformemente fig. 22

La muta stagna denominata Gamma realizzata dalla Pirelli dal 1951.

fig. 23

La sperimentazione della prima muta umida in neoprene realizzata per la US Navy nel 1930.

distribuite. Le principali caratteristiche di questo innovativo prodotto erano la sua elasticità, la resistenza al taglio e allo schiacciamento, la resistenza all'invecchiamento atmosferico, al calore ed inoltre risultava essere inerte verso molti agenti chimici. A differenza di tutti i vestiti per immersioni utilizzati fino a quel momento, la muta umida consentiva all’acqua di entrare e distribuirsi negli interstizi che si venivano a creare tra il corpo dell’operatore e il tessuto della muta. Essa offrì la soluzione ai problemi che presentavano la mute stagne che fino a quel momento erano state realizzate: • il neoprene era un materiale morbido, impermeabile e confortevole che garantiva una certa riserva di spinta per l’operatore, utile in caso di emergenza, ma che diminuiva all’aumentare della profondità. • per il principio di Pascal l’acqua che penetrava all’interno della muta non si comprimeva all’aumentare della pressione e quindi permetteva una vestizione più rapida escludendo a priori il fastidioso fenomeno del colpo di ventosa; • rimanendo intrappolata all’interno del vestito era l’acqua stessa che, riscaldandosi a contatto col corpo e separata dall’esterno delle infinite piccole bolle d’aria presenti nel neoprene, diventava l’isolante termico richiesto dalla US Navy.

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Le immersioni in saturazione negli Stati Uniti

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a prima immersione fuori dagli schemi finora analizzati venne effettuata il 22 dicembre 1938 da Edgar End e Max Nohl, nella Camera di Decompressione del County Hospital di Milwaukee (Wisconsin, USA). I due rimasero per 27 ore alla profondità di 30 metri respirando aria ed impiegarono 5 ore per decomprimersi e tornare alla pressione atmosferica. Questo primo esperimento si concluse però con una grave malattia da decompressione accusata da Nohl, i cui sintomi furono risolti con una ricompressione. Nel 1942 il capitano medico Albert R. Behnke propose l'idea di sottoporre esseri umani a un aumento della pressione ambientale per un tempo abbastanza a lungo, affinché il sangue e i tessuti del corpo potessero saturarsi del gas inerte respirato (nel caso dell’aria l’azoto). Questa particolare tecnica, che prese il nome di “Immersione in Saturazione”, avrebbe permesso di ridurre il rischio di malattia da decompressione in quelle attività subacquee che si fossero svolte a grandi profondità per lunghi periodi di tempo. L’altro importante vantaggio sarebbe stato quello del tempo necessario alla decompres-

sione una volta fosse stata raggiunta la saturazione dei tessuti, in quanto per questa metodologia d’immersione sarebbe stato sempre lo stesso, qualsiasi fosse stata la permanenza a quella data profondità. Sulla base di questi studi, il capitano medico George Foote Bond avviò nel 1957 il progetto Genesis, presso Naval Medical Research Laboratory della US Navy, in Connecticut, per comprendere quali fossero i gas più idonei a essere respirati in condizione di pressioni elevate, per prolungate esposizioni. Il progetto prevedeva due fasi di studio, la prima incentrata su miscele respiratorie con diluente azoto, la seconda prevedeva l’impiego dell’elio. Il progetto dimostrò che solo respirando miscele formate da elio e ossigeno (heliox) sarebbe stato possibile condurre immersioni in saturazione. Benché i risultati fossero incoraggianti non fu permesso di passare alla sperimentazione sull’uomo solo fino al 1962, quando venne effettuata con successo un’immersione in saturazione, della durata di 6 giorni, nella quale tre palombari della US Navy vissero alla pressione atmosferica, in un microclima costituito dal 21,6% di ossigeno 21,6%, dal 4% di

azoto e dal 74,4% di elio.Pochi anni dopo la US Navy finanziò la realizzazione di due habitat da posizionare sul fondo del mare, il Sealab I e il Sealab II (fig. 24), affinché si perfezionassero le conoscenze delle immersioni in saturazione acquisite dal dott. Bond, per poter definire precisi protocolli che permettessero di trasformare quella che era una tecnica sperimentale in una capacità operativa della Marina. Nel 1964 venne inaugurato l’habitat Sealab I, dove vissero 4 subacquei alla profondità di 65 metri per 10 giorni, mentre nel 1965 nel Sealab II una squadra di 10 operatori visse alla profondità di 70 metri per 15 giorni. In entrambe gli esperimenti il microclima nel quale respiravano i subacquei era costituito da una miscela respiratoria a base di elio. Benché questi esperimenti ebbero esito positivo, gli habitat sottomarini si dimostrarono invece molto costosi e complessi da mantenere nel tempo, pertanto, da quel momento, tale tecnica d’immersione è stata effettuata esclusivamente attraverso impianti iperbarici per la saturazione, istallati o posizionati a bordo di unità navali.

L’habitat subacqueo Sealab II realizzato dalla US Navy nel 1965 utilizzato per condurre immersioni in saturazione sperimentali fino alla profondità di 70 metri.

fig. 24

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L’Italia e le origini delle immersioni in saturazione

I

fig. 25

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l 29 febbraio 1939 nel numero 121 del quindicinale “Sapere” edito a Milano dalla Hoepli comparve un articolo firmato da Livia Pirocchi nel quale veniva trattata approfonditamente la fisiologia iperbarica e le leggi che determinano lo scambio respiratorio. Durante la sua analisi presentò le caratteristiche di ciascun gas respirato dai palombari e dalle tappe decompressive ai quali questi uomini erano sottoposti: “...Le tappe decompressive vengono effettuate a distanza di tre metri in tre metri sino alla fuoriuscita dall’acqua e il tempo che si deve lasciar trascorrere ad ogni sosta per la decompressione cresce dalla prima all’ultima tappa...”. Inaspettatamente Livia Pirocchi trattò infine l’argomento principale del suo articolo: “L’impiego dell’elio: priorità ita-

liana”. Quest’affermazione era il preludio alla necessità di impiegare delle miscele respiratorie dove al posto dell’azoto fosse stato inserito l’elio (fig. 25), anche in virtù degli esperimenti condotti da Nohl in America. Questa proposta giornalistica, come molte volte è accaduto per i ricercatori italiani, era già stata individuata dal dott. Mario Moschini che nel 1933 depositava presso il Ministero delle Corporazioni il brevetto n°329501, in cui non soltanto il principio era rivendicato, ma ne era descritto ed illustrato addirittura anche l’autorespiratore per metterlo in pratica!

Test di respirazione di miscele Heliox all’interno di una camera di decompressione, condotti negli Stati Uniti da Nohl dal 1938.

Le immersioni profonde nella Marina Militare

enché i palombari abilitati G.P. (Grandi Profondità) effettuassero già dal 1936 immersioni ad aria superiori ai 40 metri (veniva raggiunta l’impegnativa quota degli 80 metri), negli anni 60’ ci si rese conto che per superare tale limite occorreva avviare una sperimentazione sull’impiego delle miscele heliox, sulla base degli studi effettuati qualche anno prima dalla US Navy. Nel 1968 il Raggruppamento Subacquei ed Incursori “Teseo Tesei” acquisì un simulatore abissale dalla ditta Roberto Galeazzi (fig. 26), che è stato installato nel 1969 ed iniziavano così le prime attività sperimentali in questo settore. Costituito da 4 ambienti iperbarici collegati tra loro, l’impianto permetteva di effettuare immersioni fino alla profondità di 300 metri sia nella modalità “a secco” , sia in quella bagnata, in quanto una camera era allagabile e posizionata nella parte inferiore del simulatore. Le prime sperimentazioni con l’uomo vennero effettuate dal 1969, in un periodo di entusiastica ricerca la Sezione di Fisiologia Subacquea dell’Ufficio Studi di Comsubin pubblicò numerosi lavori scientifici sugli aspetti fisiologici relativi all’esposizione dell’uomo all’iperbarismo spinto. In tale contesto vennero acquisite

fig. 26

Simulatore Abissale per immersioni profonde, consegnato alla Marina Militare nel 1969 da Roberto Galeazzi

le capacità necessarie ad avviare, nel 1979, il primo corso di immersione profonda che abilitava il personale già palombaro ad effettuare immersioni attraverso l’impiego di miscele respiratorie heliox. In questo simulatore, dal 1 al 3 aprile del 1985, venne effettuata la prima immersione in saturazione che sia stata svolta in Italia, alla profondità di 10 metri. Degne di nota furono le immersioni sperimentali con la tecnica dell’intervento che raggiunsero la profondità eccezionale dei 200 metri! Dal simulatore si passò al mare attraverso l’impianto integrato per immersioni

profonde installato su nave Proteo della Marina Militare. Realizzata durante la seconda guerra mondiale, dal 1951 ebbe il compito di supportare le attività subacquee condotte dai palombari. Il Proteo imbarcava una campana di salvataggio sommergibili McCann e le diverse apparecchiature per l’immersione realizzate da Roberto Galeazzi: lo scafando rigido RM-200 e una torretta butoscopica. Dotato inizialmente di una camera di decompressione multiposto, nel 1982 gli venne istallato il primo impianto integrato per immersioni profonde della Marina Militare, sempre realizzato dalla

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ditta Roberto Galeazzi. Con questo impianto fu possibile effettuare le prime immersioni d’intervento attraverso una S.D.C. (Submarine Decompression Chamber, (figura 34), all’interno della quale due palombari (un tender ed un diver) potevano effettuare esclusivamente immersioni d’intervento fino alla profondità di 110 metri. Le sperimentazioni sulle immersioni in saturazione proseguirono grazie all’ingresso in servizio di nave Anteo (31 luglio 1980), unità progettata per dare supporto alle operazioni subacquee in alto fondale. Dotata di molteplici attrezzature per il soccorso agli equipaggi dei sommergibili sinistrati (minisommergibile, campana McCann, torretta butoscopica), era corredata da un impianto integrato per immersione profonde, realizzato nel 1977 dalla Roberto Galeazzi, per quanto riguarda gli impianti

A

L’SDC di Nave Anteo, realizzata per raggiungere la profondità di 250 metri, ospita tre operatori subacquei: 1 Tender e due Diver.

fig. 27

residenti a bordo, e dalla Drass per l’S.D.C. (fig. 27) ed i relativi apparati per la messa a mare. Esso era costituito da due camere di decompressione connesse tra loro in modo che formassero una “L” e collegate con la campana subacquea che permetteva di portare sott’acqua alla profondità di lavoro un team di tre palombari (1 tender e 2 diver). Con l’impianto integrato dell’Anteo era possibile effettuare immersioni profonde con la tecnica dell’intervento fino alla profondità di 150 metri e con quella della saturazione fino a 250 metri. Profondità che fu raggiunta nel giugno del 1992 quando, al termine di una lunga serie d’immersioni sperimentali, venne effettuata una storica immersione.

L’autorespiratore unificato della Marina Militare (A.R.U.)

l termine della seconda guerra mondiale i palombari italiani furono chiamati a riattivare i porti e le vie di comunicazione marittima, intervenendo sia per rimuovere i relitti che erano stati affondati dai bombardamenti alleati o autoaffondati dai tedeschi in fuga, sia per neutralizzare la minaccia rappresentata dai numerosi ordigni bellici inesplosi che erano disseminati lungo le coste. L’attività con-

dotta fu titanica, centinaia furono gli scafi affondati da rimuovere (solo a La Spezia se ne contavano 320) e migliaia gli ordigni da far brillare. Per queste ultime operazioni le uniche attrezzature subacquee disponibili per effettuare tali pericolose immersioni erano l’apparato normale da palombaro e l’autorespiratore ad ossigeno.Tuttavia era sempre più palese la necessità di dotarsi di un sistema silenzioso ed a

fig. 28

bassa segnatura magnetica che potesse avvicinarsi alle mine marine poste a profondità superiori ai 12 metri, il limite di impiego operativo dell’A.R.O. In conseguenza di ciò nel 1952 venne realizzato l’Autorespiratore Unificato (A.R.U., in (fig. 28) che racchiudeva due sistemi in uno: un autorespiratore a ossigeno e uno a miscela. Quest’innovazione, consentiva all’operatore di cambiare, anche sott’acqua, la tipologia di gas/miscela respiratoria, affinché potesse usufruire dei vantaggi di entrambi i sistemi: • avvicinarsi agli ordigni esplosivi ad attivazione magneto/acustica; • non effettuare decompressione fino alla profondità di 12 metri; • effettuare immersioni fino a 42 metri respirando una miscela Nitrox (40% ossigeno e 60% azoto) attraverso un autorespiratore a circuito semichiuso, garantendo così un profilo decompressivo più sicuro rispetto a quello dell’aria respirabile.

Autorespiratore Unificato (Autorespiratore ad Ossigeno combinato ad un Autorespiratore a Miscela), realizzato dalla Marina Militare nel 1952. N OT I Z I A R I O

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Il giubbotto ad assetto variabile

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n elemento fondamentale per il confort durante le immersioni, ma soprattutto per gli aspetti connessi con la sicurezza del subacqueo, fu l’introduzione del giubbotto ad assetto variabile (G.A.V.). Il primo sistema fu prodotto da Maurice Fenzy nel 1961 ed era realizzato da una sacca asimmetrica anulare gonfiabile attraverso una piccola bombola di aria compressa. L’attrezzatura, che prese il nome di Fenzy, veniva indossata sopra la muta e intorno al collo e permetteva di gestire l’assetto dell’immersione, variando il volume della sacca e quindi la spinta che essa esercitava sul subacqueo. Solo nel 1971 venne realizzato da Scubapro, nel 1971, col nome di “Stab Jacket” il primo Jacket di forma moderna che permetteva di stabilizzare l’operatore durante l’immersione. Il Fenzy, il primo giubbotto ad assetto variabile, realizzato nel 1961 da Maurice Fanzy.

Il primo rebreather elettronico: Electrolung

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l progresso delle attrezzature subacquee continuava incessantemente e nel 1968 venne prodotto il primo rebreather con controllo elettronico. Dall'incontro fortuito di John Kanwisher e Walter Stark, avvenuto assistendo a una serie d'immersioni sperimentali in alto fondale, nacque l’idea di realizzare un autorespiratore per tali profondità ma che limitasse l'enorme consumo di gas richiesto dalla respirazione in circuito aperto (emissioni all’esterno). Dopo alcune settimane il prototipo rivoluzionario dell’Electrolung era pronto e funzionante. Realizzato con il principio di funzionamento “a circuito chiuso” (senza emissioni all’esterno), l’autorespiratore permetteva di effettuare fino a 6 ore d’immersione. Era dotato di due bombole in acciaio cromato, una per l’ossigeno puro e l’altra per una miscela costituita dal 50% di elio, 40% di azoto e 10% di ossigeno. L’elettronica provvedeva a combinare la giuste percentuali dei gas al fine di far respirare al subacqueo la miscela più idonea per la profondità alla quale si trovasse. A causa di tre decessi di avvenuti durante il suo impiego l’Elettrolung fu quasi immediatamente ritirato dal commercio, tuttavia è stato il capostipite di una importante famiglia di autorespiratori: i rebreather elettronici.

L’Electrolung è il primo Autorespiratore a Miscela a controllo elettronico che sia stato realizzato. Prodotto nel 1968 rappresenta il capostipite della moderna famiglia dei rebreather elettronici.

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Le attività lavorative subacquee

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enché si stesse assistendo a una vera esplosione d’innovazione tecnica nell’immersione in libera da sommozzatore, il vecchio apparato normale da palombaro veniva ancora impiegato in tutte le attività subacquee lavorative. Tale sistema veniva prodotto da diverse aziende che, pur offrendo i loro prodotti con soluzioni tecniche sempre più performanti, nella sostanza non avevano mai cambiato la conformazione del palombaro: • da oltre 120 anni l’insieme elmovestito faceva si che il corpo dell’operatore fosse inserito in un unico ambiente che presentava sia la necessità di un grande quantitativo di aria (50 litri al minuto), che il pericolo del “colpo di ventosa” determinato da repentine variazioni della pressione esterna non compensate dal subacqueo; • il peso di tutta l’attrezzatura, variabile dai 70 ai 120 Kg secondo le differenti configurazioni, rendeva difficili e pericolosi i movimenti dell’operatore in superficie; • l’elmo, per come era concepito fino agli anni ‘60, limitava molto l’angolo della visuale dell’ambiente subacqueo circostante; • il vestito, realizzato in gomma telata, era confezionato in forme abbondanti per garantire una grande riserva di

spinta in considerazione del consistente peso reale dell’apparato. Nel 1966 venne presentato il primo prototipo di un casco per immersione, realizzato dalla Kirby Morgan per l’Experimental Diving Unit della US Navy, progettato per impiegarlo con autorespiratori a circuito semi chiuso (fig. 29). Appena due anni dopo la stessa Kirby Morgan produce il primo casco da palombaro in fibra di vetro, il Semi-Light Helmet, precursore del casco attualmente utilizzato in tutti gli ambienti lavorativi subacquei, militari e civili (fig.30).

fig. 29

fig. 30

Con esso nasceva una nuova apparecchiatura da palombaro che, nella Marina Militare è stata definita “Palombaro Leggero”, che di fatto cancellava tutti i limiti di quella tradizionale: • la testa del subacqueo era separata dal vestito, e l’aria veniva insufflata a richiesta dell’operatore attraverso il secondo stadio posto sul casco. Questo permetteva di avere un minor stoccaggio dell’aria necessario a condurre un immersione rispetto a quanto previsto per il palombaro tradizionale; • il vestito stagno, realizzato in gomma sintetica, manteneva tuttavia la possibilità di gestire l’assetto del palombaro insufflandovi aria attraverso una valvola a richiesta gestita dall’operatore; • la visuale offerta all’operatore era molto ampia, visto il grande oblò presente sul casco;

In alto, primo prototipo di casco per l’immersione realizzato nel 1966 dalla Kirby Morgan per la Us Navy. A seguire, Il Semi-Light Helmet, prodotto dalla Kirby Morgan nel 1968, il precursore di tutti i caschi attualmente utilizzati negli ambienti professionali subacquei. Confronto fra l’apparecchiatura normale da palombaro (in basso) e la moderna apparecchiatura subacquea alimentata dalla superfice (al centro).

• inoltre, nel tempo, fu introdotto anche un bombolino da 10 litri che assicurava le eventuali emergenze dovute all’assenza dell’aria proveniente dall’ombelicale; • il pregio maggiore di questa nuova apparecchiatura era il peso. Inoltre un'altra importante caratteristica di questa nuova apparecchiatura era quella che, avendo ridotto gli ingombri e i pesi in gioco, poteva essere dotata di pinne e quindi, di fatto, era stato miscelato il meglio delle peculiarità del palombaro con quelle del sommozzatore: - riserva d’aria infinita assicurata dall’ombelicale; - bombola di emergenza; - protezione dagli agenti inquinanti; - possibilità di muoversi con agilità nelle tre dimensioni dello spazio.


Gli scafandri rigidi articolati

fig. 31

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el precedente articolo abbiamo analizzato come si siano evoluti gli scafandri rigidi articolati e come le intuizioni del ing. Roberto Galeazzi abbiano permesso di creare apparecchiature sempre più performanti. Galeazzi è l’inventore della rivoluzionaria “struttura sferica” (1926), altamente resistente alle pressioni e studiata per un nuovo sommergibile ma poi applicata, con un successo internazionale, alle torrette butoscopiche e agli scafandri rigidi articolati. Lo scafandro RM 200 (fig. 31) realizzato dalla ditta “Roberto Galeazzi - Apparecchi per lavori subacquei a qualsiasi profondità” fu dotazione dei palombari della Marina Militare dal periodo bellico fino agli anni ’70. Frutto dell’esperienza maturata con gli scafandri Neufeldt & Kuhnke, l’RM 200 rappresentò l’apice tecnologico del momento, consentendo di operare fino a 200 metri di profondità con una sicurezza fino ad allora mai raggiunta. Lo scafandro, nel quale il palombaro entrava dalla calotta posta in alto, non sottoponeva l’operatore posto al suo interno alla sollecitazione della pressione idrostatica esterna, pertanto il suo impiego non determinava l’esecuzione di alcuna decompressione. Le otto articolazioni, effettuate mediante sfere concentriche, permettevano sia una discreta mobilità sul fondo, sia una buona manipolazione degli oggetti attraverso le due pinze di fig. 32

cui l’RM 200 era dotato. La respirazione interna era assicurata attraverso due bombole di ossigeno puro e un circuito che permetteva l’adduzione dello stesso in maniera tale che venisse mantenuta la composizione percentuale dei gas costituenti l’aria (circa 80% azoto e 20% ossigeno), mentre l’anidride carbonica emessa dal palombaro veniva assorbita da una capsula di calce sodata. L’assetto dello scafandro era assicurato attraverso una cassa compenso che veniva allagata o esaurita, attraverso un circuito aria gestito dall’operatore. Per la risalita in emergenza erano fissate due zavorre, una per gamba, che potevano essere rilasciate dal palombaro posto all’interno in caso di necessità. La particolarità che all’epoca impressionava di più era data dallo spessore delle lamiere che costituivano lo scafandro: la struttura sferica con la quale era concepito aveva permesso di realizzarlo con appena 3 mm di spessore! Nel 1971 venne realizzato la JIM Suit (fig. 32) da Mike Humphrey e Mike Borrow, partner della società inglese Underwater Marine Equipment. La tuta venne chiamata JIM dal nome del capo immersioni Jim Jarrett. Questa, inizial-

mente, era realizzata in magnesio per avere una maggiore resistenza alla pressione ed era caratterizzata da 4 oblò frontali e giunti sferici, elementi che furono sostituiti nelle successive versioni dello scafandro. La particolarità di questo scafandro erano i giunti delle articolazioni che, a differenza di quelli utilizzati da Galeazzi (a sfere concentriche), erano compensati ad olio: in sintesi, sfruttando il principio di Pascal che afferma che i liquidi non sono comprimibili, non facevano risentire le variazioni di pressione idrostatica durante le loro rotazioni. Ma questa novità, utilizzata ancora oggi in tutti gli scafandri moderni, era stata ideata da Joseph Salim Peress nel 1929 ed utilizzata nel suo scafandro, il Tritonia, che benché avesse dimostrato di possedere doti di sicurezza e maneggevolezza a profondità In alto, lo scafandro rigido articolato RM 200 prodotto dal 1952 dalla “Roberto Galeazzi apparecchiature per lavori subacquei a qualsiasi profondità” . A sinistra, Scafandro rigido articolato “JIM Suit” realizzato nella sua prima versione dal 1971.

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di oltre 120 metri non fu d’interesse della Royal Navy. Nel 1974 vennero sostituiti gli arti, per permettere agli operatori di avere movimenti migliori rispetto alla versione precedente. L'oceanografa Sylvia Earle nel 1979 stabilì col JIM Suit il record d’immersione femminile, raggiungendo i 381 metri di profondità. Giunto fino alla IV serie, lo scafandro venne dotato di un unico grande oblò e di un sistema di propulsione (thruster) che gli permetteva di muoversi nelle tre dimensioni dello spazio. In questa configurazione il JIM Suit poteva raggiungere i 500 metri di profondità. Nel 1987 la OceanWorks (Canada) realizzò la prima versione del suo scafandro rigido articolato ADS (Atmospheric Diving Suit) NEWTSUIT (fig. 33) che entrò a far parte delle dotazioni dei Reparti Subacquei della Marina Militare nel 1991. Il Newtsuit, attualmente in uso tra le Marine Militari più impor-

tanti, grazie ai diversi aggiornamenti che sono stati effettuati nel tempo è tra le apparecchiature da immersione più moderne attualmente esistenti al mondo. Se la prima versione dello scafandro permetteva di effettuare immersioni fino a 300 metri di profondità, l’ADS 2000 raggiungeva i 600 m. Sebbene fosse collegato alla superficie attraverso un ombelicale, l’ADS è stato realizzato perché mantenesse un elevato grado di autonomia in quanto fu dotato già dagli anni ’90 di thrusters (4 motori elettrici, 2 verticali e 2 orizzontali) nonché di un circuito di respirazione totalmente autonomo. Attraverso l'ombelicale, quindi, non passavano i gas necessari alla respirazione dell'operatore, ma solo le connessioni ottiche ed elettroniche necessarie al corretto funzionamento di tutte le componenti dello scafandro: i motori, il sistema di controllo del microclima interno, i fari di illuminazione, fig. 33

il sonar, la telecamera e i sistemi di comunicazione. Il controllo elettronico dell'atmosfera interna permetteva un’accurata verifica dei parametri costituenti il microclima nel quale respirava il palombaro. Il circuito di respirazione, realizzato da 2 linee di ossigeno indipendenti ed alimentate da 2 bombole ciascuna, era corredato da un filtro di calce sodata, per fissare l’anidride carbonica espirata dall’operatore, di ventola e mascherino di respirazione in emergenza. Un sofisticato pannello di strumenti digitali ed analogici, posto ai lati del capo, indicava all’operatore tutti i dati necessari al controllo dei diversi apparati: profondimetro, mano-vuotometro interno, analizzatore di ossigeno, analizzatore CO2, manometri di alta e bassa pressione delle 2 linee ossigeno. Una particolarità dei Newtsuit era quella del controllo del sistema di propulsione che veniva effettuato attraverso due fig. 34

A sinistra, la prima versione dello Scafandro rigido articolato NEWTSUIT, realizzato dalla OceanWorks nel 1987. In alto, L’aggiornamento alla versione Quantum dello scafandro rigido articolato NEWTSUIT, attuale dotazione della Marina Militare. N OT I Z I A R I O

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L’ultimo modello sviluppato dalla Oceanworks e dalla US Navy è l’ADS 2000 che, entrato in servizio nel 2000, raggiunge i 2000 piedi (609 metri) di profondità, record in mare stabilito nel 2006 dal Capo Palombaro della US Navy Daniel Jackson.

pedivelle molto sensibili poste all’interno degli scarponi dello scafandro. Agendo su di esse il palombaro era in grado di variare l’angolazione delle pale dei thrusters e fornire propulsione sui tre assi allo scafandro. La movimentazione degli arti dello scafandro non avveniva grazie a particolari servomeccanismi, ma era attuata attraverso la sola forza muscolare dell'operatore. Pesi e volumi erano studiati in maniera tale che, una volta im-

merso in acqua, lo scafandro risultasse neutro. L'autonomia dell’apparecchiatura, dettata esclusivamente dall’ossigeno e dalla capacità filtrante della calce sodata, era di 8 ore di lavoro e di 4 ore in emergenza. In quest’ultimo caso era possibile espellere dall’interno zavorre e thrusters, tagliare l’ombelicale e fare assumere allo scafandro assetto positivo, cioè farlo risalire verso la superficie in maniera autonoma. L’operatore, detto fig. 35

L’ADS 2000, lo scafandro rigido articolato della OceanWorks che raggiunge i 600 metri di profondità.

anche pilota, entrava nello scafandro aprendolo alla base del tronco come mostrato in (fig. 34). Gli scafandri rigidi ADS sono oggi impiegati nelle operazioni militari di ricerca, recupero e in quelle di salvataggio (in particolare sui sommergibili sinistrati) e in molti lavori svolti in ambito commerciale, come i controlli non distruttivi, taglio/saldatura subacquea, prelievi, ecc. Una serie di accessori nonché diverse tipologie di "mani" (a pinza, con uncini, con lame taglienti, con supporti per attrezzi pneumatici, ecc..) permettono di adattare lo scafandro allo svolgimento di quasi ogni tipo di lavoro. Attualmente l’ultimo modello sviluppato dalla Oceanworks e dalla US Navy è l’ADS 2000 (fig. 35) che, entrato in servizio nel 2000, raggiunge i 2000 piedi (609 metri) di profondità, record in mare stabilito nel 2006 dal Capo Palombaro della US Navy Daniel Jackson.



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Adrion 2017

Nelle acque del Mar Egeo, la Marina Militare ha preso parte, con nave Comandante Cigala Fulgosi all’esercitazione

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di Antonio Cosentino

e Marine di Albania, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro e Slovenia partecipanti all’Adrion 2017, addestrandosi insieme, lavorano sinergicamente al fine di migliorare l’interoperabilità richiesta per garantire la sicurezza alla regione ionico adriatica contro ogni tipo di minaccia che mini la sicurezza marittima, ovvero per garantire sviluppo e prosperità dell’area. L’iniziativa Adrion, nasce dalla Conferenza interministeriale di Ancona del 2000 a conclusione della quale i ministri degli Affari Esteri delle nazioni partecipanti hanno siglato la “Dichiarazione di Ancona” affermando la comune volontà di impegnarsi e cooperare con il fine di garantire sicurezza e stabilità


politica – economica dell’area. La Marina Militare Italiana con l’Adrion ha da sempre avuto un riconosciuto ruolo di leader, rappresenta oggi, in definitiva, un valido esempio di cooperazione consolidata e concreta tra le Marine in termini di Maritime Security.

L’esercitazione di quest’anno, a guida greca, si è svolta in due fasi: in porto con addestramento presso il Nato Maritime Interdiction Operational Training Center (NMIOTC) per approfondire temi quali il boarding team e surface warface team e sulle unità navali con

L’iniziativa Adriatico-Ionica (ADRION) fra le Marine di Albania, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro e Slovenia è volta alla cooperazione regionale per la sicurezza e lo sviluppo dei Paesi della regione Ionico-Adriatica ed ha l’obiettivo di incrementare la cooperazione marittima nella regione, finalizzata al conseguimento di una migliore conoscenza reciproca e di una maggiore interoperabilità nell’attività in mare

esercitazioni di damage control e comunicazioni TLC; al disormeggio dal porto di Souda (Creta), nave Cigala Fulgosi e le altre unità sono state impegnate nella seconda parte dell’esercitazione, Live Excercise (LIVEX) in mare, finalizzata ad attività addestrative rivolte al contrasto della minaccia asimmetrica, dei traffici illeciti e al favoreggiamento dell’immigrazione non regolare oltre ad esercitazioni SAR, attività di fuoco e di Maritime Interdiction Operation (MIO). L’Adrion 17 si è conclusa con l’ormeggio delle unità presso il Porto di Souda e con il compiacimento dell’iniziativa da parte del comandante delle Forze Marittime Alleate della Nato admiral Johnstone, in visita presso il centro di addestramento.

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Esercitazione Goldfinger

Le piattaforme offshore per l’estrazione di gas metano e di petrolio dell’industria nazionale, presenti nelle acque territoriali quanto in quelle estere, rappresentano un asset strategico e, quindi, di elevato interesse per l’Italia. Per la loro importanza, la Marina, “padrona del blu”, non si può esimere dal preparare le proprie forze speciali, per natura integrate in dispositivi aeronavali, ad affrontare e contrastare potenziali eventi terroristici che possano mettere a rischio il personale che lavora su queste isolate strutture.

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di Luigi Romagnoli ella settimana centrale di giugno, si è svolta l’esercitazione Golfinger 2017, condotta in Adriatico sulle piattaforme dell’ENI al largo di Marina di Ravenna. Qui il Gruppo Operativo Incursori ha addestrato i propri uomini alla condotta di azioni di controterrorismo marittimo, dal mare e dall’aria, grazie alla abilitante cooperazione degli elicotteri imbarcati ed integrando, nel contempo, il supporto tattico al combattimento fornito da uno dei plotoni combat support al GOI della Brigata Marina San Marco. Un’attività molto articolata, che richiede un coordinamento ed un affiatamento non comuni ad altri profili “speciali”, condotta totalmente in ambiente maritime, e resa possibile dall’indispensabile supporto garantito da nave San Marco, comandata

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dal capitano di vascello Pasquale Perrotta, in ruolo sea - basing ed in grado di gestire tutti gli assetti multidimensionali necessari alle operazioni speciali. Grazie alla capacità di proiezione aerea dei team di assalto e supporto tattico, assicurata dalla presenza di 2 elicotteri EH101, del personale del Reparto Eli - Assalto (REA) ed alla capacità di proiezione via mare, garantita dalla presenza di un bacino allagabile da cui lanciare i battelloni d’assalto organici al GOI e alla nave stessa, le LPD/LHD sono piattaforme che ottimamente si addicono al comando e controllo delle Operazioni Speciali nonchè alla gestione delle svariate capacità esprimibili dalle forze speciali della Marina, garantendo, nel contempo, il supporto sanitario richiesto. L’addestramento dei Reparti coinvolti, ha avuto culmine nella sera del 19 giugno con la condotta di un profilo completo di missione per la liberazione di ostaggi su

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una delle piattaforme. A rendere ancora più “speciale” l’azione sinergica dei 3 team del GOI, 2 del San Marco e dei 2 EH 101, è stata la presenza “in prima fila” del capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Valter Girardelli, accompagnato dal Comandante del COFS, generale di divisione Nicola Zanelli, e dal comandante di COMSUBIN, contrammiraglio Paolo Pezzutti, che hanno potuto verificare di persona il livello addestrativo dei reparti della Marina Militare impegnati.


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I palombari di Comsubin s’immergono sul relitto del sommergibile Sebastiano Veniero con la tecnica della saturazione.

Operazione Veniero

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di Giampaolo Trucco

in dall’epoca del suo riconoscimento, il Veniero è stato visitato più volte dai palombari del Raggruppamento Subacquei ed Incursori. La prima attività, svoltasi nel 1997 e condotta da nave Anteo e dagli uomini del Gruppo Operativo Subacquei, aveva permesso di chiudere gli accessi al relitto per evitare che quel luogo, così sacro per i marinai e per i parenti dell’equipaggio che vi persero la vita, potesse essere profanato. A seguito di una proposta del sig. Paolo Montali, amico di Enzo Maiorca, la Marina Militare ha organizzato un sopralluogo approfondito del relitto, insieme alla figlia Patrizia e ad una delegazione della Soprintendenza del Mare, in occasione del primo anniversario dalla scomparsa del campione. In considerazione del fatto che le precedenti attività erano state condotte attraverso immersioni ad aria, che impongono una ridotta permanenza sul fondo, Comsubin ha inserito tale attività nell’ambito della campagna operativa estiva di nave Anteo, programmandone lo svolgimento mediante la tecnica della saturazione. L’immersione in saturazione, riconosciuta in ambito mondiale come la massima espressione del professionismo subacqueo, è una delle molteplici capacità operative che i Palombari della Marina Militare impiegano per portare l’uomo fino alla profondità di 250 metri sotto la superficie del mare. Alla base di questa tecnica vi sono alcune leggi della fisica applicata alle attività subacquee: la legge di Henry e quella di Dalton che regolano, rispettivamente, la solubilità dei gas in un liquido e la determinazione della pressione totale di una miscela di gas partendo dalle singole pressioni parziali dei gas che la costituiscono. Queste due caratteristiche consentono di spiegare due concetti fondamentali di ogni attività subacquea: la decompressione e i limiti fisiologici di respirabilità di un gas o miscela di gas. Relativamente a quest’ultimo aspetto, si N OT I Z I A R I O

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è dovuto individuare un gas neutro, diluente dell’ossigeno, che per le pressioni in gioco non provocasse fenomeni fisiologici negativi come l’azoto. Questo problema è stato risolto introducendo l’elio al suo posto, gas che non manifesta alcuna problematica neurologica, ma determina, invece, una sensibile variazione della voce di chi lo respira (dovuta alla diversa densità rispetto all’azoto), e una forte dispersione termica per gli operatori. Un altro elemento caratteristico di un’immersione in saturazione è il tempo: se un’immersione ad aria di 30 minuti alla profondità di 51 metri si svolge in un totale di 1 ora, 18 minuti e 40 secondi, una medesima attività condotta con la tecnica della saturazione dura invece circa 142 ore (5 giorni e 22 ore). Questo

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apparente limite operativo, cela il vantaggio di questa tecnica d’immersione. Attraverso una lenta compressione fino alla profondità di lavoro e una adeguata permanenza in quota, i parenchimi degli operatori si saturano dei gas inerti respirati in funzione della loro pressione parziale. Con tali presupposti è possibile, quindi, condurre escursioni subacquee senza avere alcuna limitazione temporale, tanto la decompressione successiva rimarrebbe sempre la stessa. La permanenza di alcuni giorni all’interno di un impianto iperbarico, impone la necessità di creare un microclima artificiale all’interno del quale i palombari vivano per tutto il periodo della saturazione. Questo habitat iperbarico è dotato sia di ambienti dove espletare le pratiche


igienico sanitarie, sia particolari portellerie che consentono il passaggio di materiali dall’esterno all’interno e viceversa (chiamate appunto “passa oggetti”).

Escursioni subacquee Per effettuare i lavori subacquei previsti dall’operazione gli operatori in saturazione, dopo aver indossato i vestiti per l’immersione, si trasferiscono in una camera di decompressione subacquea, chiamata generalmente SDC (Submersible Decompression Chamber), attraverso un collegamento iperbarico nel quale è presente il medesimo microclima. Dei tre operatori interni alla SDC il più esperto assume il ruolo di tender, cioè di colui che si adopera per preparare gli altri due palombari dalla fuoriuscita, li assiste al loro rientro ed interviene in caso

di emergenze. In virtù delle caratteristiche delle immersioni in saturazione, le escursioni subacquee non hanno limiti temporali ma esclusivamente fisici, dettati dal tipo ed intensità del lavoro da svolgere.

L’operazione L’Operazione Veniero è iniziata il 20 giugno 2017 alle ore 5 con l’acquisizione del relitto effettuata mediante il sonar multibeam in dotazione a nave Anteo che ha permesso di individuare perfettamente la posizione e orientamento del Veniero, informazioni necessarie per la successiva manovra di ormeggio sulla verticale mediante il campo boe dell’Unità. Terminato il posizionamento della nave, alle 17 del 20 giugno 2017 è iniziata la pressurizzazione del TV SUB Roberto Villani, del Sc PA Ivan De Simone e del Sc PA Mirko Zinani nell’habitat Bravo dell’impianto integrato dell’Unità. La procedura utilizzata ha mantenuto l’aria atmosferica presente all’interno degli ambienti iperbarici (Pp O2 pari a 0,21 bar, Pp N2 pari a 0,78 bar), per poi procedere con una pressurizzazione con mi-scela Heliox al 17,5 % di ossigeno fino alla profondità di 14 metri (Pp O2 pari a 0,24 bar) e quindi formare le pressioni parziali previste per le immersioni in sa-

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turazione della Marina Militare. Il raggiungimento della quota di saturazione è stato effettuato con il successivo invio di elio fino alla profondità di fondo, mantenendo a 20 metri/ora la velocità di pressurizzazione. Alle 19,30 gli operatori del GOS hanno raggiunto i 50 metri di profondità ed iniziato la loro permanenza all’interno dell’impianto, che sarebbe durata diversi giorni, con la loro prima cena iperbarica. Il 21 giugno sono state condotte due immersioni sul relitto, attraverso l’SDC, che ha portato gli operatori in saturazione a pochi metri dalla coperta del Veniero e sul quale hanno effettuato circa 6 ore d’immersione. Durante l’ispezione dello scafo, hanno fatto visita ai palombari sia Patrizia Maiorca, sia gli operatori subacquei della Soprintendenza e del team di Paolo Montali. In quel frangente si è fatta memoria dei caduti del mare attraverso la deposizione di una corona che è stata adagiata dagli uomini di Comsubin e dalla signora Maiorca sulla torretta del Veniero. Terminate le due escursioni sul relitto, gli operatori sono rientrati nell’habitat iperbarico per cenare, riposarsi e sottoporsi alla lentissima decompressione iniziata alle 6 del 22 giugno e conclusa dopo 4 giorni, 7 ore e 50 minuti. Condurre un’immersione in saturazione impone la necessità di poter disporre di particolari apparecchiature imbarcate su navi specificatamente progettate a tali interventi, nonché dell’esperienza professionale maturata negli anni attraverso la ricerca scientifica, lo sviluppo tecnologico

In ricordo di “due leggende”

e lo svolgimento di operazioni subacquee a complessità crescente. È facile intuire che tali caratteristiche possono essere ritrovate in pochi Paesi che, nel tempo, abbiano voluto investire risorse in questo settore così specifico. L’immersione in saturazione sul relitto del Veniero ha confermato il valore della componente subacquea di Comsubin, centro di eccellenza per lo studio, la ricerca, la formazione e lo sviluppo delle capacità operative nel settore dell’immersione. Queste qualità, premiate negli anni da numerosi successi operativi, sono state affinate grazie alla disponibilità di nave Anteo che, impostata il 20 luglio del 1977, ha permesso di allargare notevolmente lo spettro di impiego dei palombari, permettendo loro di raggiungere profondità operative di 300 metri e nonostante gli acciacchi del tempo, permette ancora oggi di massimizzare l’esperienza finora acquisita dalla Marina nel mondo delle operazioni subacque e mantenere la leadership europea in questo settore.

di Emanuele Scigliuzzo

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ono trascorsi novantadue anni da quel lontano 26 agosto 1925, data che ha segnato la tragedia del sommergibile Veniero, affondato a causa di uno speronamento accidentale al largo delle coste calabre ad opera del mercantile Capena. Il sommergibile classe Barbagio, riposa a 55 metri di profondità con i quarantotto membri dell’equipaggio che in quella sciagura persero la vita. Solo nel 1978 al relitto presente sulle carte nautiche fu dato un nome grazie al “signore degli abissi” Enzo Maiorca. L’apneista italiano recentemente scomparso, raccolse il peso del comandante Armando Santoro e ne fece una sfida personale che vincerà con il ritrovamento, raccontato poi nel suo libro “L’ultima Immersione”. Lo scorso 21 giugno, in occasione del compleanno del record man siciliano, medaglia d’oro al valor di Marina, gli uomini del Comsubin si sono immersi per ispezionare il relitto ed effettuare una mappatura del fondale adiacente. Con i palombari era presenti anche la sorella di Enzo Maiorca, Patrizia, e il personale della Sopraintendenza del mare della Regione Sicilia. A bordo di nave Anteo, base dell’operazione, anche il prefetto di Siracusa, dott. Giuseppe Castaldo e il Comandante del Comando Marittimo Sicilia, ammiraglio Nicola De Felice. Nella foto: il comandante di nave Anteo Massimiliano Dosi riceve a bordo Patrizia Maiorca.

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Insieme in immersione

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di Alessandro Lentini

i è svolta il 28 e 29 luglio l’XI edizione dello stage “Insieme in immersione… a Portovenere”, l’incontro tra la Marina Militare i subacquei disabili appartenenti all’HSA Italia (Handicapped Scuba Association International) e il Gruppo Sub Ospedale della Spezia, divenuto oramai tradizionale appuntamento annuale di mezza estate. Nella sede del Comando Subacquei e Incursori di Varignano, 50 subacquei disabili hanno ottenuto gli attestati, al termine di una intensa giornata che difficilmente dimenticheranno. Dopo un breve briefing sulla sicurezza in acqua, le operazioni da svolgere e sulle dotazioni dei materiali, sono arrivate le emozioni forti: 60 minuti immersi nel blu del mare che hanno regalato ai partecipanti bellissime sensazioni di un mondo, quello sommerso, per molti ancora inesplorato. Nei due giorni di attività sono stati affrontati, tra gli altri, il test subacqueo dell'assemblaggio di due tubi attraverso perni e bulloni, il recupero di

un oggetto dal fondo mediante palloni di sollevamento l'ispezione della carena del Piave, la nave ormeggiata all'interno dell'insenatura, utilizzata come poligono addestrativo. Quest’anno gli attestati di partecipazione sono stati consegnati dal ministro della Difesa, sen. Roberta Pinotti, che nel salutare tutti i partecipanti ha evidenziato come:“Questo sia un esempio di quello che ho in mente quando penso alle Forze Armate: essere utili a trecentosessanta gradi”. Le capacità della Marina Militare, istituzionalmente impiegate per la Difesa dei confini marittimi e delle vie di comunicazione essenziali alla vita del Paese, sono sempre più spesso messe a disposizione della collettività per aiutare a diffondere l’amore per il mare anche dove elementi di disagio fisico o sociale rendono difficili le cose più semplici. “Un saluto a tutti i subacquei qui presenti, senza

Le Grazie, 29 luglio 2017. Il ministro della Difesa consegna l’attestato a un partecipante al termine dello stage “Insieme in immersione... a Portovenere”.

distinzione tra militari e civili”: così è iniziato invece il breve discorso del capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Valter Girardelli, con parole rivolte proprio a questa inclusione sociale che si unisce alle tante attività che la Marina svolge quotidianamente con il comun denominatore chiamato “mare”. Tra gli intervenuti anche il sindaco di Portovenere per quest’attività che rientra nell’iniziativa “Le Grazie città dei palombari”.

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Il Corpo delle Capitanerie di Porto Guardia Costiera celebra i 152 anni dalla fondazione.

Passato, presente e futuro Il Capo dello Stato ha visitato la Centrale Operativa della Guardia Costiera: «Nel corso degli anni sono state tante le vite salvate nel Mediterraneo e ciò ha comportato, sulla nostra Marina militare e sulla Guardia Costiera, la riconoscenza del Paese e l'apprezzamento non soltanto d'Europa ma del mondo intero».

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di Antonio Cosentino

oma, 19 luglio 2017. “Sono lieto di essere qui anche per poter toccare con mano, dal vivo, il complesso delle vostre attività.Tra poco, nella sala operativa, potrò vedere quel che si sa dall'esterno ma che si vive in altro modo dalla sala operativa”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha evidenziato l’importanza della visita alla Centrale Operativa della Guardia Costiera in occasione dei 152 anni di vita del Corpo della Marina Militare. Il presidente Mattarella - accompagnato dal ministro della Difesa sen. Roberta Pinotti, dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, nonchè dal capo di Stato Maggiore della Difesa gen. Claudio Graziano, dal capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio di squadra Valter Girardelli e dal comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, ammiraglio ispettore capo (CP) Vincenzo Melone, - ha incontrato il personale del Corpo ed ha puntualizzato: “La vostra attività è complessa, come dimostra N OT I Z I A R I O

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il rapporto di dipendenza e collaborazione con diversi ministeri, dalla Difesa alle Infrastrutture, all'Ambiente, alle Politiche agricole. Questa stessa dipendenza, così ampia, in stretto contatto con la Marina militare, è una dimostrazione della complessità dei compiti che la Repubblica vi affida: la regolarità e la sicurezza dell'uso del mare, la tutela dell'ambiente marino, il controllo della regolarità della pesca, la sicurezza della navigazione, il contrasto ai traffici illeciti (traffico di stupefacenti, traffico di immigrazione illegale). Una quantità di compiti che spiegano il perché dell'organizzazione così complessa, articolata e im-

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portante del vostro Corpo. Sono compiti fondamentali. I numeri della vostra attività sono significativi, di grande rilievo: dagli interventi annuali, ai salvataggi effettuati, ai

controlli realizzati, alle tante attività svolte”. All’indomani della visita del Presidente, il Corpo delle Capitanerie di Porto ha


Roma, 19 luglio 2017. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, accompagnato dai ministri della Difesa, sen. Pinotti e delle Infrastrutture e Trasporti, Delrio passa in rassegna lo schieramento del Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera; in basso a sinistra la firma del libro d’onore.

Roma 20 luglio 2017- sotto: un momento della cerimonia presso la sede del Comando Generale.

«Centocinquantadue anni sono tanti, all'insegna del motto del Corpo: animus omnia vincit. Al di là della traduzione letterale, quell'animus raccoglie diversi significati: l'intelligenza, la passione, il coraggio, quelli che la Guardia Costiera mette in campo quotidianamente».

La cerimonia ha visto successivamente la consegna di 31 onorificenze al Merito di Marina conferite al personale degli equipaggi della Guardia Costiera e ad alcuni marittimi imbarcati sui rimorchiatori Barretta del porto di Brindisi, chiamati a operare nell'ambito dei complessi soccorsi prestati – nel dicembre 2014, con condizioni meteomarine particolarmente proibitive – alla motonave Norman Atlantic, coinvolta da un violento incendio a bordo e alla deriva nel Canale d'Otranto. Tra il personale del Corpo insignito di medaglia, anche tre militari imbarcati su nave Dattilo della Guardia Costiera, distintisi in occasione di uno dei numerosissimi interventi di soccorso a migranti nel Mediterraneo Centrale.

celebrato, per la prima volta nella storia, presso la sede del Comando Generale, l’anniversario della sua istituzione, voluta da Vittorio Emanuele II con un decreto del 20 luglio 1865. Nel suo intervento l’ammiraglio Melone ha ricordato le parole rivolte dal Presidente della Repubblica al personale del Corpo, parole che hanno esaltato il complesso delle attività condotte dalla Guardia Costiera, responsabile di “una molteplicità di compiti che spiegano il perchè di un’organizzazione così articolata e importante”. L’ammiraglio Girardelli ha ringraziato tutto il personale della Guardia Costiera che presta la preziosa, incessante, imprenscindibile e insostituibile opera a favore della collettività marina. Mentre, il ministro Delrio ha voluto rimarcare, la "voglia di continuare ad essere punto di riferimento sul mare, un'organizzazione di eccellenza che trova la fonte del suo agire quotidiano nell'obbedienza allo Stato e alle sue Istituzioni e nel servizio alla collettività e ai suoi bisogni".

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120 anni dai primi esperimenti di radiotelegrafia navale La Spezia 10 – 18 luglio 1897

“Quando capite alzate intelligenza” di Silvano Benedetti

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Donati al museo navale della Spezia importanti cimeli marconiani

opo circa due anni dalla donazione delle zone telegrafiche originali del 17 luglio 1897, relative alle prime prove di radiotelegrafia navale svolte da Guglielmo Marconi alla Spezia con la Marina, la famiglia Da Pozzo Cutsocolis ha donato al Museo Navale un altro prezioso reperto “marconiano”: un coherer originale dei primi anni del ‘900, conservato da Mario Gaetano Da Pozzo, telegrafista della Marina, fra le sue cose più care anche dopo l’uscita dall’impiego operativo. Il Da Pozzo aveva partecipato alle sperimentazioni svolte da Marconi alla Spezia e figura nelle numerose fotografie accanto allo scienziato. Nell’ambito del Convegno “La Spezia luglio 1897 – le prime onde radio sul mare” svolto in occasione del 120° anniversario dei primi esperimenti di radiotelegrafia navale e dell’80° anniversario della morte dello scienziato, sono state presentate al pubblico le zone telegrafiche al termine del restauro finanziato dallo sponsor EUROGUARCO e sono state esposte le risultanze della loro analisi, da cui sono emerse alcune curiosità che confermano e rafforzano quanto riportato nelle relazioni ufficiali dell’epoca. Al convegno sono seguite una rievocazione storica delle sperimentazioni del 1897 e la veleggiata “Marconiana” che ha celebrato anche il 120° anniversario della fondazione della Lega Navale Italiana, avvenuta alla Spezia proprio nel 1897. Gli eventi sono stati organizzati da Marina Nord e dal Comune con la collaborazione del C.S.S.N., del Museo Navale, della Lega Navale Italiana, della Sezione Velica Marina, dell’Ass. Radioamatori Italiani e dell’Ass. Radioamatori Marinai Italiani.

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li esperimenti svolti da Marconi alla Spezia nel luglio 1897 aprirono una nuova era nella navigazione marittima e nella gestione delle flotte militari e mercantili. Tali esperimenti rappresentarono le prime prove in assoluto di radiotelegrafia navale e furono svolti su richiesta della Marina sotto la sorveglianza di una commissione, nominata per certificare la correttezza e l’affidabilità dei risultati rivendicati da Marconi, composta da ingegneri e tecnici militari e accademici di altissimo profilo. L’Arsenale Militare della Spezia era probabilmente il polo industriale più avanzato e completo nel panorama italiano e la Marina mise a disposizione del giovane scienziato il personale, i mezzi, le officine e le navi per svolgere le prove nella maniera più completa possibile. Dopo i primi test a terra nell’attuale piazzale Bergamini, adiacente al Museo Navale (dove è posta una lapide a ricordo), la stazione trasmittente fu spostata a San Bartolomeo e le stazioni riceventi furono installate sul rimorchiatore n. 8 e in un edificio presso San Bartolomeo. Il 15 e 16 luglio il rimorchiatore pendolò nel golfo e nel Canale di Portovenere con risultati tanto soddisfacenti che il giorno seguente il ricevitore fu spostato sulla corazzata San Martino, alla fonda nel seno di Panigaglia. Il 17 luglio si svolsero positivamente le prove in porto e il 18 luglio la nave uscì in mare aperto, mantenendo un collegamento fino oltre 18 km, record dell’epoca! Una delle frasi trasmesse da Marconi alla


San Martino fu “quando capite alzate intelligenza”; la richiesta di alzare a riva il pennello “intelligenza”, a bande bianche e rosse, era lo stratagemma per ottenere il ricevuto dalla nave distante diversi chilometri dalla trasmittente ed è esattamente uno dei messaggi che troviamo registrati con l’alfabeto Morse sulle zone telegrafiche del 17 luglio che la famiglia Da Pozzo ha donato al Museo Navale. Le zone furono conservate per più di un secolo avvolte in una fascetta di carta che riportava la scritta a mano “Zona dell’apparecchio ricevente del San Martino in coperta, batteria e cala durante gli esperimenti del 17 – 7 – 1897” che ha permesso di identificarle come testimoni di quell’evento così importante. Quel giorno Marconi fu ricevuto a terra come un eroe e portato in trionfo da una folla festante e furono scritte pagine e pagine di relazioni su questi esperimenti; la Marina italiana era stata protagonista di un evento epocale che avrebbe modificato per sempre “l’andar per mare”. Tutto era iniziato un paio di anni prima, nella villa Griffone di Bologna, dove un giovane italo-scozzese, trafficando in soffitta con apparecchi di laboratorio, si era accorto di essere in grado di trasmettere un impulso a distanza senza l’utilizzo di un cavo. Da lì a breve il famoso “colpo di fucile”, il rigetto del suo progetto da parte del Ministero delle Poste e Telegrafi italiano e il suo tentativo di presentarlo al Post Office britannico, dove nel 1896 venne accolto a braccia aperte. Sicuramente lo agevolò la perfetta padronanza della lingua,

ma ancor di più il fatto che a capo del Post Office fosse William Preece, scienziato di chiara fama che stava sperimentando la trasmissione di segnali mediante l’induzione magnetica e che capì perfettamente le potenzialità del giovane scienziato. Marconi era seguito dal C.V. Augusto Bianco, Addetto navale presso l’Ambasciata d’Italia a Londra, il quale informò il Ministero della Marina della grande importanza che tale tecnologia poteva avere per i servizi navali; da lì la chiamata in Italia e l’inizio di una collaborazione tra la Marina e Marconi che durò per decenni e permise alla Marina di essere sempre all'avanguardia nel campo della radiotelegrafia. Marconi stesso dimostrò un forte attaccamento al suo Paese concedendo il diritto alla Marina di riprodurre liberamente i suoi brevetti; affetto e stima ricambiati più volte dalla disponibilità di navi, arsenali e personale per le campagne sperimentali dello scienziato. Non deve sorprendere la particolare sensibilità dimostrata dalla Marina fin dall'inizio per le comunicazioni radio telegrafiche; si pensi che al tempo le comunicazioni tra i comandi terrestri e le navi in mare si mantenevano tramite le segnalazioni ottiche (lampi di luce o bandiere) fino a qualche miglio di distanza dalla costa, oppure tramite naviglio piccolo e veloce, gli avvisi, che facevano la spola tra le navi e la terraferma con il compito di portare gli ordini e le informazioni fino a una decina di miglia di distanza. Tali comunicazioni si interrompevano una volta che la nave si allontanava dalla costa e riprendevano

Nelle immagini: momenti della conferenza e della mostra marconiana. (foto di Silvio Scialpi).

soltanto al suo ingresso in un porto. Il 18 luglio 1897 segna la fine di quel mondo perché si era finalmente avverato il sogno di mantenere un collegamento continuo con le navi in alto mare ed era stato un italiano a farlo!

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Diario di bordo di un velista della Marina militare, timoniere di una piccola barca con un grande cuore italiano.

Io, Andrea Pendibene

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di Pasquale Prinzivalli

ontinua il percorso, intrapreso dal numero di maggio, alla scoperta del mondo delle regate oceaniche. Dopo una panoramica sulla partecipazione di Andrea Pendibene, atleta della Marina Militare, alla Minitransat 2017 e un approfondimento tecnico sugli aspetti ed i particolari che caratterizzano la barca che condurrà il nostro velista, in questa torrida estate ho sentito Andrea che si trova in Francia e sta preparando la barca alla regata, a lui ho rivolto qualche domanda, in una normale giornata di intenso lavoro “da marinaio”. Dalle sue parole emerge la passione, l’amore e la meticolosità che ci mette nella preparazione ad un campionato di questo livello, l’importanza che dà nel dettaglio di ogni lavorazione, fondamentale per garantire sicurezza ed affidabilità.

Andrea, avrai un bel da fare in questi giorni, la regata è alle porte, che clima si respira in Francia, che sensazioni hai? È domenica 23 luglio, sono a La Rochelle

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in preparazione per la Minitransat che partirà il prossimo 1 ottobre. Giornata di “bulloni” questa che la pioggia fitta di una depressione atlantica ha interrotto. Mi ritrovo al pc per verificare la check list sperando che i punti segnati diminuiscano magicamente invece di aumentare dopo ogni smontaggio. Vedo i miei concorrenti che si allenano e guardando le torri caratteristiche di La Rochelle vedo la bandiera francese che sembra di lamiera tanto è rigida dal vento. Ci sono i classici nuvoloni neri che coprono il sole alle 3 del pomeriggio ma non impediscono ai bambini con i windsurf e gli optimist di uscire in mare, mentre altri, con gli stivali di gomma e la classica cerata gialla, camminano sulle enormi spiagge liberate dal mare in cerca di ostriche e pesci intrappolati nelle rocce dalla marea e dalla forte corrente. Parlaci di te, quale percorso hai intrapreso, come si arriva a partecipare a una sfida così importante? Pensieri lontani che riaffiorano, la famiglia, gli amici e gli obiettivi chiari sin da piccolo di fare il marinaio. Il nautico e il canottaggio che mi hanno dato metodo e disciplina ma anche consapevolezza che senza sacrificio non c’è vittoria. Poi l’università, il Rettore designer di molti cantieri europei e amico dei francesi e di un progettista che aveva fatto la Transat. I primi anni novanta, segnati da imprenditori amanti della vela che accompagnano il Moro di Venezia che assieme a Soldini e Cino Ricci portano l’Italia in barca a vela e un giovane ingegnere di Udine di nome Andrea, appassionatissimo di vela e regate oceaniche che fece un settimo posto alla Minitransat, con poca preparazione ma tanto cuore. Vedi, questi sono ricordi che aiutano a sopportare i macigni del presente, la responsabilità di correre per una grande squadra riportandola a confrontarsi con il circuito mondiale dei solitari, contro dei

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team fortissimi, provenienti da 12 nazioni. Ho la consapevolezza di non essere al livello dei migliori che affrontano da due anni addestramenti mirati in oceano e tutte le gare del circuito, ma so di essere temuto come un outsider che lotterà con ogni mezzo per vendere cara la pelle. La decisione di correre questa Transat 2017 è arrivata tardi, portando avanti un programma “low-cost” per reperire partnership tecniche per poter garantire al progetto i materiali migliori per competere nella regata, dove l’affidabilità è tutto e garantisce la sicurezza perché là in mezzo tra l’Europa e l’America in ogni caso devi sapertela cavare. Ci ho pensato molto dopo metà maggio quando dopo una regata conclusa con un 8° posto ed un ritiro alla successiva Pornichet Select, il programma fu interrotto, ma la voglia di mare che ha dentro un marinaio è forte e riuscire a portare Pegaso Marina Militare in America, a vela in solitario è una sfida che darà maggior consapevolezza a ogni marinaio, a ogni velista, a ogni cittadino. Come ti sta supportando la Marina Militare, ci sono dei progetti futuri, la partecipazione alla edizione della Minitransat del 2019? Ho avuto il privilegio di aver incontrato ammiragli, comandanti, dirigenti sportivi, marinai e atleti, persone che vestono la divisa che ricoprono ruoli importantissimi e che hanno saputo cogliere il valore della partecipazione della Marina Militare alla Transat dopo Straulino e Faggioni; una avventura sportiva ma anche di riscoperta della tradizioni formative alle lunghe navigazioni dei marinai e delle conquiste della tecnologia nella cantieristica nautica e aerospaziale. Lavorando in squadra hanno “spacchettato” il progetto Transat attivando un bando per la ricerca di partner, valorizzando il lavoro giornaliero con una comunicazione “storytelling” sui social e permettendomi assieme a Giovanna Valsecchi


di poter arrivare a La Rochelle, per fare 30 giorni di cantiere e per preparare Pegaso e aspettare le conferme che con un pizzico di fortuna arriveranno. Sognando ad occhi aperti questa partecipazione da outsider aprirà le porte ad una partecipazione più strutturata nel 2019. Dopo la Minitransat riporteremo la barca in Europa con il cargo e da li mi preparerò per il Campionato Italiano 2018 per poi esporre Pegaso allo stand della Marina Militare in occasione del Salone Nautico Internazionale di Genova. Al Salone racconteremo, con delle clip realizzate da bordo, ai ragazzi una bella avventura resa possibile solo grazie a un grande lavoro di squadra. Da quanto tempo sei in Francia e quali sono i lavori che dovrai affrontare prima di attraversare la linea di partenza? E’ passata appena una settimana da quando siamo partiti dal Centro Sportivo Agonistico di Roma, breve pit stop a La Spezia per caricare un po’ di materiale dal container officina, poi sosta al prezioso Istituto Idrografico della Marina Militare di Genova, dove abbiamo preso le carte nautiche e poi via 1300 km fino a La Rochelle, per ritrovare Pegaso in secca, smontare l’albero, smontare tutta l’attrezzatura per cominciare subito a rinforzare la struttura per l’Oceano. Per adesso niente mare, solo bulloni e resina, il nostro allenamento da marinai. Il mare è ancora lontano dobbiamo guadagnarci la sua stima prima di poterlo guardare negli occhi. Le fasi di cantiere che dovremmo affrontare nel dettaglio sono: nella prima settimana, smontaggio albero, attrezzatura di coperta, verifica materiale di sicu-

rezza, nella seconda, rinforzi allo scafo, timoneria, bulbo, alberatura e verifica carte nautiche. Nella terza settimana, installazione attrezzatura di coperta, nuovo sartiame alberatura, impianto solare, nella quarta, nuova antivegetativa, applicazione grafica scafo, nuove fibre tessili ad alto modulo. Concluderò le fasi di cantiere con il lavaggio e la lucidatura dello scafo, rizzaggio albero, varo tecnico, prova delle nuove vele e finalmente l’inizio dei test in mare di tutti gli impianti.

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Mare Mostro un anno dopo

Continua l’impegno senza sosta dell’associazione ambientalista Marevivo

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di Emanuele Scigliuzzo

nico obiettivo, la salvaguardia del mare, tre le parole d’ordine: Ricicla, Riduci, Riusa. Sono ormai 32 anni che Marevivo, fondata dal presidente Rosalba Giugni, si batte senza sosta per la promozione della tutela del mare, attraverso campagne e progetti che mirano a sollevare i numerosi problemi legati al mare. Innumerevoli le campagne di sensibilizzazione portate avanti dall’associazione e condivise con la Marina Militare, partner da sempre, per indole attenta ai temi dell’ambiente. E’ passato ormai oltre un anno da quando a bordo dell’Amerigo Vespucci in sosta a Venezia, fu lanciata forse la più ambiziosa delle iniziative,“Mare Mostro”. Da quel giorno, con relazioni all’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo, Marevivo ha fatto di tutto per portare a conoscenza l’Italia

e l’Europa, delle minacce che affliggono l’ecosistema più importante e vasto del pianeta: il mare. Una preoccupazione che riguarda il Mare nostrum ma non solo, perché l’inquinamento non conosce confini, spostato dalla corrente approda sulle spiagge del globo in maniera indistinta. Se l’industria mondiale prosegue con la produzione di 280 milioni di tonnellate di plastica all’anno, una previsione di crescita fino a 400 milioni nel 2050, è più che probabile che lo studio della Fondazione “Ellen MacArthur”, che prevede che per quell'anno ci saranno più plastiche che pesci, diventi una realtà concreta. Si stima che il 10% della plastica prodotta finisca in mare andando ad alimentare il “mostro” che tra vere isole di rifiuti formate da vortici marini, o microplastiche scambiate per plancton dai pesci sta assumendo una dimensione più che preoccupante. Non è in sofferenza solo l’ambiente marino,

L’intervista

ma è in pericolo anche la salute dell’uomo attraverso la catena alimentare. L’allarme è lanciato anche dall’University of Ghent in Belgio, secondo la quale chi consuma abitualmente pesce ingerisce 11 mila frammenti di plastica ogni anno, proprio per questo è stato chiesto da Marevivo al ministro della salute, onorevole Beatrice Lorenzin, di poter fornire risposte sugli effetti della plastica sull’uomo. Tra le azioni intraprese a sostegno dell’iniziativa, la richiesta di vietare le microplastiche nel mondo della cosmesi, attraverso l’approvazione di un testo che lo scorso 25 ottobre è stato ratificato all’unanimità dalla camera dei deputati e che oggi è al vaglio del senato. La locandina della campagna Mare Mostro, lanciata dall’associazione ambientalista Marevivo oltre un anno fa, a bordo di nave Vespucci.

Abbiamo incontrato Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, per un bilancio sulla campagna Mare Mostro ad oltre un anno dal suo lancio. L’approvazione della legge nel campo della cosmesi è solo un primo piccolo, seppur importantissimo, passo verso la riduzione dell’uso della plastica, quanto manca per concludere l’iter legislativo? Il testo della legge è passato alla Camera dei Deputati in poco tempo e con l’approvazione all’unanimità. Il disegno di legge adesso è fermo al Senato purtroppo già da diversi mesi, anche se Marevivo sta cercando in tutti i modi di sollecitare la votazione del testo nella seconda camera. Speriamo che presto si possa sciogliere anche questo nodo. State già studiando altre iniziative da portare avanti dopo aver raggiunto questo primo obiettivo della campagna Mare Mostro? Si, stiamo preparando una campagna che andrà in parallelo a “Mare Mostro”, anzi è lo sviluppo naturale perché punta sulle azioni del singolo cittadino. La lanceremo a luglio e avrà lo stesso ambizioso traguardo, quello di combattere contro la plastica che sta soffocando il pianeta. L’economia circolare e il recupero della plastica prodotta sono un punto cruciale della lotta all’inquinamento. Qual è il grado di sensibilizzazione che avete riscontrato nelle persone nel corso di questo su un tema cosi importante? La campagna di sensibilizzazione che abbiamo portato avanti durante quest’anno ci ha dato un riscontro positivo, direi quasi entusiasmante. Il personale della Marina, i ragazzi nelle scuole, tutti sono estremamente attenti a questo tema che stiamo portando avanti anche grazie al contributo della Marina Militare, che insieme a noi ha posto sotto la luce dei riflettori il problema delle microplastiche che fino ad un anno fa era pressoché sconosciuto, oggi tutti ne parlano.

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