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GIOVANI PROLIFE, GIOVANI SPERANZE ANNO X FEBBRAIO 2022 RIVISTA MENSILE N. 104
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Massimo Patelli
Sara Pongiluppi
Abigail Shrier
Il diritto di continuare a vivere
Giocattoli pericolosi. Molto pericolosi
Come reclutare i ragazzini nei club Lgbt
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Notizie Pro Vita & Famiglia
febbraio 2022
Editoriale
Lo so. A volte questa umanità sembra orribile. Sembra che gli uomini e le donne dei nostri tempi siano portatori di disvalori, di egoismo, di nichilismo. Nella migliore delle ipotesi sembrano esseri vuoti (o pieni di nulla), superficiali, edonisti, con il culto del denaro, dell’apparire, dello sballo, del divertimento fine a se stesso. Sembra così, perché molti sono così e perché queste sono le immagini che ci vengono costantemente proposte e riproposte dalla Tv, dal cinema, dai talk show, dagli influencer più seguiti sulla rete. Ma non sono tutti così. Esiste una maggioranza silenziosa di persone sane, che crescono figli sani, che vanno controcorrente. Non fanno rumore, non
alzano la voce, ma sono il tessuto forte, la spina dorsale di questa nostra umanità che altrimenti sarebbe destinata a perire nel breve termine. Ci sono giovani sani e santi (con i loro mille, naturali, difetti), nei quali un vecchietto come il sottoscritto depone la sua fiducia e la sua speranza. E non solo in Usa c’è una nuova “pro life generation”. Per questo, tra i vari articoli sui temi bioetici che ci stanno a cuore, vi proponiamo le testimonianze di sei giovani: giovani pro vita, giovani speranze, persone “normali”, come ce ne sono tante, cui va il nostro apprezzamento e il nostro più caloroso «grazie di esistere». Toni Brandi
Ci sono giovani sani e santi (con i loro mille, naturali, difetti), nei quali depone la nostra fiducia e la nostra speranza
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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Editoriale
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Lo sapevi che...
Giovani prolife, giovani speranze
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Ho difeso il mio Paese, ma non sono stato capace di difendere mio figlio
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Don Ambrogio Mazzai, Anna Bonetti, Elisabetta De Luca, Fabio Fuiano, Giulia Bovassi, Luca Benvenuti
David Williams
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Il diritto di continuare a vivere Massimo Patelli
RIVISTA MENSILE
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N. 103 — Anno X GENNAIO 2022 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
Come reclutare i ragazzini nei club Lgbt Abigail Shrier
La tenacia di una madre 10
La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello
Charlie Jacobs
Giocattoli pericolosi. Molto pericolosi Sara Pongiluppi
Bibbiano e dintorni Clemente Sparaco
Il procurato aborto e la pedofilia come riti satanici Luciano Leone
Sede legale: via Manzoni, 28C
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00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione
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Lorenza Perfori, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel
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Piazza Don Bosco 11/A, 39100 Bolzano www.provitaefamiglia.it
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Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
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In cineteca
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Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di que-
In biblioteca
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sto numero: Luca Benvenuti - Anna Bonetti Giulia Bovassi - Mirko Ciminiello - Elisabetta De Luca - Fabio Fuiano - Silvio Ghielmi Charlie Jacobs - Luciano Leone don Ambrogio Mazzai - Massimo Patelli Sara Pongiluppi - Abigail Shrier Clemente Sparaco - David Williams.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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Lo sapevi che... Effetto Werther L’effetto Werther, vale a dire il contagio del suicidio, è un problema reale e il suicidio assistito è parte del problema. Un team investigativo del New York Times ha visitato diversi siti web in cui le persone possono accedere alle informazioni su come uccidersi, comprese le ricette per cocktail di sostanze letali pubblicate dai sostenitori delle leggi sul suicidio assistito. Secondo i giornalisti, si tratta di vere piattaforme tipo social media in cui gli utenti possono interagire e, tragicamente, incoraggiarsi
a vicenda. Uno di questi siti, ad esempio, ottiene sei milioni di visualizzazioni al mese, quattro volte il traffico del sito dedicato alla prevenzione del suicidio. Quasi la metà degli utenti ha meno di 25 anni. Le leggi sul suicidio assistito sono pericolose per le persone vulnerabili. I suicidi assistiti, pubblicizzati, che i sostenitori promuovono e chiamano “eroici” sono contagiosi. Le testimonianze dei parenti delle persone che si sono suicidate lo dimostrano.
Tutela per i sopravvissuti all’aborto Il governatore repubblicano dell’Ohio, Mike DeWine, ha promulgato una legge che rafforzerà le protezioni legali per i neonati che sopravvivono al tentato aborto. Finalmente, qualcuno che si occupa di questi piccoli sopravvissuti, che in tutto il mondo sono tanti e che non hanno per la maggior parte la fortuna di Gianna Jessen o di
Melissa Odhen, raccolte e curate da mani pietose: normalmente i bambini che sopravvivono ad aborti tardivi vengono lasciati morire tra i rifiuti ospedalieri. Il Born Alive Infant Protection Act rende colpevoli di omicidio gli abortisti e le infermiere che non curano e - se possibile - non salvano la vita dei piccoli sopravvissuti.
La vita è meravigliosa Spero che i nostri Lettori ricordino il vecchio film di Frank Capra con James Stewart. A noi è tornato in mente quando, subito dopo Natale, abbiamo risposto - insieme a tanti altri - a un SOS di una famiglia di Roma che ha perso la casa in un incendio. Questo il messaggio che
necessario in vestiti, giochi, cibo, pensieri e affetto. Non abbiamo spazio dove riporre altri regali, nonostante la generosissima disponibilità di fratelli ed amici nell’offrire gli spazi delle loro case! Grazie di cuore a tutti. Grazie davvero.
Vi portiamo nel cuore e nelle preghiere. “Sul monte il Signore provvede, sempre”. Grazie per avercelo una volta in più ricordato e dimostrato, oggi avete presentificato Dio nella nostra vita. Caterina».
Dipendenza da ormoni, dipendenza da transgenderismo Scrive Walter Heyer, ex trans che ha vissuto per otto anni da donna: «Nessuno dice alle persone che cercano aiuto per il disagio dato dalla disforia di genere che gli ormoni “cross - sex”, che si somministrano per assumere caratteristiche del sesso opposto, che vengono spacciati come necessari per “cambiare” sesso (il che è impossibile), sono steroidi anabolizzanti e creano dipendenza così come il consumo quotidiano di alcol o droga. Essi inoltre distorcono la capacità di prendere decisioni. A essi si arriva troppo facilmente, di solito sperimentando prima il travestitismo: la dipendenza da travestitismo porta agli ormoni, la dipendenza dagli ormoni porta alla chirurgia e
i danni sono poi irreversibili. Mi rendo conto che parlare di dipendenza rispetto al transgenderismo vuol dire essere messi a tacere, soprattutto da coloro che ne beneficiano finanziariamente: terapisti “di genere” che diagnosticano a tutti la disforia e affermano tutto ciò che è transgender; aziende farmaceutiche che vendono ormoni; chirurghi che riorganizzano i genitali maschili e femminili come uno chef di sushi che prepara un California roll… È distruttivo prescrivere una dipendenza come cura. Eppure ho continuamente notizie di persone in difficoltà che sono state manipolate dalla ciarlataneria dalla comunità medica…».
Rischi per i bambini nati dalla fecondazione artificiale (e quindi anche da utero in affitto) ci è arrivato tramite social: «Siamo inondati da una pioggia di amore, generosità, Provvidenza. Immensamente grati dell’amore umano che ci state dimostrando, per me inequivocabile dimostrazione di quello divino. Siamo commossi, stupiti, abbiamo ricevuto molto più di quanto
Un nuovo studio dal Journal of the American Medical Association (JAMA) Network Open ci dà informazioni sulla salute cardiovascolare a lungo termine dei bambini concepiti da fecondazione artificiale che è statisticamente e significativamente peggiore di quella dei bambini concepiti
naturalmente, soprattutto riguardo alla funzione e alla struttura del ventricolo sinistro. E si riscontra anche ipertensione arteriosa. La conclusione è che “sono necessari ulteriori studi”. Conduciamo questi studi allora. Smettiamo di fare esperimenti sui nostri figli.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Versi per la vita VITA NASCITURA Cara Redazione, ho diciotto anni, ma a volte mi dicono che è come se ne avessi ottantuno. Amo la mia famiglia (ho sette fratelli!), amo la musica classica, amo la natura, amo le camminate in montagna, amo la mia chiesa, la comunità di cui faccio parte e soprattutto amo Gesù Sacramento e la S.Messa. Quando posso ascolto con commozione e felicità il canto gregoriano. La maggior parte dei miei coetanei mi considera una matta. Durante l’Avvento ho rinunciato del tutto al telefono cellulare e ho perso tanti amici. Probabilmente non erano amici che valesse la pena conservare. Però mi dicono: «Non ti pesa?…» E non avete idea di cosa mi tocca subire quando si parla di sesso, di aborto, di contraccezione. A scuola gli insegnanti mi considerano un’immatura. A volte, sì, a volte mi pesa. Però…. Però vi dico una cosa: in fondo al cuore ho tanta pace e tanta gioia: penso proprio di essere veramente felice, alla faccia loro! Elena
Continua, sì continua, continua ed ancor perdura quella caparbia lotta a vita nascitura, in scala planetaria. Continua e vien condotta, in forma autoritaria, ma detta “volontaria”. Cos’è questa libidine contro la vita umana in questa prospettiva, oscura, malthusiana? Cos’è questa passione funeraria? Perdura, acuminata, anche la spina in tanti cuori di mancata mamma, perdura, è dura, è veramente un dramma. Nascosta incancellabile rovina.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano,
Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello
Riportiamo in queste pagine il resoconto delle principali attività di Pro Vita & Famiglia, fino alla fine di dicembre. Come al solito, ci scusiamo se per motivi di spazio qualcosa non sarà stata riportata e qualcuno non sarà stato nominato. Ringraziamo sempre e comunque tutti i volontari che attraverso i nostri circoli sparsi in tutta Italia trasformano «la cultura della vita e della famiglia in azione».
Nord-Est Il 16 dicembre, a Trento, Toni Brandi e Jacopo Coghe partecipano all’evento “Natale insieme ai valori della famiglia e del lavoro”, patrocinato da PVF, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. Altri relatori: Roberto Conci, amministratore delegato di Cierre Edizioni; Monica Mosna, presidente Confapi Trentino; Gianenrico Sordo, amministratore unico Aluray; il senatore Andrea De Bertoldi; l’assessore provinciale all’istruzione e alla cultura Mirko Bisesti. Il 25 novembre, a Cologna Veneta (VR), Maria Rachele Ruiu, con Pino Morandini, membro del Direttivo nazionale del Movimento per la Vita e coordinatore della Commissione Politica Nazionale dell’Associazione Family Day, partecipa al convegno “Agenda del terzo millennio: famiglia e natalità al centro. Per il bene della persona e della società”, terzo incontro della rassegna “...per la famiglia” organizzata dal Circolo Noi Arcobaleno - APS in collaborazione con l’Associazione Family Day e con il CAV di Cologna Veneta. Il 10 dicembre, a Portobuffolè (TV), Jacopo Co-
ghe partecipa al convegno “Costruire la famiglia, proteggere la vita”, organizzato dal parroco don Giorgio Maschio all’interno del ciclo “Un invito alle famiglie: parliamo di noi e dei nostri figli”.
Nord-Ovest Il 6 dicembre, a Bologna e a Ravenna riparte la campagna di affissioni di PVF contro l’eutanasia e il suicidio assistito #StopEutanasia, grazie a Simone. L’11 dicembre, a Forlì, tramite Simone, abbiamo chiesto all’assessore alle Pari opportunità Andrea Cintorino un chiarimento in merito a una delibera della giunta comunale che, sotto la solita maschera del contrasto alle discriminazioni, sembra erogare fondi pubblici per la promozione dell’ideologia gender anche nelle scuole. Il 1° dicembre, a Pavia, il nostro volontario Angelo allestisce un banchetto informativo su eutanasia e suicidio assistito, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni.
Il 2 dicembre, a Como, il nostro volontario Marcello contribuisce a organizzare la proiezione del film Unplanned.
Centro-Sud Il 25 novembre, a Santa Marinella (RM), il nostro volontario Massimiliano risponde alle pretestuose accuse mosse dal M5S di Santa Marinella nei confronti della campagna di affissioni di PVF contro l’eutanasia e il suicidio assistito #StopEutanasia. Il 28 novembre, ad Albano Laziale (RM), Toni Brandi tiene una relazione sull’aborto ai ragazzi della Scuola parentale San Pancrazio. A Roma, il 30 novembre, flash mob di PVF davanti alla sede della Commissione Ue contro le assurde e ideologiche linee guida dell’esecutivo europeo su Natale e gender. Il 5 dicembre, grazie anche alla denuncia di PVF, viene ritirato l’emendamento alla legge di bilancio che mirava a finanziare il cosiddetto “cambio di sesso” con 15 milioni di euro. Dal 6 al 12 dicembre, PVF allestisce uno stand alla festa di FdI, Atreju. Il 10 dicembre, Maria Rachele Ruiu partecipa al convegno “Dalla Carriera Alias all’educazione all’affettività a scuola: quale il vero benessere dei nostri ragazzi?”, per presentare il libro “Educazione alla affettività, un patto di alleanza tra famiglia e scuola”. Altri relatori: i senatori Simone Pillon, Licia Ronzulli, Tiziana Drago, Antonio De Poli e il presidente dell’Associazione Family Day Massimo Gandolfini. L’11 dicembre, PVF partecipa a una serie di incontri per celebrare il decennale del Centro di Aiuto alla Vita Roma Ardeatino “Donato Mancino”. Il 12 dicembre, i nostri volontari Salvatore e Barbara allestiscono un banchetto natalizio informativo sulle attività di PVF, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni.
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Il 20 dicembre, nuova edizione del progetto “Un Dono per la Vita”, con cui PVF consegna passeggini, culle, pannolini, ciucci e biberon a famiglie e mamme che stanno affrontando o hanno affrontato una gravidanza e che versano in difficoltà non solo economiche. Il 22 dicembre, a Rieti, Francesca Romana Poleggi partecipa a un dibattito sull’eutanasia all’interno dell’assemblea di istituto del Liceo classico “Marco Terenzio Varrone”, con Massimo Gandolfini, presidente dell’Associazione Family Day e Mina Welby, presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Il 18 e 19 dicembre, a Macerata, i nostri volontari Daniele e Clara allestiscono un banchetto informativo su eutanasia e suicidio assistito, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. Il 17 dicembre, a Bari, la nostra volontaria Manuela organizza e modera il convegno “Famiglia & Libertà educativa: In dialogo”. con il senatore Simone Pillon e il deputato Marcello Gemmato. Introduce Giovanni Caito, pastore della Chiesa Bethel.
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Giovani prolife, giovani speranze
sono resa conto della falsità di tutte le menzogne sull’aborto che mi avevano sempre raccontato, a partire dalla scuola, spacciandolo per un “diritto” della donna e quando, essendo sorda profonda dalla nascita per via ereditaria, sono venuta a conoscenza della scioccante verità sull’aborto eugenetico anche dei bambini sordi. Espormi pubblicamente contro l’aborto è stato tutt’altro che semplice, dal momento che anche la mia famiglia è favorevole alla “scelta” e mi ha causato varie difficoltà a livello lavorativo. Inizialmente i miei genitori erano influenzati dalle falsità che spesso i media associano ai movimenti pro vita, etichettandoli come “fascisti” o “estremisti”. Mentre la realtà mi ha dimostrato persone meravigliose, accomunate dall’idea di difendere la causa più nobile che esista: la vita umana innocente. Oggi, oltre alla mole di insulti quotidiani che ricevo, mi arrivano tanti messaggi di ringraziamento da parte di persone anche non cattoliche, che hanno compreso
Don Ambrogio Mazzai, Anna Bonetti, Elisabetta De Luca, Fabio Fuiano, Giulia Bovassi, Luca Benvenuti
Esiste oggi una generazione di giovani schierati apertamente a difesa della famiglia, della vita, dei principi non negoziabili? Siamo sicuri di sì. E non solo in America. A riprova abbiamo chiesto a questi giovani uomini e donne di offrirci la loro testimonianza. Un sacerdote «Mi chiamo don Ambrogio Mazzai, ho 30 anni e da cinque sono sacerdote nella diocesi di Verona. Mi occupo di pastorale dello sport, studio scienza delle comunicazioni, e collaboro in una parrocchia di periferia della città. Mi sono trovato e mi trovo spesso a dovermi confrontare con l’ideologia dello scarto, con la mentalità abortista ed eutanasista che sembrano dominanti. Soprattutto frequentando i social ci si rende conto delle convinzioni radicate nella gente: il bambino nel grembo “non è vita” è solo “un grumo di cellule”. Le persone anziane o malate o disabili “soffrono e basta” e “sono un peso per la società” (a dire il vero questo non hanno il coraggio di dirlo apertamente ed esplicitamente, ma è
l’evidente sottotesto di certe posizioni pro eutanasia o suicidio assistito). Assumere posizioni pro vita vuol dire sempre tirarsi addosso critiche anche feroci e anche da tanti sedicenti cristiani. Questi spesso cercano di tirare in ballo Papa Francesco mettendogli in bocca cose che non ha mai detto. Dichiararsi apertamente pro vita implica il doversi sentire rifiutati: medievale, bigotto, stupido, ignorante… Gli abortisti si sentono intelligenti e acculturati (quando non è vero: procedono per slogan e non per fatti). Insomma, essere pro vita vuol dire essere ghettizzati e disprezzati. Ma non è un problema: non aspettare il plauso degli uomini, non devo rendere conto che a Dio! Dico, perciò, ai giovani di non temere di seguire una strada così difficile. Vorrei metterli in guardia: le soluzioni più
Man mano che andavo avanti nelle mie ricerche, cresceva in me l’amore per la bellezza della vita umana.
semplici sono spesso quelle meno buone. Le cose importanti della vita sono anche impegnative, ci chiedono un impegno totalizzante. Se no, vuol dire che sono cose banali, superficiali. E non si possono vivere con superficialità questioni così serie come le questioni di vita o di morte. Riflettiamo, parliamone, esaminiamo le conseguenze reali e oggettive di certe azioni: molti sono pro aborto, ma non hanno mai parlato con una madre che ha abortito… Prima di votarsi all’ideologia, cerchiamo di toccare con mano quella che è la realtà» Una influencer Mi chiamo Anna Bonetti, ho 24 anni, studio scienze politiche internazionali e diplomatiche. Il mio ingresso nel mondo pro life è iniziato circa quattro anni fa, quando mi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
attraverso di me il valore non negoziabile della vita umana. Di recente sono stata invitata anche sulla piattaforma Twitch di Ivan Grieco a dibattere sul tema dell’aborto e nonostante mi sia trovata sola contro tre avversari e di fronte a migliaia di spettatori, molti mi hanno scritto in privato ringraziandomi per la mia testimonianza. In sintesi, se da un lato la difesa della vita comporta difficoltà non indifferenti a livello sociale, dall’altro posso affermare che ne vale la pena: a ottobre sono stata invitata alla marcia per la vita di Vienna e a marzo sarò a Monaco di Baviera. Ogni volta che mi guardo indietro, penso che rifarei altre mille volte la stessa scelta. Purtroppo vedo tante persone della mia generazione che si “nascondono” pur di non esporsi pubblicamente timorosi di avere conseguenze negative nell’ambito universitario e lavorativo. Un timore che, a essere sincera, a volte affligge anche me. Però allo stesso tempo mi sento di rassicurare i miei coetanei, incoraggiandoli a non aver mai paura di essere sé stessi perché tacere è il modo migliore per fare la volontà di chi vuole censurarci. Abbiamo il dovere di combattere le ingiustizie perpetrate da coloro che hanno il terrore della verità. Invece non dobbiamo mai avere paura di dire la verità; se questo da un lato può comportare una perdita, infinitamente più grande è il bene che se ne ricava. Un bene non solo per sé stessi, ma per l’intera società. Una studentessa universitaria «Mi chiamo Elisabetta De Luca, ho 18 anni e studio Lettere moderne.
Ci tengo a dire a tutti quelli della mia generazione di non lasciarsi abbindolare da ideologie peregrine, che vanno contro l’uomo e non portano alla felicità.
Non lo negherò, non sempre è facile riuscire senza timore a dire la propria, in un mondo come questo, fatto di becero odio e aggressiva discriminazione, in cui c’è chi vuole imporre le sue personali convinzioni agli altri come indefettibili principi di verità. Non è affatto semplice ritrovarsi a essere in questo secolo così buio, che oserei definire senza fede e senza speranza, recisamente schierati dalla parte degli invisibili, dei più deboli, di chi non ha voce, né corpo, ma solamente un’anima e un cuore che batte. É come se a volte io stessa non riuscissi più a respirare, come se tutto intorno a me si udissero solo vane e ridondanti parole d’odio, slogan scontati di deliberato egoismo, urla isteriche di chi crede che la propria libertà valga più di una vita spezzata sul suo nascere. Essere pro vita, oggi, si configura come atto di estremo coraggio. Essere sempre, in qualunque situazione umana dalla parte della vita è un atto di audacia, di abbacinante forza, un atto così straordinario da esser divenuto incredibilmente raro, incredibilmente strano. Essere pro vita è un atto di amore. Una scelta d’amore. Un amore folle, puro, incondizionato. Una scelta che sfida la narrazione mendace e falsata di un progressismo violento e distruttore che livella gli animi e le coscienze in nome di un modernismo gretto, putrido e insignificante, pronto a disintegrare ogni residuo di umanità. Una scelta che atterra la squallida e distorta dialettica del femminismo moderno, colpevole di divulgare un’immagine di donna libera solo se libera dalla famiglia e dall’amore filiale. Non lo negherò, non sono mai stata in grado di reprimere la mia voce, nemmeno quando tutte le altre viaggiavano in direzione così ostinata e contraria alla mia. Non è sempre stato poi così facile sottrarsi alle ingiurie del resto del mondo, là dove in contesti come quello scolastico o universitario diverbi, dibattiti e critiche sembrano essere all’ordine del giorno. Un contesto in cui il professarsi pro vita appare come una
La scelta per la bioetica è una vocazione a (ri)conoscere in ogni essere umano quella sacralità oggigiorno dimenticata, offesa, danneggiata da visioni materialiste, utilitariste, relativiste, individualiste, narcisiste e da una banalizzazione di ciò che è bene e ciò che è male (al punto da sovrapporli o confonderli) fortemente correlata ad una diseducazione morale di massa. pericolosissima e inaudita inversione di rotta, un profondo turbamento nei confronti della massificazione del pensiero abortista che confonde la delittuosità col progresso, l’egoismo con la libertà. Una generazione, quella di cui mio malgrado faccio parte, che sembra spesso essere così irrimediabilmente perduta, sventrata, inesorabilmente segnata da una cieca volontà di individuare nell’obiezione di coscienza il peggiore dei mali. Custodisco orgogliosamente ogni offesa, ogni ingiuria, scagliata da tutti coloro che da sempre hanno cercato di farmi sentire sbagliata e diversa. Per ogni giorno in cui ho difeso il diritto alla vita da chi avrebbe voluto calpestarlo, ridurlo a un’indegna e insignificante obsolescenza. A tutti coloro che suggerirebbero l’aborto come unica via d’uscita, che non scorgono altri orizzonti
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Notizie Pro Vita & Famiglia
se non quello di un asassinio legalizzato travestito da progresso. A tutti coloro che non crederebbero mai possibile che io, e tante altre come me, nei miei diciotto anni possa avere la lucida consapevolezza di non abortire, neanche nella peggiore delle ipotesi. A chi vorrebbe donne libere, ma disposte a rinunciare alla parte più bella di se stesse, quella che ti cresce dentro giorno dopo giorno. A chi definisce “grumo di cellule” il meraviglioso e miracoloso sbocciare della vita umana, a chi pensa di definire “errore” il punto più alto della divina
Se non ci impegneremo noi a testimoniare la bellezza dell’armonia e dell’ordine, con determinazione e perseveranza, nessuno lo farà al posto nostro!
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Creazione. A tutti coloro che credono non ci siano altre soluzioni. L’amore è stato più forte e continuerà a esserlo per sempre». Il presidente di un’associazione «Mi chiamo Fabio Fuiano, ho 27 anni, sono laureato in Bioingegneria e attualmente svolgo un dottorato in Ingegneria Meccanica e Industriale, con indirizzo biomedicale, nell’Università di Roma Tre. Già dalla fine del liceo avevo iniziato a manifestare un certo interesse per le tematiche inerenti alla difesa della vita umana innocente. Tuttavia, non avevo ancora le idee chiare e ciò mi ha spinto a cercare un gruppo dove fosse possibile coniugare attivismo e formazione. Ed è qui che sono entrati in gioco gli Universitari per la Vita (UpV). Certamente il mio impegno pro life pubblico ha avuto inizio proprio quando mi sono unito a questa realtà, partecipando a iniziative di sensibilizzazione dei nostri coetanei negli atenei di Roma.
Gli UpV sono stati fondati da Chiara Chiessi nel 2016 e da allora si sono diffusi in diverse città italiane con studenti in gamba e determinati nella difesa della vita senza compromessi, in ogni sua fase. Da un anno a questa parte mi ritrovo molto indegnamente a ricoprire il ruolo di Presidente degli UpV dopo che Chiara ha deciso di seguire la propria vocazione alla vita consacrata. Come dico sempre, lei ha intrapreso una battaglia pro life ad un livello più alto, mentre noi rimaniamo “in trincea”, rinforzati dalle sue preghiere. Le ripercussioni di questa esperienza sulla mia vita sono state molteplici. Anzitutto si è accresciuta in me la consapevolezza che la formazione è il fondamento di tutta l’attività pro life: l’ho capito proprio grazie a Chiara, che mi consigliò da subito la lettura del libro scritto da Mario Palmaro, Aborto & 194: Fenomenologia di una legge ingiusta, il principale testo di riferimento per la formazione di tutti gli UpV d’Italia. Da quel “trampolino di lancio” ho cominciato ad approfondire tante tematiche inerenti alla battaglia pro life. Più studiavo e più divenivo consapevole di quali fossero le cause profonde degli attacchi volti a distruggere l’ordine naturale e divino. Allo stesso modo, man mano che andavo avanti nelle mie ricerche, cresceva in me l’amore per la bellezza della vita umana. Da qui nacque l’ardente desiderio di difenderla dagli ingiusti attacchi che quotidianamente subisce, soprattutto ad opera delle leggi inique vigenti nel nostro paese, prima fra tutte la 194. Malgrado le innumerevoli
difficoltà, ritengo sia fondamentale ribadire la verità sull’uomo, sulla sua intrinseca dignità e sull’indisponibilità della sua vita. Quando si combatte per una causa come questa è impossibile non accendere una fiamma nel cuore che alimenta e permea ogni attività, semplice o complessa che sia. Posso senz’altro testimoniare anche come ho avuto occasione di conoscere tantissimi ragazzi e ragazze con i quali è nato un profondo legame di stima e affetto. Siamo combattenti di una grande battaglia, ma ancor prima siamo amici con un medesimo obiettivo: frenare e contrastare la cultura rivoluzionaria, anche abrogando le leggi ingiuste di cui si avvale per operare morte e distruzione. Soprattutto, è possibile ricostruire dalle macerie che essa lascia dietro di sé. Questo è il messaggio che voglio lanciare alla mia generazione: noi possiamo essere voce di chi è senza voce. Possiamo riportare al centro del dibattito sull’aborto la figura dimenticata del concepito! Possiamo testimoniare la bellezza e l’armonia dell’ordine! Se non ci impegneremo noi a farlo, con determinazione e perseveranza, nessuno lo farà al posto nostro!» Una bioeticista, ricercatrice e docente universitaria «Uno sguardo sull’uomo attraverso l’uomo, a partire da uno sguardo attento sulla realtà»: il mio rapporto con la bioetica è nato da questo accorgimento interiore
Argomentare in scienza e coscienza per la Vita e la dignità intrinseca dell’essere umano ponendosi in netta contrapposizione ad un agire tecno-scientifico contro l’uomo è motivo di discriminazione, targhetizzazione ed emarginazione sociale di stampo ideologico con ripercussioni anche in ambiente lavorativo
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Notizie Pro Vita & Famiglia
maturato durante la fase conclusiva della mia prima formazione universitaria, quella filosofica, dove la conoscenza approfondita della bioetica in tutta la sua complessità pluralista e interdisciplinare, ha da subito sviluppato un modo inedito di leggere la sofferenza altrui al punto da cercare di coniugare formazione e servizio mediante ambienti impegnati attivamente su alcuni dilemmi bioetici. Questo ha trasformato il mio sguardo umano rivolto all’altro, alla sua esistenza e al senso profondo della natura che ci determina in quanto creature. Sono Giulia Bovassi, classe 1991, laureata in Filosofia e Bioetica, dedico la totalità del mio lavoro alla ricerca e alla docenza. Attualmente mi occupo di bioetica in ambito accademico come Associate Researcher e Assistant Professor della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (Roma), come Dottoranda in Bioetica e Cultore della Materia in Filosofia del Diritto e Biogiuridica. La scelta di dedicare tutta la mia vita, professionale e personale, alla causa bioetica, anzitutto alla difesa dei principi non negoziabili, è stata un’autentica chiamata dall’impatto totalizzante e trasversale nella mia vita, al punto da stravolgerla sotto ogni aspetto. Per tale ragione sostengo con convinzione che la scelta per la bioetica, con tutti i sacrifici che comporta, non può essere compiuta per se stessi: essa è una vocazione a (ri)conoscere in ogni essere umano quella sacralità oggigiorno dimenticata, offesa, danneggiata da visioni materialiste, utilitariste, relativiste, individualiste, narcisiste e da una banalizzazione di ciò che è bene e ciò che è male (al punto da sovrapporli o confonderli) fortemente correlata ad una diseducazione morale di massa. Proprio in virtù del clima di totale appiattimento (per non dire
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cancellazione) culturale; di esacerbato indifferentismo etico e, conseguentemente, di de-responsabilizzazione, è estremamente difficile costruire il ragionamento bioetico in senso proprio poiché mancano le basi filosofiche e, assieme, la capacità di dialogo, ascolto, accoglienza, senso critico. Spesso, infatti, accade che i grandi temi da essa affrontati (aborto, manipolazione genetica, fecondazione assistita, eutanasia, sperimentazione, sessualità, neuroetica, etc.) siano oggetto di un palleggio tra attivismo e urgenza politica, oppure appaiano il retaggio di un sentito dire qualunquista privo di indagine, autorevolezza e affidabilità (ancor più nell’epoca attuale, quella dell’infosfera). In un tempo di accelerazione continua e spasmodica, sappiamo bene che metabolizzare il pensiero e la contemplazione verso il mistero creaturale che incarna ogni essere umano è qualcosa che retrocede lentamente. Spesso la bioetica, nella sua sistematicità, metodologia e rigore scientifico, viene definita da autorevoli docenti come “coscienza della civiltà bio-tecnologica” giacché risponde al bisogno umano di significazione: questo suggerisce che essa non è opinione, e nemmeno un pacchetto di regole o slogan. Depotenziarne lo spessore declassandola in questi termini è un sintomo del fenomeno di secolarizzazione, il quale devitalizza gli imperativi morali rendendoli opinioni. Contrariamente a quanto abitualmente si sente annunciare a livello mediatico dove vengo decantati alti propositi di inclusione, argomentare in scienza e coscienza per la Vita e la dignità intrinseca dell’essere umano ponendosi in netta contrapposizione ad un agire tecno-scientifico contro l’uomo è motivo di discriminazione,
Assumere posizioni pro vita vuol dire sempre tirarsi addosso critiche anche feroci e anche da tanti sedicenti cristiani.
targhetizzazione ed emarginazione sociale di stampo ideologico con ripercussioni anche in ambiente lavorativo, poiché determinate battaglie causano spesso un pregiudizio negativo sulla persona a prescindere da capacità e competenze. La mia famiglia ed io abbiamo vissuto personalmente, e ancora oggi subiamo, l’effetto di marginalizzazione descritto quando facciamo esperienza di come, ciò in cui crediamo e difendiamo, diviene scomodo, compromettente, oggetto di vergogna o di disagio per alcune persone, talvolta estranee altre volte nostri cari. Oggigiorno la vulnerabilità viene considerata un diritto da acquisire (per alcuni addirittura una minaccia) anziché essere carattere costitutivo e fondamentale del consorzio umano, e questa semplice verità crea scandalo. Viceversa, ed è quanto ricordo sempre agli studenti di bioetica o a coloro che intendono avvicinarsi alla materia, seppur questo diffuso atteggiamento generi spesso un senso di persecuzione, sconforto
e sofferenza, esso non è la principale e autentica risposta che la vocazione bioetica (personalista) genera, anzi: personalmente ritengo che la vera risposta, quando è dato vederla nell’immediato, sia in quell’abbandono dell’anima alla capacità contemplativa verso la creatura umana nella sua intrinseca vulnerabilità, riconoscendo in essa un’identità unica. Ovvero quando, il mistero dell’uomo, del bene, del bello e del vero, fa tornare nella coscienza dei nostri interlocutori un profondo senso di pudore, riguardo e rispetto. Oppure quando credere nel valore ineliminabile dei principi fondamentali con il coraggio di difenderli diviene lo sguardo di una madre che, dalla disperazione o dalla solitudine di un bivio tra la vita e la morte del proprio figlio per scelta propria, trova qualcuno che le offre come concreta possibilità l’alternativa della Vita, amando e salvando entrambi ricoprendo il ruolo solidaristico e sussidiario che spetta alla comunità. Quando, invece, non c’è un ritorno istantaneo su coloro con i quali ci rapportiamo, l’esperienza storica insegna che quel seme bioetico avrà il suo tempo per far tornare alla memoria l’istinto naturale al bene, che è sempre conoscibile per chi dispone la propria volontà alla conoscenza. La bioetica, dal lavoro accademico alla militanza associazionistica, nasce per porre domande e offrire risposte di tipo esistenziale, ontologico in senso pratico, ma ciascuno dei dilemmi che affronta concorre alla custodia dell’umano perché lo spirito che anima la difesa dei principi non negoziabili è esattamente un’accoglienza indiscriminata della specificità umana. Una missione che oggigiorno deve essere comunicata alle generazioni future mostrando loro la solidità delle ragioni fondamentali che esigono la presenza bioetica nel panorama culturale e biopolitico per nuove e “antiche” sfide che l’uomo è chiamato ad affrontare ogniqualvolta il suo puro “fare” e nudo essere lo pone dinanzi a se stesso.
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Oltre alla mole di insulti quotidiani che ricevo, mi arrivano tanti messaggi di ringraziamento da parte di persone anche non cattoliche, che hanno compreso attraverso di me il valore non negoziabile della vita umana I temi emersi non sono tanto quello dell’aborto, che forse in un ambiente a totalità maschile com’è quello della mia azienda, rimane un pochino sotto traccia, quanto quello del matrimonio omosessuale e del gender. Rispetto al primo, mi sono visto costretto a ribadire l’ovvio: il matrimonio è solo tra uomo e donna, solo questa è l’unione generativa. Anche sul gender, che è una tematica che tocca in particolare diversi colleghi papà
Un papà «Mi chiamo Luca Benvenuti, ho 33 anni e sono geometra. Sono sposato da quattro anni e ho due bambine.
Il contesto in cui mi è più spesso capitato di dover difendere i principi non negoziabili è sul lavoro, con la macchinetta del caffè che è sempre fonte di momenti di scontro/ confronto interessanti.
Molti sono pro aborto, ma non hanno mai parlato con una madre che ha abortito…
come me, il mio contributo è stato un sempre meno banale richiamo alla realtà: il sesso biologico non si cambia a piacimento, ognuno di noi è maschio o femmina. Di certo, il fatto di pormi su queste posizioni mi pone in una perenne condizione di minoranza, ma quanto tengo a dire a tutti quelli della mia generazione è di non lasciarsi abbindolare da ideologie peregrine, che vanno contro l’uomo e non portano alla felicità».
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Ho difeso il mio Paese, ma non sono stato capace di difendere mio figlio David Williams
La testimonianza toccante di un padre che ha sofferto per la sindrome post abortiva. [La testimonianza di David è un estratto da Tears of the Fisherman: Recovery for Men Wounded by Abortion, di Kevin Burke. Traduzione a cura della Redazione non rivista dall’Autore] «Ero nell’esercito e sono stato chiamato per completare il mio ultimo anno di servizio di stanza in Germania. Eravamo d’accordo che Susan sarebbe rimasta con i suoi. Avremmo risparmiato e lei avrebbe cominciato a cercare casa per noi, per quando sarei tornato. Questo era il piano. Susan mi ha chiamato poco dopo la mia partenza: era incinta. La prima cosa che le ho detto è stata che non eravamo pronti. Dovevo
finire il mio servizio e sarei stato fuori un anno intero. L’ho convinta che l’aborto fosse la decisione giusta. Ma il giorno dell’aborto è stato il giorno della mia morte. Mi sono sentito morto per 14 anni. Quando sono tornato a casa, ho affrontato questa ferita, ma non l’ho curata. Mi anestetizzavo mettendo tutta la mia energia nel lavoro. Mi sentivo come se la mia identità
L’ho convinta che l’aborto fosse la decisione giusta. Ma il giorno dell’aborto è stato il giorno della mia morte. Mi sono sentito morto per 14 anni.
mi fosse stata tolta. Mi sentivo incompleto. Ho passato quattro anni della mia vita a difendere questo Paese, come soldato, ma non sono stato capace di impedire la morte di mio figlio per paura ed egoismo. Ho avuto successo nel lavoro... avevo una moglie, una bella casa e un paio di bellissimi bambini. Ma non mi sentivo completo. Era come se mancasse qualcosa. Tutto dedito al lavoro ero emotivamente distante da mia moglie e dai miei figli. Mi sentivo per molti versi un estraneo, più come un custode, un impiegato, senza un profondo legame con la mia famiglia. Quando questa dolorosa sensazione prevaleva, bevevo, guardavo porno su Internet e cercavo di anestetizzare i miei sentimenti il più rapidamente possibile. Ma tutto questo stava lentamente divorando il mio matrimonio e mi ha derubato dei doni che mi circondavano, doni che non ero in grado di abbracciare e celebrare pienamente. Susan e io ci siamo separati diverse volte e ci siamo rivolti a terze persone per alleviare la solitudine e il dolore che segretamente portavamo nei nostri cuori. Nonostante tutto, però, ci siamo aggrappati alla nostra fede cristiana, anche se non eravamo degni ed eravamo peccatori,
abbiamo cercato, alla fine, di far funzionare le cose per il bene dei bambini. Abbiamo iniziato a vederci con un consulente nella nostra chiesa. Per la prima volta qualcuno ci ha chiesto se ci fosse stato un aborto nel nostro passato. Susan è letteralmente crollata. Era chiaro che questa era la ferita più grande che aveva compromesso anche il nostro matrimonio ed era la fonte dei nostri litigi, il motivo della distanza che si era creata fra di noi. Volevamo restare insieme e ricostruire questo matrimonio. Abbiamo allora dovuto affrontare questa perdita e tutti i sentimenti oscuri ad essa associati. Il consulente ci ha raccomandato un ritiro durante un fine settimana, per la guarigione post-aborto presso la Vigna di Rachele (Rachel’s Vineyard). Abbiamo trovato il sito web e ci siamo registrati. Siamo arrivati al ritiro molto ansiosi, ignari di quello che sarebbe successo, ma speranzosi che forse ci avrebbero aiutato in qualche modo. In caso contrario, ero sicuro che saremmo arrivati al divorzio. Abbiamo così iniziato un viaggio doloroso, ma gratificante che avrebbe portato la guarigione che desideravamo così disperatamente. Per la prima volta siamo stati in grado di condividere
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la storia del nostro aborto, abbiamo aperto per la prima volta il cuore l’uno all’altra e con gli altri presenti nel gruppo. Abbiamo riflettuto a lungo sulla resurrezione di Lazzaro, come è raccontata nel Vangelo di Giovanni. Ciascuno di noi ha nominato una parte di sé che era morta a causa del peccato. La guida ha poi preso una striscia di garza e ha avvolto delicatamente le parti del corpo che avevamo identificato. Alcuni del nostro gruppo si erano chiusi gli
La Vigna di Rachele - guarire il dolore post aborto un weekend alla volta
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occhi perché avevano perso di vista Dio. Una donna ha chiesto che fosse fasciato il suo cuore, poiché era stato spezzato dall’abbandono di suo padre e in seguito da quello del suo ragazzo quando era rimasta incinta. Un altro uomo si era sentito impotente a fermare un aborto che non voleva e ha chiesto che gli fossero fasciate le mani. Quando la squadra del ritiro si è avvicinata a Susan, mia moglie ha deciso di farsi fasciare la mano sinistra. Susan ha detto: “Questa è la mano su cui tengo la mia fede nuziale: vorrei vedere il nostro matrimonio restaurato”. Quando è toccato a me, ho chiesto di fasciarmi il cuore: si era spezzato da quando avevo ricevuto la telefonata che l’aborto era finito e mio figlio se n’era andato. A ciascuno di noi è stata poi data l’opportunità di professare la propria fede. Attraverso la fede in Cristo, crediamo di poter risorgere dalla morte causata dal peccato ed essere guariti dalle nostre ferite più profonde. Dopo che Susan ha fatto la sua professione di fede, un membro del gruppo si è avvicinato per toglierle la benda. Ma ho detto: “No, no, per favore, lascia che lo faccia io - penso che tocchi a me, come suo marito. Voglio che inizi un nuovo rapporto, come non l’abbiamo mai avuto. Voglio essere lì per lei, con lei, non più così distante”. Susan, a sua volta, ha tolto la benda che avevo sul cuore e ha chiesto perdono per la sua durezza nei miei confronti. Ci siamo abbracciati a lungo... Per la prima volta, da quando stavamo insieme, ci siamo tenuti per mano mentre camminavamo lungo la strada, fino alla caffetteria dove saremmo andati a cena».
Il diritto di continuare a vivere Massimo Patelli
La testimonianza di un professionista che si occupa di cure palliative da 24 anni: mai nessuno dei suoi pazienti gli ha chiesto di morire. La mia è una semplice riflessione personale di professionista che si occupa di cure domiciliari e malati oncologici, cure palliative, da 24 anni. La mia esperienza copre un arco di tempo nel quale ho avuto modo di vedere un importante cambiamento nei confronti delle cure palliative e di fine vita. La l. 38 del 2010 ha ovviamente sancito dei punti fondamentali nel percorso e nei diritti delle persone alle cure palliative, ciononostante, sono ancora moltissimi i casi di pazienti che non ricevono un’ adeguata assistenza nel momento più difficile della vita di una persona e di una famiglia. Troppo spesso queste persone e le loro famiglie sono prese in carico tardivamente dai servizi domiciliari e dai palliativisti e terapisti del dolore con conseguenze che si ripercuotono su tutto il nucleo familiare e sulla qualità della loro vita. L’Ospedale e i servizi specialistici preposti ovviamente fanno la loro parte, ma manca troppo spesso tutto il percorso domiciliare che oltre a monitorare le condizioni generali ha il compito di sostenere le persone e le
famiglie nel fronteggiare la malattia e tutti gli effetti ad essa correlati. Molte volte gli stessi sono affidati essenzialmente alle cure dei medici di medicina generale o agli specializzandi che non sempre però hanno la possibilità e le competenze necessarie per la gestione di situazioni così complesse. È comprensibile che in molti casi le persone che non vengono seguite adeguatamente sviluppino idee di morte. Pensano di non avere più speranze e quindi vogliono smettere di soffrire in tutti i sensi. Spesso, innanzitutto, per il senso di isolamento relazionale che certe situazioni impongono quasi come accessorio necessario, ma anche per l’impossibilità di fare molte, a volte tutte, le cose che si facevano prima. La mia obiezione quindi, non è rivolta solo alle leggi eutanasiche come strumento con la capacità di spegnere la vita come un interruttore, anche a fronte di una richiesta personale e individuale. Ma anche all’ignoranza diffusa del fatto che oggi è possibile vivere senza dolore. È un diritto, così come lo è essere assistiti, e non abbandonati. Ed è anche un diritto
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assistita sono più che impliciti, e potrebbero servire a molti per motivare comportamenti dettati più da imperativi economici che non umani. La vita è un delicato equilibrio e anche in certi momenti deve esserci una esatta proporzione tra mezzi e risultati e tra accompagnamento ed accanimento. Ed è questo lo specifico lavoro di chi come me assiste queste persone da molti anni. E pur non sentendo particolari legami né con teologie, né con principi libertari radicali di espressione e di autodeterminazione, se dovessi mai essere obbligato a determinare la vita di una persona, se non potrò esercitare una sana obiezione di coscienza, continuare a fare parte della società ed esprimere ciò che si è anche in determinate situazioni…comunque umane. Esiste già un accompagnamento pietoso nelle cure palliative con supporti di varia natura, compreso quello psicologico. E l’umanità delle équipe composte da professionisti motivati e ben formati è altissima. E posso testimoniare che in 24 anni non mi è mai capitato nessuno che mi
chiedesse di staccare la spina. Credo esista sempre una forte motivazione alla vita, ma è certo che se non si interviene come previsto per legge anche per migliorare la sua qualità, con assistenza e farmaci corretti, si rischia che le persone in mezzo a dolore ed abbandono esprimano pensieri fortemente negativi, più che comprensibili. I rischi poi di una strumentalizzazione di questa morte
Sono ancora moltissimi i casi di pazienti che non ricevono un’ adeguata assistenza nel momento più difficile della vita di una persona e di una famiglia.
Oggi è possibile vivere senza dolore. È un diritto, così come lo è essere assistiti, e non abbandonati. Ed è anche un diritto continuare a fare parte della società e esprimere ciò che si è anche in determinate situazioni… comunque umane.
troverò sicuramente un altro sbocco professionale.
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Come reclutare i ragazzini nei club Lgbt Abigail Shrier
Registrazioni audio e video di una riunione della California Teachers Association Conference provano le attività e le strategie poste in essere dagli insegnanti aderenti all’ideologia omotransessualista per far iscrivere i ragazzini alle associazioni Lgbt: la denuncia viene dalla giornalista Abigail Shrier, già nota ai nostri Lettori per aver scritto il libro Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Daughters di cui abbiamo parlato in più occasioni. L’articolo originale è apparso sul suo blog. La traduzione con adattamenti, a cura della Redazione, non è stata rivista dall’Autrice. In America, le denunce di genitori infuriati per ciò che viene propinato - a loro insaputa - ai ragazzi nelle scuole sono all’ordine del giorno [in Italia anche: continuano ad arrivarci segnalazioni e noi continuiamo ad aggiornare il nostro Dossier. Spesso riusciamo a sostenere i genitori e a far ritirare i progetti incriminati, ndR]. Accade sovente che i figli vengano addirittura avviati alla “transizione di genere” dal personale scolastico (insegnanti e psicologi) a insaputa delle famiglie.
Le registrazioni di una riunione del più grande sindacato degli insegnanti dello Stato, la California Teachers Association (Cta) dimostrano che c’è un piano ragionato a tavolino per indottrinare i ragazzini. I “formatori” arrivano al punto di invitare i docenti a controllare cosa cercano su Google gli studenti e ad ascoltare le loro conversazioni in corridoio, al fine di cogliere qualche indizio per poterli indirizzare ai club Lgbt, mentendo ai genitori sulla vera identità di dette associazioni.
Gli insegnanti devono creare «un ambiente sicuro che incoraggi i ragazzini ad esplorare il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere».
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La denuncia della Shrier riguarda principalmente il reclutamento di ragazzini delle scuole medie. Ma in California, l’Ufficio per le relazioni umane, l’equità e la diversità del distretto unificato delle scuole di Los Angeles ha promosso club Lgbt anche per gli alunni delle scuole elementari e materne, dai quattro anni in su. Il Rainbow Club ha organizzato un incontro alla settimana per dieci settimane ed è stato pubblicizzato come un club virtuale per bambini Lgbtq+, i loro amici e i loro genitori. Il club ha tenuto la sua ultima riunione nel novembre scorso e ha annunciato che ripartirà il semestre successivo. Alla domanda sul perché il distretto abbia deciso di occuparsi delle identità sessuali dei bambini di appena cinque anni e se i bambini potevano o dovevano essere accompagnati da un genitore, il portavoce interpellato ha risposto “no comment”. Nei workshop tenuti all’inizio dell’anno scolastico, durante la 2021 Lgbtq+ Issues Conference, Beyond the Binary: Identity & Imagining Possibilities (Al di là del binario: identità e immaginazione di possibilità), gli insegnanti sono stati invitati a creare «un ambiente sicuro che incoraggi i ragazzini ad esplorare il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere», secondo quanto ha detto un maestro di quinta elementare, C. Scott Miller. Gli insegnanti di scuola media vengono invitati a creare dei club Lgbtq noti come Gsa, Gay-Straight Alliance (alleanza gay - etero). Ma senza “ufficialità”, senza tenere elenchi o registri. Così - ha detto un’insegnante che teneva il workshop dedicato - se i genitori si arrabbiano e vanno a chiedere conto e ragione, si può dir loro che non si sa se il figlio partecipa o se è socio. E non si “mette nei guai” il ragazzino che ha partecipato contro il volere della famiglia. Coloro che frequentano il club «ottengono
tutto l’amore e l’affermazione di cui hanno bisogno», dice uno dei formatori. Vengono forniti loro tutti gli strumenti per essere coraggiosi e audaci, ma poi vanno a pranzo con i loro amici. E fanno le cose che fanno gli amici etero. E lasciano il club e i numeri dei partecipanti iniziano a diminuire. Per ovviare a ciò, gli insegnanti devono «stalkerare» (espressione usata dai formatori) le loro attività on line. Un ragazzino, per esempio, cerca su Google Trans Day of Visibility: bisogna schedarlo e ricordarsi di invitarlo per la prossima riunione. Bisogna prendere nota di quei bambini che nelle loro chat parlano di questioni relative al sesso e al genere. Bisogna osservare i bambini in classe, ascoltare le loro conversazioni e poi invitarli personalmente alle riunioni. Perché è così che si possono reclutare. E se gli studenti non sono particolarmente interessati a frequentare un club Lgbtq, se i genitori si oppongono, bisogna insistere: i giovani sono i motori del cambiamento.
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La tenacia di una madre Charlie Jacobs
Una madre ha salvato la figlia dalla follia Lgbt, e ora vuole condividere la sua storia con gli altri genitori. Siamo lieti di dargli spazio su questa Rivista. (La traduzione con adattamenti dell’articolo originale apparso su The Daily Signal è a cura della Redazione e non è stata rivista dall’Autore) Quindi, si intende dar vita a un nuovo mondo, a quanto pare, e un buon punto di partenza è farlo con i figli degli altri. Un’altra accortezza, viene raccomandata. Nel corso sul bullismo in prima media hanno parlato di religioni, razze, omosessualità e transgenderismo. Ma i ragazzini a casa sono andati a raccontare che hanno parlato loro solo di sesso e genere. Quindi, nel futuro bisogna essere accorti e parlare per prima cosa di sesso e genere. Poi in ultimo di razze e religioni: i bambini probabilmente riporteranno le ultime cose sentite. In questo modo i genitori che si oppongono a questo tipo di insegnamento, scopriranno che le loro obiezioni arrivano troppo tardi. Nel corso dell’incontro sono stati derisi e sbeffeggiati i genitori che si oppongono a questa deriva: e se proprio non si rassegnano il preside li inviti a cambiare scuola, a scegliere una scuola privata in linea con le loro credenze: sarebbe una grande vittoria. Inoltre, gli insegnanti di ruolo stiano tranquilli ché i genitori non possono farli licenziare perché invitano i ragazzini a partecipare ai club [e se questo vale in America, a maggior ragione vale in Italia! NdR]. Infine, chi gestisce i club dovrà essere accorto a porre tra le prime regole da far intendere
e rispettare ai ragazzi che quel che avviene durante le riunioni non deve assolutamente uscire al di fuori di esse. Solo con questa garanzia, solo con una promessa del genere, i membri del club si sentiranno a loro agio nel parlare, nel porre domande e nell’esternare i propri sentimenti. «Ciò che accade in questa stanza, rimane in questa stanza». C’è da sottolineare che non è detto che questi insegnanti siano essi stessi gay o transgender. L’ideologia acceca chiunque, a prescindere dal genere e dall’orientamento sessuale. Per decenni, i gay hanno subito emarginazione e anche persecuzioni a causa dell'idea che se fosse stata loro concessa la piena inclusione nella società, avrebbero “reclutato” i bambini. Ma corsi di formazione per gli insegnanti come questo, organizzato - ripetiamo - dal più grande sindacato degli insegnanti della California, sembrano proprio, perversamente, indirizzato a tale scopo: il reclutamento degli scolari e degli studenti. Ho contattato il distretto scolastico in cui insegnano i professori oggetto delle registrazioni, per un commento. Né il sovrintendente, né la preside della scuola media, né gli stessi docenti interessati hanno risposto alle mie richieste di commento.
La storia di mia figlia non è, purtroppo, una storia rara. La disforia di genere l’incongruenza tra la mente e il corpo - si insinua subdolamente e rapidamente e invade la psiche dei giovani. Mia figlia era una bambina ultrafemminile, sin dalla nascita. Ha voluto dipinta di rosa la sua stanza e si rifiutava di indossare qualsiasi altra cosa tranne che le gonne fino alla terza elementare. Non amava i giocattoli e gli sport del fratello maggiore. La sua attività preferita era infilarsi nel mio armadio e indossare i miei pochi vestiti luccicanti e le mie scarpe con i tacchi. Ha rifiutato di praticare sport a favore dell’arte e del cucito. Tutto è cambiato bruscamente quando ha compiuto 12 anni. Quando il suo corpo è andato sbocciando, ha cominciato ad evitare qualsiasi capo di abbigliamento che mettesse in risalto la sua figura. Nascondeva il seno sotto felpe extra large da uomo. Mi sono ricordata di aver fatto cose simili alla sua età, quindi all’inizio non mi sono preoccupata. Poi, mia figlia ha cominciato ad appassionarsi ai cartoni animati giapponesi (cd. anime da animation, cioè “animazioni” di quei
personaggi chiamati manga) e al cosplay, l’hobby di vestirsi come personaggi fantastici. E io ho sostenuto il suo lato creativo. Non sapevo che quei cartoni e quei giochi implicassero questioni di “genere” e che nella comunità virtuale in cui era entrata mia figlia si trattasse di sesso e di pedofilia. E non sapevo che la comunità cosplay più adulta “coltivasse” i gruppi dei più giovani. Nello stesso periodo, mia figlia seguiva a scuola il Teen Talk, un programma che doveva fornire ai giovani «informazioni accurate su sessualità, salute riproduttiva, immagine del corpo, consapevolezza sull’uso di sostanze, salute mentale, questioni di diversità ed educazione contro la violenza». E da allora mia figlia ha cominciato a introdurre in casa un linguaggio completamente nuovo. Lei e le sue amiche discutevano sulle loro “etichette”: poliamorosa, lesbica, pansessuale… Nessuna delle cinque ragazze che conoscevo ha scelto la definizione “base”, cioè quello che indicava una ragazza eterosessuale. Ha preso le distanze dai suoi vecchi amici e trascorreva tutto il tempo online. Ho controllato il suo telefono, ma non sono stata abbastanza astuta da capire che aveva creato
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Mi odiava, come un tossicodipendente odia la persona che gli impedisce di drogarsi, ma ho tenuto la mia posizione, nonostante i continui insulti verbali. Cosplaiers a un raduno in Finlandia nel 2014. Il cosplay può essere una innocente carnevalata, ma per la protagonista di questa storia è stato il mezzo per veicolare un vero e proprio lavaggio del cervello.
account di social media falsi “appropriati” per me. Una ragazza più grande aveva cominciato a corteggiarla. Ho bandito quella ragazza da casa nostra. Seppi in seguito che l’aveva molestata. Quando era in terza media, come regalo di Natale, l’ho portata a una convention di anime a Sacramento, in California. Lì ha incontrato una ragazza di tre anni più grande di lei, ma anni luce più strutturata, che l’ha letteralmente ipnotizzata con la sua forte personalità nervosa e magnanima. Dopo il loro incontro, mia figlia si è fatta tagliare i capelli, ha smesso di depilarsi e ha chiesto biancheria intima da maschio. Ripeteva a pappagallo tutto ciò diceva la ragazza più grande. Ha iniziato a postare video su TikTok davvero disgustosi. Il suo linguaggio è diventato volgare e ha ridecorato la sua stanza in modo
da farla sembrare una grotta. Si è praticata un piercing sul naso da sola. Ha infranto ogni regola di famiglia. Si stava trasformando in una creatura “emo”, gotica, vampira. Era irriconoscibile. La sua personalità era fatta di rabbia e di maleducazione. Poi ha annunciato di essere transgender e a minacciare il suicidio. È sprofondata in una profonda depressione. Sono riuscita a ottenere tutte le sue password di tutti i suoi account sui social media . Quello che ho visto è stato sbalorditivo. Quasi tutti quelli con cui stava in contatto erano a me sconosciuti, tranne la ragazza incontrata al raduno di Sacramento, che le inviava video pornografici fatti in casa. Mia figlia si interessava di feticismo e si scambiava con gli amici materiale erotico, con immagini di incesto e pedofilia. Le ragazze più grandi insegnavano alle ragazze più giovani come vendere foto di loro stesse nude agli uomini per soldi. Si vantavano delle loro malattie mentali e dei farmaci che prendevano. Ribadivano che erano davvero maschi e non femmine. Discutevano di “chirurgia superiore” (cioè,
Ho lavorato duramente per riprendere il rapporto che mia figlia e io avevamo avuto una volta. Mi sono morsa la lingua fino a farla sanguinare per rispondere alla sua rabbia solo con amore.
rimozione del seno) e di “imbottiture” che creano un rigonfiamento nei pantaloni. I dispositivi elettronici di mia figlia erano pieni di video TikTok e YouTube che spiegavano quanto tutti si sentissero bene ora che erano “trans”. C’erano messaggi in cui le dicevano di prendermi a calci in testa perché ero una “transfobica” per aver rifiutato di chiamarla con un nome maschile. Allora ho reagito in modo forte. Le ho tolto il telefono e l’ho privata di tutti i social media. Ho persino bloccato la sua possibilità di accedere a Internet. Ho cancellato tutti i suoi contatti e cambiato il suo numero di telefono. Mi sedevo accanto a lei mentre “frequentava” la scuola online, tramite Zoom. Ho cancellato YouTube dalla smart Tv e ho bloccato i telecomandi. Ho tolto tutti i libri di anime dalla sua stanza. Ho buttato via tutti i suoi costumi. Ho bandito da casa qualsiasi amico che fosse anche solo un po’ sgradevole. Ho coinvolto la polizia riguardo al porno. Ho stampato la legge vigente e ho informato mia figlia che se qualcuno le avesse inviato del materiale porno, non avrei esitato a denunciarlo. Mi odiava, come un tossicodipendente odia la persona che le impedisce di drogarsi, ma ho tenuto la mia posizione, nonostante i continui insulti verbali. Dopo aver consultato sette professionisti della salute mentale, ne ho trovato uno disposto a esaminare il perché dell’improvvisa identità
trans di mia figlia. Mi sono immersa nella lettura di tutto quello che ho trovato sull’argomento, parlando con altri genitori e altri professionisti. Ho lavorato incessantemente per ricreare il legame che c’era prima tra di noi. Dopo un anno e mezzo di totale inferno, mia figlia sta finalmente tornando al suo vero sé: una ragazza bella, artistica, gentile e amorevole. La nostra famiglia e tutti gli adulti nella vita di mia figlia hanno usato sempre e solo il suo nome di nascita e i pronomi corrispondenti. Non abbiamo permesso la “transizione sociale”, anche se non abbiamo potuto ottenere aiuto dalla scuola: incredibilmente, la scuola cattolica locale si è rifiutata di accogliere le nostre richieste.
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Come ho detto in precedenza, abbiamo staccato la spina da tutti i social media e impedito i suoi contatti con chiunque non fosse una persona affidabile. Ho costretto mia figlia ad ascoltare podcast specifici sull’argomento mentre la accompagnavo a scuola. Ho stampato storie di detransitioner (donne pentite di aver tentato di “cambiare sesso”) e le ho lasciate per tutta la casa. Ho lasciato tutto il materiale che avevo in bella vista, tra cui Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Daughters di Abigail Shrier , Gender Dysphoria: A Therapeutic Model for Working with Children, Adolescents, and Young Adults di Susan Evans. Ho seguito i consigli di Parents for Ethical Care e del libro Desist, Detrans & Detox: Getting Your Child Out of the Gender Cult” di Maria Keffler .
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Ho lavorato duramente per riprendere il rapporto che mia figlia e io avevamo avuto una volta. Mi sono morsa la lingua fino a farla sanguinare per rispondere alla sua rabbia solo con amore. E quando proprio non ce la facevo, me ne andavo. Ho smesso di guardarla come se fosse vittima di un mostro. Le ho fatto sapere che non avrei mai smesso di lottare per lei. L’ho costellata di domande che dimostravano l’illogicità dell’ideologia di genere. Ma la cosa più importante è che ho mantenuto la mia posizione. Mi sono rifiutata di accettare la sua illusione per compassione. So che devo continuare a essere vigile e tenace poiché l’ideologia di genere si è insinuata in ogni aspetto della nostra vita. Ma per ora posso tirare un sospiro di sollievo.
Giocattoli pericolosi. Molto pericolosi Sara Pongiluppi
Apprezziamo il contributo di una coach con certificato internazionale, specializzata in diversità culturale e igiene digitale, e da molti anni attivista per la protezione dei bambini online. Bambini che possiedono “un giocattolo” che abbiamo messo loro in tasca senza porci troppe domande: lo smartphone. Vi siete mai interrogati sul perché nell’ultimo decennio è aumentato il numero di bambini e adolescenti depressi, ansiosi, incapaci di concentrarsi, e con scarse capacità relazionali? E sulla passione dei minori per movimenti ideologici tipo Lgbtq con annessa crisi di identità sessuale? E sull’aumento esponenziale del bullismo online, di atti di violenza e autolesionismo e persino suicidi tra gli adolescenti? Questi fenomeni coinvolgono i minori che possiedono “un giocattolo” che abbiamo messo loro in tasca senza porci troppe domande: lo smartphone. Questo dispositivo onnipresente nelle vite di milioni di minori ha dato loro un accesso illimitato a un mondo di una ricchezza e un varietà strabiliante, ma allo stesso tempo ha anche dato un accesso illimitato, senza supervisione, ad un mondo da adulti e ad entità commerciali, un
accesso impensabile nel mondo reale, che quindi è stato sfruttato senza pietà. Se non è bastato il documentario Social Dilemma uscito nell’autunno del 2020 a svegliarci dallo stato di “trance” in cui ci hanno intrappolato i social, oggi sono le dichiarazioni di una ex dipendente di Facebook a invitarci a farlo. Con una certa urgenza. Il 2021 non era iniziato bene per la popolazione dei bambini online. Il 22 gennaio La piccola Antonella di 10 anni veniva trovata morta soffocata dopo una sfida assurda su TikTok. La procura aveva ipotizzato il reato di istigazione al suicidio. Al tragico evento avevano reagito con indignazione numerosi parlamentari tra cui la sottosegretaria alla salute, Sandra Zampa, che aveva giustamente fatto notare quanto non avesse senso imporre una patente per guidare un’auto e lasciare senza regole l’utilizzo di cellulari «più
Nell’ultimo decennio è aumentato il numero di bambini e adolescenti depressi, ansiosi, incapaci di concentrarsi, e con scarse capacità relazionali.
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potenti e pericolosi». L’on. Zampa aveva anche chiesto di convocare con urgenza un tavolo, e che fossero coinvolti la garante nazionale dell’infanzia, il garante della privacy, l’autorità delle telecomunicazioni, i pediatri, i neuropsichiatri, gli psicologi, i genitori, gli insegnanti, la polizia postale e le aziende tecnologiche. Pochi mesi dopo, un gruppo di ex M5S, presentò persino una proposta di legge per vietare smartphone e tablet ai bambini con un’età inferiore a 12 anni. Poi è calato un silenzio assordante sulla questione. Il famoso sociologo Edgar Morin direbbe: «A forza di sacrificare l’essenziale per l’emergenza, si finisce per dimenticare l’urgenza dell’essenziale». L’allarme lanciato dall’ex dipendente di Facebook, Frances Haugen, che sembra essere caduto nel vuoto in Italia, è stato preso invece molto sul serio dai senatori americani e dal parlamento inglese, ma anche dal parlamento
europeo, francese e portoghese che hanno dedicato ore di audizioni in materia, messe a disposizione del pubblico su Youtube. Ma cosa ha raccontato di così importante la Haugen? Questa giovane data-scientist ha coraggiosamente raccolto e fatto fuoriuscire migliaia di documenti che descrivono il terrificante modus operandi di Facebook (e dei social in generale), e le conseguenze catastrofiche non solo per la salute fisica e psichica degli utenti, a partire dai più piccoli, ma anche per la stabilità delle nostre democrazie. Dalle migliaia di pagine emerge tutta la malvagità e la bassezza morale diffusa tra i dirigenti del colosso tecnologico, a partire dal capo. Il risultato è un sistema, che permette di “telecomandarci” ad arte per massimizzare i profitti. Un sistema fatto di “interazioni” che amplificano la divisione, l’estremismo e la polarizzazione e distruggono il tessuto sociale delle nostre comunità. In
Il 22 gennaio 2021 Antonella, 10 anni, veniva trovata morta soffocata dopo una sfida assurda su TikTok.
alcuni casi, questa pericolosa dinamica online porta ad atti di violenza che danneggiano e persino uccidono le persone. In altri casi, tali meccanismi istigano atti di autolesionismo e fanno sviluppare odio per se stessi, specialmente per le categorie vulnerabili, come le ragazze adolescenti. L’allarme della Haugen è stato chiaro: «Siamo di fronte a una crisi globale e se i legislatori non interverranno in fretta con una rigida regolamentazione delle piattaforme social e con una sua rigorosa applicazione, in futuro vedremo le tragedie moltiplicarsi». Giustamente il senatore Richard Blumenthal, a capo della commissione Proteggere i bambini online: Facebook, Instagram e i danni alla salute mentale, durante un’ audizione con la responsabile della sicurezza globale di Facebook, Antigone Davis, ha chiesto, senza nascondere una certa collera e indignazione: «Come possiamo ancora avere fiducia in voi?». Il problema è ancor più urgente nei Paesi non anglofoni, come per esempio l’Italia, dove viene mantenuta una «versione grezza e pericolosa di Facebook» in quanto le piattaforme non investono nella moderazione dei post in lingue diverse dall’inglese. Sorge spontanea una domanda: ma se lo smartphone si è rivelato un “giocattolo tossico” concepito per nuocere alla salute fisica e psichica dei minori, perché non è possibile procedere come si fa di norma e cioè ritirando il prodotto e arrestando i responsabili? Il problema è più complesso, perché le leggi degli Stati non sono state aggiornate per far fronte alla degenerazione di una tecnologia così potente. Sotto la lente dei legislatori americani vi è la madre di tutte le disgrazie: un comma della sezione 230 di una legge americana. È una legge del 1996 che offre uno scudo legale senza precedenti, poichè sancisce che le piattaforme non sono responsabili di ciò che viene pubblicato dagli utenti. Non solo: dà anche alle società che le gestiscono ampia discrezione nel modo in cui moderano i post e gli altri contenuti. In pratica, una vera e propria esenzione dal dovere di rendere conto delle proprie azioni
«Scopri cosa si nasconde dall’altra parte dello schermo: twittiamo, ci piace e condividiamo, ma quali sono le conseguenze della nostra crescente dipendenza dai social media?» Il docu-film The Social Dilemma «rivela come i social media stiano riprogrammando la civiltà. Esperti di tecnologia lanciano l’allarme sulle loro stesse creazioni». Visitate il sito www. thesocialdilemma.com/it/
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e delle loro conseguenze, senza alcuna trasparenza. Inevitabilmente, da questo è scaturito il diritto a mentire agli utenti. Come emerge nei documenti interni di Face Book presentati dalla Haugen. Oggi di fronte allo stato di disordine che regna nelle nostre società, appare evidente che esonerare da tutte le responsabilità e dall’obbligo di trasparenza le piattaforme tecnologiche non sia stata una grande idea. Era del tutto prevedibile che un tale scudo legale dato ai fornitori di un prodotto che bypassa la consapevolezza, crea iperdipendenza, permette di sfruttare tutte le debolezze del cervello, e soprattutto garantisce un accesso illimitato ai bambini, avrebbe attirato, in poco tempo, ogni sorta di malintenzionato. Così è stato.
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Del resto chi sono i “clienti” ai quali viene estesa l’assenza di responsabilità e l’assenza di trasparenza che la Sezione 230 ha attribuito alle piattaforme tecnologiche? Chi avrebbe un interesse a inculcare messaggi molto “trasformanti” delle fragili menti dei bambini? La lobby Lgbtq che desidera ampliare il suo movimento, da Facebook potrebbe comprare indisturbata i dati di milioni di bambini più suscettibili ai suoi messaggi, per esempio bambini che hanno subito traumi. Oppure l’industria del porno che desidera accedere ai bambini e normalizzare la fruizione di materiale pornografico. La tecnologia lo permette. L’assenza di leggi lo permette. La nostra ignoranza e credulità lo permette. Ma diceva Ayn Rand: «Si può ignorare la realtà, ma non si possono ignorare le conseguenze
Ha senso imporre una patente per guidare un’auto e lasciare senza regole l’utilizzo di cellulari «più potenti e pericolosi»?
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«A forza di sacrificare l’essenziale per l’emergenza, si finisce per dimenticare l’urgenza dell’essenziale» (Edgar Morin) dell’ignorare la realtà”. E quali sono le conseguenze della realtà che ignoriamo? Possiamo rimanere immobili di fronte alle prove che questa tecnologia ci manipola per renderci peggiori perché il sistema di incentivi per aumentare il tempo sullo schermo è programmato così? Possiamo restare indifferenti sapendo che Instagram ha portato tanti adolescenti al suicidio, a commettere atti di autolesionismo, a sviluppare malattie mentali? Cosa impedisce ai Parlamenti, considerata “la crisi globale” e le conseguenze devastanti per generazioni intere, di intervenire con la stessa efficacia con cui si è intervenuti per combattere la crisi del covid? Ha detto la baronessa Beeba Kidron, membro del parlamento inglese, durante un’audizione al senato americano: «Non accettiamo questa manipolazione dei bambini in nessun altro posto, non dobbiamo accettarla neanche online. Il motivo per cui genitori, insegnanti, e bambini si sentono sopraffatti è che questo non è un problema che genitori, insegnanti o bambini possono risolvere da soli. Un
sistema disegnato per estrarre ogni grammo di attenzione del bambino, che li espone a un pubblico infinito e li incoraggia a perdersi nello specchio dell’ansia, non è sano. Il settore della tecnologia ha la capacità di alzare i propri standard e di restituire l’infanzia ai bambini, ma è compito del legislatore di insistere su quale deve essere lo standard minimo sotto il quale esse non possono andare». Secondo Protect Young Eyes, un’associazione di genitori americani che da anni si batte per fare regolamentare le piattaforme ed oggi è consulente del Congresso americano, è ormai tempo di rovesciare la piramide della responsabilità e di esigere una tecnologia che sia automaticamente calibrata per proteggere il bambino. È indispensabile introdurre la responsabilità e il dovere di trasparenza delle piattaforme, una regolamentazione rigida applicata con rigore che ricostruisca tutti gli strati di protezione che la nostra evoluzione ha permesso di predisporre intorno al bambino, con la collaborazione di genitori e scuola nell’educazione digitale del bambino. La pressione delle associazioni dei genitori indignati dalle bugie dei social e i danni procurati ai loro bambini in America e in Inghilterra ha spinto gli eletti a dare la massima priorità a questa problematica urgente. Il senatore americano Markey ha detto: «Non possiamo aspettare, questa è una crisi e dobbiamo agire». Adesso sappiamo che i social sono dei baby sitter da film horror, e sono un potente canale di “indottrinamento” fuori dal controllo dello Stato, non possiamo più ignorare «l’urgenza dell’essenziale» e dobbiamo chiedere al Parlamento di intervenire con determinazione per invertire la piramide della responsabilità. Prima di tutto, indigniamoci. È tempo di rovesciare la piramide delle responsabilità
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Bibbiano e dintorni
Il Parlamento è intervenuto approvando una riformulazione dell’articolo 403 del Codice civile che disciplina l’Intervento della pubblica autorità a favore dei minori. Sono state riscritte le condizioni necessarie per eseguire un allontanamento: non è più un provvedimento amministrativo fatto dal sindaco per conto dei servizi sociali, ma è un provvedimento giudiziario.
Clemente Sparaco
Affidi, case famiglia, assistenti sociali, psicoterapeuti e bambini… La questione degli affidi di minori ha guadagnato grande attenzione mediatica per via dell’inchiesta “Angeli e Demoni” sui fatti di Bibbiano. Bibbiano ha infatti evidenziato un sistema: quello dell’accoglienza di bambini e ragazzi in difficoltà, in cui possono insinuarsi interessi privatistici, favoritismi e giochi politici, fra servizi sociali, cooperative e consulenze psicologiche. Ma i drammi e le tragedie che si consumano ai danni dei minori fuori famiglia sono tanti. Spesso nascosti, forse ignorati, altre volte strumentalizzati, essi li vedono in balia dei desideri degli adulti, dei loro vizi e dei loro soprusi. Bibbiano Avviata nell’estate del 2018, in seguito all’aumento notevole di segnalazioni di abusi sessuali su minori, specie a carico del Servizio sociale dell’Unione dei comuni della Val D’Enza, essa si concentrò sui metodi utilizzati per verificare gli affidi. La Procura di Reggio Emilia accertò, grazie
a intercettazioni ambientali della polizia giudiziaria, che nelle sedute di psicoterapia i minori erano suggestionati, tanto da essere indotti ad accusare i genitori di molestie sessuali. Ipotizzò che fosse stato messo in atto un meccanismo che, attraverso l’intervento dei servizi sociali e della onlus Hansel e Gretel, portasse all’allontanamento ingiustificato dei bambini dalle loro famiglie. Il Giudice per le indagini preliminari evidenziò «un copione quasi sempre uguale a se stesso» con provvedimenti di allontanamento d’urgenza, segnalazioni alla Procura della Repubblica di Reggio Emilia e al Tribunale per i minori e relazioni che rappresentavano i fatti in modo tendenzioso oppure omettevano circostanze rilevanti. Disegni innocenti erano falsificati con aggiunta di dettagli a carattere sessuale; normali abitazioni erano descritte come fatiscenti; stati emotivi dei piccoli erano caricati nelle relazioni in modo funzionale all’obiettivo prefissato (di allontanarli dalla famiglia); elaborazioni o sintesi degli assistenti sociali erano riportate come frasi pronunciate
Un altro caso affine è balzato agli onori della cronaca nell’anno: quello della cooperativa Serinper di Massa.
dai bambini. Particolare non secondario è che le sedute erano pagate circa 135 euro, «a fronte della media di 60-70 euro e nonostante il fatto che l’Asl potesse farsi carico gratuitamente del servizio». Il 26 giugno 2019, 16 persone, tra amministratori, assistenti sociali e psicoterapeuti furono oggetto di misure cautelari, e 24 in totale finirono nel registro degli indagati. Lo stesso sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, andò ai domiciliari per abuso d’ufficio e falso, per aver disposto «lo stabile insediamento di tre terapeuti privati della onlus Hansel e Gretel nei locali della struttura pubblica La Cura, della cui istituzione si era personalmente occupato anche attraverso pubblici convegni in cui era relatore e ai quali venivano invitati a partecipare (retribuiti) gli operatori».
Il processo ha concluso l’11 novembre la fase del rito abbreviato chiesto da due imputati, lo psicoterapeuta Claudio Foti, condannato a quattro anni per lesioni gravissime e abuso d’ufficio (l’accusa ne aveva chiesti sei), e l’assistente sociale Beatrice Benati, che è stata assolta. Altre 17 persone sono state rinviate a giudizio, tra cui il sindaco, prosciolto dalle accuse di falso ma non per abuso d’ufficio. Per questi il processo seguirà il rito ordinario. Tutti i bambini coinvolti sono tornati alle loro famiglie, come notificato già nella quinta udienza preliminare del 25 febbraio. Contestualmente il pubblico ministero, Valentina Salvi, così si espresse: «Il ritorno a casa di tutti i minori di Bibbiano è il risultato dello stravolgimento delle valutazioni dei loro genitori, effettuate negli anni dai servizi sociali della Val d’Enza».
Lo psicoterapeuta Claudio Foti, condannato a quattro anni per lesioni gravissime e abuso d’ufficio (l’accusa ne aveva chiesto sei).
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…dintorni Un altro caso affine è balzato agli onori della cronaca nell’anno: quello della cooperativa Serinper di Massa, cui afferiscono 13 strutture di accoglienza della zona, deputate ad ospitare bimbi, ragazzi e madri in forti difficoltà familiari, sanitarie, psicologiche ed economiche. Undici richieste di rinvio a giudizio sono state presentate dalla Procura, ipotizzando corruzione, traffico di influenze illecite e maltrattamenti. L’inchiesta, emersa ai primi del dicembre 2020, ha interessato alcuni dirigenti della cooperativa che sono stati posti agli arresti domiciliari con l’accusa di aver assunto parenti e amici di politici locali, in cambio di vantaggi economici. Fra questi il sindaco di Villafranca, Filippo Bellesi, la responsabile del
I fatti di “Bibbiano e dintorni” hanno evidenziato un diffuso pregiudizio ideologico nei confronti della famiglia.
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Centro affidi dei servizi sociali del Comune di Massa, Paola Giusti e Rosa Russo, giudice onorario presso il Tribunale per i minori di Firenze all’epoca dei fatti. Corruzione e traffico di influenze illecite sono i reati contestati a vario titolo. Sul merito l’onorevole Bellucci ha promosso l’8 luglio un’interrogazione a risposta scritta al Ministro della Giustizia Cartabia e a quelli della Famiglia, Bonetti, e delle Politiche Sociali, Orlando. Dai verbali, contenenti stralci di intercettazioni (riportate dal quotidiano La Verità del 7 luglio), sono emerse gravi negligenze e inadempienze, tra docce anti-scabbia con prodotti scadenti, cibo insufficiente e mal dato, nonché scarsità di letti, di materiale sanitario e assistenziale. Tutto questo a fronte di rette aggirantesi sui 120 euro al giorno. Secondo l’accusa, sarebbe stato messo in piedi un sistema corruttivo per «la metodica assunzione di parenti e amici di funzionari pubblici, tra cui quelli addetti al controllo del settore», al fine di eludere le ispezioni. Nel frattempo i ricavi balzavano dai 215.000 euro del 2011 a più di 2,7 milioni nel 2017. L’ennesima e ultima udienza preliminare dell’inchiesta (titolata I bambini si difendono) si è tenuta il 18 dicembre, per essere rinviata al 31 marzo 2022.
Ma non basta… perché, solo guardando alla cronaca di quest’ultimo anno, abbiamo altri casi. Uno, che ha analogie con la vicenda giudiziaria di Bibbiano (come riportato da Luca Marcolivio sul sito di Provita & Famiglia il 3 dicembre), ha coinvolto a Torino due minori di origine nigeriana (fratellino e sorellina) sottratti ai genitori per essere affidati ad una coppia di donne. Secondo l’accusa della Procura, essi avrebbero subito gravi maltrattamenti fisici e psicologici da parte della coppia omosessuale affidataria. Sotto indagine, oltre alla coppia, la dottoressa Bolognini, ex moglie di Foti, lo psicoterapeuta di Bibbiano. Le sue relazioni sarebbero state stilate a seguito di sedute psicoterapeutiche nelle quali si sarebbero ventilati abusi sessuali da parte del padre biologico al fine di dichiarare l’adottabilità dei minori. Infine, un altro caso riguardante due fratellini di 5 e 3 anni è stato riportato da QdS.it del 29 agosto. I minori, dopo che era stata tolta la genitorialità sia al padre che alla mamma, in seguito ad una separazione conflittuale, erano stati affidati ai nonni, presso i quali avevano vissuto per due anni e mezzo. Quindi, per decreto del Tribunale per i Minorenni è stata disposta la ricollocazione presso una
casa famiglia con la madre, su cui continuava a pendere un procedimento penale per maltrattamento di minori (come si legge nella nota del legale della famiglia). I piccoli allora hanno dovuto lasciare la loro casa e la loro scuola ed è stato disposto che potessero rivedere i nonni solo 1 ora e mezza a settimana. Interrogativi Il 14 dicembre il Parlamento è intervenuto approvando una riformulazione dell’articolo 403 del Codice civile che disciplina l’intervento della pubblica autorità a favore dei minori. Sono state riscritte le condizioni necessarie per eseguire un allontanamento in questi termini: «Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica e vi è dunque emergenza di provvedere». In merito l’onorevole Simone Pillon, vicepresidente della Commissione parlamentare Infanzia e adolescenza, rispondendo a La Nuova Bussola Quotidiana del 17 dicembre, ha dichiarato: «Era necessario intervenire
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perché l’allontanamento non fosse più un provvedimento amministrativo fatto dal sindaco per conto dei servizi sociali, ma farlo gravare sotto un provvedimento giudiziario». Stabilendo che sia il giudice a decidere, anziché i servizi sociali, e in contraddittorio con le parti, secondo Pillon, il rischio dell’arbitrarietà e dello strapotere dei servizi sociali sarebbe allontanato. Inoltre il provvedimento di allontanamento deve ora essere motivato dal giudice e può essere rivisto su istanza di parte in qualunque momento, cosa che prima non era possibile in quanto si trattava di un provvedimento amministrativo. Resta il fatto che Bibbiano ha evidenziato un diffuso pregiudizio ideologico nei confronti della famiglia. Lo stesso “strapotere” degli assistenti sociali, culminato nel caso di Bibbiano, non ne è, in fondo, che un riflesso. Esso è il portato di un attacco sistematico che si protrae nel nostro Paese dall’epoca della campagna per il divorzio e che ha avuto come suoi effetti
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collaterali la relativizzazione della famiglia naturale e la sua tentata assimilazione ad altre forme di unioni. Anziché sostenuta nelle sue incombenze, sempre più complicate, la famiglia è giudicata, come nei regimi totalitari, inadeguata al compito educativo e subordinata allo stato nelle sue varie diramazioni burocratiche: servizi sociali, istituzioni sul territorio, psicoterapeuti incaricati etc. Ma quando è attaccata la famiglia chi si trova a subirne le conseguenze sono i minori. Il potere degli adulti su di loro si fa indiscriminato: i bambini non solo sono esposti alle loro fluttuazioni sentimentali, ma sono anche strappati agli affetti (mamma e papà); e c’è chi pretende di falsificarne la filiazione per soddisfare le proprie volizioni, le proprie ideologie e anche i propri vizi. A fronte di tutto questo si evidenzia la miseria morale di una presunta civiltà con le sue ordinarie crudeltà perpetrate ai danni dei più deboli: gli embrioni, i nascituri, i bambini.
Il procurato aborto e la pedofilia come riti satanici Luciano Leone
Gli intrecci tra sette più o meno sataniche, più o meno occulte e il potere (politico, economico, mediatico) risalgono a tempi immemorabili, attraversano l’intera storia di questo «atomo opaco del male». Le testimonianze delle abortiste pentite (Pro Vita & Famiglia n.103, gennaio 2022) sono tutte molto significative, poiché attestano (a) la paurosa ignoranza che grava riguardo al concepimento di un bambino; (b) lo stravolgimento psichico indotto dalla propaganda abortista mascherata da libertà di scelta pro choice; (c) il fatto che non soltanto i piccoli vengono assassinati, bensì che anche le madri mancate patiscono gravi conseguenze. Un buon venditore dev’essere ben convinto per piazzare la sua merce. Notate come Joan Appleton riferisce la sua capacità di persuadere le madri ad abortire violandone le naturali difese: «Se era giusto, perché era così difficile? Consigliavo le donne così bene, erano così sicure della loro decisione, quindi perché ritornavano mesi o anni dopo, ridotte a relitti psicologici? Noi tutti negavamo che esistesse qualcosa di simile alla sindrome post aborto. Eppure, le donne ritornavano, ridotte malissimo». Sono tuttavia affermazioni pressoché scontate per chi non voglia chiudere gli occhi su queste drammatiche realtà. Ma veramente particolare è la testimonianza di Judith Feltrow: «Le
donne che lavorano per la Planned Parenthood sono donne devote ai diritti delle donne e quindi all’aborto. Devote in modo totale, quasi religioso. La clinica era la nostra chiesa, l’aborto era il sacramento, i bambini erano il sacrificio. Nella clinica eravamo adoratori dei diritti delle donne e della loro libertà riproduttiva. Il nostro credo era: “Non ci sono conseguenze, non c’è peccato. L’aborto libera le donne”». Si tratta di parole estremamente significative se confrontate con il ricorso che una setta satanista statunitense Satanic Temple TST (Tempio di Satana) ha presentato alla Corte Suprema Usa avverso alla legge del Texas che proibisce il procurato aborto in presenza di battito cardiaco fetale (Fetal heartbeat abortion ban). Jane Essex, una portavoce per i diritti riproduttivi (sic) del TST, ha dichiarato che
«La clinica era la nostra chiesa, l’aborto era il sacramento, i bambini erano il sacrificio».
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BIBLIOGRAFIA: Benedetta Frigerio, Pedofilia: Un culto satanico diffuso nei centri di potere, La nuova bussola quotidiana 10.07.2020 Boni Castellane, Satanisti alleati dei liberal. L’aborto legale ci serve per i sacrifici al Diavolo, La Verità 10.09.2021 Davide Rossi, La Fabian Society e la pandemia. Come si arriva alla dittatura, Macro Edizioni, Cesena 2021 una delle tante manifestazioni pro aborto del Tempio di Satana
Marco Respinti, Hillary: un lato oscuro “luciferino”, Il Timone a.18 n.155 luglioagosto 2016 Maurizio Blondet, Metà dei satanisti Usa si identificano come Lgbtq, 10.10.2021; La lettura nella Messa di sabato, che non abbiamo sentito, 14.03.2020; Un culto di lucifero nell’alta finanza.29.04.2017 Carlo Franza, Affresco omoerotico nella Cattedrale di Terni, un obbrobrio artistico e teologico dell’argentino Ricardo Cinalli, eseguito per volere dell’Arcivescovo Vincenzo Paglia, Il Giornale ,08.02.2018 Quirinus, Consacrazione dell’Italia al “cuore immondo di Satana”, SìSìNoNo a.47 n.17 15.10.2021 Redazione, Pedofilia e mondialismo, La Tradizione Cattolica, n.45, 2000, p.33 e Giuseppe Cosco, Orrori sui bambini e nuovo ordine mondiale, La Tradizione Cattolica, n.46, 2001, p.42, riportano fatti e testimonianze terrificanti con numerose indicazioni bibliografiche, tra le quali persino L’Unità, 09.08.1990 «l’aborto è un rituale per i membri del tempio satanico» e ha paragonato il procurato aborto di un bambino ai Sacramenti cristiani: «Molti Stati hanno leggi che interferiscono con la libertà dei nostri membri di praticare le loro credenze religiose. Nessun Cristiano accetterebbe un periodo di attesa obbligatorio prima di poter
La copertina del Lp dei Beatles su cui, secondo personaggio da sinistra della prima fila in alto, appare il satanista Aleister Crowley
prendere parte alla Comunione, o tollererebbe una legge che insista che la consulenza dello Stato sia necessaria prima che qualcuno possa essere battezzato. I nostri membri hanno giustamente diritto alla libertà religiosa per poter praticare anche i nostri rituali». Nel suo sito web il Tempio di Satana afferma che «il rituale dell’aborto satanico fornisce conforto spirituale e afferma l’autonomia corporea, l’autostima e la libertà da forze coercitive». TST si appella quindi al primo emendamento, che garantisce la libertà religiosa. Ammette dunque platealmente che il procurato aborto è un sacrificio umano, non diverso da quelli praticati dai Cartaginesi per l’idolo Moloch e dagli Aztechi. In una intervista Lucien Greaves, uno dei fondatori di TST, ha inoltre dichiarato: «Sarebbe una stima prudente affermare che oltre il 50% dei nostri membri è Lgbtq». Per Faxneld, docente svedese di storia delle religioni e dell’esoterismo occidentale, nel 2017 ha pubblicato Satanic Feminism: Lucifer as the Liberator of Woman in Nineteenth-Century Culture (Femminismo satanico: Lucifero come liberatore della donna nella cultura del XIX secolo), in cui rileva che per le femministe, in rapporto con la Teosofia, Satana rappresentava un alleato nella lotta contro la tirannia del patriarcato, sostenuta
da Dio Padre e dai suoi sacerdoti maschi. Un comitato di ventisei femministe, a partire dal 1895 redigeva The Woman’s Bible (La Bibbia della donna). A New York nel 1875 Helena Petrovna Blavatsky fondava la Società Teosofica, della quale nel 1891 assumeva la successione Annie Besant, membro della Fabian Society e della massoneria, una dolce fanciulla la quale, sulla scorta di Malthus (1766-1834), sosteneva che per ridurre la povertà si deve incrementare la mortalità. Nel 1922 Alice Bailey (1880-1949), discepola delle suddette, fondava il Lucifer Trust, che con nome modicamente edulcorato in Lucis Trust ha sedi a Londra, a Ginevra, e a New York, dove attraverso la sua filiazione World Goodwill (Buona Volontà Mondiale) intrattiene rapporti con la direzione generale dell’ONU. Della Fabian Society è illustre membro Roberto Speranza, il
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ministro divulgatore della RU 486 a domicilio. Come scrive Vania Russo sul suo blog (“Per Faxneld: la contro mitologia femminista ed il Satana liberatore”, 08.03.2021), le opere artistiche e letterarie delle femministe rappresentano «strumenti per rendere accessibili nuovi codici interpretativi, proponendo decodificazioni culturalmente sovversive e rivoluzionarie, allo scopo di modificare la percezione della realtà per favorire la destrutturazione dei valori patriarcali a beneficio di un nuovo assetto sociale, lontano dal primato cristiano e incentrato sul concetto di “liberazione satanica”». Gli intrecci tra sette più o meno occulte e potere risalgono a tempi immemorabili, attraversano l’intera storia, mascherandosi spesso come gnosi e sapere iniziatico, e giungono sino ai nostri giorni. Contaminano l’arte e, per esemplificare, il mondo della canzone: nel 1960 i Beatles scelgono di denominarsi con un nome che condivide la radice del verbo to beat: colpire, picchiare, ma ha assonanza con beetle: scarafaggio, e nel 1967 si fanno fotografare sulla copertina di un loro album col satanista Aleister Crowley, «per il quale nutrono una particolare ammirazione» (sic). Al momento della strage perpetrata da attentatori islamici al Bataclan di Parigi il 13.11.2015 gli Eagles of Death Metal stavano intonando l’allegro motivetto Kiss the devil (Bacia il diavolo), che dice: « I meet the devil and this is his song» (incontro il diavolo e questa è la sua canzone). Dal palco del Festival della Canzone Italiana 2019 a Sanremo Virginia Raffaele invoca cinque volte Satana. Ma il satanismo infiltra e dirige ampiamente la politica e la gerarchia religiosa. Hillary Clinton compie la
Le opere artistiche e letterarie delle femministe rappresentano «strumenti per rendere accessibili nuovi codici interpretativi, proponendo decodificazioni culturalmente sovversive e rivoluzionarie, allo scopo di modificare la percezione della realtà per favorire la destrutturazione dei valori patriarcali a beneficio di un nuovo assetto sociale, lontano dal primato cristiano e incentrato sul concetto di “liberazione satanica”»
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sua formazione con Saul David Alinsky (19091972), profeta della controcultura negli USA ed autore di Rules for radicals (Regole per i radicali), che dedica «al primo dei radicali, a colui che si ribellò al sistema: a Lucifero». Nel 2016 la inaugurazione della galleria del San Gottardo viene celebrata alla presenza di Merkel, Hollande e Renzi con una allucinante cerimonia esoterica del costo di appena nove milioni di franchi svizzeri. Culti luciferini vengono denunciati a carico dell’alta finanza; l’attuale presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde adorna i suoi vestiti con spille a simboli satanici: il 666 e il bafometto. Nel 2018 nella cattedrale di Terni, su commissione dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, Ricardo Cinalli, militante Lgbt argentino, ha dipinto un affresco blasfemo omoerotico. Nel 2019 nella cattedrale stessa di San Pietro in Roma è stato insediato ed incensato l’idolo di pachamama, mentre nel Colosseo, bagnato dal sangue di tanti martiri cristiani e come tale consacrato dai romani Pontefici, veniva introdotta una statua del citato Moloch. Il satanismo si alimenta con i sacrifici umani non soltanto per mezzo del procurato aborto, ma anche per mezzo di torture, stupri ed assassini rituali di bambini piccoli o di adolescenti. Proprio a Bruxelles, nel cuore dell’Unione Europea, agiva, praticamente indisturbato sino al 1996 nonostante segnalazioni di onesti cittadini alle autorità, il ricchissimo elettricista disoccupato Marc Dutroux. A quali pedofili e satanisti di altissimo rango procurava vittime innocenti in cambio di lauti compensi? Nell’inchiesta comparve il nome Papa Leone XIII Pecci (1810-Papa 1878-1903) anche di Elio Di Rupo, omosessuale dichiarato, redasse questa preghiera a San Michele Arcangelo, con che fu primo ministro belga nel 2011-2014. Ma carattere di esorcismo, in seguito ad una drammatica crimini analoghi (torture, stupri, assassini rituali) visione avuta il 13 ottobre 1884: la terribile battaglia sono documentati e vengono adeguatamente combattuta fra la Chiesa e Satana. «Sancte Michael nascosti a Londra e a Washington in ambienti Archangele, defende nos in proelio. Contra nequitiam prossimi alla Casa Bianca. L’accanimento contro et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, queste povere vittime va oltre l’aberrazione supplices deprecamur. Tuque Princeps militiae caelestis, sessuale, è inteso a profanare l’innocenza così Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem come vogliono Satana e i suoi adepti, che animarum pervagantur in mundo, divina virtute in dispensano alte cariche ed alti favori in politica. infernum detrude» (San Michele Arcangelo, difendici in Per chi è in grado di recepire e di penetrare certi battaglia. Contro la malvagità e le insidie del diavolo sii segreti, non si tratta di circostanze occasionali. nostra difesa. Lo respinga Iddio, supplici preghiamo. E Ma soprattutto è più che mai necessario fare tu, Principe della milizia celeste, Satana e gli altri spiriti appello all’intercessione di Nostra Signora e maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle all’intervento di San Michele Arcangelo. anime, con la potenza di Dio ricaccia nell’inferno).
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In cineteca
febbraio 2022
Uomo, donna, famiglia e gender Origini, ragioni e orizzonti Nel nostro Paese, in modo non dichiarato ma molto attivo, è in atto da diversi anni un progetto di un confronto cruciale.
The Renegade Titolo originale: Black 47 Regia: Lance Daly Genere: drammatico Produzione: Irlanda, Lussemburgo, Belgio Durata: 96’ Anno: 2018 Martin Feeney è un irlandese che si arruola nell’esercito britannico. Tutto è men che un “rinnegato” (renegade) come vorrebbe il titolo che abbiamo dato qui in Italia. Feeney torna in Irlanda nel 1847 anno “black”, nero, come dice il titolo originale, perché c’è una tremenda carestia, e i latifondisti inglesi vessano i contadini che non riescono a pagare l’affitto, scoperchiano loro le case, uccido e violentano. Anche la famiglia di Feeney è falcidiata (dalla fame, dal freddo e dagli Inglesi) e lui decide di farsi giustizia da sé: la corona inglese, per cui ha rischiato la vita in guerra, non ha alcuna pietà per i suoi connazionali, considerati alla stregua di una razza inferiore: bestie da far lavorare, da convertire al protestantesimo in cambio di un tozzo di pane, da addomesticare come fossero animali. Rino Cammilleri nota un triste parallelismo tra gli abusi subiti dagli Irlandesi, e quelli subiti dagli abitanti dell’Italia meridionale durante il Risorgimento. Osserva però che i pochi film che mostrano questo lato oscuro della “conquista” piemontese si premurano di dividere equamente ragioni e torti, salvando, alla fine, la narrazione tradizionale. In The Renegade, invece, i cattivi sono solo
In biblioteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Roberto Marchesini La Nuova Bussola Quotidiana
gli Inglesi senza se e senza ma. Ed è la pura verità, dimostrata anche dal fatto che gli Irlandesi (come i nostri meridionali) ai tempi sono stati costretti in massa ad emigrare: gli Inglesi, con la grande carestia, durata fino al 1852, in meno di cinque anni ridussero di un quarto della popolazione dell’isola, con un milione di morti per fame e febbre e altrettanti imbarcati per l’America. Dice Cammilleri che i nostri meridionali «devono continuare ad applaudire una forma statale che per loro è stata solo una camicia di forza. Gli Irlandesi sono riusciti a sfilarsi la loro perché non hanno mai dimenticato di averla». Comunque, questo film, come documento storico, merita d’esser visto. Al netto della violenza - alla quale siamo assuefatti, purtroppo - che non lo rende adatto ai ragazzini.
Il dio mercato, la Chiesa e l’anticristo Antonio Socci Rizzoli
di familiarizzazione e di legittimazione di quella che viene comunemente chiamata teoria “gender”. Ovvero una concezione dell’uomo letteralmente stravolta, secondo cui essere uomo o donna, maschio o femmina, non è qualcosa di innato bensì qualcosa che ciascuno ha il diritto-dovere di scegliere soggettivamente e indipendentemente dalle specificità fisiche e psichiche che lo caratterizzano. Da dove nasce questa ideologia? Perché sta trovando terreno fertile nel nostro Paese, grazie anche al favore del Governo italiano ed europeo? Come mai prende di mira soprattutto i giovani e i bambini, penetrando nel sistema scolastico? E quali sono le conseguenze di questo stravolgimento della realtà per l’individuo e per la società? Nella globalizzazione e nel “mercatismo” c’è la causa dell’attuale crisi economica e una minaccia per le identità nazionali e la libertà? L’Autore ci fa riflettere su questi temi. Del resto, nel 1900 «Il racconto dell’Anticristo» di Vladimir Sergeevič Solov’ëv individuava in un’Europa unita, scristianizzata e nichilista del 2000 la condizione per la venuta dell’Anticristo. L’Unione europea impone una “colonizzazione ideologica” che recide le radici cristiane dell’Europa e avversa la fede, mentre l’apostasia dilaga nella stessa Chiesa cattolica. Ma lo stesso Benedetto XVI ci ricorda che «la storia non è in mano a potenze oscure, al caso o alle sole scelte umane. [...] Sull’irrompere veemente di Satana [...] si eleva il Signore. [...] Egli la conduce sapientemente verso l’alba dei nuovi cieli e della nuova terra».
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