Notizie Pro Vita & Famiglia - n..85_maggio 2020_ La strage continua

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(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)

POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

LA STRAGE CO N T I N UA … ANNO VIII MAGGIO 2020 RIVISTA MENSILE N. 85

P. 32

P. 26

P. 22

Roberto Festa

Silvana De Mari

Luca Marcolivio

Settimana più, settimana meno

Cronache della legge 194

Da dieci anni in Marcia per la Vita


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Come diceva Eraclito: «Chi non crede nell’impossibile non lo realizzerà mai».


maggio 2020

Editoriale

… È vero: la strage continua. Sappiamo bene che chi esulta perché il numero degli aborti diminuisce (comunque sono più di 80.000 l’anno) è poco informato, oppure è in malafede: non tiene conto, per esempio, della diminuzione del numero delle donne e della diminuzione della fertilità; oppure non tiene conto della strage compiuta con la cosiddetta contraccezione di emergenza e con i surrogati della Ru486 che si trovano facilmente anche su internet. Quindi, ora che ricorre l’anniversario della legge 194, dobbiamo cogliere l’occasione per ricordare a tutti che è una legge intrinsecamente iniqua, una non-legge che vorremmo vedere cancellata. Certamente, l’abrogazione, in questo momento storico e politico, è un obiettivo che potrebbe apparire impossibile. Questo non fermerà la nostra azione per la vita (e per la famiglia). Come i pro life negli Stati Uniti, così anche noi dobbiamo avere molta pazienza e intraprendere la politica delle formichine, un passetto alla volta. E in quest’ottica - solo in questa ottica - si può chiedere l’applicazione di quegli articoli della 194 che possono servire alla nostra causa. Noi e voi, cari Lettori, non demordiamo e non ci lasciamo sopraffare dal disfattismo: continuiamo instancabili ad agire sul piano culturale, dell’informazione e della politica per salvare la vita a tanti bambini innocenti, che sono il futuro della nostra civiltà, e alle loro madri, che sono ingannate e manipolate dalla propaganda mortifera da decenni. Come diceva Eraclito: «Chi non crede nell’impossibile non lo realizzerà mai».

Toni Brandi

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Sommario 3

Editoriale

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Lo sapevi che...

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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

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Versi per la vita Silvio Ghielmi

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Chi ama e chi odia le donne p. 36

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maggio 2020

La cultura della vita e della famiglia in azione

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Una notte per far brillare l’umanità

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Famiglia Dialogo attorno ai bambini

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Per esempio Rivit: un’impresa pro vita

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Aborto Da dieci anni in Marcia per la Vita

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Cronache della legge 194 - Rossano Calabro, maggio 2010

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Settimana più, settimana meno

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Chi ama e chi odia le donne

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Mirko Ciminiello

Alba Mustela

Giulia Tanel

Toni Brandi

Luca Marcolivio

Silvana De Mari

Roberto Festa

Rachele Sagramoso

Per Massimiliano Romina Fontana

Quali diritti umani? Chi sono i giudici della Corte Europea dei Diritti Umani? Francesca Romana Poleggi

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Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia

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«Beati i perseguitati a causa della giustizia»

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In cineteca

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Maria José Vilaça

RIVISTA MENSILE N. 85 — Anno VIII Maggio 2020

Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Toni Brandi, Mirko Ciminiello, Silvana De Mari, Roberto Festa, Romina Fontana, Silvio Ghielmi, Luca Marcolivio, Alba Mustela, Francesca Romana Poleggi, Rachele Sagramoso, Giulia Tanel, Maria José Vilaça.

In biblioteca

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Lo sapevi che... Non ti posso uccidere? Sei discriminato Gli psichiatri sono spesso - e dovrebbero esserlo sempre - l’unica salvezza per i pazienti con gravi malattie mentali e istinti suicidi. Ma la legalizzazione dell’eutanasia cambia la mentalità dei medici di 180 gradi perché il “suicidio assistito”, cioè l’eutanasia, diventa assistenza sanitaria cui si ha diritto. Quindi, la Canadian Psychiatric Association ha invitato i legislatori a non “discriminare” i malati di mente, escludendoli dalla possibilità di farsi

Donare il corpo post mortem «Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica»: è il titolo di una recente legge che consente di donare il proprio cadavere alla ricerca. La cosa in sé non sarebbe immorale, se la ricerca persegue fini moralmente validi ed è condotta nel rispetto dovuto alle spoglie mortali degli esseri umani. Però la morte del donatore deve essere accertata ex lege 578/1993, che all’art. 1 dice che «la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo». Ritorna in ballo quindi la questione sulla cosiddetta morte cerebrale, con tutti i dubbi che essa solleva: se il “cadavere” - pur respirando con una macchina - metabolizza l’ossigeno dai polmoni al sangue e il cuore lo pompa in giro per il corpo dove le singole cellule assorbono il glucosio e poi il sangue torna ai polmoni per scaricare l’anidride carbonica, si può dire che sia davvero un cadavere? Inoltre, le neuroscienze più avanzate sollevano forti dubbi nella possibilità di definire “irreversibile” la cessazione dell’attività cerebrale: un cervello inerte non è detto che sia distrutto. Anzi: i cervelli in parte distrutti a volte si rigenerano! Ma questa legge è figlia della stessa cultura eutanasista della legge sulle Dat: se non vale più la pena vivere, meglio morire e il corpo sarà utile alla ricerca. 

ammazzare. I medici che non volessero essere coinvolti nell’uccisione dei loro pazienti dovranno indicare dove e come essi potranno accedere al “servizio”. Provare a dissuadere i pazienti dal morire sarebbe frutto di un “pregiudizio”. È la democrazia, signori: la legge deve essere uguale per tutti? Tutti devono avere gli stessi diritti? E allora sia: anche il diritto alla morte deve essere garantito a tutti! 


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Morte senza confini In Belgio è stato fortemente limitato il diritto di obiezione di coscienza per i medici e per gli altri operatori sanitari che non sono disposti a uccidere i loro pazienti. Tutti saranno costretti a uccidere malati, disabili e sofferenti, ossia saranno obbligati a tradire il giuramento di Ippocrate e l’antico principio dell’arte

medica: «Primum, non nocere», «Anzitutto, non fare del male». Si tratta di una violenza scandalosa; ecco a cosa portano le leggi sull’eutanasia: all’approvazione della disumanità. In nome della “libertà” di morire si calpesta la libertà di non uccidere!

Un albero per ogni bambino non nato Polemiche a Pescara per la decisione del Comune - a guida centrodestra, con il sindaco Carlo Masci - che prevede la piantumazione di un nuovo albero per ogni bambino mai nato, quindi per ogni aborto volontario o spontaneo. Si è sollevata una protesta infuocata da parte di coloro che considerano la misura una sorta di

sfida al mondo femminile o alle leggi dello Stato. Tutta polvere alzata affinché nessuno si azzardi a riconoscere pubblicamente la dignità dei bambini non nati. La cultura della morte ha fatto di tutto per cancellarli e guai a chi osa dare loro una qualsiasi voce.

Come fare un pene all’uncinetto Dietro al transgenderismo, all’omosessualismo e, in genere, alla ipersessualizzazione della nostra società c’è un enorme giro d’affari cui fa comodo la cultura che insegna ai genitori ad assecondare la disforia di genere dei bambini: se la piccina chiede alla mamma di avere anche lei il pisellino nei pantaloni, bisogna senz’altro accontantarla. E così, il business dei sexy toys e delle “attrezzature” fatte per assecondare le fantasie di chi non è soddisfatto dal piacere che trae della “attrezzatura” fornita dalla natura, prospera.

“Attrezzi” in silicone adatti a bambini e ad adolescenti, delle giuste dimensioni e proporzioni, si possono trovare anche su internet, ma sono cose decisamente costose e non vengono passate gratis dal Ssn. Quindi Betany Amborn si premura di offrire peni finti fatti all’uncinetto: li vende contro offerta, non pesano, non si scaldano e non diventano appiccicosi e scomodi. E vengono venduti di tutte le taglie e - se abbiamo ben capito - viene fornito anche il tutorial per imparare a farne da sé. 

Come tutela i diritti umani la Cedu La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato “inammissibili” le domande di due ostetriche svedesi, Ellinor Grimmark e Linda Steen, che avevano chiesto fosse riconosciuto loro il diritto all’obiezione di coscienza all’aborto. La Convenzione europea sui diritti dell’uomo, in base alla quale dovrebbe giudicare la Cedu, all’articolo 9 garantisce la libertà di coscienza e la libertà di religione; ma la Corte ha giudicato prevalente la legge svedese secondo la quale i dipendenti devono svolgere tutti i compiti che affida loro il datore di lavoro. L’articolo 10 della Convenzione garantisce «il diritto alla libertà

di espressione», ma la Corte ha ritenuto che tale diritto non sia stato calpestato, anche se a causa delle loro opinioni pro vita le due donne hanno perduto l’opportunità di lavoro presso i rispettivi ospedali. Infine, l’articolo 14 vieta la discriminazione basata su sesso, razza, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, etc.: la Corte ha ritenuto che la situazione delle ricorrenti e la situazione delle altre ostetriche che accettano di praticare l’aborto fossero situazioni diverse, perciò giustamente le ricorrenti sono state trattate in modo diverso (e licenziate). 


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Cara Redazione, permettetemi un commento su "Una relazione da vivere secondo natura", pubblicato su Notizie Pro Vita & Famiglia del novembre 2019. Giustissimo tutto. Anche i pediatri che seguono troppo le mode del momento incrementano il disorientamento dei giovani genitori. Si potrebbe aggiungere che, tenuto conto della rarefazione della fratria (mono- o bi-figlio), giovani di entrambi i sessi crescono senza aver contatto alcuno con neonati e con bambini. Questo fatto mortifica anche quello che sarebbe l’istinto materno, il quale, seppure innato, procede in larga misura dall’imitazione (imitare è connaturato agli uomini, scriveva Aristotele: «Tò mimésthai symfuton anthròpois»): la figlia vedeva la madre accudire un fratellino e spesso collaborava con lei. Il professor Giorgio Maggioni, che diresse per qualche anno la Clinica pediatrica dell’Università di Ancona e poi il Dipartimento di puericultura in Roma, scrivendo dell’impatto del neonato primogenito sulla giovane coppia, scriveva: «Il marziano è arrivato». Leone


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Versi per la vita PREGHIERA A SAN GIUSEPPE LAVORATORE O caro falegname galileo, tu che salvasti il figlio tuo Gesù, da quegli artigli perfidi di Erode, riguarda, adesso questo mondo reo, corrotto e rassegnato nella frode, sprovvisto di coraggio e di virtù, che ignora lo sterminio dei bambini, chiamato incontestabile diritto. Noi transitiamo in tempi molto duri e stiamo ancora peggio che in Egitto. O caro protettore di Gesù proteggi i nostri bimbi nascituri.

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

La cultura della vita e della famiglia in azione a cura di Mirko Ciminiello

CONVEGNI

Questo spazio è dedicato alle principali attività dei circa 80 circoli di Pro Vita & Famiglia attivi sul territorio, durante gli ultimi mesi. Siamo grati a tutti i volontari che si prodigano per trasformare “la cultura della vita in azione”. Per ovvi motivi di spazio riportiamo solo le iniziative principali: ci duole non poter dar conto di tante attività svolte, spesso seguite dalla stampa locale. Dalla fine di febbraio, per via del Covid-19, abbiamo bloccato le iniziative in corso per concentrarci su una campagna di solidarietà, realizzata insieme a realtà locali (comuni, municipi, parrocchie e associazioni) mediante il sostegno economico e l’aiuto dei nostri volontari.

Bari 13/11, “Questioni di Fine Vita e Obiezione di Coscienza”, con Jacopo e grazie a Manuela Genova 11/12, “I costi del malessere sociale”, grazie a Carlo Trieste 13/12, “La Vita è un mistero”, grazie a Stefano e Paola, seguito il 20/12 dalla proiezione di October Baby al Santuario di Monte Grisa Schio (VI) 14/12, “Eutanasia e espianto organi”, grazie a Pier Luigi Cremona 12/01, “Droga libera o libertà dalla droga?”, grazie al nostro circolo cremonese Bolzano 16/01, 24/01 e 31/01, “La gioia di educare…”, grazie a Serena Correggio (FE) 16/01, “Cattolici in politica: quali valori difendere?”, grazie a Fernanda Treviolo (BG) 17/01, “Maschio e femmina li creò”, con Francesca Romana e grazie a Elena e Fabio

Bologna 22/01, “L’infanzia tradita”, grazie a Matteo Genova 27/01, “Educazione e sicurezza”, grazie a Carlo Savona 31/01, “La fatica del vivere e il valore dell’accompagnamento”, grazie a Massimo Nocera Inferiore (SA), 31/01, “Eutanasia. Inviolabilità del diritto alla vita o dovere all’omicidio?”, grazie a Jacopo. Crema (CR) 07/02, “Tutta la verità sul sistema Bibbiano”, grazie a Flavio Chiusi (SI) 08/02, “La bellezza della famiglia”, con Toni e grazie a Mario Ravenna 21/02, “La teoria del gender”, grazie a Simone e Cecilia Roma 22/02, “Armi di distrazione di massa”, con Toni Atessa (CH) 22/02, “Sarà ancora possibile dire mamma e papà?”, con Jacopo e grazie a Lisa


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ALTRI EVENTI

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San Benedetto

Bolzano

Treviolo

Roma

Bolzano e Trento 03/12 - 14/12, banchetti natalizi grazie a Serena, Francesco, Paolo e Francesco Roma 12/12, seconda edizione del progetto “Un Dono per la Vita” Schio (VI) 08/12, banchetto natalizio grazie a Luisa e Lorella Barbarano (VI) gennaio, Toni e l’assessore Donazzan bloccano un corso gender in una scuola Bari 13/01, conferenza stampa contro il ddl sull’omotransfobia della Regione Puglia, seguita il 14/01 da una manifestazione di protesta davanti al palazzo della Regione Ravenna 14/01, Simone agisce contro il Comune che appalta ad Arcigay l’educazione all’affettività Reggio Calabria 19/01, è stato disteso il bandierone #600mqdifamiglia, grazie al nostro circolo reggino Genova 21/01, Carlo blocca il Comune che voleva introdurre l’educazione sessuale negli asili nido

Crema

Roma

Molise 21/01, gruppo di lavoro contro il ddl omotransfobia in Consiglio regionale, grazie a Jacopo Roma 25/01, Toni interviene al “Christian Day” Roma 29/01, nuova edizione del progetto “Un Dono per la Vita” Colle del Tronto (AP) 01/02, “Chesterton Gala 2020”, grazie a Jacopo Vicenza 02/02, Toni interviene all’annuale Marcia per la Vita di Vicenza Bologna 02/02, “Ogni vita è stupenda” con proiezione di October Baby, grazie a Matteo Caravaggio (BG) 02/02, banchetto con “Punto pro vita”, grazie a Daniela Roma 04/02, “Night to Shine”, con Toni e Jacopo Roma 24/02, intervento anche presso i politici in Consiglio comunale contro il corso “Fiabe e racconti d’inclusione e amicizia per bambin* e ragazz*”, patrocinato dal Comune e poi rinviato


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Una notte per far brillare l’umanità Alba Mustela

Ci è arrivata, un po’ in ritardo, questa lettera da parte di una nostra sostenitrice che ha partecipato il 4 febbraio scorso a un evento che è stato organizzato con la collaborazione di Pro Vita & Famiglia: “Night to Shine”.

C’è stato un evento, all’inizio del mese di febbraio, di cui vorrei parlare ai gentili Lettori di questa Rivista. All’Università Europea di Roma, il 4 febbraio si è celebrata una magnifica festa: “Night to Shine”, un’esperienza indimenticabile per tantissimi ragazzi con bisogni speciali, dai 14 anni in su. La Tim Tebow Foundation organizza questo tipo di eventi da anni, in diverse città del mondo. Questa serata romana - totalmente gratuita - ha avuto il patrocinio della Pontificia Accademia per la Vita, ed è stata realizzato con la collaborazione di Pro Vita & Famiglia: oltre 200 persone presenti, tra le quali più di 80 “ospiti d’onore”.

La Tim Tebow Foundation organizza in diverse città del mondo feste eleganti, con DJ e discoteca, dedicate a persone disabili che di solito sono messe ai margini, spesso anche degli eventi familiari: si fa fatica a invitarli, e quando questo avviene spesso se ne stanno in disparte. A Night to Shine, invece, sono gli ospiti d’onore!


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L’ex campione di football americano, Tim Tebow, che ha creato la fondazione che organizza Night to Shine in tutto il mondo, ha recentemente dichiarato che preferirebbe essere conosciuto per la sua attività pro life, piuttosto che per i suoi successi sportivi. Il suo impegno a favore della vita è dovuto in parte al fatto che a sua madre, 32 anni fa, i dottori avevano caldamente consigliato l’aborto: «Non credevano neanche che fossi un bambino. Pensavano che fossi un tumore». «Per farla breve, quando sono nato, hanno scoperto che la placenta non era realmente attaccata», ha aggiunto Tebow. «Quindi, il dottore ha guardato mia madre e ha detto: “Questo è il più grande miracolo che abbia mai visto: non so come possa essere vivo questo bambino”. Sono così grato a mia madre per essersi fidata di Dio, più che dei medici!».

L’idea della Tim Tebow Foundation è quella di organizzare una festa elegante, con DJ e discoteca, tutta dedicata a persone disabili. Nella vita, di solito queste persone sono messe ai margini, spesso anche degli eventi familiari: si fa fatica a invitarli al matrimonio o anche alla festa di compleanno. Quando questo avviene, spesso se ne stanno in disparte… Invece, quella sera, i giovani disabili sono stati accolti da una Jaguar d’epoca, su cui hanno fatto un piccolo giro. Poi sono entrati nell’atrio dell’università dove era stato steso un tappeto rosso e dove c’era un angolo con un’estetista che offriva il makeup per le ragazze che lo desideravano.

Non sono descrivibili i volti di quelle persone, che mentre camminavano sul “red carpet” erano salutati da due ali di folla che applaudiva e gridava loro il benvenuto, mentre amichevoli paparazzi scattavano foto a ripetizione. Al piano inferiore c’erano la discoteca, un angolo buffet, il karaoke e una sala relax. Alla fine si è tenuta una cerimonia di incoronazione di tutti gli ospiti d’onore come re e reginette del ballo. Il rettore dell’Università Europea, padre Pedro Barrajón, ha detto che ha ospitato l’evento nell’ambito del programma “Responsabilità Sociale”, con il quale si dà agli studenti la possibilità di collaborare a diverse iniziative


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di solidarietà. Ha sottolineato che accogliere i disabili non è un “favore” che facciamo loro, bensì un “dovere di gratitudine”. Chi conosce e frequenta le persone che convivono con qualche handicap mentale, sa bene cosa significhi. Queste persone sono dotate di una capacità di amare, di donare, di tessere relazioni umane autentiche e sincere che schiudono un mondo nuovo a noi “normodotati”: ci insegnano a vivere. Hanno una capacità di guardarci dentro, di andare oltre le maschere di cui ci ricopriamo, e di metterci a nudo nella nostra umanità, che a volte ci spiazza e spesso ci fa paura. Per questo una società basata solo sull’avere e sull’apparire li respinge. Per questo è sempre più diffuso l’aborto eugenetico: il progresso scientifico della diagnostica in gravidanza viene usato per selezionare ed eliminare coloro che non

Non sono descrivibili i volti di quelle persone, che mentre camminavano sul “red carpet” erano salutati da due ali di folla che applaudiva e gridava loro il benvenuto, mentre amichevoli paparazzi scattavano foto a ripetizione.

corrispondono ai canoni di perfezione che vanno di moda. I Paesi del nord Europa si vantano quando raggiungono l’obiettivo “Down-free”, cioè riescono a ucciderli tutti, prima che nascano. In Italia ci stiamo attrezzando per essere “al passo con i tempi”: l’Emilia Romagna offre gratis a tutte le donne incinte il Nipt, un esame del sangue modernissimo (che costerebbe qualche centinaio di euro) che individua la presenza di trisomie. Per contrastare questa tendenza, per gridare a tutto il mondo la bellezza della differenza, la bellezza dell’umanità vera che è ben al di là dell’intelligenza e della prestanza fisica gli eventi come Night to Shine andrebbero ripetuti spesso e pubblicizzati adeguatamente. Magari in Tv, al posto di tanta robaccia che ci rende stupidi. Davvero: molto più stupidi di quelli che tutti chiamano “handicappati”, perché ci rende vuoti.


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La cultura della vita x 1 000 e della famiglia in azione a Pro Vita e Famiglia Dona il tuo

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Dialogo attorno ai bambini Giulia Tanel

Abbiamo intervistato il pediatra Tommaso Montini, seguitissimo su Facebook per i suoi post ricchi di informazioni utili per chiunque abbia a che fare con i bambini. Dottore, lei visita bambini da decenni: come sono cambiati nel corso del tempo e quali sono i tratti caratteristici dei bambini di oggi? «Prima o poi una domanda così me la dovevo aspettare… è arrivata! Caro Tommaso, è ufficiale: sei “vicchiariello”! È vero, sono più di trentacinque anni che vedo bambini. Come sono cambiati nel corso del tempo? Io direi che non sono cambiati affatto: meravigliosi prima, meravigliosi oggi e meravigliosi domani! Siamo piuttosto cambiati noi ed è cambiato il mondo intorno a loro! Meglio oggi? Meglio prima? Se iniziassi con un “Ai miei tempi…!”, dovrei fare testamento. Preferisco allora vedere quanto di bello e buono è stato fatto in questi anni. Oggi le conoscenze sui bisogni dei bambini sono decisamente maggiori. Stiamo scoprendo il valore dell’infanzia per la formazione di persone sicure e capaci di gestire problemi sempre più complessi. C’è molta più cultura e consapevolezza nei genitori e anche le terapie che proponiamo sono decisamente migliori di quelle di trent’anni fa. Sono cambiate le malattie, è migliorato lo stato di salute generale, sono migliorate le possibilità di cura per tantissime situazioni che un tempo lasciavano davvero poche speranze… insomma, c’è davvero tanto di cui essere soddisfatti. È vero però che tanta luce si accompagna anche a tante ombre. Sui bambini pesa, e tanto, l’incertezza di riferimenti sempre meno stabili: crisi della famiglia, valori meno solidi, solitudine… la chiamano “società fluida”. Forse

«Come sono cambiati i bambini? Forse prima avevano maggiori possibilità di essere… bambini!»


febbraio 2020

La rivista scientifica JAMA Pediatrics ha pubblicato qualche anno fa un articolo che spiega come l’abitudine di far cena in famiglia possa svolgere un ruolo terapeutico a favore degli adolescenti vittime del bullismo. Lo studio è stato svolto su 18834 studenti (di età compresa tra 12 e 18 anni) di 49 scuole nel Midwest degli Stati Uniti. Ansia, depressione, autolesionismo, istinti suicidi, violenza, atti di vandalismo, abuso di alcol, droghe, disturbi alimentari: queste le conseguenze più diffuse per chi è vittima dei bulli. Ma l’incidenza di queste conseguenze è risultata inversamente proporzionale al numero di pasti che normalmente i ragazzi consumavano seduti intorno al tavolo, in famiglia.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

bella per certi aspetti, ma poco “pediatrica” perché non offre l’affidabilità e la sicurezza di cui i bambini hanno bisogno. Il “brutto mondo dei grandi” invade ogni loro spazio! È pervasivo. “Vietato giocare da soli!”, “Sport sotto la supervisione di adulti con certificati di buona salute”, spazi per i bambini sempre più rari, “Vietato sbucciarsi un ginocchio”, “Vietato correre liberamente”… sembra che qualsiasi attività debba essere “protetta”. “Vietato andare a scuola da soli”, “Vietato uscire senza un adulto…”. Come sono cambiati i bambini? Forse prima avevano maggiori possibilità di essere… bambini!». E i genitori di oggi come li trova? «Stanchi. Ansiosi. Soli. La società chiede performance e non c’è spazio per la genitorialità. Il sostegno per le famiglie è quasi inesistente. Le mamme che lavorano sono fortemente penalizzate e la soluzione per aiutarle sembra solo la creazione di parchegg… ops!, volevo dire asili nido che comunque restano pochi e non sufficienti a sostenerle. I figli sono un lusso che possono permettersi in pochi. Arrivano in età avanzate e le famiglie allargate, quelle con i nonni, i fratelli più grandi e gli zii sono sempre meno. Questo vuol dire minore sostegno alle mamme, case deserte, minori occasioni di relazione… il rumore di fondo delle case è la televisione!

«Il piacere della condivisione, le emozioni e il gusto delle cose cucinate con amore, lo stare tutti insieme per un tempo… sono ingredienti preziosi per costruire persone vincenti»

«L’ansia e la paura di perdere l’unico figlio su cui si è investito sono la “malattia” più diffusa che incontro»

L’ansia e la paura di perdere l’unico figlio su cui si è investito sono la “malattia” più diffusa che incontro». Dal suo osservatorio privilegiato, nota differenze tra figli unici e bambini di famiglie con due, tre o più figli? «Certo! Più figli significano più difficoltà, maggiori problemi quotidiani da risolvere e spesso anche più povertà. Tuttavia, essere in più figli significa anche poter sviluppare maggiori capacità di condivisione e di adattamento. Ma scopro l’acqua calda. A Napoli si dice: “Cchiù simm’ cchiu’ bell’ parimm’!”, che vuol dire: “Più siamo, più sembriamo belli!”. I proverbi antichi hanno profonde verità che dovremmo riscoprire». Focalizzando l’attenzione sul ruolo della famiglia nella crescita sana e armonica dei bambini, a livello sia fisico, sia psicologico, quanto incide il fatto che vi siano entrambe le figure genitoriali, mamma e papà? «Questa domanda richiederebbe una risposta di venti pagine. Un papà e una mamma che hanno tra loro relazioni affettive belle e comportamenti complementari creano un ambiente ideale per il confronto e il rispecchiamento ai fini della formazione della propria identità, anche sessuale. Un clima di amore reciproco mantiene poi bassi nei bambini i livelli dello stress e


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permette al loro cervello di costruirsi con le migliori capacità di elaborazione e performance! “Voglio essere come mamma…”, “Voglio essere come papà…”: sono momenti dello sviluppo importanti che sono possibili se mamma e papà sono modelli belli! Vivere con bambini significa vivere continuamente alla presenza di sofisticati registratori che colgono ogni sfumatura dei comportamenti che saranno usati come “materiale di costruzione” di cervelli. La diversità del sesso dei genitori aiuta il bambino a identificare il suo e a sceglierlo». Sempre rispetto al tema della crescita, rileva delle differenze nei bambini che vivono in famiglie che sono solite riunirsi tutti attorno a un tavolo (se non per entrambi i pasti, almeno per la cena) senza distrazioni tecnologiche di sorta e che hanno così modo di dialogare e confrontarsi? «La risposta a questa domanda non è un mio parere o una mia osservazione ma viene da chiare evidenze della letteratura internazionale. Il solo mangiare a tavola con mamma e papà si è dimostrato essere un fattore di protezione importante per tutti i comportamenti a rischio dell’adolescenza: abbandono scolastico,

devianza, delinquenza, consumo di sostanze, incidenti… Se consideriamo il costo sociale di questi gravissimi problemi, ci converrebbe offrire gratuitamente pranzo e cena a tutte le famiglie per dieci anni, a patto che mangino insieme! Il mangiare insieme è una esperienza importantissima, raccomandata dall’inizio dello svezzamento. Il pasto è infatti guidato da complesse connessioni neurali che dal centro della fame coinvolgono il gusto, ma anche i circuiti della gratificazione e della relazione. Tutte le feste, dai compleanni, ai matrimoni, alle lauree si svolgono condividendo un pasto e le cenette romantiche al lume di candela certamente sono molto più del riempire una pancia vuota! Basterebbe riflettere su questo per comprendere quanto incida nella formazione di un bambino una famiglia seduta intorno a una tavola imbandita. Il piacere della condivisione, le emozioni e il gusto delle cose cucinate con amore, lo stare tutti insieme per un tempo… sono ingredienti preziosi per costruire persone vincenti. Dovremmo pensarci prima di premere il dito sul telecomando… e siano vietati i telefonini a tavola!». 

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Per esempio Rivit: un’impresa pro vita Toni Brandi

Vinicio Bulla, proprietario della Rivit, è un imprenditore di successo, capace di conciliare il profitto aziendale con il perseguimento del bene comune, la solidarietà sociale e la tutela della vita.

Vinicio Bulla (nella foto, di Famiglia Cristiana) ha fondato e dirige la Rivit, un’azienda vicentina con 180 dipendenti, che da 44 anni è leader nella produzione di grandi tubature d’acciaio. Ha clienti del calibro di Shell, Total, Snam, Agip, British Petroleum e Aramco. Poiché concede un bonus da 2.000 euro a ogni dipendente cui nasce il secondogenito, e un bonus da 3.000 a chi fa il terzo figlio, e poiché paga le rette del nido e della scuola materna, fino alla prima elementare, gli abbiamo chiesto se per caso la sua sia un’impresa che non punta al profitto come tutte le altre. «Esistono un profitto egoistico e un profitto cristiano», ci ha detto. «Molti imprenditori potrebbero fare gesti analoghi: per questo ho voluto dare l’esempio. Incentivare la natalità è un’urgenza reale: tra poche generazioni ci estingueremo». «E poiché gli aiuti “spot” servono a poco, non sapendo quanto ancora camperò, ho dato mandato alla mia banca di vincolare i fondi necessari da qui a sette anni». Egli è fermamente convinto che le politiche demografiche debbano essere una priorità per qualsiasi governo - e non gli si può certo dare torto, con i numeri sempre più preoccupanti che calcola l’Istat: con 1,3 figli per donna, siamo un Paese moribondo davvero. Il più vicino all’estinzione in Europa. Invece, ai nostri politici manca la lungimiranza, sostiene giustamente l’imprenditore: sono tesi a


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Ma in fondo anche il patrimonio personale è frutto dell’impegno dei collaboratori, così ho deciso di condividerlo con loro. Fatti due conti, ho pensato di potermi impegnare per i prossimi sette anni in questa operazione necessaria»: è la scelta di un’impresa che oltre al profitto guarda al bene comune, ha fiducia nel futuro e crede nella vita. Vinicio Bulla (Famiglia Cristiana)

guadagnare il consenso nell’immediato e non si adoperano a seminare per raccogliere in futuro. In Francia, per esempio, il tasso di natalità è risalito fino a 1,9 figli per donna: ma questo frutto è stato raccolto dopo un’azione politica che si svolge da decenni. Vinicio Bulla ribadisce che è un dovere civico di ogni cittadino responsabile fare qualcosa per favorire la natalità. E ogni impresa che ne abbia la capacità può fare qualcosa. E così oggi ci sono 31 bambini, figli di dipendenti della Rivit, che godono del bonus in questione. In particolare, è molto tangibile per le tasche dei lavoratori il sostegno dato nella corresponsione delle rette degli asili (un nido pubblico - costa sui 400 euro al mese per figlio, per due impiegati certamente non ricchi). «Ho la fortuna di essere a capo di un’azienda da oltre cinquant’anni ed è sempre andata bene. Fin dall’inizio avevo deciso che i ricavi prodotti in fabbrica rimanessero in fabbrica.

Ma perché lo fa? «Perché quando mi presenterò davanti al Padre Eterno, l’Euro sarà fuori corso!», ha detto con una risata al giornale La Difesa del Popolo, qualche tempo fa. Infatti Vinicio Bulla è profondamente credente e profondamente convinto che il problema della denatalità non sia solo un problema economico, ma anche una questione culturale e valoriale: «Mi auguro davvero che l’apostasia strisciante che si respira anche qui da noi si fermi, che le parrocchie trovino il linguaggio giusto per trasmettere il messaggio cristiano e per offrire chiari riferimenti morali: sono convinto che lo sviluppo di una nazione passi anche da qui». «Dobbiamo sradicare il pensiero comune che si è andato affermando negli ultimi decenni: si cerca di godere tutto, subito, al massimo. I figli sono visti solo come sacrificio. Non c’è più la cultura della discendenza». Bulla ci ha detto anche che oggi chi fa figli viene spesso considerato un marziano, se non un perdente, «perché si sta distruggendo la famiglia, sia nel concreto, sia come ideale». 

La Rivit concede un bonus da 2.000 euro a ogni dipendente cui nasce il secondogenito, da 3.000 a chi fa il terzo figlio. E poi paga le rette del nido e della scuola materna, fino alla prima elementare.


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Da dieci anni in Marcia per la Vita Luca Marcolivio

Abbiamo intervistato la dottoressa Virginia Coda Nunziante nel pieno dell’emergenza coronavirus. Al momento di andare in stampa gli organizzatori della Marcia Nazionale per la Vita hanno comunicato che l'annuale evento pro life quest'anno non avrà luogo. Pubblichiamo comunque questo testo perché i valori e gli ideali della Marcia sono, e saranno sempre, vivi e concreti, anche se fisicamente non potessimo scendere in piazza.

La Marcia per la Vita italiana tiene ormai da dieci anni, per ribadire il messaggio di sempre: la vita è il più prezioso dei doni e va protetta dal concepimento fino alla morte naturale. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, Virginia Coda Nunziante, presidente della Marcia per la Vita. Dottoressa Coda Nunziante, la Marcia per la Vita italiana sta per giungere alla sua decima edizione. Nel corso di un decennio, la partecipazione popolare a questo evento si esprime in numeri più che rispettabili, se si tiene conto della scarsa risonanza mediatica riservata all’iniziativa. Un segno dei tempi? «Sì, considerando l’assenza di un supporto mediatico all’evento, credo che i numeri della Marcia per la Vita siano stati “miracolosi”. Tutto si basa sulle poche forze che il mondo pro life detiene rispetto alla grancassa mediatica. Perseverare nella partecipazione all’evento, mantenendo numeri che, poco alla volta,

«Non potrà mai esserci pace nel mondo fino al giorno in cui sarà ancora commesso un aborto».


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crescono costantemente, per noi è già un grande successo». Erano previsti ospiti speciali per la decima edizione? «Lo special guest della prossima Marcia per la Vita sarebbe stata Abby Johnson, l’abortista pentita, ex dirigente di Planned Parenthood. Verrà in Italia, in concomitanza con l’uscita nelle nostre sale del film Unplanned, ispirato alla sua vicenda personale. La storia di Abby Johnson è stata parecchio boicottata negli Usa ma trasmette un messaggio molto forte al mondo pro life e all’umanità intera, facendo capire qual è la logica delle cliniche e degli ospedali abortisti. Il film racconta di una donna che, dopo aver favorito l’aborto per molti anni, si converte e comprende il dramma che l’aborto stesso rappresenta per la società di oggi». Proprio gli Usa sono la cartina di tornasole di un cambiamento in senso pro life dell’opinione pubblica… «È così e, del resto, la Marcia per la Vita italiana prende esempio da quello che avviene negli Usa. La March of Life, che si tenne la prima volta nel 1974, un anno dopo la sentenza Roe vs Wade della Corte Suprema, che legalizzava l’aborto, in 46 anni è riuscita a cambiare profondamente la mentalità degli americani. Mentre negli anni Settanta la cultura americana era decisamente abortista, le nuove generazioni, secondo quanto dicono i sondaggi, sono più pro life che pro choice. Ciò è dovuto al fatto che la March for Life si è sempre regolarmente

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tenuta e, attorno a essa, nel corso degli anni, sono sorte molte associazioni pro life che sono riuscite a incidere profondamente nella mentalità popolare. Fino al giorno in cui lo stesso presidente Donald Trump ha ritenuto importante partecipare di persona alla March for Life. Nessun presidente aveva mai presenziato alla Marcia (gli anni passati ci era andato il vicepresidente Mike Pence), quindi la partecipazione di Trump è un dato che fa molto riflettere e che trasmette un messaggio molto forte. Trump è andato alla Marcia perché pensa che il futuro dell’America sia nelle mani dei pro life. Tutto questo dà anche a noi un’immensa speranza e fiducia nel futuro. Anche in Italia, però, dovremo mantenere la stessa perseveranza: spesso incontriamo ostacoli e difficoltà, dovuti al fatto che per anni non si è fatto quasi nulla. Se si vuole andare contro l’aborto, spesso ci si deve scontrare violentemente con una mentalità profondamente anti-vita. Per scardinare questa dinamica dobbiamo andare avanti con perseveranza e determinazione». Può essere utile per l’Italia seguire il modello pro life americano, oppure abbiamo delle specificità storiche e culturali di cui bisogna tener conto? «Il modello americano è sicuramente molto

diverso dal nostro. In ogni caso, penso sia molto utile seguire tutti gli aspetti positivi di quel modello. Come nel passato abbiamo recepito tutti i messaggi negativi che arrivavano dall’America, oggi dobbiamo recepirne i messaggi virtuosi. Tra noi e l’America vi sono differenze ma anche molte similitudini: anche in Italia, ad esempio, il mondo pro life ha dovuto combattere con una fortissima radicalizzazione sul tema dell’aborto. Per l’Italia, come anche per il resto d’Europa, ci vorrà molto più tempo che in America per sconfiggere l’aborto. Il successo lo si vedrà nel lungo periodo ma sarà sulla stessa linea di quello americano, anche perché la cultura della morte, per sua stessa natura, non ha futuro. Soltanto una cultura della vita può avere futuro! Per questo, siamo sicuri che il futuro dell’Italia vada di pari passo con la cultura della vita». La Marcia per la Vita è sempre stata chiara su un principio: non basta essere contrari all’aborto, è anche necessario rinnegare la legge 194. Perché è importante ribadire questo punto? «Si può essere per la vita, soltanto, senza compromessi. I compromessi vengono fuori quando si pensa di poter applicare “in toto” la legge 194, o comunque cercando formule per arrivare a dire che non bisogna abrogarla


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totalmente. La nostra finalità è invece quella della totale abrogazione della legge sull’aborto, anche perché, dal punto di vista della morale cattolica, le vie di mezzo sono inaccettabili. In attesa che si arrivi a questa totale abrogazione, si potrà comunque puntare a rimuovere il finanziamento all’aborto. Lo Stato italiano, ogni anno, spende dai 200 ai 300 milioni di euro per applicare la legge 194, per cui sarebbe utile che tutte le associazioni pro life sviluppassero una campagna di sensibilizzazione sul territorio (come già fa la Marcia per la Vita ogni anno) al fine di cancellare i fondi pubblici per l’aborto. In fondo è un po’ quello che ha già fatto Trump, tagliando i finanziamenti a Planned Parenthood. Gli stessi fondi che lo Stato dà all’aborto, andrebbero invece usati per aiutare le famiglie e rilanciare la natalità. Lo abbiamo visto con il Coronavirus: gli ospedali hanno concentrato tutti i loro sforzi per combattere l’epidemia, lasciando però sempre una porta aperta all’aborto. Se una ragazza voleva abortire, era ricoverata già il giorno successivo. Questa è una mentalità da sconfiggere e da combattere, che, purtroppo, sta distruggendo il nostro Paese non solo demograficamente, ma anche moralmente e spiritualmente. Santa Teresa di Calcutta diceva che non potrà mai esserci pace nel mondo fino al giorno in cui non sarà più commesso alcun aborto. I circa 80.000 aborti che vengono praticati ogni anno in

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Italia dovrebbero essere sufficienti per farci riflettere sulla drammaticità del mondo in cui viviamo». Negli anni passati, la Marcia per la Vita italiana si è caratterizzata per la partecipazione di una pluralità di associazioni laiche e di movimenti religiosi. Quanto è importante che il mondo pro life si presenti unito e compatto a questi eventi? «Anche qui, il modello americano può insegnare molto: in America vanno a marciare associazioni di tutti i generi e anche movimenti religiosi, perché la difesa della vita è una questione che tocca tutti quanti. La Marcia per la Vita è un evento annuale in cui tutti insieme scendiamo in piazza per dire sì alla vita e no all’aborto. È molto importante, quindi, che vi siano presenti tutte le associazioni pro life, ognuna con le proprie specificità e con i propri carismi: è questo ciò che fa la ricchezza della Marcia per la Vita. Una volta all’anno ci ritroviamo tutti insieme per dare un messaggio chiaro e forte al mondo politico, facendo capire che non arretriamo e che non demordiamo. È la bellezza di avere molti gruppi e carismi diversi, in cui ognuno dà il proprio messaggio, e noi vogliamo lasciare a ognuno la massima libertà di esprimere come meglio crede il proprio amore per la vita e il proprio no all’aborto». 

«È molto importante la coesione e collaborazione tra tutte le associazioni pro life, ognuna con le proprie specificità e con i propri carismi».


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Le relazioni ministeriali in Italia sono alquanto incomplete e reticenti. Ma sappiamo per certo che in Inghilterra e in Galles il numero di aborti eseguiti su bambini con labbro leporino è aumentato del 150% dal 2011. Tuttavia, anche lì è probabile che le cifre siano ancora più elevate: in base alle statistiche dell’Eurocat, ente istituito dalla Commissione Ue, le anomalie congenite registrate risultano (per esempio anche in caso di Trisomia 21) molto meno degli aborti eugenetici realizzati in un dato tempo e luogo.


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Cronache della legge 194 A cura di Silvana De Mari

Rossano Calabro, maggio 2010 La legge 194 consente l’eliminazione eugenetica di bambini difettosi. Anche con difetti lievi e perfettamente risolvibili. Malformazioni al palato e al labbro, ha detto l’ecografia. Labbro leporino, stiamo parlando di un labbro leporino. Non era privo di gambe e braccia, come Nick Vujicic, incredibile leader motivazionale. Abortito alla ventiduesima settimana, è nato vivo ed è stato messo in una scatola in attesa che avesse la cortesia di morire. Quando l’aborto è tardivo, i bambini nascono vivi ma si decide di abbandonarli. Non si lega il cordone ombelicale, così che muoiano dissanguati in un tempo decente. Muoiono soli. Non ricevono cure. Se si rianimassero, avrebbero lesioni cerebrali permanenti per l’eccessiva prematurità: se nessuno lo voleva col labbro leporino, allora nessuno lo vorrà col labbro leporino e cerebroleso. Si poteva avere la cortesia di aspettare tre mesi, farlo nascere e darlo in adozione, una mamma e un papà che se ne sarebbero infischiati del suo labbro leporino si sarebbero trovati; si potevano almeno avere gli attributi per tenerlo in braccio mentre moriva. Il piccolo ha impiegato 29 ore a morire di disidratazione, dopo aver spinto i suoi polmoni a respirare, tutto da solo, senza nessun aiuto, dopo aver spinto il suo sangue a coagulare nel cordone ombelicale, tutto da solo. Nelle prime ore ha pianto: il suo pianto flebile, molto più flebile di quello di un neonato partorito a termine, un suono disperato, si è alzato; il piccolino non aveva capito di essere un prodotto di scarto e ha emesso il suono del pianto, il suono che serva ad attirare la mamma, o qualcuno che ti dia consolazione. I bimbi abortiti vivi muoiono di insufficienza respiratoria. Muoiono dissanguati. Se resistono a ipossia e dissanguamento, muoiono per disidratazione come Eluana Englaro. La volontà della madre è stata che non nascesse, ma (come nel caso di Eluana) c’è la spaventosa, mostruosa, sovietica istituzione della morte burocratica e statale. La madre partorisce il feto, che una volta fuori dall’utero non è più feto bensì un bambino, ma non si assume la responsabilità di stargli vicina mentre muore, tenendolo in braccio. Un genitore, se si è assunto la mostruosa responsabilità di stabilire che quella creatura non deve vivere, si assuma la responsabilità di stargli vicino fino


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all’ultimo battito. Se questo non è in grado di farlo, allora si tenga il bambino fino alla nascita e poi lo affidi a chi lo adotterà. Non lo lasci morire solo in una scatola. La legge permette l’aborto tardivo anche quando il bambino può sopravvivere fuori dall’utero - quindi dalle 22-24 settimane, circa, fino alla fine della gravidanza -, se ci sono «gravi danni alla salute fisica o psichica della madre». Gravi danni sono un cancro, una cardiopatia... ma la parola “psichica” permette qualsiasi gioco. “Gravi danni” sono anche che una madre dismorfofobica non se la sente di avere un figlio con la palatoschisi perché ha un discorso sull’imperfezione non risolto. La dismorfofobia si cura con il colloquio, non in sala operatoria. I professionisti che hanno permesso questo scempio danno l’impressione di essere integralisti atei: si sono posti il problema del danno sulla psiche della madre per un aborto tardivo? Si sono posti il problema del feto, della sua vita distrutta nel dolore, della sua morte per disidratazione? Si modificano le pressioni dei ventricoli cerebrali. La morte per disidratazione non è una morte dolce. È accompagnata da un dolore alla testa paragonabile a quello di una pressa. La nostra regola non è di fare tutto quello che vuole un paziente: se un paziente mi chiede di amputargli la mano sinistra perché secondo lui contiene il diavolo, non devo amputargliela. Il nostro compito è non nuocere.

In Paesi come l’Inghilterra l’aborto eugenetico è consentito fino al nono mese di gravidanza, in modo esplicito. In Italia, di fatto, la legge 194 consente la stessa cosa (se c’è pericolo grave per la salute della madre…), ma nessuno lo dice.


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Secondo i medici che fanno questi aborti, cosa prova una donna alla ventesima settimana quando si accorge che l’utero è vuoto? Le depressioni post aborto sono devastanti, e non è detto che si risolvano. Secondo questi medici, cosa proverà la madre, perché è una madre, tutte le volte che incontra un bambino che ha la cicatrice del labbro leporino e che gioca contento ai giardinetti? Perché un sistema folle ha permesso a questa donna di diventare la madre di un bimbo morto? L’aborto lo ha voluto lei, o le è stato suggerito? (A una coppia di amici è stato consigliato l’aborto tre volte, da tre ecografisti diversi, per un piedino torto). Sarebbe bastato poco, sarebbe bastata qualche ora, forse qualche minuto per rassicurare quella mamma, per spiegarle che il suo bimbo sarebbe stato magnifico lo stesso. Questa mamma doveva diventare mamma, doveva trovare sulla sua strada qualcuno che la aiutasse, non la burocratica e sovietica macchina della morte che la 194 ha creato, nascosta sotto l’ampollosa e menzognera parola “autodeterminazione”. Solo una parte della volontà della donna vuole sopprimere il bimbo (feto, grumo di cellule), un’altra parte lo vuole e resterà ferita. L’aborto è una violenza che ha due protagonisti: uno muore e l’altra resta ferita. Se qualcuno si fosse rifiutato di fare questo scempio, se qualcuno avesse spiegato alla madre che una palatoschisi si può operare, che il bambino sarebbe stato imperfetto come Dumbo, perché noi non dobbiamo perseguire i nostri deliri di perfezione, ma che sarebbe stato particolarmente forte e robusto… Invece è stato buttato nella spazzatura per un labbro leporino.

La chirurgia plastica oggi è in grado di risolvere in modo egregio la palatoschisi (Foto: Medicina on line)

Un qualche professionista ha firmato il certificato che la madre aveva la fobia di avere un feto imperfetto in utero. Con questo trucco l’aborto eugenetico viene spacciato per terapeutico, e la macchina di morte si è messa in moto. Qualcuno, dopo ore, ha avvertito il prete, il cappellano dell’ospedale. Ci sono i preti, a chi altri andate a dirla una cosa del genere? A un prete. Il sacerdote è intervenuto, è entrato nella

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sala parto bloccata da ore e ha trovato questo neonato che agonizzava nella sua scatola di metallo, morendo di disidratazione e di freddo, ma non di ipossia, perché stava respirando, con la forza dei suoi polmoni, dopo essersi coagulato il cordone ombelicale. Stava morendo da solo, mentre qualche decina di metri più in là, sua madre si riprendeva dall’anestesia e si rendeva conto di cosa vuole dire avere l’utero vuoto, dopo che già lo aveva sentito muovere. Il feto, il neonato, l’ammasso di cellule abortito vivo stava morendo da solo, mentre il ginecologo che aveva fatto l’intervento se ne era andato a farsi gli affari suoi. E che doveva fare? Restare in sala parto a guardare l’ammasso di cellule che si muoveva e respirava, e pare che abbia anche pianto, all’inizio? Un pianto ridicolo per la ridicola pretesa che la sua mamma accorresse a soccorrere lui, nato con il labbro leporino, essere inferiore. Il piccino è stato battezzato ed è morto in braccio al sacerdote. Qualcuno lo ha cullato. È rimasto solo qualcuno di quei poveri dementi

Questa mamma doveva diventare mamma, doveva trovare sulla sua strada qualcuno che la aiutasse, non la burocratica e sovietica macchina della morte che la 194 ha creato, nascosta sotto l’ampollosa e menzognera parola “autodeterminazione”.

dei cattolici integralisti (vocabolo che nasce da “integro”) a sostenere che i feti hanno un’anima, mentre quelli che sono intelligenti sanno che non ce l’hanno e che sono solo un ammasso di cellule: ma una roba che fuori da un utero sta respirando da solo, l’anima ce l’ha o no? Mentre si discute se ha l’anima, posso darvi la mia parola che ha abbastanza sistema nervoso centrale da provare dolore, posso dirvi che questa creatura umana che muore da sola e di dolore, il dolore della disidratazione, il dolore dell’insufficienza respiratoria, è una cosa mostruosa. Il consenso informato? Ma nel consenso informato bisognerebbe dare tutte le informazioni, bisognerebbe scrivere: «Suo figlio morirà nel dolore» e «Lei potrebbe rimpiangerlo, quando il rimpianto arriverà sarà dannatamente tardi». L’ immagine del feto abortito non dovrebbe far parte delle informazioni date alla madre? Giammai! Le femministe insorgono: si vuole colpevolizzare una scelta che deve essere libera e consapevole.


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Le femministe occidentali sono sempre in prima linea a difendere il diritto delle donne islamiche a portare il burqa e a essere lapidate, ma la censura delle immagini degli aborti resta una delle loro priorità. Una parte delle informazioni è sotto censura, la verità è sotto censura: il piccolo soffrirà, tu potresti rimpiangerlo. La “volontà della madre” - una madre spesso confusa, spesso terrorizzata, spesso incapace di fronteggiare i propri deliri perfezionistici mette in moto una macchina di morte dove tutti sono deresponsabilizzati, si abortiscono gli affetti da palatoschisi, e dopo averli abortiti si lasciano lì a morire da soli, perché nessuno di questi signori della vita e della morte si assume la responsabilità almeno di finire lo scempio con un’intramuscolo di morfina (che muoiano senza sofferenza, in braccio, come si fa con i cani, ma evidentemente non con i bambini).

Pochi giorni prima un altro bambino era stato abortito perché l’ecografia aveva visto un’atresia dell’esofago (anche questa si risolve chirurgicamente). Il piccolo ha pianto e ha resistito due giorni, prima di morire: l’atresia non c’era. Da allora, i casi di aborto tardivo non sono più affiorati alla luce dei giornali. L’aborto tardivo esiste sempre, esistono sempre i bimbi abortiti vivi, ma l’informazione è diventata più “discreta”, le circolari dei direttori sanitari evitano inutili fughe di notizie. L’aborto è una cultura di morte. Il Sessantotto è stato il più mostruoso etnocidio della storia: un etnocidio dove tutta una civiltà, quella occidentale, è stata caricata delle colpe più deliranti e tremende, dove è stata portata a vergognarsi di se stessa. E la nostra civiltà, quella giudaico-cristiana, è l’unica che abbia difeso il bambino. Una civiltà che incoraggia le donne a uccidere il loro bimbo nel proprio ventre, è una cultura di morte. Cultura di morte che odia i bambini. 

Le femministe occidentali sono sempre in prima linea a difendere il diritto delle donne islamiche a portare il burka e a essere lapidate, ma la censura delle immagini degli aborti resta una delle loro priorità.

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Settimana più, settimana meno Aborti legali prima e dopo il 90° giorno: ma a partire da che data? Roberto Festa

Legge 194 del 1978, quella sull’aborto: tutti gli italiani la conoscono di nome; pochi, molto pochi - anche fra gli addetti ai lavori - l’hanno letta e capita per davvero. Tra le varie definizioni che se ne possono dare, a seconda dei punti di vista, una possibile è: «Sintesi diabolicamente ponderata tra il movimento di liberazione femminista di matrice leninista e quintessenza dell’ideale nazista di purezza della specie». Infatti, la Legge 194 distingue l’accesso all’aborto legale in due fasi, prima e dopo il novantesimo giorno di gravidanza, laddove la richiesta di abortire prima dei 90 giorni può essere motivata da qualsiasi causa e quindi in pratica è aborto on demand, affinché la donna possa liberarsi della gravidanza indesiderata (cioè del figlio) esattamente come prevedeva la norma russa di inizio novecento

per la “liberazione della donna lavoratrice”; mentre dopo i 90 giorni fondamentalmente si abortisce perché il bimbo ha qualche problema di salute, una malformazione o una sindrome genetica, che lo rende degno di essere soppresso, e qui credo che la matrice nazista sia evidente a tutti. In realtà, sia nell’uno che nell’altro caso, la legge, a prescindere da qualsiasi motivazione o situazione contingente, consente l’aborto legale solo se viene certificato da un medico il rischio per la salute della donna, rischio che deve essere «grave» nei primi novanta giorni e «molto grave» dopo. Questo è un aspetto cruciale della questione, che troppo banalmente viene ignorato, perché mette al centro la responsabilità e la professionalità del medico, il quale è chiamato a certificare un rischio per la salute della donna che nella

La più tragica delle fake news della storia della medicina e dell’umanità è che la gravidanza o la maternità sia una minaccia per la salute della donna e che l’aborto possa essere una soluzione.


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pressoché totalità dei casi non sussiste; anzi, vale l’esatto contrario: è l’aborto che da un parte uccide il figlio e dall’altra minaccia la salute della madre. E quindi il medico che autorizza l’aborto e poi quello che lo pratica agiscono palesemente contro scienza e contro coscienza, dando seguito alla più tragica fake news della storia della medicina e dell’umanità: che la gravidanza o la maternità siano una minaccia e che l’aborto possa essere una soluzione. Se domattina tutti i medici d’Italia si svegliassero con la consapevolezza di poter autorizzare un aborto solo se documentano un serio pericolo per la salute della donna, per far fronte al quale l’unica soluzione sarebbe l’aborto stesso, proprio secondo il dettato della legge, allora cesserebbero d’un tratto tutti gli aborti legali in Italia, poiché nessun medico in scienza e coscienza potrebbe mai dichiarare una simile assurdità. Che le cose poi stiano effettivamente così si evince in maniera lampante dalla sentenza della Corte costituzionale del 1975, la numero 27, quella che permise la promulgazione tre anni dopo della Legge 194, e che rappresenta un capolavoro, per modo di dire, della banalità del male nel momento in cui conclude che «non esiste equivalenza fra il diritto alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare». La sentenza, che pare

Giorno 1: dal momento della fecondazione si forma un nuovo essere umano, unico e irripetibile, dotato del suo codice genetico, che comincia autonomamente a svilupparsi.

A dodici settimane (90 giorni) il bambino è completamente formato: ha già le unghie e il suo corpo è ricoperto da una sottilissima peluria. Si muove e a volte singhiozza, anche se tutto questo non è ancora percettibile per la sua mamma. A tredici settimane comincia a produrre urina, che viene rilasciata nel liquido amniotico, mentre il fegato comincia a produrre globuli rossi. Al termine di questa settimana pesa circa 60-70 grammi ed è lungo circa 8-12 centimetri. A quattordici settimane ha il riflesso della suzione e della deglutizione, grazie al quale inghiotte abilmente il liquido amniotico. Adesso i genitali esterni sono evidenti, per cui si vede bene se si tratta di un bimbo o di una bimba.

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scritta da Hitler in persona poiché si arroga l’arbitrio di decidere quale essere umano sia persona e quale no, tuttavia pone come criterio e limite invalicabile la salute, proprio come si diceva poc’anzi. La domanda da un milione di dollari sorge quindi spontanea: perché nessuno, in primis il Ministero, fa nulla, nessuna indagine, nessuna direttiva, nessun protocollo per accertare, dinanzi alla carneficina di bambini nel grembo materno, che il criterio della salute sia rigorosamente rispettato? Perché quando si ha a che fare con la Legge 194 e l’aborto, al buon senso, alla logica e al rigore è solitamente riservato lo stesso destino che tocca al bambino. Ed ecco infatti un altro aspetto, meno generale e più specifico, che rappresenta un retroscena agghiacciante perpetrato con la connivenza del Ministero. Prendiamo gli ultimi dati Istat disponibili, quelli riguardanti il 2018, e apprendiamo che dei 76.044 aborti procurati, 3.041 sono classificati oltre i 90 giorni, mentre i bambini abortiti con malformazioni ammontano a 3.878. Fin qui i conti, nella loro freddezza, tornano, perché significa semplicemente che 837 bambini sono stati abortiti per malformazioni diagnosticate prima dello scadere del novantesimo giorno. Ma poi scopriamo che il limite del novantesimo giorno viene calcolato come “età gestazionale” e non come “periodo di amenorrea”, come invece sarebbe corretto. Che cosa significa questo? La gravidanza per convenzione universale si misura a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione, perché questa rappresenta l’unica data certa, e si parla perciò di “periodo di amenorrea”, infatti tutti sanno che mediamente una gravidanza dura 40 settimane (280 giorni), contando a partire appunto dal primo giorno dell’ultima mestruazione. Invece l’età gestazionale è l’età del bambino (embrione/feto) dal momento del concepimento, la cui evoluzione può essere seguita tramite l’ecografia. Ora, il concepimento


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avviene in media circa due settimane dopo l’ultima mestruazione e quindi l’età gestazionale differisce dal periodo di amenorrea di circa due settimane in meno, cioè l’età gestazionale parte due settimane dopo il periodo di amenorrea. Se ne deduce che se il medico che procura l’aborto considera il limite del novantesimo giorno basandosi sull’età gestazionale, invece che sul periodo di amenorrea come correttamente dovrebbe, sforerà di fatto di due settimane questo limite legale. Ed è proprio ciò che di fatto accade! I dati Istat relativi all’anno 2018 ci dicono infatti che considerando invece il periodo di amenorrea, gli aborti superiori alle 12 settimane + 6 giorni (corrispondenti al novantesimo giorno) sono stati 4.055, ovvero 1.014 in più rispetto a quelli ufficialmente classificati come oltre il novantesimo giorno (3.041). Anche se ammettiamo che 837 di questi sarebbero stati comunque abortiti perché aventi una certa malformazione (fatto però tutt’altro che scontato), restano comunque 177 bambini sani che sono stati abortiti oltre il limite temporale di legge a causa di una spregiudicata applicazione della norma. Pensate che qualcuno di coloro che hanno il gravissimo dovere di sorvegliare sull’applicazione della legge si scandalizzerà per questo? Difficile illudersi a riguardo, se consideriamo che le solite tabelle Istat ci informano che nel 2018 una giovane donna è morta sotto i ferri del medico che doveva uccidere (solo) il bambino da abortire legalmente (ma nessuno ne parla!), e che dei 76.044 aborti totali, ben 2.156 sono stati procurati senza che venisse comunicata affatto l’epoca di gravidanza; sarebbe scandaloso anche solo per uno, ma sono 2.156, duemilacentocinquantasei bambini che sono stati abortiti e non è dato sapere a quale età, magari ben oltre il terzo mese! I numeri ci sono (quasi) tutti! Chi ha responsabilità dovrà fare i conti... 

Nel 2018 sono stati abortiti 1.014 bambini oltre il termine di legge, e quindi illegalmente.


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Chi ama e chi odia le donne Rachele Sagramoso

Alcuni dicono che i prolife odiano le donne perché le “costringono a partorire”. Un’ostetrica ci dimostra che accade esattamente il contrario. Che i pro vita odino le donne è lo slogan di chi commenta una qualsivoglia notizia nella quale si tende a mettere in discussione il diritto delle donne ad abortire (diritto che, in realtà, non sussiste, esistendo invece il dovere, delle istituzioni e degli operatori, di tutelare il nascituro e il valore sociale della maternità). Uno degli ultimi episodi importanti: il Campus Biomedico forma medici specializzati in ostetricia e ginecologia, ma numerosi enti “pro scelta” accusano l’istituto di obbligare i medici all’obiezione di coscienza (costringendo le donne a ricorrere all’aborto clandestino, si sottintende) e di fornire una supposta parziale formazione. In realtà la sottoscritta e la professoressa Giorgia Brambilla, bioeticista di fama, hanno ben dimostrato il contrario (cfr. Al Campus Bio-Medico di Roma non si insegna l’#aborto, e l’AMICA insorge, pubblicato su La Croce dell’1 febbraio 2020),

La nascita di un bambino (se la vediamo dal suo punto di vista), o un parto (se la vediamo dal punto di vista della madre) è un evento fisiologico.


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affermando che l’ente offre una formazione completa semplicemente perché insegna ai medici a intervenire in ogni tipo di situazione. Anche l’aborto. Anche l’aborto volontario, nel caso in cui la donna sia davvero in pericolo di vita. Questo è anche ciò che afferma la legge 194 del 1978. Quello che però dà molto fastidio, oltre il fatto che si presuma che gli specializzandi in ginecologia non acquisiscano le procedure in modo completo, è il supposto obbligo di essere obiettori di coscienza che viene - secondo loro - imposto dalla Carta delle Finalità dell’Ateneo. In realtà questa è una pesante critica su quelli che sono i presupposti secondo i quali un medico che ivi viene formato o lavora non toglierà mai la vita a nessuno (nascituro o sofferente, dato che è pure contro l’eutanasia) finché frequenterà il Campus. Poi se il medico, una volta specializzato, non ritenesse che l’obiezione di coscienza alla legge 194/78 faccia per lui, è liberissimo di revocarla, poiché la sua formazione e il suo titolo di studio glielo permettono: al massimo deve acquisire le competenze manuali che ogni operatore sanitario impara con l’andare del tempo e della professione. D’altronde, ogni neospecializzato è manchevole in qualche ambito riguardante la propria professione, all’inizio della carriera (il principio secondo il quale si dice che «Nessuno nasce imparato»). La ginecologia e l’ostetricia,

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Assistere la nascita di un bambino significa agevolare quello che avviene e che avverrebbe comunque fisiologicamente (si pensi a tutte le mamme che partoriscono senza giungere in tempo in ospedale).

ad esempio, sono materie complicatissime, che riguardano donne di ogni età con patologie differenti, è ovvio che la maturazione lavorativa a fianco di colleghi con più esperienza poi mitighi la parziale impreparazione. Nessuna imposizione, quindi, ad essere obiettori di coscienza, ma la libertà di non esserlo solo dopo l’acquisizione della specializzazione. Libertà, questa, che dà molto fastidio a Cappato & Co, sempre pronti a difendere la libertà propria, ma non quella degli altri, e soprattutto la libertà del bambino di vivere, visto che è stato concepito. Chi solleva polveroni come quello che ha coinvolto il Campus Biomedico, sostiene che i pro vita odino le donne perché le costringono a partorire. Uno slogan, come abbiamo detto all’inizio, che va sgretolato. Per farlo, teniamo a mente il fatto che spesso le ostetriche “pro scelta”, che vuol dire “pro aborto”, sono le medesime che si battono perché la donna possa vivere la gravidanza e il parto in modo fisiologico, senza l’intervento spesso troppo invadente della medicina (si vedano le svariate manifestazioni contro la “violenza ostetrica”): affermato questo, quindi, costoro sanno bene che la gravidanza è fisiologica (nel 94,1% dei casi le gravidanze hanno decorso fisiologico, dice il rapporto CedAP, Certificati d’assistenza al parto del 2016) e che anche il parto dovrebbe esserlo (purtroppo solo il 61,65% delle volte avviene per via vaginale) e oggigiorno conosciamo il peso talvolta negativo dell’invadenza della medicalizzazione. Quindi la nascita di un

bambino (se la vediamo dal suo punto di vista) o un parto (se la vediamo dal punto di vista della madre), è un evento fisiologico. Pur tuttavia, alcune ostetriche affermano che i pro vita costringono al parto le donne, obbligandole a portare avanti la gravidanza. Ma se la gravidanza è fisiologica e il parto di un bambino è un evento normalissimo - o dovrebbe comunque esserlo -, non è forse l’aborto un intervento contro natura? La nostra tesi potrebbe essere dimostrata solamente dal fatto che per abortire, per “interrompere volontariamente una gravidanza”, ci vuole un apporto farmacologico o chirurgico, un intervento esterno, dunque. Inoltre una brava ostetrica sa bene che assistere la nascita di un bambino significa agevolare quello che avviene (il bambino nasce) e che avverrebbe comunque (si pensi a tutte le mamme che partoriscono senza giungere in ospedale: alla fine va sempre tutto bene), quindi il suo apporto non deve essere impositivo, bensì propositivo (aiutare la mamma ad affrontare le doglie, ad esempio). E se la gravidanza è un evento fisiologico e il parto dovrebbe esserlo il più possibile, coloro che tentano di aiutare la donna a proseguire la gravidanza agevolano la fisiologia, mentre coloro che aiutano la donna a interromperla (magari dicendole che non soffrirà o non mostrandole ecograficamente il cuore del suo bambino che batte incessantemente) ostacolano la fisiologia. E qui giunge un secondo slogan: abortire è naturale, come lo è portare avanti la gravidanza. Ovvero usano il termine “fisiologico” come sinonimo di “naturale” (fare confusione è il loro mestiere). La soppressione volontaria di un essere umano è terribile e del tutto non fisiologica. Quindi, per chi vede nel fisiologico un sinonimo di naturale, va da sé che la soppressione di un essere umano nel grembo materno non sia naturale. Se la gravidanza è fisiologica, l’interruzione della stessa non lo è (neppure se avviene spontaneamente: ecco perché tante donne che perdono il loro bambino anche nei primi istanti dopo aver saputo di aspettarlo, soffrono per tutta la vita). Chiunque sa di fisiologia, conosce bene che essa corrisponde ad alcune leggi biologiche; infatti, quando queste “deragliano” entriamo nel campo


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della patologia (parte della medicina). Se la gravidanza dà dei problemi perché insorge il diabete gestazionale, per esempio, è necessario intervenire perché “naturalmente” un diabete non curato potrebbe far morire il bambino e la madre (eventi “naturali” nel decorso della malattia). Ecco, infatti, che interviene la patologia, di cui sono responsabili i medici: necessario il loro apporto e meritevoli di attenzione nelle loro battaglie contro le malattie. Non è un caso che se la donna vuole abortire, deve rivolgersi a un medico: “rompere” artificialmente un processo fisiologico è pericoloso e necessita di perizia (e ha ovvie ripercussioni fisiche e psicologiche). Per tale motivo, chi cerca in tutti i modi di sostenere la donna affinché non abortisca, ovvero chi salva la vita del figlio, è chi promuove la fisiologia (come fanno le ostetriche quando tentano di aiutare la donna a partorire spontaneamente, senza ricorrere a medicina o chirurgia inutilmente) e non chi sostiene un approccio patologico a un processo fisiologico. Voler bene alla donna vuole dire aiutarla ad affrontare la norma biologica, ovvero la fisiologia, sostenerla nel suo essere e diventare madre: i prolife, quindi, aiutano le donne (e i loro bambini). 

Cappato & Co sono sempre pronti a difendere la libertà propria, ma non quella degli altri, e soprattutto la libertà del bambino di vivere, visto che è stato concepito.

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Per Massimiliano Romina Fontana

«Dare sepoltura al mio bambino in maniera dignitosa mi ha fatto sentire mamma anche nella sventura».

«Oggi accanto alla tua tomba, piccolino, ho trovato questo fiore, oggi che è la Festa della mamma. Un piccolo fiore cresciuto tra i sassolini senza che nessuno lo piantasse. Un fiore proprio oggi... grazie Massi, piccolo figlio mio che non ho mai potuto coccolare o nutrire. Già, perché eri troppo piccolo e la tua vita si è interrotta troppo presto. Non importa da quante settimane io ti avessi avuto dentro di me: tu eri e sei un bambino, e come tale ho avuto la grazia di poterti seppellire. Ogni Vita, anche la più piccola, ha dei diritti. Non contano solo quelli dei più forti. Ringrazio il Cielo di averti avuto, di averti potuto accompagnare e di averti potuto dare un giaciglio degno. Grazie perché io sono stata quattro volte mamma, e ora ho un angelo speciale in Cielo, un angioletto tutto della sua mamma. Mi batterò fino all’ultimo respiro perché a ogni bambino nel grembo venga riconosciuta la dignità di essere umano. Noi eravamo noi, sin dai primi attimi, perché senza quegli attimi ora non ci saremmo! Buona festa della mamma a tutte e un caro pensiero al mio piccolo Angelo». Mamma


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Ho perso il mio terzo figlio quando ero incinta da circa cinque mesi. Come di norma, mi hanno indotto il parto perchè a un controllo è risultata la mancanza di battito. Anche se ho partorito altri tre figli con un peso dai quattro, ai quattro chili e mezzo, quell’esperienza è stata in assoluto la più dolorosa, perché accompagnata dallo sconforto. Ho avuto la grazia di non firmare subito dopo l’espulsione il permesso per lo smaltimento del mio bambino nei rifiuti ospedalieri. Al momento delle dimissioni mi è stato consegnato il modulo, ma io non ho voluto firmarlo, ricordando il dolore di mia madre cha a sua volta aveva avuto un aborto involontario tardivo e che ha sempre cercato di sapere quale fine avesse fatto il corpicino. L’infermiera è stata comprensiva e mi ha consigliato di sentire un’addetta del Comune per vedere se era possibile una degna sepoltura. Io l’ho fatto e ho conosciuto Monica, una persona veramente disponibile che mi ha aiutata nella pratica. Avendo subito anch’ella un aborto, anche se precoce, si è informata e mi ha sostenuto in quella che sembrava una pazzia, ossia nell’acquisto di una piccola bara e nel trasporto col carro funebre con prezzi a mio parere contenuti.

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una lettera di mamma e papà. Mi commuovo ancora oggi, a pensarci. Ricordo la mia mamma, che dopo solo un mese e mezzo sarebbe morta improvvisamente, abbracciata a me quella sera con i miei figli accanto che ricoprivano di petali il contorno, dato che era la sera del Corpus Domini. Ricordo mio suocero che con due vecchi chiodi simili a quelli di Gesù ha forgiato una piccola croce, e mi sento amata! Ora quella tomba è lì a indicare che la vita di ogni bambino nel grembo materno è vita a tutti gli effetti, indipendentemente dal desiderio o dai diritti di chi la custodisce. A chi mi chiede qualcosa, do la mia semplice testimonianza. E poi trovare quel fiore proprio il giorno della Festa della mamma mi ha riempita di gioia!  Nei cimiteri di molti Comuni è stato riservato uno spazio per la sepoltura dei bambini non nati, ma le femministe gridano che ciò «criminalizza le donne». Nessuna obiezione, invece, se viene consentita la sepoltura degli animali domestici, accanto ai loro padroni (come accade in Lombardia).

La considero una grazia! Anche il mio Comune si è mostrato disponibile, dicendomi che c’era una zona a questo adibita ormai inutilizzata. Tante strane coincidenze volute dal Cielo. Così un pomeriggio, dopo che erano stati svolti gli accertamenti medici di prassi sul corpicino, io e mio marito abbiamo seguito il carro funebre, e con l’aiuto di un operaio del comune molto sensibile ci siamo recati a seppellirlo. Lui ci ha consigliato di andare in chiesa per vedere se c’era il parroco, e così abbiamo fatto. Altra coincidenza: essendo giovedì lo abbiamo trovato (c’era l’Adorazione) e così ci ha raggiunti per dare una benedizione al nostro Massimiliano. Considero tutto questo una grazia che mi ha aiutato moltissimo: dare sepoltura al mio bambino in maniera dignitosa mi ha fatto sentire mamma anche nella sventura. Ho potuto mettere nella bara una copertina che avevo realizzato in gioventù, i disegni dei fratellini e

«Ho avuto la grazia di non firmare subito dopo l’espulsione il permesso per lo smaltimento del mio bambino nei rifiuti ospedalieri».


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Chi sono i giudici della Corte Europea dei Diritti Umani? Francesca Romana Poleggi

La Cedu ha mostrato in più occasioni di avere una visione piuttosto incoerente dei “diritti umani”. Forse possiamo capire il perché.

Chi ha seguito il portale web di ProVita - prima - e di Pro Vita & Famiglia ora, avrà potuto vedere in quante occasioni la Cedu ha mostrato l’evidente incapacità di difendere i diritti umani. Tanto per fare solo alcuni esempi, basti pensare all’atteggiamento pilatesco (per usare un eufemismo) tenuto nelle diverse occasioni in cui le è stato chiesto se i bambini sopravvissuti all’aborto abbiano diritto di vivere (o per lo meno di morire con dignità), oppure quando i genitori di Charlie Gard e Alfie Evans l’hanno interpellata nella speranza di fermare la condanna a morte dei loro figli e di affermare il loro diritto di genitori di portarli via dall’ospedale. Avrebbe potuto, la Cedu, dare una svolta decisiva alla lunga battaglia dei genitori di Vincent Lambert, e sappiamo bene come è finita. Allo stesso modo ha respinto il ricorso dei genitori di Ines contro la Francia (anche a Ines, contro il volere dei genitori, che sostenevano che la ragazzina in certi momenti era cosciente, sono stati tolti cibo, acqua e respiratore): la Cedu ha stabilito che non c’è più il diritto alla vita, tra i diritti umani, ma il “dovere di morire”! Nel 2018 ha respinto all’unanimità il ricorso Annen vs. Germania: i giudici tedeschi - secondo la Cedu - hanno fatto bene a impedire al ricorrente di esprimere le sue idee, ossia che l’aborto è un omicidio e che dà luogo a un vero e proprio olocausto (che poi non sono “le sue idee”, ma è la pura verità dei fatti). I volantini e la pagina web contenevano espressioni gravi e potevano anche incitare all’odio. In particolare l’uso del termine “omicidio aggravato”, riferito all’aborto, poteva essere inteso come un’accusa ai medici abortisti di aver perpetrato, appunto, il reato di omicidio aggravato.


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Il Consiglio d’Europa è nato con il trattato di Londra nel 1949 per la tutela dei diritti umani e della pace. Non va confuso con le istituzioni dell’Unione Europea: a esso hanno aderito 47 Stati, tra cui molti, come la Russia, non fanno parte dell’Ue. Ha sede a Strasburgo. I suoi principali organi sono il Comitato dei Ministri, il Segretario generale e l'Assemblea parlamentare. Nel 1959 i membri del Consiglio d’Europa hanno creato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), che giudica gli Stati aderenti sulle violazioni dei diritti umani denunciate dai rispettivi cittadini.

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Grégor Puppinck è un medico che dirige l’Eclj, European Centre for Law and Justice, cioè il Centro europeo per il diritto e la giustizia, un’organizzazione dedicata alla promozione e alla protezione dei diritti umani in Europa e in tutto il mondo. Molto spesso l’Eclj è intervenuta a sostegno della libertà religiosa e per la tutela della dignità della persona (di tutte le persone, anche dei bambini) sia davanti alla Cedu, sia davanti ad altre istituzioni internazionali, come quelle che fanno capo alle Nazioni Unite, al Parlamento europeo, all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). L'Eclj basa la sua azione sui «valori spirituali e morali che sono il patrimonio comune dei popoli europei e la vera fonte della libertà individuale, della libertà politica e dello stato «Nessun animale si chiede di diritto, i principi che ilformano senso della suadiesistenza la base ogni vera e sente in sé il convivere di democrazia», come recita il Preambolo dello Statuto finito e infinito, tempo ed del Consiglioeternità». d'Europa.


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I giudici della Cedu hanno un grande potere sostanziale, infatti le loro decisioni devono obbligatoriamente essere eseguite dagli Stati che hanno aderito al Trattato di Londra. Al di là della questione tedesca, la notizia rimbalzata sui media è che «la Cedu ha detto che non si può dire che l’aborto è un omicidio». E gli Stati aderenti hanno l’obbligo di adeguare le loro normative alle pronunce della Corte. Ci sono state, poi, diverse occasioni in cui - in modo non sempre esplicito e quasi sempre piuttosto artificioso - la Cedu si è di fatto adoperata per lo sdoganamento del “matrimonio” gay e dell’utero in affitto. E forse qualcuno ricorderà quando si è pronunciata in primo grado contro l’Italia perché fossero tolti i Crocifissi dai luoghi pubblici (decisione che poi è stata cassata in appello: ma di tale pronuncia della Grande Chambre non parla mai nessuno). Del resto i giudici della Cedu né sono eletti in modo democratico, né sono necessariamente magistrati. Non stupisce quindi che possano essere “amici degli amici”. Essi si arrogano il potere di sancire o modificare o cancellare quelli che sono i diritti inviolabili dell’uomo. Il problema di fondo è probabilmente questo: i “diritti umani” sono quelli protetti dalla legge naturale, legge scritta da Dio nella retta coscienza di ogni persona (per chi non crede: legge iscritta nella natura umana). Nessun uomo, nessuna organizzazione umana ha il potere di modificare la legge naturale e la lista dei diritti (e dei doveri) da essa sanciti. Ma sappiamo bene che l’uomo - da sempre pretende di mettersi al posto di Dio! Dal punto di vista filosofico, quindi, la visione

quanto meno strabica dei diritti umani della Cedu si può spiegare in quanto frutto della “volontà di potenza” di Prometeo e del conseguente relativismo imperante. Da un punto di vista strettamente pratico, invece, ci illumina un rapporto pubblicato nel febbraio scorso dall’Eclj, a firma di Gregor Puppinck e Delphine Loiseau. In esso si dimostra che perlomeno 22 dei 100 giudici permanenti che hanno prestato servizio a Strasburgo, tra il 2009 e il 2019, sono ex funzionari o collaboratori di sette Ong piuttosto note, e hanno giudicato chiaramente in conflitto di interessi in cause in cui dette Ong erano esse stesse ricorrenti o si erano costituite a supporto dei ricorrenti come terze parti. Dice il Rapporto: «Dodici giudici sono collegati direttamente alla Open Society Foundation di George Soros, sette ai Comitati di Helsinki, cinque alla Commissione internazionale dei giuristi, tre ad Amnesty International e uno ciascuno a Human Rights Watch, Interights e all’A.I.R.E. Centre: tutte associazioni che


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La sede della Cedu a Strasburgo.

le varie Ong, né ha la pretesa di aver identificato tutti i casi che coinvolgono Ong - oltre le suddette sette - finanziate dalla Open Society Foundation, né ha la pretesa di aver identificato tutte le decisioni in cui è intervenuto un giudice legato a una di esse. Tutto questo getta un’ombra molto oscura sull’indipendenza della Corte e sull’imparzialità dei giudici e contrasta con le norme che la stessa Cedu impone agli Stati. Il rapporto dell’Eclj propone di garantire la trasparenza degli interessi e dei legami tra i ricorrenti, i giudici e le Ong attraverso l’introduzione di una formale procedura di astensione e ricusazione dei giudici.

inventano i diritti umani, che sono votate alla tutela dei migranti, delle persone con orientamento Lgbt e del “diritto umano” di uccidere (con l’aborto o l’eutanasia); tutte finanziate principalmente dalla Open Society. Dal 2009, ci sono stati almeno 185 giudizi in cui era coinvolta almeno una di queste sette Ong. In 88 casi, i giudici giudicanti erano in palese conflitto di interessi. Per esempio, nel caso di Big Brother Watch vs. Regno Unito, ancora pendente davanti alla Grande Chambre della Cedu, dieci dei 16 ricorrenti sono finanziati da Open Society, così come sei delle Ong che si sono costituite come terze parti. Dei 17 giudici che siedono nella Grande Chambre, sei sono collegati in qualche modo alle Ong ricorrenti. Nello stesso periodo di dieci anni, solo in dodici occasioni c’è stato un giudice che si è astenuto dal decidere, denunciando egli stesso il conflitto di interessi». E questi dati sono valutati al ribasso: il rapporto non ha la pretesa di essere esaustivo, non tenendo conto degli stretti legami finanziari tra

A seguito della pubblicazione di questa relazione, la questione è stata formalmente posta all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, conformemente all’articolo 67 del suo regolamento: mentre andiamo in stampa è in corso una raccolta firme per supportare la questione. L’Assemblea ha il compito di eleggere i giudici e il potere di investigare e formulare raccomandazioni ai rappresentanti dei 47 Stati parti della Convenzione Europea sui Diritti Umani, cui è stato altresì indirizzato il rapporto. 

Nessuno - tanto meno la Cedu si può arrogare il potere di decidere quali sono i diritti fondamentali dell’uomo. Sono sanciti dalla legge naturale, che è eterna, immutabile e oggettiva (non varia al variare della morale o della cultura dei popoli). Le sue norme sono al di sopra di ogni codificazione umana, operata da qualsiasi autorità sia essa laica o religiosa.


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«Beati i perseguitati a causa della giustizia» Maria José Vilaça

Riceviamo da una psicologa e psicoterapeuta portoghese una testimonianza sulle conseguenze che ha oggigiorno, in un Paese “democratico”, il non essere “omo-affermativi”, cioè il ritenere che si possano aiutare le persone che provano un’attrazione indesiderata per quelli dello stesso sesso a superarla. L’INIZIO DELLA PERSECUZIONE Sono psicologa clinica dal 2000 e sono membro e fondatrice della Associazione Psicologi Cattolici. Nel novembre 2016 ho rilasciato un’intervista a una rivista cattolica (Familia Cristã) sull’ideologia di genere. Sono stata intervistata insieme a un giurista e il giornalista ha anche riportato alcune dichiarazioni di un medico spagnolo, Manuel Martínez-


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Sellés. Avevamo tutti in comune la visione della persona come dotata di somma dignità, in quanto immagine di Dio. L’articolo si è concluso con queste parole: «Ma allo stesso tempo, come accogliere gli omosessuali? Lo psicologo accompagna famiglie e genitori e sottolinea che accettare un figlio non significa che bisogna confermare la sua omosessualità: “Accetto mio figlio, forse lo amo ancora di più, perché so che vive in un modo che non è naturale e che lo fa soffrire. È come avere un figlio tossicodipendente: non gli dirò che è cosa buona quello che fa”». A causa di quest’ultima frase sono stata accusata di aver messo sullo stesso piano l’omosessualità e la tossicodipendenza. Ho ricevuto centinaia di messaggi di odio da tutto il mondo e 19 denunce all’Ordine degli psicologi portoghesi, inclusa una dell’Ilga (International Lesbian and Gay Association): essendo cattolica non avrei dovuto esprimere le mie opinioni in pubblico su tale argomento. Sono stata quindi citata in giudizio dall’Ordine degli psicologi, ritenuta colpevole di irresponsabilità e mancanza di competenza. Il 13 novembre 2016 l’Ordine ha pubblicato sul suo sito web la decisione che mi avrebbero portato in tribunale,

«Accetto mio figlio, forse lo amo ancora di più, perché so che vive in un modo che non è naturale e che lo fa soffrire. È come avere un figlio tossicodipendente: non gli dirò che è cosa buona quello che fa».

e anche dichiarazioni diffamatorie nei miei confronti: tale materiale è ancora lì. Molti articoli di giornale sono stati scritti su questa vicenda; anche i quattro principali canali televisivi portoghesi mi hanno condannata e ridicolizzata e, quando hanno scoperto che sono anche pro vita, il biasimo e il massacro mediatico è divenuto ancora più pesante. Il presidente dell’Ordine ha persino affermato in un’intervista pubblica che, dato che sono cattolica, non avrei dovuto avere pazienti con problemi legati alla sessualità. C’è anche un’altra cosa che vale la pena considerare: l’Ordine ha pubblicato un documento con una serie di linee guida su come trattare pazienti omosessuali e transessuali, vietando qualsiasi tipo di approccio non omosessualista o trans affermativo e, al punto n. 10, fa un monito speciale agli psicologi cattolici, «dal momento che potrebbero non essere in grado di rispettare queste linee guida». Documento che, pur non essendo mai stato ufficialmente approvato, è stato usato per giustificare la persecuzione nei miei confronti. Il 6 dicembre 2019 l’Ordine ha emesso un’accusa formale nei miei confronti: violazione del principio generale di competenza (perché ho parlato di omosessualità senza una formazione specifica per farlo), irresponsabilità (perché, come psicologa, non ho compreso l’influenza che ho sulle persone e ho causato un danno d’immagine alla professione) e grave negligenza (a causa delle profonde conseguenze che le mie parole hanno avuto sulle persone i cui interessi avrebbero potuto essere feriti). La condanna è stata registrata e pubblicata sul sito web dell’ordine. Dopo di questo, ho deciso di denunciarli io. I miei avvocati stanno ancora lavorando al caso.

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IL TRANELLO E L’IMBROGLIO Il 10 gennaio 2019 sono stata sorpresa dall’invito a partecipare a un dibattito in televisione sull’argomento. Non mi è stato dato alcun dettaglio, ma ho deciso di andare perché avrei avuto l’opportunità di parlare in prima persona. Alla fine di novembre avevo ricevuto una chiamata da un uomo che diceva che stava cercando il mio contatto da un po’ perché provava un’indesiderata attrazione per i maschi e aveva bisogno di parlare con me. Ci siamo visti tre volte e, poiché me lo ha chiesto, l’ho indirizzato al gruppo che ho guidato in una parrocchia (una specie di gruppo di autoaiuto per persone che si sentono attratte da quelli dello stesso sesso), l’ho indirizzato da uno psichiatra e gli ho preso appuntamento in privato con il sacerdote che assisteva il nostro gruppo parrocchiale. È andato a due incontri del gruppo. Arrivata in televisione per l’intervista, poco prima di andare in onda, ho visto il servizio giornalistico in cui questo “paziente” aveva registrato (suoni e immagini) tutti gli appuntamenti che avevamo avuto, gli incontri in parrocchia, l’appuntamento con lo psichiatra e la conversazione privata con il sacerdote nel confessionale di una chiesa. Il giornalista ha esordito dicendo che esiste un “gruppo segreto” di psichiatri, psicologi e sacerdoti della Chiesa cattolica che stanno eseguendo terapie di conversione su persone omosessuali e che questo dovrebbe essere considerato un crimine. In questo modo ha dato il via al dibattito, durante il quale tutti

Dato che sono cattolica, non avrei dovuto trattare pazienti con problemi legati alla sessualità.

tranne me avevano l’immagine oscurata - si sentivano solo le voci, pertanto solo amici e familiari avrebbero potuto riconoscerli. Il dibattito riguardava solo me e le mie “pratiche criminali”. Il giornalista ha anche intervistato due sacerdoti e uno psicologo dell’Ordine, che hanno confermato i miei “crimini”. Ho fatto causa anche alla televisione, al reporter e al regista. Il Pubblico ministero sta facendo l’istruttoria, parlando con i testimoni, e il processo è a porte chiuse. PAGHERANNO LE PERSONE CHE HANNO BISOGNO AIUTO La mia principale preoccupazione è per le persone del mio gruppo di supporto parrocchiale, indifesi rispetto alle aggressioni che possono subire, la cui privacy e il cui diritto all’immagine è stato violato. Anche il sacerdote è stato messo alla berlina, ma lui, come me, non ha niente da nascondere: noi quindi possiamo difenderci. Tutto questo è stato molto malvagio. Tutto questo dimostra mancanza di libertà di espressione, la mancanza di libertà religiosa e la violazione del diritto delle persone alla scelta terapeutica. Faccio presente che ciò sta accadendo anche se non esiste in Portogallo una vera e propria legge anti-omofobia. Però è stata introdotta nel sistema scolastico quella che viene chiamata “Educazione sessuale comprensiva”, CSE, promossa dalle agenzie dell’Onu a livello internazionale.


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Nelle scuole pubbliche, fin dalla scuola materna (bambini dai quattro anni), gli insegnanti possono solo dire che, indipendentemente dalla biologia, si può diventare ciò che uno si sente. Si fanno giochi come: «Fammi cambiare sesso», e chiedono ai bambini di otto anni se si sentono attratti dai maschi o dalle femmine (a quell’età è ovvio e normale che i bambini non provino attrazione per le bambine, e viceversa!). Naturalmente ci sono molti insegnanti che non sono d’accordo con tutto questo, ma lo Stato sta installando un regime di vigilanza all’interno delle scuole. I genitori invece hanno paura di protestare perché possono essere denunciati ai servizi sociali di “protezione” dei minori. Quindi, oggi posso dire che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, ma la lobby Lgbt mi può accusare di essere omofoba e non inclusiva. Fortunatamente, l’insegnamento della Chiesa non è cambiato e ci sono ancora molti sacerdoti che mi invitano a tenere conferenze sull’ideologia di genere. Di solito parlo della teologia del corpo, poiché credo che sia la risposta perfetta al gender. Abbiamo un’associazione il cui obiettivo è la promozione della teologia del corpo e organizziamo corsi su questa e sull’ideologia di genere. Ma se vogliamo parlare liberamente, dobbiamo controllare chi c’è tra il pubblico. La libertà di pensiero e di parola in Portogallo sta scomparendo ogni giorno di più. Ma facciamo fatica a capire che dobbiamo imparare a vivere in una modalità di “resistenza”. Ogni volta che si esprime un’opinione che non è politicamente corretta, si diventa vittime del

bullismo dei giornalisti, nei talk show, dove tutto quello che pensiamo è collegato a bigotteria religiosa senza base scientifica e con scarsa intelligenza. 

Quando hanno scoperto che sono anche pro vita, il biasimo e il massacro mediatico è divenuto ancor più pesante.

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In Cineteca

Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.

Baloon Il vento della libertà Titolo: Ballon Produzione: Germania Regia: Michael Herbig Durata: 125 min. Genere: Drammatico, storico Trentamila sventurati cercarono di fuggire dal “paradiso” comunista della Germania Est, dalla Repubblica Democratica Tedesca. Moltissimi furono uccisi nel tentativo di superare il Muro di Berlino o di passare il confine altrove, tanti altri furono presi e condannati come traditori. Tra le tante avventure del popolo tedesco in cerca di libertà, alcune anche a lieto fine, il regista Michael Herbig racconta le vicende di due famigliole, gli Strelzyk e i Wetzel, che cercano di scappare ad Ovest con una mongolfiera. Comprano metri e metri di stoffa nei negozi più disparati per non destare sospetti e li cuciono disperatamente a macchina. La Turingia, dove essi vivono, è nel sud della DDR: devono aspettare perciò il vento favorevole per tentare l’impresa. E alla fine parte solo una delle due famiglie. Ma il primo tentativo non riesce, il pallone precipita, loro sono salvi, ma la Stasi (la polizia segreta) è sulle loro tracce: bisogna cucire un nuovo pallone, prima che riesca a rintracciarli. Gli eventi incalzano con una suspense mozzafiato. Non vogliamo dire come va a finire, né dare troppi altri dettagli sulla trama. Il film ha una rilevante valenza storica, perché

mostra in modo molto realistico la vita quotidiana sotto la dittatura. Ci insegna ad apprezzare le nostre libertà, che noi diamo spesso per scontate. L’argomento - è vero - non è strettamente bioetico, ma nei tempi in cui c’è il mito dell’autodeterminazione, invocata spesso a sproposito per giustificare azioni quanto mai illiberali, come l’aborto o l’eutanasia, riflettere sulla libertà non fa male. Ed è altresì molto utile considerare come agiva lo Stato totalitario, come era presente - per esempio attraverso la scuola nella vita privata dei cittadini: la storia serve a non dimenticare gli errori del passato e a saper giudicare in modo critico la realtà attuale. 


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In biblioteca Umano, solo umano Il mistero del linguaggio Francesco Avanzini Fede & Cultura

Guida bioetica per terrestri - Da Fulton Sheen al cybersesso Giulia Bovassi Uomo Vivo

Francesco Avanzini, foniatra di fama internazionale oltre che otorino all’ospedale di Bolzano, conosce le corde vocali come pochi. Ha curato la voce di grandi cantanti lirici. Recentemente ha pubblicato il suo primo libro che tratta il mistero del linguaggio umano, interrogandosi sulla sua unicità. Nel testo, sintetizza il lavoro di secoli di studi sulla comunicazione, con l’ausilio di celebri linguisti, filosofi, antropologi, citati in una bibliografia sterminata. È un libro rivolto a tutti, perché il tema del linguaggio è certamente quello più dibattuto dalla scienza e alla fine sottopone al lettore una serie di grandi interrogativi anziché risposte calate dall’alto. 

Un testo adatto a tutti, anche ai non addetti ai lavori, che serve a orientarsi, a far chiarezza e a sviscerare dilemmi che appartengono a tutte le persone, ma che spesso si tende a non voler affrontare, vista la loro complessità. Nella prima parte l’Autrice, filosofa e bioeticista, aiuta a riflettere sull’affettività, la famiglia e la sessualità riscoprendo la profondità provocatoria del pensiero dell’arcivescovo Fulton Sheen, noto telepredicatore statunitense; nella seconda parte entra nel merito delle principali e più attuali macro-tematiche bioetiche (contraccezione, aborto, fecondazione, etc.), fornendo i criteri per un sano discernimento morale. 


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Diretto da Maurizio Belpietro


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