NPVF n. 87_ luglio 2020_ libertà

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(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)

POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

«LIBERTÀ VO CERCANDO CH’È SÌ CARA»

ANNO VIII LUGLIO - AGOSTO 2020 RIVISTA MENSILE N. 87

P. 20

P. 28

P. 38

Tommaso Scandroglio

Enrica Perucchietti

Silvana De Mari

La vera libertà

Covid-1984

Felicemente schiavi del Gafa


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Notizie Pro Vita & Famiglia

La (vera) libertà ci è molto cara e merita la stessa tutela che dobbiamo alla vita, con la quale essa, se è vera libertà, mai si pone in contrasto.


luglio - agosto 2020

Editoriale

La libertà è nella natura dell’uomo che, dotato

stessa tutela che dobbiamo alla vita, con la

di libero arbitrio, scegliendo il bene realizza

quale essa, se è vera libertà, mai si pone in

pienamente se stesso (nell’Amore del Padre,

contrasto.

aggiungo io, da credente).

«Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa

Il verso di Dante riportato in copertina

chi per lei vita rifiuta» (Dante, Purg. II, 71) è

ci è quindi sembrato idoneo a intitolare questo numero della nostra Rivista dedicato principalmente a riflettere sulla libertà, e in particolare sulla libertà dallo Stato che oggi sembra sempre più messa in discussione dalla cultura positivista e dal totalitarismo strisciante, mascherato da democrazia, nel quale è calata la civiltà occidentale (un tempo culla della democrazia stessa). Tendenza illiberale che è affiorata in modo particolarmente evidente all’epoca del cosiddetto lockdown, necessario - per certi versi - per affrontare la pandemia. La (vera) libertà ci è molto cara e merita la

una frase di Catone Uticense, morto suicida. Sappiamo bene che Dante considera il suicidio un peccato più grave dell’omicidio, eppure il suo Catone è guardiano del Purgatorio, quindi destinato alla gioia eterna. Perché? Perché ha preferito la morte piuttosto che rinunciare alla libertà. È salvo per le sue qualità morali (osannate anche dai grandi classici) e diventa un esempio per tutte le anime, come simbolo della libertà dal peccato che i penitenti cercano. Perché il Catone di Dante prefigura il sacrificio di Cristo che ha reso agli uomini proprio quella libertà - dal peccato e dalla morte - perduta con il cattivo uso del libero arbitrio. 

Toni Brandi

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Sommario 3

Editoriale

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Lo sapevi che...

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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

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Versi per la vita Silvio Ghielmi

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La cultura della vita e della famiglia in azione

Vuoi ricevere anche tu, comodamente a casa, Notizie Pro Vita & Famiglia (11 numeri) e contribuire così a sostenere la cultura della vita e della famiglia? Invia il tuo contributo: € 20,00 studente/disoccupato € 30,00 ordinario € 60,00 sostenitore € 100,00 benefattore € 250,00 patrocinatore

Un dono per la vita p. 10

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luglio - agosto 2020

Persona e famiglia Davvero è solo umano?

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Toni Brandi

Crisi matrimoniali... per crescere

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Giulia Tanel

Libertà e democrazia Democrazia formale e sostanziale

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Francesca Romana Poleggi

La vera libertà

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Tommaso Scandroglio

La psiche senza libertà

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Roberto Marchesini

Covid-1984

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Enrica Perucchietti

La tecnologia al servizio del totalitarismo

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Andrea Ingegneri

Felicemente schiavi del Gafa

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RIVISTA MENSILE N. 87 — Anno VIII Luglio-Agosto 2020 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi

Silvana De Mari

Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l.

Diritto naturale e diritto positivo (Parte I/III)

Tipografia

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Luciano Leone

In cineteca In biblioteca

Distribuzione Caliari Legatoria

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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Toni Brandi, Silvana De Mari, Silvio Ghielmi, Andrea Ingegneri, Luciano Leone, Roberto Marchesini, Enrica Perucchietti, Francesca Romana Poleggi, Tommaso Scandroglio, Giulia Tanel, Salvatore Tropea.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Lo sapevi che... Covid-19: arriveranno anche le Guardie Rosse, in Francia? In Francia il lockdown è durato meno che in Italia, e già a metà maggio gli studenti sono tornati in aula. Ad attenderli c’era però una sorpresa: la pubblicazione di due documenti, uno dei quali si intitola: Covid19 e rischi di devianza settaria. Esso si concentra nello specifico su «ciò che i giovani possono aver sentito a casa durante le nove settimane in cui erano liberi dall’influenza dell’istruzione statale» e pare che già l’agenzia ufficiale (Miviludes) incaricata di supervisionare la “devianza set-

taria” abbia ricevuto decine di relazioni a riguardo dagli insegnanti. Chissà se l’ispirazione al governo Macron è stata data dalle pratiche in voga in Paesi come l’Urss, la Cina o la Cambogia dove il regime attraverso l’osservazione a scuola dei bambini individua le famiglie non allineate da perseguitare. Chissà se si insegnerà anche ai bambini francesi a denunciare i genitori “dissidenti”. 

Ungheria pro life… perché pro family È possibile per lo Stato attuare politiche a sostegno della natalità? E come? La risposta a questi quesiti arriva dai dati concreti raccolti in Ungheria: nel gennaio 2020, infatti, nel Paese il tasso di natalità è cresciuto del 9,4% rispetto al gennaio 2019, con un aumento dall’1,4 all’1,6 del numero dei figli per donna. Si tratta di dati importanti, che sono il frutto di circa un decennio

Dal porno all’aborto Nel mondo odierno la visione che si ha della sessualità è quella di un mero «esercizio fisico», per dirla con la sessuologa belga Thérèse Hargot, atto esclusivamente a provare piacere (spesso egoisticamente, in solitudine o comunque senza pensare al partner). Il legame tra sessualità e procreazione, insito nella fisiologia, è stato infatti spezzato per lo meno dagli anni Sessanta. In tale ottica, sorprende fino a un certo punto la notizia per cui l’organizzazione abortista Marie Stopes International avrebbe ricevuto, a partire dal 1995, ben 7,5 milioni di sterline da Phil Harvey, magnate del porno e della vendita di articoli erotici: quel che conta è il piacere del momento, senza vincoli di responsabilità e senza preoccuparsi di rispettare la dignità delle singole persone (donne, uomini o bambini che siano). 

di ingenti investimenti economici e socio-culturali da parte del governo: ci è voluto del tempo, com’è naturale che sia, ma la perseveranza è stata ripagata. Un dato, a supporto, non va ignorato: l’aumento delle nascite è diretta conseguenza dell’aumento dei matrimoni, legami stabili che aprono alla fecondità. 


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A Dio, Birthe All’età di 92 anni, mercoledì 6 maggio, è spirata Birthe Bringsted, moglie del genetista cattolico francese Jérôme Lejeune. Questa brillante figura pro life, oggi servo di Dio, ha il merito di aver scoperto l’alterazione alla base della “Sindrome di Down”: una mutazione di ordine quantitativo (e non qualitativo!) a livello del quarantasettesimo cromosoma, che risulta essere morfologicamente identico agli elementi del ventunesimo paio.

Birthe era da tempo malata di cancro, ma nonostante questo non aveva mai smesso di portare avanti l’opera in difesa della verità sulla vita umana cominciata dal marito, innanzitutto ricoprendo il ruolo di vicepresidente della Fondazione Jérôme Lejeune, ma anche in qualità di membro della Pontificia Accademia per la Vita, del Pontificio Consiglio per la Salute e di cavaliere della Legion d’onore.

Sorpresa: i maschi nelle carceri femminili abusano delle donne I carcerati che un bel giorno si svegliano dicendo di sentirsi donne vengono trasferiti nelle prigioni femminili: questo accade in Paesi come il Canada e il Regno Unito (ma non solo), dove certamente le autorità non vogliono sentirsi accusare di transfobia. Poi i giornali riportano numerosi episodi di violenza sessuale da parte dei trans (che - ricordiamo - possono sentirsi donne pur conservando genitali maschili) sulle donne vere con cui sono reclusi. David Thompson, per

esempio, era stato condannato per violenza sessuale su donne e bambini e per aver aggredito un anziano vicino con un coltello. Cambiato nome in Karen White, appena trasferito in una prigione femminile ha aggredito sessualmente due detenute. In Inghilterra, i detenuti transgender rappresentano circa l’1% della popolazione carceraria femminile, ma sono responsabili ben del 5,6% delle aggressioni sessuali (denunciate). 

L’Onu vuole abolire “marito” e “moglie” Attenti a dire «fidanzato» o «fidanzata»: meglio optare per «partner». E soprattutto, meglio mandare in soffitta i vetusti «marito» e «moglie», in favore del neutro e politicamente corretto «spos*». Sono le nuove raccomandazioni lessicali dell’Onu, contenute in una sorta di decalogo linguistico antidiscriminatorio per propiziare un mondo più equo e meno sessista. D’altro canto, sappiamo bene che già da tempo si tende

ad abolire «padre» e «madre», in favore di «genitore 1 e 2». Tuttavia, come insegna George Orwell, il linguaggio è importante: cancellando certe parole si va progressivamente cancellando anche il concetto di differenza sessuale e - alla fine - sarà cancellata del tutto l’idea di famiglia. Ciascuno di noi deve impegnarsi in prima persona per non cedere a queste cose, che potrebbero presto diventare delle (pericolose) mode. 

Politiche pro famiglia in Veneto Manuela Lanzarin, assessore alla sanità e ai servizi sociali del Veneto, annuncia l’approvazione in consiglio regionale degli «Interventi a sostegno della famiglia e della natalità». «Da oggi il Veneto», ha affermato, «ha la sua prima legge quadro per la famiglia. Giunta e Consiglio hanno ora l’impegno codificato a orientare scelte e interventi concreti a tutela del valore sociale della natalità e della genitorialità». Quasi 10 milioni di

euro saranno, così, investiti a sostegno delle famiglie, per il primo anno di attuazione. Previsti un «assegno di natalità per le future mamme, già dai primi mesi di gravidanza» e la «sperimentazione della gratuità dei servizi di nido per le coppie meno abbienti». Una politica che tutela la famiglia è veramente a servizio del Paese, perché sostiene il cuore della società e investe sul domani: i bambini. 


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Cara Redazione, grazie per quanto fate. Spiace comunque constatare che la nostra società si muove sul confine di un'ipocrisia imperdonabile. Prima condanniamo i nostri genitori alla solitudine in quei luoghi che sono prodromi della morte, e poi versiamo lacrime perchè se ne sono andati senza dar loro un saluto. Colgo un’inaccettabile e disumana protervia nelle attuali esternazioni. Il vecchio è bandito, intollerato, fastidioso. La pubblicità stessa li propone sempre con l'immagine di una vitalità e di una giovanilità che è ormai trascorsa, spudoratamente e vergognosamente utilizzata per veicolare la vendita di adesivi per dentiera, pillole per l'incontinenza e marchingegni vari per la deambulazione. A ragione Carlo M. Cipolla può tristemente constatare: «Un vecchio nella società agricola è il saggio, in quella industriale un relitto». Da qui la disperazione. Adesso siamo incamminati a tappe forzate verso la selezione, garantita da un ordine palesemente acristiano. E ancora ci professiamo cattolici. Ancora frequentiamo le chiese. Ma diamine, che ne è di tuo padre? Che ne è di tua madre? Quando recitiamo il Padre nostro, diceva l'Abbé Pierre: «Perchè non ascoltiamo anche la Sua risposta: “Che ne è di tuo fratello?"». Ecco: che ne è dei tuoi genitori? Non mancherò di sostenere Pro Vita & Famiglia. E che Nostro Signore Gesù Cristo abbia pietà di noi. Cordialmente. Giuseppe


luglio - agosto 2020

Versi per la vita GIUSTIZIARE Un giorno benedetto si decise, non solo di alleviar le tanto invise torture, ma levar pena di morte, che si chiamava, appunto, giustiziare. Era un concetto saldo di giustizia, deciso a troncamento di malizia (delitti, corruzione e malaffare) di certo presuntuoso dottorame, che pure fece una Colonna infame. Poi sopravvenne, per cattiva sorte, nuovo motivo a procurar la morte. Ed era il salvamento del pianeta, levando quella ignobile e inquieta specie contaminante e sue contorte operazioni dette di progresso. Guardate, o gente, quello ch’è successo: fu scelto il satanissimo processo, di eliminare il piccolo e innocente in un silenzio oscuro e permanente.

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Salvatore Tropea Mentre andiamo in stampa stiamo ancora rispondendo alle richieste di aiuto che ci provengono da ogni parte d’Italia, i responsabili dei nostri circoli ci riferiscono delle situazioni critiche che si vengono a creare nelle famiglie e nelle comunità dove non solo e non tanto scarseggiano le mascherine e i guanti monouso, ma soprattutto scarseggiano i mezzi per comprare anche beni di prima necessità. È continuata quindi la nostra campagna #AttiviamociPerIlBeneComune. L’8 maggio, inoltre, abbiamo avuto occasione di realizzare la quarta edizione di Un dono per la vita.

In collaborazione con alcune realtà locali (Comuni, Municipi, parrocchie e associazioni), mediante il sostegno economico e la messa a disposizione dei nostri circoli territoriali, abbiamo continuato ad aiutare concretamente le persone che a causa della pandemia Covid-19 si sono trovate in situazioni di bisogno: famiglie indigenti che avevano bisogno di beni di prima necessità, anziani che non possono muoversi per comprare medicine o per fare la spesa, persone con invalidità che hanno bisogno di assistenza; e abbiamo continuato a distribuire mascherine e guanti. Le richieste continuano ad arrivare in quantità impressionante, da ogni parte e senza tregua. E sono sempre di più quelle tese a far fronte a situazioni di vera povertà. Abbiamo risposto e continueremo a rispondere, impiegando tutte le nostre risorse (e anche di più!), finché la Provvidenza e in nostri sostenitori ci forniranno i mezzi. Eccovi alcuni esempi. A Firenze abbiamo donato centinaia di mascherine e guanti alla Parrocchia Beata

Vergine Maria delle Grazie all’Isolotto, alla Parrocchia San Lorenzo a Ponte a Greve, alle sorelle apostole della Consolata e alla Parrocchia Santa Maria a Novoli. Abbiamo inviato un sostanziale aiuto economico alla comunità del sacerdote fiorentino don Maurizio Pallù, che venne rapito in Nigeria. Don Pallù si occupa di aiutare anziani, bambini e malati sia in Italia che in Nigeria. Abbiamo spedito quasi mille mascherine alle parrocchie di San Bartolomeo in Tuto e al seminario Redemptoris Mater presso il Centro S. Anna a Scandicci ed alla Casa di riposo del Sacro Cuore di Gesù a Viareggio. Per la Festa della Mamma, nella riserva naturale laurentina dell’Acqua Acetosa, a Roma, è stata organizzata dal nostro circolo una giornata (mantenendo le dovute distanze e in sicurezza) per la donazione di kit con guanti, mascherine, generi di prima necessità e una statuina della Madonna a circa 30 famiglie bisognose. Sempre a Roma, sono state donati guanti all’Associazione Gocce Verdi, che si occupa di distribuirli agli anziani,


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Nuoro

Asti

Lamezia Terme

Reggio Calabria

alla parrocchia SS. Martiri dell'Uganda e a quella della Santissima Trinità dei Pellegrini. A Genova abbiamo donato centinaia di mascherine alla Figlie di San Giuseppe, per i poveri che ogni giorno accudiscono. Svariate centinaia di mascherine sono state donate in Sardegna: al Comune di Norbello (OR), alla comunità terapeutico-riabilitativa Santa Caterina, alla casa di riposo Angelino Licheri di Ghilarza (OR) e al centro anziani Sas de Eliasi di Sedilo (OR). Altre mascherine ce le hanno chieste la Casa della Carità di Correggio (RE) che si occupa di disabili, la casa di riposo “Il Giardino di Ninetta” ad Oratino (CB) e varie parrocchie, enti e associazioni di Frosinone. A Reggio Calabria, abbiamo donato le mascherine alle Suore Francescane Alcantarine presso il centro di ascolto “Mons. Italo Calabrò”, all’hospice Fondazione Via delle Stelle (U.O. Cure Palliative), e al Cav. Hanno ricevuto le nostre mascherine anche

Schio

Alba

gli ospiti del consultorio familiare Il Girasole di Venafra (IS), i disabili della fondazione Don Mario Campidori “Simpatia e Amicizia” di Bortolani (BO), varie parrocchie di Pieve Emanuele (MI), il centro Don Orione di Venezia, l’istituto Palazzolo di Rosà (VI) Abbiamo inoltre portato mascherine e guanti alla Chiesa di San Giacomo di Pesaro, alle Suore Consolatrici del Sacro Cuore di Vigne (TR), alla fondazione Piccola Opera Charitas di Giulianova (TE) e all’istituto Don Orione di Pescara. Un dono per la vita La quarta edizione di “Un dono per la Vita” si è tenuta presso la nostra sede di Roma, l’8 maggio, a ridosso della Festa della Mamma: abbiamo donato passeggini, culle, pannolini, ciucci e biberon a undici mamme che stanno affrontando o hanno affrontato una gravidanza e che versano in difficoltà economiche e non solo.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Linguaggio, parte dell’anima Toni Brandi

Qualche domanda a Francesco Avanzini, medico e foniatra, che ha pubblicato, con Fede & Cultura, Umano solo umano – il mistero del linguaggio umano

Dottor Avanzini, quali sono i temi trattati nel libro? «Il libro tratta ad ampio raggio vari argomenti: dal tema della comunicazione del mondo vivente intesa in senso generale, dagli insetti ai primati non umani, fino agli innumerevoli risvolti della comunicazione umana, prendendo in considerazione l’aspetto scientifico, antropologico e filosofico. La mia convinzione è che solo da un’alleanza delle scienze empiriche con le scienze umane si possa tentare di dare una risposta a questo enigma che ci rende unici. Chissà: forse solo l’uomo ha il linguaggio, perché solo l’uomo ha un’anima immortale». Perché, il linguaggio è un mistero? «Il linguaggio, che rappresenta la facoltà umana che forse utilizziamo maggiormente durante le nostre giornate, per la scienza rimane ancora un grande mistero. A più di 150 anni dalla nascita della linguistica, e nonostante l’apporto di numerose altre branche del sapere, tuttora la scienza

Il linguaggio verbo-vocale, cioè quello emesso con la voce e che si esprime attraverso parole e frasi, è ciò che rende l’uomo unico e nettamente diverso dagli animali.


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Il linguaggio umano eccede la materialità ma ha a che fare con l’attività spirituale, al pari del pensiero logico, della creatività e del senso religioso.

non riesce a spiegare in maniera esaustiva questa straordinaria abilità. Il linguaggio verbo-vocale, cioè quello emesso con la voce e che si esprime attraverso parole e frasi, è ciò che rende l’uomo unico e nettamente diverso dagli animali. I ricercatori tuttora si interrogano sulle modalità, sull’epoca di comparsa e sul perché a un certo punto sia emersa questa capacità che ci contraddistingue in modo così netto da tutti gli altri esseri viventi. Allora l’interrogativo diventa più stringente fino a lambire il mistero stesso della vita e della comparsa dell’uomo sulla terra. “Umano solo umano”, dunque, sta a significare che proprio il linguaggio costituisce una caratteristica unica e peculiare dell’uomo». Allora l’uomo non è un animale come gli altri, solo più evoluto? «Una parte consistente e influente di studiosi sostiene tuttora che l’uomo non sia altro che un animale più evoluto, così anche quella unica facoltà rappresentata dal linguaggio sarebbe dovuta a differenze unicamente quantitative rispetto agli altri animali. Il libro vuole invece dimostrare come il linguaggio

sia, nella sua vera essenza, un prodotto non unicamente dovuto a una dotazione maggiore e più sofisticata di strutture e funzioni che lo rendono possibile, ma espressione di qualcosa che eccede la materialità e che ha a che fare con l’attività spirituale, al pari del pensiero logico, della creatività e del senso religioso». Del resto la propaganda animalista - darwinista vuole ridimensionare la superiorità dell’uomo rispetto agli animali e a scuola o nei documentari in Tv api, formiche, delfini, orche o scimmie sono presentati come animali con straordinaria capacità di comunicare... «La comunicazione animale e quella umana possiedono diverse caratteristiche fondamentali che si devono considerare. La comunicazione animale è di tipo biologicoistintuale, pre-determinata dal genoma, asservita alla riproduzione/conservazione, ripetitiva, senza creatività. La comunicazione umana, invece, è di tipo bio-psicologico, è determinata dal genoma ma anche dall’apprendimento, è ad alto grado di sofisticazione; presuppone interazione sociale e cooperazione, si avvale della creatività, è multimodale e multicanale». 

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Crisi matrimoniali... per crescere Giulia Tanel

Medico, neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta e apprezzata divulgatrice in materia di famiglia, Mariolina Ceriotti Migliarese ha appena dato alle stampe un altro libro: Risposami – Crisi & rinascita della coppia. Pro Vita & Famiglia l'ha intervistata Dottoressa, con Risposami – Crisi & rinascita della coppia torna a parlare di matrimonio e lo fa rivolgendosi a coppie che hanno già condiviso un tratto più o meno lungo di vita assieme. È una scelta dettata dalla percezione di un bisogno sempre più marcato negli sposi di oggi? «Quello che mi sembra sempre più evidente è la profonda contraddizione che esiste tra i progetti e le aspettative legittime di felicità sempre presenti

«La crisi del matrimonio porta in sé la grande opportunità di farsi nuove domande».


luglio - agosto 2020

nelle coppie, e le concrete difficoltà che si incontrano per realizzarli. Anche se forse non è espresso con queste parole, si vive oggi in modo diffuso l’idea che sia umanamente impossibile stare insieme per tutta la vita, senza che questo si riduca nel migliore dei casi a una reciproca e rassegnata sopportazione. La crisi del matrimonio porta però in sé la grande opportunità di farsi nuove domande, che ci aiutino a leggere in modo più consapevole qual è il vero significato di questo rapporto così speciale; questo ci permetterà di capire come viverlo perché si mantenga sempre vitale e ricco, come tutti desideriamo». Andiamo con ordine: all’inizio c’è l’innamoramento, contraddistinto dall’idealizzazione dell’altro e dalla sopraffazione delle emozioni. Questa fase, destinata a terminare presto, viene spesso oggigiorno assolutizzata e tanti matrimoni finiscono perché «non provo più nulla per lui/lei». Come si può invece reagire in maniera costruttiva al disincanto rispetto alla persona che si ha a fianco?

Mariolina Ceriotti Migliarese

«La coppia sana e vitale è sempre una coppia generativa: genera progetti, idee, vita. E, se tutto va bene, genera figli»

«L’innamoramento è una fase bellissima e fondante della relazione, che ci permette di cogliere in modo speciale l’unicità dell’altro per noi. Le persone innamorate sentono sfumare distanze e differenze, e sono portate a enfatizzare gli aspetti positivi dell’altro minimizzando quelli meno soddisfacenti. La vita insieme, però, mette davanti alla profondità delle nostre differenze, che risultano decisamente più faticose di quanto avevamo immaginato o previsto; ci troviamo così a dover negoziare una grande quantità di cose, soprattutto oggi che non ci sono più nella coppia ruoli e compiti già codificati. Il passaggio-chiave consiste nel riconoscere che la differenza è qualcosa di positivo e di legittimo: ognuno dei due deve regalare all’altro la libertà di essere se stesso, con pensieri, desideri e progetti propri, che vanno anche al di là della relazione. Si tratta di costruire e approfondire nel tempo una vera amicizia: passione e amicizia, nella coppia, possono e devono tenersi per mano».

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Per ogni coppia che si pone come obiettivo quotidiano quello di dare vita a un “noi” con un’identità specifica e di legittimare la nascita di una “nuova famiglia”, dei periodi più faticosi sono in sé inevitabili. Perché è tuttavia importante non trascurare i momenti di crisi? «La differenza porta con sé la difficoltà nel capirsi: per questo le crisi sono inevitabili; piccole e grandi incomprensioni sono all’ordine del giorno nella vita di ogni coppia “normale”. Si tratta però di non sottovalutare la fatica. Può succedere che, per una malintesa idea di quieto vivere, per paura, per pigrizia o per sfiducia, marito e moglie accettino le difficoltà e le incomprensioni che si presentano senza attribuire loro il giusto peso e il giusto significato. Spesso questo accade in buona fede: a volte per timore del conflitto, altre volte perché si teme che parlare all’altro del proprio scontento e della propria fatica possa peggiorare le cose. Così si aspetta che tutto si risolva da sé. Ma ciò che accade in questi casi è che poco alla volta ciascuno “fissa” la propria posizione, scollegandosi dall’altro e cercando soluzioni individuali ai problemi e alle insoddisfazioni. Tra crisi “fisiologiche” e crisi “patologiche” non c’è una vera discontinuità: le situazioni più gravi nascono quasi sempre dal non aver compreso come far fronte alle piccole criticità quotidiane, lasciandole cronicizzare». Qual è la sfida del matrimonio che, dal suo osservatorio, risulta oggi essere più impegnativa? «La sfida di oggi è prima di tutto quella di capire il matrimonio: capire che è, appunto, una grande avventura relazionale; avere il coraggio di lasciare le storie a termine, che sono piacevoli e ci danno un ritorno certo sul piano narcisistico, per credere che è possibile investire in una storia grande. La sfida è credere che ne vale la pena. La sfida è non mollare alle prime difficoltà, investire pensieri ed energie per coltivare il rapporto con l’altro. La sfida è capire che il matrimonio ben compreso e ben vissuto è un luogo di libertà. La sfida è lavorare giorno dopo giorno perché sia così».

E i figli? Da un lato rappresentano uno tsunami all’interno della coppia, dall’altro conferiscono alla relazione quello che lei definisce un «valore oggettivo»… «La coppia sana e vitale è sempre una coppia generativa: genera progetti, idee, vita. E, se tutto va bene, genera figli, che sono la più alta espressione incarnata di creatività possibile all’uomo. I figli sono un “di più”, un “al di là”: sono un bene oggettivo, che origina dall’incontro dell’uomo e della donna, ma non appartiene né all’uno, né all’altra. Ciò che nasce


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«La sfida di oggi è prima di tutto quella di capire il matrimonio: capire che è, appunto, una grande avventura relazionale».

gratuito. Con il passare degli anni impariamo a conoscere l’altro come nessuno può conoscerlo, nei suoi pregi e nei suoi limiti: lo vediamo, per così dire, anche “di spalle”, come nemmeno lui si vede. E possiamo imparare ad amarlo per quello che è: possiamo passare dall’avere “bisogno di lui/lei”, all’essere veri alleati della sua vita. Possiamo imparare a dire: so chi sei, conosco ora anche le tue fragilità, ma continuo a volerti con me. Ti rinnovo il dono gratuito della mia fiducia e faccio il tifo affinché tu compia la vocazione per cui sei nato. Questo significa entrare in un “secondo matrimonio”: quello in cui la parola chiave non è complementarietà, bensì alleanza». Alla luce di quanto detto, appare evidente che per Lei il “per sempre” di una coppia è (ancora) possibile. Quale importanza riveste, in quest’ottica, la dimensione del perdono?

dalla vera creatività è fatto per vivere di vita propria, e i figli non fanno eccezione: ci è dato il grande dono di poterli mettere al mondo e di partecipare alla loro crescita, ma dobbiamo viverli sempre come se ci fossero affidati: per amarli e lasciarli andare». Nel suo libro parla di «secondo matrimonio»: che cosa intende con questa definizione? «Il matrimonio è, per definizione, una storia d’amore lunga tutta la vita; inizia con una promessa, e questa promessa è fondata su una fiducia che è, a tutti gli effetti, un dono

«Il perdono è una dimensione essenziale della vita di relazione, e diventa tanto più essenziale quanto più la relazione è di prossimità. Se viviamo insieme dobbiamo perdonarci l’un l’altro giorno dopo giorno per il fatto stesso di essere inevitabilmente limitati, fragili, imperfetti. Il perdono, se è autentico, è una delle più alte capacità psicologiche dell’essere umano; richiede la capacità di riconoscerci per primi un po’ deludenti per l’altro. Richiede una forte capacità empatica. Richiede ottimismo. Richiede disponibilità a ri-donare fiducia. Non è certo una cosa facile o spontanea: è piuttosto qualcosa che si può imparare poco alla volta, se si crede che ne valga veramente la pena». Un’ultima domanda, a risposta secca: esiste “la persona giusta”, con la quale tutto risulterà sempre facile, oppure amare un “tu” diverso da noi è, in fondo, una scelta da compiere giorno per giorno? «Buona la seconda. Colui che continui a scegliere giorno dopo giorno è, e diventerà sempre di più, “la persona giusta”». 

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Democrazia formale e sostanziale Democrazia è una parola che riempie molte bocche e che spesso è usata davvero a sproposito

La democrazia è solo una forma vuota, se non si accompagna al riconoscimento dei diritti naturali dei singoli e delle formazioni sociali, al riconoscimento della pari dignità sociale di ogni essere umano, alla tutela delle categorie socialmente più deboli.

Francesca Romana Poleggi

Perché uno Stato sia davvero una democrazia, non basta che si tengano periodicamente libere elezioni a suffragio universale. Se l’ordinamento giuridico non riconosce i diritti delle formazioni sociali, come la famiglia innanzitutto, e non riconosce la libertà di associarsi (in partiti politici, per esempio), la democrazia è solo formale, finta. Se lo Stato non si impegna a «rimuovere gli ostacoli che [...] impediscono lo sviluppo della persona umana» come recita l’art. 3, II comma, della nostra Costituzione, e quindi non si impegna concretamente nel sociale a tutelare le categorie più deboli, non sarà garantito il rispetto della «pari dignità» (art. 3, I comma) di tutti, e quindi il rispetto del principio di uguaglianza sostanziale. E infatti, che senso avrebbe una “democrazia” dove «tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», come insegna La fattoria degli animali di George Orwell? Ma ancora non basta. Perché alla base di tutto ci vuole uno Stato che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2): la vita, innanzitutto; subito dopo la libertà (libertà di religione, libertà di crescere ed educare i propri figli…). Ciò è necessario non solo per la somma dignità di ogni essere umano, a prescindere da qualsiasi attributo, ma anche perché il “riconoscere” presuppone la preesistenza di certi diritti rispetto allo Stato. Come si potrà approfondire leggendo l’articolo a p. 44, certi diritti, i famosi diritti umani, che la nostra Costituzione definisce «inviolabili», sono protetti dalla legge naturale, la legge inscritta nella natura umana, immutabile ed eterna.


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palesemente lesive del principio di uguaglianza e dei diritti inviolabili di soggetti socialmente più deboli, come l’aiuto al suicidio.

Legge che fornisce il metro per giudicare se le norme statuali sono giuste o ingiuste. Se lo Stato non riconosce questa legge naturale come preordinata alle norme positive, se - coerentemente - non riconosce il diritto all’obiezione di coscienza (che presuppone l’eventualità che lo Stato possa emanare una legge intrinsecamente ingiusta), la democrazia è solo una farsa e il potere dello Stato è oggettivamente illimitato. Certo: il Parlamento deve legiferare entro i limiti della Costituzione. Ma - a differenza della legge naturale - la Costituzione si può cambiare e si può interpretare, come mostrano le sentenze della Corte Costituzionale che smontano interi apparati normativi, sdoganano leggi oggettivamente inique, come la 194 del 1978 che ha legalizzato l’aborto, o pratiche

Ecco, quindi, come una «Repubblica democratica fondata sul lavoro» (art. 1) può in sostanza essere una democrazia solo formale e rivelarsi uno Stato totalitario, uno Stato in cui l’oligarchia al potere (che sia eletta o no a questo punto è del tutto secondario) può ledere le libertà fondamentali dei cittadini attraverso le leggi, o addirittura i Dpcm, atti amministrativi che non potevano derogare neanche alle leggi, e che invece hanno sospeso di fatto la Costituzione. Uno Stato “etico”, in quanto si arroga il potere di stabilire ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, tutelerà solo i diritti che gli garbano, inventando anche “diritti umani” inesistenti (per esempio il diritto ad abortire, il diritto ad avere un figlio...), si preoccuperà di garantire solo certe categorie di individui (per esempio i gay o gli stranieri), lasciando che ne vengano abusati e annichiliti altri, come per esempio i bambini, a cominciare da quelli piccoli piccoli che sono nel grembo materno, che non si vedono e non protestano. E presto, se per disgrazia fosse approvata la legge contro l’omo-transfobia, comincerà a limitare pesantemente anche la libertà di manifestazione del pensiero.

Lo Stato formalmente democratico è sostanzialmente totalitario, se non riconosce la legge naturale e l’obiezione di coscienza e se pretende di decidere per legge cosa sia bene e cosa sia male (Stato “etico”).

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La vera libertà Tommaso Scandroglio

La concezione libertaria, radicale della libertà si contrappone alla concezione fondata sul personalismo ontologico

Libertà da... La libertà da è quella che ha più caratterizzato gli anni dal famigerato Sessantotto a oggi. Liberarsi dall’autorità: ecco la ribellione contro Dio con il secolarismo, contro i genitori (in specie il padre), contro la Chiesa e lo Stato. Liberarsi dalla famiglia: ecco il divorzio. Liberarsi dal figlio: ecco l’aborto e la contraccezione. Liberarsi dalle convenzioni sessuali: ecco il sesso libero o il nomadismo sessuale. Liberarsi dalla sterilità: ecco la fecondazione artificiale. Liberarsi dal dolore: ecco l’eutanasia. Liberarsi da un certo orientamento sessuale e dalla propria identità sessuale: ecco la teoria del gender. Liberarsi dalle malattie: ecco la sperimentazione sugli embrioni. Si tratta dunque di un’accezione del termine “libertà” di carattere negativo, perché si vuole togliere, sottrarre qualcosa dalla propria vita qualificata come un male. Come il Lettore avrà notato, alcune realtà che si vogliono buttare nel cestino sono in sé positive - Dio, i genitori, la Chiesa, lo Stato, la famiglia, il figlio, l’orientamento sessuale e l’identità sessuale - altre invece di per se stesse sono negative - alcune convenzioni sociali deteriori, le malattie, il dolore, la sterilità. Se per le prime dobbiamo dire che è sbagliato disfarsene, per le seconde occorre precisare che, per esempio, è sì bene

Il libero arbitrio è quella facoltà dell’uomo che gli permette di orientarsi verso il bene o verso il male: se sceglie il bene, il libero arbitrio diventa libertà, se sceglie il male, diventa schiavitù.


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combattere malattie e dolore, ma con i giusti mezzi, ossia con condotte moralmente buone (esempio: curando le patologie), non scegliendo azioni malvagie, come la sperimentazione sugli embrioni e l’eutanasia. Libertà per... In realtà dietro o prima di ogni libertà da esiste una libertà per, una libertà positiva. Per esempio si rifiuta Dio, la Chiesa e i genitori perché si vuole essere liberi di fare quello che più piace senza vincoli “divini” o genitoriali; ci si disfa del coniuge perché - così si spera - si vuole una nuova vita; si ricorre all’aborto perché il figlio, si pensa erroneamente, amputa molte libertà: la possibilità di lavorare, di aver tempo per se stessi, etc.; si vuole rompere le convenzioni in materia sessuale per interpretare la sessualità in forma ludica, per instaurare relazioni intime anche prima o fuori dal matrimonio; si ricorre alla fecondazione artificiale per avere un figlio e all’eutanasia per vivere serenamente fino alla morte; si pratica l’omosessualità e ci si sottopone al “cambiamento” di sesso perché si pensa così di poter vivere pienamente la propria identità

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personale (chiaramente abbiamo qui indicato solo alcune delle possibili motivazioni che potrebbero spingere ad assumere tali condotte). Fin qui abbiamo visto come viene interpretata - molto a grandi linee - il concetto di libertà da parte dei pro-choice, dei libertari, dei progressisti, relativisti, etc. Libero arbitrio e libertà Ma qual è il concetto corretto di libertà? Semplificando assai un argomento molto complesso, potremmo dire che esistono il libero arbitrio e la libertà. Il libero arbitrio è quella facoltà dell’uomo che permette di orientarsi verso il bene o verso il male. Quando l’uomo aderisce al bene, ecco che il libero arbitrio prende il nome di libertà. Quando si assoggetta al male, il libero arbitrio si chiama schiavitù. La libertà, l’autentica libertà, è anche in questo caso e contemporaneamente una “libertà da” e una “libertà per”. Scegliendo il bene si rifiuta il male, da cui ci si vuole liberare. Se io donna scelgo la vita, rifiuterò l’aborto; se scelgo la famiglia e la felicità dei miei figli, scarterò l’idea del divorzio e così via.


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Libertà e bene Però sia nella visione libertaria prima indicata che in quella personalista appena citata, prima della libertà viene il bene - vero o presunto che orienta la libertà. In altre parole, sceglierò X perché penso che X sia un bene per me. Dunque il bene è antecedente la libertà. Nella prospettiva libertaria - e anche qui dobbiamo semplificare moltissimo - il bene alla fine è scelto dal soggetto stesso. Si tratta dunque di un bene soggettivo. Si esclude quindi che esistano beni oggettivi per l’uomo - Dio, vita, educazione, famiglia, etc. - che devono essere riconosciuti, bensì è l’individuo stesso che li produce semplicemente volendoli: se voglio X, è automatico che X sia un bene. Se voglio l’eutanasia, significa che per me togliermi la vita è un bene. Ma se seguiamo questa linea di pensiero dove il bene non si pone al di fuori

del libero arbitrio della persona, ma è il prodotto di quest’ultimo, ciò significa che la libertà e bene coincidono. Se ogni mia scelta libera e consapevole sicuramente è orientata a un bene, questo comporta che la libertà - comunque sia esercitata - è un bene. Se la scelta è priva di costrizioni ed esercitata consapevolmente, allora è una scelta sempre moralmente valida. In sintesi estrema: ciò che si vuole è sempre buono, semplicemente perché lo si è voluto. La libertà in tal modo si autogiustifica sempre. Invece nella prospettiva di un’etica fondata sul personalismo ontologico, bene è solo ciò che è adeguato alla persona in quanto persona e male è ciò che non è proporzionato a essa. E rimane “male” anche se scelto liberamente e in modo consapevole. Non è lecito uccidere un innocente perché l’assassinio non è atto adeguato all’intima


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preziosità di una persona, anche se quest’ultima vuole liberamente e consapevolmente essere uccisa. L’omosessualità parimenti non è condizione consona alla preziosità, alla dignità personale, anche se accetta liberamente e con consapevolezza. Parimenti sarebbe atto irragionevole che il proprietario di un Raffaello lo distruggesse, solo perché così gli va: non sarebbe atto consono al valore del quadro. Il fondamento della morale, alla fine, è tutto qui: occorre sempre agire conformemente alla dignità personale. Il paradigma è quindi oggettivo e non è fornito dalla libertà della persona. Avendo perciò una pietra di paragone oggettiva a cui riferirsi quando scegliamo di compiere un’azione, il nostro libero arbitrio è vincolato a questa pietra di paragone. Allora l’autentica libertà non può essere assoluta, ossia slegata da qualsiasi riferimento esterno a essa,

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ma è relativa, ossia siamo liberi solo se agiamo in relazione alla dignità personale, solo se teniamo in considerazione che dobbiamo (ecco il dovere morale) fare i conti con la dignità personale, con una certa realtà oggettiva chiamata dignità personale la quale esige di essere riconosciuta. Il proprietario del Raffaello di cui sopra non è libero di fare quello che vuole con quel quadro, ma ha dei doveri verso quel quadro, doveri che scaturiscono da un fatto: quel dipinto vale moltissimo. Un fatto che deve essere riconosciuto. Cicerone diceva che se vuoi essere libero devi essere schiavo delle leggi, cioè, declinato nel nostro discorso, di quelle leggi morali che ti proibiscono l’assassinio, il furto, la menzogna, etc. perché atti sempre indegni della persona. Obbedire a questi divieti è il primo passo per essere realmente liberi. 

«Se così fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per male aver lutto» (Dante, Purg. XVI, 69-72). In questa terzina, che - escludendo il prologo - sono i versi centrali dei 99 canti della Divina Commedia, Marco Lombardo spiega a Dante che se tutto fosse mosso esclusivamente dalla necessità, non ci sarebbe il libero arbitrio, né la giustizia che fa trarre gioia dal bene e dolore dal male. Non è un caso, secondo molti studiosi come Franco Nembrini, che il Poeta abbia posto al centro “fisico” della sua opera il libero arbitrio e la giustizia di Dio. «Il cardine centrale dell’intero poema è la questione del libero arbitrio e dell’Amore», scrive Nembrini. «L’amore come natura dell’essere, natura di Dio e natura dell’uomo».


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La psiche senza libertà A inizio giugno, in Italia, non risultavano ancora ricerche significative sugli effetti psicologici della epidemia di coronavirus e sul lockdown.

Roberto Marchesini

Uno psicoterapeuta ci illustra gli effetti psicologici della limitazione alle libertà imposta dal Governo in tempo di pandemia

Fino al momento in cui scrivo, sono stati piuttosto gli inglesi a occuparsi degli effetti delle misure cinesi applicate all’Italia. In un servizio della BBC sono stati intervistati gli operatori del centro di supporto psicologico gestito dalla Croce Rossa. Il primo problema emerso è il senso di colpa e l’angoscia per la morte in solitudine di un parente. I parenti si sentono responsabili per la fine poco umana e per nulla cristiana che hanno avuto i morti a causa del (o con il?) coronavirus; in effetti, la responsabilità sembra essere di chi ha gestito gli ammalati in questo modo, piuttosto che dei parenti. Il secondo effetto psicologico emerso dalle interviste è dovuto all’isolamento, alla solitudine. In questo caso posso dare anche il mio minimo contributo: anche alcuni miei pazienti hanno risentito pesantemente delle condizioni imposte dalla quarantena forzata. Si tratta di pazienti fragili, con poche relazioni e pochi interessi; la situazione imposta dal governo ha provocato in queste persone un crollo psicologico ed emotivo.

Oggigiorno la giustizia non consiste più nel «dare a ciascuno il suo», ma nel giacobino «la legge è uguale per tutti». Quindi, come siamo trattati, così esigiamo che vengano trattati gli altri.


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Possiamo aggiungere altre considerazioni. Innanzitutto, il ruolo dei media, i numeri gonfiati, l’allarme generale (e, volendo, lo stile comunicativo delle autorità) ha indotto, almeno nelle prime settimane dell’emergenza, un panico generalizzato. Ci sono state addirittura persone che si sono suicidate pur di non… morire di coronavirus. Probabilmente la paura ha reso gli italiani più docili nei confronti dei vari decreti; il prezzo, tuttavia, è stato troppo elevato. Ho il confronto con la situazione polacca, dove la comunicazione è stata chiara, efficace e per nulla allarmistica; unita ad altre misure (diverse dal modello cinese) ha portato alla fine dell’epidemia in breve tempo e con poche conseguenze economiche e sociali. Infine, bisogna considerare che le misure del governo hanno pressoché proibito agli italiani di fare attività fisica all’aria aperta, che serve per mantenersi in buona salute fisica e per un tono dell’umore discreto. Credo di aver fatto quanto ho potuto per evitare le peggiori conseguenze della situazione per i miei pazienti, tenendomi in contatto via mail e - eccezionalmente con qualche telefonata; e per i lettori de La Nuova Bussola Quotidiana, divulgando un breve e semplice «pentalogo». Lo riprendo brevemente qui: 1) Pregare; sfruttare il tempo libero per alimentare (con letture, tramite i social media, con il rosario…) la vita spirituale. 2) Spegnere la televisione e dimenticare i social media; in questo modo si evita di impoltrirsi e di assorbire l’allarme diffuso dai media. 3) Leggere; approfittare dell’occasione per allargare la propria cultura. 4) Mantenere le relazioni; con telefonate, video-chiamate, messaggi. Avevo previsto che, in quella situazione, la solitudine avrebbe avuto un peso; purtroppo avevo ragione.

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5) Respirare aria pulita, esporsi alla luce del sole e fare del moto, per quanto consentito dai vari decreti che si sono alternati nel corso delle settimane. In sostanza, dal punto di vista clinico, la vicenda Covid-19 ha avuto conseguenze psicologiche sui più fragili; la maggior parte della popolazione, grazie a Dio, non ne ha risentito più di tanto. Ci sono però altre osservazioni che possiamo fare: non di natura clinica quanto, piuttosto, potremmo dire di “psicopatologia della vita quotidiana”. Sono osservazioni alla portata di tutti, che ci invitano a qualche riflessione. Partiamo dalla paura indotta dai media, alla quale abbiamo già accennato. Nelle prime settimane di isolamento le persone non solo stavano lontane l’una dall’altra, ben più del metro prescritto, addirittura non si guardavano negli occhi e a volte non si salutavano nemmeno. Come se il virus potesse trasmettersi tramite lo sguardo. Paura: paura del contatto, paura della prossimità, paura dell’altro. Questo è il tipico esempio di reazione emotiva non razionale. Ci permette di capire quanto potere hanno i media di farci agire in modo inconsulto e quanto siamo manipolabili. È dall’inizio del secolo scorso che gli psicologi studiano come manipolare il comportamento delle persone facendo leva sulle emozioni: la pubblicità si basa su questo meccanismo, la politica anche. Adesso abbiamo scoperto fino a che punto siamo manipolabili. È urgente rimettere la ragione al posto di comando e le passioni al loro posto (al servizio della ragione). Altra semplice osservazione: la comparsa degli “sceriffi del poggiolo”. In sostanza: la delazione. Chi denuncia il vicino che esce troppe volte con il cane, chi corre nonostante il divieto, chi usa i droni per individuare e segnalare i trasgressori… tutti fenomeni solitamente poco diffusi e, anzi, stigmatizzati nei Paesi cattolici (perché «chi fa la spia non è figlio di Maria»). Un fenomeno antipatico che ha, in genere, due possibili cause: una iper-adesione alle direttive

Una via del centro di Novara (di solito affollatissima) ai tempi del coronavirus

dell’autorità (ne parleremo in seguito), oppure un senso di rivalsa per la sensazione di aver subito un’ingiustizia. Vediamo questa seconda causa. Fondamentalmente, l’essere umano ha in sé un senso di giustizia che tuttavia, nel corso dei secoli, è stato deformato dalla cultura dominante. Oggigiorno la giustizia non consiste più nel «dare a ciascuno il suo», ma nel giacobino «la legge è uguale per tutti». Così ci hanno insegnato e siamo fermamente convinti che in questo consista la giustizia. Quindi, come siamo trattati, così esigiamo che vengano trattati gli altri. Ci sentiamo forzatamente reclusi? È giusto che lo siano anche gli altri. Ed ecco la delazione, che ripristina questa visione distorta di giustizia. Cosa c’è di sbagliato? Semplice. Ricordiamoci che, almeno nella prospettiva cattolica, la giustizia non consiste nel livellamento dei doveri, ma nel «dare a ciascuno il suo». Unicuique suum, recita l’intestazione de L’osservatore romano. La giustizia è individuale; quindi, se io penso di subire una ingiusta reclusione, devo fare qualcosa e non pretendere che questa ingiustizia sia condivisa anche da altri.


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I bambini sono certamente tra quelli che hanno sofferto e soffrono di più per il “distanziamento sociale” imposto dalle autorità. Se poi prenderanno piede misure disumane come i braccialetti che vibrano quando si avvicinano troppo tra di loro, avremo garantito la crescita di... disturbi psicotici! [Si veda in merito l’articolo a p. 32]

Altre riflessioni? Se - al di là di ogni considerazione di opportunità - noi trattiamo gli altri come noi siamo trattati, e vediamo il mondo come una prigione, come un tribunale inflessibile, saremo rigidi e inflessibili anche con gli altri; se ci sentiamo trattati con amore e misericordia, tratteremo compassionevolmente anche gli altri. Ma procediamo, abbiamo lasciato un punto in sospeso: l’iper-adesione alle direttive dell’autorità. Questo ci riporta alla «tavola delle virtù» di Aristotele. Il filosofo (e il suo discepolo san Tommaso) era convinto che la virtù fosse un giusto mezzo tra due estremi viziosi. Possiamo considerare in questo modo sia l’iper-adesione, che la ribellione cieca e adolescenziale: due estremi viziosi, in mezzo ai quali c’è la virtù (un senso maturo e responsabile di giustizia). Non ha senso conformarsi passivamente all’autorità e nemmeno ribellarcisi contro ciecamente. Potremmo proseguire, avanzando considerazioni circa la cultura attuale e la società che ci spinge a questi due estremi. Ma fermiamoci qui. Nella speranza che l’esperienza del Covid-19 ci abbia insegnato qualcosa e che non sia passata invano. 

Il Barometro Salute Mentale (un progetto dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, in collaborazione con la Facoltà di Medicina e Psicologia di Sapienza Università di Roma e con l'Enpap - Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Psicologi) ha pubblicato a maggio i primi dati circa gli effetti della reclusione cui siamo stati soggetti a causa della pandemia. Fino a 30 anni: si registrano più frequentemente reazioni ansiose, in linea con le comunicazioni confuse e allarmanti prodotte dai media, da molti medici e dal governo. Tra i 30 e i 39 anni: si manifestano più frequentemente rabbia e preoccupazione per le proprie relazioni. Le misure per il contrasto del virus stanno sottraendo tempo prezioso, stanno facendo perdere incontri, contatti, opportunità. Tra i 40 e i 49 anni: le persone hanno costruito una stabilità affettiva e relazionale e apprezzano più di altri l’importanza della famiglia e delle relazioni. Dai 50 anni in su: si intensificano le preoccupazioni legate all'isolamento e al senso di solitudine.


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Covid-1984

Enrica Perucchietti

La pandemia è servita come pretesto per stringere le maglie del controllo sociale e della sorveglianza tecnologica, catapultandoci in una società dai connotati distopici sempre più orwelliani: i Lettori potranno approfondire gli spunti di riflessione che troveranno in queste pagine nel libro di Enrica Perucchietti e Luca D’Auria: coronavirus. Il nemico invisibile (Uno Editori).

La virtualità dell’informazione; il flusso di comunicazione martellante e continua dei bollettini dei morti trasmessa dai media, dai contenuti spesso contrastanti, persino opposti tra loro, senza un nesso logico; il terrore indotto ed esacerbato nell’opinione pubblica; la scientocrazia con i suoi dogmi cui sottostare (sebbene gli “esperti” si contraddicano l’un l’altro); l’idea di essere in guerra contro un nemico invisibile; il distanziamento sociale; la politica della paura e della solitudine; la disgregazione dei nuclei familiari; il controllo sociale; la sorveglianza tecnologica e il dispiegamento di droni; il fenomeno della delazione e l’urlo purificatore contro il nemico di turno; la creazione di commissioni tecniche; la task force sulle fake news e le notizie col bollino. La sensazione che è iniziata a serpeggiare con sempre maggiore intensità anche tra le persone comuni è che la pandemia sia servita come pretesto per stringere le maglie del controllo sociale e della sorveglianza tecnologica, catapultandoci in una società dai connotati distopici sempre più orwelliani, con straordinarie similitudini proprio a 1984 di George Orwell: dal “bipensiero” ai “due minuti d’odio”, dal “Miniver” alla “psicopolizia”. Una politica di odio, paura e solitudine In 1984 il sistema ha il pieno controllo dei cittadini non solo tramite i suoi Ministeri e la psicopolizia, ma anche grazie a una politica dell’odio, della paura e della solitudine. Il Partito cerca di distruggere ogni tipo di rapporto umano - affettivo o sessuale - in modo da poter controllare la massa con più facilità ed evitare coalizioni. Si distruggono i corpi intermedi e si induce una diffidenza capillare nei confronti di chiunque. L’individuo è lasciato nella sua debolezza, fragilità e solitudine,


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evitando così ogni tipo di aggregazione, in modo da essere totalmente in balia del potere, della delazione e della propaganda del sistema. Senza possibilità di ribellione. Come mostro nel mio ultimo libro, coronavirus. Il nemico invisibile (Uno Editori), scritto insieme all’avvocato Luca D’Auria, nelle settimane di tempo sospeso del lockdown, si è vissuti immersi nella paura, alimentata dal susseguirsi di bollettini di guerra, in cui il numero dei morti precedeva quello dei guariti. Si è vissuti in quarantena dagli altri, in quarantena dal mondo, lontani e consapevoli di essere diventati fragili e dipendenti dalla tecnologia, per lavorare, per rimanere connessi e per passare il tempo che è diventato un eterno presente. La strumentalizzazione dell’emergenza sanitaria

«Vedere ciò che si trova davanti al nostro naso richiede un impegno costante» (G. Orwell)

Lo stato di eccezione, come già spiegato dal filosofo Giorgio Agamben, ha aperto un’area grigia che legittima il ricorso alla sorveglianza tecnologica, creando un pericoloso precedente, la limitazione delle libertà e della privacy in nome della sicurezza [se ne parla a pag 32 ndR]. Per questo sempre più pensatori criticano i provvedimenti adottati parlando apertamente di totalitarismo sanitario. Sono arrivati persino alla proposta di deportare i contagiati. Il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti ha chiesto al Ministro della Salute che lo Stato imponga una specie di deportazione negli alberghi per i positivi al covid-19. Precedentemente questa idea era stata proposta da Mike Ryan, direttore esecutivo del programma di emergenza dell’Oms. Per isolare le persone infette, la proposta era quella di andare a prenderle a casa per portarle in luoghi “sicuri” e separarle dai familiari.

In 1984 il sistema ha il pieno controllo dei cittadini non solo tramite i suoi Ministeri e la psicopolizia, ma anche grazie a una politica dell’odio, della paura e della solitudine.


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Siamo diventati psicopoliziotti: la delazione Ma c’è un altro punto che dovrebbe preoccuparci, ossia la reazione impulsiva, isterica e a tratti fanatica che molti hanno sviluppato di fronte all’emergenza. Stiamo infatti adottando quegli stessi atteggiamenti che Orwell descriveva in 1984: ci stiamo trasformando in psicopoliziotti, delatori pronti a intraprendere la caccia all’untore e ad attaccare con violenza inaudita e urlo purificatore (che ricorda i due minuti d’odio orwelliani) chiunque non rispetti secondo noi i provvedimenti o contro coloro che osano dissentire. La politica ha alimentato questa deriva a tratti paternalistica e a tratti fanatica invitando non tanto al rispetto delle regole, che è sacrosanto, quando alla cieca obbedienza. La paura per l’emergenza sanitaria sta portando da un lato al ricorso a misure liberticide, dall’altro alla costituzione di una specie di psicopolizia in cui sono gli stessi cittadini a vestire i panni dei delatori (tipo Stasi), pronti a segnalare chiunque secondo i loro parametri non rispetti le norme. Si è creata una sorta di caccia all’untore di manzoniana memoria (ricordate La colonna infame?) con la segnalazione virale

Luca D’Auria

dei comportamenti ambigui e la creazione su Facebook di gruppi ove segnalare gli eventuali trasgressori dei divieti e quindi chi esce di casa (senza sapere se ha le proprie buone ragioni oppure no). Insomma, la paura ha trasformato in solerti delatori, novelli psicopoliziotti, i cittadini, fomentati dalla politica che invoca misure sempre più stringenti, persino liberticide. Il Miniver Il rischio che si crei un grande fratello elettronico è talmente chiaro che sono gli stessi promotori a non negarlo neppure più ma a difendere la corsa alla sorveglianza tecnologica per la “tutela della salute”, chiedendo che i cittadini terrorizzati e disorientati mostrino cieca obbedienza e legittimino tali misure draconiane: limitazione della libertà e della privacy. Come anticipato in apertura, abbiamo assistito alla creazione di diverse task force che evocano il ricordo dei Ministeri orwelliani. Uno su tutti il novello “Miniver”, ossia la commissione sulle fake news. La battaglia mainstream contro le fake news, sfruttando l’emergenza sanitaria, ha portato alla costituzione di un moderno


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tribunale dell’Inquisizione e sembra riproporre una nuova forma di Maccartismo 2.0: si tratta cioè di una articolata caccia alla streghe che ha come obiettivo la repressione del dissenso. Essa strumentalizza il dilagare di bufale sul web per portare all’approvazione di una censura della Rete e più in generale dell’informazione alternativa. L’informazione certificata e la repressione del dissenso Questa task force, come tutte le iniziative simili che l’hanno preceduta e che seguiranno, ha come obiettivo non di garantire una informazione migliore, ma la creazione di un’informazione certificata accompagnata da un’attività censoria: solo le notizie con il bollino saranno considerate tali. Tutte le altre potranno essere addirittura espulse dal web e con il pretesto delle fake news si potranno oscurare pagine social, siti e blog di pensatori scomodi, introducendo di fatto la censura. Il rischio di legittimare un novello “Ministero della Verità” che vigili su cosa è vero e cosa no e che silenzi le opinioni dissidenti si fa

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concreto, così come il rischio che da ciò derivi l’introduzione strisciante di una forma di psicoreato orwelliano. Come già sostenevo in Fake news (Arianna Editrice) il giornalismo continuerà a essere fondamentale per orientarci nel mare delle fonti e delle notizie che rischia quotidianamente di soverchiarci, ma dobbiamo essere anche noi ad affinare le nostre capacità di discernimento e di senso critico, che si tratti di informazioni che vengono dai media mainstream o dalla rete. Non possiamo affidarci in modo passivo e acritico a un’autorità o seguire con cieca obbedienza qualunque notizia ci venga trasmessa da un media certificato. Dobbiamo inoltre essere consapevoli di essere immersi nella propaganda e che se non vogliamo ritrovarci in una società distopica come quelle immaginate da saggisti e romanzieri visionari, siamo ancora in tempo per “svegliarci” e riappropriarci del nostro futuro, sapendo che, citando ancora Orwell, «vedere ciò che si trova davanti al nostro naso richiede un impegno costante». Anche la libertà, come la verità, richiede un impegno costante. E sono a rischio entrambe quando siamo disorientati dalla paura e annebbiati dall’emotività. 

Uno dei saggi (ne ha scritti più di trenta) di estrema attualità firmato dalla Perucchietti, giornalista, scrittrice ed editor, caporedattore presso Uno Editori. Visitate il sito enricaperucchietti.it


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La tecnologia al servizio del totalitarismo Andrea Ingegneri

La tecnologia ha il potenziale di trasformare l’intero pianeta in un enorme carcere di massima sicurezza. Nei giorni del lockdown droni ed elicotteri ce ne hanno dato un’anteprima. Sia pure in condizioni di perfetta salute, siamo sicuri di voler vivere in un mondo del genere?

Il Copasir, Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ha pubblicato una relazione molto critica sull’app Immuni: i dati raccolti potrebbero prestarsi a manipolazioni per finalità politica, militare, sanitaria o commerciale. Inoltre, l’app è prodotta da una società italiana a partecipazione cinese. E i cinesi la privacy non sanno proprio cosa sia.

Secondo la leggenda, l’orecchio di Dionisio, a Siracusa, era un carcere tutto particolare, che consentiva al tiranno di tenere sotto stretta sorveglianza i prigionieri: con l’opportuno posizionamento, al carceriere sarebbe risultato possibile udire distintamente i più flebili bisbiglii e riferirli. Oggi disponiamo di strumentazioni più avanzate e possiamo fare molto di più. Si prospettano - per la tutela della nostra salute delle forme di controllo che fino a qualche mese fa non avremmo neppure considerato nei nostri più remoti incubi. Se fossimo adeguatamente informati, oltre che sulle eventuali potenzialità, anche sui rischi e sulle possibili conseguenze, accetteremmo placidamente di barattare la nostra riservatezza in cambio di una presunta sicurezza? La risposta sarà lasciata al lettore. Si è molto parlato di app per il cosiddetto contact tracing, applicazioni da installare sui telefonini mirate a individuare automaticamente il rischio di essere entrati in contatto con persone infette.


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I principali media ne hanno pubblicizzato la finalità: «Le app sono sicure e la vostra privacy è protetta», recita il mantra. A qualcuno forse sarà sfuggito che è entrato in vigore il 1° di maggio un decreto legge per dare il via a questa novità, contenente «misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni» e altro. Al momento di andare in stampa il decreto è ancora efficace. Starà ai Lettori scoprire se a luglio [quando questa rivista sarà già stampata, ndR] verrà convertito in legge dal Parlamento o se perderà efficacia del tutto. Non ci interessa in questa sede entrare nel merito giuridico, ma vale la pena citare l’art. 6 che, tra le regole da rispettare, dice: «Il mancato utilizzo dell’applicazione di cui al comma 1 non comporta alcuna conseguenza pregiudizievole ed è assicurato il rispetto del principio di parità di trattamento». Fatto in sé decisamente ridondante, non potendo essere diversamente in virtù delle

L'APP IMMUNI ERA SESSITA!

A inizio giugno, a poche ore dalla diffusione della app Immuni, abbiamo assistito a una levata di scudi da parte dei soliti noti (da Laura Boldrini a Paola Concia) contro l'immagine che l'accompagnava, rea di rappresentare una donna con in braccio un neonato affiancata a un uomo Prima

garanzie costituzionali e delle varie normative vigenti. Forse è stato specificato per orientare i vari soggetti coinvolti verso una corretta interpretazione oltre che per sedare gli animi. L’informativa sulla privacy dell’app dovrà chiarire tempi e metodi di conservazione dei dati, la garanzia di riservatezza e le restrizioni sulle finalità di utilizzo delle informazioni raccolte. Qualcuno dalle colonne dell’Huffington Post ha da subito evidenziato, però, alcune criticità: si parla di accorgimenti alternativi alla anonimizzazione dei dati laddove quest’ultima non risultasse possibile, lasciando così a intendere che potrebbe risultare fattibile, almeno in teoria, ricondurre certi dati alla persona che li ha originati. Poiché il diavolo si nasconde spesso nei dettagli, gli stessi hanno pure notato una congiunzione di troppo quando si specifica che i dati «relativi ai contatti stretti siano conservati, anche nei dispositivi mobili degli utenti». L’uso della parola “anche” lascia a intendere che questi impegnato al lavoro davanti al pc. Orrido sessismo! Inutile dire che, tempo qualche ora, l'immagine è stata esattamente capovolta: bimbo con papà e mamma al lavoro. Una foto del progresso? Abbiamo i nostri dubbi. Ma di certo un'icona della potenza del pensiero unico. (Redazione) Dopo


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dati andranno anche altrove? Se sì, dove? In ultimo ci permettiamo di proporre noi una riflessione, osservando che il decreto impone di eliminare o anonimizzare tutti i dati una volta terminata l’emergenza e comunque entro il 31 dicembre 2020. Se i dati raccolti non rappresentano alcun rischio per la sicurezza, perché è imperativo eliminarli o anonimizzarli in maniera definitiva entro una data limite? Per capire tecnicamente come funziona, ci facciamo aiutare da una pubblicazione con data 27 aprile 2020 a firma G. Avitabile et Al. del Diem (S Lab), Università di Salerno dal titolo Towards Defeating Mass Surveillance and SARS-CoV-2: The Pronto-C2 Fully Decentralized Automatic Contact Tracing System, che propone vari spunti critici e alcuni accorgimenti per realizzare in modo più affidabile i sistemi di tracciamento. Gli Autori precisano che lo studio è frutto delle informazioni disponibili al momento della scrittura e che vari interrogativi rimangono aperti. Mentre scriviamo (primi di maggio), tra l’altro, molte informazioni appaiono infatti ancora sparse e un po’ confuse. Il rischio maggiormente paventato è che l’utilizzo delle tecnologie di tracciamento automatico dei contatti possa aprire le porte a programmi di sorveglianza massiva da parte dei governi. Immaginate quanto potrebbe risultare pregiudicante una diffusione indiscriminata di dati sensibili riguardanti la salute, le idee politiche o le frequentazioni direttamente (o indirettamente) riconducibili alla persona interessata. Può essere utile sapere che il motto «chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere», spesso usato da certi ingenui per liquidare la questione con faciloneria, viene attribuito al gerarca nazista Joseph Goebbels. Molti lettori avranno fatto esperienza della tecnologia Bluetooth, che consente la trasmissione di dati tra dispositivi poco distanti l’uno dall’altro. Nel campo delle applicazioni mobili, tuttavia, il dispendio di energia elettrica

è un fattore determinante, per cui è stata elaborata una tecnologia “gemella” a basso consumo dal nome Bluetooth Low Energy, per gli amici Ble. I campi di applicazione naturalmente sono differenti: mentre usiamo il Bluetooh “classico” in situazioni che richiedono uno scambio continuo di dati, il Ble è utile per un trasferimento temporizzato di brevi informazioni. La maggior parte degli smartphone che si trovano nelle nostre tasche dispone di questa tecnologia. Così si possono trasmettere brevi messaggi soltanto ai dispositivi fisicamente più prossimi. Ogni dispositivo trasmette a intervalli di frazioni di secondo un codice quasi anonimo, unico, che verrà recepito solo da chi sarà fisicamente a portata di mano. Alla fine, ognuno avrà nella memoria del telefono una lista con tutti i codici delle persone che ha incontrato, senza poter stabilire però di chi si tratta. Un server centrale terrà conto dei codici dei soggetti infetti ricevuti e li trasmetterà - unicamente


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La tecnologia in sé non è né buona, né cattiva: tutto dipende dall’uso che se ne fa e dai fini che con essa si perseguono.

quelli - agli utilizzatori dell’app, che sarà così in grado di capire se vi è stato un potenziale contagio laddove trovasse una corrispondenza all’interno della propria lista. Quindi l’utente non sa chi tra i suoi contatti era infetto. Ma gli autori dello studio citato avvertono che esiste il rischio che tale sistema possa essere abusato dai governi per mettere in piedi programmi di sorveglianza massiva. Questi, infatti, potrebbero sfruttare il loro naturale potere di controllo (anche parziale) sui server, sui laboratori di analisi e sul territorio per far leva su alcune vulnerabilità intrinseche al sistema stesso. Va pure considerato che i codici trasmessi dai nostri cellulari ai dispositivi delle persone a noi prossime sono degli pseudonimi, cioè non sono totalmente anonimi. E chi determina questi codici? Un’autorità centrale, che dunque avrebbe maggiori chance di esercitare un controllo, oppure sono determinati da ogni singolo smartphone e

cambiati periodicamente? Esistono dei vincoli tecnici che impediscono questa seconda possibilità. Gli ultimi aggiornamenti offerti da Apple e Google, di cui già si è sentito parlare, dovrebbero implementarli, e fornire alcune funzionalità di base per realizzare applicazioni di tracciamento con approccio decentrato che diverrebbe, praticamente, uno standard obbligato. Gli autori dello studio in questione, però, spiegano che «richiedere alle applicazioni per smartphone di cedere le proprie chiavi/ pseudonimi al server è come domandare ai cittadini di inginocchiarsi di fronte al Grande Fratello». Esiste la possibilità che una persona possa essere intercettata anche camminando in solitudine, senza cioè un’interazione con altri utilizzatori dell’app di contact tracing. Potrebbero farlo delle strumentazioni in ascolto del segnale appositamente sparse nel territorio. Oppure, in un posto di blocco, le forze di polizia potrebbero aver ricevuto l’ordine di raccogliere i codici trasmessi dalle app dei cellulari delle persone identificate, attribuendo così un’identità ben precisa agli pseudonimi intercettati. Esiste anche la possibilità che tali informazioni siano impiegate per ricostruire la rete di contatti di un dissidente politico o di un personaggio impopolare. Degli approcci più sofisticati permetterebbero di “offuscare” i dati e renderli accessibili unicamente a chi abbia realmente avuto un contatto. In questo modo un dispositivo spia sarebbe costretto a venire allo scoperto. Se il software lo consentisse, l’utente potrebbe accorgersene e denunciare la frode. Pur prendendone atto, ci sembra che in ultima istanza sarebbe comunque necessario l’intervento di quella stessa autorità che vorrebbe controllarci. Insomma, il rischio che il cittadino si trovi scoperto e impotente di fronte al controllo dello Stato ci appare comunque alto. Di fondo, l’idea di poter mettere in sicurezza

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un’intera società tramite un’app appare degna figlia del nostro tempo, che già aveva manifestato un chiaro sintomo di questa concezione in altre occasioni, per esempio con la scelta di rendere obbligatori i dispositivi anti abbandono in auto per i bambini più piccoli. E, a proposito di bambini, si parla di condizionare la riapertura di certe attività all’utilizzo di particolari braccialetti capaci di emettere una vibrazione in caso di contatto ravvicinato con altri bambini, così da richiamare a mantenere la distanza. Ci domandiamo se sia stato valutato l’impatto che una tale decisione potrebbe avere in termini psicofisici nello sviluppo del bambino, tenuta conto la particolarità di un sistema nervoso ancora immaturo e in fase di continua evoluzione. Immaginiamoci le vibrazioni nel corso di un’intera giornata scolastica. E se da un uso disinvolto di queste strumentazioni i bambini dovessero subire delle conseguenze impreviste, chi ne risponderà?

L’ingresso dell’ Orecchio di Dionisio a Siracusa

«Chi non ha nulla da nascondere, non ha nulla da temere» (J. Goebbels).

È interessante notare come l’uso del braccialetto, essendo maggiormente legato al corpo dell’utilizzatore, superi in modo naturale alcuni aspetti di fallibilità che invece l’app per smartphone avrebbe: una persona infetta potrebbe abbandonare distrattamente il proprio cellulare all’interno di una stazione molto frequentata, lo smartphone potrebbe essere rubato... I governi potrebbero sfruttare queste debolezze per convincere i cittadini a virare verso soluzioni sempre più “incorporate”, e dunque più sicure (per loro). Non è un caso che in queste ultime settimane si sia tornato a parlare senza troppi peli sulla lingua del famigerato microchip sottocutaneo e di altre soluzioni assimilabili. Speriamo che i bambini italiani, sempre più compressi nei loro diritti fondamentali e perennemente sottoposti al ricatto dell’esclusione dal sistema scolastico, non debbano spianare la strada anche in questa sciagurata direzione.


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Felicemente schiavi del Gafa Silvana De Mari

Si sta instaurando a livello mondiale un nuovo modello di ideologia che è tanto più capace di imporsi sulle coscienze quanto meno appare nella sua forza immensa.

Amazon censura gli eBook sgraditi. Poco tempo fa ha censurato un eBook (Coronavirus: a cosa serve? Come ripartire?, edizioni Equipe Maadat) scritto un capitolo per uno da medici, psicologi e antropologi, dove spiegavamo che i danni della chiusura possono essere più gravi di quelli del virus. Il mio capitolo riguardava i danni sul sistema immunitario dovuti alla soppressione dei riti religiosi. Facebook censura pesantemente il pensiero divergente. Ha fatto scomparire da un giorno all’altro il mio profilo precedente, senza nemmeno permettermi di recuperare foto e articoli; fa scomparire i post che pongono dubbi su quanto essere gay sia sano e su quanto l’islam sia una religione di pace, intelligente e che ci ama. È entrato pesantemente nella politica italiana, chiudendo pagine considerate di destra, o sovraniste, oppure omofobe o comunque “sporche, brutte e cattive”. Ed è un peccato perché il confronto si fa anche con gli sporchi, i brutti e i cattivi. Facebook ha fatto sparire post sarcastici e intelligenti su Giuseppe Conte, mentre le bestemmie sono gradite: esistono pagine di bestemmie, che pare non violino gli standard della comunità. Se cercate notizie su Obama, Google fa apparire prima i siti a favore, e solo molto dopo, ma veramente molto dopo, arrivano quelli contrari. Tutte le volte che navigo su siti critici nei confronti del pensiero unico, si aprono link con immagini nauseanti, vermi o simili, con un evidente intento di creare fastidio e allontanare. A causa della reclusione e poi del dover mantenere le distanze, i bambini sono stati staccati dalla loro vita sociale, sono stati privati della scuola, il crollo dell’economia sarà tragico, ma Google, Amazon, Facebook, e - non ultima - Apple (da cui l’acronimo Gafa), i giganti del web, sono diventati ogni giorno di più i padroni delle nostre menti e delle nostre vite. La pandemia Covid-19 è stata una manna per il Gafa. Tutti hanno dovuto imparare a comprare on line, le app di tracciamento sono un’ulteriore fonte di enorme reddito, tutti o quasi si sono iscritti a un qualche sito che


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permette di guardare film e serie televisive. Aggiungiamo che Bill Gates guadagnerebbe moltissimo col vaccino, guadagnerebbe sia in denaro che in controllo del mondo. Così, a colpo d’occhio, un “complottista” potrebbe pensare che è ovvio che il Gafa non ami tutti quelli che osano dichiarare che non è necessario sopprimere le libertà più elementari per fronteggiare il virus. Internet nasce come strumento militare negli anni Sessanta. Negli anni Novanta nascono le società della Silicon Valley. La California è la sede in cui origina la controcultura, il movimento hippie, la produzione e sperimentazione delle droghe sintetiche. Non è casuale che sia anche il luogo della rivoluzione digitale. La controcultura influenza gli eroi di queste grandi società, i cui leader hanno un atteggiamento molto sessantottino: vestono in modo informale, sono antigerarchici, apparentemente. E si sentono dei rivoluzionari. I fondatori di una nuova religione secolare. Mario Iannacone, nell’imperdibile libro Rivoluzione Psichedelica (edizioni Ares), spiega Larry Page, fondatore di Google con Sergej Brin

Steve Jobs, fondatore di Apple

il mondo da cui è nato il Gafa, il mondo della rivoluzione psichedelica degli anni Sessanta. Nei loro congressi i grandi guru del Gafa fanno continui riferimenti ai guru della rivoluzione psichedelica come loro capostipiti. Aldous Huxley nella sua ultima conferenza tenutasi alla Standford University un anno prima di morire, nel 1962, dichiarò che il mondo nuovo, il mondo tanto carino “da Mulino Bianco”, senza conflitti né incomprensioni, sarebbe stato possibile solo riempiendo l’umanità di una qualche simpatica droga che staccasse la gente dalla realtà. Un’umanità cronicamente strafatta sarebbe stata buona e a cuccia lasciando in pace il manovratore, una simpatica élite, che da parte sua avrebbe avuto la simpatica cortesia di provvedere alla droga. La prima ipotesi fu l’Lsd ma, come spiega Mario Iannacone, è poco maneggevole e dà risultati imprevedibili e non controllabili. Il Gafa, per sua stessa ammissione, ha sostituito l’imprevedibile e cafone Lsd con il computer. Sulla base delle idee degli esponenti del mondo teosofico-esoterico degli anni Trenta e Quaranta che avevano parlato di un cervello Mark Zuckerberg, patron di Facebook

Jeff Bezos, presidente di Amazon


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globale che avrebbe unificato il mondo, Internet è pensata proprio come una sorta di mente collettiva alla quale tutti devono affidarsi in piena fiducia. Siete stati rinchiusi in casa per la pandemia? Tranquilli, avevate Netflix e YouPorn. Vuoi sposarti e avere dei figli e sei furioso perché i salari sono miserabili. Ma perché sposarti? Nessuna donna è paragonabile alle protagoniste delle serie, nessun bambino è altrettanto divertente. Nessun vicinato sarà brillante come Facebook. E ogni cosa che hai scritto, ogni cosa che hai guardato è conservata per sempre nei nostri archivi. Gli utenti collegati a Internet sono circa 3 miliardi e 770 milioni. Ogni 60 secondi sono ricercate due milioni di parole su Google. Questa mole immensa di dati - che vengono conservati include soprattutto dati personali prodotti anche solo telefonando. L’80% dei dati personali è controllato dal Gafa: la rete è in pochissime mani che hanno un

Una mappa della Silicon Valley

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immenso potere. Un monopolio di big data che tutto censisce e cataloga: foto, sms, mail. Questo è il nuovo petrolio: chi controlla big data può avere immensi profitti, immenso potere sulle persone. Tutto ciò che facciamo sul computer è eternizzato: come, quanto, da dove. Come il petrolio, si tratta di una materia prima con cui posso fare quasi tutto. Ha valore perché è un dato che posso modellizzare. Chi controlla la rete, controlla big data: attraverso i codici macchina dei dispositivi digitali, ogni volta che tocco la rete, cedo informazioni su di me che vengono costruite con degli algoritmi di profilatura coperti da segreto: vede cosa faccio, vede sempre meglio i miei pensieri, la mia anima. Conoscono noi utenti meglio di noi stessi. Questi dati permettono una segmentazione della popolazione in termini di attitudini, idee politiche, sociali, culturali, rotture di argini in campo bioetico che indicano che si può passare a una tappa successiva. Il fine è il controllo e la modellizzazione proattiva della mente delle persone a livello di massa.


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Il Gafa vede cosa faccio, vede sempre meglio i miei pensieri, la mia anima. Conosce noi utenti meglio di noi stessi.

Gli strumenti digitali raccolgono feedback che permettono di mettere a fuoco l’utente. Netflix impiega 400 ingegneri informatici dedicati a migliorare l’algoritmo che prevede quali nuove serie non ancora fatte piaceranno agli utenti, un terzo degli acquisti su Amazon sono indotti da algoritmi. Il Gafa mira a dirci come agire, cosa leggere, cosa pensare, cosa comprare. Dice alle società editoriali come scrivere libri e quali temi sviluppare, segnala cosa sta per diventare topic e i giornalisti si mettono a scrivere su quel tema: tutti, a livello mondiale.

i balocchi del paese dei balocchi. È talmente comodo, quando mi serve un libro, fare click su Amazon e avere l’eBook immediatamente sul cellulare! Si sta instaurando una deliziosa dittatura “soft”, come quella immaginata da Huxley (non quella cafonata di dittatura “hard” dove ti spaccano le ossa, tipo quella descritta da Orwell in 1984). Pochi hanno i mezzi spirituali per saper resistere, è una “libertà” che avvolge in spire sempre più strette e sempre più piacevoli chi se ne avvale, è un potere molto attento ai bisogni dell’uomo, che si definisce ed è definito filantropico. 

Tra gli effetti tragici della cattività per il Covid-19, che è stata tragicamente prolungata per puro potere, c’è il distacco dalla realtà, dalle persone vere, dalle voci vere, e la consegna al potere oscuro del digitale. Ognuno di noi crede di fare quello che faceva prima, ma il mezzo digitale che adopera per farlo altera e sovverte tutto. L’ebbrezza del navigare è una febbre collettiva. Difficile resistere al fascino di Facebook, difficile stare alla larga da Netflix. Su YouTube ognuno trova qualcosa: concerti di musica, spezzoni di vecchi film amati, tutorial su come si fa la torta e per imparare l’arabo o il cinese. Tutto gratis. Tutto in dono, come

Tra i grandi “filantropi” della Silicon Valley non possiamo dimenticare Bill Gates, fondatore di Microsoft.


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Diritto naturale e diritto positivo (parte I) Luciano Leone

Cominciamo oggi un cammino piuttosto impegnativo, ma trattato con garbo e perciò leggibile con gusto. Cercheremo di condurre i Lettori attraverso una riflessione sulla legge, sulla sua potenza e sui suoi limiti. E soprattutto cercheremo di capire se è legge solo la norma dettata dallo Stato (diritto positivo) o se esiste il diritto naturale, cioè una legge superiore, eterna e immodificabile, cui lo Stato dovrebbe uniformarsi per assolvere ai fini di giustizia e di equità. In questa prima parte, gettiamo le premesse. È semplicistico e insufficiente ritenere sia stato il nazionalsocialismo il primo promotore di leggi statali che consentono eugenetica ed eutanasia

Eugenetica ed eutanasia I libri di storia vulgata nell’ambito della Rivoluzione francese esaltano la figura di Philippe Pinel, il quale libera i malati psichiatrici dalle catene. Resta sub judice di un’attenta critica storica se, in un’epoca in cui non erano affatto disponibili tranquillanti antipsicotici, l’iniziativa di Pinel fosse adeguata alle reali necessità di malati violenti verso sé stessi e verso altri (come oggi certi richiedenti asilo che girano aggredendo innocui passanti a colpi di machete e gridando «Allah Akbar» – l’ultimo episodio del genere risale al 4 aprile a Romans sur Isère). È invece un dato di fatto che, sempre nell’ambito della gloriosa Rivoluzione francese, nel settembre 1792 i massacri rivoluzionari ebbero come vittime non soltanto sacerdoti cattolici e persone in qualche modo legate alla caduta monarchia, bensì anche detenuti per reati comuni, «35 ragazze rinchiuse in riformatorio

Esiste una legge insita nella natura umana che crea e protegge i diritti naturali, oppure esiste solo la legge positiva e quindi lo Stato è l’artefice di tutti i diritti attraverso le sue norme?


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Bibliografia 1. Jean Dumont, I falsi miti della Rivoluzione Francese. Effedieffe, Proceno (Viterbo) 2013, 4° edizione 2. Massimo Arstrua, Perseguiteranno anche voi. I Martiri Cristiani del XX secolo. Mimep-Docete, Pessano (Milano) 2005

oppure prostitute, uccise a colpi d’ascia e sgozzate alla Salpetrière; 170 pazzi, mendicanti, vagabondi e ragazzi in riformatorio di età tra i 12 e i 15 anni, assassinati a Bicetre». Al ministero degli interni questa “opera purificatrice” di persone indesiderate per i rivoluzionari viene così commentata: «Molto utile per la felicità futura della specie umana». Nel suo Contratto sociale il ginevrino Jean-Jacques Rousseau aveva infatti esaltato la purezza sociale additando a modello l’antica Sparta, dove si provvedeva a eliminare i neonati imperfetti. I medesimi libri di storia vulgata e i mezzi di comunicazione non perdono occasione per additare alla giusta esecrazione dei contemporanei le persecuzioni antisemite dei nazisti. L’abbreviazione nazisti occulta tuttavia quasi sistematicamente il termine nazionalsocialisti, la bandiera dei quali era rossa come quella dei comunisti ma, come unica differenza, riportava la svastica ariana anziché la falce e martello proletari.

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Tralasciano inoltre di ricordare le analoghe persecuzioni, torture, uccisioni subite da altri: zingari, cristiani di varie confessioni, ma soprattutto cattolici tedeschi, austriaci, ungheresi, polacchi. In particolare si calcola che tre milioni di cattolici polacchi abbiano perso la vita per mano dei nazionalsocialisti (nel 1938 la Polonia contava 35 milioni di abitanti compresa la notevole componente ebraica). Ma in questa sede va ricordata l’Operazione T4, avviata nel settembre 1939: l’Aktion T4 prende nome dalla sede dove fu organizzata in Tiergartenstrasse 4, cioè al n. 4 della strada del giardino zoologico di Berlino. L’indirizzo appare un presagio di tale procedura bestiale sistematicamente programmata: l’eliminazione di bambini malformati, di disabili, di pazienti psichiatrici, di detenuti disabili. Queste persone venivano assassinate per mezzo di farmaci o lasciandole morire di fame, come avverrà in tempi recenti per Terry Schiavo negli Stati Uniti, per Eluana Englaro in Italia e per Vincent Lambert in Francia. Ovviamente si tratta di benevole procedure di eutanasia (buona morte). L’Aktion T4 faceva seguito al già avviato programma di sterilizzazione forzata per le medesime persone considerate “inferiori” o “degenerate” e di peso economico per lo Stato: l’aspetto economico del “peso sociale” dei soggetti disabili veniva anche ampiamente pubblicizzato attraverso manifesti e campagne di stampa nonché nell’ambito

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) considerava la civiltà come causa di tutti i mali e dell’infelicità dell’uomo (dipinto di F.P. Guerin).

dei programmi scolastici. Non si deve tuttavia fiduciosamente credere che l’eugenetica (la buona nascita) sia prerogativa dello stato totalitario nazionalsocialista. Il termine eugenetica viene coniato in Inghilterra da Francis Galton (1822-1911), cugino di Charles Darwin e promotore del darwinismo sociale. L’eugenetica viene ripresa in Francia dallo psichiatra Benedict Morel (1809-1873), che ideò la teoria della degenerazione, e in Italia da Marco Ezechia detto Cesare Lombroso (18351909), fondatore dell’antropologia criminale. L’eugenetica ha quindi trovato applicazione in leggi di sterilizzazione forzata in numerosi Paesi: Canada, Stati Uniti d’America (fin dal

Si intende per legge “positiva”, o diritto “positivo”, dal tardo latino jus positivum, la norma “posta da chi ha il potere”. Non c’entra nulla il concetto di “positivo” nel senso di buono, contrapposto a “negativo”.


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1909), Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia. Tutti Paesi di nobile tradizione democratica, di sana “capacità critica” luterana o protestante (facendo riferimento alla leggenda della capacità critica sviluppata nell’area protestante attraverso la lettura della Bibbia di Lutero e di altri riformatori).

naturali, oppure esiste solo la legge positiva e quindi lo Stato è l’artefice di tutti i diritti attraverso le sue norme? Si citeranno qui soltanto pochissimi pensatori, le cui teorie filosofiche, teologiche, giuridiche, prossime ai fatti sopra citati, possano in qualche modo esserne fondamenti.

Imbevuti di positivismo e di darwinismo, numerosi psichiatri tedeschi precorrono con le loro teorie i drammatici sviluppi sopra descritti: nel 1905 Alfred Ploetz (1860-1940) fonda a Berlino la Deutsche Gesellschaft für Rassenhygiene (Società tedesca per l’igiene della razza) Il suo discepolo Fritz Lenz (1887-1976) in una tesi scriveva: «Lo Stato non esiste per assicurare al cittadino i suoi diritti, bensì per servire la razza», e successivamente sarà tra gli autori di Grundriss der Menschlichen Erblichkeitslehre und Rassenhygiene (Fondamenti di genetica umana e di igiene della razza), che Hitler studierà accuratamente durante la detenzione dopo il fallito tentativo di insurrezione a Monaco e utilizzerà per il suo Mein Kampf (La mia lotta).

Jean-Jacques Rousseau, ginevrino come Calvino, inventore del mito del “buon selvaggio”, nel suo Contratto sociale, pubblicato nel 1762, ipotizza che la sovranità risieda nel popolo (sovranità popolare) e che le leggi siano espressione della volontà generale del popolo. La sua teoria postula evidentemente una strana omogeneità di pensiero tra tutti i cittadini di un popolo e che i diritti siano una costruzione soggettiva del popolo. Se cadete quindi nelle grinfie di un popolo di cannibali e finite cotti in un pentolone, pensate tranquillamente che state realizzando la volontà generale dei buoni selvaggi del popolo cannibale, con viva soddisfazione di Jean-Jacques.

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Fondamenti filosofici, teologici, giuridici dei fatti sopra citati L’affermazione di Lenz «lo Stato non esiste per assicurare al cittadino i suoi diritti, bensì per servire la razza» porta la nostra attenzione sul tema dei diritti: esiste una legge insita nella natura umana, che crea e protegge i diritti

Hans Kelsen (18811973), padre del positivismo giuridico.


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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (17701831) nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto (par. 258), col solito stile involuto tipico del “pensatore di mente superiore”, scrive: «Lo Stato, in quanto è la realtà della volontà sostanziale, ha questa realtà nell’autocoscienza particolare che si è elevata fino alla propria universalità. In tal senso, lo Stato è il razionale in sé e per sé. Ora, questa unità sostanziale è autofinalità assoluta e immobile nella quale la libertà perviene al suo diritto supremo; analogamente, questo fine ultimo ha il supremo diritto nei confronti dei singoli. I singoli, a loro volta, hanno il dovere supremo di essere membri dello Stato». Per i comuni mortali: nella concezione di Hegel lo Stato è volontà, universalità, razionalità, finalità in sé stesso, diritto supremo: è dunque un ente che si sostituisce a Dio e che infatti pretende da ciascun suddito completo annullamento della libertà e volontà ed una forma di adorazione. Per completezza: uno Stato totalitario viene talora denominato Stato etico, poiché pretende di fondare l’etica per mezzo delle sue leggi positive; poiché la vera etica si ispira invece ai valori intangibili del diritto naturale, eviterò scrupolosamente l’uso di tale denominazione dello Stato totalitario. Sarebbe infine divertente un dibattito televisivo tra Hegel e l’economista canadese Charles Levinson (1920-1997), il quale espresse questa opinione: «Lo Stato, il governo sono astrazioni. Esiste solo un certo numero di individui, legati a partiti politici, i

Ritratto di Sir Francis Galton, dipinto da Charles Wellington Furse nel 1903, custodito alla National Portrait Gallery di Londra. Galton, cugino di Darwin, è stato il padre fondatore dell’eugenetica.


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quali riflettono le forze dominanti, qualunque sia la loro colorazione politica». Karl Barth, pastore protestante di Basilea, formatosi in università tedesche (1886-1968), esprime nella sua elaborazione teologica la profonda e insanabile distanza tra Dio e l’uomo: Dio sarebbe “totalmente Altro” rispetto all’uomo, al mondo, alla storia, al tempo. Tra Dio e mondo vi sarebbe una irriducibile e infinita differenza qualitativa. L’uomo quindi - sempre nella elaborazione di Barth - sarebbe immerso in una problematicità che suscita continue domande senza la possibilità di trovare risposte definitive. Una simile teologia giunge dunque a negare praticamente non soltanto la Rivelazione di Nostro Signore Gesù Cristo, bensì persino la possibilità per l’uomo di comprendere la natura del creato e di sé stesso. Conseguentemente anche nel campo del diritto all’uomo non è possibile far riferimento alla natura. Hans Kelsen (1881-1971) fu giudice della corte costituzionale austriaca dal 1921 al 1930; nel 1930 passò all’università di Colonia, ma nel 1933, prima dell’avvento del potere nazista, emigrò a Ginevra e nel 1941 negli Usa. Nel 1925 nella sua Allgemeine Staatslehre (Dottrina generale dello Stato) scrive che lo Stato è legittimato «ad avocare a sé ogni decisione, a determinare incondizionatamente l’attività degli organi subalterni, a cambiare in qualsiasi momento norme stabilite in precedenza. Ma tale situazione resta sempre una situazione di diritto» (il Grande Fratello di Orwell si dichiara totalmente d’accordo). Nel 1934 nelle sua Reine

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Rechtslehre (Dottrina pura del diritto) prosegue affermando che le leggi stabiliscono soltanto un Sollen (Dover essere) indipendente dalla realtà naturale e dal principio di causalità. Il “dover essere” giuridico è una categoria trascendentale, puramente formale, applicabile a qualsiasi contenuto, quindi estraneo alle pretese di assolutezza del dovere morale o della giustizia. Il diritto rappresenta soltanto una tecnica riguardante l’uso della forza per raggiungere lo stato sociale desiderato. Si noti che nel 1934 Kelsen non scriveva sotto la minaccia degli scherani nazionalsocialisti, bensì dal suo comodo ritiro in Svizzera: se non fosse stato impedito dalla questione razziale, avrebbe potuto fare una brillante carriera nei ranghi del nazionalsocialismo. Otto Friedrich von Gierke (1841-1921), autore nel 1883 di Naturrecht und deutsches Recht (Diritto naturale e diritto tedesco), aveva già affermato e vantato: «La battaglia contro il diritto naturale appartiene sostanzialmente al passato. Quanto i fendenti della scuola storica hanno risparmiato di esso è solo l’ombra del suo superbo potere di una volta». Siamo nel periodo del Kulturkampf (1873-1887): nel 1873 il cancelliere Otto von Bismarck promulgò leggi liberticide contro la Chiesa cattolica nel neonato (1871) Impero Tedesco; il grande Pio IX Mastai Ferretti si oppose strenuamente e nel 1887 ottenne infine che il protervo Cancelliere di Ferro revocasse tali leggi (evidentemente il Cancelliere di Ferro dovette ricorrere all’antiruggine).  (continua nel prossimo numero)

L’uomo come persona possiede diritti che gli vengono da Dio e che quindi sono inalienabili. (Pio XI, Mit brennender Sorge - Con bruciante preoccupazione, 1937. Indirizzata al popolo tedesco, subito proibita dai nazionalsocialisti).


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In cineteca

Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.

Letters to God Titolo: Letters to God Produzione: Usa, 2010 Regia: David Nixon, Patrick Doughtie Genere: Family, Drammatico

Tyler è un bambino di 8 anni con un cancro al cervello che lo costringe a continui cicli di chemioterapia. Orfano di padre, ha una madre molto affettuosa, un fratello in piena adolescenza e una nonna molto presente, che va spesso a far loro visita, portando con sé dei buonissimi dolci e un alone di serenità, dovuto alla sua granitica fede in Dio. Tyler scrive delle lettere a Dio (è il suo modo di pregare), ma non si preoccupa tanto di se stesso: chiede soprattutto che sua madre possa tornare a sorridere, che il postino, con il quale ha fatto amicizia, trovi il coraggio di ritornare dal figlio e dalla moglie dalla quale si è separato

a causa del suo alcolismo e infine dichiara di perdonare Alex, il compagno di scuola che lo ha preso in giro per la sua testa calva. Letters to God è un film pro family, che ha il pregio di valorizzare la presenza dei nonni. Ma si tratta anche di una pellicola che aiuta a guardare alla sofferenza e alla malattia con l’occhio della fede, mostrando quanto tutto possa essere trasfigurato se ci si abbandona alla volontà di Colui che tutto sa (il che non significa non occuparsi della propria salute, anche il corpo è “tempio dello Spirito Santo”, bensì significa non pre-occuparsene, facendosi schiacciare dal peso degli eventi). 


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Il vero Amore è appassionato

Filippo Betti Tau editore

Ci sono ancora oggi, nel 2020, donne fiere di essere mogli e di amare e onorare, nella spicciola quotidianità, lo stesso uomo per tutta la vita? E, soprattutto, che nel fare questo si sentono felici e realizzate? Evidentemente sì, come narra questo libro - tutto al femminile edito dal Timone. E la cosa che accomuna tutte queste signore, indipendemente dall’età, dalla professione, o dal carattere è semplicemente una: la fede. Quella fede che parla di amore, che è Amore. In questo libro si raccontano, secondo stili e prospettive diverse, Costanza Miriano, Beatrice Bocci, Raffaella Frullone, Benedetta Frigerio, Annalisa Teggi, Paola Belletti, Caterina Giojelli e tante altre catto-mogli… 

Il giovane Autore, dopo aver scoperto nella sua vita il profumo di un Amore appassionato e vissuto nella purezza, in questo testo affronta il delicato tema della sessualità nel periodo del fidanzamento e si rivolge direttamente ai giovani. La sessualità e l’attrazione fisica vengono presentate come un regalo prezioso di Dio, facendo così cadere i muri costruiti attorno al piacere e invita i giovani a mettersi in gioco per scoprire il senso delle proprie scelte e prepararsi a fare l’Amore per tutta la vita e non con una data di scadenza. Sentire personalmente il profumo della purezza metterà quindi i fidanzati nella possibilità di gustare il dono di Dio, ovvero un Amore vero e appassionato. 

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Diretto da Maurizio Belpietro


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