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“nel nome di chi non può parlare”
Rivista mensile - Antologia 2° volume
Antologia ProVita
2° Volume 2013-2014 “Il meglio di Notizie ProVita”
- Sommario Editoriale
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“nel nome di chi non può parlare”
Antologia di Notizie ProVita 2014-2015 Moralità o contraccezione? Il problema dell’AIDS Alessandro Fiore
La società ne ha bisogno (dei pedofili!) Francesca Romana Poleggi
Una foto orrenda può salvare una vita Antonio Brandi
“Neuroni specchio” e adozione Massimo Gandolfini
Discriminazioni “politicamente corrette” Francesca Romana Poleggi
Una battaglia vinta, perché la Vita ha già vinto Andrea Giovanazzi
Terapia fetale e trattamenti palliativi prenatali Giuseppe Noia
Il Paradiso negli occhi Sabrina Pietrangeli Paluzzi
Flora Gualdani e Casa Betlemme Davide Zanelli e Marina Bicchiega
La 194 non dà diritto ad una scelta Andrea Mazzi
Una cellula, una persona Alba Mustela
Ancora bugie sull’obiezioni di coscienza Daniele Sebastianelli
La rinascita del popolo russo Antonio Brandi
“Non tutti gli essere umani sono uguali”. Firmato: Nelson Mandela Omar Ebrahime
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ANTOLOGIA - 2° VOLUME Editore
ProVita Onlus
Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione
Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ)
www.notizieprovita.it/contatti - Tel. 329 0349089 Direttore responsabile Antonio Brandi
Direttore editoriale
Francesca Romana Poleggi Direttore ProVita Onlus Andrea Giovanazzi Impaginazione
Massimo Festini Hanno collaborato
alla realizzazione di questo numero:
Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi,
Antonio Brandi, Massimo Gandolfini, Andrea Giovanazzi, Giuseppe Noia, Sabrina Pietrangeli Paluzzi,
Davide Zanelli e Marina Bicchiega, Andrea Mazzi,
Alba Mustela, Daniele Sebastianelli, Omar Ebrahime, Federico Catani, Gianfranco Amato
Sostieni le nostre attività di solidarietà sociale, al fine di difendere il diritto alla vita e gli interessi delle famiglie, dei bambini delle madri, richiedi l’abbonamento al mensile Notizie ProVita (11 numeri).
Di mamma ce n’è una sola Francesca Romana Poleggi
L’uomo è un animale? Federico Catani
Vita è... il matrimonio tra un uomo e una donna Antonio Brandi
Una preghiera inerme, eppure insopportabile Andrea Mazzi
I conviventi hanno tanti diritti. Gianfranco Amato
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Antonio Brandi Imprenditore di professione, si dedica alla difesa dei diritti dei più deboli per passione. Per dar voce a chi non ha voce ha fondato e dirige Notizie ProVita.
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I nostri abbonati già sanno che l’idea di ProVita Onlus, con il sito web www.notizieprovita.it e questa rivista mensile, è nata a seguito della seconda Marcia per la Vita, avvenuta quasi contestualmente alla morte della mia cara amica Chiara Corbella Petrillo: il primo numero di Notizie ProVita è uscito nell’ottobre 2012. Gli anni passano e la vita mia e degli amici con cui ho cominciato questa avventura si è riempita di impegni e di preoccupazioni. La “cultura della morte” avanza: essa attacca la Vita direttamente e indirettamente attraverso i tentativi di distruzione della Famiglia, luogo principe dove naturavuole che nasca, cresca, si custodisca la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale. Certamente la nostra battaglia di piccoli Davide contro il Golia dell’individualismo, del materialismo e dell’edonismo su cui si radica l’azione dei mortiferi detentori del potere mediatico, economico e politico dell’Occidente, è una battaglia impari. Abbiamo, però, riportato qualche vittoria. E non piccola: pensate ai famigerati libelli dell’UNAR che dovevano essere introdotti in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Possiamo dire con orgoglio che è merito anche nostro, insieme agli amici Giuristi Per la Vita e ad altre realtà, se sono stati fermati. Allo stesso modo la nostra raccolta firme contro il gender (oltre 180.000 in poco più di due mesi) ha suscitato scalpore, mettendo qualche sassolino negli ingranaggi del main stream politicamente corretto. La manifestazione di Roma del 20 giugno scorso, poi, per la quale ProVita si è impegnata in prima linea è stato un caloroso successo di popolo in festa.
Antologia di Notizie ProVita Secondo Volume (2014-2015) E poi c’è stata l’attività “ordinaria” di informazione e formazione, con convegni piccoli e grandi, continui e sistematici, per “parlare in nome di chi non ha voce”. Tutto questo lo dobbiamo anche a voi, cari lettori e sostenitori, che col vostro appoggio morale e i vostri contributi economici ci avete sostenuto e spronato. Allora, un po’ per tirare le somme, un po’ per ringraziarvi abbiamo cominciato a raccogliere in una antologia gli articoli più significativi che abbiamo pubblicato. Questo è il secondo volume, che va dal novembre 2013 all’ottobre 2014. Per ovvie ragioni di spazio abbiamo dovuto procedere a una selezione un poco spietata. Non ne abbiano a male gli autori che così sono rimasti fuori: dobbiamo ringraziarli tutti, uno ad uno, perché la loro collaborazione, sempre a titolo amichevole, è certamente imprescindibile per la nostra attività. Speriamo che anche questo secondo volume della nostra antologia sia cosa gradita e utile a tutti per recuperare e rispolverare strumenti culturali importanti per proseguire la buona battaglia in difesa della Vita e della Famiglia. Antonio Brandi
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ANTOLOGIA - 2° VOLUME
Moralità o contraccezione? Il problema dell’AIDS
Il virus dell’HIV.
L’AIDS e le altre malattie sessualmente trasmissibili non si combattono efficacemente con il preservativo, ma con l’educazione a comportamenti sessuali moralmente accettabili. di Alessandro Fiore Da quando è stato identificato, nel 1981, l’AIDS ha infettato circa 65 milioni di esseri umani e ne ha ucciso più di 25 milioni. Un vero e proprio flagello che si trasmette prevalentemente per via sessuale e che nei paesi più sviluppati colpisce soprattutto un certo tipo di popolazione, in particolare la popolazione omosessuale. In altre parti del mondo, come in Africa, le epidemie sono di solito generali. A causa di questa malattia, la speranza di vita in diversi paesi africani si è ridotta addirittura di 30 anni. Com’è noto, di solito la soluzione è individuata nella diffusione massiva di preservativi, perché, si dice, l’uso del preservativo riduce dell’80% il rischio d’infezione. I sostenitori di tale strategia non mancano di denunciare e ridicolizzare chi, come la Chiesa Cattolica, per ragioni morali, o per altri motivi, pensa che la soluzione giusta sia da cercarsi altrove: guai a mettere in discussione la promozione del preservativo! Chi lo facesse attirerebbe subito su di sé l’ira e l’indignazione del mondo intero. Molti ricorderanno il
Chi si sente protetto dal preservativo intensifica i comportamenti a rischio e quindi diviene più vulnerabile.
viaggio di Benedetto XVI in Camerun nel 2009. In quell’occasione il Papa dichiarò: “Il problema [dell’AIDS] non può essere risolto distribuendo preservativi; al contrario, si rischia di peggiorare la situazione”. Apriti cielo! Da ogni parte arrivarono forti critiche a quelle affermazioni: qualcuno, come George Monbiot nel Guardian, arrivò perfino a scrivere: “Ogni anno il Papa uccide decine, forse centinaia di migliaia delle persone più vulnerabili al mondo, mediante la semplice proibizione di utilizzare il preservativo”. Persino molti “cattolici” si uniscono al coro: il preservativo diminuisce il rischio d’infezione; è inverosimile, dicono, che gli africani cambino i loro comportamenti sessuali: lasciamoli compiere allora atti immorali, ma almeno in modo sicuro. Ma è davvero così sicuro? Spesso tralasciamo di considerare con la dovuta attenzione sia gli argomenti di ordine morale contro l’uso dei mezzi contraccettivi, sia le ricerche concrete nel campo della lotta all’AIDS. Sull’aspetto morale della questione, la posizione della Chiesa è chiara e profonda. A coloro che vogliono ridurre l’atto sessuale a una dimensione edonistica e puramente ludica, la Chiesa ricorda che ben più alti sono il significato e la finalità naturale della sessualità: concepire niente di meno che una nuova persona umana, dare la vita stessa, opera che non ha equivalente in tutto il mondo fisico. Deliberatamente privare l’atto sessuale di questo bene al quale è intrinsecamente ordinato non può che
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Chi si sente protetto dal preservativo intensifica i comportamenti a rischio e quindi diviene più vulnerabile.
costituire, per definizione, un male morale. Su queste basi non bisogna confondere ciò che è lecito con ciò che è efficiente: la Chiesa deve indicare agli uomini il bene e non insegnare agli uomini come fare il male in modo più “sicuro”. Indica la strada dell’astinenza e della fedeltà, comportamenti che prevengono la trasmissione della malattia: se poi il soggetto sceglie di comportarsi in modo immorale, non sarà certo colpa della Chiesa se assume rischi che poteva evitare seguendo la norma etica. Ma c’è ancora un altro aspetto poco conosciuto e che sorprenderà molti: dai dati che abbiamo a disposizione risulta che la strategia basata sulla contraccezione non è nemmeno quella “efficiente”. È, al contrario, la strategia “etica”, basata sull’astinenza e sulla fedeltà, che risulta vincente anche nei fatti. Ma - si dirà - il preservativo non riduce dell’80% il rischio d’infezione? Quest’affermazione è solo parzialmente vera e, nel quadro complessivo, finisce per essere falsa. Esiste, infatti, l’evidenza empirica che le persone assumono rischi maggiori quando sentono di essere protette da un mezzo artificiale. Molti ricercatori si sono resi conto che questo meccanismo si applica anche alle popolazioni che utilizzano contraccettivi per evitare di contrarre l’AIDS: chi usa il contraccettivo, sentendosi protetto, tende a moltiplicare i comportamenti rischiosi e, alla fine compensa o iper-compensa la protezione che il contraccettivo poteva procurare. Il fenomeno è conosciuto negli ambienti della sanità pubblica come “compensazione del rischio” o “disinibizione”. In molti paesi dell’Africa sub-sahariana, i tassi di trasmissione di HIV rimangono alti e sono persino cresciuti, nonostante un aumento considerevole nell’uso del preservativo. È un fatto poi che i paesi africani con la disponibilità più alta di preservativi, come Botswana e Sudafrica, hanno anche i tassi più alti di AIDS al mondo. Il medesimo discorso vale per molti stati occidentali quanto alle malattie sessualmente trasmissibili (MST) in genere. I dati pubblicati dall’OMS indicano una ripresa generale nel mondo occidentale di MST: in Gran Bretagna, secondo la Health Protection Agency, negli ultimi dieci anni i tassi di MST sono più che raddoppiati tra gli adolescenti nonostante la crescente diffusione del preservativo e l’educazione al “sesso sicuro”; negli USA, nel 2008, circa il 25% delle ragazze adolescenti avevano una MST; da Canada, Svezia e Svizzera giungono dati analoghi.
L’astinenza e la mutua fedeltà sono le uniche misure di prevenzione con un’efficacia del 100%: la promozione della salute potrebbe essere ottenuta in modo più efficace ritardando l’inizio dell’attività sessuale, riducendo il numero di partner ed evitando rapporti occasionali. Le ricerche statistiche lo confermano: diversi paesi in Africa sono riusciti a ridurre le epidemie di AIDS cambiando i comportamenti sessuali. L’Uganda, che aveva il tasso di AIDS più alto al mondo, ha ottenuto una riduzione spettacolare delle infezioni durante gli anni ‘80 e ‘90. Il governo evidenziò che il cambiamento nel comportamento sessuale era il miglior modo per evitare la malattia. Il presidente Museveni dichiarò: “Sto chiedendo alla mia gente di ritornare alla nostra cultura di origine: niente sesso prima del matrimonio e fedeltà nel matrimonio. I giovani devono imparare disciplina, autocontrollo e a volte sacrificio”. Il risultato: la percentuale di adulti con AIDS in Uganda nel 1995 era il 15%, nel 2001 diminuì al 5%. Dopo l’Uganda, anche il Kenya adottò la stessa strategia. Nel febbraio del 2011 un’importante ricerca trovò che il tasso di AIDS in Zimbabwe era sceso di circa la metà, dal 29% di adulti infetti nel 1997, al 16% nel 2007. Gli autori della ricerca, guidati da Daniel Halperin dell’Università di Harvard, dimostrarono chiaramente che la riduzione sostanziale dei rapporti sessuali occasionali ed extramatrimoniali spiegavano il calo di AIDS. L’uso di preservativi, invece, non aumentò nello stesso periodo. La conclusione che si delinea sorprenderà certamente i promotori del condom. E invece dovrebbe essere ovvio che non è possibile sconfiggere una malattia legata ai comportamenti, se non si cambiano i comportamenti stessi. La soluzione morale al problema dell’AIDS si rivela essere anche quella più efficiente. Per concludere citiamo un esperto in materia, il dott. Edward Green, professore ad Harvard e direttore dell’AIDS Prevention Research Project: “Gli unici paesi in cui si segnala una flessione dei tassi di sieropositività sono quelli dove la gente ha ridotto il numero dei partner sessuali e ha praticato la fedeltà di coppia. … la lotta all’AIDS è un’industria multimiliardaria che sarebbe messa in pericolo da una strategia così semplice come quella che dice di non avere tanti partner, essere fedele, astenersi”. E conclude significativamente: “Diffondevo contraccettivi in Africa. Oggi dico che solo la fedeltà coniugale batterà l’AIDS”. ■ Tratto da Notizie ProVita, Dicembre 2013
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Come negli anni’70, fu tolta l’omosessualità dalla lista dei disturbi mentali, così ora si vuole togliere la pedofilia.
La società ne ha bisogno (dei pedofili!) Molti sostengono che l’attrazione per i bambini è un orientamento sessuale come tanti, è un altro dei “generi” in voga. E’ un’altra delle pulsioni che ormai abbiamo imparato a elevare al rango di “diritto”. di Francesca Romana Poleggi Intellettuali di varia provenienza (Radicali in testa) vanno proclamando da anni la necessità di smetterla di condannare la pedofilia. Come per qualsiasi altro orientamento sessuale, si nasce omosessuali o pedofili o …coprofagi, necrofili (… perché no?) e ognuno ha diritto di essere com’è, e di esternare le proprie tendenze. Una certa porzione di psichiatri americani già ha proposto di modificare la definizione di pedofilia contenuta nel Manuale di diagnostica e statistica dei disordini mentali (in pochi ancora chiedono di cancellarla del tutto): non più “pedofili”, ma “persone attratte dai minori”, perché detti soggetti, aldilà degli “stereotipi” e dei “pregiudizi costruiti dalla società”, vanno compresi e rispettati. Infatti, secondo loro, gli effetti negativi del sesso tra adulti e bambini sono stati eccessivamente sovrastimati: la grande maggioranza delle persone che ha avuto rapporti con adulti durante l’infanzia non ha riportato conseguenze sessuali negative una volta raggiunta la maturità. Ne sa qualcosa il biologo ateista inglese Richard Dawkins che ha subìto molestie da bambino e a quanto pare vive felice e contento (ha detto testualmente che una “moderata attività pedofila” è da tollerare). Ma c’è di più: c’è chi sostiene che i pedofili dovremmo addirittura ringraziarli. L’Ontario Institute for Studies in Education (OISE), dell’Universttà di Toronto, ha patrocinato nell’ottobre scorso, un convegno dal titolo “Corpi in gioco: sessualità, infanzia e vita in classe”, organizzato dal Centro Studi delle Diversità Sessuali “Mark S. Bonham”. Tra i principali relatori James Kincaid, professore di letteratura inglese in California, autore di libri come Erotic Innocence: The Culture of Child Molesting. I suoi studi sulla sessualizzazione dei bambini l’hanno portato alla conclusione che tutti gli adulti sono segretamente attratti sessualmente da bambini, ma mostrano Tratto da Notizie ProVita, Dicembre 2013
disgusto per le azioni dei pedofili perché si vergognano dei loro sentimenti: insomma “abbiamo bisogno dei pedofili per riempire il nostro vuoto”. Naturalmente queste sono un mare di perverse e criminali bugie, ma chi s’intendeva di propaganda e comunicazione diceva: “Mentite, mentite, qualcosa resterà” (Goebbels). Il “partito dei pedofili” avanza prepotentemente. In Olanda, l’Associazione Martijn («Vereniging Martijn»), derivata dal Partito dell’Amore Fraterno, NDV, secondo i giudici, ha diritto di esistere. La legge che negli USA vieta le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale non spiega cosa significhi e quali siano gli “orientamenti sessuali”. Un emendamento che voleva specificare che la pedofilia non poteva considerarsi tale fu respinto dai Democratici. E l’amministrazione Obama, da poco, ha dedicato un francobollo a Harvey Milk: un molestatore di ragazzini. Se poi il lettore ha lo stomaco e la pazienza di cercare su internet sigle come B4U-ACT, o NAMBLA, scoprirà che esiste una gran varietà di associazioni culturali e/o scientifiche con la pretesa che i pedofili possano “vivere in verità e dignità” perché “sono esseri umani, non criminali pericolosi o deviati”, in quanto il loro amore per i bambini non è violento, ma asseconda le naturali pulsioni sessuali che i piccoli possono esternare fin dalla più tenera età. Oggi le lobby LGBT entrano nelle scuole a insegnare il “gender” ai nostri figli. Planned Parenthood – dove può – insegna la sessualizzazione precoce ai bimbi stessi, sotto l’egida dell’ONU e il patrocinio dell’UE. Domani qualcuno gli insegnerà che può essere piacevole soddisfare sessualmente qualche vecchio porco (scusate, m’è scappata un’espressione un po’ volgare). E chi oserà gridare allo scandalo sarà accusato di intolleranza, discriminazione delle minoranze, istigazione all’odio, e magari di “pedofobia”. ■
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La cultura abortista nella quale siamo immersi ben si guarda dal portare alla luce cosa veramente accade nell’interiorità della donna dopo.
Una foto orrenda può salvare una vita
Intervista a Gregg Cunningham Direttore del Center for Bioethical Research (Centro per la ricerca bioetica), un’attivissima organizzazione pro life americana che denuncia l’orrore dell’aborto. di Antonio Brandi Oltre alla polemica suscitata dal volantino di Jesi, di cui alla pagina precedente, molti lettori ricorderanno la campagna mediatica dei radicali, ai tempi del referendum, in cui sono stati demonizzati i manifesti esposti dal Movimento per la Vita, tanto che furono censurati. La realtà è che gli abortisti hanno paura della verità. Ne siamo ancora più convinti dopo aver conosciuto Gregg Cunningham e il suo CBR. Quando è nato il CBR, e perché? Ho fondato il CBR nel 1991. I nostri obiettivi primari sono, a livello tattico, salvare i bambini e proteggere le madri, a livello strategico far vietare l’aborto, metterlo fuorilegge. Sul suo sito web, www.abortionno.org, vi sono filmati e immagini dell’aborto molto crude. Non pensa che questo possa offendere i lettori? Noi non siamo eccessivamente preoccupati di ciò che le persone possano pensare di quello che mostriamo. Siamo invece profondamente preoccupati per quello che pensano dell’aborto. Le nostre immagini sono offensive, perché l’aborto è offensivo e ripugnante. Può parlarci del suo progetto “Genocide Awareness Project” (Sensibilizzazione sul genocidio)? Mostriamo foto chiare e schiette su cosa è veramente l’aborto, nelle pubbliche piazze e nei campus universitari; anche perché gli abortisti in genere rifiutano di discutere con noi. In quelle rare occasioni in cui lo fanno, di solito, insistono sul fatto che non vengano mostrate foto o video sull’aborto. Al contrario, le nostre grandi foto e i nostri manifesti
La storia insegna che se le istituzioni sono senza Dio, inevitabilmente esse diventano portatrici di morte
non possono essere censurati, non necessitano di un permesso ufficiale e sono visti da tutto il corpo studentesco. Dobbiamo a volte minacciare e fare azioni legali perché sia rispettata la nostra libertà di esporre le foto in luoghi ben visibili. Abbiamo messo insieme una squadra di avvocati “d’attacco” che ci rappresentano gratuitamente. Ci concentriamo sulle università perché la futura leadership americana passa attraverso il sistema universitario. Solo grazie alle nostre foto gli studenti diventano consapevoli di cosa è veramente l’aborto: queste foto fermano gli aborti e reclutano nuovi studenti pro life. Ci parli della sua campagna “Reproductive Choice” (scelta riproduttiva) e perché l’ha iniziata. Questo progetto consiste nel circolare per le strade con furgoni ricoperti di manifesti con immagini di aborti. Suscitiamo così tante proteste che i media parlano delle nostre attività e nella metà dei casi mostrano anche le loro foto. L’altra metà dei programmi le offuscano, ma devono ammettere con i telespettatori che l’aborto è troppo inquietante per mostrarlo in televisione. Vinciamo in entrambi i casi e riceviamo così milioni di dollari di pubblicità gratuita. Abbiamo più volte dimostrato che dove passiamo con i nostri furgoni, durante una campagna elettorale, il candidato pro life riceve più voti del candidato pro aborto.
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ANTOLOGIA - 2° VOLUME I grandi media, le organizzazioni internazionali come l’ONU e l’UE sembrano essere fortemente pro aborto, perché? Si tratta d’istituzioni senza e contro Dio e storicamente l’empietà conduce sempre al genocidio. È sufficiente osservare l’Impero Romano prima e dopo Cristo. Avete mai incontrato problemi legali durante il corso delle vostre attività?
Queste manine avevano 2 mesi vita. Che tipo di reazioni ottiene dagli studenti e dal pubblico in generale? Le reazioni dei cittadini nei nostri confronti è generalmente di disapprovazione, ma perché la maggioranza, vedendo le foto, si rende conto di cosa sia veramente l’aborto e quanto sia ripugnante. Uno dei nostri slogan è: “Non odiate chi vi dà il messaggio, odiate l’ingiustizia che vi viene mostrata”. Lei ha anche sviluppato il progetto “Matteo 28:20”, che è simile al “Genocide Awareness Project” su descritto, ma si rivolge alle comunità religiose. Abbiamo appena iniziato il nostro lavoro con quelle chiese in cui i sacerdoti aiutano a nascondere l’orrore dell’aborto. Vogliamo ridurre il tasso degli aborti tra i cristiani, incoraggiare le madri e i padri che l’hanno fatto a confessarsi, perché ricevere il perdono serve alla guarigione. E poi vogliamo spingere all’azione i cristiani inerti di fronte a questo genocidio. Stiamo agendo così anche presso i seminari. Perché molte chiese cristiane non insegnano ai loro adepti che l’aborto è l’omicidio di un innocente? Perché la religione è spesso diventata un business e condannare l’aborto fa male al business: si possono allontanare persone, e le offerte diminuiscono.
Tratto da Notizie ProVita, Gennaio 2014
Noi siamo in tribunale quasi tutto il tempo. Attualmente abbiamo presentato due denunce contro due università con le quali siamo in causa [in America, la libertà di occupare spazi pubblici e di manifestare il proprio pensiero è ancora molto tutelata – N.d.T.] Questo è il motivo per cui anche in Italia, se vorrete far valere il vostro diritto di mostrare foto di aborti, sarà necessario assumere avvocati. Sarei felice di aiutarvi a realizzare questo progetto. Oltre ai progetti sopra menzionati, che mostrano l’aborto per quello che realmente è, sviluppate altre attività? Siamo coinvolti in molte altre attività didattiche, ma sono riservate e non le discutiamo pubblicamente. Ha altri progetti o idee che desidera condividere con i nostri lettori? Voglio aiutare i nostri amici italiani per iniziare a esporre l’umanità del bambino non ancora nato e la disumanità dell’aborto. Voglio aiutarvi a costruire un’organizzazione a tale scopo e intraprendere la su descritta strategia nelle piazze e nei campus italiani. ■
Se le immagini vi scandalizzano, non odiate chi ve le fa vedere, ma odiate ciò che esse ritraggono.
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“Neuroni specchio” al microscopio
“Neuroni specchio” e adozione
Il Vice presidente nazionale di Scienza e Vita, neurochirurgo e neuropsichiatra, ci offre uno spunto di riflessione lucida, razionale e scientifica sull’importanza della presenza maschile e femminile per la crescita dell’individuo. di Massimo Gandolfini Il tema dello sviluppo psichico del bimbo, durante i primi anni di vita, va oggi affrontato alla luce della scoperta dei cosiddetti neuroni specchio (NS). Nel 1994/95, dopo studi sulle modalità di apprendimento nei primati, Giacomo Rizzolatti e la scuola neurologica di Parma individuavano una nuova famiglia di neuroni dotati di capacità cognitive. Trasferita la ricerca sull’uomo, con tecniche di RMN funzionale, si giungeva alla dimostrazione che un simile pool neuronale era presente anche nel cervello umano. Venne adottata la denominazione di “neuroni specchio”, con l’intento di precisare che la loro funzione specifica è riconoscere e interpretare gli atti motori, compiuti da altri soggetti. Si tratta, quindi, di neuroni motori, presenti in diverse regioni cerebrali, collegati attraverso una ricca rete sinaptica con tutte le aree cerebrali motorie e cognitive. La loro caratteristica fondamentale è rappresentata dalla capacità di attivarsi non solo quando si compie una data azione (come fanno tutti i neuroni motori), ma anche quando si osserva un’azione compiuta da altri (proprio come se quell’azione venisse compiuta personalmente). Non solo. Essi entrano in funzione anche quando semplicemente udiamo il racconto o immaginiamo una data azione, o quando percepiamo il rumore che essa usualmente provoca (una sirena, uno sparo, ecc.): il risultato finale è che, consentendo al cervello di confrontare i movimenti osservati o immaginati a quelli propri, rendono possibile comprendere non solo lo svolgimento meccanico, ma anche il significato dell’azione motoria, fino a individuarne la componente intenzionale. Con una felice espressione, d’immediata efficacia, Rizzolatti ha coniato un aforisma definendoli neuroni “so quello che fai”.
Date queste caratteristiche, si comprende quanta importanza giochino i NS in funzioni che vanno ben al di là del semplice atto motorio, fino a darci una nuova chiave di lettura delle cosiddette “funzioni simboliche superiori”, quali apprendimento, imitazione, linguaggio, emozioni, affettività ed empatia. Ciò non significa negare l’importanza dell’elaborazione specificamente cognitiva cui sono deputate strutture cerebrali diverse (lobo temporale, parietale, occipitale), ma la funzione d’interpretazione/ comprensione immediata, quasi istantanea, di ogni atto motorio in senso lato (ad esempio, il riconoscimento e la comprensione dei volti e delle espressioni affettive che il volto media), precedente ogni altra mediazione culturale, concettuale o linguistica, si realizza attraverso il “sistema di rispecchiamento”. Si può, quindi, facilmente immaginare la particolare importanza giocata dai NS nello sviluppo psicofisico del bambino.
“Quello che conta è l’amore”: è vero, ma non basta. E’ oggettivamente pericoloso che lo stimolo diretto e primario, automatico, del rispecchiamento abbia le caratteristiche della “confusione” organica/ somatica.
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Non è pensabile, né scientificamente sostenibile, che l’abbinamento madre/maschio o padre/femmina non giochi un ruolo determinante nello sviluppo psicologico del bimbo. Ad esempio, è grazie al sistema di rispecchiamento che – va ripetuto e sottolineato, non richiede nessuna elaborazione concettuale - il bimbo è in grado di distinguere l’espressione di un volto (maschile/ femminile; felice/triste; infantile/anziano; ecc.), strutturando il proprio assetto di “consonanza affettiva”, bimbo/madre e bimbo/padre. Il bambino esperisce, impara ed elabora le sue prime relazioni sociali con i propri genitori, entro il nucleo familiare, in un legame primigenio di relazione affettivoemotivo-cognitiva unico e irrepetibile. Entro questo contesto si strutturano progressivamente le due caratteristiche fondamentali della personalità (concetto certamente, difficilmente definibile in termini rigidi, ma non per questo astratto o evanescente): la conoscenza di sé e la costruzione del senso d’identità, fra loro interagenti. Il bambino definisce se stesso cercando risposta a una domanda interna, ancestrale e inconsapevole: “chi sono io?” e lo fa utilizzando il materiale che ha a disposizione, cioè il proprio corpo (patrimonio genetico, il patrimonio neurobiologico, di cui il sistema di rispecchiamento è componente essenziale, soprattutto nelle fasi iniziali della vita), interfacciato al patrimonio “ambientale” che ha a disposizione, cioè papà, mamma, fratelli, luogo sociale con tutte le sue variabili. Questo delicato processo di costruzione della propria personalità è strutturale e globale: riguarda il corpo, con tutte le sue caratteristiche anatomofunzionali, la cognizione (dall’affettività all’emotività, dal comportamento al pensiero), la socialità (dal sentimento di difesa e conservazione, all’autostima e alla gestione dell’alterità e della relazione), attraverso un lavoro complesso, graduale, continuamente rimodellato e influenzato da fattori della propria “biografia”. Questa “conoscenza di sé” fa parte di quelli che lo psicologo americano Maslow definisce “bisogni primari”, che incidono profondamente sul benessere del bambino. Per “sentirsi bene” il bimbo – accanto al bisogno di nutrirsi, di dormire, di essere protetto, amato e accudito – ha bisogno di “conoscersi” a 360 gradi, nella sua componente somatica (conoscenza del proprio corpo) e nella componente cognitiva (emozioni, sentimenti, relazioni). Questo processo richiede un lavoro di assemblaggio fra due opposte esperienze: da una parte assimilazione/ Tratto da Notizie ProVita, Gennaio 2014
identificazione e dall’altra esclusione/differenziazione del proprio sé, corporeo e psichico, confrontando quanto lo identifica con il padre e quanto lo differenzia dalla madre, e viceversa. Ritenere ininfluente o insignificante che la relazione con la figura materna sia esperita attraverso un soggetto maschio o, viceversa, che la relazione paterna sia gestita da un soggetto femmina è - al di là di ogni categoria antropologica - in contraddizione con tutto quanto acquisito in ambito neurobiologico e che il sistema dei NS ci ha rivelato. Svolgendo questi un ruolo essenziale nell’apprendimento pre-concettuale, come dimostrato, non è pensabile che l’abbinamento madre/maschio o padre/femmina non giochi un ruolo determinante nello sviluppo psicologico del bimbo. Spesso ricorre l’espressione “quello che conta è l’amore”, certamente un po’ irenica, ma non del tutto priva di valore e di significato, ma stiamo parlando di ben altro e di tutt’altro: la corporeità (con la relazione affettiva che essa veicola) è struttura concreta, imprescindibile e non sostituibile, per lo sviluppo armonico del sé corporeo (e, successivamente, psicologico) del bambino, essendo stimolo diretto e primario, attivante il sistema di rispecchiamento. Anzi, è da considerarsi oggettivamente pericoloso che questo primo stimolo abbia le caratteristiche della “confusione” organica/ somatica: come non pensare che - almeno in via di alta probabilità – non possa costituire un elemento turbativo nel processo di strutturazione intrapsichica del bimbo? Quantomeno nell’ottica di un saggio principio di precauzione – considerato che tanto le Dichiarazioni Internazionali, quanto la legislazione nazionale italiana (legge 184/83) affrontano il delicato tema dell’adozione dei minori nella prospettiva “dell’interesse esclusivo” del bambino e del suo maggior benessere possibile – è decisamente auspicabile che siano garantite al minore tutte le migliori condizioni esistenziali possibili perché il suo sviluppo psicofisico possa avvenire nell’ambito della relazione genitoriale “eterosessuale” che il senso umano condiviso ha consolidato fin dai primordi della sua storia, al di là di ogni scelta morale o confessionale. ■
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Contro le discriminazioni sessuali? TUTTE! Le minoranze, gli orientamenti sessuali di alcuni, si possono discriminare, sì o no? di Francesca Romana Poleggi Un po’ di coerenza, signori, per favore. Se i paladini del politically correct, della “democrazia” e della “libertà” (prego notare le virgolette) sono strenui difensori dei diritti dei gay, dei transessuali, magari anche dei pedofili, degli “amanti degli animali”, e dei necrofili, e di qualsiasi altro orientamento sessuale, perché si macchiano la coscienza (posto che ce l’abbiano) di atti discriminatori nei confronti degli ex gay? Le persone che dopo un periodo di vita da omosessuale, per i più diversi motivi, ritengono liberamente di voler cambiare e ritornare ad aver rapporti sessuali con persone dell’altro sesso, sono oggetto di denigrazione e di emarginazione. Ne sa qualcosa Luca Di Tolve, del Gruppo Lot, che offre sostegno e comprensione a chi manifesti disagio e sofferenza nella condizione di omosessuale, autore del libro “Ero gay, a Medjugorje ho ritrovato me stesso”… Ricordate le polemiche sollevate al festival di Sanremo di qualche anno fa dalla canzone “Luca era gay”? Evidentemente la coerenza non è di casa tra i difensori dei diritti delle minoranze, in Italia. Anche in America, però, quanto a coerenza, i paladini della “libertà” lasciano un poco a desiderare. Esiste, infatti, negli Stati Uniti, l’associazione dei genitori e degli amici di ex gay, Parents and Friends of Ex Gays & Gays (PFOX). Non ha finalità terapeutiche: sostiene le famiglie, sostiene la comunità ex gay, e chiede all’opinione pubblica il rispetto di quest’orientamento sessuale. Ogni anno migliaia di uomini, donne e ragazzi con tendenze ed esperienze omosessuali prendono la decisione personale e autonoma di tornare all’eterosessualità. Tuttavia, molti rifiutano di rispettare tale loro decisione. Di conseguenza, li insultano, li discriminano e li emarginano, solo per la loro scelta sessuale! La PFOX dà voce agli ex gay in un ambiente ostile.
Se l’identità di genere è così fluida e modificabile, secondo alcuni, perché questi stessi illustri psicanalisti e intellettuali non accettano che si possa decidere di lasciare l’omosessualità liberamente? Nel Maryland la PFOX, ha sporto una denuncia all’autorità giudiziaria contro la discriminazione per l’orientamento sessuale subita dai suoi associati da parte dell’Ufficio Scolastico della contea di Montgomery, e da parte del Soprintendente Joshua Starr. Regina Griggs, direttore esecutivo di PFOX, ha chiesto alle autorità che tutelano prontamente i transgender (coloro che hanno cambiato sesso) quando subiscono atti discriminatori, la stessa tutela contro le discriminazioni per la scelta dell’orientamento sessuale a favore dei suoi associati, ex omosessuali. Il Sovrintendente Starr, invece, ha abusato del suo potere per intervenire con atti ed esternazioni dispregiative e discriminatorie nei confronti degli ex gay. Addirittura Starr ha stigmatizzato la distribuzione di volantini operata dalla PFOX come “riprovevole e deplorevole” e ha definito il messaggio contenuto negli stessi come “davvero disgustoso”. La promozione dell’intolleranza verso gli ex omosessuali è lesiva dei diritti di una minoranza. E non è giusto né morale consentire, a chi ha il potere, di usarlo contro chi ha gusti sessuali diversi. Starr e il consiglio scolastico hanno anche ammesso di aver cancellato il programma di distribuzione libera di volantini da parte delle associazioni no profit, per impedire alla PFOX di distribuire i propri. È come quando negli anni ’50, vennero chiuse le piscine pubbliche pur di impedirvi l’accesso agli afro americani. Evidentemente nella razionalità e nella coerenza delle scelte di chi milita per la libertà di genere c’è qualche cosa che non va. ■
Tratto da Notizie ProVita, Febbraio 2014
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Padre Frank Pavone tra le donne che si rammaricano per il loro aborto, durante una manifestazione pro life.
Una battaglia vinta, perché la Vita ha già vinto. Padre Frank Pavone è il direttore nazionale di Priests for Life, l’assistente spirituale della Rachel’s Vineyard, coordinatore del National Pro Life Religious Council ed è direttore pastorale di Silent No More – Awareness Campaign. di Andrea Giovanazzi Reverendo Padre, sembra che vi sia un cambiamento di attitudine verso l’aborto negli USA e che i sostenitori della vita siano in maggioranza. È vero? È vero, ed è dimostrato da sondaggi. Talvolta si sente dire che secondo i sondaggi la maggior parte degli Americani sono pro choice: quest’affermazione è falsa. Nel corso di questi 3 decenni di aborto legale, l›opinione pubblica statunitense è rimasta abbastanza costante. Come confermato dalla General Social Survey (GSS; Davis e Smith 2010), circa un quinto della popolazione è contraria all›aborto in ogni circostanza, un altro quinto pensa che l›aborto debba essere legale in tutte le circostanze. La maggior parte del restante 60 per cento dice che l›aborto debba essere legale solo in caso di stupro, incesto o pericolo per la vita della madre; una percentuale leggermente inferiore ritiene che debba essere legale solo per salvare la madre. Poi vi sono quelli che ritengono che dovrebbe essere legale per qualsiasi motivo, ma mai dopo i primi tre mesi di gravidanza… Secondo il Guttmacher Institute, gli aborti nei casi di stupro o incesto sono circa l’1% del totale. Bisogna anche precisare che gran parte dei medici sostiene che l’aborto non è mai necessario per salvare la vita di una madre. La conclusione, comunque, è che quasi il 99% degli americani si oppone all’attuale politica in materia di aborto, che per legge è possibile spesso fino a nove mesi: questo non ha mai ottenuto il sostegno della maggioranza della popolazione.
Questo è stato il risultato degli sforzi dei movimenti per la vita? Quali strategie sono state applicate? In realtà, come ho sempre detto, l’aborto si auto distrugge: più la realtà dell’aborto viene rivelata, più la gente vede la devastazione che l’aborto provoca nella vita di coloro che lo subiscono e tanto meno sostegno l’aborto riceve. Il mito del pro choice può durare solo per un periodo limitato. Il cambiamento è anche dovuto ai giovani che si rendono conto di essere dei sopravvissuti all’aborto, perché la legge non li proteggeva, né riconosceva la loro personalità giuridica. I giovani sono quindi oggi più motivati che mai a essere a favore della vita. Anche il ruolo dei movimenti per la vita in tutto questo è fondamentale. Con l’associazione Silent No More (www.SilentNoMore.com), attraverso le testimonianze di chi è stato coinvolto nella tragica esperienza, mostriamo al pubblico che l’aborto non è la soluzione che si suppone che sia. SNM è un progetto congiunto di Priests for Life e Anglicani per la vita che, in tutto il Nord America e in diversi altri paesi del mondo, offre a chi ha abortito l’opportunità di condividere le proprie esperienze, e promuove la guarigione dalle conseguenze dell’aborto, non solo per il bene di coloro che ne sono stati coinvolti, ma anche come impegno strategico. Più una persona è guarita da un aborto passato, meno è probabile che ne faccia in futuro e più sarà disposta a combattere l’aborto. Dobbiamo seguire l’invito di San Paolo (Ef. 5,11): “Non avere a che fare con le opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto, denunciale”, e quindi mostriamo l’orrore
Antologia - 2° voume dell’aborto, anche attraverso immagini delle vittime. Questa è una delle strategie più efficaci e anche quella più coerente per sradicare ogni ingiustizia sociale (vedere il nostro sito www.Unborn.info). Molti Stati hanno approvato leggi che limitano l’aborto. Vi sono Stati che vietano l’aborto prima di 20 settimane di gravidanza? La maggior parte degli stati in USA hanno applicato delle restrizioni all’aborto. Sempre più Stati ora proibiscono l’aborto a nascita parziale [che comporta l’uccisione del bambino nel momento in cui sta per essere partorito, N.d.R.], e dieci Stati hanno promulgato il Pain Capable Unborn Child Protection Act (Legge per la protezione dei bambini non nati capaci di sentire dolore) che vieta l’aborto dopo le 20 settimane. Due hanno approvato leggi per vietare l’aborto prima delle 20 settimane: il North Dakota (divieto dopo le 6 settimane) e l’Arkansas (divieto dopo le 12 settimane), ma in tutti e due gli Stati è ancora in atto una serrata battaglia legale. C›è qualche speranza di un referendum negli Stati Uniti per abrogare la legge federale pro aborto? Credo che né i pro choice, né i pro life siano favorevoli a tale referendum. Per una serie di ragioni, non ultima delle quali è l’enormità dello sforzo che richiederebbe. I gruppi pro vita usano le proprie risorse in battaglie legislative nei propri Stati, mentre i sostenitori dell’aborto cercano e usano i giudici per abbattere le leggi per la vita. L’aborto rappresenta non solo un crimine contro Dio, ma sembra anche essere molto dannoso per l’economia e lo sviluppo demografico della nazione… Non vi è dubbio che la perdita di circa 55 milioni di vite ha conseguenze demografiche ed economiche. Il fenomeno, naturalmente, interessa principalmente il sistema di sicurezza sociale e rende più difficile la cura degli anziani. Questo, a sua volta, porta (e sta già portando) a legalizzare l’eutanasia. Diversi studiosi hanno specificamente denunciato l’impatto dell’aborto sull’economia e anche sulla sicurezza nazionale. La tutela della famiglia naturale è il fondamento di ogni società umana. Ci sono misure o leggi del governo federale o di singoli stati per promuovere la famiglia naturale? Fortunatamente sì, esistono a livello sia statale sia federale le normative volte a migliorare le condizioni delle famiglie, ma rimangono delle lacune. D’importanza fondamentale, naturalmente, sono state le battaglie per difendere il matrimonio come unione di un uomo e una donna. E con poche eccezioni, gli elettori negli Stati Uniti sostengono la famiglia naturale.
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I grandi media sembrano essere pro choice. Perché? Michael Medved è un autore che ha affrontato quest’argomento ampiamente, e la polarizzazione pro choice di coloro che lavorano nei media è stata ben documentata. Sembra che ci sia un notevole “distacco” culturale e sociale, in base al quale i media hanno poca o nessuna significativa interazione con i sostenitori della vita. Negli USA, inoltre, queste élite dei media sono politicamente legate al Partito Democratico, il che, a livello nazionale, significa fedeltà all’aborto senza restrizioni. Dalla mia esperienza personale e professionale, però, direi che vi è un miglioramento negli ultimi anni poiché i più giovani diventano giornalisti e questi giovani sono più aperti al messaggio pro vita, per i motivi già spiegati. In Italia, il Parlamento sta per approvare una legge che reprime «l›omofobia e la transfobia» che porterà presto a matrimoni e adozioni gay. Qual è la situazione negli Stati Uniti? Moralmente e filosoficamente, vi è una differenza di età da considerare. I più giovani sono contro l›aborto più che mai, ma hanno più difficoltà a percepire cosa è sbagliato nel matrimonio e nell’adozione gay. Molto ha a che fare con il fatto che conoscono personalmente molti gay e non sono perciò inclini a «negare» loro un «diritto». I tribunali e alcune recenti battaglie legislative sono andate nella direzione sbagliata ed esistono “vantaggi culturali” attribuiti alle lobby gay; però in America ci sono molti motivi di speranza su questo tema. Abbiamo avuto numerose vittorie e siamo solo all›inizio di questa battaglia in cui dobbiamo presentare argomenti chiari e convincenti che spieghino perché i matrimoni gay e le adozioni gay sono una cattiva idea. Cosa pensa di psichiatri come Van Gijseghem e Milton Diamond che pensano che la pedofilia sia solo un altro orientamento sessuale? Non è affatto sorprendente che qualcuno possa considerare la pedofilia solo un altro “orientamento sessuale”. Qualunque siano le argomentazioni scientifiche o mediche di questi psichiatri, che altri nella professione senza dubbio sono in grado di confutare, è
14 ANTOLOGIA - 2° VOLUME una progressione filosofica e culturale naturale: una volta che una società si disconnette dal fondamento che il matrimonio è tra un uomo e una donna - perché è uno solo l’orientamento naturale per la sessualità umana poi tutto è possibile. Inoltre, un argomento medico non ha rilevanza morale. Anche si potesse pensare alla pedofilia come “orientamento”, ciò non fornirebbe alcuna base per la rivendicazione del “diritto”, né servirebbe a giustificare tale attività. Nella sua vita lei è sempre stato coraggioso e chiaro contro l’aborto. Cosa pensa dei molti cattolici che hanno accettato compromesso dopo compromesso e hanno rinunciato a proclamare la Verità? Molti sono deboli e accettano compromessi perché sono in conflitto con se stessi e tendono a pensare che il problema sia quello di bilanciare il bene del nascituro con il “bene” della madre. Sanno che l’aborto è un male per i bambini, ma pensano erroneamente che sia in qualche modo un bene per le madri. Inoltre ci sono tante persone che non si schierano contro perché vengono feriti da esso e quindi non vogliono parlarne, non vogliono neanche sentire la parola “aborto”, per non rinnovarne il dolore. Vi è un numero ancora maggiore di persone, inoltre, per cui rendersi conto che l’imparare di più su un problema comporta un certo rischio, e allora non vogliono saperne. Molti sanno che l’aborto è male, ma si rendono conto che se guardano troppo direttamente al problema, non saranno in grado di vivere in pace con se stessi se non iniziano a fare qualcosa per fermarlo. Molti ancora, sanno che se s’impegnano nella buona battaglia, dovranno pagare un prezzo. Possono perdere amici, essere emarginati, e quindi non vogliono fare il sacrificio necessario per affrontare l’ingiustizia. O, più semplicemente, non vogliono diventare un “nemico” per la propria sorella, cugina, figlia, nipote, zia, madre o amica che ha avuto un aborto. Troppe persone pensano che opporsi all’aborto significhi opporsi a chi ha abortito... E così la soluzione è ignorare completamente il problema. Si evita un dolore. Questo è il motivo per cui si arrabbiano quando si solleva il tema dell’aborto. Cercavano di ignorarlo e qualcuno l’ha portato in superficie. Ci sono altri pensieri che desidera condividere con i nostri lettori? Stiamo vincendo, e abbiamo bisogno di essere convinti di questo. Incredibilmente, è nei decenni durante i quali la scienza ci ha insegnato moltissimo sulla vita prenatale, che abbiamo assistito all’abbandono della tutela giuridica del nascituro. Ma ora è in atto una presa di coscienza. La scienza medica chiama il concepito “il nuovissimo paziente», la terapia fetale e la chirurgia prenatale continuano a fare passi da gigante, le indagini diagnostiche sono sempre più sofisticate, si studia anche la psicologia prenatale. Negli Stati Uniti, per esempio, la legge federale ora protegge i bambini nati vivi, in qualsiasi caso, anche a seguito di un aborto fallito; vieta la crudele procedura di “aborto a nascita parziale”, e riconosce i bambini non ancora nati come vittime, se sono uccisi nel corso di una rapina o di altro reato. Così ci troviamo di fronte a una Tratto da Notizie ProVita, Febbraio 2014
curiosa contraddizione: se una donna che si sta recando in una clinica per abortire viene investita da un’auto e il bambino muore a causa dell’incidente, il conducente può essere condannato per la morte di quello stesso bambino che stava per essere legalmente ucciso mediante l’aborto. Inoltre, per ironia della sorte, molti di quelli che hanno sostenuto l’aborto sono ora convertiti e pentiti. Una marea di esperienze personali testimoniano che l’aborto non ha risolto un problema, ma ne ha creati di nuovi, che l’aborto non è frutto di una libertà di scelta, ma piuttosto della sensazione di non avere alcuna scelta; che l’aborto non ha aiutato, ma ha fatto solo male. Le madri e i padri dei bambini abortiti ora sono organizzati e parlano più forte e chiaro. Ho il privilegio di servire come direttore pastorale di Silent no More che dà l’opportunità di guarigione dalla ferita profonda che l’aborto procura; ma è anche un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sul male che l’aborto fa alle donne. Le testimonianze sono condivise in incontri pubblici e anche in programmi televisivi, radiofonici, e su internet. Chi si rammarica per un aborto, ma non si sente di parlarne pubblicamente, può comunque registrarsi anonimamente e partecipare ugualmente alla Campagna, sul sito www.IRegretMyAbortion.com. Grazie a Silent No More, anche la Corte Suprema ha cominciato a riconoscere il danno psico – fisico causato alle donne dall’aborto: la sentenza sul “Caso Gonzalez” è per noi una svolta epica. Insomma, abbiamo molti motivi per prendere fiducia. Ma alla fine, stiamo vincendo perché abbiamo già vinto! Vi è uno tra noi che detiene le chiavi della morte e dell’inferno. Gesù Cristo è risorto dai morti! Con la risurrezione ha distrutto la morte. Grazie alla risurrezione di Cristo, la morte non ha più l’ultima parola nella storia umana. Questo significa che anche il potere dell’aborto - che prende più vite di ogni altra cosa - è stato sconfitto. I movimenti per la vita, quindi, non lavorano “per la vittoria” ... lavoriamo “dalla vittoria”! La vittoria è il nostro punto di partenza. Noi proclamiamo con gioia al mondo che Cristo è risorto, e per questo motivo, dobbiamo scegliere la vita. Il lavoro è intenso e gli ostacoli molti. Ma noi non indietreggiamo davanti alla cultura della morte. Piuttosto, l’affrontiamo con fiducia vittoriosa e dichiariamo: “Vattene! Non hai posto qui! Nessuna autorità per minacciare la famiglia umana! Il tuo potere è stato sconfitto e Cristo regna sovrano!”. ■
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Le speranze di vita e di guarigione dei bambini, che in utero già presentano gravi patologie, sono più che raddoppiate, grazie alle terapie prenatali.
Terapia fetale e trattamenti palliativi prenatali
Il prof. Noia ci illustra i progressi compiuti dalle tecniche di diagnosi, palliazione e terapia fetale: oggi è possibile curare i bambini ancora in grembo per restituire vita al feto erroneamente considerato terminale, speranza alla famiglia e dignità scientifica ai medici. di Giuseppe Noia
La terapia fetale ha consolidato sempre più il concetto di feto come paziente e negli ultimi 15 anni si è spinta, lì dove il trattamento terapeutico non era possibile, ad attuare trattamenti di palliazione per il feto sia per diminuire le problematiche legate al dolore fetale (palliazione nocicettiva) sia per attuare procedure che pur non essendo risolutive permettono di arrivare ad epoche gestazionali compatibili con la vita postnatale (palliazione clinica). La terapia fetale quindi è uscita dall’alveo sperimentale ed è diventata un’opzione terapeutica scientificamente validata come risposta a patologie fetali considerate fino a pochi anni or sono non passibili di terapia. Le metodologie di cura fetale sono essenzialmente 4: transplacentare non invasiva (attraverso la madre), invasiva con aghi e dispositivi ecoguidati (invasiva fetoscopica), invasiva open. La prima forma di metodologia terapeutica comprende l’uso di farmaci che passando la placenta vanno a curare patologie del ritmo cardiaco fetale o più recentemente mirano a contenere il danno neurocognitivo nei bambini down. La seconda forma di terapia fetale comprende vari approcci. Drenare grosse cisti ovariche (tra 4 e 8 cm) di bambine non ancora nate (approccio intralesionale) permette di far nascere feti che conservano la capacità procreativa futura, evitando la torsione del peduncolo ovarico, la necrosi e la perdita dell’ovaio prima della nascita. Immettere tiroxina nel liquido amniotico con un ago sotto guida ecografica (approccio intramniotico, amnioinfusione) mira ad impedire che un feto con gozzo tiroideo prenatale vada incontro a ritardo mentale. Il gozzo, in effetti, scompare dopo che il feto con i normali atti di deglutizione beve il liquido amniotico come una medicina. In altri casi correggere
la mancanza di liquido amniotico con soluzione fisiologica dalla 17° alla 25° settimana (approccio intramniotico, amnioinfusione) permette di aiutare la formazione dei polmoni fetali e così prepararli all’adattamento postnatale (sopravvivenza passata dal 27 al 50%). Viceversa in caso di gravidanze gemellari in cui uno dei due gemelli ha una grande quantità di liquido amniotico nella sua sacca (sindrome TTTS) l’asportazione di grandi quantità di liquido (approccio amniotico, amnioriduzione) comporta un aumento di sopravvivenza che passa dal 12 al 45%. In tali casi però il trattamento che migliora ancor più la sopravvivenza e diminuisce la morbilità feto neonatale è il trattamento laser. Questa tecnica appartiene alle metodologie fetoscopiche che mirano a ridistribuire la circolazione fra i due gemelli qualora vi siano collegamenti vascolari patologici. Fare trasfusioni a feti gravemente anemici, direttamente nel cordone ombelicale sotto guida ecografica (approccio intravascolare), ha aumentato la sopravvivenza negli ultimi 20 anni dal 40 al 90%, così come il drenaggio di liquidi patologici dalla pancia e dal torace fetale ha spostato la sopravvivenza dal 35 al 70%. I trattamenti palliativi, soprattutto in presenza di accumuli e distensione delle sierose fetali mirano ad evitare che i liquidi raccolti distendendo le sierose ricche di terminazioni nervose, possano far sentire dolore al feto. Tale approccio però permette anche altri due obiettivi: studiare il liquido drenato (valutazione diagnostica) e impedire la compressione del liquido sul ritorno venoso per opporsi allo scompenso cardiaco (azione terapeutica). Come si vede diagnosi, palliazione e terapia fetale s’integrano e cambiano la storia naturale di molte condizioni patologiche, restituendo vita al feto erroneamente considerato terminale, speranza alla famiglia e dignità scientifica ai medici. ■ Tratto da Notizie ProVita, Marzo 2014
16 ANTOLOGIA - 2° VOLUME
Sabrina Pietrangeli col prof. Noia (foto di Carlo Paluzzi)
Il Paradiso negli occhi
La Quercia Millenaria è l’unico hospice perinatale italiano, nato da un miracolo. di Sabrina Pietrangeli Paluzzi Ormai da 10 anni raccontiamo in tutta Italia la nostra storia, che ci vede protagonisti della creazione e gestione de La Quercia Millenaria: la nostra Onlus, nata per grazia, così come per grazia è nato Giona, nostro figlio. La nostra terza gravidanza era stata accolta da tutti noi con una gioia infinita: non avremmo mai pensato che ci avrebbe cambiato la vita per sempre. Durante l’ecografia morfologica del quinto mese, ci è stato diagnosticato un quadro terribile: malformazione urinaria con mega vescica, idroureteronefrosi bilaterale, ascite addominale, idropericardio, idrocele, piede torto monolaterale, assenza totale di liquido amniotico, principio di scompenso cardiocircolatorio. Due ospedali di primo e secondo livello a Roma, due stesse conclusioni: “E’ senza speranza. Abortite”. Poi l’incontro con un medico cristiano, Giuseppe Noia, dirigente del reparto Diagnosi e Terapia Fetale DH Ostetrico del Policlinico Gemelli. E la storia cambia: si può fare terapia in utero… Ansia, speranze, paura, dolore, ancora speranze, poi la rassegnazione: non c’è più niente da fare, il cuore cederà entro 7 giorni. E invece no, 10 giorni, 15, 20, 23. E tutto cambia: ad una nuova ecografia, un miracolo documentato si para davanti ai nostri occhi. E si ricomincia con l’attesa, la paura, la speranza, la forza, la sua nascita, le sue lotte, 8 interventi, il blocco renale, le infezioni, 10 anni di vita e di storia stupenda. Al compiere del suo primo compleanno, il desiderio forte di fare “qualcosa”, neppure noi sapevamo cosa. Ma l’abbiamo fatto e ci è esploso tutto tra le mani, fino alla scelta di lasciare il mio lavoro per dedicarmi completamente a questa opera che concretamente ha permesso la nascita di questa associazione, l’acquisizione di un Centro in affitto dove poter lavorare a tempo pieno, e ospitare le decine di coppie in terapia al Gemelli. Tratto da Notizie ProVita, Marzo 2014
Dopo tanti anni, vediamo la nascita di una realtà che in Italia non esisteva: l’Hospice Perinatale. 129 strutture solo in America e altre in giro per il mondo, ma in Italia solo la Quercia. Un protocollo di particolare accoglienza per la vita fragile, concretamente attuato all’interno del Policlinico Gemelli su Roma, gestito da me e mio marito Carlo, presidenti nazionali, e da qualche volontario, e subito dopo impiantato anche a Pisa, all’interno dell’Ospedale S. Chiara, gestito da un’altra mamma che da noi ha ricevuto tanto e che ha voluto donare tanto di più ad altre mamme nella sofferenza. In attesa di aprire a Verona, Genova, Napoli, e forse anche Milano. 20 coppie spalmate su 10 regioni. Operativamente, affianchiamo la coppia che si rivolge a noi con già un referto di malformazione fetale diagnosticato altrove; l’accompagniamo all’appuntamento per una consulenza, ecografia di 3° livello, terapie fetali e materne ove possibile, parto programmato in trattamento hospice, soprattutto se il piccolo ha una patologia che lo vedrà morire dopo la nascita. Il Battesimo su richiesta, le fotografie, le impronte di manine e piedini, i ricordi da collezionare, una scatola da consegnare ai genitori con dentro tutto ciò che rimane del passaggio brevissimo di un essere umano che amano al di sopra di tutto. Un mondo a noi prima sconosciuto, per qualcuno forse un po’ edulcorato, sa troppo di santità, troppo Dio lì dentro... ma c’è davvero, e vediamo cose meravigliose, negli occhi di questi piccoli, che persino con la loro morte ti aiutano a vedere uno spaccato di Paradiso. La Quercia Millenaria condivide queste storie sul sito www.laquerciamillenaria.org e vive della generosità di tante persone che credono nel suo operato. I prossimi obiettivi concreti sono l’apertura di un Centro a Roma, per avvicinarsi di più al Gemelli e poi chissà... il resto ce lo indicherà il Signore attraverso la vita, giorno per giorno. ■
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Flora Gualdani e “Casa Betlemme”
L’ostetrica toscana Flora Gualdani mezzo secolo fa ha fondato “Casa Betlemme”. Testimone esemplare nel Vangelo della vita, porta avanti un suo stile dove si coniugano in profondità scienza, fede e cultura: la carità nella verità. Uno stile che porta frutti. di Davide Zanelli e Marina Bicchiega
Il 3 maggio, nel convegno che precede la marcia nazionale per la vita, all’Accademia Pontificia Regina Apostolorum verrà premiata la fondatrice di “Casa Betlemme” ad Arezzo. Dopo aver camminato decenni nel nascondimento, quest’opera fu scoperta dal Card. Bassetti che nel 2005 volle promuoverla ad associazione pubblica di fedeli. Pionieristica nella pastorale della vita nascente e oggetto di tesi di laurea, è un’esperienza che offre una risposta completa tra azione e contemplazione, espressione di “un nuovo femminismo” (E.V. n. 99). Viaggiando per il mondo, Flora Gualdani rimase turbata incontrando donne che volavano all’estero per abortire. Percepì che era urgente fare qualcosa, provò a parlarne ma i tempi non erano maturi, e s’incamminò da sola. Nel 1964, in Palestina, dentro la grotta di Betlemme fu travolta da un’intuizione sul futuro dramma della questione procreatica. In reparto si trovò di fronte una maternità difficile: una malata di cancro che non intendeva abortire neppure davanti al consiglio dei medici. Le stette vicino e nacque una bimba che tenne con sé finché quella mamma lentamente guarì. Quella bimba diventò la prima di una lunga serie. Collaborava con le istituzioni, gratis. Arrivò la legge 194 e cominciarono a bussare a casa sua ragazze madri di ogni nazionalità. L’abitazione diventò stretta: chiese al padre la divisione dell’eredità e in quell’ettaro di terra costruì, con sacrificio, casette immerse in un parco. Centinaia di bambini salvati dall’aborto e «altrettante mamme cui abbiamo restituito la libertà di non abortire». Nessuna donna è tornata da lei pentita di aver accolto la vita: «né l’undicenne incinta né la prostituta né la vittima di violenza». Intanto proseguiva il suo servizio alla “maternità senza frontiere”
in mezzo alle guerre e ai poveri della terra. Il vescovo di Bangkok insisteva perché aprisse una casa là, ma lei sapeva che la sua missione era nel nostro occidente gaudente e disperato. Intravedendo l’emergenza educativa, lascia in anticipo la professione sanitaria dedicandosi all’apostolato itinerante. Frequenta le università cattoliche dove incontra i suoi maestri, giganti della scienza e della fede: sopra tutti Giovanni Paolo II, con i suoi insegnamenti sull’amore umano. Flora riporta le lezioni in diocesi e in giro per l’Italia, avviando una capillare azione divulgativa. Casa Betlemme diventa un centro di formazione che diffonde alfabetizzazione bioetica, teologia del corpo e regolazione naturale della fertilità. Priorità di questa donna è preparare laici che sappiano essere «apostoli intelligenti», adatti ai tempi moderni. La Regola è “Ora, stude et labora”. Le sue catechesi incandescenti disturbano le coscienze affascinando giovani e meno giovani. Partono dalla convinzione che l’uomo è educabile perché redento da Cristo, e che nel nostro cuore abbiamo tutti «la nostalgia del bene e del bello». Trasmettono armonia tra rigore della scientificità e spessore della spiritualità. Quello che in tanti abbiamo imparato alla scuola di Flora lo spiega Tertulliano: “Uscendo dal grembo oscuro dell’ignoranza trasalimmo alla luce della verità” (Apologetico). Altra cifra del suo stile è la povertà, scelta folle con cui si è garantita libertà e sigillo d’autenticità. Il magistero criticato dell’Humanae vitae, nell’esperienza di Casa Betlemme ha trovato attuazione divenendo prassi tra la gente. Ciò accade quando si ha il coraggio della verità tutta intera, secondo l’esortazione del beato Giovanni Paolo II: “Nell’annunciare questo Vangelo, non dobbiamo temere l’ostilità e l’impopolarità, rifiutando ogni compromesso ■ e ambiguità” (E.V. n. 82). Tratto da Notizie ProVita, Aprile 2014
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L. Sommariva (1900 - 1984), Fantasmi
La 194 non dà diritto a una “scelta”
La Comunità Papa Giovanni XXIII, negli scorsi numeri di questa Rivista, ci ha fornito una serie di testimonianze di donne costrette all’aborto dalle pressioni interne all’ambiente domestico dimostranto che l’aborto non è una “libera scelta”. di Andrea Mazzi Nei mesi scorsi abbiamo visto le pressioni per abortire che subiscono le donne nell’ambiente domestico. Ma anche quando esce di casa, alla gestante non va meglio. Neanche i professionisti che avrebbero il compito di darle una mano gliela porgono, anzi spesso si fanno in quattro per spingerla all’aborto. Nonostante che nessuno affidi loro questo compito, neppure la lettera della legge 194! Quando ci sono problemi di salute della mamma o del bambino, tanti medici immediatamente indicano l’aborto come unica soluzione, esprimendo anche giudizi pesanti verso la donna che manifesta la volontà di tenere il piccolo. Come mai? Le leggi che hanno reso l’aborto legale hanno creato anche la mentalità che l’embrione non è qualcuno ma qualcosa. Infatti non è possibile per una persona normale sopprimere feti in quantità e continuare a pensare che siano bambini! A un certo punto la società si deve anestetizzare la coscienza con ragionamenti che ‘dimostrino’ che quel piccolino non è un essere umano! E se l’embrione umano è ‘qualcosa’, appena è causa di qualche problema lo si toglie. E’ ovvio: se l’appendice si infiamma, si rimuove; se un neo diventa pericoloso, si incide... E la donna che si oppone, è irrazionale, come uno che rifiuti di amputarsi una gamba per necessità.
La legge 194 non ha strumenti per impedire le pressioni che pongono le donne di fronte alla “scelta obbligata” di abortire. Non solo: la stessa legge 194 non ha strumenti per impedire le pressioni sulle donne. Infatti in base all’interpretazione della legge 194 prevalente in ambito consultoriale, l’operatore non può rifiutarsi di rilasciare un certificato a una donna che glielo richiede. Tant’è vero che anche quando la donna dice: “Se lei non mi dà il certificato il mio compagno mi riempie di botte!”, esce comunque col pezzo di carta in mano. Quello stesso foglietto, che riporta la firma della donna, diventa anche la prova che lei era consenziente. Proprio per questo sono molto rare le condanne per violazione dell’art. 18 della legge: un articolo che sanziona penalmente (fino a 8 anni di carcere) l’aborto senza il consenso della donna. La storia di Annarita (nome di fantasia), spiega molto bene fino a che punto si possano spingere queste pressioni. E’ una storia dura e commovente insieme, ancora adesso pur avendola riletta decine di volte non riesce a lasciarmi indifferente. Perché qui non solo la dottoressa protagonista della vicenda invita esplicitamente la donna ad abortire,
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senza mostrare un pizzico di umanità e di compassione, ma lei, donna, si accanisce contro un’altra donna debole, indifesa, che già doveva fare i conti con malattie e problemi più grandi di lei, sbattendole in faccia tutti i motivi di preoccupazione e di ansia, svilendola pesantemente. Fino a sovvertire la realtà: nelle sua parole l’uccisione di un bimbo indifeso si trasforma in un atto d’amore! Ma sorprendentemente Annarita, contro tutto e tutti, buttata fuori per essersi ribellata al dovere di abortire, si aggrappa a quel minuscolo puntino che vive in lei, e trova la forza per risalire dall’abisso. Infatti, una volta dimessa, un conoscente la indirizza all’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dove viene inserita in una comunità terapeutica per tossicodipendenti; quindi va a vivere in una casa-famiglia dell’associazione dove rimane per anni, fino a quando, sempre con l’affiancamento di fratelli dell’associazione, sviluppa un suo percorso di autonomia culminato col matrimonio e la nascita di un’altra figlia. Per evitare che storie come questa si ripetano, invito chi è stato testimone (o vittima) di simili pressioni a segnalarlo al numero verde della comunità 800.035.036 o a scrivere ad apg23mo@comune.modena.it. ■
Un bimbo indesiderato che salva la madre La mia storia prima di essere incinta di Samuele non è stata certo tra le più rosee. Sono stata tossicodipendente di eroina dall’età di 15 anni, di quelli più incalliti: la mia vita era alternata tra periodi in cui ero barbona, spacciatrice, prostituta o in carcere, in nome della droga. Molto presto sono stata contagiata dal virus HIV e dall’epatite C. Insomma ero considerata un caso irrecuperabile, visti anche i miei precedenti tentativi di uscire da tutto ciò, miseramente falliti. Ero già ad un mese e mezzo di gravidanza quando mi hanno dato la notizia; ero stata ricoverata all’ospedale al reparto infettivi, e lì mi hanno dato il risultato del test che avevo fatto giorni prima. Mi sembrava quasi impossibile che dentro una come me ci fosse una vita, un bambino; questo pensiero mi faceva provare una grande gioia. Ma la realtà attorno a me era dura, ero sola con tutti i miei problemi, la mia casa era la strada e fuori faceva freddo, sentivo una grande responsabilità, quella di una vita umana, e mi pareva grande per le mie spalle, insomma avevo paura. Mi ricorderò sempre la dottoressa che mi seguiva in ospedale e le sue parole quando mi chiamò nel suo studio, mi mise davanti tutti i gravi rischi che correva questo bambino, primi fra tutti che fosse affetto dal virus HIV o dall’epatite C: in questo caso difficilmente sarebbe sopravvissuto e la sua vita sarebbe stata problematica; l’altro rischio era il fatto che mi era stato somministrato un farmaco che poteva renderlo handicappato. Ma quella non si limitò solo a dirmi questo, mi disse molto chiaramente che la soluzione più giusta era l’aborto, perché avrei fatto nascere solo un infelice e anche se fosse nato sano non avrei potuto dargli niente, solo sofferenza. Insomma se io non abortivo ero un’egoista, queste sono state le sue ultime parole. Non mi aveva dato nessuna alternativa né possibilità, solo la garanzia che appena le davo la risposta affermativa, avrebbero fatto tutto loro e io sarei stata dimessa senza più quel “problema”. Per tutto il suo discorso io non ho aperto bocca, ma dentro avevo una gran voglia di piangere per la sofferenza che potevo incontrare, ma anche una gran voglia di urlare che nessuno ha il diritto di uccidere, tanto meno io, che se questo bimbo fosso nato malato o handicappato mi si sarebbe spezzato il cuore, ma io lo avrei amato lo stesso, anzi lo amavo già! Non le diedi subito risposta perché non sapevo dove andare una volta uscita dall’ospedale e temporeggiavo. Ma la dottoressa mi mise alle strette e così dovetti darle la risposta: le dissi di no. Era indignata e il giorno dopo mi fece dimettere. Ho bussato a molte porte, non fu facile, ho passato momenti di depressione grandi, ma alla fine il Signore mi ha aperto! Mio figlio ha ora 4 anni, per dono del Signore non è né malato né handicappato: un bimbo sano e vivacissimo. Se non ci fosse stato lui io non mi sarei salvata dalla vita che facevo prima, è stato un dono! Come vorrei che tutti capissero che un bimbo appena concepito è un dono, qualunque sia la situazione in cui ogni mamma si trova, e non si può ammazzarlo! Annarita Tratto da Notizie ProVita, Maggio 2014
20 ANTOLOGIA - 2° VOLUME
Una cellula, una persona
Argomenti scientifici oggettivi per capire e far capire che un ovulo fecondato non è più una cellula, ma un organismo autonomo, cioè un essere umano, in una fase molto precoce della sua vita. di Alba Mustela Il “prodotto del concepimento”, eliminabile con l’aborto, è solo un “grumo di cellule”? Si può giustificare la manipolazione degli embrioni, la FIVET e la pillola del giorno dopo? Lo zigote (o blastocisti, o embrione: il nome cambia a secondo dello stadio di sviluppo) sono solo cellule, come quelle della pelle, per esempio, o come lo spermatozoo, o l’ovulo? Insomma, sono solo cellule “vive”, che si possono coltivare e rigenerare, ma non sono esseri umani? Rispondiamo con l’aiuto di Maureen L. Condic, neurobiologa, che insegna embriologia umana alla Scuola di Medicina dell’Università dell’ Utah, che ci spiega la differenza cruciale che c’è tra lo zigote e l’ embrione, che sono organismi, e le cellule della pelle, lo spermatozoo e l’ovulo che non lo sono. Non solo. Il suo When Does Human Life Begin? A Scientific Perspective, pubblicato a cura del Westchester Institute for Ethics & the Human Person, ci dà argomenti validi per confutare chi dice che la vita comincia solo dopo l’impianto dell’embrione nell’utero. La biologia insegna che un organismo è una struttura complessa di elementi interdipendenti, gli organi, con specifiche funzioni, che hanno tutti uno scopo comune e “superiore”: la vita dell’organismo stesso, dell’individuo. Un essere umano, quindi, è composto da diverse parti (cellule, proteine, RNA, DNA), tuttavia non è un semplice insieme di cellule perché queste parti agiscono in un modo interdipendente e coordinato per vivere (crescere, riprodursi e morire). Al contrario, le raccolte di cellule umane sono sì, vive, ma vivono per se stesse, non riescono a mostrare interazioni coordinate dirette a far vivere un livello più alto di organizzazione. Un cadavere umano non è un organismo vivente, nonostante possa esserci la presenza di cellule umane vive nel cadavere, proprio perché queste non funzionano più come un’unità integrata. Dal momento della fusione tra lo spermatozoo e l’ovulo, lo zigote umano agisce come un tutto completo, le cui parti immediatamente cominciano a interagire in modo orchestrato per evolversi e maturare. Tratto da Notizie ProVita, Maggio 2014
Una sola cellula contiene tutta la persona: le manca solo “lo sviluppo”, lo stesso che a un adolescente manca per essere adulto. E infatti il singolo spermatozoo e l’ovulo vivono per se stessi, col solo scopo di incontrarsi l’un l’altro. Dal momento che la fusione è avvenuta, invece, lo zigote si impegna per impedire ulteriori contatti con spermatozoi e per promuovere la conservazione e lo sviluppo di se stesso. Comincia subito a creare degli organi adatti allo scopo. Se tale attività non è interrotta da una malattia, o un fattore esterno, lo zigote-embrione-feto-bambinoadolescente-adulto-anziano a suo tempo morirà. Le semplici cellule umane sono composte da DNA e altre molecole, come lo zigote, ma non mostrano un’organizzazione globale: una cellula di pelle umana mantenuta in laboratorio continuerà a vivere e si riprodurrà e creerà un “pezzo di pelle”, ma non ricostruirà l’organismo da cui era stata rimossa. Invece in un solo zigote, in un ovulo fecondato, all’inizio, quando è ancora una sola cellula, prodotta dalla fusione dei due gameti, non solo possiede una mappa cromosomica irripetibile, ma ha già in sé tutto l’organismo umano, “dalla testa ai piedi”, seppure a uno stadio immaturo. E’ questa cellula che da sé, fin dall’inizio, controlla e dirige tutti gli eventi evolutivi che si verificano nel corso della sua vita. Questa visione dell’embrione, oggettiva, basata sul metodo scientifico universalmente accettato da tutti gli scienziati di tutto il mondo, è un dato del tutto indipendente da qualsiasi punto di vista etico, morale, politico o religioso: fissa l’inizio di una nuova vita umana nello scientificamente ben definito “momento del concepimento”. ■
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La rinascita del popolo russo
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Alexey Komov
Abbiamo intervistato Alexey Komov, Ambasciatore del Congresso Mondiale delle Famiglie presso l’ONU (www.worldcongress.ru), capo delle relazioni internazionali della Commissione per la famiglia del Patriarca della Chiesa ortodossa russa. di Antonio Brandi Presidente, cosa pensa degli attacchi dei media e dei Governi occidentali che accusano la Russia di essere uno Stato totalitario e dittatoriale? Il nostro Presidente, Vladimir Putin è stato eletto democraticamente con il 63.64 % dei voti nel 2012. Secondo gli ultimi sondaggi, VTsIOM, in data 1-2 marzo, il 67,8 % degli intervistati russi ha approvato il suo operato. Il fatto è che c’è una forte opposizione da parte dei media e dei Governi occidentali alle politiche a favore della vita e della famiglia naturale della Russia. L’Occidente, infatti, è permeato dall’ideologia del gender e dall’ideologia omosessualista. A volte non capisco quello che sta accadendo da voi: sembra che il progresso a cui tendono i vostri Governi sia insegnare ai vostri figli che non ci sono più “mamma e papà”, ma genitore 1 e genitore 2, e che possono essere anche dello stesso sesso; insegnare che è naturale scegliere di diventare maschio, femmina, bisessuale, omosessuale o transgender, e cambiare la scelta fatta, a secondo del desiderio del momento. Per non parlare del tipo di educazione sessuale introdotta nelle vostre scuole senza consultare le famiglie. E mi sembra che non sia facile affrontare un dibattito aperto su questi argomenti.
La forza di un popolo non viene dalla sua economia, ma dalla sua forza spirituale e morale.
Tutto questo è democratico? Veramente? In Russia abbiamo una democrazia giovane, ma dal punto di vista etico il Governo rappresenta certamente l’opinione e i valori in cui credono la maggior parte dei cittadini. Perciò è pienamente supportato dal popolo. Quali sono quindi i principali miglioramenti che il vostro Governo ha portato nella società russa? A mio parere i più importanti meriti del Presidente Putin sono che, nei primi anni del 2000, ha impedito la disintegrazione e l’indebolimento della Federazione Russa, e, in questo secondo decennio del nuovo millennio, sta sostenendo la rinascita spirituale della società, collabora con la Chiesa (Ortodossa, N.d.T.) e ha promosso e approvato una serie di leggi e di misure governative a sostegno della famiglia naturale e della crescita demografica. Quindi è vero che, dopo 70 anni di regime comunista ateo, è in atto una rinascita spirituale in Russia ? Per 70 anni, un regime comunista e ateo ha ucciso almeno cento milioni di persone. Milioni di cristiani e di fedeli di altre religioni sono stati perseguitati e internati nel Gulag. Eppure oggi assistiamo a una rinascita spirituale della Russia. Il Governo ha ricostruito oltre 30.000 chiese e 600 monasteri. Attualmente, nella sola Mosca stiamo costruendo altre 200 nuove chiese. È bello vedere che questa rinascita riguarda in gran parte la gioventù russa che si sta convertendo a Cristo, con un impatto molto positivo sulla società.
22 ANTOLOGIA - 2° VOLUME La Cattedrale di San Basilio a Mosca
La storia insegna che lo sviluppo socio economico va di pari passo con lo sviluppo demografico.
Come il nostro Presidente ha più volte dichiarato alla Duma e nelle interviste internazionali, la forza di un popolo non viene dalla sua economia, ma dalla sua forza spirituale e morale. Quali misure sono state prese per ridurre il numero di aborti e aiutare le madri con gravidanze non desiderate, impreviste o difficili? Anzitutto è stata varata una legge che in pratica vieta l’aborto dopo le 12 settimane e impone due settimane di riflessione prima di procedere all’intervento. In questo periodo di attesa i medici e gli psicologi devono spiegare alla donna la gravità dell’atto che sta per compiere e delle sue conseguenze. Se poi le donne scelgono la vita ricevono sostegno morale ed economico, grazie a una rete di aiuto alla maternità sempre più efficiente: ci sono sportelli di “aiuto alla vita” negli ospedali. Inoltre dall’autunno scorso è vietato fare propaganda pro aborto in tutta la Russia. Hanno avuto effetto questi provvedimenti? Il numero di aborti è diminuito? Vent’anni fa si facevano 4 milioni di aborti l’anno, in Russia. Ora sono circa un milione e il loro numero è ancora in calo. C’è anche un forte movimento pro vita fondato da Padre Dimitri Smirnov, che è anche il mio
La Russia ha già sperimentato il dolore di vivere senza Dio: questo è il motivo per cui rifiuta l’umanesimo ateo che sta prendendo il sopravvento in Occidente.
padre spirituale: 10 anni fa era una voce solitaria, ma ora continua a crescere notevolmente. La diminuzione degli aborti si deve non solo alle leggi di cui ho parlato, ma anche a questa rinascita morale e spirituale. La nostra gente va acquistando consapevolezza che l’aborto è davvero un omicidio, di fatto il più vigliacco di tutti gli omicidi perché viene perpetrato nei confronti di un essere umano indifeso. Non c’è dubbio che l’aborto libero abbia avuto un impatto socio - economico negativo sulla società russa. Ora quindi è in atto un miglioramento? Secondo la rivista Forbes (si può consultare il sito su internet), se si confrontano i dati più recenti, si vedrà che, per la prima volta dopo molto tempo, nel 2012 il tasso di natalità della Russia ha superato quello degli Stati Uniti (dal 2008 aveva cominciato ad aumentare circa al 10 %, mentre negli Stati Uniti è sceso circa al 9 %). Il tasso di disoccupazione e il salario reale medio sono entrambi a livelli buoni: i salari russi non sono mai stati così alti e la disoccupazione non è mai stata così bassa, dal 1989. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, i salari sono stagnanti e la disoccupazione è al di sopra la sua tendenza a lungo termine. La storia insegna che lo sviluppo socio - economico va di pari passo con lo sviluppo demografico: una delle ragioni della caduta dell’Impero romano è stata il declino demografico, uno dei motivi principali per la crescita socio economica delle città cristiane europee nel Medioevo è stato la crescita del tasso di natalità. Invece quali sono state le azioni volte alla protezione e alla promozione della famiglia naturale in Russia? Vengono premiate e incoraggiate le famiglie con molti bambini, perché nessuno sviluppo socio economico può avvenire senza una contestuale crescita demografica. Il nostro Governo paga un
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Le famiglie felici fanno una società umana felice, spiritualmente forte e sana.
sussidio di circa 10.000 dollari per il secondo figlio e concede terreni alle famiglie con più di tre figli. È nostra intenzione continuare in questa direzione: le misure di sostegno alla famiglia naturale sono necessarie non solo per l’economia, ma perché moralmente giuste. Le famiglie felici fanno una società umana felice, spiritualmente forte e sana. È vero che la Russia discrimina e perseguita i gay e i transessuali e limita la loro libertà di espressione? Assolutamente no. Siete invitati a venire a Mosca, dove ci sono un sacco di locali notturni gay. La legge approvata lo scorso giugno con 436 voti favorevoli, nessuno contrario e un’astensione ha semplicemente vietato la diffusione di “propaganda tra i minorenni delle relazioni sessuali non tradizionali”. È questa discriminazione contro i gay? Come lei ha detto prima, in Occidente si sta facendo propaganda all’ideologia gender sulla parità fra tutti gli orientamenti sessuali. Accade anche in Russia? I media e le grandi lobby finanziarie occidentali stanno cercando di promuovere queste teorie non naturali in Russia, ma non hanno successo. La nostra storia ci ha insegnato a stare alla larga da tali assurdità. Fino alla vigilia della Rivoluzione bolscevica del 1917, il cristianesimo ortodosso era il fulcro della società russa. Nel XIX secolo l’ideologia marxista, arrivata in
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La diminuzione degli aborti si deve non solo alle leggi, ma anche alla rinascita morale e spirituale della Russia. La gente va acquistando consapevolezza che l’aborto è davvero un omicidio. Russia dall’Ovest, ha conquistato gli intellettuali e la borghesia russa. Secondo il materialismo comunista, la scienza sarebbe in grado di rendere l’uomo padrone della vita e della morte. Al contrario la Chiesa sostiene la dipendenza da Dio e dalla legge naturale, divina, nell’interesse del bene comune. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, l’aborto e il divorzio sono stati legalizzati, l’istruzione e l’istituto familiare sono finiti sotto il controllo stretto dello Stato, così come sta accadendo con l’educazione sessuale nelle scuole europee attualmente. Oggi la leadership russa ha capito che l’unico baluardo che aveva resistito contro la devastazione morale della società operata dal comunismo è stato la Chiesa ortodossa. La Russia ha già sperimentato il dolore di vivere senza Dio: questo è il motivo per cui rifiuta l’umanesimo ateo che sta prendendo il sopravvento in Occidente. Non a caso oggi il 77% dei russi crede in Dio e il 69% dichiara di essere battezzato. Perché le lobby omosessualiste sono sostenute anche da conservatori come Cheney, Powell, Cameron, Bush senior e da esponenti dell’alta finanza come Gates, Soros o Rockfeller? In primo luogo perché ci sono un sacco di profitti dietro l’aborto, la contraccezione, le “industrie” del cambiamento di sesso e la procreazione artificiale. In secondo luogo, ma forse è la cosa più importante, i matrimoni e le adozioni gay e le ideologie del gender sono veicoli semplici per distruggere la famiglia naturale e per soffocare la legge naturale nei cuori delle persone e diseducare gli esseri umani, in modo da creare un nuovo ordine mondiale in cui le persone sono trattate solo come numeri, come consumatori, e sono molto più controllabili... Avete letto “The Brave New World” di Aldous Huxley? Racconta di una società dove il sesso - promiscuo e di tutti i tipi - è solo per il piacere; la procreazione avviene solo nei laboratori, e le persone, divise in rigide classi sociali, sono controllate dalla leadership attraverso una droga chiamata “soma“ ... Non vedete qualche somiglianza con la direzione che il mondo occidentale sembra voler prendere? ■
Propaganda pro life russa: la scritta recita “La guerra silenziosa”
Tratto da Notizie ProVita, Giugno 2014
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Il giuramento di Ippocrate (IV secolo a. C.) recita tra l'altro: “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né... a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”.
Ancora bugie sull’obiezione di coscienza
Vogliamo fornire ai nostri lettori i dati per sbugiardare coloro che attaccano l’obiezione di coscienza all’aborto con le menzogne e la faccia tosta che conosciamo bene da più di trent’anni. di Daniele Sebastianelli Negli ultimi tempi gli attacchi delle lobby abortiste all’obiezione di coscienza, sferrati anche dall’Europa, sono diventati più veementi e aggressivi. Nel novembre 2012 l’International Planned Parenthood Federation European Network, con la collaborazione della Laiga (Libera associazione ginecologi per l’applicazione della 194), ha presentato al Comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa un ricorso contro l’Italia per mancata attuazione della legge 194: l’eccessivo numero di obiettori nel nostro Paese, si dice, renderebbe difficile, se non impossibile, il ricorso all’aborto. E così, l’8 marzo di quest’anno l’Italia è stata condannata per violazione dei “diritti” delle donne [grazie anche all’infingarda inerzia del nostro Governo che non ha presentato le sue controdeduzioni nei termini previsti, N.d.R.]. Non solo, un ricorso analogo (ma non ancora dichiarato ammissibile, mentre andiamo in stampa) è stato presentato, allo stesso organismo europeo, a gennaio di quest’anno dalla Cgil di Susanna Camusso per difendere anche i “diritti lavorativi” dei medici favorevoli all’aborto. La stessa Laiga ha denunciato dati che riferiscono di regioni italiane in cui l’assenza quasi totale di medici non obiettori obbliga i pochi rimasti a turni massacranti tempi d’attesa lunghissimi per le donne. Con conseguente ricorso all’aborto clandestino (secondo loro molto aumentato) e con elevato rischio per la salute della donna. Non solo, si accusano i medici obiettori di essere degli arrivisti e che la scelta secondo coscienza sarebbe in realtà una strategia per far carriera, perché, come ha affermato recentemente
Emma Bonino “se fai gli aborti, primario rischi di non diventarlo mai”. Si invocano quindi provvedimenti sulla mobilità dei medici per spostare gli obiettori e magari riservare dei posti ai medici non obiettori per garantire gli aborti. Per costoro la coscienza del medico è diventata l’ostacolo da eliminare per la tutela del “diritto” di sopprimere volontariamente un bimbo nel grembo materno, per giunta in strutture pubbliche, e con i soldi dei contribuenti (anche pro life). E invece, in Italia, l’obiezione di coscienza si configura costituzionalmente come diritto fondamentale della persona (artt. 2, 3, 10, 19, 21 Cost.) ed è stata la stessa Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 7 ottobre 2010 nella risoluzione n. 1763 ad affermare che “Nessuna persona o ospedale o istituzione può essere obbligata o ritenuta responsabile o discriminata se rifiuta per qualsiasi motivo di eseguire o assistere un aborto o un altro atto che possa causare la morte di un feto o di un embrione umano”. La verità, poi, è ben altra. I dati ufficiali diffusi dal Ministero della Salute riferiscono del calo del numero
La coscienza del medico è considerata un ostacolo da eliminare per la tutela del “diritto” di sopprimere volontariamente un bimbo nel grembo materno, per giunta in strutture pubbliche, e con i soldi dei contribuenti.
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”Nessuna persona o ospedale o istituzione può essere obbligata o ritenuta responsabile o discriminata se rifiuta per qualsiasi motivo di eseguire o assistere un aborto o un altro atto che possa causare la morte di un feto o di un embrione umano”. (Consiglio d’Europa, risoluzione n. 1763 del 2010)
di aborti: nel 2012 risultano essere 105.968, con un decremento del 4.9% rispetto al dato definitivo del 2011 (111.415) e un decremento del 54.9% rispetto al 1982. E questo indipendentemente dal numero dei medici obiettori, che è relativamente costante dal 2006. Sono passati, infatti, dal 69,2% al 70.5% nel 2007, al 71.5% nel 2008, al 70.7% nel 2009 e al 69.3% nel 2010 e nel 2011. Risulta, infatti, che i medici non obiettori, il 30% del totale, dal 1983 al 2011 abbiano addirittura dimezzato gli aborti eseguiti mediamente ogni anno, passando da 145.6 aborti ciascuno nel 1983 (pari a 3.3 aborti a settimana), a 73.9 aborti ciascuno nel 2011 (pari a 1.7 aborti a settimana). Viene di conseguenza smentito, il mito dei turni massacranti. Ma le cifre non la dicono tutta. I dati ufficiali, infatti, si riferiscono all’aborto chirurgico, glissando sul nuovo tipo di aborto “fai da te”, che si realizza, squallidamente con dei farmaci molto pericolosi anche per la madre. Non ci riferiamo solo al ricorso sempre crescente alla RU486 – verso la quale lo stesso Ministero della Salute riporta cifre in aumento: dagli 857 casi del 2009 si è passati ai 3.800 nel 2010 e a circa 7.000 del 2011 – ma anche ad altri metodi chimici, come ad esempio il Cytotec, venduto tranquillamente in farmacia a 14 euro. A tal proposito è da segnalare il fatto che, l’11 aprile scorso, una donna è morta all’ospedale Martini di Torino a seguito di un aborto con Ru486, proprio la città dove opera il principe degli abortisti, il dottor Viale.
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Riguardo ai lunghi tempi di attesa a causa del numero dei medici obiettori, al Ministero della Salute risulta esattamente il contrario. Nel Lazio, ad esempio, all’aumentare degli obiettori (dal 77,7% all’80,2% dal 2006 al 2009), sono diminuiti i tempi di attesa, ossia sono aumentate dal 47,8% al 54% le donne che aspettano meno di due settimane e diminuiscono dal 17,2% al 13,3% quelle che aspettano di più, dai 22 ai 28 giorni. Situazione simile in Piemonte, mentre in Umbria (e in Lombardia, ma con percentuali diverse) al calare degli obiettori, in tre anni, dal 70,2% al 63,3% le donne che aspettano poco tempo sono diminuite, dal 51% al 40%, mentre quelle che aspettano molto tempo sono aumentate, dal 13,3% al 19%. La possibilità di attuare forme di mobilità per i medici obiettori e di assunzione ad hoc di medici non obiettori, secondo Assuntina Morresi “non sarebbe comunque risolutiva per l’organizzazione sanitaria. Non è possibile, infatti, che a una persona assunta a tempo indeterminato come non obiettore si neghi la possibilità, in seguito, di cambiare idea e diventare obiettore”. Dire, poi, che i medici favorevoli all’aborto sono discriminati, sa di fantascienza. In realtà è vero il contrario. Visto che sono proprio i medici obiettori che rischiano la professione per le proprie convinzioni, e non solo in Italia, ma in tutta Europa. Già nel 2001, un medico slovacco, Marek Drab, raccontava che “quando ho iniziato a lavorare mi sono rifiutato di procurare aborti e il risultato è stato che mi hanno costretto non solo a lasciare l’ospedale dove lavoravo per andare in un altro ospedale, ma anche a lasciare la ginecologia, come sola possibilità di continuare a esercitare la professione medica”. Stessa sorte è accaduta ad André Devos, medico belga che ricordava come “dopo una fusione tra ospedali, fui costretto a unirmi a quattro colleghi dell’ospedale più grande condividendo tutte le risorse finanziarie. Dato che un ammontare notevole delle entrate proveniva dalla contraccezione e dalla sterilizzazione chirurgica, mi sono rifiutato di unirmi, per ovvie ragioni di ordine morale ed etico. Fui licenziato”. ■
I turni ‘massacranti’ dei medici non obiettori, secondo i dati del Ministero della Sanità, consistono nel dover praticare 1,7 aborti a settimana!
Allora: l’obiezione di coscienza dei ricercatori che non vogliono lavorare su animali è sacrosanta; quella dei medici, che non vogliono uccidere i bambini, no ?…
Tratto da Notizie ProVita, Giugno 2014
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La Conferenza Episcopale del Sudafrica ha richiamato ultimamente l’attenzione sulla triste contraddizione di un Paese in cui tutti celebrano l’affermazione di diritti, ma viene negato il più fondamentale dei diritti umani, il diritto alla vita. Nelson Mandela
“Non tutti gli esseri umani sono uguali”. Firmato: Nelson Mandela Ci duole dover sfatare un mito, ma ci preme di più proclamare la verità, anche quando è politicamente molto, molto scorretta. di Omar Ebrahime È stato Premio Nobel per la pace nel 1993 e primo presidente nero del Sudafrica dopo l’apartheid riuscendo a costruire attorno alla sua figura un vero e proprio mito a livello internazionale che durerà a lungo. Dire Mandela oggi significa dire pace, diritti umani, civiltà. Così, almeno ci racconta la vulgata dominante. Ma siamo proprio sicuri che sia così? I fatti, osservati con distacco, direbbero un’altra cosa. Nelson Mandela (morto lo scorso dicembre a 95 anni di età) è stato ad esempio il principale artefice della nuova costituzione della Repubblica sudafricana, da lui stesso promulgata il 10 dicembre 1996. Ebbene, si tratta della carta costituzionale indubbiamente più abortista di tutto il continente africano che nel complesso è anzi vigorosamente e tenacemente pro life. In particolare, in due articoli si fa esplicito riferimento al cosiddetto ‘diritto alla salute riproduttiva’ (reproductive health) che comporta anche - citiamo testualmente - “il diritto di assumere liberamente decisioni riguardanti la riproduzione”, ovvero, in termini pratici, l’insindacabile potere di decidere che cosa fare della vita nascente che si porta in grembo. Ma l’inizio della depenalizzazione vera e propria (che nel caso delle legislazioni sull’aborto poi vuol dire regolarmente liberalizzazione) era avvenuto già qualche mese prima, per espressa richiesta del partito al governo, l’African National Congress (ANC) di cui lo stesso Mandela è stato storicamente acceso militante, quindi capo indiscusso per decenni e fino all’anno scorso - benché dopo il quinquennio presidenziale si fosse chiamato fuori dalla scena politica-istituzionale - il leader carismatico incontrastato. La norma, che legalizza l’interruzione Tratto da Notizie ProVita, Luglio-Agosto 2014
di gravidanza gratuita a richiesta entro le prime 12 settimane, estendibili fino a 20 in casi particolari, entrerà poi effettivamente in vigore il primo febbraio dell’anno successivo con il cosiddetto “Choice on Termination of Pregnancy Act” contribuendo a fare così del Sudafrica l’avanguardia ufficiale della cultura della morte nella regione dell’Africa australe. Le stime dicono infatti che da allora, in appena sedici anni di vigenza, la legislazione ha determinato la morte di più di un milione di bambini. Una tragedia umana denunciata anche dalla Conferenza Episcopale del Paese (SACBC) che ha richiamato ultimamente l’attenzione sulla triste contraddizione di un Paese in cui tutti celebrano l’affermazione di diritti (più spesso presunti che reali) e nessuno si straccia le vesti per la negazione conclamata del “più fondamentale dei diritti umani, il diritto alla vita”. Ma non finisce qui perché il Sudafrica di Mandela (e post-Mandela) può vantare anche un altro primato incredibile: quello di essere il primo Paese ad aver autorizzato - nel 2006 - le nozze omosessuali con relativa adozione dei minori. Sempre il nuovo testo costituzionale, infatti, offrendo piena legittimità costituzionale ai termini ideologici ‘gender’ e ‘sexual orientation’ ha aperto la via giuridica alle successive rivendicazioni LGBT che infatti di lì a poco, grazie anche a un’evidente sponda della Corte Costituzionale (i cui giudici pure vengono nominati dal presidente della Repubblica in carica e, quindi - anche in questo caso - la gran parte da Mandela), ha ottenuto matrimonio e facoltà di adottare. A quel punto, secondo un film già visto, il Parlamento è stato indotto a ratificare la nuova legge che definisce ora il matrimonio come semplice “unione volontaria tra due persone”, senza specifica alcuna. ■
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Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
Infosportpagine
Rivista Mensile N. 9 - Ottobre 2013
“nel nome di chi non può parlare”
Donne schiave, bambini oggetto NU
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I vip che pagano e le povere donne che partoriscono
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Diversi paesi che si definiscono moderni e democratici consentono l’affitto dell’utero: la contraddizione con le norme che vietano la schiavitù è palese.
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Il prossimo passo: l’utero artificiale
Il dibattito sull’utero in affitto in Italia
Di mamma ce n’è una sola
Il numero dello scorso ottobre di Notizie Pro Vita era stato interamente dedicato alla denuncia dell’orribile pratica dell’utero in affitto. Alcuni ci hanno accusato di eccessivo allarmismo “perché certe cose in Italia non avverranno mai”. Facciamo, allora, il punto della situazione per constatare, purtroppo, che non abbiamo esagerato. di Francesca Romana Poleggi In tutti i paesi (civili) le leggi vietano la tratta degli schiavi, il commercio delle donne, e puniscono severamente chi, magari simulando un’adozione, vende i bambini. Di fatto, invece, la compravendita delle donne e dei bambini (l’utero in affitto) è in grande espansione: c’è chi parla di un aumento del giro d’affari, in pochi anni, del 1000 %. Le donne che si prestano a un tale mercimonio sono quasi sempre povere e socialmente fragili: nei paesi europei, come il Regno Unito, dove tale immondizia è permessa dalla legge, la gestante “costa” parecchio e ha l’ultima parola: può alla fine decidere di tenere il bambino. Perciò il mercato più frequentato è quello dei paesi in via di sviluppo dell’estremo oriente (India in primis), del sud America, dell’Europa Orientale, dove le donne povere sono anche poco istruite, e poco coscienti di avere dei diritti, se la legge gliene dà (e non è detto che gliene dia). Nonostante tutto, poi, la natura si ribella. La madre che partorisce, anche povera, a volte rifiuta di dare il bambino ai committenti: è successo anche a una coppia di Italiani che sono finiti in causa, in Ucraina, contro una donna affittata (lei accusata di truffa, loro accusati di voler rubare il bambino). Chi desidera un figlio “per sé”, ad ogni costo, non lo fa per “dare” la vita, altrimenti - in caso di infertilità o sterilità - affronterebbe la trafila dell’adozione. Costoro invece vogliono “una cosa” propria, tecnicamente perfetta (infatti
Chi compra ovuli e sperma e affitta un utero si può chiamare “genitore”??? prima di cercare l’utero si cercano e si selezionano i gameti e gli embrioni, secondo le pratiche disumane che ormai la PMA consente e che la Corte Costituzionale, abrogando i divieti sanciti dalla l. 40/2004, permette anche da noi). E considerano la donna che affitta il grembo alla stregua di una qualsiasi persona di servizio. Indicativa la risposta di una committente inglese che ha ottenuto 4 twiblings (twins + siblings, cioè gemelli-fratelli, prodotti da due madri diverse, in contemporanea, ma con i gameti degli stessi donatori): “Non abbiamo intenzione di conoscerle (le gestanti affittate): lavorano per noi. Quanto spesso uno comunica col proprio muratore o giardiniere? Le paghiamo. Non è necessario che le vediamo”. Chi desidera un figlio “per sé” non ha a cuore la dignità di quel bambino che sarà il prodotto della cooperazione di 5 o 6 persone: 2 “genitori” legali (i committenti), 2 venditori di gameti (genitori biologici. Potrebbero essere anche 3, se passa la pratica della fusione del nucleo di un ovulo nel mitocondrio di un altro); e poi la gestante affittata. Se i bambini adottati hanno spesso, da grandi, problemi psicologici perché non conoscono i loro genitori naturali, figuriamoci i figli di questa allegra cooperativa… ■
28 ANTOLOGIA - 2° VOLUME E allora: le leggi che vietano la tratta degli esseri umani sono giuste o no? E perché i giudici non le fanno rispettare? La risoluzione del 5 aprile del 2011 del Parlamento Europeo ha condannato esplicitamente la pratica dell’utero in affitto. Agli artt. 20 e 21 “chiede agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili”; e condanna tale pratica che considera donne e bambini come “merci sul mercato internazionale della riproduzione” e che favorisce “la tratta di donne e bambini nonché le adozioni illegali transnazionali”. E invece sembra proprio smarrito il senso del limite: la tecnoscienza ritiene di poter fare tutto ciò che è fattibile (manipolando la vita come si trattasse di plastilina), a prescindere da qualsiasi considerazione etica e morale, senza ragionare su ciò che è bene e che giova al genere umano. I giuristi si vanno semplicemente premurando di avvalorare, giustificare, questo delirio di onnipotenza elevando a rango di diritto qualsiasi desiderio e capriccio egoistico. Non ultimo e non poco irrilevante, sullo sfondo di tutto questo, il business multimiliardario delle cliniche che praticano la FIVET e i relativi annessi e connessi guadagni degli intermediari che trovano e controllano gli uteri da affittare ai ricchi committenti occidentali (un bambino costa sulle 20.000 sterline inglesi, di cui alla donna affittata va una piccola parte: un’Indiana è più che contenta di guadagnarne 3.000). Nonostante ciò diversi paesi che si definiscono moderni e democratici consentono l’affitto dell’utero. E la contraddizione con le norme che vietano la schiavitù è palese. E non sono pochi i dilemmi che i giuristi devono risolvere: quando i “genitori” legali muoiono mentre la madre surrogata è incinta, il bambino di chi è? È (e resta ) un privilegio per ricchi o paga il SSN? E quando è la surrogata a morire? I committenti hanno il diritto di pretendere che la madre surrogata abortisca, nei casi in cui la legge consente l’aborto? (In India la madre surrogata può esservi costretta).
Tratto da Notizie ProVita, Luglio-Agosto 2014
I bambini adottati hanno spesso, da grandi, problemi psicologici perché non conoscono i loro genitori naturali, figuriamoci i figli di 5 o 6 persone.
E se i committenti si separano prima del parto? In America è capitato, e il povero piccolo malcapitato è stato dichiarato “legalmente” figlio di… nessuno! Dove l’utero in affitto è vietato (in Italia da quel che resta della l. 40/2004), ci pensano i Tribunali civili a non applicare le leggi vigenti, e non sanzionano le coppie che apertamente hanno fatto mercato di esseri umani. L’ultimo caso è avvenuto a Milano: il Tribunale ha dichiarato che la coppia che ha portato in Italia un figlio “comprato” in Ucraina, non solo non ha commesso il reato di alterazione dello stato civile, non solo non ha commesso il reato di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale, ma neanche ha tenuto un comportamento contrario all’ordine pubblico. Lo scorso novembre, a Roma, si è costituito il Comitato “Di mamma ce n’è una sola”, fondato da Eugenia Roccella, Olimpia Tarzia, Assuntina Morresi, Francesco Agnoli e dalla sottoscritta. Sono giunte adesioni da parte di persone più o meno note, da tutta Italia. Soprattutto dopo il convegno di Firenze che si è tenuto il 20 giugno scorso presso la sede della Regione Toscana. Il Comitato sta cercando di coinvolgere personalmente politici italiani e europei, chiedendo loro di sottoscrivere formalmente un impegno a contrastare questa perversa, ma lucrosissima, pratica che calpesta la dignità di donne e bambini. Il Comitato sta cercando di coinvolgere anche te, che leggi queste parole. Manda una e-mail a unasolamamma@hotmail.com o chiama il 377 4606227: puoi aiutare a diffondere informazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica contro questo orrore. Dobbiamo contrastare il lavaggio del cervello di massa che già è incominciato: i programmi televisivi (anche RAI) presentano come un “gesto d’amore e d’altruismo” il comportamento di chi “offre il proprio grembo per far avere un figlio a una coppia sterile”. La neolingua ha già coniato una sigla neutra e inoffensiva GPA, che vuol dire “Gestazione Per Altri”, espressione soft che non nomina né utero, né affitto e non fa pensare a carne comprata e venduta, come quella degli animali ■ da allevamento…
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L’uomo è un animale?
È opportuno ricordare che l’ordine del Creato, voluto da Dio, mette gli animali a servizio dell’uomo e non alla pari, quanto a dignità. di Federico Catani Mentre in tutto il mondo si incentiva l’aborto, i gruppi animalisti sono ormai riusciti a equiparare uomini e animali. Anzi, ammettendo l’aborto, che è l’omicidio di un essere umano innocente, sembra proprio che per alcuni gli animali siano ben più importanti di un bambino. Ecco allora che si parla di “diritti animali”, dimenticando che solo le persone (compresi quindi i nascituri) sono titolari di diritti, poiché solo le persone hanno facoltà morale. Gli animali non hanno diritti in senso proprio, non sono “soggetti di diritto”, e certi doveri che possiamo avere nei loro confronti sono tali sempre in relazione alle persone (le sevizie, ad esempio, ledono la dignità di chi le mette in atto, e non quella dell’animale che le subisce); oppure sono doveri relativi a interessi diffusi di cui è titolare la società umana (che la natura e quindi gli animali vadano rispettati è ovvio). Purtroppo anche molti cattolici cedono all’ideologia animalista, dimenticando l’insegnamento del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nella Genesi si esprime chiaramente la superiorità ontologica dell’uomo su tutte le altre creature e la sua sostanziale differenza da esse (cf. CCC 371). L’uomo è infatti a immagine e somiglianza di Dio e possiede un’anima immortale. L’animale no. Per il Catechismo, “gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente (ovvero è deciso così da Dio stesso! n.d.r.) destinati al bene comune dell’umanità passata, presente e futura” (CCC 2415). Quindi l’animale è per l’uomo e non il contrario, sebbene l’essere umano, non avendo signoria assoluta sul creato, debba sempre usare le risorse della natura in maniera etica. “Gli animali sono creature di Dio. Egli le circonda della sua provvida cura. Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria. Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si ricorderà con quale delicatezza i santi, come san Francesco d’Assisi o san Filippo Neri, trattassero gli animali (ma non erano affatto vegetariani, così come non lo era Gesù n.d.r.)”
Nella Genesi si esprime chiaramente la superiorità ontologica dell’uomo su tutte le altre creature e la sua sostanziale differenza da esse (cf. CCC 371). (CCC 2416). Contro chi straparla di diritti animali e ritiene l’uomo sempre e solo un nemico del creato, il Catechismo afferma: “Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane” (CCC 1417). Chiaramente, avversare l’ideologia animalista (e antiumana) non significa approvare la violenza sugli animali. Anche qui la Chiesa è molto precisa. “È contrario alla dignità umana (umana, non animale! n.d.r.) far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell’uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell’affetto che è dovuto soltanto alle persone” (CCC 1418). Come si vede, il Catechismo usa toni pacati, equilibrati e di profondo buon senso. Buon senso assente invece in molte dichiarazioni di politici e uomini dello spettacolo che sono favorevoli all’aborto (ci mancherebbe!), ma provano una furia disumana se un gatto viene maltrattato. D’altronde si sa, quando non si rispettano più i diritti di Dio, non si hanno più a cuore nemmeno i diritti dell’uomo. E allora non resta che blaterare su quelli delle bestie. ■ Tratto da Notizie ProVita, Luglio-Agosto 2014
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Vita è... un matrimonio tra un uomo e una donna Il matrimonio civile è un istituto legale statuale, regolato dalla legge positiva. Da millenni, lo Stato nel definirlo tiene conto dell’interesse morale, ma anche materiale della società. di Antonio Brandi Ryan T. Anderson è coautore, con Sherif Girgis e Robert George, del libro What is Marriage? Man and Woman: A Defense (Cos’è il matrimonio? Uomo e donna: una difesa) ed è dottorando in scienze politiche all’Università di Notre Dame. Questo articolo estrapola alcune considerazioni dell’autore, espresse davanti al Comitato Giudiziario della Camera dello Stato dell’Indiana il 13 gennaio 2014. Esse rispondono a tre domande cruciali: che cosa è il matrimonio, perché il matrimonio è importante per le scelte politiche dello Stato, quali sono le conseguenze della ridefinizione del matrimonio. In diversi paesi europei e in alcuni Stati americani, infatti, è stato introdotto sotto qualche forma il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Anche se persino la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha decretato che nessuno Stato ha obbligo di legiferare in tal senso, molti ordinamenti giuridici si stanno attrezzando per ridefinire l’istituzione matrimoniale, da un punto di vista giuridico: pure nell’agenda del Governo italiano c’è la regolamentazione delle cd. unioni civili. Ovviamente questo comporta insuperabili questioni etiche e antropologiche. Lasciamole, però, per il momento, da parte e concentriamoci – un istante – solo sui problemi economici e sociali che conseguono alla ridefinizione di matrimonio. Anderson, nel suo discorso e nei suoi scritti, conduce dei ragionamenti stringenti che, persino da un punto di vista strettamente utilitaristico, mettono in guardia la “ragione e il portafoglio” dalle conseguenze degenerative della legalizzazione dei cd. matrimoni gay. Egli prende le mosse dalla considerazione oggettiva che ogni legge statale deve necessariamente distinguere ciò che è un matrimonio, da ciò che non lo è: ma per
poterlo fare è necessario conoscere in modo veritiero cosa rende diversa la relazione maritale rispetto ad altre forme di relazione consensuale tra adulti. Anderson rileva un dato di fatto naturale: ogni volta che nasce un bambino, la madre gli sta accanto. È un fatto biologico. Non è invece scontato che il padre sia sempre lì, presente. E se sì, per quanto tempo? Il matrimonio è l’istituto che culture e società differenti hanno sviluppato nel tempo e in ogni luogo per massimizzare la probabilità che quell’uomo si impegni con quella donna, in modo che insieme si assumano la responsabilità di allevare quel bambino. Nella realtà concreta ci sono cure materne e cure paterne: gli uomini e le donne portano doni differenti all’impresa genitoriale. Il lavoro di Anderson è ricco di riferimenti a studi scientifici da cui si evince che l’evidenza sociale da sempre attesta che la genitorialità di sesso differente è importante per lo sviluppo umano dell’individuo, e che il contributo dei padri e delle madri è insostituibile. I due sessi sono
Lo Stato regola e tutela il matrimonio non per prendersi cura della vita amorosa delle persone, ma per garantire che i ragazzi abbiano dei padri e delle madri che si impegnino ad aiutarli a vivere e a crescere.
Antologia - 2° voume differenti in nuce e ciascuno è necessario - culturalmente e biologicamente - per lo sviluppo ottimale di un essere umano. Per questo motivo, per millenni le leggi hanno definito il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna, e molti Stati l’hanno inserito persino nelle loro Costituzioni. Il matrimonio, quindi, esiste per unire un uomo e una donna in modo che siano “attrezzati” a essere madri e padri di tutti i bambini che quell’unione produce. Anderson riporta quindi i risultati di indagini statistiche condotte dal Governo degli Stati Uniti: esse dimostrano che i bambini che crescono senza un padre hanno probabilità cinque volte maggiori di vivere in povertà e commettere un crimine, nove volte maggiori di abbandonare la scuola e venti volte maggiori di finire in prigione. Hanno più probabilità di avere problemi comportamentali e di fuggire da casa, o di diventare genitori adolescenti essi stessi. Lo stesso presidente Obama ha riassunto e ribadito più volte queste conclusioni. Negli USA, oggi, il 40% di tutti gli americani, il 50% degli ispanici e il 70% degli afroamericani nascono da madri single e le conseguenze per questi bambini sono assai serie. Perciò - Anderson conclude - lo Stato regola e tutela il matrimonio non per prendersi cura della vita amorosa delle persone, ma per garantire che i ragazzi abbiano dei padri e delle madri che si impegnino ad aiutarli a vivere e a crescere. Quando questo non avviene i costi sociali crescono. Se crolla il matrimonio, cresce la povertà, la criminalità e la spesa sociale. Chi ha a cuore la giustizia sociale, la democrazia, la libertà e i poveri, deve tutelare il matrimonio. Ma lo Stato deve definirlo in modo corretto, e poi potrà anche lasciare gli adulti consenzienti liberi di vivere e di amarsi come vogliono (non intendiamo qui tirare in ballo i problemi etici e di ordine pubblico, N.d.R.), ma senza ridefinire l’istituzione fondamentale del matrimonio. Problemi quali l’assistenza in ospedale e nella malattia, o quelli della successione ereditaria, riguardano tutti gli individui, a prescindere dalla loro vita di coppia e sentimentale e non attiene direttamente e solamente alla regolamentazione del matrimonio: non c’è bisogno di ridefinire il matrimonio per costruire norme necessarie per tutti i cittadini.
Ryan T. Anderson
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Il matrimonio esiste per unire un uomo e una donna in modo che siano “attrezzati” a essere madri e padri di tutti i bambini che quell’unione produce.
Ridefinire il matrimonio allontana l’istituto dai bisogni dei bambini per orientarlo verso i desideri degli adulti. Se uno dei più grossi problemi sociali che affrontano ora proprio gli Stati Uniti è quello dei padri assenti, come si potrà insistere sul fatto che i padri sono essenziali quando la legge che ridefinisce il matrimonio rende i padri (o le madri) un optional? Infine Anderson ci aggiorna sui neologismi già coniati per descrivere alcune possibili varianti del matrimonio naturale: se si ridefinisce il matrimonio considerando l’aspetto maschio-femmina come irrazionale e arbitrario, cosa impedirà di includere nell’istituzione le “troppie” (throuple), cioè le “coppie” di tre persone? E così, in base a quale principio si potrebbe vietare il “matriaffitto” (wedlease), cioè un matrimonio a tempo? E il “monogamoide” (monogamish) in cui i coniugi sono liberi di avere relazioni sessuali aperte, con terze e quarte persone alla luce del sole? (bisognerebbe rilanciare “Un’idea”, di Gaber… questa gente non l’ha mai ascoltata!) Per quanto gli adulti possano vivere e amarsi come vogliono, se queste convivenze diventano “matrimonio” le conseguenze sociali saranno ovvie: le probabilità che un uomo generi bambini con più donne senza dedicarsi né a esse, né ai figli diventano sempre più grandi. Aumenta la probabilità che si creino famiglie frantumate e così lo Stato sarà tenuto a intervenire con programmi assistenziali che toglieranno ingenti risorse ad altri interventi sociali comunque necessari. Infine, Anderson spiega come la ridefinizione di matrimonio comporti grosse limitazioni alle libertà e soprattutto alla libertà religiosa. Dopo che tre Stati americani hanno ridefinito il matrimonio, le agenzie di adozione cristiane sono state costrette a chiudere: è venuta meno l’assistenza per una categoria socialmente molto svantaggiata, quella dei bambini orfani. Allo stesso modo, in America - ma anche in Europa - fotografi, fornai, fiorai, e altri imprenditori sono stati condannati e posti di fronte all’alternativa di lasciare il loro lavoro o di servire anche le nuove forme di “matrimonio” così come le ha definite la legge. Insomma, lo Stato obbliga i liberi cittadini a trattare una relazione tra persone dello stesso sesso come se fosse un matrimonio, anche se farlo viola la coscienza e i diritti di quegli individui e delle formazioni sociali a cui appartengono. ■ Tratto da Notizie ProVita, Settembre 2014
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I "fastidiosi" membri della Comunità Papa Giovanni XXIII in preghiera a Bologna.
Una preghiera inerme, eppure insopportabile
La Comunità Papa Giovanni XXIII ci offre una testimonianza diretta di quanto accade a Bologna, fuori l’ospedale Sant’Orsola. di Andrea Mazzi Un sindacato che invita pubblicamente i propri aderenti a scacciare da un ospedale persone in preghiera. Manifestanti che all’alba esplodono in canti e urla volgari sotto le finestre di un ospedale pubblico. Associazioni che, in nome di un presunto diritto, cercano di impedire ad altri di esercitare il diritto costituzionale di manifestare la propria fede. Questo sta avvenendo da alcuni mesi davanti al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, per contrastare la preghiera pubblica per la vita nascente, una preghiera promossa da diversi anni dalla Comunità Papa Giovanni XXIII davanti agli ospedali in cui si praticano gli aborti, nel giorno e nell’ora in cui avvengono. Un’azione voluta con forza dal nostro fondatore don Oreste Benzi, che nel 1999 la promosse dicendo: “Ho trovato il modo di far smettere gli aborti in tutta Italia!” Con questa preghiera, non potendo impedire la morte di tanti piccoli, stiamo comunque loro vicini, come fece Maria con Gesù sotto la croce. Preghiamo il Padre perché questa violenza abbia fine, siamo lì per un’ultima offerta di aiuto alle loro mamme. Non preghiamo in un luogo chiuso, ma all’ingresso degli ospedali, per portare alla luce quello che tanti cercano di tenere nascosto.
Don Oreste Benzi nel 1999 promosse la preghiera fuori dagli ospedali dicendo: ”Ho trovato il modo di far smettere gli aborti in tutta Italia!”
Un’azione nonviolenta per scuotere la società, complice degli aborti col suo silenzio. Questo è un aspetto del nostro “sì alla vita” che si esprime anche con la condivisione diretta della nostra vita con quella delle donne incinte in difficoltà, che accogliamo anche nelle nostre famiglie. Per chi ritiene, in una visione ideologica libertaria e individualista, che l’aborto sia un diritto assoluto, questa presenza è semplicemente inaccettabile. Per questo in diversi luoghi questa preghiera è stata oggetto di false accuse, di contestazioni, di esposti… vicende però che si sono esaurite nell’arco di poche settimane, a differenza di quanto avvenuto ora a Bologna. Il 12 maggio abbiamo ricordato i 15 anni della preghiera assieme al Responsabile generale (e successore di don Oreste) Giovanni Paolo Ramonda. Richiamati da un nostro comunicato, una decina di persone autodefinitesi ‘Coordinamento Mujeres libres’ hanno manifestato a breve distanza alternando slogan contro noi (definendoci “cattolici reazionari, fascisti...”), a frasi a sostegno della ‘libera scelta’ delle donne e contro i medici obiettori. Da allora sono venuti per diverse settimane. E’ nato un coordinamento ‘Io decido’ con lo scopo di far cessare la preghiera. Il sindacato Cgil, che in questi ultimi anni si è speso in più occasioni per far sì che le donne non abbiano alternativa all’aborto, ha invitato i lavoratori ad occupare lo spazio dove stiamo. Per vari martedì si è ripetuto un copione analogo: un gruppo di circa una trentina di persone in preghiera si ritrovava circondato corpo a corpo da tutti i lati da un equivalente numero di manifestanti con striscioni (su tutti ‘Fuori i preti dalle nostre mutande’...) e megafono
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I volontari della Papa Giovanni XXIII non si limitano a pregare, ma agiscono: condividono la vita con quella delle donne incinte in difficoltà, arrivando persino ad accoglierle nelle loro case, in famiglia.
"Donne libere contro i preti fascisti", davanti al Sant'Orsola.
che intonavano canti volgari, urlavano di andarcene a pregare in chiesa e lanciavano accuse gratuite contro la Chiesa. Anche quando abbiamo provato a spostarci ci hanno seguiti. Il tutto condito da un’ampia presenza di operatori e telecamere dei media locali. Ci accusano dicendo che preghiamo in un luogo pubblico, e questo non è accettabile in una società laica (e ancora di più nella ‘laicissima’ Bologna); che la nostra preghiera è una forma di pressione psicologica sulle donne che entrano per abortire. Si tratta di accuse inconsistenti: la nostra Costituzione afferma (art. 19) il diritto di culto e non lo vincola a luoghi specifici; in questi anni da nessuna gestante ci è mai arrivata, neppure indirettamente, una lamentela, anzi diverse ci hanno ringraziato. Alcuni di loro hanno detto a più riprese di voler proseguire fino a che non ci avrebbero scacciato, riconoscendo tuttavia che non hanno nessun appiglio giuridico per poterlo fare. Nella loro azione sono appoggiati anche dalla formazione politica Sel-Verdi-FdS, e da alcuni media. Repubblica Bologna ha dato vita per diversi giorni a una campagna di stampa contro la preghiera. Ma assieme agli attacchi abbiamo sperimentato la solidarietà di tanti. In primis il Cardinale di Bologna Carlo Caffarra: “Continuate senza paura la vostra bella testimonianza: la Madonna vi protegge.”, ci ha scritto. Il quotidiano della CEI Avvenire e il settimanale della Diocesi Bologna7 ci hanno dato ampio spazio e hanno preso pubblicamente le nostre difese. Mons. Galantino, segretario della CEI, ha incoraggiato a continuare la preghiera in accordo con i Vescovi locali. Il Vescovo di Ferrara ci ha invitati ad iniziare la preghiera nella sua Diocesi. Associazioni ecclesiali e persone comuni ci hanno scritto. Politici di diverso colore ci hanno difeso. Ci ha colpito una signora che passando ha detto: “Io lavoro qui dentro e so cos’è l’aborto: continuate!” Da parte nostra abbiamo sempre mantenuto una grande mitezza. Nessuno di noi, grazie a Dio, ha reagito alle provocazioni. Abbiamo diffuso un comunicato dove affermavamo: «Crediamo sia importante unire le forze perché ogni vita umana, anche la più piccola e indifesa, possa esercitare
il primo dei diritti umani, quello di nascere, e perché “la difesa della vita nascente - come afferma Papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 213 - è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano”». Abbiamo cercato di aprire un dialogo. Un martedì abbiamo consegnato una lettera ai manifestanti, invitandoli ad impegnarci assieme per contrastare le pressioni subite di chi desidera proseguire la gravidanza, e proponendo un incontro. Alcuni hanno rifiutato anche di prendere la lettera. Hanno sobillato alcune aziende e GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale) che acquistano i prodotti agricoli di una nostra cooperativa, invitandoli al boicottaggio. Dei GAS - a parte un negozio - nessuno ha aderito. Infine abbiamo deciso per un periodo di cambiare il giorno della preghiera, individuando ogni settimana un giorno diverso (gli aborti al S.Orsola si eseguono tutti i giorni). Questo ci permette di continuare a pregare ma evita di trasformare questo momento in un confronto ideologico, poco edificante per chi vi assiste e rischioso per le continue provocazioni. Non sappiamo come questa vicenda andrà a finire. Abbiamo però sperimentato che questi mesi sono stati anche un momento di grazia, un’occasione di risveglio delle coscienze, di rottura di un silenzio assordante. Auspichiamo che possano presto nascere iniziative di confronto, di solidarietà, di condivisione, in cui tanti esprimano coi fatti che non vogliono essere più silenziosi complici di queste terribili ingiustizie. ■
Benozzo Gozzoli, Sant'Orsola con due angeli, 1462. Alla santa, a una vergine del IV secolo, è intitolato l'ospedale di Bologna.
Tratto da Notizie ProVita, Ottobre 2014
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“Sarcofago degli sposi” (museo etrusco di Villa Giulia -Roma): nel 520 A.C. gli sposi erano un maschio e una femmina…
I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti.
Il Presidente dei Giuristi Per la Vita, ci spiega bene quanto sia pretestuosa, strumentale e inesistente la polemica sulla necessità di un riconoscimento pubblico di diritti per le coppie omosessuali. di Gianfranco Amato
I cosiddetti “registri delle unioni di fatto”, che con tanta enfasi, ma con poco seguito, sono adottati da alcuni comuni italiani, non solo non hanno, per sé, alcuna rilevanza giuridica, ma nella misura in cui sono funzionali a mettere sullo stesso piano, nelle politiche sociali, la famiglia rispetto a tali unioni, contrastano con i principi generali dell’ordinamento giuridico. Occorre, infatti, tenere ben presente la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. Il matrimonio e la famiglia rivestono un interesse pubblico, e come tali, devono essere riconosciuti e protetti. Le unioni di fatto, invece, sono la conseguenza di scelte e comportamenti privati, e su questo piano privato dovrebbero restare. Il loro riconoscimento pubblico, con la conseguente elevazione degli interessi privati al rango di interessi pubblici, sarebbe pregiudizievole per la famiglia fondata sul matrimonio, e costituirebbe un’evidente ingiustizia rispetto al principio fondamentale secondo cui ad un diritto corrisponde un dovere. A differenza delle unioni di fatto, infatti, nel matrimonio si assumono pubblicamente e formalmente impegni e responsabilità di rilevanza per la società, esigibili sul piano giuridico. L’istituzione di tali registri, in realtà, si riduce ad un’iniziativa meramente ideologica, priva di concreti effetti giuridici, quasi una sorta di inutile inseguimento di chi, d’altra parte, rifiuta di assumersi qualsiasi responsabilità pubblica. Ad esempio, di chi rifiuta gli obblighi derivanti dagli articoli 143 (diritti e doveri reciproci dei coniugi), 144 (indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia) e 147 (doveri verso i figli) del Codice Civile. Come ha lucidamente evidenziato Sua Eminenza il Cardinal Dionigi Tettamanzi in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano il 5 settembre 1998,
Elevare interessi privati al rango di interessi pubblici è una palese ingiustizia. l’introduzione dei cosiddetti registri comunali delle unioni civili, che «per definizione, rifuggono da ogni forma di regolamentazione sociale», significa «compromettere la certezza del diritto». «Con l’istituzione del “registro delle unioni civili”», precisa infatti il Cardinale nel citato articolo, «si riconosce uno speciale status giuridico di famiglia a persone che liberamente hanno rifiutato e rifiutano proprio lo status di famiglia, con tutti i correlativi diritti e doveri: in tal modo è lo stesso soggetto pubblico (il Comune) a cadere in una palese e intollerabile contraddizione». «Si aggiunga poi», prosegue Tettamanzi, «che il soggetto pubblico pone un atto giuridico a senso unico: mentre si assume delle obbligazioni nei confronti dei conviventi, questi non si assumono nessuna obbligazione», e «in tale prospettiva, è paradossale che sia lo stesso soggetto pubblico a farsi responsabile del rifiuto della dimensione sociale della convivenza familiare e del riconoscimento dell’individualismo più marcato: con l’equiparazione famiglia-unioni di fatto, il soggetto pubblico accetta un’ingiusta e deleteria “dissociazione” tra diritti e doveri: ai conviventi riconosce i diritti, ma da essi non esige i doveri». «Come si vede», conclude il porporato, «l’equiparazione - mediante l’iscrizione a registro - delle unioni di fatto alla famiglia è contraria a ogni coerente articolazione dei rapporti tra diritti e doveri e, proprio per questo, sovverte alla radice il vivere sociale, oltre ad essere un vero e proprio vulnus alla Costituzione vigente»; anche per questo occorre chiedersi «quale possa essere la “legittimità” di simili deliberazioni dei
Antologia - 2° voume Comuni, dal momento che a questi non sono attribuite competenze propriamente legislative (almeno in questo campo), ma, al più, compiti solo amministrativi». Dubbi giuridicamente assai fondati, ai quali se ne può aggiunger uno di carattere sociologico: il riconoscimento pubblico delle convivenze private non rischia di diventare un modello sociale diseducativo? Un rapporto che i giovani possono trovare più comodo del matrimonio, in quanto privo di tutti i doveri di questo ultimo, cioè i doveri di coabitazione, di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione secondo le capacità, il dovere di rendere conto alla legge del proprio comportamento verso gli altri membri della famiglia, il dovere di istruire e mantenere i figli, finanche il divieto di ottenere il passaporto senza il consenso del coniuge? Conviene davvero alla comunità civile un vincolo sociale così flebile, così privato ed insindacabile, che si può interrompere senza neppure l’obbligo di preavviso? E’ saggio investire risorse pubbliche (cioè dei contribuenti) per soddisfare scelte private? Scelte che non vogliono un impegno verso tutti? La risposta dovrebbe essere semplice: no. Esiste, però, l’obiezione di coloro i quali sostengono che il problema esiste per quelle coppie che non si possono sposare, ovvero le coppie composte da persone dello stesso sesso. Da qui la proposta di una legge che regoli le unioni civili tra coppie omosessuali. Su questo punto occorre essere molto chiari. Il nostro ordinamento non contempla nessun riconoscimento giuridico pubblico alle unioni tra persone dello stesso sesso, in quando tale forma di convivenza non appare idonea a creare quella «famiglia naturale» cui si riferisce espressamente l’art. 29 della Costituzione. Ne rappresenta un impedimento insormontabile la sua oggettiva sterilità e la sua inconfutabile impossibilità procreativa. Del resto, la società in ogni tempo e in ogni cultura tutela il
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Qualsiasi coppia convivente (omosessuale o no) può ricorrere al diritto comune per regolare i rapporti giuridici di reciproco interesse.
matrimonio tra un uomo ed una donna, perché esso, ed esso soltanto, fondando la famiglia è in grado di garantire l’«ordo succedentium generationum». Un documento redatto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 3 giugno 2003 – a firma dell’allora Prefetto Card. Joseph Ratzinger – intitolato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, contiene un’interessante osservazione sul punto. Affrontando il tema delle argomentazioni di carattere giuridico, in quel documento si sottolinea: «Non è vera l’argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l’effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere - come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata - al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale». Proprio qui sta il punto nevralgico della questione: i rapporti tra i conviventi omosessuali possono e devono trovare la propria regolazione nell’ambito delle possibilità concesse dal diritto privato. I giuristi sanno bene, peraltro, che praticamente tutti quei diritti generalmente invocati dai partner di una unione di fatto possono essere attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna necessità di introdurre per via legislativa nuovi istituti. E’ un falso problema, ad esempio, la questione successoria, in quanto attraverso il testamento è possibile trasmettere il proprio patrimonio a chi non
… e così pure nel IV secolo: la scultura su questo sarcofago raffigura una coppia romana che unisce le mani; la cintura della sposa mostra il nodo che il marito “legato e avvinto” a lei dovrà sciogliere nel letto nuziale.
36 ANTOLOGIA - 2° VOLUME
A un diritto corrisponde un dovere: così è nel matrimonio. Nelle unioni di fatto, invece, si pretendono diritti, ma non si assumono doveri. avendo vincoli legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla successione legittima. Oggi nulla vieta, peraltro, al convivente omosessuale di ricorrere agli strumenti del diritto volontario stipulando una polizza assicurativa o una pensione integrativa a beneficio del partner, o stipulando un contratto di comodato d’uso vita natural durante, ovvero costituendo un usufrutto d’immobile. E’ un falso problema il subentro nel contratto di locazione della casa di comune residenza, in quanto tale contratto può ben essere stipulato congiuntamente dai due partner, e in ogni caso già la giurisprudenza costituzionale è intervenuta riconoscendo il diritto di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente (Corte Costituzionale sent. n. 404/1988). Così come è un falso problema la possibilità di visita in carcere del partner, oggi concessa anche ai conviventi grazie ad espresse disposizioni dell’ordinamento penitenziario (art. 18 della legge 26 luglio 1975, n.354, e art. 37 del regolamento di esecuzione D.P.R 30 giugno 2000, n. 230). Per quanto riguarda le visite in ospedale oggi già quasi tutti i regolamenti interni dei nosocomi contemplano la possibilità di accesso ai conviventi. E’ un falso problema, inoltre, la risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (ad esempio in un incidente stradale), poiché la giurisprudenza ha ormai pacificamente riconosciuto tale diritto (Tribunale di Milano 12 settembre 2011, n. 9965), secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione (Cass., sez. unite Civ., sentenza 26972/08, Cass. III sez. pen. n. 23725/08). Numerose sono, del resto, le disposizioni normative che attribuiscono diritti specifici alle «persone stabilmente conviventi». Basti citare, ad esempio, la possibilità di richiedere la nomina di un amministratore di sostegno (art. 408 e 417 c.c.), la facoltà di astensione dalla testimonianza in sede penale (art. 199, terzo comma, c.p.p.), la possibilità di proporre domanda di grazia (art. 680 c.p.), e così proseguendo. La giurisprudenza riconosce, infine, la possibilità a conviventi omosessuali di stipulare, nell’ambito dell’autonomia negoziale disponibile, accordi o contratti di convivenza, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 del Codice civile) e non contrastino con norme pubbliche, l’ordine pubblico o con il buon costume. Si tratta in genere di accordi di natura patrimoniale che rientrano nella disponibilità delle parti (ad esempio la scelta e le spese Tratto da Notizie ProVita, Ottobre 2014
per l’abitazione comune; la disciplina dei doni e delle altre liberalità; l’inventario, il godimento, la disponibilità e l’amministrazione dei beni comuni; i diritti acquistati in regime di convivenza, ecc.). A nulla vale, del resto, l’obiezione secondo cui limitare l’ambito di regolazione dei rapporti giuridici al solo diritto privato implicherebbe un onere di attivazione da parte dei conviventi omosessuali, che verrebbero così discriminati rispetto alle persone unite in matrimonio. A prescindere da quanto già evidenziato sul riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali, ciò che fa specie è constatare come proprio i cultori dell’autodeterminazione e dell’autonomia della persona – fondamento del pensiero cosiddetto “laico” – siano i più accaniti sostenitori di tale obiezione. Per questo appare davvero paradossale che i propugnatori di una visione liberal del comportamento umano arrivino a chiedere insistentemente l’intervento dello Stato nella gestione dei rapporti privati, anziché invocare tutti quegli strumenti che consentono l’espressione della piena autonomia e della responsabilità dei singoli. Concludo citando un libro. Lo scorso marzo la Casa Editrice Nuovi Equilibri ha pubblicato un interessante testo intitolato Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere. Gli autori (insospettabili) sono Bruno de Filippis (giurista ed esperto di diritto di famiglia), Gian Mario Felicetti (autore di La famiglia fantasma, e membro del Direttivo dell’Associazione radicale “Certi Diritti”), Gabriella Friso (responsabile dell’Ufficio Diritti dell’associazione “Les Cultures” di Lecco, membro del gruppo IO Immigrazione e Omosessualità di Milano e del Direttivo dell’Associazione radicale “Certi Diritti”), e Filomena Gallo (avvocato e segretaria dell’associazione radicale “Luca Coscioni” per la libertà di ricerca scientifica). Pur essendo tutti sostenitori del riconoscimento pubblico e normativo dei diritti delle coppie omosessuali, hanno scritto il citato saggio concependolo come «un manuale di sopravvivenza», attraverso il quale indicare ai conviventi «il modo di tutelarsi per restare insieme nel caso la vita conduca uno dei due in ospedale o in carcere, per conservare la casa, ottenere risarcimenti o congedi, stipulare convenzioni e assicurazioni, garantire che i figli non subiscano danni e discriminazioni». Indicazioni davvero utili per l’esercizio di diritti già esistenti. Non amo recensire simili autori, ma in questo caso ho ritenuto opportuno fare un’eccezione. Quantomeno per dimostrare come sia, in realtà, pretestuosa, strumentale e inesistente la polemica sulla necessità di un riconoscimento pubblico di diritti per le coppie omosessuali. ■
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