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“Nel nome di chi non può parlare”
ANTOLOGIA PROVITA MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
4° Volume “Il meglio di Notizie ProVita”
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N. 35 - NOVEMBRE 2015
Antonio Brandi
Imprenditore di professione, si dedica alla difesa dei diritti dei più deboli per passione. Per dar voce a chi non ha voce ha fondato e dirige Notizie ProVita.
Né maschio né femmina... o un po’ dell’uno e un po’ dell’altra... o nessuno dei due?
“Mamma, perché Dio è maschio?”
Chissà se la Torti conosce l’associazione inglese Women and the Church, che vuole eliminare i riferimenti al Creatore in senso maschile: il “Padre Nostro” dovrebbe diventare “Madre nostra”. Anche Dio è uno stereotipo di genere! di Antonio Brandi Fiabe, modelli familiari, immagini televisive o pubblicitarie, libri scolastici: a tutto questo, e ad altro ancora, attingono i bambini e le bambine alle prese con la costruzione della propria identità e con la percezione del proprio genere. E, per genere, come scrive Rita Torti, autrice del libro “Mamma, perché Dio è maschio?”, si intende “l’insieme di quelle culture, storie, ma anche stereotipi, che si sono accumulati nel tempo e che ci fanno percepire quello che significa nel contemporaneo essere donna o essere uomo”. Genere è il significato sociale e culturale che viene attribuito al corpo maschile e femminile. Tali imperativi possono divenire dei “‘dover essere’ faticosi, talvolta dolorosi, in ogni caso degli ostacoli allo sviluppo e crescita libera soprattutto di chi è piccolo o piccola”, afferma l’autrice e si chiede “come liberare i bambini e le bambine da immagini che prescrivono certe attività o propensioni cosiddette naturali per i due sessi?”. La Torti si lamenta, per esempio, che la gestione dell’infanzia e della casa siano ancora quasi totalmente appannaggio femminile e cita Chiara Valentini: “Credere che allevare i bambini e crescerli spetti alla madre è frutto di modelli culturali e sociali che vengono da lontano, di stereotipi che non si vogliono mettere in discussione e che sono molto utili per mantenere i privilegi di un genere sull’altro”. Perciò la Tosti, la Valentini ed altri “teorici” del genere sono convinti che sia diffusa una divisione di caratteri, competenze ed obiettivi diversi per maschi e femmine che sono ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che la nostra società considera appropriati per donne e uomini. Riguardo a queste diverse attitudini degli uomini e delle donne, “imposte dalla società”, questi teorici del genere non sono forse al corrente del “paradosso norvegese”: una interessante esperienza che ci viene dal nord Europa, considerato “faro di civiltà”. Per più di 30 anni, 2
I nostri media negano che esista l’ideologia del gender, pur sostenendola e propagandandola, e non ci raccontano dell’esperienza che viene dal “civile” nord Europa… milioni e milioni di Euro di fondi pubblici sono stati investiti nel “Nordic Gender Institute”, fin quando le Autorità non hanno preso consapevolezza dell’esistenza di studi rigorosi che mostrano che la teoria gender è priva di basi scientifiche. Tre esempi fra tanti: Il prof. Lippa ha condotto uno studio su 200.000 soggetti in 53 paesi ed ha confermato che gli uomini tendono naturalmente a scegliere professioni diverse dalle donne e viceversa: anzi, quanto più era alto il livello di “pari opportunità” per uomini e donne nel paese studiato, tanto più risultavano differenti le scelte compiute dagli uomini, da una parte, e dalle donne dall’altra. Il prof. Disieth, del National Hospital di Oslo, ha studiato, invece, le differenze di genere, con l’aiuto di giocattoli tipicamente maschili (come macchinine, palloni, ...) ed altri femminili (bambole, ecc.). Ebbene, bambini di pochi mesi lasciati liberi di fronte a questi giocattoli si sono diretti in modo spontaneo (tendenzialmente) verso i giocattoli considerati appropriati al proprio sesso. Il prof. Simon Baron-Cohen del Trinity College di Dublino ha invece condotto uno studio su neonati osservando il comportamento degli stessi davanti a due tipi di immagini: quella di un dispositivo meccanico e quella di un volto. Egli ha riscontrato che la neonata, mediamente, passa più tempo ad osservare il volto e il neonato è invece mediamente più interessato al dispositivo meccanico. Nei nidi dei reparti maternità è stato rivelato che quando un neonato piange, normalmente le femmine “si
ANTALOGIA 4° VOLUME
Edizione speciale: gender - Le radici del male
L’amore materno è un mito che gli uomini hanno creato per far sì che le donne pensassero che loro svolgono questo lavoro meglio di chiunque altro?L’istinto materno femminile è una costruzione culturale? interessano” e piangono con lui, mentre i maschi restano “indifferenti” a dormire. In seguito al video realizzato da un noto comico norvegese, che ha messo in luce i risultati di questi studi, le Autorità di Oslo hanno deciso di ritirare i finanziamenti al “Nordic Gender Institute” il quale, successivamente, ha dovuto chiudere. Strano che i nostri media negano che esista l’ideologia del gender, pur sostenendola e propagandandola, e non ci raccontano dell’esperienza che viene dal “civile” nord Europa. In tutto il libro della Torti, destinato a docenti ed educatori, vi sono continui riferimenti al genere ed alla necessità di superare gli stereotipi di genere. Nella terza parte si accusa anche la Chiesa di aver promosso la società patriarcale e di aver sempre messo le donne in posizione di inferiorità, dimenticando la Vergine Maria Immacolata e Assunta in cielo (“umile e alta, più che creatura”) e dimenticando che, nei vangeli, le donne sono spesso quelle più vicine a Gesù; sono le uniche persone ad accompagnare il Signore nel suo viaggio attraverso la sofferenza verso la morte e sono i primi testimoni della resurrezione. La frase di Simone De Beauvoir, citata dalla Torti, «Donna non si nasce, lo si diventa» rappresenta lo slogan che sintetizza la teoria del gender. Essa parte dall’ipotesi che maschi e femmine - al di là del sesso biologico - non siano naturalmente differenti. Il processo di differenziazione delle rispettive identità sarebbe unicamente un prodotto sociale/culturale legato all’apprendimento, fin dalla più tenera età, di stereotipi che vedranno la bambina assumere certi comportamenti, mentre il bambino altri. Sono la famiglia e la società, quindi, ad imporre il “genere”. Chaz Bono afferma che «La tua identità di genere riguarda chi sei, cosa ti senti di essere ed il sesso che vuoi manifestare» e il giudice della Corte Suprema, Ruth Bader Ginsburg ha dichiarato: «L’amore materno non è nato come tale. In un certo senso è un mito che gli uomini hanno creato per far sì che le donne pensassero che loro svolgono questo lavoro meglio di
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chiunque altro». Perciò, secondo questi “filosofi”, non esiste niente di innato al di là dell’aspetto genitale-fisico: l’istinto materno femminile sarebbe una costruzione culturale (un ruolo creato da una cultura maschilista per liberarsi dall’obbligo di seguire i figli) al pari dell’idea che l’uomo sia fisicamente più forte della donna (la donna sarebbe fisicamente più debole perché per millenni la cultura maschilista l’avrebbe relegata ad una dimensione domestica e non le avrebbe permesso di sviluppare la sua forza). La femminista radicale Judith Butler sostiene che «Portata alle logiche conseguenze, la distinzione sesso/ genere suggerisce una discontinuità radicale tra i corpi sessuati e i generi costruiti socialmente». Perciò, ciascuno può avere un proprio “genere”, secondo le convenzioni sociali o secondo ciò che uno “sente” di essere: gay, lesbica, bisessuale, transessuale, transgender e decine di altri “generi” (ultimamente alcuni ne contano 71), indipendentemente dal proprio corpo sessuato. La cosa più assurda di questa bizzarra ideologia è che chi la sostiene non si preoccupa minimamente del fatto che le sue affermazioni sono contraddette palesemente dalla scienza, oltre che dal senso comune. Che le differenze psicologiche tra i sessi siano naturali e strettamente connesse alle differenze biologiche, in ultima analisi dipendenti dalla distinzione genetica fondamentale tra il maschile (presenza del cromosoma Y) e il femminile (assenza del cromosoma Y), è talmente evidente da risultare quasi imbarazzante il doverlo dimostrare. “Mamma, perché Dio è maschio?” è un libro molto pericoloso perché, insieme a poche affermazioni condivisibili come la critica alla pubblicità e ai media che spesso rappresentano la donna come un oggetto sessuale, fa una continua propaganda delle teorie di genere. L’ ideologia del genere vuole scatenare la più radicale e più pericolosa rivoluzione antropologica che la società umana abbia mai visto dal suo inizio. Milioni di euro sono spesi dagli enti locali, dal MIUR e dall’ UNAR per promuovere il genere, e di conseguenza l’omosessualità e la transessualità, fra gli studenti e i bambini, sin dagli asili. I progetti di questo tipo, con il pretesto di educare all’uguaglianza e di combattere le discriminazioni, il bullismo e la violenza, spesso promuovono l’indifferentismo sessuale, ignorano le differenze e la complementarietà fra i due sessi, equiparano ogni orientamento sessuale e ogni tipo di “famiglia”, e operano una sessualizzazione precoce, insinuando nei bambini una pericolosa confusione psico-fisica.
Nei “corsi base” di catechismo si è sempre insegnato che Dio non è né maschio né femmina e qualsiasi cristiana ragionevole si sente più che ben rappresentata nelle sfere celesti dalla Beata Vergine Maria. L’Antico e Nuovo Testamento è pieno di riferimenti all’Amore divino come amore di una madre per i suoi figli. Del resto, se l’Amore di Dio è perfetto, è superiore e incomprensibile a noi umani. Ma, come minimo, è certamente il massimo di quello che noi possiamo immaginare: l’amore di una madre e di un padre, insieme, complementari.
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I figli piccoli: da Cronos ad Abramo, sino a Gesù Bambino
Per i bambini il Natale, oggi, ha un significato giocoso a volte molto superficiale. Non sanno che il primo Natale è stato determinante per la loro condizione e considerazione sociale. di Francesco Agnoli Forse, abituati come siamo a duemila anni di cristianesimo, non ci rendiamo più conto di cosa abbia significato storicamente il fatto che Dio si è fatto bambino. L’idea che i bambini, almeno quelli già nati, siano oggetto di particolare amore e attenzione, ci sembra quasi ovvia. Eppure, non era così ai tempi di Cristo. Proviamo a immaginare di essere uomini di duemila anni fa. Come avremmo reagito all’idea di un uomo in carne e ossa, che dice di essere Dio? Forse avremmo detto, come alcuni polemisti pagani, che Dio non può prendere corpo, perché il corpo è la prigione dell’anima, è il limite, perché soffre, patisce, invecchia... Sì, Dio ha voluto prendere un corpo come noi, “una carne cosparsa di sangue, tenuta su da ossa, intrecciata di nervi, avviluppata da vene, che seppe nascere e morire”: così scrive Tertulliano, per ribadire ciò che i suoi contemporanei stentano a credere; per sottolineare la novità di un simile annuncio. E così, con la trasmissione e la diffusione del cristianesimo, la nostra visione del corpo è cambiata. Il cristianesimo ha trasformato un involucro transitorio, destinato ai vermi, nel tempio di un Dio che si è fatto carne e la carne è divenuta il cardine della salvezza (caro cardo salutis est). Quella carne che patisce, si corrompe, muore... quella carne che può affogare, nelle sue brame, lo spirito, è diventata anche la carne con cui abbracciamo, aiutiamo, baciamo; carne che risorgerà gloriosa al tempo della resurrezione dei corpi. Ma Dio non si è fatto solo uomo, si è fatto, per stupirci ulteriormente, bambino! Cioè ha scelto, all’interno della condizione umana, la massima debolezza, dipendenza, fragilità. L’Onnipotente, si è fatto impotente; il Creatore si è affidato, disarmato, inerme, alle sue creature. Colui che ha dato la vita a tutto, si è messo nella condizione di avere bisogno di tutto.
Dalla contemplazione del bambino nato in una grotta nascevano gli orfanatrofi, i brefotrofi, i conservatori dove allevare i bambini senza genitori anche attraverso la musica. In un mondo, quello prima di Lui, in cui l’essere bambino era una condizione di minorità: i bambini potevano essere uccisi, senza scrupoli né conseguenze legali, nell’antica Sparta, come nell’antica Atene e nell’antica Roma... Dovunque la vita del bambino era nelle mani degli adulti, in specie del padre, e poteva essere negata, come avviene ancora oggi presso i popoli non raggiunti dal cristianesimo, per mille motivi: di salute, di sesso, di superstizione (si pensi ai bambini uccisi solo perché nati in un giorno considerato infausto, o quelli eliminati perché caratterizzati da qualche segno sulla pelle considerato di malaugurio...).
Francesco Agnoli
Storico e saggista, bolognese d’origine, risiede a Trento; è sposato e ha tre figli. Docente di Liceo, collabora tra l’altro con Il Foglio, Avvenire, Il Timone, e Radio Maria.
L’imperatrice Galla Placidia
* agnoli.franc@tiscali.it
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I primi cristiani cercarono di porre rimedio a questa terribile usanza, da una parte rafforzando l’istituzione familiare, vera garanzia per i deboli, dall’altra stimolando la creazione di vasche, ruote degli esposti, letti, nicchie... Beato Angelico, Natività - 1425
Mentre nel mondo antico era “normale” abbandonare i bambini alla morte, o alla schiavitù, già i primi cristiani cercarono di porre rimedio a questa terribile usanza, da una parte rafforzando l’istituzione familiare, vera garanzia per i deboli, dall’altra stimolando la creazione di vasche, ruote degli esposti, letti, nicchie... per far sì che i bambini non voluti, invece che essere uccisi, venissero abbandonati, senza conseguenze giuridiche per i genitori. Nel V secolo Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, accoglieva nel suo palazzo di Ravenna bambini abbandonati nelle strade e sui sagrati delle chiese. Nello stesso periodo, a Lione, tale Giberto apriva un asilo per bambini abbandonati. Nel 787, a Milano, l’arciprete Dateo accoglieva i bambini abbandonati in una sorta di conchiglia sulla porta della chiesa, e si dedicava ad allevare, con l’aiuto di balie, bambini raccolti “per cloacas et sterquilinia fluminaque”.
All’incirca negli stessi anni, nelle chiese di Tours e di Angers, “c’erano vasche di marmo destinate a ricevere bambini che venivano deposti lì dai loro genitori”... E, mentre dalla contemplazione delle piaghe di Cristo nasceva l’istituzione ospedaliera, dalla contemplazione del bambino nato in una grotta nascevano gli orfanatrofi, i brefotrofi, i conservatori dove allevare i bambini senza genitori anche attraverso la musica. Nei secoli i missionari cristiani, partiti per l’Africa, l’India, la Cina... per annunciare Cristo, hanno trovato nelle altre culture l’infanticidio e l’aborto, e hanno spesso finito per divenire i protettori e gli avvocati dei bambini. Sempre memori, un tempo nelle terre di missione, oggi nell’Occidente scristianizzato, dei detti dei primi cristiani: “i cristiani…si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati” (Lettera a Diogneto); “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del tuo grembo, ■ né farai perire il bambino già nato” (Didachè).
“A noi cristiani l’omicidio è espressamente vietato, e quindi non ci è permesso neppure di sopprimere il feto nell’utero materno. Impedire la nascita è un omicidio anticipato. Nulla importa che si sopprima una vita già nata o la si stronchi sul nascere: è già essere umano quello che sta per nascere. Ogni frutto è già nel suo seme”. (Tertulliano, Apologetico, cap. IX)
Grazie al grande Giuseppe Garrone, sono di nuovo aperte in tutta Italia le “Culle per la Vita”, versione moderna delle ruote per gli esposti inventate dai primi cristiani.
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Ho illustrato in modo approfondito quanto fin qui esposto nel mio Indagine sul cristianesimo, edito da La fontana di Siloe, Torino - 2014. Nel mondo antico convivono estrema durezza verso il parricidio, attestato piuttosto frequentemente ad esempio a Roma, e dovuto agli eccessivi poteri del pater familias sui figli (ius exponendi, ius vendendi, ius noxae dandi, cioè il diritto per un debitore insolvente di far imprigionare il figlio al posto suo) e tolleranza verso l’infanticidio. Si pensi a tal riguardo alla mitologia greco-romana: il celebre “Edipo re”, di Sofocle, è la storia di un bambino esposto perché destinato a uccidere, cosa che effettivamente farà, il padre; ma nella mitologia è addirittura il primo padre della storia, il dio Urano, a uccidere i figli natigli dall’unione con Gaia. La quale costruisce una falce e propone ai figli il parricidio. Uno di loro, Crono-Saturno, ascolta la madre ed evira il padre. Ma non finisce qui: Crono stesso ucciderà i suoi figli, sapendo che uno di loro lo spodesterà. Sarà ZeusGiove a sfidare il padre Crono e a costringerlo a vomitare i suoi fratelli. Dalla mitologia alla leggenda: Roma stessa, non nasce da un tentato infanticidio, quello di Romolo e Remo? E non sono forse attestati, per secoli, in tutto l’impero romano, dove più e dove meno, i sacrifici rituali e propiziatori di bambini a Saturno, dio dell’agricoltura, dell’abbondanza e della ciclicità della natura? Tutta questa visione è ribaltata nella rivelazione biblica: nell’Antico Testamento Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco, e Abramo non esita: non lo ritiene per nulla strano, essendo una consuetudine di tanti popoli antichi. Ma Dio ferma la sua mano, e gli ebrei non praticheranno più il sacrificio di bambini, a differenza dei popoli vicini. Nel Nuovo Testamento sarà Dio stesso a sacrificarsi per gli uomini, presentandosi a loro come puer e filius: così ciò che è grande si fa piccolo, ciò che è forte, onnipotente, si fa debole e indifeso; e ciò che è piccolo e indifeso diventa, in altro senso, “grande”. Alla paura del nuovo, del cambiamento, che mette in discussione, propria della mitologia greca e orientale, si sostituisce l’idea secondo cui il cambiamento prodotto dalla nascita diventa promessa e
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manifestazione del Dio Creatore del mondo, che fa nuove tutte le cose. Nello stesso tempo alla paternità umana, del pater familias, in ogni epoca e luogo antico quasi “onnipotente”, si affianca una paternità superiore, quella di Dio Creatore, che giustifica l’autorità paterna (come derivata e vicaria di quella divina), ma nello stesso tempo la limita fortemente. Ogni figlio, infatti, almeno in teoria, smette di essere proprietà dei genitori, come gli schiavi dei padroni, loro possesso, per divenire anzitutto e prima di tutto “figlio di Dio”. Minucio Felice, un apologeta del II secolo, nel suo Ottavio, al capitolo XXX, paragrafo 2, paragonando l’insegnamento di Cristo con quello degli dei pagani, scrive: “Voi esponete i vostri figli appena nati alle fiere e agli uccelli, o strangolandoli li sopprimete con misera morte; vi sono quelle che ingurgitando dei medicamenti soffocano ancora nelle proprie viscere il germe destinato a divenir creatura umana e commettono un infanticidio prima di aver partorito. E questo apprendete dai vostri dei, Saturno, infatti, non espose i propri figli, ma addirittura li divorò”. A sua volta, Tertulliano, nel suo Apologetico, cap. IX, ribadisce: “A noi cristiani l’omicidio è espressamente vietato, e quindi non ci è permesso neppure di sopprimere il feto nell’utero materno. Impedire la nascita è un omicidio anticipato. Nulla importa che si sopprima una vita già nata o la si stronchi sul nascere: è già essere umano quello che sta per nascere. Ogni frutto è già nel suo seme”. San Giustino, nella sua Apologia prima, al capitolo XXVII afferma: “A noi, per non commettere alcuna ingiustizia o empietà, è stato insegnato che è proprio dei malvagi esporre i neonati: prima di tutto, perché vediamo che sono tutti avviati alla prostituzione, e non solo le fanciulle, ma anche i giovinetti; e, come si dice che gli antichi allevassero greggi di buoi o di capre o di pecore o di cavalli, così ora allevano anche fanciulli solo per farne un uso vergognoso”. D’altro canto l’accusa, già vista: voi cristiani avete attenzione per donne, schiavi e… bambini. Così in Spagna, nel Concilio di Toledo del 529 i vescovi stabiliscono che vadano puniti i genitori che hanno ucciso i figli, “con le pene più severe, esclusa la pena capitale”, mentre nel concilio di Braga del 572 vengono prescritte norme contro l’aborto e l’uccisione dei figli nati da relazioni adultere. Intanto il cambiamento di percezione che i genitori hanno dei figli diventa, non di rado, palpabile. Anzitutto il bambino non viene più posato a terra prima di essere riconosciuto, prima di diventare “qualcuno”, prima di ricevere un nome, come avveniva per esempio a Roma o in Cina: sin dal suo nascere, esiste, c’è prima di ogni riconoscimento altrui. Inoltre, mentre nel mondo antico e pagano i bimbi morti molto piccoli sono accostati ai morti di morte violenta e ai suicidi, per cui si teme soprattutto il loro ritorno tra i vivi, “per vendicarsi di chi ritenevano responsabili della loro condizione o semplicemente perché in qualche modo gelosi della vita che era stata tolta loro in anticipo”, e questo comporta per loro riti funerari “più riservati e rapidi rispetto a quelli degli adulti”, i genitori cristiani dedicano ai loro figli, anche neonati, sulle epigrafi delle tombe, appellativi commoventi, definendoli “angeli”, “dolci come il miele”, “innocentissimi agnelli senza macchia”, “amatissimi”…
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Scienza Primo e Morale Piano
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Il coraggio e la felicità
Esistono persone libere, che non si lasciano etichettare in base alle proprie tendenze sessuali. Che cercano l’amore e l’amicizia, quelli veri, che danno gioia vera, a prescindere dal sesso. di Federico Catani Parlare di omosessualità è sempre difficile e spesso si fa una gran confusione, specie riguardo alla posizione della Chiesa cattolica sul tema. Accade così di sentir ripetere come un mantra che la Chiesa odia i gay e che un omosessuale non potrà mai essere cattolico. Per affrontare questa materia, però, è necessario chiarire dei presupposti e precisare alcuni punti. Il Magistero della Chiesa distingue tra tendenze omosessuali ed atti omosessuali. Le prime non sono un peccato, i secondi sì. Attenzione però. Dire che l’inclinazione omosessuale non è un peccato non significa affermare la sua bontà: si tratta, come recita il Catechismo, di una tendenza “intrinsecamente disordinata” perché, se assecondata, porta al peccato contro natura. D’altra parte, però, tante sono le cattive inclinazioni che gli uomini hanno. L’importante è saperle vincere, soggiogandole alla ragione. Anche gli eterosessuali sono chiamati a questo: se un uomo, magari sposato, vede una bella ragazza, può essere tentato di tradire sua moglie, ma deve (e può) non farlo. Il peccato sta per l’appunto nel commettere atti sessuali disordinati (anche col pensiero). E tra questi rientrano i rapporti omosessuali. La Chiesa pertanto raccomanda la castità e lo fa con tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale. Spesso però si dice che l’obbligo di una vita casta, in particolare per gli omosessuali, sarebbe una forma di violenza, che impedirebbe loro di vivere pienamente la dimensione affettiva. Eppure ci sono casi che dimostrano esattamente il contrario. Nella Chiesa esiste un’associazione, Courage, il cui specifico apostolato è la cura pastorale delle persone con tendenze omosessuali. Recentemente è uscito il film “Dio esce allo scoperto”, del regista spagnolo Juan Manuel Cotelo, che narra la storia di Ruben Garcia, omosessuale convertito ora membro di Courage Latino, il ramo ispanofono dell’Apostolato Courage. L’associazione è nata nel 1980 su impulso del cardinale Terence Cooke, arcivescovo di New York. Sapendo che gli individui con attrazioni per lo stesso sesso hanno un particolare bisogno di sperimentare la libertà della castità interiore e così di trovare la via
Federico Catani
Laureato in scienze politiche e in scienze religiose, insegnante di religione, è giornalista pubblicista.
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necessaria per vivere una vita pienamente cristiana, il cardinale non voleva che molti omosessuali cercassero di soddisfare i propri bisogni in modo sbagliato e insoddisfacente. Perciò, decise di formare una rete di sostegno spirituale per aiutare gli uomini e le donne con attrazione per lo stesso sesso a vivere una vita casta in amicizia, verità e amore. Con l’approvazione della Santa Sede, Courage ha ora più di 100 succursali e punti di contatto in tutto il mondo. Aiutando le persone ad ottenere una maggiore comprensione e apprezzamento degli insegnamenti della Chiesa, in particolare nel settore della castità, Courage vuole mostrare che nella vita casta si trova la pace e la grazia per crescere nella maturità cristiana. Approfondiremo il discorso su questa associazione nelle prossime pagine. Ma quanti conoscono questa realtà? Molti in casa cattolica hanno paura di affrontare questi temi e così accade che chi soffre di questi problemi si senta abbandonato dalla Chiesa o per lo meno assai poco compreso, perché spesso quel che manca è un’adeguata formazione dei sacerdoti.
“La Chiesa raccomanda la castità e lo fa con tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale”
Philippe Ariño, alla Manif Pour Tous di Parigi, contro il matrimonio gay
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Ultimamente vi sono diversi giovani con tendenze omosessuali che danno la loro testimonianza per incoraggiare altri a non buttare la propria vita. Tutti sostengono le medesime posizioni. Tra le varie osservazioni, c’è sempre la visione dell’omosessualità per quello che realmente è, ovvero un disagio non innato, ma maturato nel tempo per cause psicologiche e con delle costanti ricorrenti. In Italia, ad esempio, si può consultare il blog di Eliseo del Deserto, il cui autore offre riflessioni senza dubbio controcorrente rispetto alla propaganda omosessualista dei movimenti LGBT, che usano le sofferenze dei “gay” per portare avanti la propria ideologia.
“Nella Chiesa esiste un’associazione, Courage, il cui specifico apostolato è la cura pastorale delle persone con tendenze omosessuali” C’è poi Giorgio Ponte, trentenne siciliano, docente di religione a Milano e scrittore, attivo nelle veglie delle Sentinelle in Piedi. Ponte ha più volte dichiarato di non voler essere etichettato e definito né come gay né come omosessuale, ma semplicemente come uomo che ha tendenze omosessuali, che però in nessun modo possono contraddistinguere la sua identità: siamo infatti uomini e donne, con pregi e difetti, a prescindere dall’orientamento sessuale. E Ponte non si stanca nemmeno di ripetere che la famiglia è una sola: quella tra un maschio ed una femmina. Ne consegue che i bambini hanno diritto ad un padre e ad una madre. Chi sa di avere inclinazioni omosessuali, sa anche che non potrà sposarsi e non potrà avere figli. Del resto, però, come sottolinea Ponte, una vita piena, fatta di amore, non si riduce all’uso della sessualità. Infatti, è amore anche l’amicizia vera. Offrire tali testimonianze non significa certamente dire che si è senza peccato. Vuol dire però che si è compreso qual è il meglio e cos’è il bene: le relazioni di tipo omosessuale non aiutano e non sono certo la meta da raggiungere. Una visione agli antipodi rispetto a chi, mentendo sapendo di mentire, sostiene la bellezza dell’omosessualità e utilizza il termine “gay”, ovvero felice, per definirla. Luca Di Tolve, ex omosessuale ora sposato grazie alla conversione, alla “Cristoterapia” riparativa, ha sempre spiegato che la felicità e l’orgoglio omosessuale tanto sbandierato in realtà nascondono tanta tristezza e tanta depressione, non dovuti tanto – si badi bene – alla vera o
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“Una vita piena, fatta di amore, non si riduce all’uso della sessualità” presunta omofobia esistente nella società, ma alla condizione stessa in cui ci si trova: basta girare i locali gay, infatti, per vedere quanta miseria umana c’è (miseria che si ritrova anche in tanti altri contesti, ovviamente). Altro caso è quello del francese Philippe Ariño, autore di “Omosessualità controcorrente. Vivere secondo la Chiesa ed essere felici”, in cui spiega cos’è l’omosessualità, come affrontare in se stessi l’emergere del desiderio omosessuale e come armonizzare fede cattolica con tutto ciò. Ariño si rifiuta di dividere il mondo in omosessuali ed eterosessuali, perché l’unica distinzione reale che esiste è quella tra uomo e donna. Dietro l’omosessualità c’è sofferenza ed evasione dalla realtà. Questa sofferenza accompagna l’interiorità di tutte le relazioni omosessuali, le quali perciò saranno sempre deludenti in ragione della natura propria dell’atto omosessuale: le coppie omosessuali infatti, non saranno mai pienamente felici. L’autore presenta la dottrina cattolica, mettendone in rilievo tutta la ragionevolezza e posatezza: la religione cristiana mostra grande carità verso gli omosessuali, valutandoli come persone ben al di là di singoli atti. La Chiesa dice la verità senza sconti e mostra quale sia il vero amore e a quali condizioni si possa realizzarlo nella vita: proprio in ciò consiste l’aiuto e l’attenzione verso chi soffre di inclinazioni omosessuali. Per chi si affida a Dio, l’omosessualità stessa smette di essere un problema cui reagire in vario modo e diviene la più grande occasione della propria vita, il mezzo che può rendere santi: «Dio si serve di qualsiasi legno per accendere un fuoco - scrive Ariño Se apriamo il nostro cuore, se accogliamo senza rivolta lo scandalo della Croce del Cristo e quello della verginità di Maria, siamo e saremo tutti, omosessuali e no, santi, non perché senza macchia, ma perché santificati». Un messaggio di speranza e un incitamento al combattimento interiore su cui meditare. ■
“Philippe Ariño si rifiuta di dividere il mondo in omosessuali ed eterosessuali, perché l’unica distinzione reale che esiste è quella tra uomo e donna”
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N. 37 - GENNAIO 2016
Giovanna Arminio
Giovanna Arminio è avvocato dal novembre 2006 ed è iscritta presso l’Ordine degli Avvocati di Bolzano. Mediatore professionista e giurista d’impresa, articolista, è anche docente presso enti di formazione.
L’utero in affitto: riflessioni critiche
Definizione, quadro giurisprudenziale, dottrinale e normativo in Italia. di Giovanna Arminio Difficile, se non impossibile, affrontare dal punto di vista giuridico il fenomeno della “maternità surrogata” o “utero in affitto” senza tecnicismi, perché, pur riducendoli al minimo, esso vede due soggetti titolari di situazioni o diritti individuali potenzialmente confliggenti: da una parte c’è chi vanta il “diritto di procreare” e dall’altra ci sono i diritti del nascituro (di conoscere le proprie origini, di essere allevato nella famiglia iure sanguinis, di avere un padre e una madre). E allora, come uno studente di giurisprudenza del primo anno dovrebbe sapere, quando all’ordinamento giuridico si chiede la tutela di una nuova situazione che corrisponde a un certo interesse diffuso a livello sociale (il nostro secolo registra il boom dei diritti individuali), è necessario preliminarmente verificare se il suo riconoscimento e la sua tutela si pongono in conflitto con diritti e gli interessi di altri individui, attraverso il contemperamento degli aspetti confliggenti. Il lettore attento, quindi, apprezzerà (spero) i tecnicismi, perché lo aiuteranno a entrare nel cuore di un fenomeno che non può ridursi al riconoscimento incondizionato di meri desideri (per quanto spesso mossi da nobili ragioni), essendo necessario scendere nel profondo, specie se, dall’altra parte, il soggetto da tutelare è il nascituro, che non ha voce propria e che si aspetta di essere difeso, in primo luogo, dai propri genitori.
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Sulla base della letteratura giuridica esistente e grazie a una definizione che ha il merito di metterne in luce il carattere negoziale, la “maternità surrogata” si realizza attraverso un accordo fra due o più parti, in forza del quale una donna (definita “madre surrogante” perché si sostituisce alla donna infertile), per soddisfare esigenze di maternità e di paternità altrui, dietro corrispettivo o a titolo gratuito, contrattualmente noleggia, con il consenso del marito, se sposata, il proprio utero a una coppia (o a singoli) e si fa fecondare oppure si fa impiantare un uovo fecondato, un embrione; conduce a termine la gravidanza nel rispetto di determinate norme di comportamento e si impegna a consegnare ai committenti (genitori intenzionali) il figlio, rinunciando a ogni diritto su di esso.
Non si può riconoscere in modo incondizionato i meri desideri degli adulti (per quanto spesso mossi da nobili ragioni), e ignorare che il soggetto da tutelare è il nascituro, che non ha voce propria e che si aspetta di essere difeso, in primo luogo, dai propri genitori.
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Oggi, in Italia, la legge n. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, vieta espressamente la surrogazione di maternità (articolo 12 commi 1 e 2) e qualsiasi realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione di tale pratica (comma 6). Esiste, quindi, una linea di continuità giuridica tra l’attuale legislazione e l’orientamento giurisprudenziale precedentemente formatosi, continuità che trova la propria sede esattamente nell’insieme dei valori assunti a fondamento dell’ordinamento.
La pratica dell’utero in affitto vede il moltiplicarsi di coloro che partecipano al processo procreativo: la coppia committente, la madre surrogante, i due (o tre) venditori di gameti: un bambino con sei persone che a vario titolo possono definirsi genitori.
Se il nato ha un legame biologico con l’uomo committente e con la madre surrogante, si parla di maternità surrogata vera e propria; se invece l’embrione è fecondato all’esterno dell’organismo della donna surrogante – tramite ovulo fornito dalla madre committente o da un’altra donna – e successivamente trasferito nell’utero della surrogante, si parla di “locazione d’utero” o “utero in affitto” o “maternità surrogata gestazionale”. Dopo questa precisazione, appare evidente che la pratica, inizialmente concepita quale accordo fra tre soggetti per superare problematiche legate alla sterilità femminile della donna, ha visto il moltiplicarsi di coloro che partecipano al processo procreativo, in quanto nulla esclude che la fecondazione coinvolga soggetti estranei sia alla coppia committente, sia alla madre surrogante, attraverso l’intervento dei cosiddetti “donatori” di materiale procreativo (seme e ovuli), che in realtà sono venditori di gameti. L’accesso a tale pratica, inoltre, può essere consentito non solo a coppie eterosessuali, omosessuali e a singoli che non intendono intraprendere una relazione sentimentale, ma anche a chi non abbia tempo e voglia di impegnarsi fisicamente in una gravidanza per nove mesi (come hanno fatto alcune dive di Hollywood). Ecco come finisce il noto brocardo, secondo il quale mater semper certa est: entrano in gioco fino a sei figure genitoriali, con grave compromissione di alcuni diritti fondamentali del nascituro.
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Il quadro giurisprudenziale. Il primo caso di maternità surrogata in Italia fu deciso dal Tribunale di Monza nel 1989: una coppia di coniugi senza figli concluse un contratto con un’immigrata algerina, in forza del quale quest’ultima s’impegnava, dietro corrispettivo, a sottoporsi a inseminazione artificiale con il seme del committente, a portare avanti la gravidanza e a consegnare allo stesso e a sua moglie il nascituro, rinunziando a qualunque diritto nei suoi confronti. Successivamente pentitasi, la madre surrogante si rifiutò di adempiere gli impegni assunti e i coniugi si rivolsero al tribunale per ottenere la richiesta di riconoscimento della minore quale «figlia naturale» del padre biologico (e committente) e l’affidamento in via definitiva a entrambi. I giudici decisero che si poteva concedere il riconoscimento del minore come figlio naturale del padre committente (che era anche il padre biologico del nascituro), il quale ne poteva chiedere, tramite provvedimento da parte del giudice, l’inserimento nella propria famiglia legittima. Il nato sarà poi figlio naturale della madre surrogante, per l’insuperabilità del disposto di cui all’articolo 269 codice civile (“La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre”). La sentenza affronta per la prima volta l’ammissibilità nel nostro ordinamento del contratto di maternità surrogata ed è di particolare interesse perché enuncia quali sono gli ostacoli, legislativi e di ordine costituzionale, che impediscono il riconoscimento del contratto di gestazione per conto terzi quale «contratto atipico» ex articolo 1322 del Codice Civile (cioè non espressamente previsto dalla legge, ma diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico).
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Ostacoli così sintetizzabili. Innanzitutto, nessuna analogia sussiste tra la maternità surrogata e l’istituto dell’adozione, in quanto sul punto già la sentenza n. 11 del 10/02/1981 della Corte Costituzionale, ha chiarito che “la riforma del 1967 ha spostato il centro di gravità dell’adozione dall’interesse dell’adottante (di sopperire alla propria incapacità procreativa e di assicurarsi una discendenza anche a fini ereditari, n.d.r.) a quello dell’adottato […], interesse del minore ad essere allevato ed educato in condizioni più vantaggiose”, questo in quanto gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, che riconoscono come fine preminente lo svolgimento della personalità e l’educazione del minore nel luogo a ciò più idoneo, individuano tale sede “in primissima istanza nella famiglia di origine, e, soltanto in caso di incapacità di questa, in una famiglia sostitutiva”. La maternità surrogata, quindi, non è una modalità (ulteriore rispetto all’adozione) per ottemperare al legittimo desiderio procreativo di una coppia priva di figli, per l’evidente ragione che l’adozione presuppone l’esistenza in vita del minore adottabile e il suo bisogno di tutela – e, quindi, non prioritariamente il desiderio di una coppia sterile –, mentre la maternità surrogata inverte tale ordine di interesse (cioè vede prevalere l’interesse alla procreazione della coppia su quello del minore). In secondo luogo, la Costituzione non riconosce un “vero e proprio diritto alla procreazione”, quale presupposto per l’ammissibilità di tali contratti: nel nostro ordinamento non trovano spazio i concetti di paternità o di maternità meramente negoziali, disgiunti, cioè, da un qualche fondamento biologico e governati dall’autonomia privata, tali da cancellare dal mondo giuridico i legami naturali. Inoltre, secondo una parte della dottrina (Cian-Trabucchi, “Commentario breve al Codice Civile”, 2003): “Poiché il diritto di procreare è un diritto fondamentale dell’individuo soggetto al contemperamento con altri diritti fondamentali della persona (quali sono i diritti del nascituro e del minore), nel caso della procreazione artificiale esso deve trovare contemperamento con il diritto del nascituro ad avere due genitori e ad essere istruito, mantenuto ed educato da entrambi i genitori; per tale ragione, solo le coppie eterosessuali, legalmente coniugate o stabilmente conviventi costituiscono soggetti legittimati alla procreazione medicalmente assistita”.
Oggi, in Italia, la legge n. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, vieta espressamente la surrogazione di maternità (articolo 12 commi 1 e 2) e qualsiasi realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione di tale pratica (comma 6).
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Altro ostacolo insormontabile è costituito proprio dal riconoscimento dello status di madre esclusivamente per colei che partorisce il minore (artt. 232 e 269 c.c.), sul presupposto di un’evidenza naturale che rende superflua qualsiasi necessità di spiegazione. Un altro degli argomenti certamente a sostegno dell’inammissibilità del contratto di maternità surrogata è l’indisponibilità del bene oggetto di accordo ex articolo 5 del Codice Civile (“Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”). La contrarietà del contratto di maternità surrogata all’ordinamento giuridico si evince dal fatto che l’atto dispositivo del proprio corpo è comunque contrario alla legge (in quanto realizza una transazione prima non contemplata dalla legislazione, oggi vietata, operando in frode della stessa e aggirando anche altre leggi, come quella sull’adozione), all’ordine pubblico (con il quale mal si accorda) e, almeno in caso di onerosità, anche al buon costume, secondo il quale, infatti, un atto di maternità surrogata potrebbe eventualmente realizzarsi soltanto a titolo gratuito (in base a un movente altruistico) e non dietro un pagamento in denaro.
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Quindi, non possono formare oggetto di un atto di autonomia privata, perché non sono beni in senso giuridico, le parti del corpo umano (gameti e organi della riproduzione) sulle quali il soggetto non è titolare di un diritto patrimoniale, non potendoli affittare né alienare, in quanto l’uso strumentale può diminuire la loro funzione e perché beni indisponibili. La dottrina prevalente è fondamentalmente d’accordo nell’escludere che il materiale riproduttivo possa essere equiparato a un bene economico, proprio in considerazione delle peculiarità biologiche legate alla riproduzione di altri essere viventi: il lettore comprenderà immediatamente la differenza tra donare un rene e donare (che poi di fatto è “vendere”) il seme o gli ovuli! Ultima argomentazione che ostacola la stipulazione di contratti di maternità surrogata è costituita dall’indisponibilità degli status personali, quali quello di figlio e quello di madre (chi partorisce non può spogliarsi del suo status di madre, né modificare quello del figlio), i munera, come la potestà dei genitori (oggi “responsabilità genitoriale”), e i diritti personali dei minori all’educazione e al mantenimento nella famiglia iure sanguinis.
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Poco esplorato dalla dottrina è invece il cosiddetto diritto del nascituro a conoscere le proprie origini, specie in considerazione del fatto che è aumentato il numero delle persone coinvolte nel processo procreativo. Si è infatti detto che vi sono fino a sei soggetti: due “committenti”, che diventano “genitori legali”; due “genitori biologici”, i venditori di gameti (che potrebbero essere anche tre, perché la cellula uovo potrebbe essere di una donna che fornisce il mitocondrio e di un’altra che fornisce il nucleo), e infine la madre surrogante. Può inoltre verificarsi il fenomeno del coinvolgimento di persone legate da vincolo di parentela e consanguineità (nonna che partorisce il nipote, sorelle che partoriscono fratellastri, etc.). L’argomento è stato affrontato dalla sentenza n. 278 del 2013, con cui la Corte Costituzionale ha risolto la delicata questione del bilanciamento tra il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini e il diritto della madre a rimanere anonima. Ha stabilito la Corte che “[…] il relativo bisogno di conoscenza (delle proprie origini, n.d.r.) rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale”. Per superare la rigida contrapposizione tra i due interessi (della donna che partorisce in anonimato a non essere rintracciata e del figlio a conoscere l’identità della propria madre biologica), la Corte ha introdotto la distinzione tra “genitorialità giuridica” e “genitorialità naturale” e ha osservato che “una rinuncia irreversibile alla genitorialità giuridica non può ragionevolmente implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla genitorialità naturale”. E’ ormai ampiamente sostenuto, anche da uno dei settori più avanzati della riflessione femminista, che i problemi etici connessi al tema della nascita non possono essere affrontati attraverso la contrapposizione tra gli interessi della donna e quelli (confliggenti) del nascituro. In questa nuova prospettiva, è fuorviante tentare ad esempio di mostrare che la donna è l’unico individuo che conta e che il nascituro non è un individuo degno di considerazione.
Art. 269 del Codice Civile: “La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre”.
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Se anche “il diritto di procreare” è un diritto fondamentale dell’individuo adulto, esso va limitato da altri diritti fondamentali della persona, quali sono i diritti del nascituro e del minore ad avere due genitori e a essere istruito, mantenuto ed educato da entrambi. Se il diritto di conoscere le proprie origini è ampiamente riconosciuto nell’ambito di vicende particolarmente dolorose e drammatiche, quale la scelta di partorire in anonimato pur di non optare per l’aborto, non si comprende perché il predetto diritto dovrebbe essere violato in caso di maternità surrogata. L’elenco dei diritti del nascituro inevitabilmente in conflitto con quelli degli individui che esercitano il loro, preteso, diritto di procreare non finisce qui: dal diritto del bambino alla bigenitorialità (negato quando alla maternità surrogata accedono singoli che non intendono intraprendere relazioni sentimentali), al diritto del bambino di essere allevato da un padre e da una madre (negato quando alla maternità surrogata accedono coppie omosessuali). Sul punto il dibattito è acceso. Da parte nostra ci limitiamo ad osservare che le fonti di diritto nazionale e internazionale (Dichiarazione ONU dei Diritti del Fanciullo, legge sull’adozione dei minori, tutela dei figli in caso di separazione e divorzio, norme del Codice Civile italiano) riconoscono il diritto, nella misura del possibile, a conoscere i propri genitori; il diritto di crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori; il diritto a non essere separato dalla madre se non per circostanze eccezionali; il diritto a conservare la propria identità e le relazioni familiari.
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In buona sostanza, il fanciullo ha il prioritario, inalienabile e assoluto diritto di essere allevato all’interno della propria famiglia iure sanguinis, che presuppone il modello eterosessuale madre/padre, cioè coloro che lo hanno generato (salvo casi di inadeguatezza della famiglia di origine). Anticipando l’eventuale (e francamente misera dal punto di vista dialettico e intellettuale) obiezione secondo la quale esistono bambini orfani di una o di entrambe le figure genitoriali, così come figli cresciuti da uno dei due genitori separati o divorziati, si risponde mestamente che da una parte l’esistenza di situazioni drammatiche e dolorose non possono e non devono essere prese a modello di riferimento dal legislatore per creane altre e, dall’altra, che tanto il bambino orfano quanto quello che ha subito la separazione dei propri genitori sono individui già nati, o già concepiti, al momento della tragedia che li ha privati di un genitore. Appare invece lapalissiano che, nel caso di figli da maternità surrogata, si programma la nascita di esseri umani ai quali manca uno dei genitori non per incidente, fatalità, abbandono, ma solo perché da qualche parte, in qualche Stato, il materiale procreativo è una vera e propria merce di scambio e il cosiddetto diritto di procreare degli adulti è ritenuto prevalente rispetto al diritto dei minori ad avere un padre e una madre e di conoscere la propria identità (anche) biologica.
Nessuna analogia sussiste tra la maternità surrogata e l’istituto dell’adozione: si desume dalla sentenza n. 11 del 10/02/1981 della Corte Costituzionale.
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12 N. 38 - FEBBRAIO 2016
Don Mattia Tanel
Classe 1986, è nato e vissuto a Trento. Dopo gli studi filosofici è entrato in Seminario a Ferrara nel 2009. Attualmente è diacono e membro della Fraternità Sacerdotale della Familia Christi, eretta in Diocesi di Ferrara-Comacchio da S.E. Mons. Luigi Negri.
Aldous Huxley
Verità del linguaggio, verità delle cose Un Dizionario dell’Antilingua, il lessico della menzogna di Don Mattia Tanel Secondo Pascal “un medesimo significato cambia secondo le parole che lo esprimono” (Pensieri, 51 Cheval). La parola è un medium tutt’altro che neutro o indifferente: servirsene in modo corretto, specie da parte di chi ha il potere di influenzare con esso grandi masse di persone, è un atto imprescindibile di onestà intellettuale e di responsabilità. Aldous Huxley afferma che “l’educazione alla libertà (e all’amore e all’intelligenza, che sono al tempo stesso condizioni e conseguenze della libertà) dev’essere, tra l’altro, educazione al retto uso del linguaggio”. E questo perché, “nella loro propaganda antirazionale”, “i nemici della libertà inquinano sistematicamente le fonti del linguaggio, per forzare le loro vittime a pensare, a sentire, ad agire nel modo in cui vogliono farli pensare, sentire e agire essi, i manipolatori dei cervelli” (Ritorno al Mondo Nuovo, in A. Huxley, Il Mondo Nuovo. Ritorno al Mondo Nuovo, Milano 1991, p. 328). Ogni ideologia, cioè ogni tentativo di adeguare la complessità dell’esistente a uno schema interpretativo parziale o errato, patisce inevitabilmente una certa mancanza di contatto con la realtà, una scollatura più o meno accentuata rispetto ai dati dell’evidenza empirica e all’autenticità della condizione e delle aspirazioni umane. Uno dei mezzi più efficaci per occultare questa scollatura, come ha denunciato George Orwell, è appunto il linguaggio. In “1984”, il “Partito” si avvale della neolingua, un lessico artificiale e ingannevole elaborato per ottundere la coscienza e l’intelligenza della popolazione. Come spiega Orwell nell’appendice al romanzo (G. Orwell, “1984”, Milano 1984, p. 331), la neolingua serve precisamente a rendere impossibile ogni forma di pensiero diverso da quello dominante. L’intuizione letteraria di Orwell trova oggi una perfetta applicazione in numerosi ambiti, come nel campo della bioetica e delle politiche sociali (di fatto trasformate in ingegneria sociale). 14
Ogni ideologia, cioè ogni tentativo di adeguare la complessità dell’esistente a uno schema interpretativo parziale o errato, patisce inevitabilmente una certa mancanza di contatto con la realtà. Il destino di un essere umano è segnato, nel momento in cui si abbandona la parola “figlio” per le espressioni “prodotto del concepimento”, “massa di protoplasma”, “pre-embrione”, o la parola “aborto” per locuzioni come “interruzione della gravidanza”, “contraccezione d’emergenza” (o “retroattiva”) o “embrioriduzione”. E che dire dell’ormai dilagante aggettivo “omofobo”, attribuito a mo’ di ricatto morale a chiunque esprima opinioni improntate alla più lampante normalità dei rapporti sessuali, generativi ed educativi? Pier Giorgio Liverani ha raccolto e commentato molti di questi termini-frottola in un prezioso “Dizionario dell’Antilingua. Le parole dette per non dire quello che si ha paura di dire”, edito nel 1993 dalle Edizioni Ares. Il dizionario è poi riapparso, aggiornato e ampliato, in appendice al libro di Liverani “La società multicaotica”, Ares 2005. Scorrendone le voci è possibile riconoscere alcune strategie comunicative ricorrenti adottate dalla cultura radicale-individualista che oggi ispira la stragrande maggioranza dei mezzi di informazione occidentali. Elenchiamo le più comuni: - eliminazione delle parole che evocano legami di cura e dipendenza reciproca (come “madre”, “figlio”, “bambino”, “padre”, “famiglia”), sostituite da altre più atte a designare l’individuo-monade, sciolto dalle relazioni e dalle responsabilità (come “donna”, “autore del concepimento”, “famiglia debole”, “coppia di fatto”, “famiglia monoparentale”): nella stessa legge 194/78 che legalizza l’aborto in Italia, la parola madre è contenuta 1 sola volta!
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evocazione di parole-feticcio, dal contenuto suadente e apparentemente positivo, nel cui nome legittimare i più disparati attacchi alla vita e alla dignità umana (“diritti civili”, “conquista civile”, “Scienza”, “emancipazione femminile”, “autodeterminazione”, “libertà individuali”, “libertà di scelta”, “qualità della vita”, “tolleranza”, “diritto alla salute”, “rispetto delle differenze” e molte altre). Queste espressioni hanno l’effetto non trascurabile di gratificare il destinatario della propaganda con un sentimento di superiorità ideale e di appartenenza a un’élite di “laici, moderni, illuminati, tolleranti”, baluardo contro le pulsioni irrazionali e retrive delle masse popolari e cattoliche; - evocazione reiterata e aggressiva di termini minacciosi e negativi, allo scopo di delegittimare culturalmente e moralmente, censurare e
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Blaise Pascal
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uso di sigle e di locuzioni vaghe e astruse, o anche semplicemente imprecise, al posto di definizioni chiare (ad esempio, “interruzione di gravidanza” o IVG in luogo di “aborto procurato” o “omicidio”; “complesso di cellule evolutive” o “pre-embrione” in luogo di “embrione”; “procreazione medicalmente assistita” o PMA in luogo di “fecondazione artificiale”; GPA (gestazione per altri) al posto di utero in affitto; “sedazione terminale” in luogo di omicidio diretto di persone che vivono “una vita non degna d’essere vissuta”; “sospensione dell’ANH (artificial nutrition and hydration)” in luogo di morte per fame e sete inflitta a malati non più in grado di nutrirsi autonomamente. Tale tecnica (al pari della successiva) è molto efficace nell’annientare la consapevolezza del valore fondamentale della vita umana e della portata etica degli atti che si compiono; uso (e conio) di termini tecnici, cioè asettici e freddi, meglio se dall’apparenza scientifica, per celare la vera essenza di ciò di cui si parla e non “destare alla contemplazione” il lettore o l’uditore (“unità feto-placentare”, “ootide”);
L’educazione alla libertà, all’amore, all’intelligenza deve essere, tra l’altro, educazione al retto uso del linguaggio. -
diffusione di dati e statistiche manipolati, fino alla vera e propria invenzione di cifre fasulle a puro scopo di propaganda (la menzogna ripetuta alla nausea diventa una “verità”, come insegnavano Voltaire e Goebbels). Ad esempio, nei primi anni Settanta si cominciò ad affermare che gli aborti clandestini in Italia ammontavano a circa 800.000 l’anno (una cifra pari a quella delle nascite!), e poi un milione, due milioni o addirittura quattro milioni l’anno: cifre propalate con assoluta serietà da giornali e mass media, incuranti di attribuire così a ogni donna italiana fino a una media di undici aborti volontari in vita. Ancora più inverosimile il numero di donne che sarebbero morte ogni anno per aborto clandestino: maggiore del numero di tutte le donne morte in età fertile registrate annualmente (cfr. “Dizionario”, cit., p. 27). Oggi accade lo stesso per quanto riguarda il numero di “famiglie” omosessuali, dei figli di “due mamme” o “due papà”, dei casi di “aggressione omofoba”…
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La verità del linguaggio serve a distinguere il bene dal male. Senza la distinzione del vero e del falso, del bene e del male non si edifica alcuna autentica civiltà: i valori di libertà, rispetto, tolleranza sono svuotati, significano solo soddisfazione immediata di bisogni e di impulsi, fine a se stessi, senza futuro. sottoporre a giudizio preventivo le idee di coloro – cattolici e non – che si oppongono alla cultura radicale - individualista (“oscurantisti”, “clerico-fascisti”, “Medioevo”, “crociate”, “caccia alle streghe”, “Galileo”, “cultura maschilista e patriarcale”, “integralisti”, “familisti”, “omofobi”, “sessismo” e molte altre). La rivoluzione sessuale e culturale del ‘68 ha sovvertito il linguaggio con il quale si poteva distinguere il bene dal male. Le parole sono state svuotate. Senza la verità del linguaggio non si edifica alcuna autentica civiltà: venuta meno la distinzione del vero e del falso, del bene e del male i valori di libertà, rispetto, tolleranza significano solo soddisfazione immediata di bisogni e di impulsi, fine a se stessi, senza futuro. Ristabilire la verità del linguaggio: è questo il compito che urge per chiunque voglia contribuire a riaffermare la verità delle cose.
George Orwell
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10 N. 39 - MARZO 2016
Una testimone davvero eccezionale
Abbiamo avuto l’onore e il privilegio di ricevere una lettera dalla moglie del compianto Giuseppe Garrone: più di venticinque anni dedicati alla difesa della Vita, dal suo inizio nel grembo materno, e all’aiuto concreto delle donne in difficoltà. di Margherita Borsalino Garrone Caro Brandi, conosco bene come sono nati il “Cassonetto per la vita” (poi “Culle per la Vita”), il numero “SOS Vita” e il “Progetto Gemma”: sono la moglie di Giuseppe Garrone. “Progetto Gemma”, l’ultimo in ordine di tempo, iniziato nel 1994, non fu opera esclusiva di Giuseppe. Un team di quattro indefessi amanti del bimbo non ancora nato, dell’invisibile figlio dell’uomo, lavorò intensamente per organizzare uno strumento agile ed efficace di adozione prenatale a distanza. Primo ideatore è Mario Paolo Rocchi, poi Francesco Migliori, presidente del Movimento per la Vita Italiano, nella cui casa accogliente a Milano la moglie Annamaria preparava il pranzo per i quattro amici (gli altri due sono Silvio Ghielmi e Giuseppe Garrone).
La nascita del Progetto Gemma
La foto mostra i nostri quattro all’uscita della cappella del cimitero di Mesero, dove venne celebrata una S.Messa e affidato all’intercessione della Beata Gianna Beretta Molla il “Progetto Gemma”. La futura santa se ne prese cura in modo particolare: i risultati furono al di là di ogni aspettativa.
Il Progetto Gemma è una sorta di adozione prenatale a distanza, grazie alla quale la mamma in difficoltà riceve un contributo economico mensile. Nel 2014 ha salvato 21.000 bambini (e le loro mamme!).
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Il “Cassonetto per la vita” nacque a Casale Monferrato per iniziativa, questo sì, di Giuseppe. Il nome manifesta la ragione della sua nascita: il ritrovamento di un neonato nella spazzatura. L’annuncio ascoltato al giornale radio era quanto di più meschino e ipocrita si possa immaginare, una presa di posizione colpevolizzante verso la madre per l’abbandono, e per di più nella spazzatura: veniva descritta come un’abietta, rea di un delitto tanto crudele e raccapricciante. A Giuseppe immediatamente parve necessario far luce su tanta ipocrisia: “Dove finiscono i resti degli aborti? È forse più elegante la fogna, o sono più accoglienti i sacchi dei rifiuti ospedalieri? Sì, perché abortito a tre, quattro o cinque mesi di vita, oppure ucciso dopo aver visto la luce, dove sta la differenza? Questo è un uomo!”. A ottobre si fece un Convegno, vennero alla luce i numeri agghiaccianti dei ritrovamenti e tanto altro, compresa la storia delle benemerite “Ruote degli esposti”, con tanto di nomi dominanti (Esposito, Esposto, Trovato, Amato, etc.) e si vide come questo semplice strumento aveva partecipato alla difesa della vita di tanti italiani, anche famosi (Zeffirelli, per esempio). Gli ostacoli al primo “Cassonetto per la vita” vennero dall’interno e dall’esterno. Parte del mondo cattolico valutò questa ‘reinvenzione’ della “Ruota degli esposti” una reminiscenza medioevale e non permise l’apertura del varco necessario nel muro del CAV-MpV di Casale, per motivi sanitari. Femministe e politici mossero la Magistratura con un esposto alla Procura da parte di un deputato locale. Come sempre, a suo tempo naturalmente, la Verità trionfa e lo si vede dai frutti. Tanto inspiegabile impedimento ad aprire lo spazio per la Ruota, riguardo al muro di proprietà d’altri, convinse Giuseppe che era necessario avere la proprietà della sede. Da lì vennero meraviglie! Meraviglie della Provvidenza! Fino alla casa di pronta accoglienza per mamme in attesa. L’esposto alla Magistratura, poi, una volta terminata l’inchiesta, fu una liberatoria: infatti, sulla base delle motivazioni di quell’archiviazione, sono fondate oggi tutte le altre aperture di ‘culle’ o ‘cassonetti’ che dir si voglia, in tutta Italia (oggi sono una quarantina). Già allora Giuseppe era ben consapevole che una o quaranta ‘culle’ non avrebbero impedito l’abbandono, perché diceva: “Il cassonetto si trova a ogni angolo, mentre una donna disperata, assalita dall’angoscia, in cerca di una via di fuga per nascondere l’avvenuta maternità, difficilmente arriva a una culla per la vita”.
ANTALOGIA 4° VOLUME
Primo Piano
Nonostante questo, la ‘culla per la vita’ è stata la salvezza per molti neonati, ma gli abbandoni sono ancora numerosissimi, né sappiamo quanti sono quelli che non vedremo mai. Quindi le ‘culle per la vita’ sono e restano una provocazione per la nostra civiltà inumana; sono fatte per invitarci a riflettere, e Dio non voglia che la conclusione sia: “Meglio se avesse abortito”. Per l’esperienza che ho io, ed è anche quella che Giuseppe ha sempre sostenuto, si può dissuadere la donna in difficoltà economica o povertà esistenziale, sostenendola con il “Progetto Gemma” oppure, come succede in Piemonte, con lo “Zainetto per la Vita”, e tutto il sostegno amichevole che possono offrire le operatrici dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV)… ma per la donna che sostiene che l’aborto è un suo diritto e che nessuno deve entrare nella sua libertà? Come salveremo suo figlio e lei? Perché l’aborto quasi sempre uccide due persone… Nessuno è meno libero di chi è in uno stato di ansia e di paura, magari anche con la depressione e la nausea dei primi mesi di gravidanza. Chi cerca aiuto al consultorio trova facilmente come risposta il certificato di IVG. Dunque è necessaria un’opera di diffusione prima di tutto della presenza dei CAV e della loro disponibilità, quindi un’opera culturale che diffonda rispetto e conoscenza dei primi giorni di vita. “Chi è l’embrione” e non “che cosa è”. Davanti a questo forse si capisce perché, dopo la nascita del primo CAV a Firenze per opera del caro Mario Paolo Rocchi, venne la fondazione del Movimento per la Vita (MpV), ad opera specialmente Esattamente un primo annoinsuperabile fa, il 3 febbraio di Francesco Migliori, presidente che 2011, connotò moriva l’opera delanascente prolife Casalevolontariato Monferrato con questo binomio: CAV e MpV, due facce dell’unica Giuseppe Garrone, indimenticabile proposta di difesa del figlio non ancora nato. Ilprotagonista MpV nasce perdiun’opera educativapro chelife rifondi mille battaglie in sul diritto naturale il diritto alla vita e che, nello stesso Italia, impegnato da tempo nel tempo, accolga ogni studio scientifico che dimostri l’umanità del concepito. Movimento per la vita italiano, sia a Dunque ritengo che i CAV che operano con più livellonon locale nazionale, e fondatore successo, solo che come attività assistenziale, sono corroborati e sostenuti dall’attività di informazione, del comitato Verità e Vita. Elena Baldini, formazione e diffusione di un efficiente MpV. chepiù ha lavorato accantoila lui, lo Tanto che, se a lungo consideriamo numero incalcolabile di questo aborti toccante prodotti scientificamente racconta in ricordo. dalla fecondazione artificiale, ci accorgiamo di come – insieme agli aborti chimici della RU486, della pillola È trascorso ormai un anno da quando del giorno dopo, etc. – ci troviamo spesso di fronte Giuseppe èdipartito perl’aborto. la Casa del Padre. all’impossibilità prevenire le 19:00 del venerdì 3 mettere febbraio, noi SoloErano una rivoluzione culturale può uneargine a questo genocidio sconosciuto. eravamo indaffarati a sistemare le primule Il problema è: da dove cominciare? Certo, con i giovani. per l’imminente Giornata per la Vita. Ma Ma con quali strumenti? Non è questo il momento per non una c’erarisposta, la solitamaatmosfera della cercare sono certafestosa che abbiamo circostanza. Si lavorava quasi in punta di a perduto alcune opportunità che la storia ha messo nostra disposizione. piedi, perché sapevamo che l’amico ci stava
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Infine c’è “SOS Vita”, che nasce come proposta alternativa dopo il Convegno sull’abbandono dei neonati. Immediatamente emerge che la risposta di “SOS Vita” è duplice: aiutare la mamma in crisi di fronte alla gravidanza indesiderata e accogliere con attenzione e disponibilità il pianto o la muta invocazione d’aiuto della mamma e anche del papà che, dopo l’aborto, sono caduti in depressione o hanno addirittura tentato il suicidio, a causa di un lutto nascosto magari per anni e mai elaborato.
Il ‘protocollo’ elaborato da Garrone era fatto di ascolto, verità, fede e speranza e ha ridato la vita a molti. A questo proposito vorrei sottolineare come Giuseppe, proprio grazie al suo ininterrotto contatto con molte donne vittime dell’aborto, abbia elaborato un ‘protocollo’ fatto di ascolto, verità, fede e speranza, che ha ridato la vita a molti. Il suo libricino Oltre la morte...la vita (si veda a p. 31) è uno strumento semplice, ma che può ancora servire per iniziare il lungo cammino di rinascita dopo l’aborto volontario. Sono molte le ricchezze che Giuseppe ci ha lasciato, per questo mi sono sentita in dovere di comunicargliene una piccola parte.
In ricordo di Giuseppe Garrone
La ringrazio per l’attenzione e le auguro di proseguire con slancio la sua preziosa attività. Margherita
lasciando. E così vogliamo ricordarlo: un vero giovane Giuseppe Garrone (1939 - 2011) aperto alla vita e pronto a dare e fare di tutto pur di salvarne anche una sola. Disponibile a qualsiasi ora del giorno e della ANTALOGIA VOLUME notte, 4° quando si trattava di convincere una mamma e un papà a non uccidere la propria creatura. 17
Primo Piano
Notizie
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E se la maternità porta la felicità…? L’esperienza di una donna emancipata, giovane e fortunata professionista all’ingresso nel mondo del lavoro, completamente e irrimediabilmente trasformata dalla maternità di Costanza Miriano Quando ho scoperto di aspettare il mio primo figlio ero una giovane – almeno per gli standard attuali – giornalista (ventisette anni) agli inizi della carriera, non rampante, questo no, ma curiosa di entrare nel mondo del lavoro, desiderosa di farlo bene, e convinta che sarebbe stato possibile anche da mamma grazie a una collaborazione totalmente paritaria con mio marito. Sono bastati nove mesi per cambiare completamente il mio punto di vista. Non è stata la testa: ero una donna pienamente del mio tempo, imbevuta di convinzioni piuttosto diffuse (quello che conta è la qualità del tempo, bisogna imparare a delegare, i figli crescono: non ti lasciar assorbire troppo, e via dicendo). Non è stata la testa, dicevo, è stata la carne. Mentre io continuavo a pensare che avrei fatto la giornalista, un mestiere che avevo ancora tutto da imparare – sono diventata mamma al secondo contratto a termine, proprio agli inizi della mia esperienza – e la moglie e la mamma senza nessun problema o lacerazione, dividendomi tranquillamente su tutti i fronti, la mia carne mi ha trasformata. E, mentre il mio corpo diventava materno e le mie viscere facevano sempre più spazio a questo esserino sconosciuto (che oggi peraltro supera il metro e ottanta di altezza), il mio cuore veniva trasformato per sempre.
Costanza Miriano
È giornalista, scrittrice e blogger. Nata a Perugia nel 1970 e residente a Roma, ha quattro figli e un marito. Cattolica fervente, convinta che in cielo si vada solo tramite raccomandazione, è sempre in cerca di canali preferenziali per arrivare al Capo Supremo: trova che la Messa e il Rosario siano quelli che funzionano meglio.
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Questa verità sulla donna non viene annunciata e proposta come desiderabile: la maternità è considerata una specie di disgrazia… Racconto questa esperienza, così normale, così poco interessante, perché mentre esponendo teorie possiamo essere contestati, di fronte a ciò che ognuno di noi vive nessuno può protestare, tacciarci di essere ideologici, rifiutare. Questa è stata la mia esperienza: da donna emancipata, da fortunata giovane professionista all’ingresso nel mondo del lavoro, e nella sua parte più ambita (per una giornalista televisiva lavorare alla Rai è certo una delle cose più desiderabili che possano capitare), sono stata completamente e irrimediabilmente rapita da questo fagottino di tre chili e qualcosa, ho cominciato a vivere in funzione del suo respiro, del suo odore di latte, dei suoi sorrisi sdentati e bavosi, delle sue poppate, dei suoi baci, e poi delle sue parole buffe e dei suoi abbracci.
Foto:ekseaborn0
Il cambiamento è esploso in tutta la sua forza quando purtroppo è stato il momento di tornare al lavoro: mio figlio aveva quattro mesi, e se stavo troppo lontana piangeva perché voleva il latte. Io invece piangevo perché non potevo dargliene ogni volta che avrei voluto, e perché volevo lui. Ricordo quel periodo come un enorme continuo sforzo di stare il più possibile con lui, e come una condizione profondamente innaturale.
Ricordo che scappavo dal lavoro come una ladra, una ladra di tempo, e scappavo via da mio figlio di nuovo come una ladra, una ladra di presenza ed energie. Tiravo il mio latte e lo lasciavo in frigo a chi si occupava del bambino in mia assenza – mio marito, la nonna, la baby sitter – perché non volevo il latte artificiale (sono riuscita a non usarne neanche una goccia con tutti e quattro: ce l’abbiamo fatta da sole io e la mucca), e telefonavo ogni volta che potevo a casa nell’illusione di tenere tutto sotto controllo.
ANTALOGIA 4° VOLUME
Foto: Blanka
20 N. 40 - APRILE 2016
Non è stato il fatto di essere una “cattolica tradizionalista bacchettona omofoba repressa”... e via etichettando. È stata la mia normalissima, e neanche troppo meritoria, carne di essere umano, di donna a reclamare la sua parte, rispetto ai miei progetti e ai miei condizionamenti culturali. Credo che ogni donna faccia questa esperienza all’arrivo della maternità: il problema è che questo diventare madre è sempre più raro e più posticipato nel tempo. E così sempre più donne vagano alla ricerca della propria identità, perché sempre meno spesso questa nostra verità ci viene annunciata e proposta come non dico desiderabile (se provi a dire a una ragazzina che le auguri di diventare mamma, e che questo avvenga presto, verrai guardata con sdegno, quando non verranno fatti gli scongiuri, come se la maternità fosse una iattura, o una cosa “Sì, bella, ma non adesso”), ma almeno possibile. E così andiamo allegramente verso l’estinzione dell’Occidente, e questa responsabilità è soprattutto nostra, di noi donne che abbiamo dimenticato a cosa siamo chiamate. Magari l’estinzione della nostra storia e della cultura non è un argomento fortissimo per convincere le giovani generazioni a riprodursi, ma questo credo che lo sia: una donna, quando comincia a dare la vita, trova se stessa e diventa felice. Almeno, questa è stata la mia esperienza e quella che ho visto nelle vite delle ormai tantissime donne che ho incontrato. La donna è chiamata a dare la vita. Tutto in noi parla di questo, tutta la nostra carne e la mente e il cuore sono progettati per fare spazio ad altre vite, per non rimanere chiuse alla ricerca dei nostri obiettivi, della nostra realizzazione. Conosco anche tante donne cui questo regalo grandissimo non è dato, o viene lungamente atteso prima di arrivare. Oppure donne, le consacrate, che decidono da subito di essere feconde in modo diverso, mettendo i propri talenti e le capacità al servizio della vita quando è più debole e minacciata. Questa, scriveva Ratzinger, rimane la profonda intuizione della donna su se stessa: è questo il meglio della nostra vocazione.
ANTALOGIA 4° VOLUME
In ogni caso, che sia madre nella carne o no, una donna che accoglie questa sua chiamata (ci sono anche madri nella carne che non la vivono appieno, seppellendola sotto più e più strati di convinzioni ascoltate qua e là), trova la sua pienezza. Siamo fatte per donarci, come anche gli uomini, ma noi in modo diverso. L’uomo ama facendo, compiendo azioni fuori di sé, trasformando lo spazio e la realtà che lo circonda, in qualche modo uscendo da sé. La donna invece ama lasciando entrare, facendo spazio.
La donna è chiamata a dare la vita. Tutto in noi parla di questo, tutta la nostra carne e la mente e il cuore sono progettati per fare spazio ad altre vite Di fronte alla debolezza e alla piccolezza della vita la donna naturalmente si china, e sa vedere le necessità. Noi siamo dotate di radar specialissimi di cui l’uomo è sprovvisto. Ci servono a capire chi abbiamo di fronte, e a capirlo anche senza le parole, o magari a dispetto di quello che dice (il radar si rivela utilissimo durante l’adolescenza dei figli). Ci servono a imparare a capire le richieste di aiuto e a soccorrere con più prontezza. Non sto dicendo che tutte le donne siano brave madri, per carità. Anzi, a volte il nostro interesse per gli altri può diventare morboso e dobbiamo fare un lavoro su di noi per imparare ad amare lasciando liberi coloro che ci sono affidati, lavorando per la loro felicità vera e piena. Dico che questo è quello che ci compie, che ci fa veramente e pienamente felici, mentre al contrario quando diciamo no a questa chiamata, come sempre più spesso fanno le donne in Occidente, perdiamo una grande possibilità di pienezza e di felicità. Mi piacerebbe avere il potere di dirlo alle tante donne che cercano se stesse nei posti sbagliati: fate spazio nella vostra vita, aprite i cancelli, non mettete le barriere della contraccezione… e se una vita dovesse bussare alla porta, apritele! Non sta venendo a portarvi via niente, tanto meno la vostra libertà, perché quella che chiamate libertà spesso è solitudine. Sta venendo solo a portarvi qualcosa in più, un regalo dal valore incommensurabile e totalmente immeritato, qualcosa che vi renderà più capaci, più felici, più realizzate, e infinitamente più amate di prima.
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N. 41 - MAGGIO 2016
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Elvira Parravicini
Si è laureata in Medicina all’Università di Milano nel 1981. Specializzata in Pediatria e Neonatologia, ha lavorato all’ospedale San Gerardo di Monza e con una ONG italiana, l’AVSI, a Lagos in Nigeria. Dal 1994 vive e lavora negli Stati Uniti, dove ha acquistato la cittadinanza.
Curare gli incurabili: la comfort care neonatale A volte i neonati soffrono di patologie che limitano la vita (life-limiting) oppure versano in condizioni terminali: non c’è speranza di guarigione, ma non devono essere abbandonati di Elvira Parravicini Certamente il goal primario della neonatologia è la cura del neonato in terapia intensiva con la speranza della guarigione. A volte ci troviamo però di fronte a piccoli pazienti che, purtroppo, non possono trarre beneficio dalla terapia intensiva, in quanto affetti da patologie cosiddette life-limiting oppure in quanto sono in condizioni terminali, magari dopo settimane e settimane di cure specifiche. Quando l’impossibilità della sopravvivenza diventa palese si profila un grosso rischio: quello dell’abbandono del paziente e della sua famiglia. Questi bimbi, dunque, che avranno una vita molto breve, richiedono un trattamento medico e infermieristico specifico e alternativo, appropriato per la loro condizione, che definiamo comfort care neonatale. La dottoressa Parravicini lavora dal 2001 come neonatologa alla Columbia University Medical Center. Il suo interesse primario, in termini di clinica e di ricerca, riguarda la diagnosi prenatale e la cura post-natale di neonati affetti da malattie life-limiting (che limitano la vita). Nel 2008 ha fondato il programma di Comfort Care Neonatale, del quale rimane il direttore medico. Questo programma è multidisciplinare e si prende cura di neonati con malattie life-limiting oppure in condizioni di fine-vita, nonché delle loro famiglie.
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I candidati per la comfort care sono neonati affetti da condizioni tali per cui l’uso della rianimazione e della ventilazione meccanica risulta futile. Esempi possono essere l’agenesia renale bilaterale con ipoplasia polmonare, l’anencefalia, l’idrope fetale grave, la limb-body wall complex. Altri candidati per la comfort care sono i neonati che, dopo essere stati trattati in terapia intensiva magari per lungo tempo, entrano nello stato terminale.
A volte i neonati soffrono di patologie che limitano la vita (life-limiting), oppure versano in condizioni terminali: non c’è speranza di guarigione, ma non per questo vanno abbandonati Ma in cosa consiste precisamente la comfort care? Questa espressione è usata in campo medico con significati molto differenti e talora ambigui. È veramente triste il riscontro che la comfort care può essere ridotta alla mera interruzione di cure mediche e/o infermieristiche. La nostra proposta innovativa si basa su un trattamento multidisciplinare incentrato sul raggiungimento di uno stato di comfort per il paziente.
ANTALOGIA 4° VOLUME
Scienza e Morale
Quando la diagnosi di malattia life-limiting è confermata dopo la nascita, i bimbi trattati con la comfort care hanno una durata di vita simile a quella di bimbi con le stesse patologie ma trattati con terapia intensiva
I capisaldi della comfort care consistono nella soddisfazione di alcuni bisogni primari. Il neonato ha bisogno di essere accolto, di essere tenuto al caldo, di non soffrire la fame o la sete e di non soffrire dolore. Sono bisogni semplici, ma che richiedono tutta la nostra capacità ed esperienza medica per ricevere risposte adeguate. Infatti, il tipo di terapia che proponiamo per aiutare il bimbo e i suoi genitori a ‘sentirsi bene’ vengono da osservazioni evidencebased sulla cura del dolore nei neonati. Questi bisogni primari, che ho elencato, sono tipici di ogni neonato, ma ci sono necessità mediche particolari, per ogni paziente, a seconda della diagnosi e delle condizioni cliniche. È qui che il medico, l’infermiera e gli altri membri del team multidisciplinare hanno un ruolo fondamentale, perché devono sviluppare un piano di cura personalizzato incentrato sul raggiungimento di uno stato di benessere.
Questi risultati ci hanno portato alla conclusione che la cura personalizzata e attenta che offriamo a questi bimbi non accorcia affatto la lunghezza della loro vita, tuttavia risparmia loro inutili sofferenze. Abbiamo anche voluto verificare se i neonati trattati con la comfort care erano, di fatto, in uno stato di benessere. Abbiamo deciso di interrogare i loro genitori tramite questionari anonimi. Questi i risultati dello studio effettuato su trentasette famiglie: la stragrande maggioranza dei genitori riporta che il loro bimbo è stato trattato con rispetto e amore dagli operatori sanitari e che hanno potuto prendersi cura direttamente del loro bimbo, nutrendolo e tenendolo in braccio e facendo così l’esperienza della genitorialità. Tutti i genitori hanno confermato che il loro bimbo ha vissuto in uno stato di benessere. CC0 Public Domain
Il comfort care neonatale è un trattamento medico e infermieristico specifico e alternativo, appropriato per la condizione clinica dei neonati che non hanno speranza di guarigione
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Un punto molto importante è che questi neonati avranno un’esistenza breve, ma la lunghezza della loro vita non può essere prevista con certezza e la responsabilità degli operatori sanitari è di seguire il corso della loro vita assicurando uno stato di comfort. Solo l’attenta e affettuosa osservazione e cura di ogni paziente, senza dare nulla per scontato, porta ogni volta a riconoscere il percorso giusto da intraprendere. Non è il medico che impone una strada, ma è piuttosto il paziente che lo guida. Il comfort care è certamente un trattamento medico e infermieristico, ma si avvale anche dell’aiuto di altri servizi. I membri del team multidisciplinare includono la specialista dell’alimentazione, l’assistente sociale, il personale di Child Life e il cappellano. Ognuno di loro ha un compito specifico nell’assicurare il benessere del bimbo e della sua famiglia, inclusi i fratellini, ma si lavora insieme. Nel corso di questi anni abbiamo anche voluto valutare il nostro lavoro. Abbiamo pubblicato gli outcomes dei primi quattro anni di attività del nostro programma e, con grande sorpresa, abbiamo visto che, quando la diagnosi di malattia life-limiting è confermata dopo la nascita, i bimbi trattati con la comfort care nel nostro progravmma hanno una durata di vita simile a bimbi con le stesse patologie ma trattati con terapia intensiva.
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22 N. 42 - GIUGNO 2016
Francesca Romana Poleggi
Madre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, è direttore editoriale di questa Rivista.
Anticristo Superstar
Agostino Nobile
Abbiamo intervistato Agostino Nobile, ‘un tipo irrequieto’, autore di un pamphlet che parla di valori e disvalori, di Nietzsche e della cultura della vita e della morte: Anticristo Superstar di Francesca Romana Poleggi Agostino Nobile, musicista, conoscitore dei popoli e delle culture, scrittore... come si vuole presentare ai Lettori di Notizie ProVita? Diciamo che sono sempre stato un tipo irrequieto, una tendenza che si è rivelata la mia fortuna. Se così non fosse non avrei mai abbandonato l’orchestra sinfonica e l’insegnamento. A un certo punto della mia vita ho contattato due impresari e sono partito per il mondo come pianista-bar e cantante. Una volta iniziata la mia nuova attività ho approfondito la conoscenza delle altre culture. Viaggiavo con due valige, una riservata agli effetti personali e l’altra ai libri. Per chi non ama la solitudine questo lavoro lo sconsiglio vivamente, ma per chi vuole un po’ di tempo per riflettere e per vedere il mondo senza filtri mediatici è una professione fantastica. Le realtà socio-culturali in cui ha vissuto hanno a cuore quei ‘valori non negoziabili’ che qui nell’Occidente opulento e decadente non considera più nessuno? Il rispetto per l’essere umano dal suo concepimento alla morte naturale, è un valore che appartiene al cristianesimo. Ma il diritto dei figli ad avere il padre e la madre, nonché il matrimonio tra uomo e donna, nelle altre culture non pensano nemmeno di definirli ‘valori non negoziabili’. Semplicemente perché sono valori essenzialmente antropologici. In tutte le culture del mondo, di tutti i tempi, la famiglia è formata da padre, madre e figli. Quindi non è una “fissazione cattolica”. 22
È un fatto naturale. Nei Paesi atei come la Cina, il Vietnam e la Corea del Nord, l’omosessualità non è certo - per usare un eufemismo - la benvenuta. Dunque non c’è nemmeno bisogno di un dio per capire che la famiglia si stabilisce con il patto legale tra un maschio e una femmina. La famiglia non si fonda solo per l’aspetto affettivo, ma soprattutto per il peso sociale che rappresenta. È la colonna portante della società. Per quanto riguarda la decadenza dell’Occidente, essa non è causata dal fattore opulenza, anche se quest’aspetto non è da sottovalutare, bensì dalla mancanza di una vera guida cristiana. Lo prova il grande numero di nobili che durante i secoli hanno abbandonato le ricchezze di questo mondo per entrare negli ordini religiosi. Allora c’erano monaci e preti capaci d’infondere una fede granitica. Molti di loro possedevano una grande cultura, conoscevano a memoria il Magistero e affrontavano le immancabili eresie che nascevano come funghi, confutandole con argomentazioni rigorose. E la politica laicista, che definisce i cattolici fuori dal tempo? I politici e gli intellettuali che accusano i cattolici di essere retrogradi e oscurantisti, se non peccano di un’ignoranza crassa, utilizzano i vecchi metodi delle dittature. Come sappiamo, le ideologie per imporsi e sopravvivere hanno bisogno di un capro espiatorio, e il cattolico è la vittima perfetta. Dopo anni di calunnie e di lavaggi cerebrali, operati attraverso i testi scolastici
ANTALOGIA 4° VOLUME
Scienza Primo e Morale Piano e i mezzi di comunicazione, il cattolico, travolto dalle menzogne, vive contrito in sensi di colpa totalmente infondati. Tanto più che non pochi ecclesiastici sono caduti nella stessa trappola. Ignorano che la Chiesa è sempre stata portatrice di sviluppo in tutti i campi dell’umano. Il concetto di sviluppo non è stato diffuso dai cinesi, dagli indiani o dagli arabi, ma dagli europei. Non perché figli dell’Illuminismo, come vogliono farci credere, ma in quanto cristiani. Il processo di sviluppo è iniziato nell’Alto Evo, grazie ai monaci benedettini, e profuso nel Medio e Basso Evo. Senza la Cristianità, che ha ripreso e sviluppato il meglio delle culture Romana e Greca, oggi vivremmo ai livelli del Terzo Mondo. Se si toglie dalla storia il Cristianesimo, si torna alla società senza diritti, senza scienza e tecnologia, dove non esiste il bene comune e il forte ne fa di cotte e di crude al più debole.
Notizie
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Uno tsunami che ha investito tutte le classi sociali. Stimolando le debolezze dell’uomo hanno realizzato una trappola per umani. La trappola si chiama libertà, o meglio, ‘falsa libertà’. Una gustosa polpetta che, abbrutendo metodicamente la vita, avvelena l’amore e la compassione. Cosa resta di umano senza questi sentimenti? Ed è chiaro che alla base di questo processo mortifero c’è l’inganno. È per rispetto alla donna che si legalizza l’aborto, è per rispetto alla libertà individuale che si sessualizzano i bambini nelle scuole. Il disprezzo oggi si chiama amore.
Il rispetto per l’essere umano è un valore che appartiene al cristianesimo. Ma il diritto dei figli ad avere il padre e la madre, nonché il matrimonio tra uomo e donna sono valori essenzialmente antropologici, che pervadono anche le culture ‘atee’
È vero. Questo lo asseriscono anche antropologi e ricercatori agnostici, come Rodney Stark... La difesa della vita dall’inizio, nel grembo materno, alla sua fine naturale; la difesa dei più deboli, specialmente dei bambini, dei disabili, degli anziani, sembrano non avere più senso. Sembra quasi che sia per ‘il loro bene’ che coloro che soffrono o che potrebbero soffrire, debbano essere eliminati. I più piccoli sono ‘di proprietà’ dei più grandi?
La cultura della morte, il relativismo etico, la dittatura del pensiero unico, sembra – davvero – che offrano la libertà: libertà (anche sessuale) di raggiungere sempre il massimo piacere individuale. In cambio cosa chiedono?
Non dobbiamo pensare che questo terremoto nichilista sia casuale. C’è un progetto ben definito, che mira alla dissoluzione della famiglia naturale e dei diritti della persona. La massoneria e il marxismo hanno stabilito che la famiglia ha un’influenza negativa nella società, e l’unico modo per renderla irrilevante è quello di ‘liberalizzare’ la donna e ridicolizzare la figura del padre. Come in una corsa a staffetta, il liberalismo ha realizzato il sogno massonico-marxista. Sappiamo che, dagli anni della rivoluzione sessuale – gli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso –, i media e la scuola sono stati gli interpreti principali di questa rivoluzione. Il femminismo era in prima fila per acquisire il diritto all’aborto, mentre i figli iniziavano a mettere in discussione l’autorità del padre e della scuola.
Vogliono una civiltà formata da caste e una moltitudine senza legami affettivi per isolare la persona. Più o meno dei lobotomizzati, che producono, spendono e si autodistruggono con piaceri che portano all’insoddisfazione cronica. Quando la droga sarà legalizzata saremo già condannati a una vita insignificante. E, dato che questo stato di cose incrementerà il numero dei suicidi, si è pensato alla cosiddetta ‘dolce morte’, l’eutanasia. Un modo semplice e pratico per lucrare sia sui suicidi, sia sugli organi espiantati alle vittime. Non si vorrà mica uscire dalla società senza pagare il pedaggio? Il pensiero unico ha stabilito un traguardo: ridurre il numero della popolazione mondiale. Infatti, le nuove leggi antiuomo hanno in comune il rifiuto della vita. Il matrimonio gay non genera, l’eutanasia e l’aborto uccidono.
Copertina Libro: Anticristo Superstar
ANTALOGIA 4° VOLUME
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LATNEDULB
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24 N. 42 - GIUGNO 2016
In Anticristo Superstar riporto documenti e nomi di alcune organizzazioni sponsorizzate dall’Onu, che AILATprovano I in maniera inconfutabile quanto affermo. Le ‘nuove famiglie’ tolgono qualcosa alla famiglia naturale? E ai bambini?
ITNED AIZILUP
Non sono tanto le ‘nuove famiglie’ che insidiano la famiglia naturale, quanto la ‘nuova coscienza’. Una volta che l’omosessualismo viene sostenuto dalle leggi, ci ritroviamo con le coppie gay che, per esempio, si baciano e si tengono per mano nei parchi pubblici dove giocano i bambini. Non è necessario spiegare a chi ha figli gli effetti devastanti che questi comportamenti producono sugli innocenti. Comunque, le famiglie gay non hanno storia, perché saranno i loro figli legali che reagiranno a questa immensa ingiustizia. Aspettiamo qualche anno e ne vedremo delle belle. L’innaturale e il trasgressivo all’inizio possono sembrare allettanti, danno la sensazione di cambiare l’aria pesante di casa, ma poi, se non si cade miseramente, arriva la disperazione. Con la natura non si scherza, non possiamo cambiarla a colpi di leggi o con disquisizioni politiche, filosofiche e psicologiche. L’ideologia relativista, se non viene fermata a tempo, è un bubbone che renderà la società una colossale fogna a cielo aperto. Milioni di innocenti ci rimetteranno la coscienza e la pelle. Ma il fetore insopportabile che aleggerà in tutti gli spazi vitali ci costringerà a ritornare al buon senso. Dobbiamo comunque sempre alzare le barricate, perché le lobbies multimiliardarie che si muovono dietro le quinte – come descrivo nel mio recente libro Quello che devono sapere – hanno già onretn i osu irecattolici P deciso di arginare qualsiasi tipo di reattività. Dato che il programma procede con una sequenza calibrata per renderlo indolore (dagli anni Settanta a oggi abbiamo assistito alla legalizzazione del divorzio, dell’aborto, della sessualizzazione, dell’omosessualizzazione,
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del matrimonio gay, dell’utero in affitto, dell’eutanasia e dell’eugenetica), appare evidente che se continuiamo ad accettare l’aborto e tutto il resto come un dato acquisito, ci impianteranno biochips come fosse una necessità salva-vita o per proteggerci dalla criminalità informatica. Qui non si tratta di fede o meno, in questa persecuzione al buon senso non esistono distinguo tra atei e credenti, tra etero e omo. Gli utili-idioti che oggi sostengono l’ideologia relativista faranno una fine peggiore di chi vi si oppone. L’ideologia è sempre stata feroce, soprattutto con i suoi sostenitori. La storia del secolo scorso ce lo conferma. Lei ha scritto che neanche Nietzsche sperava in una società come quella descritta nel suo Anticristo Superstar... A fine Ottocento, quando il filosofo tedesco scrive L’Anticristo, siamo in pieno Romanticismo decadente e le emozioni primeggiano su tutti gli aspetti sociali. Forse, consapevolmente o meno, era cosciente del fatto che una società senza etica è destinata all’estinzione.
.’ATILAUQ OTTUTTARPOS Ma davvero “Dio è morto”?
Diciamo che l’uomo si è distratto. Invece di pensare al senso della vita e guardare in alto, cerca di capire il senso della pancia e giù di lì.
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Allora, aspettiamo la fine del mondo, o possiamo ancora sperare?
ELATIGID ACIMARONAPDaOcome TRO stanno andando le cose in Europa, è più probabile una D3 NA C S A T Nguerra ED-civile. CASeT poi E la domanda si riferisce agli ultimi tempi profetizzati, al credente non
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fanno paura. Chi ha qualcosa da temere è l’ateo che, appena si sente vicino alla sofferenza e alla morte, si sente come un novello trapezista appeso nel vuoto.
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ANTALOGIA 4° VOLUME
BLUDENTAL Primo Piano
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Notizie
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L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi?
ITALIA
L’educazione sessuale appare come un totem: qualcosa di intoccabile, incriticabile, assolutamente buono e positivo. È veramente così?
PULIZIA DENTI
di Roberto Marchesini C’è una convinzione di fondo, piuttosto diffusa tra studiosi della psiche ed educatori e che pervade l’opinione pubblica, che si basa sul seguente sillogismo: “L’educazione sessuale è bene; opporsi alla diffusione dell’ideologia gender significa opporsi all’educazione sessuale; opporsi all’ideologia gender significa opporsi al bene”. Il professor Alberto Pellai, per esempio, è uno di questi illustri studiosi piuttosto critico nei confronti di quei movimenti che si oppongono al gender. Tempo fa, in un post su Facebook, il professore sosteneva che “Per bloccare il gender si blocca tutto ciò che si chiama educazione sessuale e affettiva. Invece è bene che gli adulti riflettano su un dato di fatto: il vero problema per i nostri figli è la diseducazione sessuale in cui crescono e la mancanza d’informazioni, educazioni e interventi preventivi che li aiutino a integrare la dimensione della sessualità in modo sano e sintonico con la loro identità, il loro percorso di crescita, il loro orientamento sessuale, i loro bisogni più profondi (non solo cognitivi, ma anche emotivi e affettivi)”.
Ora, la domanda è: la prima premessa del sillogismo, quella sulla quale tutto si regge, è vera? L’educazione sessuale dei ragazzi è bene? Sappiamo, ad esempio, che nei Paesi dove l’educazione sessuale è obbligatoria le malattie sessualmente trasmissibili sono sensibilmente più diffuse: basta leggere i rapporti dell’European Center for Desease Prevention and Control (ECDPC). Sappiamo che “i programmi che aumentano l’accesso alla contraccezione diminuiscono le gravidanze adolescenti nel breve periodo, ma aumentano le gravidanze adolescenti nel lungo periodo” (si veda, per esempio, lo studio Habit Persistence and Teen Sex: Could Increased Access to Contraception have Unintended Consequences for Teen Pregnancies? di Peter Arcidiacono, del Dipartimento di Economia della Duke University & NBER, Ahmed Khwaja della School of Management della Yale University e Lijing Ouyang, del Centers for Disease Control and Prevention); sappiamo anche che “non è emersa alcuna prova che interventi [di educazione sessuale] siano efficaci nel ritardare l’esperienza eterosessuale o ridurre le gravidanze, l’ubriachezza o l’uso di cannabis. Alcuni Per uso interno(si veda risultati suggeriscono un effetto contrario” per esempio lo studio di Meg Wiggins, dell’Unità di Ricerca sulle Scienze Sociali dell’Istitute of Education dell’Università di Londra, e Chris Bonell, della London School of Hygiene and Tropical Medicine, et al., pubblicato sul British Medical Journal).
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SOPRATTUTTO QUALITA’. VISITA DIAGNOSTICA ORTOPANORAMICA DIGITALE Dove l’educazione sessuale è obbligatoria le malattie DENTASCAN 3D E TACsessualmente trasmissibili e le gravidanze precoci sono sensibilmente più diffuse rispetto ad altri Paesi
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In questo modo il professor Pellai vorrebbe Ambulatori indurre una dissonanza cognitiva in chi si oppone al Tuscolana: gender: opponendosi al gender si fa del male Roma ai ragazzi perché “se uno dei problemi per i nostri Aut. Reg. n° B09791 del 28/12/2012 figli è la diseducazione sessuale in cui vivono Viale dei Consoli, 81 (e l’ipersessualizzazione in cui si trovano immersi Tel. 06.765532 ogni giorno per opera dei media e delle tecnologie), Cell.la +39 331.2426370 soluzione al problema in questo caso si dovrebbe chiamare “educazione affettiva e sessuale”.
Roma Balduina:
Aut. Com. ASL RM/E n°933/SISP del 06/02/2007
P.zza Carlo Mazzaresi, 30 Tel. 06.35497835 Cell. +39 392.9595552 Roma Marconi:
Sudio Dentistico Dott. Roberto D.Ciampaglia
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ANTALOGIA 4° VOLUME
György Lukács, ‘l’inventore’ dell’educazione sessuale
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14 N. 43 - LUGLIO 2016 Margaret Sanger, la fondatrice della International Planned Parenthood Federation
Non sembra poi così certo che l’educazione sessuale sia un bene per i ragazzi. Eppure appare come un totem: qualcosa di sacro, intoccabile, incriticabile, assolutamente buono e positivo. È così? Riflettiamo. Innanzitutto l’educazione sessuale è un prodotto culturale, un esempio di ‘costruzione sociale’ che i sostenitori del gender tanto odiano. Non è sempre esistita (eppure il mondo è arrivato fino a noi...). Quando è stata inventata e perché, con quali obiettivi? Il primo corso di educazione sessuale risale al 1919, nemmeno un secolo fa. Fu introdotto nel governo di Bela Kuhn durante il breve episodio della Repubblica Sovietica d’Ungheria dal ministro György Lukács. L’ambizioso programma di Lukács, denominato ‘terrore culturale’, era quello di sradicare dall’Ungheria sovietica la morale tradizionale (cioè cattolica), attraverso tre strumenti: la scuola, per intercettare ogni bambino; l’esclusione dei genitori, accusati di tramandare i modelli culturali tradizionali; e l’educazione sessuale. Questa consisteva principalmente nell’esposizione dei bambini a immagini e materiali pornografici, presentati in modo asettico e scientifico, senza alcuna valutazione di tipo morale o religiosa. L’esposizione precoce a materiale sessuale e l’assenza di ogni giudizio morale avrebbero indotto i bambini (cioè le future generazioni ungheresi) ad abbandonare i valori tradizionali. Il governo di Kuhn durò pochi mesi, e con esso terminò il primo progetto di educazione sessuale.
L’educazione sessuale, impartita da esperti (gli psichiatri) ai bambini al di fuori del controllo dei genitori, è il modo migliore per sradicare dai bambini ogni traccia di moralità L’idea fu però ripresa negli Stati Uniti dall’eugenetista e abortista Margareth Sanger, fondatrice della Planned Parenthood. La dottoressa Sanger era convinta che l’educazione sessuale nelle scuole fosse il modo migliore per diffondere la contraccezione e l’aborto negli Stati Uniti. I progetti della Sanger (molto impegnata anche su altri fronti) non produssero tuttavia molti risultati. Fu però Mary Calderone, direttore medico di Planned Parenthood, a diffondere capillarmente l’educazione sessuale negli Stati Uniti. Per dedicarsi a tempo pieno a questo scopo lasciò l’associazione fondata dalla Sanger e creò il SIECUS (Sex Information and Education Council of the United States), ancora oggi la più importante associazione per l’educazione sessuale negli Stati Uniti.
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Anche le più importanti organizzazioni sovranazionali s’impegnarono per diffondere l’educazione sessuale in tutto il mondo. Il primo presidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il medico canadese Brock Chisholm, era convinto che la guerra appena conclusa, come tutte le guerre, fossero la conseguenza della morale, ossia del concetto di bene e di male: “L’unico minimo comune denominatore di tutte le civiltà e l’unica forza psicologica capace di produrre queste perversioni [il senso di inferiorità, di colpa, la paura e, in ultima istanza, la guerra, ndR] è la moralità, il concetto di bene e di male [...] La re-interpretazione e alla fine lo sradicamento del concetto di bene e di male che è stato la base dell’educazione infantile, la sostituzione del pensiero intelligente e razionale al posto della fede nelle certezze degli adulti, questi sono gli obiettivi ultimi di ogni psicoterapia efficace […]. Se l’umanità deve essere liberata da questo fardello paralizzante del [concetto di] bene e male, sono gli psichiatri che se ne devono assumere la maggiore responsabilità. […] La cosa più importante al mondo oggi è l’educazione dei bambini”. Anche Chisholm, come già Lukács, vedeva nell’educazione sessuale, impartita da esperti (gli psichiatri) ai bambini al di fuori del controllo dei genitori, il modo migliore per sradicare dai bambini ogni traccia di moralità. Gli obiettivi originari dell’educazione sessuale (nata, lo ricordiamo di nuovo, meno di un secolo fa) sono lo sradicamento della morale, la diffusione di aborto e contraccezione e, infine, la creazione di un’umanità più docile al potere. Tutto questo attraverso una precoce sessualizzazione. Il paradosso è che il professor Pellai ha scritto un libro, Tutto troppo presto, nel quale prende posizione contro la precoce sessualizzazione dei ragazzi. Forse, anziché tentare di indurla negli altri, potrebbe provare lui stesso una certa dissonanza cognitiva nei confronti del gender e dell’educazione sessuale...
ANTALOGIA 4° VOLUME
IL RUOLO EDUCATIVO DELLA SCUOLA
Enzo Pennetta
La scomparsa dell’insegnante come ‘maestro’ e della famiglia come riferimento porta a una cultura omologante: l’allievo è un automa, solo, che apprende quanto preordinato dall’alto
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arlare della scuola oggi è parlare di qualcosa di così disomogeneo che sarebbe più opportuno parlare di “scuole”. Fatta questa debita premessa è possibile però individuare delle linee generali che attraversano il sistema scolastico, determinandolo nelle sue pur molteplici realtà. In modo impercettibile, da alcuni anni è in atto una tendenza allo spostamento dell’azione della scuola da una funzione educativa a una funzione formativotecnica; si tratta evidentemente di una trasformazione profonda che ha importanti ricadute sul tipo di società che si va a costruire. Da qualche tempo si sta infatti diffondendo l’idea che l’insegnante debba cambiare il suo ruolo passando dall’essere qualcuno che educa e trasmette conoscenze, all’essere qualcuno che riveste un ruolo di “facilitatore” delle stesse.
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Oggi, finché esisterà un’autonomia sull’applicazione di metodi e di modelli educativi, va difesa e tramandata la possibilità di svolgere un ruolo educativo
Com’è immediatamente evidente dalla semplice etimologia delle parole la funzione insegnante passerebbe dall’indicare gli obiettivi, a quella di rinunciare a questa funzione riducendosi ad aiutare lo studente nel conseguimento degli stessi. Scomparirebbe così la figura stessa dell’insegnanteeducatore per far posto a quella di un “tecnico” che funge da intermediario tra le specifiche caratteristiche del singolo studente e un sapere impersonale che diventa il vero interlocutore dello studente stesso. Dietro il proposito condivisibile di mettere lo studente al centro dell’opera educativa (ma perché finora per chi s’insegnava?), si fa passare l’eliminazione della figura del docente come “maestro”, cioè di colui che etimologicamente è il “più grande”, e in quanto tale è esempio da seguire. Nella scuola degli insegnanti “facilitatori” non c’è nessun esempio da seguire perché sono le proprie particolarità a diventare ciò cui la scuola deve adeguarsi e quindi seguire: sarà l’insegnante a seguire lo studente, e non viceversa.
PRIMO PIANO ANTALOGIA 4° VOLUME
Se nella scuola dei maestri si poteva correre il rischio di incontrare dei “cattivi maestri”, dai quali trarre un’esperienza di vita in ogni caso significativa, nella scuola dei “facilitatori” questo non avverrà più, ma non s’incontreranno neanche più dei buoni maestri. Il maestro prima di essere qualcuno che trasmette il sapere è qualcuno che trasmette un modo di essere. Questo ruolo è chiaramente reso dall’utilizzo del termine “maestro” nei Vangeli, dove la figura del Cristo più che essere identificata da quello che dice è un modello da seguire. Questa figura di docente ‘facilitatore’ non si è ancora affermata del tutto nelle nostre scuole, ma sapendo che tale è la tendenza possiamo capire quale dovrebbe progressivamente diventare il suo ruolo nel nostro sistema scolastico. Alcuni importanti indizi di uno spostamento della figura dell’insegnante verso un ruolo di facilitatore sono ravvisabili in una tendenza a un aumento del ricorso indiscriminato a personalizzazioni dello studio che avvengono per via di una dilatazione del numero e dei casi di situazioni specifiche che richiedono trattamenti, come BES (Bisogni educativi speciali), DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento) o ADHD (Disturbo da deficit di attenzione/ Iperattività). Si tratta di situazioni che certamente richiedono attenzione, ma che stanno dando luogo a un impiego – a detta di molti – eccessivo di personalizzazioni dello studio.
N° 44 - Settembre 2016
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L’effetto finale di questo spostamento è individuabile in un rischio di soggettivizzazione dell’apprendimento, che venendo incontro alle esigenze del singolo rischia di essere in qualche modo piegato a esse. Inoltre si va verso un’esaltazione di una cultura asettica e indiscutibile che viene proposta senza il filtro costituito dall’insegnante stesso, le cui considerazioni possono essere o no condivisibili ma che comunque rappresentano un esempio di pensiero critico.
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La scuola deve adeguarsi e seguire le particolarità dell’alunno: sarà l’insegnante a seguire lo studente e non viceversa?
A questo orientamento si va sovrapponendo una seconda tendenza costituita dall’individuare nella scuola una semplice fornitrice di competenze lavorative, anziché luogo di formazione della persona e dispensatrice di cultura. A togliere ogni dubbio al riguardo è stata il Ministro Giannini che nel corso di un’intervista del maggio 2016 ha dichiarato: «L’Italia paga un’impostazione eccessivamente teorica del sistema d’istruzione, legata alle nostre radici classiche. Sapere non significa necessariamente ‘saper fare’. Per formare persone altamente qualificate come il mercato richiede è necessario imprimere un’impronta più pratica all’istruzione italiana, svincolandola dai limiti che possono derivare da un’impostazione classica e troppo teorica». Riassumendo, la scuola sta subendo delle spinte in
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Settembre 2016 - N°44
direzione di un’omologazione ad altre realtà europee (e occidentali in generale) che vanno verso una progressiva perdita della funzione educativa tradizionale per orientarsi verso una forma di laboratorio di apprendimento di saperi preferibilmente orientati a un impiego pratico. Dal punto di vista della formazione si va assistendo, in definitiva, alla sottrazione della funzione educativa all’insegnante. Una tendenza che va di pari passo con quella che si va operando nei confronti della famiglia. La scomparsa dell’insegnante come “maestro” e della famiglia come riferimento, porta a una cultura omologante, in quanto il confronto resta tra il singolo allievo e le conoscenze/capacità da apprendere. Se la scuola come luogo educativo di formazione della persona andrà effettivamente perdendo terreno, il risultato saranno studenti cresciuti nell’omologazione alla cultura dominante e al tempo stesso accondiscendenti verso le proprie personali debolezze, purché esse non entrino in conflitto col sistema culturale proposto. Se l’attuale generazione di docenti lascerà il posto alla successiva senza mettere in discussione queste nuove tendenze, la rivoluzione della scuola – e con essa una rivoluzione antropologica – sarà compiuta. Oggi però la possibilità di svolgere un ruolo educativo è ancora possibile, e tale possibilità va difesa e tramandata finché esisterà un’autonomia sull’applicazione di metodi e modelli educativi. Per una scuola che continui a educare la persona, e non a omologarla acriticamente a dei saperi, è importante essere presenti a ogni livello come insegnanti, genitori e alunni. È in questo momento storico in cui la mutazione è in corso che si è chiamati più che mai ad avere il coraggio di essere dei veri maestri.
ANTALOGIAPRIMO 4° VOLUME PIANO
OBIEZIONE DI COSCIENZA, LIBERTÀ, DEMOCRAZIA
Renzo Puccetti
Il fatto che le leggi inique siano emanate democraticamente attesta la vastità dell’oscuramento morale di un popolo Come mai nessuno osa criticare il diritto all’obiezione di coscienza di chi si rifiuta di fare esperimenti sulle cavie di laboratorio?
#STOP
S
UTEROINAFFITTO
i chiama legge 1564 ed è stata appena firmata Se guardiamo la strategia del movimento abortista nel dal governatore dello Stato dell’Illinois, suo complesso, ci accorgiamo che la maschera liberale il repubblicano Bruce Raune. La norma obbliga ogni con cui si presentava quando chiedeva la legalizzazione medico obiettore di coscienza all’aborto, a indirizzare, – «Nessuno è obbligato a farlo, ma non si deve impedire trasferire, o fornire una lista di medici non obiettori ad altri di poterlo fare», dicevano, oggi è stata sostituita a ogni donna che voglia abortire. Si tratta di una legge dal suo autentico volto totalitario: «Qualsiasi sia il tuo talmente iniqua che provvedimenti analoghi introdotti in pensiero, la tua morale, il tuo credo religioso, se ti viene chiesto Texas, Baltimora, Maryland e New York sono già stati un aborto devi garantire l’aborto», è la posizione di oggi. ProVita lancia : unaL’aborto, grande campagna sensibilizzazione per bocciati nelle aule di#STOPuteroinaffitto tribunale americane. l’uccisione diretta edi volontaria di un essere umano fermare la compravendita dei bambini e lo sfruttamento delleindifeso, donne. totalmente inerme, la cui sola “colpa” addebitabile Aiutaci con una donazione, per realizzare questa campagna e agire legalmente contro In Italia abbiamo un esempio della stessa strategia nel è l’esistenza, è rivendicato, difeso e preteso come un le tentativo attuato in sede europea diche ottenere la condanna l’utero diritto umano “di agenzie di surrogazione promuovono in affitto in libertà”, Italia. la cui barbarie è celata sotto dell’Italia per non garantire con sufficiente ampiezza la coltre ipocrita della dissimulazione linguistica che lo l’accesso all’aborto, e aprire così allo sbarco nel nostro paese indica con l’espressione “diritti riproduttivi”. delle multinazionali della morte in utero. Voglio dirlo chiaramente, mi obbliga la verità e la conoscenza degli Ma quando questa supposta libertà incontra la libertà di aspetti tecnici che sottendono questo genere di processi: un’altra persona che dice «No, non voglio avere niente a quantunque diversi soggetti si siano adoperati per sventare che fare con questo abominio», ecco che improvvisamente questo attacco politico alla libertà di coscienza, se c’è questa libertà diventa intollerabile, inconcepibile, dunque IBAN I T 8 9 X 0 8 3 0 5 3 5 820 00000 0058640 una persona che è riuscita ad impedire la riuscita del sopprimibile, perché tale rifiuto nega l’assoluzione piano, se c’è un nome Conto da ringraziare, quella persona è derivante Corrente Postale n. dal1 consenso 0 1 8 4generale. 0 9 4 6E4ciò avviene in barba Assuntina Morresi. Questo non deve però fare abbassare al principio liberale che il filosofo John Stuart Mill intestati la guardia, né portare a fermarsi in una battaglia che a potrà “ProVita esprimeva Onlus” nella massima: «Su se stesso, sulla propria essere vinta solo quando la coscienza di ogni uomo e di mente e sul proprio corpo l’individuo è sovrano», ogni donna proverà orrore al solo pensiero dell’uccisione di rivendicato dagli abortisti per la loro scelta, ma negato un bambino nel ventre della madre. dagli stessi quando si tratta della scelta pro life.
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ANTALOGIA 4° VOLUME 12
n. 45 - Ottobre 2016
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La maschera liberale di chi chiedeva la legalizzazione dell’aborto è caduta: comunque la si pensi, lo di deve praticare o favorire
Osservando più attentamente ci accorgiamo che la natura del giudice è condannare il colpevole e assolvere l’innocente; la natura dell’ingegnere è costruire edifici stabili; e dunque la natura della madre è proteggere il figlio, così come la natura del medico è salvare la vita. Poiché la natura del soldato è combattere i nemici e non quella di trucidare inermi civili, fu possibile perseguire i criminali nazisti, quantunque autorizzati da precisi ordini dei superiori. La legge non è l’istanza suprema, ma uno strumento volto a servire un bene a essa superiore, la giustizia. Il giurista tedesco Richard Radbruch, se nel 1933 concordava che i giudici adottassero la massima «Gesetz ist Gesetz» («La Legge è Legge»), nel 1946 – dopo sei milioni di ebrei assassinati per ordine della suprema autorità germanica – affermava anche che «[…] quando nel porre il diritto positivo viene di proposito negata quell’uguaglianza che costituisce il nucleo della giustizia, allora la legge non è soltanto “diritto ingiusto”, piuttosto non è affatto diritto».
Pietro Perugino, Prudenza e Giustizia sopra sei savi antichi, 1496-1500
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Si viola il principio di uguaglianza sia quando si tratta in maniera uguale ciò che è disuguale, come nel “matrimonio” gay, sia quando si tratta in maniera disuguale ciò che è uguale, come quando si nega ad alcuni esseri umani il padre e la madre e ad altri esseri umani innocenti il diritto alla vita.
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La legge non è l’istanza suprema, ma uno strumento volto a servire un bene a essa superiore, la giustizia
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L’argomento invariabilmente sollevato da chi vuole conculcare la libertà di coscienza è ancora una volta una fattispecie considerata fallace dai propugnatori delle istanze libertarie in materia di aborto, eutanasia, nozze gay. Mi riferisco alla china scivolosa: «Se lo Stato ammette la libertà di coscienza per l’aborto, perché non dovrebbe ammettere la libertà di coscienza in qualsiasi altro campo? Cosa rimarrebbe dell’obbligo di rispettare la legge?». Questa prospettiva è il frutto iuspositivista di un ideologico scetticismo circa l’esistenza di una natura delle cose, del fine in essa racchiuso cui contrappone, con prometeica tracotanza, la presunzione del padrone che fa e disfa a proprio piacimento.
Queste leggi che violano in maniera così intollerabile il principio di uguaglianza costituiscono quel “diritto ingiusto” che la Chiesa – in continuità con Agostino, Tommaso, Giovanni Paolo II – ha definito “legge iniqua” e “corruzione della legge”, che generano «grave e preciso obbligo di opporsi a esse mediante obiezione di coscienza» (EV, 73).
Uno Stato che decide attraverso il proprio ordinamento di violare il principio di uguaglianza in maniera così plateale, quand’anche lo fa col consenso di una larga maggioranza dei propri cittadini, non è per questo meno tirannico. Il fatto che le leggi inique siano il distillato di un processo democratico non costituisce alcun merito, ma semmai attesta la vastità dell’oscuramento morale di un determinato popolo. La potenza di condizionamento e persuasione dei mezzi di comunicazione oggi disponibili rende più semplice traviare le coscienze, ribaltando la verità morale. Per la macchina del pensiero unico ogni voce dissonante costituisce quel granellino che minaccia di bloccare ingranaggi apparentemente infallibili. Mantenere integro il giudizio morale, conservare viva la capacità d’indignazione, allenare la volontà di resistere all’emarginazione e alla persecuzione è requisito irrinunciabile per conservare la natura di uomini liberi, per noi stessi e per i nostri figli.
ANTALOGIA 4°45 VOLUME Ottobre 2016 - n. 13
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Avviso a pag
DIFENDI LA
FAMIGLIA
E I TUOI FIGLI
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Alessandro Fiore, portavoce di ProVita, e Mario Agnelli, Il bene comune può essere realizzato solo attraverso la promozione senza compromessi della Vita portavoce dei Sindaci che hanno sollevato obiezione di coscienza alle unioni civili. e della Famiglia naturale fondata sul matrimonio. Notizie ProVita ha pubblicato un “Patto per la famiglia naturale” con il quale i candidati Sindaci nei capoluoghi di Provincia e i candidati Sindaci e Consiglieri nei capoluoghi di Regione si impegnano
a difendere la Famiglia, la Vita e Saudita, i bambini e a lavorare nell’interesse e per il maggior bene di tutto offrire servizi in Mauritania, Arabia Yemen, il popolo della realtà territoriale in cui sono candidati. Somalia, in altri paesi dove l’omosessualità può essere Vai sul sito www.notizieprovita.it per leggere il “Patto per la famiglia naturale” e conoscere i nomi dei candidati “nel nomeche di lo chihanno nonsottoscritto! può parlare” punita con la pena di morte, e in Nigeria, dove il WWW.NOTIZIEPROVITA.IT comportamento omosessuale può essere punito con la fustigazione, la prigione, o la morte per lapidazione. 12. Salesforce, una società di software, ha minacciato che avrebbe ridotto gli investimenti in Georgia. Ma Salesforce opera serenamente in India dove Human Rights Watch spiega che il codice penale ha rafforzato l’idea che la discriminazione e i maltrattamenti delle persone LGBT sono accettabili. 13. Apple Inc.: protesta negli USA, ma produce in Cina e vende nei Paesi Arabi. 14. National Basketball Association (NBA): è preoccupata per l’omofobia in USA, ma organizza manifestazioni sportive in Sud Africa, dove il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha scritto in una relazione della sua preoccupazione per il razzismo e la xenofobia. 15. Netflix, leader mondiale della TV via Internet, ‘è una società inclusiva’, dice. Ma offre i suoi servizi per esempio in Libia, la patria delle violazioni del dirittoUTERO internazionale. SPECIALE IN AFFITTO di donne e bambini tollerato dalla “società civile” 16. Sony: ha un ufficio inIl mercato Kazakhstan, dove Amnesty International segnala che si pratica la tortura e dove le libertà di espressione, associazione e riunione pacifica sono limitate. POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00
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Anno IV | Rivista Mensile N. 37 - Gennaio 2016
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Chi salva i bambini,
salva le madri Una testimone davvero eccezionale: Margherita Borsalino Garrone
Proposta di legalizzare l’eutanasia alla Camera
Molte grandi imprese si indignano per ‘l’omofobia’ dei governi federati (che riconoscono il diritto all’obiezione di coscienza), ma che fanno affari d’oro fuori dagli USA, in Paesi dove l’omosessualità è addirittura reato, passibile di condanna a morte
9. General Electric Co., si dà da fare in Arabia Saudita, un Paese che criminalizza il comportamento omosessuale (nel 2014, un uomo saudita è stato condannato a tre anni di carcere e 450 frustate: aveva usato Twitter per organizzare incontri con uomini). 10. The Coca-Cola Co.: nel 2006, gli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola sono stati accusati di interferire con i problemi di irrigazione nelle regioni dell’India e America Latina che soffrono per scarsità d’acqua. Più di recente, la Coca-Cola è stata accusata di rifornirsi di zucchero beneficiando di espropri non etici. Il sito della Coca-Cola, però, elenca la bio-diversità, la tutela dei diritti delle popolazioni locali, la sostenibilità come valori fondamentali (oltre che ‘l’inclusività’). Anche essa ha levato vibrata protesta contro le leggi omofobe della Georgia ecc. 11. PayPal addirittura è intervenuta nella polemica sulla legge per i bagni unisex. Ma PayPal continua a
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Gli attivisti LGBTQIA(...) pretendono che ognuno sia libero di andare nello spogliatoio o nel bagno ‘che si sente’: un uomo che apparentemente ha gli attributi da uomo, ma che ‘si sente donna’ dovrebbe poter andare nello spogliatoio (o nel bagno) delle donne
Insomma, sappiamo bene quanto sia faticoso, per tutte queste grandi imprese, barcamenarsi tra gli ideali e il portafoglio. Ma, alla fine, tutto sommato pare che conti di più il dio quattrino, non è vero?
www.notizieprovita.it “nel nome di chi non può parlare”
cuore
Anno V | Rivista Mensile N. 41 - Maggio 2016
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Anno V | Rivista Mensile N. 39 - Marzo 2016
POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00
“nel nome di chi non può parlare”
5. La Weinstein Co., un grande studio cinematografico, ha minacciato che non avrebbe mai più girato un film in Georgia, ma gira e produce Shanghai, in Cina; No Escape in Tailandia. 6. AMC Networks Inc., produttrice della fortunata serie The Walking Dead, lavora in Russia, Paese ‘omofobo’ per eccellenza. 7. Time Warner: non avrebbe lavorato mai più in Georgia, ma a Singapore sì (un altro Paese che vieta penalmente l’attività omosessuale, secondo l’ International LGBTI). 8. La Walt Disney Co.: e la sua controllata Marvel Entertainment sono ‘aziende inclusive’, ma continuano ad espandersi in Cina, dove tra l’altro investono 5.5 miliardi di dollari per un parco a tema a Shanghai.
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