ProVita Luglio/Agosto 2018

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Trento CDM Restituzione

Anno VII | Luglio / Agosto 2018 Rivista Mensile N. 65

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

Notizie

“Nel nome di chi non può parlare”

POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

S W E N E K FA O T R O B A ’ SULL IL CASO SEVESO

FAKE NEWS E DISINFORMAZIONE SULL’ABORTO

BISOGNA PROVARE, PER PARLARE

di GiULIANO GUZZO, p. 32

di FRANCESCA ROMANA POLEGGI, p. 25

di GIUSEPPE FORTUNA, p.16


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

EDITORIALE ARTICOLI La più grande campagna pro life di sempre!

Notizie

Anno VII | Luglio / Agosto 2018 Rivista mensile N. 65 Editore ProVita Onlus Sede legale: viale Manzoni, 28 C 00185, Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 377 4606227 Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica

3 4

Dillo a ProVita 6

Versi per la Vita Silvio Ghiemi

7

Grazie mamma, grazie papà

9

Amedeo Rossetti

Eugenetica ed eutanasia

12

Aldo Vitale

Bisogna provare, per parlare

“Venire alla luce”: dal concepimento alla nascita

Giulia Bovassi

Catia Colombi

Siamo umani, e per questo unici PRIMO PIANO Fake news e disinformazione sull’aborto

19 23

25

Francesca Romana Poleggi

Il caso Seveso

Tipografia

16

Giuseppe Fortuna

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Giuliano Guzzo

Quando vince la disinformazione: il referendum in Irlanda

Distribuzione

Hanno collaborato a questo numero: Marco Bertogna, Angelo Bottone, Giulia Bovassi, Catia Colombi, Giuseppe Fortuna, Silvio Ghielmi, Giuliano Guzzo, Francesca Romana Poleggi, Amedeo Rossetti, Aldo Vitale

36

Angelo Bottone

I bruchi e le farfalle, leggenda tailandese FILM: Avengers: Infinity War

40 42

Marco Bertogna

LETTURE PRO-LIFE

43

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32

36 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it

Toni Brandi

EDITORIALE

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Oggi si fa un gran parlare di fake news, di notizie fasulle. E ne parlano molto gli gnostici che, credendosi depositari della verità, si arrogano il diritto di censurare la libertà d’espressione altrui (come hanno fatto con i manifesti e i camion vela che dicevano la verità sull’aborto a Roma e altrove). Codesti censori sono gli esponenti di quella cultura della morte che da quarant’anni ha costruito la propaganda sull’aborto proprio su bugie gigantesche e omesse verità. In questo numero di Notizie ProVita, allora, vogliamo sfatare alcune delle più grosse fake news che circolano dagli anni Settanta a proposito dell’aborto. Ringraziamo, per il contributo determinante che ci hanno dato in proposito, il professor Giuseppe Noia e la dottoressa Marina Bellia che, insieme alla nostra Francesca Romana Poleggi, hanno inviato un articolo alla rivista scientifica internazionale Medic intitolato Fake news sull’aborto. È importante essere informati correttamente su certi temi: lo spauracchio delle fake news viene spesso utilizzato per mettere a tacere chi cerca di dire la verità (scomoda), mentre le notizie false vengono comunque divulgate, anche da fonti di informazione al di sopra di ogni sospetto oppure nell’ambito della stessa comunità scientifica. L’unico modo per difendersi dalla disinformazione è garantire al massimo la libertà di manifestazione del pensiero, perché solo nella libertà e nella pluralità delle fonti si può sviluppare il senso critico per confrontare e discernere il falso dal vero. E questo è ancora più importante nell’ambito scientifico, quando si tratta della salute e della vita delle persone.


La più grande campagna pro life di sempre! A fine maggio ProVita onlus, in collaborazione con diverse altre associazioni e singoli, ha invaso più di 500 Comuni, in 100 Province italiane, con camion vela e manifesti riportanti messaggi per la vita e per la maternità. Vi mostriamo alcune foto che ci sono giunte dalle città.



Dillo a ProVita

A

rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Privatamente rispondiamo a tutte, mentre qui ne pubblichiamo solamente alcune. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it. Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.

Spettabile Redazione, Romana Poleggi, dell’aprile in occasione della conferenza di Gabriele Kuby, con Francesca o che – pur giustamente – scorso a Verona, ascoltando le parole del delegato del Vescov non mi è tuttavia sembrato osservava che bisogna distinguere il peccato dal peccatore, ali problemi illustrati in che siano stati ben compresi e adeguatamente considerati i princip al giorno d’oggi siano in modo così eccellente dalla relatrice: ho la netta sensazione che della battaglia epocale che molti, anche certi esponenti della Chiesa, a non rendersi conto a. È sicuramente giusto, si sta conducendo contro la civiltà occidentale, soprattutto cristian a anche saper vedere e in generale, condannare il peccato e non il peccatore. Ma bisogn è il principale promotore e discernere con grande chiarezza quando il peccatore stesso ificazioni buonistiche, che diffusore del peccato, senza lasciarsi suggestionare da sempl autentici sentimenti cristiani. hanno più il sapore di slogan preconfezionati che di adesione ad con intelligenza diabolica, di Oggi il peccatore è spesso paladino convinto, purtroppo guidato fa dimenticare le durissime corruzione e sfacelo sociale. Un malinteso senso di misericordia di scandalo specialmente parole del Vangelo contro i corruttori, in particolare dei seminatori coloro che promuovono il nei confronti dei bambini: parole particolarmente indicate a il campo d’azione di molti di gender e la sessualizzazione precoce dei “piccoli”. Ma non solo: non ultimo quello della questi corruttori agisce con perversa efficacia nei più diversi ambiti, famiglia. cate da progetti potenti, e Viviamo purtroppo in un’epoca di menti accecate e intossi a renderci conto quando riccamente finanziati, di ingegneria sociale di cui forse arriveremo ormai sarà, se non lo è già, troppo tardi. one della nostra società Sempre più spesso mi torna alla mente, in parallelo alla situazi nell’Iliade, in cui dopo anni occidentale, l’episodio della conquista della città di Troia narrato inatteso e magnificente del e anni di assedio i Troiani hanno ceduto alle lusinghe del dono to della loro rovinosa celeberrimo cavallo, e hanno accolto danzando e cantando l’ogget distruzione. a alle vostre importanti Sperando di avere altre occasioni per poter partecipare di person uimento del vostro prezioso iniziative, vi invio i miei più cordiali saluti ed auguri di buon proseg lavoro.

Mario 6 N. 65


Versi per la Vita Silvio Ghielmi, classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Francesco Migliori, Mario Paolo Rocchi e Giuseppe Garrone [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa di Verità e Vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

GALLEGGIANTE

STABAT MATER

Il Grembo di una donna in Gravidanza è come un galleggiante in alto mare. Chissà che cosa mai può capitare? Dipende da improvvisa circostanza e decisione disinvolta e svelta. E, ben inteso, libertà di scelta.

Il pianto della Madre ci addolora. È condiviso da mancate madri il cui rimpianto tragico riaffiora nell’infimo ricordo di quei ladri che lor sottrassero il tenero germoglio.

Superfluo suscitare ogni domanda se basta allinearsi a Chi Comanda. ------Silvio 8 gennaio 2018

Un pianto condiviso nel cordoglio e ribellione per quel turpe inganno. Fu loro detto ch’era solo un grumo, un fastidioso piccolo frantumo. Ma loro, ora nel pianto, sanno, sanno che si trattava proprio di un bambino, anche se il loro è un pianto clandestino. ------Silvio 26 marzo 2018  7 N. 65


di Amedeo Rossetti

Grazie mamma, grazie papà

Non è poi così scontato oggigiorno testimoniare l’importanza nelle nostre vite della presenza di mamma e di papà, e soprattutto del loro esempio Per festeggiare il mio compleanno sono stato invitato a pranzo dai miei genitori; non che questo accada solo una volta all’anno, ma questa volta c’era la ricorrenza da festeggiare. Proprio durante il brindisi, mentre tutti levavano il calice in mio onore, ho pensato che in realtà sarebbe stato più giusto che fossi io a levarlo in onore di chi mi ha fatto nascere. Non solo per il dono della vita che mi è stato fatto ma per quanto mi hanno dato perché oggi potessi essere ciò che sono e come sono. Ed è proprio quello che sono che sta facendomi vivere la vita con gusto, pur nelle sue quotidiane difficoltà. Leggendo le cronache, in questi tempi, ci sarebbe solo da disperare. Violenza, nichilismo, vuoto totale nelle vite e nelle teste di tanti. I giovani, e anche diversi meno giovani, sembrano barche senza timoniere in balia delle onde. Le notizie che provengono dal mondo della scuola non sono confortanti: famiglie e genitori allarmati per il fatto che sempre maggiore percepiscono la 8 N. 65

tendenza a essere privati del loro diritto a educare i figli, però anche sempre più casi di giovani che mancano totalmente di rispetto verso gli insegnanti e sempre più cronache di genitori che aggrediscono gli stessi, rei di aver rimproverato i loro pupi. Molte volte mi chiedo come sarà con i miei figli, con il timore che possano anche loro diventare così. È a questo punto che mi vengono in mente papà e mamma, mio Papà e mia Mamma: quanto è stato importante ciò che mi hanno passato da giovane?


Dalle cose più importanti a quelle apparentemente più futili, il loro esempio mi è stato fondamentale. Non che da ragazzino fossi uno stinco di santo, anzi: probabilmente i miei genitori sono a conoscenza solo di una parte di quante ne ho combinate, tuttavia meglio evitare loro un infarto a posteriori. Con la visione più adulta e con il senno del poi posso però affermare che uno degli effetti dei loro insegnamenti è stato quello di mettermi, magari a livello inconscio, un limite oltre il quale non andavo mai. Molte volte ce la prendiamo con i giovani, svogliati, incapaci, privi di valori, aggressivi e senza rispetto: ma è veramente solo colpa loro? Cosa hanno ricevuto dai loro genitori, ammesso abbiano avuto la Grazia di avere una famiglia che non si è disfatta, lacerata e separata per motivi vari? Per tanti anni prendevo bonariamente in giro un amico cui volevo tantissimo bene perché anche in età adulta non era capace quasi nemmeno di battere un chiodo per appendere un quadro; davo quasi per scontato che fosse una cosa

logica saperlo fare, senza pensare però che io a casa avevo un papà da guardare e dal quale imparare, mentre a lui il papà è morto quando era piccolo. Da bambino ricordo una prozia anziana che stava male e ricordo di come i miei genitori l’avessero accudita e caritatevolmente seguita anche durante il suo ricovero, facendole costantemente visita; ero sorpreso, perché da bambino non si capisce sempre tutto, di come mia mamma lavasse le camicie da notte di questa prozia. Adesso che sono grande però capisco l’esempio che mi hanno dato: carità e cura di chi è ammalato, per garantirgli la

DA UN LATO LO STATO TENDE A ESPROPRIARE I GENITORI DEL DIRITTO DI EDUCARE I FIGLI. DALL’ALTRO MOLTI GENITORI NON SANNO DARE UN BUON ESEMPIO, NÉ SANNO METTERE DEI LIMITI AI FIGLI, CHE IMPEDISCANO LORO DI “USCIRE FUORI STRADA”

Le regole, i limiti non hanno lo scopo di opprimere e togliere la libertà: servono per non andare fuori strada

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I RAGAZZI MANCANO DI RISPETTO VERSO GLI INSEGNANTI: I GENITORI LI PICCHIANO (GLI INSEGNANTI!)

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dignità e l’amore fino alla fine. «Ricordati che ogni volta che ti fai la barba ti guardi negli occhi», mi ripeteva spesso mio padre ed è stata con questa frase che mi ha fatto capire il valore dell’onestà, l’importanza di agire sempre in maniera da non dover fare poi i conti con i rimorsi della propria coscienza. Sono concetti che sembrano scontati ma che oggi forse stiamo dimenticando. Camminando per strada si incontrano sempre più spesso genitori che si rivolgono ai propri bambini con parolacce o tenendo un atteggiamento non proprio da esempio sociale. Recentemente ha sollevato polemiche un intervento su un quotidiano nazionale in cui un giornalista ha scritto che il bullismo è un problema dei poveri, che sono bulli proprio perché poveri. In un certo senso ha ragione: questi bulli sono poveri di esempio, sono poveri di educazione, perché forse a casa non l’hanno mai ricevuta. Non è raro che certi genitori, oltre a non riuscire a dare sempre il buon esempio, abdichino a quel ruolo educativo che forse loro stessi non hanno mai imparato ad avere, delegando l’educazione

e l’intrattenimento dei figli alla televisione. E qui la frittata è completa. Le figure della mamma e del papà non sono degli stereotipi o dei concetti antropologici, ma sono una presenza fondamentale per la crescita di una persona. Non tralasciamo di testimoniare l’importanza nelle nostre vite della presenza di mamma e di papà: senza di loro non esisterebbe nessuno di noi.


molti di

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Eugenetica DIRITTO ed eutanasia di Aldo Vitale

Aldo V

E MORTE

Il nazionalsocialismo è stato interprete della mentalità eugenetica nata prima di lui e, proprio per questo, ancora perfettamente attiva e diffusa, anche in diversi ambienti accademici

un fatto giuridico divenire un atto dico mutando arbitrariamente «I processi dell’evoluzione sono genetiche»), dall’articolo erpretazione della sua stessa natura? attività costante e spontanea, 11 della Convenzione di

alcuni di questi sono negativi, Oviedo («Ogni forma di altri positivi. Il nostro ruolo è di discriminazione nei confronti di fare attenzione alle opportunità di una persona in ragione del suo intervenire per controllare i primi patrimonio genetico è vietata»), e diritto e la morte si trovano in rapporti e dare libero gioco ai secondi», implicitamente dall’articolo 14 molto stretti poiché la morte, come la scriveva l’antropologo inglese della Convenzione europea per nascita, èFrancis conosciuta in quanto Galtondal neldiritto 1869 nella i diritti dell’uomo, nella misura sua celebre opera to naturale, quindi di dal pertitolo sé extra- in cui vieta la discriminazione Hereditary nellagiuridicamente quale in base a qualunque altra idico, che tuttaviagenius, diviene esponeva esplicitamente l’idea condizione rispetto a quelle ante per la sua capacità di incidere sulla per cui è necessario e opportuno esplicitamente elencate («Il giuridicaimpadronirsi della persona e delle relazionigodimento dei diritti e delle e gestire i processi o-giuridiche che la sottendono. dell’evoluzione per selezionare le libertà riconosciuti nella presente ereditarie morte e ilmigliori diritto,caratteristiche inoltre, sono in strettaConvenzione deve essere assicurato dell’umanità, inaugurando così morte senza nessuna discriminazione, ione poiché da sempre al fenomeno formalmente la cosiddetta in particolare quelle fondate ricollegati istituti ed effetti giuridici di scienza “eugenetica”. sul sesso, la razza, il colore, la natura. Nonostante la prassi eugenetica lingua, la religione, le opinioni sia espressamente vietata politiche o quelle di altro genere, dall’articolo 21ha della Carta prestato l’origine nazionale o sociale, oche parole, il diritto sempre dei diritti fondamentali me attenzione al fenomeno della mortel’appartenenza a una minoranza dell’Unione Europea («È nazionale, la ricchezza, la nascita rio per l’alta incisività di questa nel mondo vietata qualsiasi forma di od ogni altra condizione»), è iritto, cioè delle relazioni intersoggettive discriminazione fondata, in cionondimeno ampiamente e come legami giuridici. particolare, sul sesso, la razza, diffusa sostanzialmente a ogni il colore della pelle o l’origine livello della ricerca e della bio- riguarda il momento di attestazione itto ha cioè sempre tentato di disciplinare quanto etnica o sociale, le caratteristiche medicina. bito dell’esistenza che ruota intorno alla legale dell’evento esiziale, per esempio

e, sia per quanto riguarda le sue cause, 12 N. 65 esempio, punendo l’omicidio, sia per

definendo i criteri di accertamento della morte, sia per quanto riguarda gli effetti che


Storicamente la prospettiva eugenetica si è servita di molteplici strumenti a sua disposizione offerti dal progresso tecnico e scientifico. Oggi, per le finalità eugenetiche, sia esplicite che implicite, si può agire fin dall’inizio della vita stessa e perfino prima di essa: infatti, le tecniche odierne consentono di selezionare gli ovociti geneticamente difettosi, o perfino gli stessi embrioni; si può inoltre, tramite la fecondazione eterologa, scegliere il “donatore” (venditore) che si ritiene geneticamente più idoneo per realizzare senza intoppi e problemi il proprio desiderio di genitorialità; infine, il bambino stesso può essere sottoposto a tutta una serie di esami in grado di individuare eventuali patologie, così da decidere se procedere all’aborto o meno per non mettere al mondo persone malate “che possono soffrire o far soffrire chi sta loro intorno”. La finalità eugenetica, tuttavia, può essere perseguita anche dopo la nascita, sopprimendo tutti quei soggetti che per varie patologie psichiche o fisiche costituiscono un problema per la famiglia, la società o l’economia di entrambe, come per esempio dimostrano con

estrema chiarezza i casi di Charlie Gard, Isaiah Haastrup e di Alfie Evans. Ecco allora che l’eutanasia diventa lo strumento principale per concedere la cosiddetta “gnadentodt”, cioè la “morte per grazia”, a tutti quei soggetti che vengono ritenuti indegni di continuare a vivere, ottenendo così un duplice risultato: eliminare direttamente la loro stessa sofferenza e indirettamente la sofferenza che la loro patologia ingenera negli altri; migliorare l’umanità evitando che determinate patologie possano continuare a perpetrarsi qualora i soggetti affetti da determinate patologie rimangano ancora a lungo in vita.

LE TECNICHE E LE LEGISLAZIONI ODIERNE CONSENTONO DI SELEZIONARE I GAMETI, GLI EMBRIONI, I BAMBINI PRIMA DELLA NASCITA E LE PERSONE (BAMBINI, ADULTI, ANZIANI) CHE CONDUCONO UNA VITA “NON DEGNA DI ESSERE VISSUTA”

Sir Francis Galton (1822-1911) 13 N. 65


Alcune clamorose pagine della recente storia europea testimoniano quanto fin qui esplicitato. La fusione tra alcune dimensioni teoriche, nella specie il nazionalsocialismo, e la scienza eugenetica ha consentito di utilizzare la pratica eutanasica per il raggiungimento di scopi eugenetici. L’obiettivo diviene circostanziato. Non si trattò più di migliorare l’umanità come intendevano Galton o Darwin, ma lo scopo divenne quello di migliorare una specifica razza o nazione, cioè la razza ariana che prevalentemente viveva in Germania. Sotto il nazionalsocialismo l’eutanasia diventò così lo strumento principale al servizio dell’idea che occorresse purificare il sangue tedesco non 14 N. 65

solo dalle ibridazioni di questo con le altre razze, ma anche e soprattutto dalle contaminazioni di soggetti inadeguati a causa delle loro stesse patologie. La malattia – fisica o mentale – diventò un criterio di individuazione della possibilità di essere giudicati idonei a vivere oppure no. Se in altre epoche o contesti l’umanità venne distinta in ricchi o poveri, nobili o popolani, borghesi o proletari, con il nazionalsocialismo venne distinta in sani o malati. L’eutanasia divenne quindi il cardine di questo sistema di selezione come ha riconosciuto, tra i tanti esempi citabili, lo storico Robert Jay Lifton: «Questo impegno in un’eugenica positiva – o nella lotta per le nascite, com’era chiamata talvolta

Alfie Evans, ennesima vittima dell’eugenetica di Stato


– fu inscindibile dall’eugenica negativa: la sterilizzazione e, infine, l’eutanasia […]. Si pensava che questo non fosse uccidere, ma mettere a dormire».

OGGI, COME AI TEMPI DEL NAZISMO, LA MALATTIA – FISICA O MENTALE – DIVENTA UN CRITERIO DI INDIVIDUAZIONE DELLA POSSIBILITÀ DI ESSERE GIUDICATI IDONEI A VIVERE, OPPURE NO

Tuttavia, occorre precisare che sebbene il nazionalsocialismo sia fortunatamente decaduto da tre quarti di secolo, è anche pur vero che esso è stato interprete della mentalità eugenetica nata prima di lui e, proprio per questo, ancora perfettamente attiva e diffusa, anche in ambienti accademici di ogni tipo (medico, sociale, economico, giuridico). In questa prospettiva tutti i soggetti ritenuti non idonei o non più funzionali risssto alle esigenze della società, per esempio i bambini, i malati, gli anziani, dovrebbero essere soppressi proprio per limitare le difficoltà – anche e soprattutto in termini economici – che essi rappresentano per la società medesima. Una visione di questo tipo non appartiene alle ingiallite e spesso insanguinate pagine di storia recente e meno recente, ma è ancora dominante nella società odierna e perfino saldamente radicata in alcuni ambienti accademici, come dimostra, tra i tanti esempi possibili in tal senso, il tentativo, già riuscito in alcuni Paesi come il Belgio

o l’Olanda, di legalizzare l’eutanasia per i pazienti con patologie psichiche non solo di una certa oggettiva gravità (autismo, schizofrenia, demenza, etc.), ma anche “soltanto” sofferenti di depressione. La suddetta tendenza, del resto, è in espansione, come si evince con chiarezza da quanto riportato dalla nota rivista Medscape dello scorso 11 marzo 2016, secondo cui in Canada è stata proposta la legalizzazione della morte assistita per i minori malati mentali. Tutto questo inevitabilmente in violazione del diritto, della deontologia medica e di tutti i principi etici e giuridici che da sempre reggono il tessuto sociale e morale della civiltà occidentale, irrimediabilmente giunta all’apice della sua crisi. In conclusione, non si può che convenire con le parole del noto commentatore Charles Lane del Washington Post, che il 19 ottobre 2016 ha scritto sul celebre quotidiano statunitense: «L’eutanasia delle persone con autismo, depressione, schizofrenia e demenza nei Paesi Bassi rappresenta una crisi morale globale per la psichiatria e per tutta la medicina, che non può più essere ignorata».

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di Giuseppe Fortuna

Bisogna provare, per parlare Una testimonianza di vita vissuta, di dolore, di forza, di speranza: come sarebbe andata se in quel momento fosse già stata in vigore la legge sulle Dat? Una delle obiezioni più frequentemente rivolte a chi viene definito “sostenitore della vita a tutti i costi” è la solita frase, figlia del relativismo moderno, che «bisogna provare per parlare». A parte il fatto che uno dei vantaggi dell’intelligenza umana è che non è necessario essersi ustionati per temere il fuoco, né avere un trascorso da brigatista per poter condannare un atto terroristico, ho deciso di portare una testimonianza personale da cui spero sia chiaro a tutti quanto certe leggi, come quella sulle Dat, siano pericolose e inumane. Nel 1999 mia madre si operò di tumore al seno e, come tante, sperava di aver risolto il problema. Purtroppo così non fu, e nel 2003 il tumore si ripresentò. In quei momenti diversi e contrapposti sentimenti attanagliano il paziente e la famiglia: delusione, scoraggiamento, paura, angoscia e un generale senso di confusione. Manca la forza 16 N. 65

anche solo per cercare una via d’uscita. Dopo lo smarrimento iniziale, come fanno in tanti, ci rivolgemmo a diversi centri, confrontammo le proposte terapeutiche, scegliemmo in base al rapporto di fiducia medico/paziente. Alla fine mia madre iniziò una lunga e faticosa cura, a base di chemioterapia, con le difficoltà che tutti, anche chi non ci è passato, può ben immaginare.

Quello che forse pochi comprendono, invece, è l’ansia determinata dal fatto che i risultati possano non essere quelli sperati. Non si vive più, come tutti, con prospettive a uno, due o dieci anni. L’intera famiglia vive con cadenze regolate dai periodici controlli trimestrali: Tac, scintigrafie, risonanze, Pet sostituiscono i compleanni, le feste, le ferie estive nella pianificazione della propria vita.


Dopo la prima Tac, in cui la malattia sembrava scomparsa, la felicità, seppur minacciata dalla diagnosi infausta, ci ha permesso di trascorrere un’estate serena. Ci siamo goduti quelle ferie come se fossero le ultime. E c’era una concreta possibilità che per mia madre lo fossero. A settembre un altro controllo e la delusione: il cancro era tornato, nonostante un anno di terapie, appena due mesi dopo i festeggiamenti. Ricordo ancora il giorno in cui andammo a ritirare il referto. Avevo 24 anni, ero ormai adulto, ma, di fronte alla possibilità di perdere mia madre di lì a poco, non ebbi la forza necessaria per trattenere le lacrime; e così, come a volte accade, finì che a consolarmi fosse lei. Quando portammo il referto all’oncologo avevamo entrambi gli occhi lucidi. Non ci aspettavamo altro che un laconico: «Purtroppo la malattia è aggressiva» oppure «Abbiamo fatto il possibile». Eravamo quasi curiosi di sentire come il medico ci avrebbe presentato l’inevitabile futuro. Invece, con nostra sorpresa, l’oncologo ci propose di continuare la terapia. Io, pur stremato dall’ansia e dal risultato della Tac, riacquistai un briciolo di speranza.

Mia madre, invece, visse quella risposta come una sorta di ingiustificato accanimento verso di lei. Era stanca, spossata dalla terapia, ma soprattutto vedeva la sua vita ormai conclusa. Era arrabbiata verso il mondo intero, una rabbia dovuta all’impossibilità di combattere quel male e all’impotenza dimostrata dalle armi che avevamo usato. E così si oppose, quasi irrise alla proposta del medico: «Non posso mica continuare a fare terapia per sempre…», disse, tra paura e sdegno. Ma l’oncologo, che sicuramente di risposte simili ne aveva già ricevute parecchie, piuttosto che indignarsi e ribattere, commentò con una

QUANDO UNA PERSONA CARA È MALATA DI TUMORE NON SI VIVE PIÙ, COME TUTTI, CON PROSPETTIVE A UNO, DUE O DIECI ANNI. L’INTERA FAMIGLIA VIVE CON CADENZE REGOLATE DAI PERIODICI CONTROLLI TRIMESTRALI: TAC, SCINTIGRAFIE, RISONANZE, PET, SOSTITUISCONO I COMPLEANNI, LE FESTE, LE FERIE ESTIVE, NELLA PIANIFICAZIONE DELLA PROPRIA VITA

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domanda: «Signora, e qual è l’alternativa?». Quella domanda retorica non lasciava spazio a seconde scelte. Al sospiro di risposta seguì solo un: «Ma non ci pensi nemmeno per sogno!». Oggi mia madre non c’è più. Ma dopo quel giorno è vissuta per altri dieci anni. Dieci anni di lotte, di ansie, di terapie e di sofferenze, fisiche ma soprattutto psichiche. Ma anche dieci anni di amore, di condivisione, di felicità. Insomma, dieci anni di vita: una vita come tante altre, anche se probabilmente difficile da gestire, cadenzata dall’ansia dei controlli periodici, ma anche dalle piccole gioie di ogni giorno. La risposta di quell’oncologo è durata nella nostra mente per dieci lunghi anni, nel corso dei quali a nessuno è mai più venuto in mente di demordere, finché la malattia non ha preso

AVEVO 24 ANNI, ERO ORMAI ADULTO, MA, DI FRONTE ALLA POSSIBILITÀ DI PERDERE MIA MADRE DI LÌ A POCO, NON EBBI LA FORZA NECESSARIA PER TRATTENERE LE LACRIME; E COSÌ, COME A VOLTE ACCADE, FINÌ CHE A CONSOLARMI FOSSE LEI

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definitivamente il sopravvento. Nell’ultimo anno di vita mia madre non parlava e non camminava, non mangiava da sola, comunicava solo con gli occhi. Tre giorni prima di lasciarci, ricordo il tragitto fatto in auto dall’ospedale a casa: fissava in silenzio la gente che passava. Non so cosa pensasse, ma a un certo punto notai che il suo sguardo si fermò su un negozio, nel quale avrebbe voluto comprare tempo prima un regalo per mia sorella. Non fece in tempo. Ma da quello sguardo capii per certo che tre giorni prima di morire, e nonostante la sua condizione, mia madre aveva ancora un obiettivo, vissuto di certo in un modo che noi non possiamo comprendere dall’esterno, ma che proprio per questo motivo dovremmo rispettare e non giudicare frettolosamente secondo i nostri

canoni, appioppando aggettivi denigranti alla vita di altri esseri umani (come nel caso della vita di Alfie, definita «inutile» dal giudice). Spesso ripenso a quei dieci anni e, quando lo faccio, non posso che chiedermi cosa sarebbe successo se quel giorno l’oncologo, anziché rispondere «Signora, qual è l’alternativa?», cioè con quella che dovrebbe essere un’ovvia considerazione dettata dall’umanità e dall’empatia che ogni medico, anzi ogni persona, dovrebbe avere per un sofferente, avesse seguito la “best practice” dettata dalle leggi mortifere che si stanno imponendo, a partire dalle Dat: «Non vuole proseguire? Va bene, signora, allora faccia solo una firma qui».


di Giulia Bovassi

“Venire alla luce”:

dal concepimento alla nascita Una mostra, a Padova, capace in poche battute di far tornare ai visitatori il piacere della meraviglia, lo stupore del mistero, dell’incommensurabile

UN CONNUBIO AFFASCINANTE FRA L’INTELLIGENZA UMANA, CAPACE DI COOPERARE CON LA NATURA, E LA REALTÀ COMUNE A CIASCUNO DI NOI: ESSERE FIGLI

La cornice quattrocentesca, sede storica dell’ospedale di San Francesco il Grande, primo ospedale padovano, luogo di scienza, progresso, innovazione e cultura, dal 2015 costituisce un edificio a ricordo dell’arte medica nella sua evoluzione. La fondazione Musme (Museo della Storia della Medicina di Padova), dallo scorso 6 dicembre 2017 fino al 10 giugno 2018, ha dedicato una sezione straordinaria per attraversare le «radici storiche della clinica ostetricia e della ginecologia padovana», ripercorrendo la narrazione della vita dal concepimento al parto, in una mostra capace in poche battute di far tornare il piacere della meraviglia ai visitatori; lo stupore del mistero, dell’incommensurabile. Quanto presentato dal tema “Venire alla luce”: dal concepimento alla nascita per alcuni sguardi può essere un banale quantitativo cospicuo di modelli anatomici didattici,

qui presenti con 29 cere e 13 riproposizioni in terracotta, raffiguranti, a grandezza naturale, le varie condizioni del concepito sia dal punto di vista patologico, sia fisiologico, l’apparato riproduttore femminile, la circolazione fetale, tappe cronologiche della gravidanza e del parto, infine una raccolta di strumenti chirurgici settecenteschi, tra i quali vari tipi di forcipe, «ossa di bacini femminili viziati in seguito a parti traumatici», insieme ad altri siti formativi dai quali apprendere nozioni sulle tecniche ostetriche per collaborare con la gestante e il bambino all’evento della nascita usate tipicamente nei secoli XIX e XX.

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Sostanzialmente un connubio affascinante fra l’intelligenza umana capace di cooperare con la natura e la realtà comune a ciascuno di noi: essere figli, identità trasversale, oltre ogni determinazione culturale, geografica, sociale, etica; chiaro principio di accoglienza per un dono di cui aver cura. Il progetto asseconda il cammino della vita a partire dal concepimento, raffigurato con una gigantografia, apposta all’inizio della sezione, dell’incontro fra gamete maschile e gamete femminile, soffermandosi sui vari momenti della crescita intrauterina di un individuo geneticamente organizzato, rispondente ai principi epigenetici di gradualità, continuità e coordinazione, fino alla nascita, spiegata attraverso schede descrittive attente a precisare quali cambiamenti interessano in modo specifico sia il bambino che la madre dal primo al terzo trimestre, 20 N. 65

l’interazione armonica di due esistenze. Per chi poi si fosse avvicinato all’esposizione sospinto da pregresse convinzioni scientificamente infondate secondo le quali si giustifica la soppressione intrauterina del concepito poiché non ancora essere umano secondo parametri cronologici arbitrari di datazione della personeità, con una certa onestà intellettuale si sarà decisamente reso conto della contraddittorietà insita in posizioni ideologiche, annesse a compromessi socio-culturali, politici ed economici. Ideologia che ignora quanto la scienza ha potuto trarre dalla nostra natura, che infatti ricalca il perché dell’età gestazionale calcolata dal concepimento e non da quando ciascuno soggettivamente desidera considerare la creatura nel grembo materno un figlio.

Sostanzialmente, senza che vi fosse alcuna presa di posizione dichiaratamente contraria o favorevole alla vita nella struttura creativa della mostra, quell’insistente rimando al fenomeno della nascita come simultaneamente inizio e fine di una fase esistenziale, giunge consequenzialmente all’equiparazione totale, ontologica, fra prima e dopo l’evento del parto. Sembra assurdo dover far riferimento a un convinto abortista antispecista, come Peter Singer, ma egli stesso in alcune sue aberranti interviste, ha dichiarato con serenità che non accade niente di straordinario alla nascita, ovvero colui che si incontra fuori dal grembo


materno è lo stesso uomo che nove mesi prima vedeva fondersi il citoplasma delle due cellule germinali in un nuovo organismo della specie umana; lo stesso che già il giorno successivo alla fecondazione aveva fatto sapere alla madre di essere presente (EPF, Early Pregnancy Factor), lo stesso che alla quinta settimana di gestazione, di dimensioni inferiori a un centimetro, vede già predisposta la formazione primordiale del cuore, dei polmoni, del cervello, etc. Secoli di progresso a sfatare teorizzazioni infondate, secondo le quali l’unico interesse è limitatamente da intendersi la disponibilità della donna sul possesso del suo corpo, ignorando di fatto

che i corpi, le persone, sono due e in relazione, motivo per cui «quando una madre perde suo figlio non piange per l’interruzione di gravidanza, piange suo figlio», usando l’espressione del giurista Mario Palmaro, fedele servitore della vita. Se così non fosse, la scienza sbaglierebbe a parlare di sindrome post-aborto, di elaborazione del lutto già per aborti spontanei di embrioni di grandezza pari a sette millimetri, di suicidio connesso con l’evento abortivo. È nutrita di distorsioni antropologiche una negazione così lesiva: di che uomo si potrà ancora parlare? Spesso si sente parlare dell’utero come di un microcosmo, la casa primordiale nella quale conosciamo nostra madre e

L’INGANNO È PENSARE IL MISTERO DELL’UOMO SECONDO CIÒ CHE PUÒ DIVENTARE E NON GIÀ SECONDO CIÒ CHE EGLI È

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SECOLI DI PROGRESSO A SFATARE TEORIZZAZIONI INFONDATE SECONDO LE QUALI L’UNICO INTERESSE È LIMITATAMENTE DA INTENDERSI LA DISPONIBILITÀ DELLA DONNA SUL POSSESSO DEL SUO CORPO, IGNORANDO DI FATTO CHE I CORPI, LE PERSONE, SONO DUE E IN RELAZIONE

ci facciamo conoscere da lei, due individui comunicanti, autonomi, unici e irripetibili, la cui origine per entrambi ha il suo inizio allo stadio di zigote, prima cellula totipotente, incarnazione dell’eterogeneo materno e paterno posto in relazione poiché tanto la madre, quanto il figlio che porta in grembo sono stati ciò che già erano, ciò che ora sono. L’inganno è pensare il mistero dell’uomo secondo ciò che può diventare e non già secondo ciò che egli è. La menzogna crea un divario gerarchico indebito fra simili disposti in atteggiamenti di radicale discriminazione quando si conferisce a parte di essi il diritto di dare alla vita di un individuo dignità e valore secondo criteri qualitativi, come se i diritti inalienabili fossero una concessione. Simili prese di posizioni 22 N. 65

antiscientifiche lavorano per un’etica della disuguaglianza, figlia della secolarizzazione, frutto di una considerazione nichilistica dell’uomo, convertito in prodotto fra i prodotti mondiali, normalizzando l’anormale, idolatrando la pretesa sul desiderio e sull’arbitrarietà, in qualità di libertà privata della responsabilità, ovvero autarchia. Diceva Karl Marx che «l’ideologia è la giustificazione teorica di un interesse pratico: essa maschera con argomentazioni speciose la difesa di vantaggi personali e sociali», unica giustificazione capace, nell’epoca post-moderna, di paventare integrità opponendosi perfino alla fondata evidenza scientifica sulle nostre origini, dalle quali noi diamo e siamo vita.


Siamo umani, e per questo unici

di Catia Colombi

Il ricordo di una delicata amicizia con un anziano, che apre a riflessioni sulla nostra umanità Per il lavoro che faccio, sono la responsabile di alcune comunità per anziani, incontro persone sul tramonto della loro vita e nella mia memoria ci sono tantissimi ricordi fatti di sorrisi, lacrime e storie… sì, storie di vita che non dimenticherò. Non è facile accettare di aver bisogno di altri per svolgere le attività quotidiane, anche quelle più semplici, non è facile accettare di lasciare la propria casa, non è facile accettare di condividere con estranei ambienti di vita comuni, non è facile accettare la sofferenza e la propria fragilità, o in certi casi la malattia, spesso si è smarriti e scoraggiati. Ci si sente persi e finiti. Ecco allora che diventa fondamentale riuscire a scalfire quel guscio fatto di paure, delusioni, sofferenze, stanchezze e rassegnazione con un sorriso, con una parola dolce, con una carezza, e allora anche gli occhi più spenti ritornano piano piano a illuminarsi. Ricordo, tra tanti volti, quello di un signore molto anziano che aveva perso da alcuni anni la

moglie e, avendo figli lontani, era entrato a malincuore in una casa di riposo (allora ne ero la coordinatrice). Aveva lasciato la sua casa, i suoi ricordi, i suoi fiori e il suo paese e da alcuni mesi aveva perso la voglia di vivere, isolandosi in se stesso. Io ero arrivata lì da poco e mi colpì subito il suo silenzioso e riservato passeggiare nel giardino: era molto riservato, quasi schivo, seppur sempre gentile. Piano piano mi avvicinai e con molta delicatezza gli proposi di aiutarmi in un progetto di raccolte di storie di vita e, in maniera dolce ma anche audace, lo invitai a partecipare. Pensavo rifiutasse invece, rimasi stupita, accettò. Così iniziammo a

NON È FACILE ACCETTARE DI AVER BISOGNO DI ALTRI PER SVOLGERE LE ATTIVITÀ QUOTIDIANE, ANCHE QUELLE PIÙ SEMPLICI

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vederci un’oretta quasi ogni giorno nella biblioteca della struttura. Erano momenti molto belli: io ascoltavo prendendo appunti e lui raccontava della sua giovinezza, della guerra, della sua adorata moglie, in quelle parole c’era tutta la sua vita. Mentre parlava gli brillavano gli occhi, a volte si commuoveva, a volte rideva; era tornato a vivere. Trovava di nuovo interesse per la vita. Le sue confidenze, i suoi racconti erano un tesoro prezioso che metteva nelle mie mani e per me era un onore custodirlo. Nacque una bella e delicata amicizia che porterò sempre nel cuore. Il raccontarsi e il venire ascoltato avevano dato di nuovo senso alle sue giornate. I ricordi avevano suscitato emozioni ormai nascoste da tempo e quasi dimenticate, che ora invece riprendevano vita, non erano più frammenti malinconici di un tempo lontano, ma sapori, profumi, emozioni che coloravano il quotidiano. Condivideva con qualcuno il ricordo del suo passato e non sentiva più il vuoto della solitudine. I ricordi non erano più solo rimuginati dentro di sé, ma venivano raccontati, ascoltati e condivisi con un’altra persona, creando un legame empatico che suscitava nuove emozioni. In questa esperienza capii quanto è importante fermarsi 24 N. 65

CIÒ CHE CI ACCOMUNA TUTTI È IL BISOGNO DI AMARE E DI SENTIRCI AMATI

e dedicare tempo ad ascoltare e di quanto ne abbiamo tutti bisogno. Penso che, a qualsiasi età e in qualsiasi situazione, la vita sia un miracolo, un dono di nostro Signore che va amato e difeso. Ciò che veramente conta e resta della vita è solo l’amore, senza amore ci si spegne. Non saremo certo ricordati per quello che abbiamo ma per l’amore che abbiamo saputo donare. Non importa quanta vita,

qui, su questa terra, il Signore ci concede. L’importante è imparare ad amare e ringraziare per ogni attimo e condividere con i nostri fratelli le gioie, le sofferenze, le difficoltà e le paure. In fondo ciò che ci accomuna tutti è il bisogno di amare e di sentirci amati: è proprio questa nostra umanità che ci rende così fragili, ma per questo così unici.


di Francesca Romana Poleggi

FAKE NEWS

E DISINFORMAZIONE SULL’ ABORTO Sistematicamente la propaganda abortista, da più di 40 anni, propala menzogne per legittimare moralmente, prima che legalmente, la soppressione della vita nel grembo materno, con grave detrimento anche per la salute della madre. Per confutare alcune di queste fake news, con il professore Giuseppe Noia (direttore dell’Hospice Perinatale - Centro per le Cure Palliative Prenatali Policlinico Gemelli di Roma e presidente dell’Aigoc) e la dottoressa Marina Bellia (European Biologist del Gruppo Ricerca Biomedi@ presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum) abbiamo inviato alla rivista scientifica internazionale del Campus Biomedico Medic un corposo articolo intitolato Fake news e aborto, che sarà pubblicato nel 2019. Ad esso rimandiamo i Lettori che vorranno approfondire i temi che qui vengono accennati.

Nell’era di internet girano notizie di ogni tipo, anche tante bugie e mezze verità. Per difendersi da esse occorre spirito critico e senso di responsabilità. A livello nazionale ed europeo c’è chi vorrebbe istituire una sorta di “Ministero della Verità”, di orwelliana memoria. Invece, fa notare giustamente il Garante per la privacy, Antonello Soro, nella sua ultima relazione annuale: «in democrazia l’esattezza non è conseguibile altrimenti che con il pluralismo dialettico»

ed «è illusorio pensare che possano esistere nuove autorità od organi certificatori della verità». Le fake news vanno contrastate con l’educazione al pensiero

critico, con la sistematica verifica delle fonti, con il senso di responsabilità di chi opera in internet e nel settore dell’informazione.

«Il ministero della Verità (Miniver) era un’enorme struttura piramidale, di cemento bianco abbagliante, che saliva, terrazza dopo terrazza, per trecento metri su nel cielo. Da dove stava Winston era possibile leggere, impressi sulla sua facciata bianca con caratteri eleganti, i tre slogan del Partito: “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”» (G. Orwell, 1984). Primo piano

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Purtroppo, poi, le notizie false, falsate o le reticenze colpevoli vengono veicolate anche dai grandi mass media e dalla letteratura ufficiale. Un esempio recente ed eclatante – teso a colpire e ad annichilire il diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario – è la favola della donna veneta che ha cercato di abortire in 23 ospedali, prima di riuscirci: la Cgil la ha assistita nella denuncia. La bugia è stata pubblicata anche da grandi quotidiani, come Il Corriere della Sera, ma poi la magistratura ha accertato che era tutta una bugia e che l’aborto si è svolto nei limiti di tempo previsti. Il Corriere, però, ha pubblicato la notizia sulla prima pagina dell’edizione nazionale; due volte, la smentita solo sull’edizione regionale veneta. Le smentite – magari facili – spesso non ottengono la stessa risonanza mediatica dei falsi, soprattutto quando entra in ballo l’ideologia. Sistematicamente, infatti, da più di quarant’anni la propaganda abortista usa le menzogne per legittimare moralmente, prima che legalmente, la soppressione dell’essere umano nel grembo materno, con grave detrimento anche per la salute della madre. E purtroppo ne soffre anche la comunità scientifica: il dato reale, il dato scientifico, cede dinanzi a impostazioni ideologiche preconcette, con 26 N. 65

grave detrimento per la salute delle persone e per il benessere della collettività. Vediamo alcuni esempi. L’embrione è solo un “grumo di cellule”? I nostri Lettori sono bene informati: in diverse occasioni abbiamo illustrato le evidenze sull’umanità del bambino in grembo, sin dal momento del concepimento. Invece, ancora nel 2005, in occasione del referendum sulla legge 40/2004, i genetisti Edoardo Boncinelli e Antonino Forabosco – firmatari del documento «Ricerca e Salute», sottoscritto da più di 120 scienziati italiani tra embriologi, genetisti e biologi, tra i quali Rita Levi Montalcini, Umberto Veronesi, Renato Dulbecco, Lucio Luzzatto, Andrea Ballabio, Giulio Cossu, Alberto Piazza, e Carlo Alberto Redi – sostenevano che l’embrione è un insieme di cellule, e non un individuo: «L’evidenza scientifica è che l’embrione, un insieme di cellule, non è ancora un individuo», scrivevano i giornali (per esempio, l’8 maggio 2005, Il Piccolo di Trieste, nell’articolo La voce dei genetisti: «Un grumo di cellule non è un embrione»). Non vogliamo rischiare di annoiare, non ripeteremo in questa sede tutte le evidenze circa l’umanità del concepito. Ricordiamo solo che lo

«È ILLUSORIO PENSARE CHE POSSANO ESISTERE NUOVE AUTORITÀ OD ORGANI CERTIFICATORI DELLA VERITÀ» PER DIFENDERCI DALLE FAKE NEWS

zigote si sviluppa attraverso la fase embrionale e fetale e poi attraverso l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta e la “terza età” senza soluzione di continuità. L’embrione unicellulare (lo zigote) è giustamente definito dal British Medical Journal, nell’editoriale del novembre del 2000, come un soggetto autonomo, «un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro». La “neolingua”, invece, da più di quarant’anni ha provveduto a cancellare parole come “bambino” e “figlio” sostituendole con “materiale abortivo”, “prodotto del concepimento”, o al massimo con aridi termini scientifici come “feto”. È ora di rimettere al centro il bambino. Perché se non si riconosce l’umanità del concepito, qualsiasi riflessione sull’aborto – che uccide un bambino, appunto – viene falsata. Primo piano


LE NOTIZIE FALSE INTORNO ALL’ABORTO VENGONO ANCHE FACILMENTE SMENTITE, MA LE SMENTITE NON OTTENGONO MAI LA STESSA RISONANZA MEDIATICA

L’aborto è espressione della libera scelta della donna? Anche se l’aborto fosse un vero atto di autodeterminazione, l’umanità del concepito pone – a una mente razionale e priva di preconcetti – un problema insormontabile: non è più una auto-determinazione della madre il disporre a piacimento della vita del figlio. È un regresso di civiltà di 2000 anni: nell’antica Roma vigeva lo ius vitae ac necis del pater familias. A parte questo, però, bisogna rimarcare che non è vero che l’aborto è frutto di una “libera scelta” della donna. Nella maggior parte dei casi la donna è costretta dalle circostanze o dalle persone che ha intorno (a cominciare dal padre del concepito): tutte le indagini statistiche lo confermano. Su questa Rivista ne abbiamo parlato in diverse occasioni, quando abbiamo pubblicato, grazie al contributo della Primo piano

Comunità Papa Giovanni XXIII, una serie di testimonianze di donne costrette a “scegliere” per l’aborto.

Ma la cosa più tragica è che le istituzioni, da quarant’anni, offrono alle donne incinte in difficoltà – come unica soluzione – l’aborto: solo il volontariato prospetta davvero delle alternative. La società ne risulta totalmente deresponsabilizzata: la donna che abortisce si ritrova con le stesse difficoltà economiche o sociali che aveva prima e in più madre di un figlio morto per causa sua.

Indesiderate, di Andrea Mazzi, è un libro che raccoglie le testimonianze di donne costrette ad abortire. Basta questo per sfatare il mito dell’aborto come “libera scelta”. 27 N. 65


Gli obiettori di coscienza impediscono alle donne di esercitare un loro “diritto”? L’obiezione di coscienza è sotto attacco. All’estero, in diversi Paesi sedicenti democratici come quelli del nord Europa o il Canada, il diritto di non uccidere viene fortemente limitato, se non escluso del tutto. Qui in Italia ripetono a ogni piè sospinto che l’alta percentuale di medici obiettori impedisce alle donne di esercitare la loro “libera scelta”. Invece, la tabella riportata a p. 51 della più recente Relazione ministeriale sull’attuazione della legge 194 (dicembre 2017), dimostra che non è affatto vero.

I ginecologi obiettori sono più del 70% del totale e i cattolici praticanti sono forse il 20% della popolazione: possibile che la percentuale di cattolici tra i ginecologi sia tanto più alta della media nazionale? Non sarà forse la ragione naturale a impedire a un medico di uccidere le persone? Rimandiamo alla suddetta Relazione ministeriale per altri dati: il carico di lavoro dei medici non obiettori è davvero irrisorio. L’11% del personale non obiettore, a livello nazionale, non è assegnato a servizi relativi all’aborto. Ciò vuol dire che i medici non obiettori sono più che sufficienti rispetto alla richiesta di aborti che c’è. Ricordiamo infine che l’Italia non è mai stata “condannata

dall’Europa” – altra bugia ricorrente – a proposito di obiezione di coscienza. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si è espresso definitivamente lo scorso luglio dopo due reclami (della Ippf-En e della Cgil), riguardanti aborto e obiezione di coscienza, dando ragione agli obiettori.

L’EMBRIONE NON È UN “GRUMO DI CELLULE”, BENSÌ «È UN ATTIVO DIRETTORE D’ORCHESTRA DEL SUO IMPIANTO E DEL SUO DESTINO FUTURO»

«Il numero dei non obiettori a livello regionale sembra congruo rispetto al numero delle IVG effettuate e il numero di obiettori di coscienza non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività, oltre le IVG. Quindi gli eventuali problemi nell’accesso al percorso IVG potrebbero essere riconducibili a una inadeguata organizzazione territoriale» (Rel. Min., cit., p. 51) 28 N. 65

Primo piano


20.000 donne morte ogni anno per aborto clandestino? Sull’aborto clandestino le menzogne enormi rientrano in una strategia ben precisa, rivelata da un abortista pentito, il dottor Bernard Nathanson. Co-fondatore della National Abortion Rights Action League, dopo la sua conversione rivelò che avevano deciso a tavolino di mentire spudoratamente, negli Stati Uniti, per ottenere la legalizzazione dell’aborto nel 1973: inventarono di sana pianta «un milione di aborti clandestini l’anno» e le «centinaia di migliaia» di donne morte in conseguenza ad esso. In Italia, negli Settanta, chi diceva che ogni anno morivano 20.000 donne per aborto clandestino? Enrico Berlinguer, ne La legge sull’aborto, pubblicato da Editori Riuniti (e poi anche S. Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, pubblicato dalla Donzelli nel 2004, o G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge per Mondadori nel 2008). Oggi rilancia le stesse menzogne il Dipartimento di storia e cultura dell’Università di Bologna (consultabile a questo Primo piano

link: https://storicamente.org/ perini_aborto_italia_usa_link5). Sul sito dell’Istat, invece, chiunque può controllare che, ad esempio nel 1977 (prima dell’entrata in vigore della legge 194), il totale di donne morte, tra i 15 ai 50 anni, per qualsiasi causa era di 3.348. L’aborto legale è un aborto sicuro? La bugia delle donne morte per aborto clandestino si accompagna a un corollario: l’aborto legale è un aborto sicuro, le conseguenze per la salute fisica e psichica delle donne sono trascurabili. Anzi, accusano noi di propalare fake news poiché chiediamo che alle donne venga fornita un’informazione veritiera e corretta sulle possibili conseguenze dell’aborto procurato. Anche su questo tema i nostri Lettori conoscono bene la realtà, avendo avuto modo di leggere il libretto di Lorenza Perfori Per la salute delle donne. Inoltre, nelle Relazioni ministeriali degli ultimi anni è ripetuto ogni volta che «molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa»: ciò vuol dire che i dati ufficiali circa l’incidenza reale delle conseguenze fisiche

SE NON SI RICONOSCE L’UMANITÀ DEL CONCEPITO, QUALSIASI RIFLESSIONE SULL’ABORTO – CHE UCCIDE UN BAMBINO, APPUNTO – VIENE FALSATA

a breve termine dell’aborto sulla salute delle donne sono incompleti. Delle conseguenze a lungo termine, tipo sterilità o problemi relativi a successive gravidanze, invece, la Relazione non parla proprio. Di aborto legale, inoltre, si può anche morire (e si muore), ma non bisogna dirlo. E l’aborto con RU486 comporta un rischio di morte dieci volte maggiore rispetto all’aborto chirurgico, mentre i Radicali ne vogliono la liberalizzazione totale…

Il dottor Nathanson è autore del documentario Il grido silenzioso, che ben descrive l’orrore dell’aborto. 29 N. 65


L’aborto legale riduce la mortalità materna? È molto interessante, invece, a proposito di mortalità materna nel mondo, vedere i dati più recenti, del 2015, dell’Organizzazione mondiale della sanità: nei Paesi dove la legislazione dell’aborto è più restrittiva, la mortalità materna è molto bassa. Tra gli Stati “evoluti”, in USA la mortalità materna è di 14 donne su 100.000, nel Regno Unito è di 9 su 100.000, in Francia è di 8 su 100.000: tutti Paesi con legislazioni abortiste estremamente liberali. Ebbene, l’Irlanda, che fino al referendum di fine maggio non aveva l’aborto legale, presenta lo stesso tasso della Francia. Il Canada è a 7, la Norvegia a 5, la Svezia, la Germania e l’Italia a 4. Ma indovinate chi è che batte

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tutti questi “campioni” di aborto legale a richiesta e gratuito? La Polonia, dove la legge è molto restrittiva, che ha un tasso di mortalità materna di 3 donne su 100.000. Se poi calcoliamo la mortalità delle donne anche nel medio-lungo periodo, alcuni studi finlandesi (2015, 2016) e danesi (2012), basati su registri nazionali, mostrano che l’aborto è associato a maggiore mortalità femminile per cause indirette e che la gravidanza e il parto hanno un effetto protettivo, ad esempio rispetto al rischio di suicidio. La sindrome post aborto non esiste? Un altro leit motiv degli abortisti è che la sindrome post aborto non esiste. In proposito scrive il professor Noia: «Com’è possibile che tutta la dimensione simbiotica (il feto è addirittura medico della madre!), quando viene

NON È VERO CHE L’ABORTO È FRUTTO DI UNA “LIBERA SCELTA” DELLA DONNA interrotta, possa non comportare conseguenze sul piano psicologico e fisico? Noi tutti sappiamo quanta solitudine del cuore abbiamo, quanta tristezza si verifica dopo un lutto. E perché la natura umana dovrebbe fare un distinguo in base ai centimetri e ai grammi del figlio che si perde? Diventa, quindi, poco credibile affermare che la perdita di un figlio, qualunque siano le sue dimensioni, sia irrilevante per la salute della donna, soprattutto se questo evento non avviene naturalmente ma come una precisa scelta volontaria della madre verso il figlio. Affermare che, sulla base di studi datati e controversi, non ci siano problematiche sulla salute psicologica delle donne dopo un aborto volontario, è quanto di più anti scientifico si possa dire».

Primo piano


disturbi. E noi ci chiediamo perché le cronache ci raccontino di tante tragedie familiari (figlicidi, omicidi-suicidi, violenze e abusi su bambini) che sembrerebbero immotivate… Un capitolo a parte, infatti, si dovrebbe aprire a proposito delle ripercussioni psicologiche che ha l’aborto sulle altre persone coinvolte, oltre alla madre: dal padre, agli altri familiari, agli operatori sanitari che vi prendono parte.

Il libro di Antonello Vanni sulla sindrome post aborto, che colpisce i padri più di quanto si creda. E quando gli abortisti presentano “studi scientifici” che “dimostrano” che la sindrome post aborto non esiste, sappiate che per ognuno dei loro ce ne sono cento che affermano esattamente il contrario. Il vulnus che li accomuna è che ricercano gli stati depressivi, l’ansia, gli istinti suicidi in donne che hanno appena abortito, nel breve periodo. Invece tutti gli psicoterapeuti onesti sanno che la sindrome si manifesta in tutta la sua virulenza anche molto tempo dopo l’aborto: all’inizio molte donne fanno opera di rimozione e non elaborano il lutto. Poi dopo anni, a volte decenni, si chiedono il perché di certi Primo piano

La disinformazione ha permesso la legalizzazione dell’aborto in Italia e all’estero e, da ultimo, anche in Irlanda, come potrete leggere in queste pagine, dove il professor Bottone scrive che «è impossibile

combattere con un’inesorabile e continua disinformazione che per anni, decenni, ha corroso un popolo una volta cristiano». Lo sappiamo bene, perché lo abbiamo vissuto anche sulla nostra pelle. Ma non è “impossibile” cambiare rotta. È molto difficile, ma è una sfida che ciascuno di noi, capillarmente, nell’ambito della sua famiglia e delle sue conoscenze, con l’aiuto dei social e della “controinformazione” è chiamato ad accettare. Per salvare delle vite umane, per salvare il nostro futuro e – come dice anche Bottone, e non è poco – per salvarsi l’anima.

La sindrome da stress post traumatico, tipica dei reduci, si riscontra nelle persone coinvolte nell’aborto, anche negli operatori sanitari.

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IL CASO SEVESO di Giuliano Guzzo

Giuliano Guzzo

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabora con diverse riviste e portali web giovani, forse, non sanno della vergognosa montatura inscenata I più fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it,nel 1976 dai radicali e dai media per sdoganare l’aborto in Italia Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com

Una volta messe a fuoco le Meda Società per Azioni -, strategie comunicative generali alle ore 12:37, si rompe la volte a diffondere la cultura valvola di sicurezza di uno dei abortista, come si è fatto nei due reattori del reparto B, l’Adue ultimi numeri della rivista, 101 d, che sfiata direttamente ora pare opportuno, per meglio Anna Marianell’atmosfera. Si leva subito Pacchiotti nell’aria una nube densa comprendere le logiche del condizionamento mediatico e rossiccia che resta visibile su questo Anna versante, soffermarsi per cinque minuti, prima di Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita su una specifica campagna. Traonlus”. dissolversi. Si tratta di vapore : www.onoralavita.it le tante, una che vale la pena formato da triclorofenolo (TCP) ricordare è quella inscenata a e da un composto intermedio seguito del disastro di Seveso. estremamente tossico, il Benché si tratti infatti di una TCDD (2,3,7,8-tetracloro vicenda risalente a decenni or dipenzo paradiossina), un sono, e della quale i più giovani veleno potentissimo presente mai avranno sentito parlare, è negli erbicidi e Giulia Tanel assai utile per capire come i anche nei defolianti mass media operino in modo che gli americani non soltanto parziale, ma impiegavano in Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive propagandistico; per passione. Collabora con apertamente Vietnam. libertaepersona.org e con altri siti internet e se c’è infatti unè inoltre casoautrice, in cui, riviste; con Francesco Agnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella sulle cosiddette battaglie civili, storia (Ed. Lindau). i media hanno mostrato tutta la loro forza, questo è sicuramente quello di Seveso. Ripercorriamo allora quegli eventi. È il 10 luglio 1976 e siamo Mappa delle zone appunto a Seveso, in contaminate dalla Lombardia, a poco più di un’ora diossina di strada da Milano, quando presso l’Icmesa – acronimo che sta per Industrie Chimiche 32 N. 65

NONOSTANTE LA PROPAGANDA MEDIATICA CATASTROFISTA E MENZOGNERA, SU UN MIGLIAIO DI GESTANTI SOLO 42 HANNO ABORTITO

Primo piano


All’inizio, tuttavia, le proporzioni del disastro parevano contenute. Scrive il giornalista Giancarlo Sturloni: «Quella di Seveso è una vicenda tragica ma, sotto molti aspetti, in quei primi giorni sembra che la vicenda possa restare una storia minore, relegata nelle pagine di cronaca locale e destinata a far parlare di sé per una manciata di settimane, prima di essere dimenticata. In fondo, Seveso è un paese di provincia e l’area colpita dalla nube tossica è rimasta abbastanza circoscritta». In effetti il 10 luglio non succede altro oltre a quanto riportato, ma già il giorno successivo, quando il sindaco di Seveso, Francesco Rocca, ha un incontro con i dirigenti dell’Icmesa, che lo informano dell’accaduto, iniziano a morire gli animali da cortile, l’erba diventa gialla e dagli alberi si stacca la corteccia.

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Cinque giorni dopo l’incidente si inizia a raccomandare alla popolazione di non raccogliere frutta né di toccare animali infetti, ma è tardi: una ventina di bambini accusano gonfiori al volto, con arrossamenti, e poche ore dopo i primi vengono ricoverati, anche se i sanitari non sanno quali terapie applicare. Il 20 luglio l’Icmesa rende noto che il gas di cui era composta la nube è il TCDD e il 26 gli abitanti della zona A, quella risultata più inquinata, vengono fatti evacuare. L’allarme diossina, che oltre a Seveso investe una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, a quel punto esplode in tutta la sua gravità, tanto che solo mesi dopo gli sfollati riusciranno a fare rientro nelle loro case.

Decenni dopo, nel 2010, la rivista Time classificherà quello di Seveso come l’ottavo tra i peggiori disastri ambientali della storia. Ora, ci si potrebbe chiedere cosa c’entri tutta questa storia con l’aborto. Ebbene, c’entra moltissimo. Infatti, sin dai primi giorni di agosto di quel 1976 inizia a porsi il problema delle donne incinte, con la locale commissione medicoepidemiologica che denuncia la possibilità di un aumentato rischio di malformazioni nei figli delle gestanti esposte alla diossina. Presso la scuola di Seveso entra così in funzione un consultorio ginecologico e i casi di gravidanza vengono esaminati dal professor Giovanni Battista Candiani della clinica Mangiagalli di Milano.

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La bella Brianza, la regione in cui si trova Seveso Anche se quella delle malformazioni fetali, per quanto grave, è solo una possibilità, su questo aspetto i toni della stampa saranno tutto fuorché prudenti. La condotta dei mass media su Seveso è stata in particolare oggetto di un pregevole e – curiosamente – quasi introvabile studio di Barbara Mascherpa intitolato La stampa quotidiana e la catastrofe di Seveso, pubblicato nel 1990 per Vita e Pensiero. L’Autrice ha preso in esame la narrazione del disastro com’è stata offerta, in quella occasione, da sei importanti TRA IL GENNAIO E IL FEBBRAIO DEL 1977 SONO NATI I PRIMI “FIGLI DELLA DIOSSINA”, SCAMPATI ALL’ABORTO POLITICO: RISULTAVANO TUTTI PERFETTAMENTE SANI

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testate – Corriere della Sera, Il Giorno, la Repubblica, Il Giornale Nuovo, La Stampa e Il Messaggero – soprattutto tra il luglio e il dicembre 1976, per un totale di 383 articoli pubblicati suddivisi in tre periodi. Il primo è quello che va dal 17 luglio al 31 luglio, riguardante quindi i giorni immediatamente successivi alla notizia del disastro. Un periodo subito segnato da un clima catastrofista. Il quotidiano Repubblica, per esempio, titola: «Sgombero per 100 mila?» anche se, in realtà, le persone allontanate saranno 736. Ma soprattutto, con riferimento alle gravidanze, la mancanza di documentazione scientifica sugli effetti della diossina sull’uomo porta le fonti informative a cercare risposte in alcuni precedenti storici, che consentano di creare un parallelismo con Seveso. L’accostamento che viene proposto con più insistenza è quello tra l’incidente della

Icmesa e il Vietnam, ma – osserva Mascherpa – «non tanto per pura documentazione, quanto per creare un allarmismo esasperato intorno alla vicenda e un surplus di significato in apparenza naturale: i bambini nati in Vietnam da donne contaminate dalla diossina hanno presentato gravi malformazioni: essendo uguale la situazione, la stessa sorte attende i bambini di Seveso». La carta giocata dai mass media, insomma, è da subito quella dell’allarmismo più spinto. Basti dire che il Corriere della Sera, il 27 luglio, pubblica un articolo assai eloquente sin dal titolo («È peggio che in Vietnam») e volto a mettere in luce come «la nube tossica» sia «senza dubbio più pericolosa delle sostanze chimiche usate dalle truppe americane durante la guerra del Vietnam». Per rincarare la dose, il giorno dopo il quotidiano crea un collegamento anche con un incidente simile avvenuto in un’industria di Londra del 1968, riportando le tragiche conseguenze allora subite dalla popolazione. Anche La Stampa e altri giornali raccontano Seveso con toni allarmistici. Il solo a distinguersi per prudenza è Il Giornale Nuovo di Indro Montanelli. La seconda fase mediatica del caso Seveso è quella dei primi undici giorni di agosto, durante i quali, dalla possibilità di Primo piano


malformazione dei nascituri, si passa ad una vera e propria psicosi dalla mostruosità. Guida questa ulteriore accelerazione allarmistica sempre il Corriere della Sera, che «abbandona» ogni barlume di «neutralità informativa» per disvelare – nota Mascherpa – «il suo punto di vista soprattutto nelle interviste dei pezzi in questione e nella terminologia usata». Il tema dell’aborto entra così di prepotenza nel dibattito. Basti dire che il 2 agosto, sulla Stampa, il giornalista Nicola Adelfi arriva a proporre addirittura di rendere l’aborto coatto, così «si cancellerebbe ogni resistenza affettiva, ogni scrupolo morale o di natura religiosa nelle persone interessate». Con l’eccezione ancora una volta del Giornale di Montanelli, oltre che di testate cattoliche quali Avvenire, L’Osservatore Romano e Solidarietà, la grande stampa, dopo aver evocato lo spettro delle malformazioni del Vietnam, passa dunque direttamente, per le donne esposte a diossina, a proporre – o perfino ad auspicare l’imposizione, come si è visto – dell’aborto; tutto ciò mentre gruppi di femministe fanno la spola tra la clinica Mangiagalli e il consultorio di Seveso mostrando alle donne incinte foto di bambini focomelici.

Dopo aver evocato gli spettri di neonati microcefali, macrocefali, con arti deformi o dita in sovrannumero, la pressione mediatica rivela dunque la sua vocazione abortista, tanto che a rileggere anni dopo quei giornali sembra che il loro «unico problema consista nel trovare il modo di liberarsi il più presto possibile dei futuri “deformi”». Degni di nota, a questo proposito, sono gli epiteti riservati ai figli, ancora in grembo, delle donne di Seveso e dintorni, che in quel periodo il quotidiano La Stampa – prima di ogni riscontro scientifico sul caso –, apostrofava sistematicamente come «mostri», «malformati», «mongoloidi», «folli», «criminali», «masse di carne informi». Non era più tenero il registro adottato dal Messaggero, che a sua volta definiva quei nascituri «pazzi», «criminali», «esseri di cui liberarsi perché o isolati dalla società o pericolosi per la stessa». Si ricorda poi lo slogan minaccioso

GLI ESAMI EFFETTUATI SUI 42 FETI ABORTITI HANNO RIVELATO CHE NESSUNO DI ESSI MOSTRAVA TRACCIA DI DANNI O MALFORMAZIONI

«Aborto o mostro in pancia» impiegato da alcune testate in una escalation che ancora oggi, a distanza di decenni, colpisce per una totale mancanza di equilibrio; tanto più che quella narrazione non corrispondeva al sentire delle donne. A confermarlo è stato l’insospettabile Francesco D’Ambrosio, volto storico della battaglia per l’approvazione dell’aborto legale, il quale, intervistato da Gente, ha ammesso: «Ho ricavato l’impressione che nessuna delle gestanti voglia abortire. Chiedono consigli, spiegazioni, nient’altro».

La chiesa di San Gervasio e Protaso a Seveso, oggi Primo piano

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Il punto è che ai media tutto quello non interessava. Isa Fumagalli, sevesina allora incinta, ricorda come tutte le persone non utili alla narrazione abortista venissero ignorate: «La giornalista faceva segno di non filmare più quando parlava qualcuno di noi». Questo perché l’obbiettivo della gran parte dei giornalisti, allora, non era affatto informare bensì manipolare. Un obiettivo che è stato perseguito anche nella terza fase della cronaca di quegli eventi, dal 12 agosto in poi, con una naturalizzazione mediatica della tesi abortista. In concreto, creato l’allarmismo e sottolineata la praticabilità dell’aborto – confermata già il 7 agosto dal ministro Dal Falco, che si era basato sulla sentenza della Corte Costituzionale del 18 febbraio del 1975 per ammettere l’aborto terapeutico per le donne di Seveso – i giornali non hanno fatto che riportare, giorno per giorno, il numero degli interventi effettuati, sottolineando la facilità degli stessi e la soddisfazione delle donne che vi si erano sottoposte.

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Da lì alla tappa successiva – perché consentire l’aborto, ci si è iniziato a chiedere, solo alle donne di Seveso? – il passo è stato politicamente breve, se pensiamo che la legalizzazione della pratica abortiva arriverà non molto dopo, nel 1978. Quel che qui è però doveroso rimarcare è l’enorme pressione mediatica esercitata dalla grande stampa, a eccezione del Giornale e delle testate cattoliche, in favore dell’aborto. Una pressione che, in realtà, sul campo ha avuto un successo contenuto – su un migliaio di gestanti, sono stati 42 gli aborti volontari e 4 gli spontanei – e che si basava non solo su un allarmismo eccessivo, ma sulla menzogna, come dimostra il fatto che quando, tra il gennaio e il febbraio del 1977, sono nati i primi «figli della diossina», scampati all’aborto politico, essi risultavano tutti perfettamente sani. Non solo: nella zona non si è verificato alcun aumento di bambini focomelici e gli stessi esami effettuati sui 42 feti abortiti hanno rivelato che nessuno di essi mostrava traccia di danni. Questo non significa, sia ben chiaro, che il disastro di Seveso sia stato una passeggiata. Si è infatti verificato un aumento di decessi per cause cardiovascolari causate dallo stress e uno studio pubblicato decenni dopo sull’autorevole

The Lancet ha rilevato come la diossina abbia provocato conseguenze permanenti sull’apparato riproduttivo degli uomini, in modo più significativo quanto più precoce è stata la contaminazione. La pressione mediatica a favore dell’aborto però è stata – si può dirlo senza timore di smentita – una colossale montatura, utile solamente a creare un precedente politico. Al punto che il sindaco di Seveso di allora, Rocca, che in un libro intitolato I giorni della diossina ha riportato le sue memorie di quel periodo, si diceva convinto che lo Stato avesse utilizzato l’incidente affinché passasse la legge sull’aborto, come stratagemma per cambiare la mentalità della gente. Chissà. Di certo senza l’allarmismo e senza la campagna abortista promossa forsennatamente dai media, il pur grave incidente dell’Icmesa avrebbe avuto 42 vittime in meno. Invece la verità è stata sommersa da montagne di bugie, che hanno finito per prevalere e che tutt’ora si aggirano per Seveso e dintorni. Una verità solitaria, dimenticata, in cerca di chiunque voglia ascoltare come, quella volta, sono davvero andate le cose.

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Quando vince la disinformazione: il referendum in Irlanda

di Angelo Bottone

Una riflessione a freddo sull’esito del referendum irlandese che ha legalizzato l’aborto. Scrive un docente di Filosofia presso l’University College di Dublino e Research Officer dello Iona Institute

Abbiamo perso. Speravamo, temevamo, siamo stati a volte incerti, a volte più convinti, ma nessuno si aspettava un risultato così netto. Due elettori su tre hanno scelto per l’aborto. Hanno scelto di rimuovere ogni protezione costituzionale del nascituro. Hanno rimosso, forse caso unico al mondo, il diritto alla vita della madre e di suo figlio dalla sezione della Costituzione che elenca i diritti fondamentali, per sostituirlo con una licenza, a favore dei politici, di poter legiferare sull’aborto o, come amano dire usando un eufemismo ipocrita, legiferare sull’interruzione di gravidanza. Ma il parto termina una gravidanza, mentre l’aborto termina una vita. Questa semplice verità è stata rigettata, chiaramente e perciò tremendamente, da un Paese ora smarrito. I sondaggi ci davano in svantaggio ma le centinaia di volontari che bussavano alle porte o che facevano Primo piano

propaganda per le strade, ci raccontavano di risposte incoraggianti. Nessuno, neppure i nostri oppositori, aveva previsto un risultato così netto, che però in qualche modo mostra che nessuna campagna avrebbe potuto cambiare un elettorato sostanzialmente schierato. La trasformazione sociale è profonda e non è avvenuta nelle ultime settimane, e neppure negli ultimi mesi. È stato un lento ed inesorabile

adeguarsi della società irlandese alle pressioni di una cultura della morte che ha dimensioni internazionali. Per anni, i mezzi di comunicazione hanno corroso i tradizionali valori irlandesi con storie penose, casi estremi. Per anni, l’Ottavo Emendamento è stato presentato come la causa di tanti mali. La crisi che ha colpito la Chiesa cattolica locale (gli scandali – invero montati in buona parte – sulla

«Non avevo idea che volessero legalizzare l’aborto fino a sei mesi»

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pedofilia del clero, ndR) ha sicuramente contribuito a minare l’autorevolezza morale dei vescovi e delle organizzazioni cattoliche, ma quello che ha contato più di tutto è una cultura diffusa che si appella a una concezione egoista dello scegliere, per la quale una gravidanza non desiderata deve essere rigettata in nome della scelta e dell’autodeterminazione. A questo, poi, si sono aggiunti l’ostilità della classe politica, ed in particolare di quanti erano prolife prima delle elezioni e poi hanno tradito, corrotti dal desiderio di potere ma anche dalle multinazionali del business abortista. Il fronte del «No» non ha nulla da rimproverarsi. Non sono stati fatti grandi errori. Le due maggiori organizzazioni prolife hanno avuto stili diversi, sperando di convincere settori differenti della popolazione. “Love both” (“Ama entrambi”) è stata una campagna più pacata, incentrata su storie positive, mentre “Save the 8th” (“Salva l’Ottavo”) ha usato toni più polemici, slogan diretti. Ma c’era poco da fare. È impossibile combattere contro un’inesorabile e continua disinformazione che per anni, decenni, ha corroso un popolo una volta cristiano. Nel 1983, quando l’Ottavo Emendamento fu introdotto, già un terzo degli elettori si 38 N. 65

oppose. Oggi la proporzione tra le due parti è la stessa, ma ribaltata. Un terzo dei votanti è passato da prolife a prochoice. Un terzo dei votanti, che corrisponde a circa il 20% della popolazione adulta. Si tratta di uno spostamento non radicale, se consideriamo che sono passati 35 anni ma, nonostante questo, significativo. Significativo non solo per il risultato referendario ma anche per le conseguenze di lunga durata, perché sappiamo che questo andamento non si invertirà presto. Ora ci aspetta, subito, una nuova battaglia su eutanasia e suicidio assistito, poiché il desiderio di morte non si sazia mai. Prima del referendum il ministro della Sanità, Simon Harris, aveva presentato una proposta di legge che prevedeva l’aborto su richiesta fino a 12 settimane e, in caso di pericolo per la salute fisica o psichica della madre, fino a sei mesi (quindi a richiesta, come in Italia, ndR). A questa proposta, già di per sé terribile, ora (mentre andiamo in stampa, ndR) pare che verranno aggiunti nuovi dettagli ancora più negativi per chi non la condivide. Ad esempio, il ministro vuole vietare assembramenti pubblici intorno agli ospedali, impedendo così un lavoro

LA VITTORIA DEL «SÌ» SI DEVE ALLA CRISI DELLA CHIESA IRLANDESE, ALLA CORRUZIONE E AI TRADIMENTI DEI POLITICI, ALLE MULTINAZIONALI ABORTISTE E – SOPRATTUTTO – A UNA SISTEMATICA CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE CHE PER DECENNI HA CORROTTO UN POPOLO UNA VOLTA CRISTIANO

di dissuasione e di offerta di alternative a chi ha deciso di abortire. Un altro fronte su cui il ministro, forte del risultato, sta minando la posizione prolife riguarda l’obiezione di coscienza: sarebbe prevista solo per i singoli, e non per le istituzioni, e obbligherebbe i medici di base a contribuire indirettamente all’aborto che non condividono, tramite il dovere di scrivere lettere di referenza. Se l’obiezione non dovesse essere estesa alle istituzioni, ci ritroveremo che gli ospedali

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cattolici, ad esempio, non potranno esimersi dall’offrire aborti se c’è qualche dottore pronto a praticarli. Il fronte politico prolife, che non è concentrato in un solo partito ma, invece, lavora come gruppo trasversale, è risultato decisamente indebolito dal risultato referendario e quindi le prospettive di fare approvare emendamenti a noi più favorevoli, sono molto limitate. Cosa attende le organizzazioni prolife? Oltre alla battaglia politica, c’è da continuare quella culturale, in termini di informazione e formazione delle coscienze. Ci sarà da ampliare la rete di agenzie di supporto e di counselling, offrendo anche aiuto pratico a chi è tentato di abortire. C’è anche da fare pressione perché migliori la cura prenatale e postnatale, particolarmente

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per le gravidanze che hanno ricevuto una diagnosi di anomalia cromosomica letale. Le organizzazioni prolife irlandesi dovranno superare le divisioni del passato e continuare a lavorare insieme, anche se non necessariamente in un’unica formazione. Non siamo riusciti a salvare l’Ottavo Emendamento, ma almeno ci siamo salvati l’anima, facendo quello che era giusto. Non avremo morti sulla coscienza e non ci piegheremo alle pressioni sociali. Abbiamo perso, sì, ma abbiamo perso tutti perché la rimozione di un diritto fondamentale dalla Costituzione non può mai essere una vittoria.

NON SIAMO RIUSCITI A SALVARE L’OTTAVO EMENDAMENTO, MA ALMENO CI SIAMO SALVATI L’ANIMA, FACENDO QUELLO CHE ERA GIUSTO. NON AVREMO MORTI SULLA COSCIENZA

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I bruchi e le farfalle La saggezza popolare (o “populista”, come direbbe qualcuno oggi) racconta la verità con parole semplici e dirette, avvalendosi spesso di leggende o racconti che parafrasano realtà profonde. È il caso di una leggenda tailandese che racconta la gente del posto

«Un giorno, narra la storia, per combattere la caccia di frodo ad alcune specie di farfalle in via di estinzione, fu promulgata una legge molto severa che puniva con l’arresto chi era sorpreso a catturare esemplari di questi preziosissimi insetti. Ma i cacciatori di frodo si organizzarono per aggirare la legge con uno stratagemma: avrebbero prelevato le farfalle prima della metamorfosi, raccogliendo i bozzoli. Uno di questi astuti cacciatori fu però preso con le mani nel sacco e sottoposto a giudizio. Il lestofante si sentiva al sicuro e già certo della vittoria, perché la legge parlava di farfalle, non di bozzoli. La sentenza, però, con sua enorme sorpresa, fu di assoluta condanna. E la pena fu maggiorata per la dissimulazione del reato. Le motivazioni, espresse dal saggio giudice, furono: “Se la vita di una farfalla è considerata così preziosa, altrettanto prezioso non può che essere il bozzolo”». Leggenda popolare tailandese

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A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei

piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.

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di Marco Bertogna

Avengers: Infinity War

Fonte foto: www.mymovies.it

Titolo: Avengers: Infinity War Stato e Anno: Stati Uniti, 2018 Regia: Anthony e Joe Russo Durata: 109 min. Genere: Azione, Fantasy

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.

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Thanos è il cattivo, anzi il super cattivo che vuole appropriarsi delle sei gemme che rendono onnipotente chi le ottiene tutte. Interessante è il motivo che spinge il cattivo della Marvel a fare di tutto e compiere genocidi pur di ottenere ciò che vuole: Thanos infatti ritiene che, una volta in possesso delle gemme, potrà dimezzare la popolazione mondiale. A questo punto intervengono i buoni, ovvero gli Avengers, che si riuniscono per l’occasione e, poiché per loro ogni vita è preziosa, cercano di sventare il diabolico piano di Thanos. Oltre a elogiare la fattura tecnica di questo ultimo capitolo della saga Marvel, oltre a evidenziare le oltre due ore di film che potrebbero mettere in difficoltà chi non è un fan di questo tipo di pellicola, dovremmo soffermarci sulla causa scatenante dei molteplici scontri e duelli (spettacolari e abbondanti): perché Thanos vuole dimezzare la popolazione mondiale? Avrà tratto ispirazioni dalle teorie di Malthus della fine del XVIII secolo, secondo le quali la crescita della popolazione avrebbe portato fame e povertà?

Se così fosse, diamo merito agli autori di questo film per aver schierato nel modo corretto buoni e cattivi. D’altronde le teorie di Malthus sono sempre più scientificamente smentite da pubblicazioni ufficiali e da ricercatori di varie università nel mondo. I fratelli Russo (registi del film) hanno quindi preso posizione (volontariamente o no) su un tema caro a tutto il movimento pro-life poiché, attorno alle teorie di Malthus, sono state costruite campagne pro-aborto, attività politiche e di comunicazione per il contenimento e il controllo delle nascite, sviluppo e commercio dei vari metodi contraccettivi, etc. È bello poter pensare che Thor, Capitan America, Spiderman, Ironman e tutti gli altri supereroi possano schierarsi contro i cattivi e che le battaglie da vincere siano sempre per la vita, per proteggere la preziosità che è in ognuno di noi, e che i più giovani crescano con l’idea che i diritti fondamentali e i valori non negoziabili della nostra vita siano da difendere senza compromessi.


Letture Pro-life Marco Scicchitano e Giuliano Guzzo

RESTARE UMANI Sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnica Ed. Città Nuova

«Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella globalità del suo essere. Anche quando opera mediante un satellite o un impulso elettronico a distanza, il suo agire rimane sempre umano, espressione di libertà responsabile. La tecnica attrae fortemente l’uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l’orizzonte. Ma la libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l’urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà, che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all’appello dell’essere, a cominciare dall’essere che siamo noi stessi».

Roberto Marchesini

UOMO, DONNA, FAMIGLIA E “GENDER” Origini, ragioni e orizzonti di un confronto cruciale Ed. I libri della Bussola

Cos’è e da dove nasce l’ideologia gender? Perché sta trovando terreno fertile nel nostro Paese, grazie anche al favore del Governo italiano ed europeo? Come mai questa ideologia prende di mira soprattutto i giovani e i bambini, penetrando nel sistema scolastico? E quali sono le conseguenze di questo stravolgimento della realtà per l’individuo e per la società? Lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini con questo libro risponde a questi e molti altri quesiti sul tema.

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Buone vacanze da ProVita!

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