ProVita Giugno 2018

Page 1

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

Notizie

Trento CDM Restituzione

Anno VII| Giugno 2018 Rivista Mensile N. 64

“Nel nome di chi non può parlare”

POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

À T L E D E F Il matrimonio è una cosa (parecchio) seria

Aiuti umanitari e abusi sessuali

Il marito fedele

di Roberto Marchesini, p. 22

di Patrizia Floder Reitter, p. 11

di Francesco Agnoli, p. 25


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

EDITORIALE

3

NEWS

4

ARTICOLI

Notizie

Anno VII | Giugno 2018 Rivista Mensile N. 64

Dillo a ProVita! 6

Tre giorni con Gabriele Kuby

7

Dare voce ai senza voce

9

Editore ProVita Onlus Sede legale: Viale Manzoni, 28 C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182

Luca Scalise

Aiuti umanitari e abusi sessuali

Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089

PRIMO PIANO

Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica

Patrizia Floder Reitter

«Love is the answer». Intervista a Mimmo Armiento

Giulia Tanel

Roberto Marchesini

Il matrimonio è una cosa (parecchio) seria Il marito fedele

22 25 28

Clemente Sparaco

Totalitarismi 2.0

Distribuzione

14

Francesco Agnoli

Alla ricerca del sesso perduto

Tipografia

11

31

Giuseppe Fortuna

Hanno collaborato a questo numero: Francesco Agnoli, Patrizia Floder Reitter, Giuseppe Fortuna, Giuliano Guzzo, Roberto Marchesini, Luca Scalise, Clemente Sparaco, Giulia Tanel

Guerra agli obiettori di coscienza

36

Giuliano Guzzo

FILM: Up

42

Marco Bertogna

LETTURE PRO-LIFE

43

Sostieni con un contributo le attività di ProVita Onlus in favore della vita, della famiglia e dei bambini e riceverai a casa tua Notizie ProVita, la rivista della nostra associazione Invia il tuo contributo • € • € • € • € • €

35,00 50,00 100,00 250,00 500,00

Sostenitore ordinario Promotore Benefattore Patrocinatore Protettore della Vita

Per contributi e donazioni a ProVita Onlus: • Bonifico banacario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina (indicando: Nome, Cognome, Indirizzo e CAP), IBAN IT89X0830535820000000058640 • oppure c/c postale n. 1018409464


22

28 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it

Il Primo piano, però, abbiamo voluto dedicarlo alla bellezza del matrimonio vero, esclusivo e per sempre. L’opera di decostruzione dell’uomo è stata avviata dalla cultura della morte da tempo immemore: in fin dei conti è cominciata con la tentazione e il peccato originale di Adamo ed Eva. Ma negli ultimi decenni la morte ha fatto conquiste sostanziali: aborto, eutanasia, droga libera… E per prima cosa, in ordine non solo temporale, il divorzio, perché la distruzione dell’essere umano passa attraverso la distruzione della famiglia, e quindi del matrimonio. La fedeltà, il dono di sé reciproco, esclusivo e per sempre, è stata particolarmente presa di mira, prima con la “rivoluzione sessuale” del Sessantotto, poi con la legalizzazione del divorzio, ora con le varie normative che lo velocizzano e lo semplificano, e infine con concrete proposte, come il disegno di legge n. 2253 depositato in Senato il 25 febbraio 2016, tese a eliminare l’obbligo della fedeltà sancito dall’art.143 del Codice Civile: «Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione». Del resto la giurisprudenza (si veda per esempio Cass., Sez. I, n. 16172, 15 luglio 2014) ha da tempo assunto un orientamento da cui si desume che un matrimonio può sussistere anche in concomitanza di adulterio e che non è più automaticamente addebitabile la colpa della separazione al coniuge infedele. La fedeltà, allora, è un altro di quei valori che la cultura della morte vorrebbe cancellare e che tutti noi dobbiamo ribadire, difendere e promuovere. Con la certezza che l’incarnazione e la resurrezione di Cristo a quel serpente antico all’opera fin dalla creazione del mondo ha già schiacciato la testa una volta per tutte (cfr. Gn 3, 14-15). Toni Brandi

14

EDITORIALE

Sono diversi i temi interessanti che vorrei segnalare all’attenzione dei nostri Lettori questo mese: il potere censorio e di manipolazione delle menti dei padroni del web 2.0; gli scandali sessuali che coinvolgono le ong, le quali dovrebbero svolgere azioni umanitarie; la guerra dichiarata ai medici che sollevano obiezione di coscienza all’aborto.


NEWS BAMBINI SENZA MAMMA O SENZA PAPÀ

In barba alla legge, al buon senso e alla ragione naturale, il 23 aprile il sindaco di Torino Appendino ha deciso che un bambino può avere due mamme e nessun papà. A poche ore di distanza, lo stesso è avvenuto a Gabicce Mare: questa volta a essere stati registrati all’anagrafe sono due gemelli – poveri angeli – e in questo caso risulta che sono figli di due papà, non di due mamme. Infine, poteva mancare all’appello Roma? Ecco quindi che anche nella Capitale è stato trascritto l’atto di nascita di una bambina nata in Canada, con la pratica dell’utero in affitto, indicando come genitori con pieni diritti e pieni doveri due papà. Insomma: l’ideologia è riuscita a scavalcare il passaggio della stepchild adoption (le cosiddette “adozioni gay”) ed è arrivata a legittimare l’assurdo: tutti nasciamo da un uomo e da una donna, tertium non datur.

UE: IMPERA IL TOTALITARISMO DELL’IDEOLOGIA PRO MORTE

Una recente sentenza della Corte di giustizia dell’UE esonera la Commissione europea dal dar seguito alla richiesta di legge di iniziativa popolare fatta da più di un milione di cittadini (secondo le regole del Trattato) denominata “Uno di noi”, a favore del riconoscimento dell’umanità dell’embrione e del taglio al finanziamento da parte dell’UE per le ricerche sugli embrioni e per l’aborto nei paesi terzi.

Non è solo una sentenza contro la vita, quella che respinge il ricorso di “Uno di noi”. La sentenza della Corte UE ha un significato politico molto più ampio: le istituzioni europee non prendono in considerazione la volontà democratica dei cittadini quando questi usano gli strumenti previsti dal trattato UE: il totalitarismo dilaga laddove dilaga la cultura della morte (mutatis mutandis stesso spirito antidemocratico che si è respirato a Roma in occasione della censura del nostro maxi manifesto, e – peggio – quello che si respira in Inghilterra con la violazione del diritto dei genitori di Alfie, Charlie e Isaiah a curare il proprio bambino).

4 N. 64


DI ABORTO Di aborto non si può parlare. Lo abbiamo visto con il maxi manifesto NON SI PUÒ PARLARE… appeso a Roma fatto rimuovere dopo poche ore e lo vediamo ancora con la censura operata contro lo spot Una scelta tra la vita e la morte, della durata di un minuto, e realizzato da ProVita per sensibilizzare le donne sul tema dell’aborto e diffuso in una decina di cinema della Provincia di Roma. Siamo infatti venuti a sapere che al Cineferonia di Fiano Romano, in seguito alle proteste di alcuni spettatori, lo spot contro l’aborto è stato censurato.

Lanciata come sensazionale, dall’Ansa, e ripresa da diverse testate, la PARLARE AL BAMBINO notizia “Parlare al bambino nel pancione è un falso mito” di sensazionale NEL PANCIONE: non ha proprio nulla. Anzi, non ha nemmeno i crismi della novità, HA ANCORA SENSO? poiché fa riferimento a dati pubblicati tre anni fa. L’ambiente intrauterino non è affatto silenzioso come si credeva in passato, sebbene i suoni giungano nel sacco amniotico variamente modificati attraverso la parete addominale, ma di certo vi arrivano. J.P. Relier definì il bambino nel grembo un soggetto multirecettivo: egli già nella pancia familiarizza con la voce materna, con quella paterna, come anche con i rumori ed i suoni tipici dell’ambiente domestico, in cui si troverà a proprio agio dopo la nascita. Il professore Filippo M. Boscia commenta così la notizia: «Sono fermamente convinto che il miglior consiglio che si possa dare a tutte le donne in attesa è di continuare a parlare al proprio figlio, proprio come loro sanno fare, e soprattutto continuare ad amarlo come solo una mamma sa fare».

5 N. 64


Dillo a ProVita

A

rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Rispondiamo a tutte, ma non possiamo pubblicarle tutte, per ovvi motivi. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di Battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.

Cara mamma, ti prego di non abortire. utero. Non macchiare le tue Non uccidere il dono meraviglioso che Dio ha seminato nel tuo mani di sangue innocente. o in ospedale lo scorso Vorrei parlare al tuo cuore per raccontargli il mio dolore. Io ho abortit gno che non desiderava un 5 maggio, a 11 settimane di gravidanza, costretta da un compa ciata da problemi di lavoro altro figlio e che voleva suicidarsi se non l’avessi fatto, schiac grafia di controllo che ed economici. Sono stata dimessa lo stesso giorno, dopo un’eco essere dimessa. confermava che l’interruzione era andata a buon fine e che potevo ero in bagno a casa, tra le Il 6 maggio, presa da dolori lancinanti al basso ventre, mentre o in sala operatoria. Il mio mie mani ho partorito la creatura che credevo di avere abortit neri mi guardavano senza angioletto era lì tra le mie mani, inerme, mentre i suoi piccoli occhi nte formata. Una femmina. vita quasi a chiedermi il perché del mio gesto. Era completame che per anni ho studiato le Dio ha voluto mostrarmi la crudeltà e l’orrore del mio gesto. Io, commesso la stessa atrocità crudeltà accadute ad Auschwitz nei campi di sterminio, avevo straziata, quasi impazzendo a danno del sangue innocente. Ho pianto di dolore, ho urlato dalla disperazione… di Dio! Qualsiasi sia la Ti prego, ascolta il mio grido: non abortire! Non uccidere un angelo forza necessaria affinché tu condizione in cui ti trovi, l’angioletto che porti in grembo ti darà la . Altrimenti vivrai il resto dei accolga la vita nascente. Non commettere questo atroce crimine dolore e la voce dell’amore tuoi giorni con questo dilaniante rimorso. Ascolta il mio grido di na, per la quale ho chiesto che serbi nel tuo cuore. Il mio angioletto, di nome Irene Giovan possibilità di darle una il dono del Santo Battesimo e, poiché non mi hanno dato alcuna amente conservata. Prego degna sepoltura, è a casa con me in un vasetto di vetro, perfett grave peccato e affinché ogni giorno chiedendo perdono a Dio ai piedi della croce per il mio re di donare la vita alla la testimonianza del mio dolore possa aiutare te, mamma, a decide , e non la morte. Sono tua creatura che ti ama profondamente come nessun altro al mondo il mio grido di disperazione a tua disposizione, se avrai bisogno di me. Ti prego, non ignorare contro la morte. Ti abbraccio e prego per te e per il tuo angioletto.

6 N. 64

Nunzia


Tre giorni con Gabriele Kuby Gabriele Kuby, sociologa e saggista tedesca, è stata in Italia – ospite di ProVita Onlus – sabato 14 e domenica 15 aprile, per parlare dell’ideologia gender. Accompagnarla in quei tre giorni è stata l’occasione per incontrare e scoprire una persona meravigliosa, davvero amante della vita. Colei che Benedetto XVI ha definito «una coraggiosa guerriera contro le ideologie», è di fatto una persona gentile, una mamma e nonna tenera e affettuosa, una persona davvero piena d’amore per il prossimo.

Rovigo

Bolzano

Verona Il 14 aprile, alle ore 10.00, a Rovigo (Aula magna Seminario San Pio X, via Pascoli 51), si è tenuto un incontro dal titolo “Diritti civili: una questione antropologica”, con anche l’intervento del magistrato Pino Morandini; la sera, alle ore 20.45, a Bolzano (Teatro Rainerum Institut, piazza dei Domenicani 15), la conferenza si è intitolata “Uomo nuovo globale”. Infine, il 15 aprile alle ore 17.00 a Verona (Circolo Ufficiali di Castelvecchio, in Corso Castelvecchio 4) si è parlato di “1968-2018. Dal Sessantotto alla dissoluzione della famiglia attraverso l’ideologia gender”.

Kuby e Poleggi 7 N. 64


A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei

piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.

VUOI RICEVERE I PIEDINI, IL BAMBINO IN PLASTICA O IL PORTACHIAVI? Scrivi alla Redazione collegandoti a www.notizieprovita.it/contatti specificando il numero di pezzi che desideri ricevere (fino a esaurimento scorte). Offerta minima consigliata (più spese di spedizione): spillette 100 spillette – 100€ 50 spillette – 75€ 10 spillette – 20€

8 N. 64

“Michelino” portachiavi 2€ 2€


di Luca Scalise

Dare voce ai senza voce

A giugno due ricorrenze apparentemente distanti: la Giornata dei bambini innocenti vittime di aggressioni e il sesto anniversario di morte di Chiara Corbella Petrillo

Il mese di giugno vede due ricorrenze che apparentemente non ci sembrerebbe di dover associare: la Giornata internazionale per i bambini innocenti vittime di aggressioni ed il sesto anniversario della morte della serva di Dio Chiara Corbella Petrillo, rispettivamente il 4 ed il 13 giugno. La ragione della celebrazione ONU dedicata ai piccoli innocenti oggetto di aggressioni è indubbiamente quella di «riconoscere il dolore sofferto dai bambini in tutto il mondo, vittime di abusi fisici, psicologici ed emotivi». Si tratta di una problematica tanto grave, quanto difficile da risolvere. Infatti, la maggior parte dei bambini si trovano a essere troppo spesso soli e indifesi di fronte alle più disparate crudeltà di questo mondo, immobilizzati dalla paura di venire allo scoperto e denunciare la violenza che è stata mossa contro di loro.

In molti casi, ad esempio, l’innocente purezza di cuore e di intenti che li caratterizza li spinge a credere che se subiscono una qualche forma di “castigo” essa debba necessariamente conseguire ad un loro comportamento sbagliato e finiscono, in tal modo, per ritenersi responsabili della violenza che li ha colpiti, come se fosse una sorta di punizione da dover accettare. Così, fin troppi episodi di aggressioni, ingiustificati ed ingiustificabili, sono rimasti all’oscuro di tutti, imbavagliati dal terrore, prima, sepolti dal tempo, poi, ma pur sempre impressi nel corpo, nella memoria e nel cuore di tanti bambini. Qualcuno forse penserà anche a quelli deprivati scientemente della madre o del padre attraverso le pratiche insane dell’utero in affitto e della fecondazione artificiale eterologa?

LE AGGRESSIONI SUI BAMBINI INNOCENTI SI PERPETRANO NON SOLO QUANDO SONO GIÀ NATI, MA ANCHE E SOPRATTUTTO QUANDO SONO ANCORA NEL GREMBO MATERNO

Compito di chiunque abbia a cuore il bene di quelle creature è dunque quello di «dare voce ai senza voce». Come, del resto, è scritto nel motto di ProVita Onlus. E non è un caso che quest’ultima sia nata dal sacrificio di Chiara Corbella Petrillo. La sua vita, infatti, rappresenta un chiaro esempio di come ciascun bambino meriti di essere amato e rispettato, compresi i non nati, compresi quelli malati che – tra i non nati – sono gli esseri umani meno considerati. 9 N. 64


Sono questi ultimi, infatti, i “senza voce” per eccellenza, a essere perennemente dimenticati quando si parla di violenza sui bambini. Eppure, trattando un tale argomento, non si dovrebbe fare a meno di parlare di aborto. Giovane moglie, Chiara concepisce prima Maria Grazia Letizia e poi Davide Giovanni, entrambi destinati a vivere fuori dal grembo materno per poco meno di un’ora. Quella dell’aborto era certo una possibilità. In entrambi i casi avrebbe evitato il dolore di veder nascere e morire quei bimbi lo stesso giorno, ma questo avrebbe comportato ucciderli anzitempo. Chiara, invece, col marito Enrico, ha avuto il coraggio di accompagnare questi suoi due figli per tutto il corso della loro breve esistenza, senza eliminarli in anticipo e trattandoli per ciò che erano: i suoi bambini, esseri umani veri e propri, meritevoli di rispetto come tutti. Molte donne, al posto suo, avrebbero optato per un aborto immediato, ignare di quanto ciò non avrebbe fatto altro che amplificare a dismisura la loro già grande sofferenza. La vita di Chiara continua e rimane incinta del suo terzo figlio, Francesco. Finalmente un 10 N. 64

CHIARA CORBELLA È UN ESEMPIO EROICO DI ACCOGLIENZA E AMORE PER I BAMBINI, FIN DAL PRIMO ISTANTE DEL LORO CONCEPIMENTO

bambino che potrà sopravvivere! Ma questa volta è lei a stare male. Quella che inizialmente aveva le sembianze di un’afta era in realtà un carcinoma. Un adeguato trattamento tempestivo avrebbe potuto curarle il tumore, ma sarebbe stato nocivo per il piccolo che portava in grembo. Ancora una volta, Chiara sceglie di tutelare la vita di suo figlio, anche a scapito della propria. Francesco nasce e sta bene, invece il tumore di Chiara si è già diffuso. Il 13 giugno 2012, quel corpo che ha donato tutto per amore dei figli che ha generato esala il suo ultimo respiro.

che la vita umana va rispettata fin dal concepimento e che non si può pensare di difendere i bambini dalla violenza se si è al contempo favorevoli all’aborto. Solo così potremmo essere realmente in grado di “dare voce ai senza voce”, siano essi già nati o ancora no, e di far vivere i nostri bambini in un mondo che sappia davvero accoglierli come meritano.

Con il suo estremo sacrificio, questa giovane madre ci insegna

Chiara Corbella ed Enrico Petrillo


Aiuti umanitari

di Patrizia Floder Reitter

e abusi sessuali

L’Onu e le ong che si recano in Paesi devastati da guerre o altre emergenze umanitarie sono spesso coinvolti in scandali a sfondo sessuale

Aiuti umanitari e abusi sessuali. Un tragico binomio nei Paesi dove guerre, fame e miseria richiamano organizzazioni non governative e la stessa Onu. Da almeno quindici anni, il Palazzo di vetro e le sedi di molte associazioni che si battono per i diritti umani vedono moltiplicarsi i fascicoli di denunce che arrivano da ogni parte del mondo per stupri, orge, sfruttamento di donne e minori compiuti dai loro stessi funzionari. Si cerca di tenere nascosta una documentazione minuziosa, implacabile quanto imbarazzante da gestire, sulle nefandezze compiute dal personale militare e civile, ma lo scandalo ha raggiunto proporzioni gigantesche e solo la faccia tosta delle Nazioni Unite permette di non far saltare in aria l’intero apparato della cooperazione internazionale. Nel febbraio di quest’anno, l’ong Plan International, attiva

in una cinquantina di Paesi dove si occupa anche di contrastare la mutilazione genitale femminile e i matrimoni precoci, ha rivelato sul suo sito web casi di abusi sessuali, anche su minori, perpetrati da membri dello staff o da collaboratori. Un’autodenuncia arrivata poche settimane dopo il ciclone di accuse, scatenato dalle rivelazioni del Times e che ha travolto l’ong Oxfam: gruppi di giovani prostitute sarebbero state contattate per orge con funzionari dell’organizzazione, volati ad Haiti per aiutare la popolazione stremata dallo spaventoso terremoto del 2010. Oxfam, che riceve 340 milioni di euro l’anno tra fondi governativi, donazioni pubbliche e private, mentre agli occhi del mondo aiutava la popolazione caraibica, la umiliava reclutando anche minorenni per festini sessuali che si consumavano nelle abitazioni dei suoi dipendenti, lontano

NEL FEBBRAIO DI QUEST’ANNO, L’ONG PLAN INTERNATIONAL HA RIVELATO SUL SUO SITO WEB CASI DI ABUSI SESSUALI, ANCHE SU MINORI

dalle povere baracche dei terremotati. L’ong ha ammesso di aver aperto un’indagine interna nel 2011, che portò ad alcuni licenziamenti e alle dimissioni del direttore per Haiti, il sessantottenne belga Roland van Hauwermeiren che aveva confessato di avere avuto rapporti sessuali con una giovane, dandole in cambio latte e pannolini per i suoi bambini. Però, stando alle rivelazioni del Times, le autorità haitiane non furono informate dei gravi 11 N. 64


episodi e contro Oxfam non fu intrapresa alcuna azione legale. Altre decine di casi di abusi sono stati accertati in quella povera isola, violentata dalla natura e dai contingenti umanitari. Sono solo gli ultimi episodi di vergognose condotte (chissà quante sono nascoste all’opinione pubblica) insabbiate tra silenzi e omertà che lasciano solo intuire quanto grave sia il degrado morale di organizzazioni, impegnate (sulla carta?) a mantenere la pace e la sicurezza internazionale, a «promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a vantaggio di tutti gli individui», come recitano i primi articoli dello statuto delle Nazioni Unite. L’elenco delle accuse, infatti, esigerebbe una dimissione di massa dei vertici, accompagnata da una formidabile pulizia interna alle organizzazioni umanitarie. Scriveva nel 2014 Il Foglio: «I Caschi blu hanno abusato sessualmente di bambini congolesi per dieci anni.

GRAÇA MACHEL, MOZAMBICO: «L’ONU E IL SISTEMA ATTUALE HANNO SCELTO DI SACRIFICARE I CORPI DELLE DONNE»

12 N. 64

Lo hanno fatto all’interno della missione Monuc, promossa nel 1999 con la risoluzione 1493 del Palazzo di vetro per pacificare il Paese al termine della guerra civile. Quindici Paesi hanno contribuito alla missione con oltre 13.000 soldati, 735 funzionari civili internazionali e oltre mille membri locali dello staff». L’inchiesta, condotta dal quotidiano, metteva insieme una lista impressionante di nefandezze, compiute dai “molestatori umanitari” (civili o personale militare che fossero), impegnati in operazioni di peacekeeping, ovvero di mantenimento della pace. Orrori da gironi infernali. Bambine costrette a prostituirsi per pochi dollari o in cambio di un biscotto, pacificatori che dall’Eritrea al Kosovo, dalla Costa d’Avorio al Mali, da

LA CONNIVENZA CON RETI DI PEDOFILI È STATO UNO DEI SOSPETTI SOLLEVATI, PERÒ NON È DATO SAPERE COME SIANO FINITE LE ACCUSE

Haiti al Congo, abusavano di ragazzini con l’impunità da nuovi colonizzatori cui tutto è consentito. Stiamo parlando, invece, non di truppe rozze e sanguinarie in guerra, bensì di personale arruolato per missioni di pace sotto l’egida dell’Onu! La ex first lady del Mozambico, Graça Machel, autrice di un documento sugli abusi sessuali dentro alle Nazioni Unite,

Un casco blu dell’Onu con dei bambini ad Haiti nel 2010


NEL 2017, SONO STATI 24 I CASI DI ABUSI E MOLESTIE SESSUALI SEGNALATI ALLA DIREZIONE DI MEDICI SENZA FRONTIERE

aveva scritto che «l’arrivo dei Caschi blu è stato associato a una rapida crescita della prostituzione infantile». Negli ultimi anni, i riflettori si sono accesi anche sulla Siria, dove numerose donne hanno raccontato di aver barattato prestazioni sessuali in cambio di pacchi viveri, forniti da chi lavorava per organizzazioni umanitarie. «L’Onu e il sistema attuale hanno scelto di sacrificare i corpi delle donne», ha denunciato Danielle Spencer, impegnata in una charity, dopo aver raccolto le testimonianze di violenze e abusi. Lo scorso anno, secondo The Sunday Times, solo nel Regno Unito 120 operatori delle più grandi ong sono stati accusati di molestie sessuali. La connivenza con reti di pedofili è stato uno dei sospetti sollevati, però non è dato sapere come siano finite le accuse. L’International rescue committee (Irc), organizzazione presieduta dall’ex ministro

degli Esteri britannico, David Miliband, è implicata in casi di abusi sessuali nella Repubblica democratica del Congo (RdC). I casi in totale sarebbero 37, rivela il tabloid inglese The Sun e anche l’authority di vigilanza delle ong inglesi ne sarebbe al corrente dall’ agosto del 2016. Tra luglio e settembre 2017, furono denunciati 31 episodi di abusi o sfruttamento sessuale nei quali erano implicati Caschi blu (12 casi, per lo più in Mali e Repubblica centrafricana) o personale Onu, non tutti accertati. «La maggioranza dei casi civili, 15, coinvolge l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr), altri tre riguardano l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) e uno anche l’Unicef, agenzia che si occupa di bambini», riporta l’Osservatorio diritti. Nel 2017, sono stati 24 i casi di abusi e molestie sessuali segnalati alla direzione di Medici senza frontiere. «Non tolleriamo nessun abuso fisico

o psicologico contro individui, molestie sessuali, relazioni sessuali con minorenni, né nessun altro tipo di comportamento che non rispetti la dignità umana», ha dichiarato la più grande organizzazione umanitaria indipendente di soccorso medico, rivelando di aver licenziato 19 dipendenti. Anche Plan International, assieme ad altre 21 ong, lo scorso febbraio ha pubblicato una lettera aperta di scuse «per non aver saputo reagire sempre adeguatamente alle accuse di molestie o comportamenti inappropriati di propri dipendenti». Le scuse non puliscono l’infamia di cui si macchiano l’Onu e le organizzazioni umanitarie.

13 N. 64


di Giulia Tanel

«Love is the answer» Intervista a Mimmo Armiento, psicologo psicoterapeuta esperto di formazione all’amore nuziale secondo una antropologia personalista di ispirazione cristiana

Parliamo di “fedeltà”. Nella mente delle persone comuni la fedeltà richiama la “sicurezza”, la “stabilità”. Cosa evoca nella mente di uno psicologo questa parola? Per uno psicologo la parola “fedeltà” (che ha la stessa etimologia di fiducia, fede, affidabilità) non può che richiamare quella “sicurezza” e quel “fondamento stabile” che è all’origine del nostro mondo psichico: il primo rapporto con la madre. La psicologia del Novecento (interazionismo simbolico, psicanalisi interpersonale, teorici dell’attaccamento e dell’Infant Research, scuola della intersoggettività di Stern…) ha dimostrato abbondantemente che un neonato non può essere allevato con gesti meccanici e routinari da persone “sostituibili”, o come se fosse egli stesso “sostituibile”, senza pagarne prezzo. Fin dalle prime ricerche 14 N. 64

di Renè Spitz si documentò che neonati deprivati totalmente o parzialmente dell’affetto materno andavano incontro a uno stato di devitalizzazione che ne bloccava la crescita e li rendeva aggredibili da malattie fino a una percentuale di morte tra il primo e il secondo anno di vita nettamente superiore alla media del territorio (nonostante che le condizioni igieniche, di assistenza medica e alimentari fossero non solo pari, ma anche superiori, alla media del territorio). Non è allora un romanticismo poetico affermare che un essere umano non vive senza amore: è un dato documentabile empiricamente. «Love is the answer» è la celebre risposta dello psichiatra di Harvard George Vaillant al più completo e costoso studio sulla felicità mai condotto empiricamente.

Mimmo Armiento

Primo piano


Siamo esseri umani e come tali non esistiamo semplicemente, ma sappiamo di esistere e desideriamo di esistere: ebbene, sia la consapevolezza di me come soggetto, sia il desiderio di vivere (il “permesso di esistere”, cioè un senso fondamentale di okness interiore, per il quale mi sento “buono” e avverto quindi come un “bene” per me esserci) mi è stato trasmesso attraverso l’incontro con un altro – mia madre in primis – che “mi ha riconosciuto” come un “tu” e che mi ha desiderato, mi ha voluto bene, ha gioito e fatto festa per me – proprio per me nella mia unicità e insostituibilità. Ho interiorizzato le intenzioni che mi sono state rivolte: e sono arrivato a volermi bene proprio perché prima sono stato voluto bene! La radice etimologica di “fedeltà” viene dal sanscrito bandh- e significa legame. Io esisto e desidero esistere solo perché prima qualcuno si è “legato” a me, volendomi bene: cioè si è reso fedele a me (affidabile, responsivo) e mi ha riconosciuto/rispettato in modo “fedele” rispetto alla mia natura più profonda, data solo in modo potenziale come un seme da far germogliare. Primo piano

Gli psicologi sanno che l’attaccamento “sicuro” madre-bambino è predittivo di rapporti coniugali stabili e soddisfacenti. Sanno che un buon legame madre-bambino correla con una sorta di “fiducia di base” rispetto a se stessi, all’altro, alla vita. Quel legame-fiducia da cui prendiamo vita già prima della nostra nascita – e che in noi resta come origine e fondamento della nostra vita psichica – è lo stesso legame-fiducia che ci doniamo quando sposandoci ci consegniamo l’un l’altro, nei nostri corpi e con tutta la nostra vita, nello scambio di due anelli che chiamiamo “fedi” nuziali. Ed è lo stesso legame che continua a darci vita! E che permette circolarmente di generare ancora vita, sposando il biologico e lo spirituale. È stupefacente infatti riconoscere che un neonato non è mai solo un ammasso di cellule: anche solo come evento biologico non può esplicitarsi e diventare un organismo vivo di due anni che respiri, cammini e parli senza l’incontro benedicente con uno sguardo spirituale che in qualche modo lo “sposi”, riconoscendolo come persona e come carne propria, unito a sé

UN NEONATO NON PUÒ ESSERE ALLEVATO CON GESTI MECCANICI E ROUTINARI DA PERSONE “SOSTITUIBILI”, O COME SE FOSSE EGLI STESSO “SOSTITUIBILE”, SENZA PAGARNE PREZZO

15 N. 64


e contemporaneamente distinto da sé (“i due uno”): ed è proprio questo senso di appartenenza intrinseco e unicizzante che fonda la possibilità per ciascun io che viene al mondo di “sposare” la propria carne, arrivando a sentirsi se stesso, at home nella propria corporeità, in dolce intimità con se stesso. Ma allora la fedeltà “si impara”, oppure è innata? Come esseri umani non siamo solo atomi di carbonio o solo cellule viventi o solo organismi animali. Da psicologo distinguo due orientamenti paradigmatici, uno “meccanomorfico” che riduce l’uomo a “macchina”, uno “antropomorfico” che ne riconosce invece la specificità. Quando allora ci basiamo su studi evoluzionistici rischiamo di perdere proprio lo specifico

dell’uomo: è l’unico essere che non ha una “natura” determinata in modo costrittivo. Un uomo non ha solo coscienza di un “pericolo” o di un “cibo”, ha invece una meta-coscienza e una metalibertà di sé davanti al tutto; non cerca solo l’utile, per la sopravvivenza, cerca il senso, si domanda un perché, contempla quello che c’è per il fatto stesso che c’è, resta catturato da una domanda che

L’UOMO NON CERCA SOLO L’UTILE, PER LA SOPRAVVIVENZA, CERCA IL SENSO, SI DOMANDA UN PERCHÉ

16 N. 64

Primo piano


ABBIAMO UNA “NATURA” COME ESSERI-IO CHE CI È CONSEGNATA COME “INTENZIONE” DA REALIZZARE: È DATA ALLA NOSTRA COSCIENZA, ALLA NOSTRA LIBERTÀ, ALLA NOSTRA RESPONSABILITÀ, ALLA NOSTRA INTERSOGGETTIVITÀ

gli si pone: «Perché c’è tutto questo? E perché ci sono io?». Un essere umano è essenzialmente fuori da un discorso scientifico riduzionista proprio perché la soggettività che si riconosce in parole come “io-tu-perché” è incommensurabile rispetto al mondo degli oggetti dicibili in terza persona (Roger Scruton). Un uomo non cammina perché ha le gambe; e neanche perché ha fame ed è programmato geneticamente per mangiare. Un uomo cammina se ha una ragione per alzarsi e per mangiare! Un uomo allora ha una metaconsapevolezza e una metalibertà: può riconoscersi come dato a se stesso in un certo modo (secondo una certa forma, impressa nella sua corporeità) e decidere di rispettarlo e di averne riguardo e cura. Oppure può negare il suo fondamento, smettere di essere “fedele” alla sua natura… Primo piano

La fedeltà di un uomo alla sua donna (ma anche la fedeltà in qualunque rapporto amoroso/amicale) rispetta profondamente la nostra natura: nessuno, per esempio, mi deve insegnare il senso di tradimento che provo se la persona che amo fa sesso con un altro; nessuno mi deve spiegare il senso di tradimento che provo nel momento in cui i miei genitori dovessero picchiarsi o separarsi o se un padre dovesse maltrattarmi o se un qualunque essere umano da cui mi aspetto rispetto e comprensione dovesse “offendermi”. Abbiamo una “natura” profonda che riconosciamo in noi intrinsecamente. Ci sono molti studi empirici che documentano le basi innate della nostra moralità 17 N. 64


(es. Bloom, Turiel e Nucci, Mikhail, Hauser): il principio della distribuzione equa o del proteggere il debole o del punire il cattivo o la stessa distinzione tra regole “convenzionali” (es. il colore della divisa scolastica) e regole “morali” sono come intrinseci alla nostra autoconsapevolezza. Ma questa “natura” non è il prodotto casuale e meccanico di una selezione naturale, altrimenti non avrebbe nulla di prescrittivo per la nostra coscienza morale e sarebbe un mero dato trasformabile a piacimento (perfino l’esistenza stessa del genere umano non sarebbe riconoscibile come buona in sé, fa rilevare Rémi Brague): è piuttosto il riconoscimento di una “essenza” umana che va al di là di una struttura solo inorganica-vegetale-animale. Quella che i filosofi precedenti al Positivismo non hanno mai avuto difficoltà a chiamare “anima o spirito” e che riconosce il luogo in cui incontriamo l’uomo in quanto uomo. Ed ecco allora che se mia moglie mi è fedele è perché spontaneamente (secondo una “natura” in lei intrinseca) sente e sa che amarmi significa amare me nella mia insostituibilità e nella mia “totalità” e nella mia “permanenza” nel tempo come io e sa che questo è 18 N. 64

SE PERDIAMO LA “PIETAS”, PERDIAMO ALLORA NON SOLO LA FEDELTÀ MATRIMONIALE, MA PERDIAMO OGNI TIPO DI LEGAME CHE CI RENDE UOMINI

anche il suo bene e che lo desidera anche per sé. Nessuno si sente amato infatti se fosse amato “a comando”, per scopi commerciali, per rispetto di legge, oppure part-time o solo per una parte di sé o per un tempo determinato (ti amerà fino a quell’ora!). Allora la fedeltà è innata? Se innato significa predeterminato biologicamente in modo costrittivo, rispondo no. Perché noi possiamo sempre andare contro qualunque “natura” ci fosse data dal nostro Dna. Se innato invece significa che è conforme a come siamo nella nostra specificità di esseri umani, rispondo: assolutamente sì.

Ma la fedeltà si impara? Certamente, come si impara ogni cosa della vita. Ma la si impara non come se qualcuno dovesse mostrarcela e imporcela dall’esterno: si impara nel senso che ce la fa riconoscere dentro come “esigenza costitutiva” del nostro essere. E così posso dire a mio figlio di cinque anni: «Vedi, amore si mantengono le promesse. Ci rimarresti male anche tu se io non ti portassi quel regalo che ti ho promesso al compleanno? Ci rimarresti male se il tuo amico non venisse? O se mamma si dimenticasse di venirti a prendere all’asilo?». Primo piano


L’umano non può essere propriamente insegnato: non si può insegnare l’imbarazzo, ad esempio, se prima non lo si prova. Lo si può aiutare a riconoscere e a gestire. Abbiamo una “natura” come esseri-io che ci è consegnata come “intenzione” da realizzare: è data alla nostra coscienza, alla nostra libertà, alla nostra responsabilità, alla nostra intersoggettività. Ecco allora che il discorso morale su: «È buono essere fedeli alla propria moglie» si ancora su un principio che lo precede: «È buono essere fedeli alla nostra natura, che ci è data». Cioè la moralità, per quello che ho compreso io, non può che basarsi sull’intuizione (implicita o esplicita) della nostra creaturalità. Si risponde con una buona intenzione solo al riconoscimento/rispetto di una intenzione che ci precede. Altrimenti “tutto è permesso”. La fedeltà, nella nostra società liquida, ha perso il connotato pressoché univocamente positivo che aveva fino a pochi anni fa.

Primo piano

Ci siamo sbarazzati ormai del fondamento su cui poggiamo i piedi: del Dio che è al principio del nostro stesso desiderio di vita, della benedizione che fonda la nostra okness in modo assoluto e della forma-intenzione con cui siamo fatti come esseri umani. Se perdiamo la “pietas”, il rispetto per quello che ci è stato dato, perdiamo allora non solo la fedeltà matrimoniale, ma perdiamo ogni tipo di legame che ci rende uomini e che ci permette di sorriderci, di provare tenerezza, attrazione, comprensione come persone… La nostra società liquida essendosi appropriata della nostra origine-natura (Günther Anders), tende a ipertecnologizzarci e quindi a ridurci a “cose” – cose che si possono comprare, cose che si usano e si gettano – oggetti di consumo. Ma mi chiedo: quand’anche avessimo raggiunto lo scopo di non essere più

“legati” fedelmente a nessuno (e non solo nel matrimonio, ma anche nell’amicizia, nella famiglia, nella patria…), ma solo connessi con tutti, quand’anche avessimo raggiunto il massimo della liquidità e nessuno sentisse più di appartenere a nessun altro ma di essere soltanto tutti connessi in rete e con ogni piacere soddisfatto, siamo davvero sicuri che qualcuno avrà ancora desiderio di vivere? Io sono convinto che nessun uomo accetta di esistere se non sa di esistere almeno nel cuore di un altro, che reciprocamente ospiti in sé. Nessuno accetta di esistere, se non si sente amato almeno da qualcuno. E se non sa di vivere almeno “per” qualcuno (sia nel senso del dare che del ricevere).

19 N. 64


Ma “amato” non può che essere (almeno nella speranza e nel desiderio) per sempre e in tutto di me. E tu per me e io per te…. Come si realizza tra due sposi che si amano fedelmente! Due persone cioè che riscelgono liberamente di donarsi quell’amore di appartenenza e unicizzante (carne mia) da cui sono nati e che lo integrano nella propria sessualità, donandosi vita e permettendo alla vita di continuare a generarsi. Come mai certe persone non riescono a essere fedeli? Le risposte variano situazione per situazione. Appunto perché come esseri umani non siamo soggetti a rigidi determinismi. In generale possiamo dire che se il nostro cuore non guarisce dai traumi che ha ricevuto, tende a ripeterli (così situazioni di abbandono o di violenza o di sfiducia/tradimento e anaffettività). Se, ad esempio, non riesco ad accedere all’intimità (“deprivazione emotiva”, secondo gli psicologi Young e Klosko) – se ho dei blocchi nell’esprimere i miei sentimenti o nel mettermi a nudo – invece che con la donna che amo può diventare più facile, in modo surrogato, intrattenere rapporti 20 N. 64

con amanti incontrate per sesso o anche solo per conversazioni online. Ci sono situazioni che possono essere inquadrate in veri e propri disturbi della personalità (es. psicopatica o narcisistica o borderline), altre che sono più riconducibili a scelte morali e ad abiti virtuosi o viziosi. Senza dimenticare poi che spesso il tradimento è sintomo di un malessere nella coppia. Se il nostro cuore non viene alimentato dall’amore di cui ha bisogno, finisce per cercare surrogati. E il sesso-senzaimpegno è un ottimo candidato come “surrogato” dell’amore. Una situazione che vorrei segnalare – poco nota anche tra i tecnici che aiutano nei percorsi di educazione all’affettività – è che se nel periodo del fidanzamento non si è fatto un percorso di castità, che abbia aiutato ad integrare gradualmente la sessualità nel “legame” (cioè

impastandola di pari passo con il coinvolgimento affettivo, ma anche con l’alleanza, la crescita personale, la progettualità comune, le scelte di vita e la presentazione pubblica), è più facile che la linea “erotica” possa essere rimasta scissa dalla linea “affettiva” e che questo possa poi rendere più difficile godere di una sessualità appagante nella vita matrimoniale, e dare quindi occasioni per “fughe” trasgressive ritenute “più eccitanti” e giustificate magari anche come «Era solo sesso». Primo piano


A livello di benessere psicologico, vi sono dei vantaggi nell’essere fedeli in prima persona e nell’essere circondati da persone portatrici della stessa caratteristica? Mi viene in mente Stringimi forte, il titolo di un libro di Sue Johnson sulla terapia di coppia, dove tra l’altro l’autrice cita ricerche che documentano come migliori la risposta fisica immunitaria a malattie, la resilienza a stress e la capacità di tollerare dolori in una relazione di coppia buona. Il fulcro centrale della sua terapia è l’accesso a questa richiesta reciproca da cuore a cuore: «Posso contare su di te? Ci sei per me? Mi ospiti nel tuo cuore?». I terapeuti di coppia sanno bene quanto ognuno di noi porti nel cuore questa esigenza radicale: di essere sì noi stessi, ma in fondo di poterlo essere solo quando sappiamo che un altro Primo piano

gioisca per me e con me. Un altro che, aggiungo io, posso cercare non solo quando avessi bisogno di conforto nella mia fragilità (“base sicura”, come nell’attaccamento madrebambino), ma ancora più quando desiderassi condividere la mia gioia e la sua. Perché nessun essere umano può essere felice da solo. E la prima miseri-cordia che ci facciamo è quando, abbracciandoci, ognuno “prende a cuore” la prima “miseria” dell’altro: il suo essere “niente” senza essere riconosciuto da uno sguardo, benedetto da un sorriso e ospitato in un cuore che faccia festa per lui (festiao = accogliere in casa). Per sempre. Siamo polvere impastata d’amore, ma senza amore… resta solo la polvere. E l’amore non è tanto con chi far tardi la sera (sostituibile), ma per chi svegliarsi presto al mattino. Ogni giorno. 21 N. 64


di Roberto Marchesini

Il matrimonio è una cosa (parecchio) seria

Nel matrimonio si promette di amare “per sempre” un’altra persona: l’amore è una decisione, una scelta non un sentimento

Solitamente, quando si parla di matrimonio, di parla di “fedeltà” come sinonimo di esclusività: un matrimonio è fedele se non deve convivere con altre relazioni. Difficilmente, però, si considera il divorzio come una forma di infedeltà; e non solo perché espone se stesso e il coniuge ad altre relazioni al di fuori del matrimonio. Il divorzio è, a tutti gli effetti, una forma di infedeltà. Non al coniuge, bensì alla promessa matrimoniale. Siamo così abituati al lato “mondano” del matrimonio da dimenticare che esso è, sostanzialmente, una promessa. Gli sposi promettono di accogliere, essere fedele, amare e onorare l’altra persona; e non per tutti i giorni della sua vita, ma per tutti i giorni della propria vita.

e nella malattia dell’altro. Gli sposi promettono di amare e onorare l’altro anche se essi stessi sono ammalati e nel dolore. Non c’è che dire: il matrimonio è una cosa seria, parecchio seria.

«IL DIVORZIO È, A TUTTI GLI EFFETTI, UNA FORMA DI INFEDELTÀ. NON AL CONIUGE, BENSÌ ALLA PROMESSA MATRIMONIALE»

A questo punto sorge un’obiezione: se l’amore è un sentimento, come si può promettere di amare una persona per tutti i giorni della propria vita? Io posso dire di amarlo in questo momento, perché sento questo sentimento; ma come posso promettere di amarlo in futuro? Come può la Chiesa chiedere una cosa del genere? È assurdo!

Preferirei lasciar rispondere a questa domanda ad una persona ben più titolata di me, Papa Benedetto. Nel giugno 2012, al Parco di Bresso, in occasione della Festa della Famiglia, una coppia di fidanzati del Madagascar ha rivolto al papa esattamente questa domanda:

Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Anche in questo caso: non nella gioia e nel dolore dell’altro, nella salute 22 N. 64

Primo piano


«Santità, c’è una parola che più d’ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il “per sempre”...». Come possiamo promettere di amare una persona “per sempre”? Ed ecco la meravigliosa, illuminante risposta di papa Benedetto: «Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: “Sei innamorato?”, bensì “Vuoi”, “Sei deciso”». Il matrimonio, in altri termini, non chiede di promettere di provare per sempre determinati sentimenti, ma di “volere” il bene dell’altro per sempre; di impegnarsi con costanza e determinazione nel cercare il bene dell’altro «tutti i giorni della mia vita». Emerge a questo punto uno dei più grossi errori dell’età contemporanea, ossia che l’amore, che il fondamento del matrimonio, sia un sentimento.

L’innamoramento è un sentimento, l’amore è una decisione (volere il bene dell’altro). L’innamoramento riguarda il mio bene (sono io che sono estatico, quando sono innamorato); l’amore cerca il bene dell’altro. Per questo motivo, per sposarsi è necessario – al contrario di ciò che si vede nei film – che l’innamoramento sia finito; solo allora posso dimenticare il mio bene e cercare quello dell’altro. Ecco uno dei motivi della fragilità dei matrimoni attuali: sono fondati su un sentimento (l’innamoramento); e, quando questo sentimento finisce… finisce il matrimonio. Ma se io fondo il matrimonio su una decisione? Il matrimonio può finire solo a causa di una decisione…

Per quanto folle possa apparire a un sereno ragionamento, i giovani sono convinti che la coppia abbia bisogno di due condizioni fondamentali per funzionare: l’innamoramento e l’attrazione sessuale.

UNO DEI PIÙ GROSSI ERRORI DELL’ETÀ CONTEMPORANEA È PENSARE CHE L’AMORE SIA UN SENTIMENTO

Complici tanti film hollywoodiani e il pensiero mainstream – per il quale lo scopo della vita non è dominare, con la ragione, le passioni; bensì lasciare loro libero sfogo – molte persone sono convinte che il matrimonio debba giungere al culmine di sentimenti estatici nei confronti dell’altro. Ma questo è l’innamoramento, non l’amore. Primo piano

23 N. 64


bene dell’altro… prende una decisione, della quale è responsabile tanto quanto la decisione di sposarsi. In altri termini: infrange una promessa che ha contratto liberamente. Il “consenso” o “processicolo” ha esattamente lo scopo di accertarsi che la decisione di sposarsi (una decisione grave e seria) sia assolutamente libera. Queste due condizioni rivelano in toto l’antropologia vigente: l’uomo non è più «spirito incarnato», ma pura carne, pura materia: capace solo di sentire emozioni, tra le quali la pulsione sessuale (che viene, non a caso, chiamata “chimica”).

La solita vocina obietterà che le condizioni sono cambiate, e che attualmente le cose non vanno così bene come al momento del matrimonio; anzi: vanno decisamente male. Ebbene: proprio per questo è necessario promettere.

Ma torniamo a noi.

Le promesse si fanno per quando le cose vanno male, non per quando le cose vanno bene.

Abbiamo detto che il matrimonio non si basa sull’innamoramento (almeno questo è ciò che chiede la Chiesa), bensì sull’amore; che non è un sentimento (come l’innamoramento), ma una decisione: quella di voler bene, di volere il bene dell’altro. Ecco, quindi, che colui il quale smette di volere il

24 N. 64

Ricordate? Anche nella mia malattia, anche nel mio dolore, prometto di esserti fedele, amarti e onorarti… Ne deriva – e non so come potrebbe essere altrimenti – che colui il quale decide di divorziare, prima ancora di

causare una serie di problemi di vario tipo al coniuge e alla prole, infrange una promessa fatta (almeno teoricamente) liberamente e in piena coscienza. Questa è la sua prima infedeltà: a se stesso, alla propria parola. Questa è la prima fedeltà alla quale siamo chiamati: a noi stessi, prima ancora che agli altri. Come abbiamo visto, la Chiesa ha ben chiare queste cose; per questo ha elaborato la nota formula delle promesse matrimoniali, e per questo ha introdotto la pratica del processicolo. Sono i fidanzati e gli sposi che, spesso, hanno le idee confuse dalla nostra società materialista, edonista e consumista. Vogliamo lottare in difesa della famiglia? Vogliamo aiutare le famiglie e le coppie? Cerchiamo di dire loro la verità...

Primo piano


di Francesco Agnoli

Il marito fedele

Kierkegaard spiega l’etica del marito fedele, l’etica della scelta e della responsabilità

Il grande filosofo danese Søren Kierkegaard, nato a Copenhagen, in Danimarca, nel 1813, ha riflettuto su quelli che sono per lui i tre stadi possibili della vita dell’uomo: la vita estetica, quella etica e quella religiosa. Vorrei qui proporre alcune sue riflessioni. Per Kierkegaard la vita estetica, quella del Don Giovanni che passa di donna in donna senza mai trovare il vero amore, assomiglia un po’ a quella dei lussuriosi danteschi: è il vento che «di qua, di là, di su, di giù, li mena». L’esteta, sempre in “fuga”, si lascia vivere, in balia del piacere, senza prendere una decisione. Ma questo modo di vivere porta piano piano alla disperazione, e quindi all’ora della verità, all’ora di gettare la “maschera” e di scegliere davvero.

La vita etica è proprio la vita caratterizzata dalla scelta, dalla responsabilità, dal rifiuto di assolutizzare l’“effimero”, ed è incarnata dal marito fedele (cioè di fede, cioè fiducioso nella possibilità di costruire davvero e per sempre), dalla sua costanza, dal suo senso del dovere morale. Il marito è colui che vive non solo nel ricordo del passato, né solo nella speranza del futuro, ma radicato nel passato e proiettato verso il futuro.

CHI PASSA DI DONNA IN DONNA SENZA MAI TROVARE IL VERO AMORE, L’ESTETA, SEMPRE IN “FUGA”, SI LASCIA VIVERE, IN BALIA DEL PIACERE, MA GIUNGE PIANO PIANO ALLA DISPERAZIONE

Il matrimonio, quanto alla libertà, non è solo il «Sì» del giorno delle nozze: è dire sì tutti i giorni, ri-scegliere ogni istante, rendendo l’istante durevole, tenendo insieme sensibilità e spiritualità, e immettendo l’eternità del “per sempre”, nel tempo, nel quotidiano, così da fecondare il finito con l’infinito. Si tratta di un atto di fiducia verso Dio e di coraggio verso il mondo. Søren Kierkegaard (1813 - 1855)

Primo piano

25 N. 64


Il matrimonio, scrive Kierkegaard, «è e resterà il più importante viaggio di scoperta che l’uomo possa intraprendere: […] così è il matrimonio. È divino, poiché l’amore è il miracolo; è terreno, poiché l’amore è il mito più profondo della natura. L’amore è la ragione insondabile che si nasconde nell’oscurità, ma la decisione è il vincitore che, come Orfeo, porta l’amore alla luce del giorno; poiché la decisione è la forma autentica dell’amore, la sua spiegazione autentica, e per questo il matrimonio è santo e benedetto da Dio. Ha un carattere sociale, poiché è in virtù del matrimonio che gli innamorati appartengono allo Stato, alla patria e partecipano della cosa pubblica. È poetico e ineffabile al pari dell’amore, ma è la decisione il traduttore scrupoloso che volge l’esaltazione in realtà, e questo traduttore agisce con indicibile precisione. La voce dell’amore “somiglia alla voce delle fate che si leva dalle grotte nelle notti d’estate”, ma la decisione ha la serietà della perseveranza che risuona anche nel fuggevole e nel caduco. Il passo dell’amore è leggero come quello della danza sui prati, ma la decisione sostiene il danzatore stanco, finché la danza ricomincia.

26 N. 64

Così è il matrimonio; contento come un bambino, e tuttavia austero, perché ha costantemente il miracolo davanti agli occhi; modesto e appartato, e tuttavia abitato dalla solennità. Come rimane chiusa durante il servizio divino la porta del commerciante, quella del matrimonio lo è sempre, poiché lì il servizio divino si celebra costantemente. È preoccupato, ma di una preoccupazione che non è spregevole, giacché poggia sulla comprensione e sull’immedesimazione con tutto il profondo dolore dell’esistenza; chi non conosce questa preoccupazione non è un’anima bella. È serio, e tuttavia addolcito dal gioco, poiché non voler far tutto è un pessimo gioco, ma fare del proprio meglio e tuttavia capire che è sempre poco, troppo poco, niente rispetto a quel che desidera l’amore e quello a cui la decisione aspira, è un gioco felice... È appagato, e tuttavia pieno di aspettative; gli innamorati bastano a se stessi, e tuttavia sono al mondo solo per gli altri. È quotidianità, certo, che cosa è più quotidiano del matrimonio?

LA VITA ETICA È CARATTERIZZATA DALLA SCELTA E DALLA RESPONSABILITÀ

È cosa assolutamente temporale, e tuttavia la rimembranza dell’eternità sta in ascolto e non dimentica nulla» (S. A. Kierkegaard, Considerazioni varie sul matrimonio. In risposta a delle obiezioni da parte di un marito, in Stadi sul cammino della vita, a cura di L. Koch, Rizzoli, Milano 2001, pp. 226228). Quanto alla donna, che è «in buoni rapporti con il tempo», nel matrimonio essa non è oggetto di piacere, godimento del seduttore, ma emblema della concretezza, dell’amabilità, della felicità stabile e durevole. Scrive Kierkegaard: «La donna è debole: no, essa è umile, essa è molto più vicina a Dio dell’uomo. Si aggiunga a questo che l’amore (qui Kierkegaard usa il termine “Kjaerlighed” che è amore come rapporto personale, a differenza di “Elskov” che è Primo piano


IL MATRIMONIO È DIVINO E TERRENO…

l’amore sensibile) è tutto per essa ed essa non disdegnerà quindi la benedizione e la confermazione che Dio le vorrà accordare. Del resto non è mai venuto in mente a nessuna donna di fare delle obiezioni contro il matrimonio, a meno che non siano stati gli uomini a corromperla, questo non accadrà per tutta l’eternità. Una donna emancipata potrebbe certamente farlo. Lo scandalo però viene sempre per opera dell’uomo perché l’uomo è orgoglioso, vuole essere tutto, non sopporta nulla al di sopra di sé» (S. V., t. II, p. 59).

Kierkegaard, appartengono alla vita più intima e segreta della famiglia ed a questo mistero deve rivolgersi ogni pensiero serio e pio su queste questioni. Qui si vedrà anche che ogni bambino porta ancora un’aureola sul suo capo; qui ogni padre avrà anche il sentimento che c’è nel bambino qualche cosa di più di quel che ha ricevuto da lui: sì, s’accorgerà con LA DONNA È PIÙ VICINA A DIO DELL’UOMO

umiltà che si tratta di un bene che gli è stato affidato e che, nel senso più bello, egli non è che un padre putativo» (S. V., t. II, p. 81). È in questo contesto eticoteologico del fondamento e della destinazione soprannaturale che Kierkegaard proclama apertamente la superiorità della famiglia sullo Stato: «Il matrimonio è il centro della vita temporale e la personalità non può mettersi direttamente in rapporto con l’idea dello Stato» (S. V., t. VI, p. 184).

Nel matrimonio, accanto all’uomo e alla donna c’è Dio, che eleva e conserva l’amore degli sposi, sostenendo la libertà umana (dire di nuovo sì è un atto di una libertà veramente libera), e impedendo alla sensibilità, al tempo, all’egoismo, all’orgoglio... di uccidere lo spirito, l’eternità, l’amore, l’umiltà. Infine i figli, responsabilità e benedizione: «I bambini, scrive Primo piano

27 N. 64


di Clemente Sparaco

Alla ricerca del sesso perduto L’informazione sessuale genetica è all’inizio dell’esistenza umana. Molto dopo vengono le sensazioni psichiche circa l’appartenenza al proprio sesso Secondo i teorici del gender, l’identità sessuale non sarebbe definita da differenze biologiche e neurologiche, ma dal sentire intimo e, in ultima istanza, dalla decisione personale. Rimanderebbe, quindi, a una sfera meramente soggettiva che investe l’arbitrio individuale al punto da includere modifiche dell’aspetto o delle funzioni del corpo con mezzi medici, chirurgici etc.. Pertanto, piuttosto che di “sesso”, preferiscono parlare di “genere” o di “orientamento sessuale”.

È evidente, date queste premesse, che la dualità sessuale ne risulti relativizzata, intaccata. Non ci sono, infatti, per i teorici del gender, due soli generi, ma tanti quanti sono gli orientamenti sessuali: uomini omosessuali, donne lesbiche, bisessuali, transessuali, uomini e donne intersessuali come generi distinti… in una friabilità, flessibilità e fluidità che finisce per liquefare la polarità maschio-femmina. Il sesso è un’opinione o, meglio, un’opzione.

Il genere, per i teorici del gender, può corrispondere, ma anche non corrispondere, al sesso assegnato alla nascita. Allo stesso modo, la percezione del corpo e le altre modalità di espressioni del genere (l’abbigliamento, l’eloquio, la gestualità etc.) possono corrispondere, ma anche non corrispondere. È, quindi, l’identità di genere, e cioè l’identità percepita, a determinare l’identità sessuale, e non viceversa.

A sigillo di questo paradigma è posto il principio di autodeterminazione, in base al quale la libertà autonoma dell’individuo, determinantesi in ragione delle proprie scelte, non è mai sindacabile o oltrepassabile. Il sesso lo si sceglie, lo si veste come un abito, e nessuno potrebbe legittimamente entrare nella sfera decisionale del soggetto.

28 N. 64

L’AUTODETERMINAZIONE È UNA MODALITÀ DI AUTORELAZIONE, UN CIRCUITO AUTOREFERENZIALE, SEGNATA DALLA CHIUSURA, DALLA SEPARAZIONE VERSO L’ESTERNO

Il sesso si determina nel Dna fin dal concepimento: la presenza o l’assenza del cromosoma Y definisce il maschio o la femmina: tertium non datur, neanche quando – per rarissimi problemi genetici – il bambino risulta intersessuale, cioè con organi sessuali ambigui.

Primo piano


Ma l’autodeterminazione altro non è se non una modalità di autorelazione, nel senso che il soggetto, l’individuo, pretende di determinarsi in un circuito autoreferenziale che recide vincoli, rapporti e condizionamenti, non solo rispetto alle norme sociali o morali, ma anche rispetto al dato biologico. Il mondo dell’autodeterminazione dell’individuo è segnato, pertanto, dalla chiusura, dalla separazione, dall’irrelazione, verso l’esterno, l’esteriore, il naturale. L’irrelazione è innanzitutto quella che separa la percezione soggettiva dell’individuo dal proprio corpo, dalla sua fisicità sessuata nel segno della dualità maschile-femminile. Perché ogni singola cellula è segnata, marcata, intrisa sessualmente, molto prima dell’avvertenza che ne possiamo avere. C’è una memoria genetica profonda, identificabile con il Dna, stabilita al momento del concepimento e corrispondente ai cromosomi XX per la donna e XY per l’uomo, che antecede anche il sesso gonadico, ben oltre le segnature eterosessuali della società con quanto di convenzionale esse possano ammettere. Primo piano

( foto: La Collina Incantata by Ga El )

Non è, quindi, come sostengono i teorici del gender, una “dittatura della natura” sulla libertà di auto-determinazione, quanto piuttosto una caratterizzazione profonda quella che impregna la carne, il sangue, gli organi, la voce, la sensibilità, l’affettività etc.. Scrive Angelo Serra in Sulle componenti biologiche della sessualità: «La struttura biologica essenziale della persona, punto di origine di fondamentali componenti di sessualità, è il suo sesso. Questa caratteristica biologica s’instaura attraverso un lungo processo di sessualizzazione, che si estende e s’interiorizza in ogni parte dell’organismo durante tutto il periodo del suo sviluppo».

CHI CREDE NELL’IDEOLOGIA GENDER SEPARA LA PERCEZIONE SOGGETTIVA DI SÉ DAL PROPRIO CORPO

29 N. 64


In questo processo dinamico di caratterizzazione sessuale, primaria e secondaria, l’informazione genetica è prima, nel senso che costituisce l’inizio. Poi dal corredo cromosomico conseguono quelle modificazioni che portano alla formazione della gonade femminile o maschile e, infine, alla conformazione dell’apparato genitale. Molto dopo vengono le sensazioni psichiche circa l’appartenenza al proprio sesso biologico o a quello opposto.

A fronte di tutto questo appare chiaro che il paradigma gender deforma il dato reale, biologico, per uniformarlo a una visione precostituita. In una parola, ideologizza il sesso. La deformazione avviene non tanto perché la teoria rappresenta, o immagina, il sesso dentro un orizzonte particolare, quello della discrepanza fra sentimento, avvertenza, percezione del sesso e sesso biologico, quanto perché assume quell’orizzonte particolare come avente valore di totalità. Il paradigma gender finisce, in tal modo, per ingabbiare il sesso entro il solipsismo del soggetto, ossia entro la sua percezione interiore, cui conseguirebbe l’orientamento sessuale.

Il punto dirimente è allora di non dissociare l’identità sessuale dall’identità codificata nel gene, che avvia quello sviluppo approdante, da ultimo, all’identità sessuale. Nessun intervento chirurgico potrà, infatti, cambiare la struttura genetica sessuale interna. Discorso a parte vale per i “disturbi della differenziazione sessuale”, ossia per quei casi di intersessualità in cui si manifesta una discordanza tra sesso genetico, sesso gonadico e sesso genitale, o per casi di anomalia genetica.

Si spegne così il sesso nella sua energia polare, che corrisponde alla sua carica relazionale, al suo proiettarsi verso l’alterità, l’eteronomia, complementarità, caratteristiche queste che sono proprie del fecondo, del fertile, dell’esuberante di vita. La vita, infatti, non è mai omologabile, circoscrivibile all’uguale, all’identico, all’in-differente. Questo comporta anche che la fecondità non è un’appendice o una mera accidentalità della sessualità, ma ne costituisce il coronamento nella sua dinamica di sviluppo.

30 N. 64

IL GENDER INGABBIA IL SESSO ENTRO IL SOLIPSISMO DEL SOGGETTO E SPEGNE LA SUA ENERGIA POLARE, DI RELAZIONE

Ridotto nei termini di una determinazione soggettiva, il sesso perde il suo inscriversi nel bios, nei ritmi e nelle leggi di natura. La corporeità non è, infatti, un oggetto, un mezzo, di una volontà, ma costituisce la totalità della persona, la sua identità propria, in quanto punto d’innesto nel tempo e nello spazio. Il sesso perde, poi, la direzione verso gli altri, la sua vocazione unitiva, fatta di reciprocità e polarità, perché, travestendosi in orientamento individualistico e solitario, finisce per circoscriversi in un sentimento del tutto avulso, arbitrario, se non capriccioso. Maschile e femminile sono volatilizzati nel concetto limite di un soggetto la cui libertà autodeterminantesi si traduce nella prigionia dell’uguale e dell’omologo. Primo piano


di Giuseppe Fortuna

TOTALITARISMI 2.0

Il web, se usato bene, è uno strumento utile. Ma è anche molto pericoloso: l’esempio di Wikipedia Chi conosce l’evoluzione tecnologica che ha introdotto il web 2.0 considererà il titolo un ossimoro: l’apertura delle porte di Internet a tutti gli utenti è stata considerata a lungo la rivoluzione democratica per eccellenza. Una democrazia diretta di ateniese memoria in una agorà enormemente più ampia. Si partì negli anni Novanta con i forum, gruppi di discussione generalmente su argomenti settoriali, in cui i “moderatori” gestivano con poche e inequivocabili regole gli utenti che utilizzavano impropriamente la piattaforma. Seguirono poi i blog: chiunque poteva scrivere una propria pagina e stimolare i commenti dei lettori; gli argomenti spaziavano dal diario personale a pareri socio-politici o ad ambiti più tecnici.

un potente strumento, per lo più totalmente gratuito, per consentire a chiunque di esprimere il proprio pensiero. Ma, c’è da chiedersi: qual è la contropartita per tutta questa libertà? E, soprattutto, perché qualcuno dovrebbe investire milioni di euro per una infrastruttura informatica che consenta a miliardi di persone di utilizzare gratuitamente la propria piattaforma? È infatti comune esperienza pagare per usufruire di beni e servizi.

HO PERSONALMENTE PROVATO A MODIFICARE LA VOCE RELATIVA ALL’ABORTO, CON IL RISULTATO CHE IL MIO CONTRIBUTO È STATO DEFINITO «ATTO DI VANDALISMO» E L’ACCOUNT È STATO BANNATO A VITA DA WIKIPEDIA

La crescita del web 2.0 si è però inflazionata con l’avvento dei cosiddetti “social media”, che hanno incarnato nell’immaginario collettivo 31 N. 64


Su tantissime piattaforme web (motori di ricerca, portali, pagine di informazione e persino enciclopedie – come Wikipedia), invece, si accede ad un servizio in maniera totalmente gratuita. Il modello di business più banale utilizzato dalle compagnie che monopolizzano oggi questi servizi si basa sulla pubblicità. Del resto già dai tempi della televisione commerciale siamo abituati ad usufruire di contenuti al solo costo di qualche spot pubblicitario. Ma in molti casi la situazione è ben diversa. Chi ha usato il motore di ricerca di Google sin dall’inizio, ad esempio, sa bene che il suo successo deriva da una semplicissima pagina bianca, con una casella di ricerca ed un pulsante; e soprattutto dall’assenza di pubblicità invasiva. Qual è dunque il segreto? Presto detto: per accedere ai vari servizi è necessario registrarsi, fornendo un set di dati via via crescente man mano che la piattaforma viene sfruttata più a fondo. Ed è così che pian piano, più o

32 N. 64

meno volontariamente, i nostri dati e la nostra stessa identità sono letteralmente inghiottiti dalla “rete”, quella tessuta da questi colossi dell’informazione, che barattano servizi più o meno evoluti con una fetta della nostra vita molto più grande rispetto a quella del “Carosello”. Google e Apple sanno a che ora ci svegliamo, Facebook conosce la squadra di calcio del cuore, Amazon tiene traccia di quanto spesso terminiamo il detersivo. E, con tre miliardi di utenti, queste aziende condividono potenzialmente la nostra vita con metà della popolazione mondiale. Ma la domanda resta ancora: come fanno Google e Facebook, per citare i maggiori, a fatturare decine di miliardi di dollari all’anno, senza vendere di fatto nulla all’utenza consumer? È evidente che i loro clienti paganti sono altri. Ma chi? E cosa comprano? L’informazione, chiaramente, è ben protetta da aziende che capiscono molto bene il valore della privacy (e la redditività della sua violazione), tuttavia il recente scandalo che ha coinvolto Facebook chiarisce quanto meno la tipologia di organizzazioni con cui si ha a che fare.

Aziende come Cambridge Analytica, ad esempio, nascono proprio con lo scopo di analizzare l’enorme mole di dati recuperata con l’ausilio delle tecnologie con cui siamo quotidianamente a contatto, al fine dichiarato di fornire pubblicità orientata in base alle preferenze degli utenti. Ed ecco quindi palesato il modello di business di alcuni dei grandi colossi dell’informazione: la vendita dei dati personali, ai fini di una profilazione dell’intera popolazione mondiale. E se si dice che solo Dio conosca il numero di capelli di ogni uomo, quanto può preoccupare l’esistenza di un database globale con molte più informazioni sull’intera umanità?

APPLE, FACEBOOK, AMAZON E ALTRI BARATTANO SERVIZI PIÙ O MENO EVOLUTI CON UNA FETTA DELLA NOSTRA VITA


IL “WEB”, LETTERALMENTE DALL’INGLESE “RAGNATELA”, È POPOLATO DA POCHI RAGNI E DA UN’INFINITÀ DI INSETTI, POTENZIALI PREDE

Immaginiamo uno scenario in cui il proprietario di tale database cominci a sfruttare la sua egemonia, offrendosi come interfaccia fra il pubblico e aziende disposte a pagare lautamente per propinare “pubblicità” orientata. Sarebbe ipotizzabile che una lobby cerchi di diffondere la propria ideologia utilizzando la piazza globale in modo decisamente più subdolo (ed efficace) rispetto ad un banale banner pubblicitario: ad esempio, inventando una notizia (la cosiddetta fake news) e diffondendola sui social. Grazie al “database di dio”, si può orientare in tal modo una parte sempre più consistente della popolazione, mettendo a tacere i dissidenti e creando un alone di disprezzo attorno a chi non condivide l’ideologia,

grazie a sofisticate tecniche di “marketing psicologico”. Per finire, quando la “novità” è stata ormai accettata dalla maggioranza, quando la finestra di Overton si è ormai spostata, le eventuali sacche di resistenza possono essere tranquillamente zittite con la censura. È in fondo quello che sta accadendo con la “Gaystapo”: una rete che si è spesso avvalsa dei media tradizionali per veicolare l’omosessualismo, ma che con il web 2.0 si è arricchita di una propaganda operata dagli attivisti, confidando nella “mediazione” delle piattaforme per esagerare la voce dei sostenitori e sminuire e denigrare le voci contrarie. 33 N. 64


Stessa cosa per i sostenitori dell’eutanasia: si sfrutta tutto quanto appreso da aziende come Cambridge Analytica per puntare sui talloni d’Achille della gente, sulle debolezze, sulle passioni, per pilotare le elezioni o i referendum. Insomma, sfruttando la confisca dei dati personali di miliardi di persone, i loro rapporti interpersonali e, paradossalmente, il loro desiderio di libertà, è nato un regime totalitario 2.0, molto più subdolo di quelli dei secoli scorsi, basato su una illusione di democrazia che identifica il “pensiero unico” con la volontà della “maggioranza dei cittadini”. Come questa maggioranza sia stata “educata” poco conta, così come irrilevante è il rispetto per chi la pensa diversamente. Gli spazi pubblici (che poi pubblici non sono, perché, ricordiamolo, rispondono agli interessi privati degli azionisti) sono infatti “moderati” da veri e propri censori che intervengono costantemente rimuovendo post, articoli, commenti, considerati unilateralmente offensivi o inadeguati. E siccome l’arbitrarietà della scelta è incontestabile, non c’è alcuna autorità a cui potersi appellare. Sia chiaro, qualunque moderatore può soffrire di “antipatie e simpatie”, ma 34 N. 64

di forum su Internet ce ne sono migliaia, chi si sente ingiustamente censurato può semplicemente rivolgersi altrove. Non lo stesso per Facebook, Twitter, Instagram e simili. La loro estensione planetaria fa sì che, di fatto, le minoranze si trovino di fronte la non semplice scelta tra una espressione censurata del proprio pensiero, regolata da vincoli e dazi decisi a tavolino dai nuovi tiranni 2.0, e la totale assenza di visibilità. Ma se il modello “social” rappresenta una minaccia estesa alla libertà di espressione e di pensiero, esistono piattaforme persino più pericolose, come la autoeletta detentrice del sapere scientifico, Wikipedia, con le sue innumerevoli varianti settoriali, tutte facenti capo alla Wikimedia foundation Inc. Wikipedia, per quei pochi che non lo sapessero, è un progetto che si dice

finalizzato alla stesura di una “enciclopedia libera”, a cui “chiunque” può contribuire. A differenza di Facebook, le regole per scrivere su Wikipedia sono molto rigide e, nel complesso, abbastanza condivisibili. Garanti del rispetto di queste regole sono, anche in questo caso, gli amministratori. A lungo contestata dalle tradizionali case editrici di enciclopedie, una fra tutte la Treccani, che la accusa di promuovere una cultura spicciola e priva dei canoni di scientificità di cui si fanno garanti le testate che investono milioni di euro nel curare le voci, Wikipedia è ad oggi la settima piattaforma più consultata del web. La stesura dei testi è affidata ai volontari: non è richiesta nessuna competenza specifica, nessun titolo, né l’iscrizione ad albi o categorie professionali. L’importante è che le fonti citate siano “attendibili”.


È però evidente che, in questo contesto, nessuno è direttamente responsabile della voce nella sua interezza, il che si palesa in una struttura generalmente sbilanciata e quasi mai davvero neutrale. La voce sull’aborto, ad esempio, è palesemente orientata, al punto che, nel momento in cui scrivo, l’ultimo paragrafo si intitola Ritorsioni contro chi pratica l’aborto, mentre non v’è alcun cenno ai recenti scandali che hanno coinvolto Planned Parenthood. Non solo. Si parla senza ritegno di «bambini con gravi difetti», come intrinseca giustificazione per l’aborto e si lascia intendere che i «feti sopravvissuti» (come Gianna Jessen) andrebbero lasciati morire per “prevenire” le probabili lesioni permanenti derivanti dal tentato aborto. È evidente che avere come unica clausola la citazione di fonti attendibili, o l’assenza di considerazioni personali, non garantisce affatto la neutralità dell’informazione; anzi, rende ancora più difficile cogliere l’orientamento di chi scrive o di chi censura. Nel mare magnum di articoli scientifici relativi ad un certo argomento, infatti, nulla vieta di richiamare solo quelli che avvalorano la propria tesi. E se chiunque può provare, in teoria, a riequilibrare la situazione,

gli “amministratori” hanno un insindacabile diritto di veto sulle modifiche. Ho personalmente provato a modificare la voce relativa all’aborto, con il risultato che il mio contributo è stato definito «atto di vandalismo» e l’account è stato bannato a vita da Wikipedia. E sugli altri argomenti cari ai lettori della rivista non va certo meglio: tutte le questioni legate a famiglia e vita sono presentate secondo il punto di vista propinato dalla cultura della morte in voga nei Paesi industrializzati, con l’aggravante che ciò che è scritto su Wikipedia è considerato verità assoluta dalla stragrande maggioranza dei visitatori, che, per pigrizia intellettuale o scarsità di tempo e risorse da investire nella propria cultura personale, cercano in rete una rapida, ma spesso inaccurata e faziosa, risposta alle proprie domande. E se già molti contestano il modo in cui l’organizzazione gestisce le (cospicue) donazioni e l’aggressiva politica di marketing orientata alla raccolta dei fondi (operata da personale specializzato e ben pagato), viene spontaneo chiedersi anche se tali elargizioni e i relativi “benefattori” possano

essere legati al modo in cui alcuni moderatori applicano le regole. Insomma, sebbene il mondo del web 2.0 sia affascinante e utile, se opportunamente usato, si rivela anche estremamente pericoloso; non a caso persino personalità di rilievo come Dave Winer, inventore del blog, Tim Berners-Lee, inventore del web, e persino un insospettabile Tim Cook, amministratore delegato di Apple, hanno espresso preoccupazioni a vario titolo sul tema dell’uso dei dati personali e dei monopoli dell’informazione. E appare ancora più preoccupante la consapevolezza che Umberto Eco, nella celebre e controversa frase «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli», in parte condivisibile, non si è accorto che tale diritto non è fornito a tutti allo stesso modo. È il nuovo totalitarismo 2.0, quello che ci fa capire che il “web”, letteralmente dall’inglese “ragnatela”, è popolato da pochi ragni e da un’infinità di insetti, potenziali prede.

35 N. 64


Guerra agli obiettori di coscienza

di Giuliano Guzzo

Per gli abortisti l’obiezione di coscienza è assolutamente intollerabile

Come può tollerare l’obiezione di coscienza chi, nel mondo dei media, è su posizioni abortiste? Semplice: non può. L’idea che alcuni medici e operatori sanitari possano dire e ribadire il loro «No» alle pratiche abortive, opponendo il loro diniego, costituisce infatti un ostacolo alla piena accettazione sociale delle stesse. Ergo, gli obiettori di coscienza rappresentano un problema. Un grosso problema. Un problema che deve assolutamente essere risolto. In che modo? Operando affinché le cose cambino e il medico che non intende cooperare all’aborto passi come un fondamentalista che, con la propria disobbedienza civile, ostacola la vita negli ospedali. Le strategie di cui giornalisti, intellettuali e operatori nel mondo dell’informazione si servono per raggiungere questo obiettivo sono almeno tre. La prima consiste nel nascondere in modo sistematico come, almeno in Italia, gli obiettori di coscienza siano professionisti che esercitano 36 N. 64

un diritto non solamente ben incardinato nell’ordinamento giuridico (si veda l’art.2 Cost.), ma che trova un esplicito richiamo nella legge 194/’78 sull’aborto procurato, che all’articolo 9 recita: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure […] ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione […] L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza».

A 70 anni dalla morte, Gandhi viene ricordato per tanti motivi, ma non per la sua difesa appassionata dell’obiezione di coscienza.

Giulia Guzzo

laureato in Sociologia e Ricerca S collabora con diverse riviste e po fra i quali Tempi.it, Libertaeperso Campariedemaistre.com, Cogitoe Uccronline.it e Corrispondenzaro È membro dell’Equipe Nazionale Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com

Anna Pacch

Anna Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita o : www.onoralavita.it

Giulia Tanel

Laureata in Filologia e Critica Lettera


Chiaro? La stessa norma che ha introdotto la possibilità di abortire ha previsto – e prevede, dato che non è stata modificata – l’obiezione di coscienza, che dunque non è una sorta di capriccio cattolico, né uno «scudo di Capitan America contro le coscienze altrui», come scrive Chiara Lalli nel libro C’è chi dice no, bensì una facoltà del tutto legittima. Un diritto, appunto. Ma un diritto da ignorare oppure, secondo alcuni, da dileggiare; anzi, da presentare proprio come violento. Fa testo in tal senso quanto si legge sul sito Obiezionerespinta. info, a cura dell’associazione Non una di meno: «In una società fortemente patriarcale e capitalista con diritto si intende tutto ciò che all’ uomo eterosessuale bianco viene concesso di fare […] l’obiezione è solo uno dei tanti volti di quella che chiamiamo violenza di genere». L’obiettore di coscienza come violento, dunque. A prescindere.

Questi però sono toni troppo pesanti, esagerati. E chi opera nei media o ne conosce le dinamiche sa che gli eccessi non funzionano dal momento che stridono, rivelando una faziosità che invece è bene continuare a celare, se si vuole apparire credibili al più alto numero di persone. Più opportuno, come secondo modo per screditare l’obiettore di coscienza, è quindi evitare di apostrofarlo con toni eccessivi limitandosi, non senza preoccupazione, a definirlo «medievale». Quante volte in televisione o sui giornali, si sentono politici e giornalisti definire seriosi la contrarietà all’aborto e l’obiezione di coscienza come rigurgiti «medievali»? Spessissimo. Talmente spesso che viene quasi il dubbio che i nostri tempi, per un incredibile paradosso storico, siano più medievali del Medioevo stesso. Ebbene, questo stratagemma – che mediaticamente paga: dici «medievale» e tu, memore del Nome della rosa, pensi subito a superstizioni, torture indicibili, roghi – si basa non su una, ma due menzogne: l’arretratezza del Medioevo, epoca dalle cattedrali meravigliose, dei giganti come Dante Alighieri

GLI ABORTISTI RICORRONO A TRE MENZOGNE STRATEGICHE PER DENIGRARE E ANNICHILIRE GLI OBIETTORI DI COSCIENZA

e Francesco d’Assisi e dalle invenzioni straordinarie (l’aratro meccanico, gli occhiali, la ferratura dei cavalli, il sapone, lo specchio, il prosciutto, la birra come la conosciamo oggi), e il diniego all’aborto, che non è affatto «medievale» ma ben più antico, dato che risale al greco Ippocrate di Kos (460377 a.C.), considerato il padre della medicina, il cui celebre giuramento afferma: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo».

37 N. 64


Eppure, benché quindi condita di bugie, peraltro agevolmente smascherabili, la campagna denigratoria contro gli obiettori non conosce letteralmente tregua. E pur di additarli come cattivi medici, forte di costante copertura mediatica, arriva a sostenere – strategia numero tre – che in Italia costoro sarebbero in crescita e comunque già troppi, cosa che da un lato ostacolerebbe il diritto di aborto della donna, e, dall’altro, renderebbe la vita impossibile ai ginecologi non obiettori, i quali per rimediare all’inadempienza dei loro colleghi sarebbero costretti a praticare aborti stakanovisticamente, uno via l’altro, da mane a sera. Come le precedenti, anche queste affermazioni, tanto per cambiare, sono false. Vediamo perché. 38 N. 64

L’idea del non obiettore impegnato in soli aborti, per cominciare, è già smentita dai numeri: considerando 44 settimane lavorative in un anno, nel nostro Paese, in media, ogni ginecologo che non obietta è chiamato ogni settimana ad eseguire, a livello nazionale, 1.6 aborti con una procedura che, secondo l’Oms, ha una durata media che non supera i 10 minuti. Difficile, insomma, parlare di carichi di lavoro eccessivi. Ad ogni modo, è falsa pure l’idea che i medici obiettori siano in aumento: erano il 71.5% del totale nel 2008, poi sono calati a 70.7% nel 2014, per decrescere ancora a 70.5% nel 2015. Nel 2016, infine, c’è stato sì un aumento, ma non certo un’impennata (70.9%).

OGNI GINECOLOGO CHE NON OBIETTA È CHIAMATO OGNI SETTIMANA A ESEGUIRE, A LIVELLO NAZIONALE, 1.6 ABORTI


IN OLTRE IL 90% DELLE ASL VENGONO PRATICATI MENO DI 5 ABORTI ALLA SETTIMANA: EVENTUALI OSTACOLI PER LE DONNE DIPENDONO DA CATTIVA ORGANIZZAZIONE, NON DAGLI OBIETTORI

Non corrisponde al vero, come se non bastasse, neppure la più volte denunciata difficoltà delle donne italiane di abortire: in oltre il 90% delle Asl, secondo i numeri delle relazioni ufficiali, vengono praticati meno di cinque aborti la settimana. Ne consegue come laddove una donna trovasse delle difficoltà ad abortire, ciò sia da ricondursi non già alla presenza di personale obiettore. bensì a lacune organizzative della struttura locale. Vale la pena sottolineare bene questo passaggio perché, non appena possono, i grandi media non perdono occasione per soffermarsi sul dramma delle donne cui l’aborto viene negato; anche a costo di raccontare, non senza una certa enfasi, storie non vere, o tali solo in parte. Un esempio aiuterà a capire meglio.

Siamo nel marzo 2017 quando si diffonde, fino a rimbalzare sui quotidiani nazionali, una notizia che ha dell’incredibile. È la storia di una signora padovana di 41 anni intenzionata ad abortire la quale, tempo prima, aveva tentato 23 volte di essere sottoposta all’intervento, vedendosi sempre sbattere la porta in faccia. Il motivo? Un eccesso di obiezione di coscienza. «Sa, qui sono tutti obiettori», titolava non a caso, nel presentare i fatti, IlGazzettino.it. Apriti cielo. Del caso parlano tutti i telegiornali e sul Corriere della Sera il noto giornalista Massimo Gramellini esprime a Giulia, nome di fantasia dato alla donna, la propria solidarietà, arrivando a parlare del suo come di un «calvario laico». Per comprendere la drammatizzazione giornalistica dell’accaduto, vale la pena riportare integralmente l’ultima parte di quel commento. «Ventitré richieste intrise di imbarazzo, ventitré rifiuti distratti, ventitré ritirate umilianti. E ogni volta – sottolinea l’autore di Fai bei sogni, evidentemente indignato – ti ritrovi, sempre più sola e sfiduciata, a chiederti: ma che razza di Stato è, questo Stato

che non sa fare applicare le sue leggi e trasforma i diritti in elemosina? Ti rivolgi al sindacato e in extremis ti trovano uno strapuntino nell’ospedale della tua città, il primo che ti aveva respinto. Il tuo calvario laico si chiude dov’era cominciato. Ma sei tu, Giulia, che sei cambiata. Ora nella legge non ci credi più». La vicenda appare talmente grave che ne nasce addirittura un’inchiesta, la quale però, a sorpresa, si sgonfia in una manciata di settimane. Le indagini condotte dai carabinieri del Nas, infatti, non solo non riscontrano alcuna violazione della 194, ma portano presto a galla una verità ben diversa: il 15 dicembre del 2015, quando la donna si era rivolta a un consultorio per abortire, fu richiesta la prestazione; il 23 dicembre fu fatta la visita; il 12 gennaio fu effettuato l’aborto. Tutto in 28 giorni. Un arco di tempo, quindi, non fuori dal mondo né dalla legge, ma nel corso del quale la donna, presumibilmente per impazienza, aveva poi effettuato altri 23 tentativi, per ottenere per l’appuntamento una data più prossima. Tutto qui.

39 N. 64


“GIULIA” HA TENTATO 23 VOLTE DI ABORTIRE? UNA BUFALA GIGANTESCA

Lo scenario era insomma ben diverso da come presentato inizialmente, tanto che lo stesso Corriere della Sera, il 22 aprile 2017, è costretto a titolare: «Chiamai 23 ospedali per l’aborto». Inchiesta archiviata, era tutto falso. Tutto bene quel che finisce bene, dunque? No, per niente. È difatti accaduto che, per oltre un mese, una vicenda senza fondamento alcuno – e tutta centrata sul presunto eccesso di obiettori di coscienza – sia stata spacciata per vera. Con la smentita della notizia che ha avuto visibilità minima, rispetto a quella in un primo momento riservata alla storia. Basti pensare che il titolo del Corriere poc’anzi riportato è quello apparso sull’edizione locale del Veneto, mentre il commento 40 N. 64

di Gramellini era comparso in prima pagina: ovviamente sull’edizione nazionale. Non solo. Anche quando la notizia iniziale era stata smascherata nella sua totale infondatezza, il 25 aprile, Gramellini, sempre in prima pagina, anziché chiedere pubblicamente scusa per aver inveito contro «lo Stato che non sa fare applicare le sue leggi» – cosa che, lo si ribadisce, la magistratura ha accertato essere del tutto falsa – ha voluto pure rincarare la dose: «Il giudice ha riconosciuto che l’aborto è avvenuto presso l’ospedale di Padova nei termini di legge. Ma non ha negato che Giulia, presa dal panico perché i giorni passavano e nulla succedeva, abbia chiamato altri ventitré ospedali e incassato altrettanti imbarazzati rifiuti.

Era questa la ragione per cui la sua storia era finita in prima pagina. E per cui ci finisce anche oggi». Surreale: non ha sbagliato chi si è stracciato le vesti per «ventitré richieste intrise di imbarazzo, ventitré rifiuti distratti, ventitré ritirate umilianti», senza precisare quasi fosse un’inezia, un dettaglio da niente, che l’appuntamento per abortire alla donna era già stato fissato, ma chi ha osato irritarsi per una storia all’inizio presentata come gravemente incompleta, con lo scandalo derivatone che – come lo stesso Corriere ha poi ammesso – «era tutto falso».


Davvero surreale dunque ma assai utile, l’epilogo di questa storia, per capire con quale imparzialità e professionalità, si fa per dire, i media siano soliti trattare il tema dell’obiezione di coscienza.

Si prende un caso, si finge di conoscerlo in tutti i tuoi aspetti, quindi lo si enfatizza con toni da melodramma e, pure quando tutto, qualche tempo dopo, finisse in una bolla di sapone, lo si rilancia. Ancora e ancora: proprio così, come se nulla fosse. Del resto, quella di sorvolare bellamente su eventuali errori o inesattezze, prima ancora che essere una dimostrazione di supponenza, è anch’essa una tattica con una finalità ben precisa.

Serve a preservare il framing progressista, la cornice ideologica di lettura della realtà, e a rinsaldare l’alleanza con il lettore, strizzandogli l’occhio per fargli capire che può – anzi che deve – continuare a fidarsi. Perché ogni tanto un match, nella battaglia mediatica contro l’obiezione di coscienza, si può anche perdere. Ci sta. Ma la guerra continua.

Gli articoli che leggete su questa rivista non si trovano su internet. Invece tutti quelli che pubblichiamo sul sito www.notizieprovita.it escono anche sulla nostra pagina Facebook ufficiale, sulla quale vengono pubblicate anche alcune simpatiche vignette, video di approfondimento e immagini accattivanti e di facile condivisione. Per questo motivo Vi invitiamo – se non lo avete già fatto – a seguire queste semplici istruzioni per non perdere alcun post pubblicato da ProVita su Facebook.

41 N. 64


di Marco Bertogna

Up

Fonte foto: www.mymovies.it

Titolo: Up Stato e Anno: Stati Uniti, 2009 Regia: Pete Docter, Bob Peterson (co-regista) Durata: 96 min. Genere: Animazione, Avventura, Commedia

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.

42 N. 64

Nei primi dieci minuti di questo film di animazione riscopriamo il cinema come “settima arte”; pensato e scritto con pura ispirazione e mestiere, vediamo ed ascoltiamo le vicissitudini di un bambino (Carl) ed una bambina (Ellie) che, avendo la stessa passione per l’avventura e l’esplorazione, cominciano a giocare insieme e consegnarsi i propri segreti e desideri. Da grandi, una volta sposi, affrontano la gioia ed il dolore, la salute e la malattia onorandosi fino all’ultimo giorno di vita trascorso insieme e cioè quando Ellie, oramai anziana ed ammalwata, muore. Hanno messo su casa proprio nel luogo dove da piccoli si fermavano a giocare, trovano lavoro presso lo zoo della loro città come venditori di palloncini ad elio, fanno i pic nic sulla collina fuori città, affrontano con dolore il fatto di non poter avere figli per la sterilità di Ellie e vivono giorno per giorno tutte le difficoltà quotidiane sempre uniti e con gioia anche quando sono ripetutamente costretti a rompere il salvadanaio per pagare gli immancabili imprevisti della vita. In soli dieci minuti abbiamo un concentrato di gioia, stupore, tenerezza, ansia, dolore e dolcezza; in soli dieci minuti scorre sullo schermo la storia di una vita da sposi nel segno della fedeltà ad una promessa che non è solo coniugale; infatti Carl ed Ellie si consegnano un impegno (con la dolcissima frase «Croce sul cuore»), che è una missione: andare a vivere presso le “Cascate Paradiso”, luogo in cui il loro mito Charles Muntz, un esploratore, ha dato la

caccia ad alcuni animali rari con la promessa di ritornare in patria una volta catturato un uccello di grandi dimensioni ed unico al mondo. Una volta rimasto solo, Carl, decide di essere fedele alla promessa fatta ad Ellie e, poiché rischia di dover perdere la sua casetta a favore di un progetto di nuova urbanizzazione ed andare quindi a vivere in una casa di riposo, escogita uno stratagemma per andare nell’America del sud proprio dove si trovano le “Cascate Paradiso”: fa volare la propria casetta (fortemente voluta e vissuta insieme alla sua Ellie) grazie a centinaia di palloncini che sollevano l’abitazione, che diventa una sorta di mongolfiera/dirigibile. Da questo momento in poi inizia l’avventura di Carl che, insieme a Russell, un bambino scout che ha bussato alla sua porta per offrigli una buona azione (il figlio mai avuto?), un cane e un uccello grandissimo e coloratissimo, concretizzerà e porterà a compimento la promessa e la «Croce sul cuore» fatta con Ellie molti anni prima. Carl affronterà molte prove, che supererà nonostante i propri limiti caratteriali, e dovrà inoltre sconfiggere il suo mito in persona, ovvero Muntz, poiché si rivelerà persona pericolosa. Il tutto in nome della fedeltà ad Ellie e alla promessa fatta. Questa di Up è una storia che parte dall’amicizia, passa per la coppia ed il matrimonio e arriva a una croce sul cuore, che è un impegno per la vita ed è una croce di amore e di fedeltà.


Letture Pro-life Silvia Fasana

GIACOMO, IL MIO PICCOLO MISSIONARIO Ed. Itaca

Mamma Silvia racconta la storia di Giacomo, che è vissuto solo 7 ore e 44 minuti. Eppure, il tempo è relativo: la sua breve vita ha infatti portato - e continua a portare - immenso frutto, nella sua famiglia e in tutto il mondo. Come disse madre Rachele Fassera a Silvia, regalandole una cornice di senso capace di abbracciare anche il dolore: «Il tuo Giacomo è un evangelizzatore. È un piccolo missionario. Lui, con la sua vita e la sua presenza, dice sì alla vita. Il Signore ti fa andare in giro fra medici e ospedali perché vuole che tu dica a tutti che Giacomo c’è e che tu non hai voluto abortire. Perché la sua vita vale». Giacomo ha reso carne un concetto spesso ripetuto ma che rischia di rimanere pura teoria: l’amore vero è una donazione gratuita e totale di sé, senza pretese e senza sconti rispetto alla fatica e al dolore, che rimangono ma vengono trasfigurati. Giacomo la sua vita l’ha donata e i suoi genitori hanno donato la loro, di vita, per accogliere questo annuncio.

Mimmo Armiento

IO PRENDO TE COME MIA... COSA. EQUIVOCI E INGANNI NEL MATRIMONIO CRISTIANO Ed. Porziuncola

«E vissero felici e contenti»: inutile nascondere che il matrimonio è troppo spesso immaginato come una favola. L’amore quotidiano di due coniugi domanda invece impegno, fatica e capacità di dono reciproco. Come crescere in questo progetto? Come verificare i passi compiuti? Quali sono gli equivoci e gli inganni più diffusi? Con un linguaggio concreto, nato dalla vita e dall’ascolto attento della parola di Dio, l’Autore ci conduce alla scoperta del tesoro più grande.

43 N. 64



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.