ProVita Novembre 2018

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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

Notizie

Trento CDM Restituzione

Anno VII | Novembre 2018 Rivista Mensile N. 68

“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

I D I T A L A M E N O I Z E F R E P

Neuropatologia dell’ aborto

strategie mediatiche pro eutanasia

«Bello è il brutto e brutto è il bello»

nevrosi, malattia post-illuminista

di silvana de mari, p. 12

di giuliano guzzo, p. 18

di marco di matteo, p. 30

di roberto marchesini, p. 39


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES Notizie

EDITORIALE

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LO SAPEVI CHE...?

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ARTICOLI Dillo

Anno VII | Novembre 2018 Rivista mensile N. 68 Editore ProVita Onlus Sede legale: viale Manzoni, 28 C 00185, Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 377 4606227

@ ProVita 6 7

Versi per la Vita Silvio Ghielmi I diritti dell’infanzia

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Gloria Pirro

Neuropatologia dell’aborto Silvana De Mari

Strategie mediatiche pro eutanasia

Giuliano Guzzo

Giuseppe Noia

Essere medico, essere dono

Follow the money, segui il denaro Dina Nerozzi

Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi

Marco Di Matteo

Quando la mente è malata, ma non lo sa

Roberto Marchesini

36 39 42

Marco Bertogna

Distribuzione

LETTURE PRO-LIFE

Hanno collaborato a questo numero: Marco Bertogna, Silvana De Mari, Marco Di Matteo, Silvio Ghielmi, Giuliano Guzzo, Roberto Marchesini, Dina Nerozzi, Giuseppe Noia, Gloria Pirro, Renzo Puccetti

Sostenitore ordinario Promotore Benefattore Patrocinatore Protettore della Vita

Per contributi e donazioni a ProVita Onlus: • Bonifico banacario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina (indicando: Nome, Cognome, Indirizzo e CAP), IBAN IT89X0830535820000000058640 • oppure c/c postale n. 1018409464

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Sostieni con un contributo le attività di ProVita Onlus in favore della vita, della famiglia e dei bambini e riceverai a casa tua Notizie ProVita, la rivista della nostra associazione Invia il tuo contributo 35,00 50,00 100,00 250,00 500,00

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Renzo Puccetti

FILM: Gattaca - La porta dell’universo

• € • € • € • € • €

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«Bello è il brutto e brutto è il bello» 30

Nevrosi, malattia post-illuminista

Tipografia

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PRIMO PIANO

Direttore responsabile Antonio Brandi

Progetto e impaginazione grafica

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39 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it

Toni Brandi

EDITORIALE

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Sul Journal of Law and the Biosciences Sonia M. Suter, della George Washington University, spiega come potrebbe funzionare un mercato di bambini perfetti, commissionati a un “baby designer” che assembla il corredo cromosomico del piccoletto secondo i desiderata dei “genitori” (o forse sarebbe meglio chiamarli committenti, acquirenti?). La fecondazione artificiale già si fa. La selezione preimpianto pure. La diagnosi genetica e il sequenziamento del genoma ancora non si fanno su scala industriale, ma nel futuro… Tutto questo, ammette la Suter, potrebbe cambiare “l’esperienza riproduttiva”: i “genitori-acquirenti” dovranno essere guidati da professionisti e da complessi algoritmi nella scelta delle infinite combinazioni possibili di Dna e nella selezione degli embrioni prodotti. Non si tratterà solo di eliminare quelli malati o disabili, ma anche quelli con tratti somatici o attitudini non gradite. Insomma, ci sarà tanto da “pensare” prima di “fare” un figlio. Se siamo arrivati a questo punto è perché da decenni abbiamo dimenticato l’essere e ci curiamo solo dell’apparire. Un tempo si mirava alla mens sana in corpore sano. Adesso della mens importa relativamente poco. Conta solo il corpo e se non è più che sano e più che bello, non si può usare a dovere, quindi si butta via. Inoltre, «Il corpo è mio e lo gestisco io», quindi – se voglio – ne faccio anche scempio, con la chirurgia estetica e persino con la chirurgia dei genitali per “cambiare sesso”. Contestualmente, nel campo delle arti e delle mode si va coltivando il gusto dell’orrido: basta pensare ai piercing e agli abiti stracciati che impazzano tra giovani e (ahimè) meno giovani. Guardate i calciatori: i loro bei corpi di atleti sono ricoperti di tatuaggi… e come portano i capelli! Ancora una volta, quindi, dobbiamo svegliare le coscienze e invitarle ad andare contro corrente; dobbiamo essere davvero “trasgressivi” e insegnare ai nostri giovani la (sana) trasgressione: faccia pulita, capelli ordinati, jeans senza squarci. E magari proporre di tanto in tanto l’ascolto e la visione di cose belle davvero: l’Italia trabocca di opere d’arte in ogni dove e la natura del Bel Paese ci offre spettacoli mozzafiato, che spesso non siamo più capaci di vedere e di apprezzare. Riscopriamo il gusto del bello, ragionando sul fatto – però – che la bellezza esteriore non ha senso se non rimanda al buono e al vero, che sono conquiste interiori e che servono – in ultima analisi – a indicarci la strada per la felicità.


Lo sapevi che... ? ITALIA SCELTA PER IL XIII CONGRESSO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

Il vicepremier Matteo Salvini, compatibilmente con i suoi impegni istituzionali, parteciperà al prossimo Congresso Mondiale delle Famiglie che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo 2019. Dopo l’annuncio dato in chiusura della XII edizione tenutasi a Chisinau, in Moldavia, dal presidente del Congresso Mondiale delle Famiglie, Brian Brown, Toni Brandi ha espresso la sua viva soddisfazione: «Sono davvero felice che l’Italia potrà ospitare questo evento, che vedrà ospiti di prestigio provenienti da tutto il mondo e ringrazio il vicepremier Salvini, il ministro Fontana, il presidente Zaia e il sindaco Sboarina per il loro importante sostegno e incoraggiamento». Pro Vita Onlus organizzerà l’evento con il Comitato Difendiamo i Nostri Figli e Generazione Famiglia.

PER LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI (CEDU) NON SI PUÒ DIRE CHE L’ABORTO È UN OMICIDIO

«La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha detto che non si può dire che l’aborto è un omicidio». Questa è la notizia rimbalzata su tutti i media a fine settembre, a seguito del respingimento del ricorso Annen, intentato dal cittadino tedesco perché era stato violato il suo diritto di libera manifestazione del pensiero.

La Cedu ha infatti deciso che i giudici tedeschi hanno fatto bene a impedirgli di esprimere le sue idee, ossia che l’aborto è un omicidio e che dà luogo a un vero e proprio olocausto (che poi non sono “le sue idee”, è la pura verità dei fatti). La realtà è che l’ideologia mortifera acceca le menti. L’aborto è un omicidio aggravato, perché toglie la vita a un essere umano, innocente e indifeso. I medici abortisti uccidono bambini. Non commettono reato, perché l’omicidio è legale, ma la sostanza, la verità non cambia, neanche quando il potere costituito ci chiuderà la bocca del tutto e non potremo più dirlo.

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Cambio ai vertici della multinazionale dell’aborto Planned Parenthood ABORTO – CAMBIO AI Federation of America (Ppfa), che ha fatto della vita e dei corpi dei bambini VERTICI DI PLANNED (sono recenti gli scandali di compravendita di organi e tessuti fetali) un PARENTHOOD fertile terreno di guadagno. Cecile Richards, in carica dal 2006, ha lasciato infatti il posto a Leana Wen, trentacinquenne di origine cinese, in possesso della nazionalità americana da appena 15 anni, che diventa così il primo medico a gestire il colosso abortista negli ultimi cinquant’anni. La Wen si è detta onorata della nomina, dichiarando che Planned Parenthood «salva vite» e che «nessuna organizzazione ha fatto di più per la salute delle donne di Planned Parenthood». Due affermazioni, queste, che hanno del paradossale, dal momento che la multinazionale dell’aborto non solo uccide un numero enorme di bambini (per il 2017 si parla di 321.384 esseri umani sacrificati, a fronte di un miliardo di dollari di ricavi), ma non ha neanche a cuore la vita delle donne, che pagano le conseguenze dell’aborto sia a livello psicologico, sia a livello fisico.

«Il ministro delle Pari opportunità del Regno Unito, Penny Mordaunt, ha BAMBINI TRANS IN UK IN incaricato dei funzionari governativi di avviare un’indagine per capire il AUMENTO DEL 4.400%. motivo per cui un numero impressionante di bambini ed adolescenti manifesta PERCHÉ? il desiderio di cambiare il proprio sesso biologico. Secondo un rapporto del Ministero della Salute, infatti, rispetto a dieci anni fa si è registrato un aumento del 4.400 per cento». Finalmente se ne sono accorti: Pro Vita aveva lanciato l’allarme già quattro anni fa. Gli inglesi, che hanno spalancato le porte al gender nelle scuole almeno dal 2014, pare che vogliano correre ai ripari: quindi basta bagni unisex e basta linguaggio e divise “neutre”? Stiamo a vedere. A noi dispiace molto per i ragazzini inglesi e vorremmo davvero che i nostri bambini non facessero la stessa fine.

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Dillo @ ProVita

A

rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Privatamente rispondiamo a tutte, mentre qui ne pubblichiamo solamente alcune. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it. Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.

Carissimi, sui temi della bioetica, anche se un po’ critico sui vostri metodi di lotta “in punta di diritto” denunce e condanne, in re incorre perché auspicherei azioni più incisive, anche a rischio di rimango un vostro convinto sostenitore. democrazia in tutti i Paesi Vorrei esternarvi una mia riflessione sulla fine che sta facendo la rmazione drastica, ma un’affe are in cui è fondamento della forma di governo. Può sembr i cittadini attraverso il più ano sono giunto alla conclusione che il vero potere non lo esercit dell’informazione potere del ori loro voto (come è scritto in tutte le Costituzioni) ma i detent dei popoli. sentire il mico, econo che plasmano, secondo i loro disegni e il loro tornaconto vinto le elezioni svoltesi Gli esempi che si possono fare sono molti: negli USA Trump ha dei media tradizionali mico econo regolarmente, ma ha contro di sé tutto l’enorme potere costretto giorno per è ed a spietat e di quelli dell’era di Internet che gli fanno una guerra news) che mirano a fake rate giorno a difendersi da attacchi (basati spesso sulle famige nze. coscie delle e olazion rovesciarlo perché è di intralcio ai loro disegni di manip in Italia in cui la sinistra, Fatte le debite proporzioni, qualcosa del genere succede anche i negli ultimi due svoltes e istrativ pur avendo straperso tutte le elezioni politiche e ammin llare, come fa da contro a a continu anni, non è affatto annientata e ridotta al silenzio perché ratura. magist della oritarie tempo immemorabile, l’informazione e le correnti maggi te sotto attacco sui punti Il risultato è che il nuovo governo giallo-verde è costantemen consenso da parte dei ampio un o fondamentali del suo programma, sui quali ha raccolt alla conclusione arrivato sono cittadini, ed è costretto a giocare sulla difensiva. In pratica le elezioni, ma vincere basta) che per cambiare l’Italia non serve (o comunque non e della Sera, Corrier Il blica, Repub La bisogna arrivare a controllare, tanto per parlarci chiaro, ratura. magist della chiave ni posizio l’informazione Rai e avere propri uomini o donne nelle […]

Roberto 6 N. 68


Versi per la Vita Silvio Ghielmi, classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Francesco Migliori, Mario Paolo Rocchi e Giuseppe Garrone [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa di Verità e Vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

LE SORTI PROGRESSIVE Frutto di viscerale ispirazione: un bimbo bello fatto su misura, con la provetta e accorta selezione per toglier gli imperfetti di Natura, per affermar la Scienza ed il Progresso, con genitori dello stesso sesso. Finito il Medioevo freddo e oscuro, che ancor pretende d’esser duraturo, ma stancamente e fiacco sopravvive a sorti prodigiose e progressive... ------Silvio 23.08.2018

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I diritti dell’infanzia

di Gloria Pirro

Negli ultimi decenni c’è stato un gran moltiplicarsi di “giornate mondiali”, sotto l’egida dell’Onu, per proclamare la tutela dei diritti umani, sulla carta. Ma nella sostanza… Il prossimo 20 novembre ricorre la Giornata Mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che viene celebrata nel giorno dell’approvazione della Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia del 20 novembre 1989. La Convenzione Unicef, alla quale aderiscono 194 Paesi tra i quali l’Italia, persegue lo scopo di garantire ai bambini e agli adolescenti (considerando tali tutti i minori fino a 18 anni) diverse tipologie di diritti, volti ad assicurare loro un’infanzia serena e senza abusi. Nel mondo moltissimi bambini soffrono per i motivi più diversi: bambini fiaccati dalle malattie, bambini che non conoscono altra realtà se non la guerra, bambini soldato, baby prostitute, bambini vittime di abusi, bambini che lavorano in condizioni disumane... Tutti questi bambini meritano, come è giusto, che la loro vita venga tutelata. Meritano condizioni migliori e il diritto a vivere pienamente la loro 8 N. 68

infanzia, troppo spesso rubata. Ma chi sono i bambini meno tutelati e con meno diritti? Sicuramente quelli la cui vita viene troncata ancora prima di nascere. Sono i bambini che subiscono il più grande abuso, cioè la negazione del loro diritto a esistere. L’Onu, che incoraggia la celebrazione della Giornata dei diritti dell’infanzia (l’Unicef è un Fondo delle Nazioni Unite), è la stessa organizzazione che non fa nulla per limitare l’aborto, e anzi preme affinché nei Paesi membri venga garantito un libero e sicuro accesso allo stesso, da considerare addirittura

20 NOVEMBRE: GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA

come un «diritto umano inviolabile». Con buona pace della Convenzione, che all’art. 6 afferma: «Gli Stati parti riconoscono che ogni bambino ha il diritto intrinseco alla vita. 2. Gli Stati parti dovranno garantire nella massima misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del bambino».


Quindi, chiediamoci, questa celebrazione non racchiude in sé un po’ di ipocrisia? Nel 2014 l’Unicef ha pubblicato il rapporto Hidden in Plain Sight: A statistical analysis of violence against children (che si può facilmente reperire su internet) nel quale, nel descrivere i tipi di violenze cui i bambini sono sottoposti nel mondo, si parla esplicitamente delle violenze che il bambino può subire nel grembo materno (quindi il feto è un essere umano, o no?). Tra le violenze elencate si parla anche dell’aborto selettivo, che in certi Paesi in cui la donna è considerata inferiore viene praticato sui neonati di sesso femminile.*

L’aborto che viene eseguito per “scelta” della madre non è invece considerato come violenza. Si tratta di una posizione alquanto singolare: il gesto è lo stesso, la vittima anche, la condanna o l’assoluzione dipende soltanto dall’“autodeterminazione” della donna, quindi l’uccisione di un bambino nel grembo materno non è violenza se avviene per libera scelta della madre. Che ci sia un bambino che perde la vita

è del tutto irrilevante. I punti di vista su di esso cambiano, e spesso il punto di vista tende a eclissare il reale. E poi celebriamo la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Perché? Perché è giusto difendere i bambini, più che giusto preservarli in tutti i modi possibili dalle violenze e permettere loro di vivere sereni. Perché? È giusto perché essi sono indifesi, ma lo sono

*Fino a un po’ di tempo fa era un problema dell’Asia, dell’India e soprattutto della Cina. Oggi – merito della globalizzazione! – gli aborti sesso-selettivi sono in voga anche in Europa – soprattutto in Inghilterra – e in America. Le femministe radicali non battono ciglio davanti alla cosa. Anzi, a Roma hanno fatto rimuovere dal sindaco Virginia Raggi i manifesti di CitizenGo che denunciavano l’aborto come maggior causa di femminicidio al mondo, il che è la pura verità

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I BAMBINI CHE SOFFRONO PER LA FAME, GLI ABUSI, LA GUERRA MERITANO CONDIZIONI MIGLIORI E IL DIRITTO A VIVERE PIENAMENTE LA LORO INFANZIA TROPPO SPESSO RUBATA, MA HANNO INNANZITUTTO IL DIRITTO DI NASCERE

ancora di più nel ventre della loro madre, lì dove non possono neanche gridare... Ci sono Giornate mondiali per un sacco di cose, che vengono incontro ai gusti di tutti. Giornate sicuramente utili per riflettere e sensibilizzare, ma che in fondo non centrano mai il bersaglio. È cosa buona e giusta offrire supporto alla famiglia di qualcuno che è stato assassinato, ma non è sufficiente se la legge non interviene a punire l’assassino. È giusto difendere i bambini, ma difenderli tutti, bianchi e neri, piccoli e piccolissimi. È giusto difenderli sempre, dal momento del concepimento in poi.

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Probabilmente le donne che si trovano a voler abortire sono in una situazione tragica e vanno accolte, comprese, aiutate: ma oggi la pressione sociale le spinge all’aborto, offre loro solo l’aborto come soluzione al problema di una gravidanza non prevista. Il nostro mondo occidentale opulento, in fondo, potrebbe benissimo occuparsi della madre e del bambino, mentre invece preferisce cancellarlo, il bambino, con una pillola o con un’operazione chirurgica. La maternità non desiderata è divenuta un evento con un impatto devastante sulla vita di una donna, proprio perché la

società è sempre più incline a considerare un figlio come un intralcio, e non come una risorsa. L’Unicef segue soltanto la corrente di pensiero attuale, dominata dalla cultura della morte: le Giornate Mondiali potrebbero essere delle ricorrenze interessanti, ma per come vengono concepite spesso non c’è nulla da festeggiare.


AUTUNNO 2018 •

PAVIA, 30 NOVEMBRE 2018 ORE 20.45. PRESSO SALONE DEL TERZO MILLENIO C/O CASA DEL GIOVANE (VIA FRANCESCO LOMONACO, 43)

MILANO, 3 DICEMBRE ORE 20.45. PRESSO P.I.M.E (VIA MOSÈ BIANCHI, 94)

LUCCA, 5 DICEMBRE ORE 21.00. PRESSO AUDITORIUM ORATORIO DI S. ANNA “S. GIOVANNI PAOLO II” (VIA FRATELLI CERVI)

REGGIO EMILIA, 7 DICEMBRE ORE 21.00. PRESSO CHIESA SACRO CUORE (VIA MONS. GILBERTO BARONI, 1)

ALESSANDRIA, 9 DICEMBRE 2018 ORE 20.45. PRESSO SALA POLIFUNZIONALE SAN MICHELE (VIA REMOTTI, 43)

UDINE, 11 DICEMBRE ORE 20.30. PRESSO AUDITORIUM MENOSSI (VIA SAN PIETRO, 60)

MERANO, 13 DICEMBRE ORE 20.00. PRESSO SALA CIVICA (VIA OTTONE HUBER, 8)

PER MAGGIORI INFORMAZIONI SU LUOGHI E ORARI, SEGUICI SUL SITO E SUI SOCIAL! 11 N. 68


di Silvana De Mari

Neuropatologia dell’aborto

Un viaggio nel cervello umano, alla scoperta di istinti primordiali e di grandi ingiustizie sociali

Il neurofisiologo Mc Lean, anticipando di molto successive teorie etologiche, distinse il nostro cervello in tre livelli: il livello rettiliano, il cervello limbico, in comune con gli altri mammiferi, e il cervello corticale, la corteccia, con uno sviluppo enorme nella razza umana, la nostra specificità, la sede del pensiero astratto, il luogo dove si sono formate le sillabe de La Divina Commedia. La parte più antica, il cervello rettiliano, è fondamentale per la nostra sopravvivenza. Nel cervello rettiliano ci sono il centro del respiro, quello della sete e quello della fame. È il cervello più arcaico. È il cervello più forte. È cieco e sordo, non comunica con nessuno, non gliene importa un fico di niente, salvo che della sopravvivenza dell’individuo, sopravvivenza che preserva sempre. Come un antico idolo scolpito nella pietra, senza sguardo né sorriso, il cervello rettiliano custodisce la nostra vita. Non è possibile suicidarci smettendo di respirare. Anche davanti 12 N. 68

IL CERVELLO CORTICALE DEVE ESSERE IN ARMONIA CON I CERVELLI ARCAICI

alla sofferenza più atroce, alla morte più orrenda, non possiamo suicidarci smettendo di respirare. Non appena il tasso dell’anidride carbonica sale, il cervello rettiliano reinserisce il respiro. Senza questo meccanismo di difesa potremmo evitare di bruciare vivi o morire sotto tortura, è vero, ma senza questo meccanismo ci suicideremmo tutti, per dispetto, magari a cinque anni,

perché non ci hanno comprato il gelato o a sedici perché ci hanno bocciato. Il cervello rettiliano odia la fame, la odia con tutta la sua arcaica potenza ed è lui il maledetto che fa fallire le diete, perché quando ne ha abbastanza di ottanta grammi di fesa di tacchino scondita e cento grammi di zucchini innesta il meccanismo dell’abboffata, termine tecnico con cui si indica l’ingestione di


discendenza, appoggiamo la violenza di una parte dell’io su un’altra parte.

QUANDO RISPETTIAMO LA VOLONTÀ DI UNA PERSONA DI SUICIDARSI E ABORTIRE, APPOGGIAMO LA VIOLENZA DI UNA PARTE DELL’IO SU UN’ALTRA PARTE

grandissime quantità di cibo in tempi minimi, che avviene in uno stato alterato di coscienza, quasi di trance: il cervello rettiliano ha staccato la spina ai cervelli superiori, la forza di volontà è disinserita, non può più intervenire. Chiunque abbia mai cercato di seguire una dieta lo maledice, in realtà è lui che innumerevoli volte ha salvato la vita, ha impedito l’anoressia mortale, la morte di inedia. Il cervello rettiliano vuole vivere sempre e vuole riprodursi sempre. Il suicidio e l’aborto, che è sempre una forma di suicidio differito, sono sempre frutto di una volontà parziale, una parte dell’individuo non li vuole. La volontà non è mai totale. Quando rispettiamo la volontà di una persona di suicidarsi ed abortire, essendo l’aborto il suicidio della

Il cervello rettiliano custodisce anche l’istinto sessuale e qui vale la pena di fermarsi a considerare che cosa è la sessualità: la sessualità è un modo della biologia per creare la generazione successiva mediante l’unione di due gameti complementari, maschile e femminile. Dove non c’è l’incontro di maschile e femminile il cervello rettiliano è fuori dai giochi ed è fuori dai giochi anche la sessualità, termine che non dovrebbe essere più usato. Quando non c’è incontro tra maschile e femminile abbiamo l’erotismo. La masturbazione è autoerotismo, lo scambio di effusioni erotiche con persone dello stesso sesso è omoerotismo. Questo è l’unico termine biologicamente corretto. Omosessualità è biologicamente un ossimoro, una contraddizione in termini. Il cervello limbico lo abbiamo in comune con gli altri mammiferi, e poi c’è la corteccia cerebrale, che non abbiamo solo noi, ma noi ce l’abbiamo in una maniera straordinaria e lì c’è la sede della conoscenza, certo, e della coscienza anche del nostro essere uomini, della nostra incredibile ferocia e della nostra incredibile compassione,

ma il cervello corticale deve essere in armonia con i cervelli arcaici, perché noi non siamo puri spiriti, siamo incarnati, perché noi siamo natura e cultura e la natura non può essere rinnegata, altrimenti ogni ipotesi di equilibrio è frantumata. La maternità è l’emozione più antica. La prima emozione che lega due individui compare anche nell’alligatore ed è l’istinto materno. Mamma alligatore e l’alligatore bimbo, se separati, esprimono sofferenza, se qualcuno tocca l’alligatore bimbo davanti all’alligatore mamma sarà lui a esprimere sofferenza e il numero dei suoi arti potrebbe non essere più quello originario. «L’istinto materno non esiste», ci spiegano simpatici zuzzerelloni delle facoltà di antropologia e sociologia, non di quella di veterinaria: andate a dirlo a mamma alligatore, mamma leonessa, anche solo a mamma gallina. Nell’alligatore compaiono anche la collera e la gioia dell’accudimento. Non può esserci dolore senza consolazione, perché ci sia consolazione occorre il dolore. L’alligatore paga il piacere di accudire il suo piccolo con la paura di poterlo perdere, la collera di vederlo minacciato, il dolore di averlo perso. Come spiega Il Piccolo Principe, non può esserci gioia senza 13 N. 68


SIAMO UNA CIVILTÀ CHE SI AUTOAGGREDISCE CONTINUAMENTE: LA CHIRURGIA ESTETICA È UN’AUTOAGGRESSIONE, LA LIPOSUZIONE, I TAGLI SUL BRACCIO E SULL’ADDOME, IL SUICIDIO DURO E PURO, I SUICIDI DIFFERITI: TOSSICODIPENDENZA, ABORTO

perdita e non può esserci perdita se non per qualcosa di cui abbiamo gioito. Le madri alligatori sono semplici e brutali: se qualcuno tocca il loro piccolo lo fanno a pezzi. Il sistema comporta due vantaggi: il piccolo sopravvive e i brandelli del mancato aggressore sono immediatamente riconvertiti in merenda. Forte di idee lodevolmente poche quanto lodevolmente chiare, di artigli e zanne micidiali e di una mandibola che è la più potente in natura, l’alligatore mamma si candida trionfalmente nella top ten delle madri ideali. Disperso in giri e giri di circonvoluzioni cerebrali di un cervello enorme, prodigiosamente potente e con prodigiose possibilità di 14 N. 68

disfunzione, l’istinto materno umano, l’accudimento, periodicamente deraglia. Può capitare che una madre ammazzi il proprio bambino a picconate, che lo butti nella spazzatura, che lo dia in pasto ai maiali. Può capitare, in effetti è capitato qualche milione di volte, che le madri storpino i piedi alle loro bambine, che storpino e amputino loro la regione perineale con mostruose amputazioni, che le anneghino in un secchio di acqua per la vergogna che siano femmine. Può capitare che una madre umana venda la propria creatura a un fabbricante di tappeti o a un bordello, che la abbandoni nella strada. Può capitare che una madre consegni sua figlia a coloro che la lapideranno o, come racconta la storia di Edipo, al marito re che la farà

sopprimere, perché non si avveri una profezia che non si avvererebbe, se solo tutti la ignorassero. È capitato di madri che hanno consegnato i loro figli undicenni a una dittatura folle che li ha mandati a morire per proteggere dai carri armati sovietici il bunker del Führer (e peraltro persino il bambino soldato di nazifascista memoria era un gioiello di signorilità e umana pietas, se paragonato allo scempio del bambino terrorista suicida: ringraziamo il terrorismo islamico anche di questo dono). Capita che milioni di donne uccidano il “grumo di cellule” che hanno nell’utero. Non vorrei fare del terrorismo psicologico, e mi limito alla dizione grumo di cellule, però il grumo di cellule lasciato lì


prima o poi diventerebbe un bimbo. L’istinto materno è l’emozione più antica e totale ed è per questo che è custodito nelle parti più arcaiche del cervello, quelle che custodiscono l’istinto di sopravvivenza. Per la violazione dell’istinto di sopravvivenza si usa la parola suicidio. Bene, è tutto qui: l’aborto è, sempre, un suicidio differito. Questa regola non conosce eccezione. Mi si obbietterà che c’è la volontà della donna: una volontà parziale, come è parziale la volontà del suicidio. Una parte del cervello è sempre contro. Il suicidio e l’aborto sono violenze contro se stesse. Io passo il mio tempo ad ascoltare le donne. Quella dell’aborto spesso non è nemmeno stata la loro volontà, ma quella di altri, dei compagni, spesso, perché l’istinto paterno è recente, corticale. Nessun cane e nessun gatto si è mai presentato a mantenere la prole. Un uomo all’inizio vede il bambino come un peso, è dopo la sua nascita che capisce che lo vuole, e nemmeno sempre. QUANDO L’ABORTO È DAVVERO UNA SCELTA DELLA DONNA SI TRATTA QUASI SEMPRE DI PERSONALITÀ MOLTO PERFEZIONISTE

Quando la scelta è della donna, si tratta quasi sempre di personalità molto perfezioniste, con tendenza ai disturbi alimentari, con il terrore che la gravidanza intralci il loro schema che è la vita-carriera, la vita-corsa a ostacoli. Ma anche nei casi dove a spingere a questa scelta sia apparentemente il disagio economico, la vera causa è sempre un’autoaggressione. Siamo una civiltà che si auto-aggredisce continuamente: la chirurgia estetica è un’autoaggressione, la liposuzione, i tagli sul braccio e sull’addome, il suicidio duro e puro, i suicidi differiti: tossicodipendenza, aborto.

Certo, in una società liberale uno deve avere il diritto di auto-aggredirsi, l’autoaggressione non può essere limitata, ma potremmo almeno pretendere che quando venga fatta nel sistema sanitario siano pretese regole corrette? Che l’informazione sia completa? Le immagini dell’aborto sono sotto censura. E soprattutto il consenso informato per l’Ivg è tragicamente incompleto. Non prevede la frase: «Lei potrebbe rimpiangerlo». Ho ascoltato il pianto disperato di donne che ormai hanno cinquant’anni, e l’unico bimbo mai concepito è stato abortito perché “lui” non lo voleva, poi lui se ne è andato 15 N. 68


COSA ACCADREBBE SE LE DONNE CHE HANNO LA SINDROME POST ABORTO DENUNCIASSERO IL SSN?

e adesso sono sole. Ho seguito molte pazienti fino all’ultimo tratto, fino all’ultimo viaggio, e negli ultimi istanti il ricordo del bimbo non nato torna. Il consenso informato deve informare di ogni possibile complicanza, fisica e psichica. «Signora, lei potrebbe rimpiangerlo», è una frase che deve essere pronunciata. «Signora, lei potrebbe rimpiangerlo, perché questo è il suo bambino, potrebbe avere i suoi occhi, sicuramente avrà il suo sorriso», è una frase che deve essere detta, e chiunque si opponga si sta battendo per la cultura del suicidio. Il cervello rettiliano il bimbo lo voleva, sempre. Esiste una sindrome post aborto, che non è solo depressione, può arrivare anche allo scompenso psicotico: perché nel consenso informato non se ne parla? 16 N. 68

La libertà della donna deve essere garantita: in un mondo libero la decisione di uccidere una parte di me, quella che mi proietta nell’eternità, devo prenderla dopo aver ascoltato un avvocato difensore del grumo di cellule che potrebbe diventare il mio bambino. Se le donne che a un certo punto hanno avuto il cuore straziato dal fatto che il grumo di cellule sia finito nei rifiuti con le garze sporche, denunciano il Sistema sanitario nazionale per non averle avvertite che il grumo di cellule ha cominciato a straziare il loro cuore con la sua assenza, sarebbe il crollo economico definitivo del già disastrato Stato italiano: qualcuno ci ha pensato? Nessuna donna che si ami e che creda in se stessa abortisce, mai. Anche in condizioni atroci, impone il suo bambino al mondo e se il mondo non lo vuole, che se ne vada al diavolo il mondo.


A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei

piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.

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Giuliano Guzzo

E H IC T IA D E M IE G E T STRA PRO EUTANASIA

di Giuliano Guzzo

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabora con diverse riviste e portali web fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. Perdell’Equipe farsi un’idea diGiovani comedeli mezzi È membro Nazionale Movimento per la Vita italiano

di comunicazione esercitano

* giulianoguzzo@email.com la loro influenza, o tentano @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com di farlo, su determinati temi,

risulta prezioso soffermarsi su alcuni di essi: quelli sui quali il consenso da parte dei più non è ancora stato raggiunto. L’operosità propagandistica Anna Maria dei media, infatti, risalta con Pacchiotti più nettezza ed è richiesta proprio negli ambiti dove il favore della presidente maggioranza appare Anna Maria Pacchiotti, dell’associazione “Onora la Vita onlus”. incerto, da costruire. Uno di : www.onoralavita.it questi è senza dubbio quello dell’eutanasia, pratica legale in un numero ancora ridotto di Paesi e, per questo motivo, al centro di numerosi spot che i suoi promotori non esitano a confezionare servendosi Giulia abilmente ora della stampa, Tanel Ma di che ora della televisione. spot si tratta e, soprattutto, in che modo il consenso sociale Laureata in Filologia e Critica Letteraria. diritto Collabora di morire Scrive sul per passione. con viene libertaepersona.org con altri siti internet e promosso?e Possiamo in estrema riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, sintesi isolaredelalmeno cinque di Miracoli - L’irruzione soprannaturale nella storia (Ed. Lindau). strategie utili a questo fine.

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Sono cinque le strategie utilizzate dai mass media per fare propaganda alla morte, per niente “dolce”, né “bella”

1° strategia: confondere le idee La prima concerne l’insistita confusione tra eutanasia e accanimento terapeutico. Lo testimoniano i dibattiti televisivi e i confronti sui giornali sul cosiddetto fine vita, che si protraggono talvolta per giorni e con toni non sempre urbani ma quasi mai, ci si faccia caso, con il chiarimento del significato dei termini in gioco. Accade insomma che si discuta anche animatamente e a lungo sul diritto di morire senza prima essersi chiariti sul senso delle parole impiegate, forse perché date per scontate. Sta di fatto che questo genera un caos assai utile a chi, per esempio, intenda far passare come eutanasia solamente l’eutanasia attiva – ben esemplificata dall’«iniezione letale» –, assimilando l’eutanasia omissiva al più neutro «rifiuto delle terapie», come se sopprimere e lasciar

morire non fossero azioni equipollenti, rispondenti cioè alla medesima e manifesta volontà di cagionare il decesso altrui. Il punto è che nell’eutanasia, come pure sostenitori di questa pratica del calibro del dottor Umberto Veronesi hanno onestamente riconosciuto, rientra non solo l’azione ma anche l’omissione finalizzata a provocare la morte di un malato allo scopo di evitarne il dolore. Dunque l’esclusione dalla definizione eutanasica

L’OPEROSITÀ PROPAGANDISTICA DEI MEDIA RISALTA CON PIÙ NETTEZZA ED È RICHIESTA PROPRIO NEGLI AMBITI DOVE IL FAVORE DELLA MAGGIORANZA APPARE INCERTO, DA COSTRUIRE


del «rifiuto delle terapie» che cagiona la morte, esclusione che ha spesso nei media dei megafoni, torna assai preziosa a chi, per promuovere il diritto di morire, intenda presentare lo stesso in modo edulcorato, compassionevole, quasi impossibile non solo da contrastare ma anche da mettere in discussione. A questo tentativo di confondere le acque segue una babele che spesso investe persino coloro che più di tutti sono chiamati a curare e assistere i pazienti nella loro fase terminale: i medici. A questo proposito, fanno impressione i risultati di una ricerca dell’università di Milano-Bicocca su 600 professionisti della salute resa nota nel 2006 con la quale si chiedeva a costoro di definire l’eutanasia. Ebbene, 133 medici hanno definito la pratica come sedazione terminale, 130 come aiuto al suicidio, 115 come mancato intervento necessario alla sopravvivenza di un malato, 95 come sospensione dei trattamenti, 72 come sospensione della nutrizione artificiale, i rimanenti come le cure che accelerano la morte. Morale della favola: una grande e confusionaria varietà di risposte, senza che nessuno, a quanto pare, abbia definito correttamente l’eutanasia quale azione od omissione che, allo scopo di eliminare

la sofferenza di un paziente, ne cagiona la morte. Ma se neppure i terapeuti sono in grado di mettere bene a fuoco il complicato tema eutanasico, come possono riuscirci i normali cittadini? È una bella domanda. Tanto più che grazie ai media, alla confusione sul termine eutanasia, si aggiunge quella sul concetto di accanimento terapeutico, nel quale viene incluso proprio quel rifiuto letale delle terapie in realtà eutanasico. Ma l’eutanasia omissiva non c’entra nulla con l’accanimento terapeutico, abuso che si concretizza nell’ostinazione in trattamenti terapeutici e diagnostici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato, né un miglioramento della sua qualità della vita. A che scopo, allora, presentare l’eutanasia omissiva come rifiuto dell’accanimento terapeutico? Per lo stesso

motivo cui si accennava poc’anzi: quello da un lato di rendere il diritto di morire più digeribile e meno respingente e, dall’altro, di mettere in cattiva luce gli oppositori dell’eutanasia, che con questa manipolazione del linguaggio passano come disumani tifosi dell’accanimento terapeutico.

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2° strategia: il caso limite Una seconda strategia per promuovere il consenso sull’eutanasia tramite i media è quella che potremmo definire del “caso pietoso”. È probabilmente la tattica più diffusa e antica in assoluto, la cui origine risale a decenni addietro, ai casi del medico H.N. Sanders, che nel 1950 aveva soppresso una signora malata di cancro, e di Corinne Vandelput, bambina focomelica uccisa dai genitori nel 1962. In tempi più recenti si pensi invece alla vicenda di Terry Schiavo o, venendo all’Italia, a quelle di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Ora, in che cosa consiste, rispetto a tutte queste situazioni spesso accompagnate da scontri giudiziari e processi, la strategia pro eutanasia degli organi di informazione e comunicazione? Semplice: tutti questi casi sono soliti essere

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raccontati con l’intenzione non già di informare le persone, come sarebbe giusto, ma di generare in esse un senso di profonda pietà e indulgenza nei confronti di quanti hanno preferito porre fine alla sofferenza di una persona piuttosto che prolungarne un’esistenza dolorosa; accade cioè che la narrazione ufficiale diventi di fatto una narrazione parziale. Per raggiungere questo scopo, la narrazione del “caso pietoso” è solitamente basata su alcuni fondamentali pilastri, che sono: la disperazione dei congiunti del malato o del disabile grave, messa bene in rilievo; la richiesta di quest’ultimo di farla finita – non conta se formulata lucidamente o come indiretta richiesta di maggiori aiuto e assistenza –; la confusione concettuale che vede indebitamente sovrapposti la non guaribilità (che riguarda una malattia) con l’incurabilità

(che afferisce alla persona); la costruzione di servizi giornalistici, spesso arricchiti con toccanti sottofondi musicali, volti non già a stimolare nello spettatore una riflessione, per esempio su cosa potrebbe implicare una legislazione eutanasica, bensì a propiziare una immedesimazione nella situazione di natura puramente emotiva. In altre parole, lo spettatore non deve assolutamente ragionare. Deve solo commuoversi. In questo modo chi gestisce l’informazione e la comunicazione intende portare chi legge o chi guarda su un versante puramente emozionale, privo di alcun significativo elemento cognitivo il quale, se presente, permetterebbe di tornare alla realtà, a ogni singola realtà, e di smontare la costruzione mediatica. L’allontanamento della sfera razionale tramite il “caso pietoso”, oltre ad abbattere ogni resistenza, aggrava poi la posizione di quanti si battono per il diritto alla vita fino all’ultimo, e ritengono che la missione della medicina sia eliminare la malattia e


non i malati, i quali vengono sempre più visti come crudeli aguzzini senza cuore, disposti a far soffrire il prossimo pur di difendere i loro presunti ideali. Un altro effetto della strumentalizzazione del “caso pietoso” sta nel nascondimento di un elemento di centrale importanza per capire le dinamiche del cosiddetto fine vita, ossia il fatto che in realtà non è tanto il dolore di una malattia, ancorché inguaribile, a spingere le persone a desiderare la morte. A stabilirlo, uno studio italiano condotto su più di 18.000 pazienti deceduti per varie forme di cancro dal 1987 al 1994, che ha messo in luce come appena 41 di questi, ossia lo 0,2%, si siano tolti la vita. Analogamente, una ricerca realizzata su più di 70.000 malati terminali di cancro ha riscontrato una percentuale di suicidi, tra costoro, pari allo 0,29%. Numeri, questi, empiricamente suffragati da uno studio pubblicato nel 2008 sul Journal of General Internal Medicine, che ha evidenziato come in molte situazioni basti un semplice intervento sull’autostima dei pazienti per prevenire la richiesta di morte, in quanto manifestazione non tanto di una sofferenza fisica, quanto del terrore di una futura perdita di dignità. Naturalmente, i registi del “caso pietoso” queste

I MEDIA ALIMENTANO UNA GRANDE CONFUSIONE TRA EUTANASIA E ACCANIMENTO TERAPEUTICO. CONFUSIONE IN CUI PURTROPPO CADONO ANCHE MOLTI MEDICI

e altre informazioni, decisive per comprendere le reali e spesso non soddisfatte esigenze dei malati, si guardano bene dal diffonderle, altrimenti il macabro teatrino allestito vedrebbe gravemente limitato il suo potenziale persuasivo. 3° strategia: sondaggi pilotati La terza strategia mediatica pro eutanasia è rintracciabile nei numerosi sondaggi che iniziano a circolare proprio nei giorni o nelle settimane in cui l’opinione pubblica è scossa dal “caso pietoso” di turno. Sondaggi che guarda caso finiscono sempre con il rilevare il favore della maggioranza verso il diritto di morire. Lo scopo di questa tattica? Attivare quella che la sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann ha chiamato «la spirale del silenzio». Attenzione, non ci si faccia impressionare dal nome altisonante: si tratta di un giochino piuttosto semplice, anche se di astuzia luciferina. La teoria della spirale del silenzio infatti afferma che, nella misura in cui un singolo percepisce – anche se lo scenario effettivo è un altro – di avere una

opinione diversa o contraria a quella della maggioranza, costui si sentirà disincentivato a esprimerla apertamente, venendo così a inverare una profezia che il politologo Giovanni Sartori ha scritto in un suo manuale: «Chi non dice quello che pensa, finisce per non pensare quello che non può dire». I sondaggi diffusi durante la sovraesposizione mediatica di un “caso pietoso” svolgono così una duplice funzione: capitalizzare demoscopicamente la commozione dei più e far sentire i contrari all’eutanasia una minoranza, inibendo così il dissenso. 21 N. 68


«CHI NON DICE QUELLO CHE PENSA, FINISCE PER NON PENSARE QUELLO CHE NON PUÒ DIRE» (GIOVANNI SARTORI)

4° strategia: tirare in ballo la religione

5° strategia: la lotta alla clandestinità

Una quarta via per promuovere il diritto di morire sui media consiste nel confezionare e diffondere l’ormai classica polarizzazione laici contro cattolici, secondo cui la contrarietà all’eutanasia avrebbe soltanto motivazioni religiose. Il che è una truffa culturale in piena regola, dato che le personalità laiche o non credenti contrarie alla pratica eutanasica sono, e sono state, numerose. Si pensi a Lucien Israël, agnostico luminare dell’oncologia coautore di un libro significativamente intitolato Contro l’eutanasia, o alla scrittrice Oriana Fallaci, la quale, pur malata di cancro, una volta ha affermato: «La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia, nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalleSofferenze. La morte è morte e basta».

La quinta e ultima strategia mediatica, che gli ideologi della “buona morte” impiegano grazie alla visibilità che gli amici conduttori e giornalisti garantiscono loro, è quella di insistere sul fenomeno dell’eutanasia clandestina. Si tratta dello stesso identico trucco messo in campo ai tempi dell’aborto, consistente nella sovrastima di un fenomeno che avverrebbe nell’ombra

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e che, proprio per questo, sarebbe opportuno legalizzare. È ovvio che non può essere la diffusione di una pratica a decretarne l’opportunità di un riconoscimento giuridico – altrimenti andrebbero legalizzati, che so, anche la bustarella, il furto o il traffico di armi – ma questo argomento, come si è appena detto, ricalca quello menzognero ampiamente collaudato in altre situazioni. «Bugia che funziona non si cambia», verrebbe da commentare.


In conclusione, se da un lato il tema dell’eutanasia resta complesso da valutare a prescindere, dall’altro, dal punto di vista mediatico, i suoi promotori operano una banalizzazione esclusivamente emotiva, spesso efficace, nel tentativo di ricondurre la contrarietà a questa pratica a mera fissazione religiosa. Per questo la propaganda eutanasica appare particolarmente insidiosa e difficile da stanare, ed è fondamentale per chiunque abbia a cuore un dibattito equilibrato fare attenzione a come, spesso tacitamente, questo viene orientato. Non è infatti infrequente assistere a trasmissioni televisive sul fine

vita in cui lo stesso conduttore, per esempio formulando domande ingannevoli, mette i difensori del diritto alla vita dei più deboli nella condizione di non poter esporre le proprie tesi e di dover addirittura giustificare a priori i propri convincimenti, quasi fossero una colpa. Certo, smascherare questi e altri tentativi di manipolazione non è sempre semplice. Tutt’altro. Infatti, non di rado questo impone un esercizio decisamente impegnativo nonché uno sguardo critico e, soprattutto, vigile. Ciò nonostante è un tentativo che merita di essere fatto. Non tanto, sia chiaro, per

aprioristica simpatia per i contrari all’eutanasia, bensì per contrarietà ai favorevoli all’inganno. Che guarda caso sono sovente gli stessi che, oltre alla “buona morte”, promuovono l’aborto, la fecondazione extracorporea e altre pratiche quanto meno discutibili, trovando negli operatori dell’informazione degli alleati formidabili. Manipolatori in grado di servire al pubblico spot occulti, servizi giornalistici che apparentemente raccontano un determinato fatto, ma che in realtà ne offrono già un’interpretazione di parte, che di neutrale ha ben poco.

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Essere medico, essere dono di Giuseppe Noia «Io sono stato creato in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me» (Chiara Lubich)

Ringraziamo il professor Giuseppe Noia e la Fondazione Il Cuore in una Goccia per il contributo che offrono a Notizie ProVita. Invitiamo i Lettori a visitare il sito www.ilcuoreinunagoccia.com per approfondire la conoscenza della fondazione e per richiedere l’opuscolo informativo-divulgativo: Le Cure Prenatali. Nuovi percorsi di risposta alla diagnosi prenatale patologica, per una difesa integrale della vita nascente senza se e senza ma. Come medico mi sono chiesto quale fosse il cuore di questa mia scelta e, avendo avuto una scuola personale di esempi tutti dediti al servizio, mi sono reso conto del “dono” che potevo essere per gli altri. Il dono è quello di fare qualcosa di vero, di sentirsi utile, di essere mezzo per lenire la sofferenza, di dare sollievo a chi vive la “condizione” del dolore fisico, psicologico, in definitiva di mettere a disposizione degli altri i migliori anni e le migliori risorse della mia vita, il “meglio di me”. 24 N. 68

Questo itinerario interiore però non l’ho perseguito con una piena e completa consapevolezza fin dall’inizio, bensì l’ho percorso per i primi tempi quasi con una dedizione istintuale e nell’idea che il medico “doveva fare così”. C’era anche la segreta ambizione di tutti i giovani sognatori di diventare “grande” in qualche cosa e quindi ho cominciato a lavorare per poter fare ricerca scientifica. Ma quando incominciai la specializzazione in ginecologia mi resi conto che, per il mio tempo, la risposta a diventare “grande” in qualche cosa mi spingeva più verso le persone

IL DONO DI SÉ È METTERE A DISPOSIZIONE DEGLI ALTRI I MIGLIORI ANNI E LE MIGLIORI RISORSE DELLA PROPRIA VITA

che verso un laboratorio, più verso la clinica che verso la ricerca di base. In quegli anni il valore della vita umana, ai suoi albori, veniva legalmente e scientificamente attaccato (la legge sull’aborto


Infatti quattro anni prima avevo incontrato Gesù Cristo attraverso la realtà umana e spirituale di un sacerdote, don Giuseppe De Santis, che viveva vicino a Narni, in Umbria.

è del maggio 1978 e la prima nata da fecondazione extracorporea è del luglio dello stesso anno). Capii molto bene che il nucleo del problema, non solo scientifico ma anche giuridico, etico e sociopolitico era l’embrione e tutto ciò che intorno a lui ruotava: la coppia, la famiglia, l’affettività, la sessualità umana. Era lui il segno di contraddizione, era il valore della vita, e quella più debole nel campo di battaglia era la verità sulla persona umana, la posta in gioco! Per me, specializzando di ostetricia e ginecologia, la ricerca di base poteva aspettare: altre urgenze mi spingevano a spendere la vita; sentivo che impegnandomi in quel campo (la difesa della vita nascente) avrei speso bene la vita per Qualcuno.

[…] Ecco quindi i dati esperienziali che fondarono l’idea di essere dono per gli altri. Ma “il dono per me” come si sarebbe ottenuto? Alla scuola di don Giuseppe ho imparato che servire è veramente regnare e sotto la sua guida fui spinto a lavorare per le ragazze madri, a fare volontariato, a fare qualcosa che come medico mi caratterizzasse in una certa gratuità. I numerosi viaggi a Lourdes dove si paga per servire il malato ne furono l’emblema. Le ragazze madri della casa di Primavalle di Madre Teresa mi furono “maestre”. Mese dopo mese vedere che chi non aveva nulla (marito, casa, averi, condizioni sociali) accoglieva il bimbo, mentre chi aveva tutto non accoglieva il bimbo, cioè la grazia di Dio, fu uno shock.

C’ERA IN GIOCO LA VERITÀ SULLA PERSONA UMANA E IL NUCLEO DI TUTTO ERA L’EMBRIONE E TUTTO CIÒ CHE INTORNO A LUI RUOTAVA

Ho pensato: «Chi ha il cuore non occupato è più pronto ad amare». Bisognava fare spazio nel cuore, spesso occupato e preoccupato per tante cose inutili. E piano piano le pazienti stesse sono diventate dono per me. Ho capito il potere della “sapienza”, il potere del “sàpere”, quel sapore, cioè, che l’intelligenza e la volontà acquistano quando la mia esperienza clinica e scientifica viene “donata” per

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tranquillizzare nelle diagnosi (la verità sì, ma nella carità); per curare quando è in pericolo la vita delle mamme e dei loro feti; per condividere la sofferenza (molto spesso) e la gioia (meno spesso) delle coppie sterili, impegnandosi a trovare risposte eticamente degne al santo desiderio di avere un figlio; nel lenire il dolore devastante di aver abortito volontariamente il proprio figlio, o nel proporre terapie cliniche e psicologiche che aiutino a elaborare il lutto dell’aborto spontaneo ricorrente; nell’aiutare l’universo femminile dell’adolescenza alla scoperta del valore della corporeità, della sessualità e dell’affettività in un mondo che banalizza e materializza l’anima del dono della vita; facendo scoprire alla donna che va in menopausa che il dono della “fecondità” spirituale non finirà mai. Più che mai oggi il medico ha bisogno di imparare “l’arte del relazionarsi” Oggi più che mai il medico deve educare gli occhi del cuore perché essi possano vedere cose che gli occhi del corpo non vedono. Un cuore educato, allenato “a darsi”, acuisce l’intuizione clinica del sintomo e fa guardare a tutta la persona, alla sua storia personale e al contesto in cui vive, e non solo ad una parte del suo corpo, cosicché la persona 26 N. 68

PIÙ CHE MAI OGGI IL MEDICO HA BISOGNO DI IMPARARE “L’ARTE DEL RELAZIONARSI”

malata, sofferente avverte le “vibrazioni” umane del medico che si interessa di lei. Il rapporto di transfert fiduciale nasce e aumenta, se c’è un vero interesse per quella persona da parte del medico. Il malato lo “sente” dai modi con cui è trattato e dal tempo che gli si dà. Così inizia una precoce “predisposizione terapeutica” del paziente, che si traduce anche in nuove energie, speranze, buon umore e lo fa uscire dall’“hangar” della solitudine in cui spesso viene parcheggiato o si autoparcheggia dinanzi al problema medico perché «non c’è tempo per ascoltarlo, si devono fare tante altre cose!». Nella moderna medicina, lavorando in équipe multidisciplinare, l’approccio è spesso sbilanciato: molta tecnologia, molte riunioni e discussioni, molta onestà nella

ricerca scientifica, ma poca relazionalità verso il paziente, i suoi parenti, il suo contesto esistenziale. Apparentemente tutto ciò sembra poco rilevante, ma quante volte il percorso diagnostico, con la complessità delle metodologie e delle tecnologie, ci toglie “relazione clinica” con il paziente? Questo modo di fare, questa povertà di metodologia relazionale è un grave danno alla professionalità e spiego perché: il medico è la figura che scientificamente, giuridicamente, socialmente e umanamente dovrebbe saper gestire il dolore, la sofferenza fisica e psicologica dei suoi pazienti. Mi sembra di assistere però sempre più alla “fuga” del medico dinanzi alla gestione del dolore e della sofferenza.


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LA CULTURA DELLA VITA E DELLA FAMIGLIA NON CONOSCE LIMITI: UNISCITI A PROVITA! 27 N. 68


FOLLOW THE MONEY, SEGUI IL DENARO

di Dina Nerozzi

Il Comitato nazionale per la bioetica ha dato parere favorevole all’uso della triptorelina per bloccare la pubertà… a spese del Ssn

Il tema dell’ossessione per la perfezione, e tutto quanto ne consegue in termini di ritorno economico, consente di affrontare il discorso su quanto è stato deciso dal Comitato nazionale per la bioetica in tema di ritardo puberale farmacologicamente indotto con triptorelina non per contrastare un tumore (sua indicazione originaria) ma per allungare indefinitamente il processo puberale in attesa che un adolescente decida se nella vita preferisce essere un maschio, una femmina, o qualcosa di indefinito che sta nel mezzo. Il disagio provocato da un naso importante, dalla peluria diffusa, da seni ritenuti non adeguati allo standard, dal passare degli anni, è sicuramente diverso da quello derivante dalla sensazione di trovarsi nel corpo

sbagliato, ma tutto si uniforma nel momento in cui si affronta l’argomento base: i costi degli interventi e dei prodotti necessari per ottenere l’effetto richiesto, chi li deve sostenere e quanto possano beneficiarne le aziende coinvolte nel business del perfezionamento del corpo, oltre che il Pil nazionale. Il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) è un organismo che svolge un ruolo di

consulenza nelle questioni relative all’impiego delle moderne biotecnologie ed è importante in quanto le sue decisioni influenzano sia le decisioni politiche, sia l’opinione pubblica. «Il Comitato deve restare sede scientifica, elevata e imparziale, della cultura bioetica», questa è la stella polare indicata dal suo fondatore, il professor Adriano Bompiani, nel momento della

GLI INTERVENTI DI CHIRURGIA PLASTICA, QUELLI PER “RIASSEGNARE” IL SESSO E TUTTI I FARMACI ANNESSI COSTANO: CHI DEVE PAGARE?

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Primo piano


L’APPROCCIO SCIENTIFICO È STATO COMPLETAMENTE CANCELLATO DAL PANORAMA DEL CNB

sua istituzione, nel 1990. Accanto al Cnb esiste anche una Consulta di Bioetica Onlus, di matrice privata, che nella sua pagina web riporta in bella mostra una frase dell’economista John Stuart Mill: «Su se stesso, sul proprio corpo, e sulla propria mente l’individuo è sovrano». Gli economisti ci ricordano che in tutte le questioni è buona norma “to follow the money”, e bisogna ammettere che, se si vuole capire cosa sta succedendo, questa è l’unica via da intraprendere. La Consulta di Bioetica Onlus, nella persona del suo presidente Maurizio Mori, che è anche un componente del Cnb, ci offre una spiegazione del perché anche in questo caso sia necessario seguire i soldi per capire quello che sta accadendo, e lo fa nel suo editoriale intitolato “Disforia di genere. Ecco perché è giustificata la risposta del Cnb sull’uso prudente della triptorelina”. «Sinora in Italia la triptorelina poteva essere acquisita dietro semplice prescrizione medica e senz’altra restrizione che il Primo piano

corrispettivo pagamento del costo dovuto, la cui entità è di oltre €. 2.000/anno: per alcuni cifra inaccessibile, per altri quota facilmente disponibile. Situazione questa che crea un’odiosa discriminazione su base economica. Forse anche per questo l’Aifa ha chiesto se dal punto di vista etico potesse essere inserito nei farmaci dispensabili dal Ssn nei casi specifici, così da eventualmente togliere tale discrepanza». Sempre dal presidente della Consulta di bioetica Maurizio Mori veniamo a sapere che, dopo attenta valutazione, il Cnb ha deciso di evitare di esaminare «sul piano storico-sociologico e filosofico la questione della identità di genere», per concentrarsi invece sul quesito specifico, vale a dire quello economico. A questo punto appare chiaro come l’approccio scientifico sia stato completamente cancellato dal panorama del Cnb, dato che non viene nemmeno preso in esame nella questione “identità di genere”, tant’è vero che ci viene spiegato

che l’argomento sarà affrontato, a tempo debito, sul piano storico-sociologico e filosofico. Naturalmente il Cnb, all’unanimità con un’unica eccezione contraria, ha ritenuto «opportuno giustificare l’utilizzo di tale farmaco ispirandosi a un approccio di prudenza, in situazioni accuratamente selezionate, da valutare caso per caso». La morale è lo che Stato deve farsi carico dell’utilizzo off label della triptorelina per far sì che gli adolescenti con la testa confusa in relazione alla propria identità sessuale possano aspettare se diventare maschi, o femmine, o qualcosa d’altro. Cui prodest? Siamo proprio sicuri che siano gli adolescenti quelli confusi nella mente? A questo punto è lecita un’altra domanda: se, come dice John Stuart Mill, «su se stesso, sul proprio corpo, e sulla propria mente l’individuo è sovrano», perché quando ci sono i conti da pagare deve intervenire lo Stato?

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«BELLO È IL BRUTTO E BRUTTO È IL BELLO» di Marco Di Matteo La kalokagathìa greca come antidoto alla deriva etica contemporanea

Nella famosa tragedia shakespeariana Macbeth, a un certo punto le streghe urlano: «Bello è il brutto e brutto è il bello». Sembra quasi una profezia del mondo contemporaneo, in cui il ribaltamento della concezione estetica rappresenta il sintomo più evidente della corruzione e della degenerazione morale. Eppure lo stretto legame tra bellezza, verità e bontà è stato uno dei cardini dell’estetica occidentale, a partire dai Greci. Cerchiamo quindi di ripercorrere brevemente le tappe della riflessione classica e poi medievale sul valore della bellezza. Partiamo dalla stessa etimologia delle parole che nelle più importanti lingue occidentali indicano il bello. L’aggettivo greco per indicare il bello è kalòs che, sebbene secondo Platone derivi da kalein (“chiamare, attrarre a sé”), è regolarmente associato al buono (agathòs). In italiano e nelle lingue derivate dal latino, “bello” si richiama a un “piccolo bene”: esso traduce 30 N. 68

il latino bellus, abbreviazione di benulus, a sua volta diminutivo di bonus nel linguaggio affettivo e familiare, con il significato di “grazioso” che si rinviene ad esempio in molti carmi di Catullo. Un’altra più suggestiva ipotesi mette in campo il latino medievale bonicellum, “piccolo bene” o “bene abbreviato”. Apparentati con questa etimologia di bello sono “bonito” (spagnolo), “beau” (francese), “beautiful” (inglese).

LO STRETTO LEGAME TRA BELLEZZA, VERITÀ E BONTÀ È STATO UNO DEI CARDINI DELL’ESTETICA OCCIDENTALE, A PARTIRE DAI GRECI

Il discobolo di Mirone

Primo piano


Nel mondo classico La stretta connessione tra bello e bene nel mondo greco fu messa in risalto soprattutto da Platone. Cominciamo con il precisare che uno degli elementi strutturali della bellezza classicamente intesa consiste nella “forma”, concepita nel suo senso più profondo, ossia quello ontologico (relativo all’essere). Per comprenderlo è bene ricordare che i termini greci che indicano la forma sono idea ed eidos. Purtroppo il primo non è stato tradotto, ma semplicemente traslitterato, e nel corso dei secoli, in particolare in età moderna, ha assunto un significato estraneo all’originale. Infatti, per l’uomo di oggi il termine idea significa un concetto, un pensiero, una rappresentazione mentale. Invece per il Greco, in particolare per Platone,

LA BELLEZZA, CHE COINCIDE CON LA BONTÀ, È MISURA, PROPORZIONE, VERITÀ E ANCHE VIRTÙ

l’Idea non era il pensiero, ma l’oggetto del pensiero, a cui il pensiero si rivolge. Inoltre, va notato che i termini idea e idein (“vedere”) indicano l’oggetto del vedere. Prima di Platone venivano usati soprattutto per indicare la forma visibile delle cose, ossia la forma esteriore che si coglie con l’occhio. A partire da Paltone, invece, tali termini vengono usati per indicare la “forma” interiore delle cose, la loro essenza, passando quindi dal piano fisico a quello metafisico.

Il Gàlata morente, opera commissionata da Attalo I di Pergamo per celebrare la sua vittoria contro i Galati. La copia romana in marmo dell’originale greco in bronzo, del 220 circa a.C., è conservata ai Musei Capitolini di Roma

Primo piano

Altro elemento importante per comprendere il legame che, secondo i Greci, sussiste tra bellezza e bontà è il fatto che nella Grecia classica l’architettura, la scultura e la ceramica si fondavano su “canoni” (corrispondenti analogicamente alle leggi che regolavano la musica), i quali costituivano una regola di perfezione essenziale ed erano esprimibili in modo esatto mediante numeri. Dunque la forma e la bellezza hanno al loro fondamento numeri, rapporti numerici e proporzioni (si pensi al canone di Policleto). Perfetta applicazione di tali canoni è ad esempio il Discobolo, scultura realizzata in bronzo da Mirone intorno al 455 a.C. Mirone scolpisce un corpo d’atleta in movimento nel momento culminante dell’azione: la torsione del corpo è vigorosa e, allo stesso tempo, armoniosa e delicata, mentre il volto esprime quella pacatezza, priva di turbamento, data dalla concentrazione.

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IL BELLO È UNA SORTA DI SPLENDORE E DI SFAVILLIO LUMINOSO CON CUI IL BENE SI FA VEDERE E CI ATTIRA

Leonardo da Vinci, La Vergine delle Rocce, 1486, Parigi, Louvre

In base a quanto detto, si potranno comprendere le ragioni per le quali Platone e in genere i Greci ritenessero inscindibili il bello e il bene. Il sostrato culturale di tale convinzione è attestato dalla stessa lingua, che ha creato un termine per noi intraducibile in modo esatto: kalokagathìa, che significa bellezza-bontà. La bellezza, che coincide con la bontà, è, in effetti, misura, proporzione, verità, e anche virtù (in senso ellenico di perfetta attuazione dell’essenza di una cosa). Più in particolare, occorre ricordare che per Platone il Bene coincide con l’Uno, e che il dispiegarsi del Bene e del Bello consiste 32 N. 68

nell’esplicarsi dell’unità nella molteplicità. Appunto mediante proporzione, ordine, armonia. Nell’uomo questa bellezza-bontà si esplica nella capacità di coltivare armoniosamente il corpo e l’anima, come scrive nel Timeo: «Chi si applica alla scienza pura, o a qualsiasi altro faticoso lavoro intellettuale, deve praticare anche i movimenti del corpo, dandosi alla ginnastica; chi d’altra parte coltiva con amore il proprio corpo deve, a sua volta, farvi corrispondere i movimenti dell’anima, dandosi alla musica e alla filosofia nella sua totalità, se vuol essere chiamato – giustamente – bello davvero e buono a un tempo».

Perché si realizzi tale armonia è però necessario che il corpo sia governato dall’anima e che l’anima «sia bellissima e ottima nell’esercizio di questa sua funzione governativa». Nel Fedro, inoltre, Platone afferma che la straordinarietà della bellezza consiste nel fatto che essa è la sola Forma intellegibile che risulta essere visibile anche dagli occhi fisici, oltre che da quelli dell’anima: tra tutte le sostanze perfette, solamente alla bellezza «toccò il privilegio di essere la più evidente e la più amabile». Il Bello risulta essere quindi una sorta di splendore e di sfavillio luminoso, con cui il Bene si fa vedere e ci attira. Aristotele, invece, nella Poetica elabora una dottrina del bello come simmetria: il bello è costituito dall’ordine, dalla simmetria e da una grandezza adatta a essere abbracciata nel suo insieme da un solo colpo d’occhio. Primo piano


Passiamo ora alla testimonianza di due storici greci: Tucidide e Senofonte. Tucidide, il più profondo storico greco, nella Guerra del Peloponneso, tra i motivi di superiorità del popolo ateniese sugli altri della Grecia, cita l’attitudine al bello: Atene ha creato «occasioni numerose di svago dai quotidiani sacrifici, istituendo giochi e solennità religiose, […] arredando con eleganza le nostre abitazioni, il cui quotidiano godimento fa svanire, giorno per giorno, ogni tetro pensiero». Viene così introdotto il tema della bellezza, strettamente connesso alla consolazione delle sofferenze e alla quotidianità. Tucidide aggiunge anche: «Amiamo il bello senza esagerazione e la cultura senza mollezza». La semplicità e l’equilibrio sono riconosciuti come caratteristiche distintive della bellezza greca. Per i Greci quindi il “bello” non può prescindere dalla virtù pratica e concreta della «sanità mentale che si traduce nell’equilibrio pratico». La dimensione estetica concerne così il piano più ampio dell’educazione integrale della persona, in modo che ad Atene «il singolo individuo può essere disponibile, e sufficientemente, Primo piano

alle svariate attività, con la massima versatilità e disinvoltura». Quanto a Senofonte, nei suoi Memorabili troviamo questa splendida riflessione attribuita a Socrate, di cui egli era stato discepolo: «E tu credi, ribatté Socrate, che una cosa buona e una cosa bella siano diverse? Non sai che, rispetto agli stessi fini, tutte le cose sono belle e buone insieme? Innanzitutto infatti la virtù non è buona per alcuni fini e per altri bella, poi gli uomini si chiamano belli e buoni nello stesso ambito e rispetto agli stessi fini e anche il corpo degli uomini appare bello e buono rispetto alle stesse cose, e inoltre anche tutte le altre cose di cui gli uomini si servono sono considerate belle e buone in relazione a ciò per cui sono utilizzabili». Dal Medioevo al Rinascimento e al Romanticismo Nel Medioevo sant’Agostino e san Tommaso riprenderanno le categorie estetiche classiche, approfondendo la loro connessione con il divino. In particolare san Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae, individuerà le seguenti caratteristiche del bello: «Per la bellezza si richiedono tre

doti. In primo luogo integrità (integritas) e perfezione: poiché le cose incomplete, proprio in quanto tali, sono deformi. Quindi debita proporzione (debita proportio), o armonia (tra le parti). Finalmente chiarezza (claritas) e splendore: difatti diciamo belle le cose dai colori nitidi e splendenti». Egli inoltre, commentando l’opera dello Pseudo Dionigi, dice che, ove risplende la bellezza, risplende un raggio dello splendore che sta all’inizio della creazione (prima claritas): Dio come bellezza suprema, come principio di ogni armonia e di ogni proporzione, richiama a sé tutti gli esseri attraverso le diverse manifestazioni del bello. Quanto alla bellezza umana, Tommaso afferma: «La bellezza del corpo consiste nell’avere le membra ben proporzionate con la luminosità del colore dovuto. La bellezza spirituale consiste nel fatto che il comportamento e gli atti di una persona sono ben proporzionati secondo la luce della ragione».

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È soprattutto la dimensione della integritas che permette di evidenziare il legame tra bello e bene, come sottolinea il filosofo Angelo Campodonico: «Tommaso evidenzia che l’etica non può fare a meno della dimensione della misura-integrità, ovvero di una qualche forma di gerarchizzazione, perché contempera insieme unità e molteplicità. L’uomo infatti è limitato. L’integrità dell’agire, che attua il bene morale (bonum honestum), poi è anche bella. L’integritas è infatti per Tommaso un carattere della bellezza». Il bene morale è bello e in grado di affascinare perché è misurato dalla ragion pratica. Questa relazione di convenienza con la ragione, in base alla nozione d’integrità-completezza, particolarmente evidente nel rapporto tra fine e materia dell’azione, determina la bontà o la malizia sotto il profilo morale delle azioni umane.

Egli inoltre precisa che il bello e il bene, pur differendo quanto al concetto proprio, si identificano nel soggetto in cui esistono: «Veramente il bello e il buono nel soggetto in cui esistono si identificano, perché fondati tutti e due sulla medesima cosa, cioè sulla forma; e per questo il bene viene lodato come bellezza. Ma nel loro concetto proprio differiscono. Il bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il bene ciò che ogni ente appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poiché l’appetire è come muoversi verso qualcosa. Il bello, invece, riguarda la facoltà conoscitiva; belle, infatti, son dette quelle cose che viste destano piacere». Il bello, quindi, è una caratteristica dell’essere, assieme al vero e al bene, ma mentre il «vero dice relazione alla conoscenza, il bene relazione alla tendenza, il bello a tutte e due». Potremmo dunque

QUANDO IL GUSTO DEL BELLO SI SPEGNE, ANCHE L’UOMO DIVIENE SUBUMANO E SI RISCHIA LA DERIVA ETICA

concludere che per Tommaso nell’esperienza del bello si realizza una mirabile sintesi della dimensione conoscitiva e di quella appetitiva. L’estetica rinascimentale non si allontanerà da questa prospettiva mirante a coniugare bellezza e verità. Leonardo da Vinci, ad esempio, nel Trattato della pittura propone un concetto di bellezza artistica che implica conformità alla natura, ricorrendo al motto «Virtutem formam decorat» («La bellezza orna la virtù»), a sottolineare

Rudolf Schwarzkogler (Vienna, 1940-1969) è stato un performance artist che considerava il corpo come oggetto della repressione sociale (per cui si massacrava, si mutilava, si castrava…) e un fotografo che immortalava “l’opera d’arte”. È morto suicida a 28 anni.

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Arte moderna: Piero Manzoni, Merda d’artista – Il 21 maggio 1961 l’autore sigillò 90 barattoli di latta come questo a lato, che vendette al prezzo di 30 grammi d’oro. Attualmente i barattoli sono conservati in diverse collezioni d’arte in tutto il mondo (ad esempio, l’esemplare numero 4 è esposto alla Tate Modern di Londra e il barattolo 80 al nuovo Museo del Novecento di Milano). Il valore di ciascun barattolo è stimato intorno ai 70.000 euro, prezzo assai superiore a quello fissato dall’autore. Un collezionista privato si è aggiudicato l’esemplare numero 18 a 124.000 euro; a Londra, da Christie’s, l’esemplare numero 54 è stato venduto a 182.500 sterline; a Milano, da Il Ponte Casa d’Aste, il numero 69 a 220.000 euro quanto la bellezza artistica debba fare riferimento a quella bellezza naturale che esplica una dimensione morale. Anche la cultura romantica, pur essendo incentrata sull’esaltazione dell’individualità, non ha dimenticato il rapporto tra bellezza e verità, come attestano questi splendidi versi dell’epilogo della famosa Ode su un’urna greca del poeta inglese John Keats: «Bello è vero, vero bello, questo sol /sapete in terra e saper vi basta». E oggi, cosa ne è stato della bellezza? Passando adesso ai tempi moderni, chiediamoci cosa ne è stato della bellezza. Ebbene, sottolinea lo storico dell’arte Rodolfo Papa, «è accaduto gradualmente un processo per Primo piano

cui la bellezza prima è divenuta esclusivo possesso dell’arte, con negazione della bellezza naturale, e poi è stata manipolata dalle teorie artistiche come se ciascuno potesse inventarla a proprio piacimento, fino alle affermazioni contraddittorie della bellezza della bruttezza o fino al più inconsistente relativismo per il quale ciascuno afferma bello ciò che vuole». Dello stesso avviso è lo studioso Ciro Lomonte, che denuncia una crisi profonda dell’arte contemporanea, evidente in artisti come Bacon, Basquiat, Rainer, Schwarzkogler, che «si sono accaniti sul corpo umano, facendolo a pezzi sul lettino di un obitorio. Persa di vista l’anima o fraintesa la sua effettiva natura, hanno cercato nelle lacerazioni della materia e nella

mercificazione delle immagini in decomposizione il senso di un’armonia contraddetta dagli orrori del secolo breve». La deriva etica contemporanea può essere senz’altro attribuita anche a questa perdita del senso del bello, come ha riconosciuto un noto teologo del Novecento, poiché in un mondo senza bellezza o che non è in grado di scorgerla, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione. Quando il gusto del bello si spegne, anche l’uomo diviene subumano. Il disprezzo e la dissacrazione della persona si associano all’assenza della cura per l’ambiente e per le arti, se non alla loro sistematica distruzione. L’unica strada per risalire la china è senz’alcun dubbio il recupero della kalokagathìa greca e del nesso bellezza-verità. 35 N. 68


, A T A L A M È E T N E M A L O D N A U Q MA NON LO SA di Renzo Puccetti

Un medico spiega che spesso i soggetti che non accettano il proprio corpo presentano dei problemi psicologici che possono degenerare in veri e propri disturbi psichiatrici Il corpo, questa meraviglia attraverso cui possiamo gustare un piatto succulento, annusare il profumo dei fiori, accarezzare i nostri figli, udire sublimi armonie, vedere il cielo, il tramonto, le stelle e il mare. Il corpo, fonte di gioia e di dolore, quando la vecchiaia o la malattia ne intaccano lo splendore. Eppure vi sono persone il cui corpo perfetto è tuttavia fonte di grande sofferenza, senza “insight”, senza consapevolezza di malattia. Vi è mai capitato d’imbattervi in persone che stanno continuamente a guardarsi allo specchio? O in altre terribilmente sfigurate da molti interventi estetici? O ancora, non vi è mai capitato che un’amica o un amico, seppure magri, si lamentassero sempre di “avere la pancia”? E insistono, e ti martoriano, e non smettono di torturarti fino a quando non ammetti che sì, effettivamente un po’ di pancetta, un po’ di cellulite, un po’ di cedimento del tessuto c’è. Ecco, il problema potrebbe non consistere nella pancia, nelle cosce, nella cellulite, nel 36 N. 68

seno, ma in una parte un po’ più in alto nel loro corpo, precisamente quella che è protetta dalla scatola cranica, il cervello. Vi sono persone affette da una forma morbosa che gli psichiatri chiamano “Disturbo da Dismorfismo Corporeo” (Body Dismorphic Disorder). Le persone che ne sono affette mostrano una preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono

agli altri in modo lieve e che non sono collegate a un reale eccesso di grasso o di peso. Si manifestano in queste persone comportamenti ripetitivi (ad esempio, guardarsi allo specchio, curarsi eccessivamente del proprio aspetto, stuzzicarsi la pelle, ricercare rassicurazioni) o azioni mentali (ad esempio, confrontare il proprio aspetto fisico con quello degli altri), in risposta a preoccupazioni legate all’aspetto. La preoccupazione causa un tale disagio da assumere proporzioni

La cura eccessiva del corpo, la ricerca ossessiva del dimagrimento, può degenerare in una vera e propria patologia

UN CORPO PERFETTO PUÒ ESSERE FONTE DI GRANDE SOFFERENZA: SI TRATTA DI DISMORFIA CHE GENERA DISFORIA

Primo piano


clinicamente significative fino a potere compromettere la vita di chi ne soffre in ambito sociale, lavorativo o in altre aree rilevanti. Talora queste persone le troviamo nelle palestre tra coloro che sono spropositatamente preoccupati di avere una costituzione eccessivamente gracile o di non avere sufficienti muscoli e magari sono tra i più accaniti nel seguire con zelo i piani di allenamento suggeriti dall’istruttore, i consigli alimentari e assumere ogni sorta d’integratori alimentari. Non si tratta di un disturbo raro: secondo alcuni studi epidemiologici la prevalenza si assesterebbe tra lo 0,7 e il 2,4% nella popolazione generale, raggiungerebbe il 9-12% tra i pazienti dermatologici, il 3-53% nei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia estetica, l’8-37% tra i soggetti con disturbo ossessivo compulsivo e il 14-42% tra quelli con disturbo depressivo maggiore. Una forma particolare di non accettazione di sé è ciò che veniva definito disturbo d’identità di genere, condizione definita dagli psichiatri americani nell’ultima edizione del loro manuale “disforia di genere”. Si tratta di una condizione caratterizzata da una intensa insoddisfazione per le proprie caratteristiche sessuali, dal desiderio di appartenere al sesso opposto, dalla propensione Primo piano

a comportarsi come una persona di sesso opposto provando disinteresse per le attività tipiche del proprio sesso. La strada scelta dalla medicina ufficiale è quella di una psicoterapia affermativa (di fatto volta a strutturare la normalizzazione della condizione del soggetto nella sua psiche), alla quale poter far seguire un trattamento ormonale volto a inibire il fenotipo del sesso biologico e stimolare il fenotipo del sesso opposto, fino a giungere a un trattamento chirurgico di castrazione e cosmesi sessuale volto a fare assumere al soggetto le sembianze di un individuo del sesso opposto. Questo genere di chirurgia prende il nome di “riassegnazione del sesso” o di “confermazione del genere”. Quando la condizione si manifesta in età prepuberale un team olandese ha elaborato un protocollo farmacologico volto a bloccare la pubertà al fine, dicono, di avere più tempo per la diagnosi, ridurre la disforia di genere e rendere più facilmente eseguibili gli eventuali interventi chirurgici.

Fitness: per stare bene o per diventare matti?

BLOCCARE LA PUBERTÀ NON SERVE PER CURARE LA DISFORIA DI GENERE, SECONDO LA LETTERATURA SCIENTIFICA

Un’attenta verifica della letteratura scientifica non consente di confermare che i tre obiettivi sono stati raggiunti. Vi è infatti la possibilità che il blocco puberale assieme alla psicoterapia affermativa cristallizzino la disforia di genere, ostacolando la naturale remissione che 37 N. 68


A una persona che soffre di anoressia e si vede sempre grassa consigliereste di intraprendere un percorso psicologico, o di mettersi a fare una cura dimagrante? E a un uomo che si sente donna? E a un bambino che si sente bambina?

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caratterizza l’evoluzione maggioritaria della condizione in età infantile. Una recente revisione sistematica ha dimostrato che il blocco puberale migliora l’umore in misura clinicamente non significativa e che non migliora affatto la disforia in questi soggetti. Se vi sono tenui indizi di un certo miglioramento a breve termine della condizione psicologica derivante dagli interventi chirurgici, gli studi con followup prolungato mostrano la totale fallimentarietà di questo approccio, con mortalità generale e suicidaria nettamente maggiori nella popolazione operata rispetto a quella generale. Vi è una condizione, il Body Integrity Identity Disorder (BIID) [disturbo d’identità dell’integrità del corpo], chiamato anche Body Integrity Disphoria, che seppure non accolto nel manuale dei

disturbi mentali, nondimeno affligge alcune persone, convinte che nel loro corpo sano vi è qualcosa che non va perché esso dovrebbe essere amputato di una parte o di una funzione. Analogamente alla disforia di genere, c’è un “mismatch” tra il corpo reale e il corpo idealizzato. Questi soggetti hanno il forte desiderio di amputarsi un arto o lesionarsi il midollo spinale per diventare paralizzati, o ancora di accecarsi. Per farlo, talora compiono atti capaci di mettere a repentaglio la loro stessa vita. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista PLOS One nel 2012 ha mostrato che alla fine i soggetti amputati hanno punteggi migliori nella scala di disabilità. Morale: se il corpo è sano e uno sta male, probabilmente è il cervello che sta male. Obbligare gli altri a dire che il cervello sta bene (e il corpo sta male), può funzionare per un po’, ma nel tempo la cosa non regge. Anche perché gli altri, alla lunga, finiscono per stufarsi di dover credere ai deliri altrui.

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Nevrosi, malattia post-illuminista di Roberto Marchesini L’uomo contemporaneo non ha più un riferimento metafisico. Per questo ha paura, non si sente amato, si ammala di nevrosi

Il cardinale Godfried Danneels è una delle figure più controverse della Chiesa cattolica. Ordinato sacerdote nel 1957, è vescovo dal 1977 e cardinale dal 1983; inoltre è stato ordinario militare per il Belgio, primate della Chiesa belga e presidente della Conferenza Episcopale Belga. Pare aver fatto pressioni su re Baldovino perché firmasse la legge di introduzione dell’aborto; il suo nome è nella rosa dei possibili affiliati alla “mafia di San Gallo”; è stato accusato di aver insabbiato numerosi casi di pedofilia. Bene, proprio da questo personaggio arriva una delle osservazioni più interessanti sulla diffusione della nevrosi nella nostra società. In un discorso tenuto il 23 gennaio 1983 e intitolato successivamente Verità e nevrosi. Fede cristiana e ferite dell’uomo contemporaneo, Danneels disse: «Lo psichiatra olandese J. Van den Berg scrive: “È quasi certo che le turbe nevrotiche non si Primo piano

incontravano in Europa prima del XVIII secolo. Prima del 1733, non c’è libro di medicina che parli di nevrosi. Ora, se fossero esistite, sarebbero state facilmente individuate anche da un medico generico. Anche una persona non qualificata avrebbe potuto rimarcarle senza difficoltà. Ma non se ne trova traccia. Certo, non mancano persone complicate o bizzarre. I personaggi dell’Amleto di Shakespeare e certi personaggi di Molière presentano una grande complessità. Ma un uomo il cui carattere e la cui psicologia sono relativamente complicati non è un nevrotico”. A partire da questo periodo, la situazione cambia completamente. Nevrosi e malattie psichiche invadono la nostra società come un’epidemia; tutto il mondo ne parla; la loro assistenza medica è diventata un gravame pesante per la società occidentale. Qualcosa è dunque cambiato. Ma che cosa? Ecco un’ipotesi. La prendo a prestito dallo stesso Van den Berg. Prima del XVIII secolo,

«PRIMA DEL XVIII SECOLO OGNI COSA AVEVA IL SUO POSTO E C’ERA UN POSTO PER OGNI COSA» (GODFRIED DANNEELS)

Godfried Danneels

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IL PERFEZIONISMO È LA CONSEGUENZA DI UN AMORE CONDIZIONATO

Nicolas de Largillière, François-Marie Arouet detto Voltaire

TOLTO ALL’UOMO UN ORIZZONTE METAFISICO, NON GLI RESTANO CHE LA SESSUALITÀ E L’AGGRESSIVITÀ

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l’uomo europeo viveva in un universo armonioso, posto all’interno di una rete di relazioni ben integrate. La relazione con Dio, con l’universo, col cosmo, i suoi rapporti con gli uomini e la società, con se stesso, erano ben definiti. Ogni cosa aveva il suo posto e c’era un posto per ogni cosa. Si era stabilito un solido quadro di riferimento e la religione ne era il cemento. Le regole del gioco – se possiamo così esprimerci, in religione, in morale e in politica – erano fissate ed accettate. A partire dal XVIII secolo le cose sono cambiate. Molti autori parlano di un “riflusso di sessualità e di aggressività” nell’uomo dei tempi moderni. Di qui il sorgere di un numero considerevole di nevrosi, identificate più tardi dalla psicoanalisi. Di qui ha origine, dicono essi, la tristezza, in

Occidente. È innegabile che questo riflusso sia stato la causa di un certo numero di nevrosi nell’uomo occidentale». Bene: cosa accade in Europa nel XVIII secolo? Inizia la modernità, si diffonde l’Illuminismo. L’Illuminismo nasce quando, nel 1728, un giovanotto parigino tornò dall’esilio britannico e pubblicò un libretto con le sue osservazioni sulla filosofia inglese, che aveva appreso frequentando gli ambienti della Royal Society. Pubblicando le Lettere inglesi o Lettere filosofiche, quel giovanotto assunse lo pseudonimo di Voltaire. Cosa aveva dunque appreso Voltaire nelle isole albioniche? Che le leggi morali e religiose erano idola, invenzioni, superstizioni; che la ragione Primo piano


non può cogliere alcuna verità metafisica (che non esiste); e che l’unica realtà è quella materiale. L’uomo è pura materia, non è un essere spirituale; l’unica legge è quella del più forte. Ecco, dunque, quel «riflusso di sessualità e di aggressività» di cui parla Van den Berg. Ritroveremo sessualità e aggressività più avanti: sono queste, infatti, le attività preferite della «magnifica bestia bionda» di Nietzsche, il superuomo; sono i contenuti (pulsioni sessuali e pulsioni di morte) del nucleo originario dell’uomo per Freud, l’Es. Tolto all’uomo l’orizzonte metafisico, un senso e uno scopo nella vita, un universo armonico retto da leggi eterne ed immutabili («un universo armonioso, posto all’interno di una rete di relazioni ben

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integrate»), non gli resta che questo: sessualità e aggressività. Sono queste le caratteristiche dell’uomo moderno che nasce, appunto, nel XVIII secolo; sono le caratteristiche dell’uomo contemporaneo. Non solo: l’uomo solo, circondato da lupi (homo homini lupus), monade in un universo senza significato e fine, ha paura. Non si sente amato. Lo psicologo cattolico Conrad Baars sosteneva che il perfezionismo era la conseguenza di un amore condizionato, che rendeva la persona insicura del proprio valore e – quindi – alla continua ricerca di conferme. Il disturbo alimentare più terribile, l’anoressia, non è altro che la conseguenza del desiderio di forza e sicurezza interiore. I disturbi d’ansia e gli attacchi di panico sono il fallimento dell’illusione di controllare un mondo percepito come ostile e pericoloso. E via di questo passo. Ma abbiamo già capito

che l’uomo contemporaneo, con il suo carico di sofferenza interiore, è semplicemente l’uomo moderno, al quale è stata tolta ogni prospettiva metafisica e spirituale. La riflessione potrebbe continuare: quindi la felicità dell’uomo dipende anche dall’ambiente che lo circonda. E noi in che ambiente viviamo? Siamo così attenti al cibo che mangiamo e all’aria che respiriamo… ma come nutriamo la nostra anima? È questo il motivo per cui la Chiesa ha una dottrina sociale: l’ambiente culturale nel quale viviamo può aiutare oppure ostacolare la nostra realizzazione. Che conseguenze potrebbe avere un appiattimento della Chiesa sulle posizioni del mondo moderno? Se l’unica voce che ancora ricorda il destino eterno dell’uomo e la sua natura spirituale dovesse tacere, cosa potrebbe accadere all’umanità? Le domande, come al solito, ci porterebbero lontano.

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di Marco Bertogna

Gattaca La porta dell’universo

Fonte foto: Aforismi - Meglio.it

Titolo: Gattaca - La porta dell’universo Stato e Anno: USA, 1997 Regia: Andrew Niccol Durata: 107 min. Genere: Fantascienza

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.

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Questa recensione inizia con un dilemma: Gattaca è un film di fantascienza o è un film di precognizione scientifica? Spesso le due cose coincidono, ma ciò che segna il confine tra le due alternative è l’ispirazione degli autori. Cominciamo dalla storia: Gattaca è un centro di ricerca e formazione per missioni spaziali ambientato in un futuro non meglio precisato e dove il reclutamento del personale viene fatto sulla base di criteri genetici (o, meglio, eugenetici): ci sono i “validi” – concepiti con l’aiuto scientifico, dotati di un corredo genetico programmato – e i “non validi”, concepiti naturalmente. Vincent, il protagonista, è un “non valido”, cui alla nascita è stata diagnosticata una malformazione cardiaca genetica (la stessa di suo padre) e che ha una prospettiva di vita limitata. Vincent sogna di diventare astronauta, ma viene “smontato” sin dall’infanzia dall’ombra ingombrante del fratello più piccolo, un “valido” che ha visto corretta la tara genetica cardiaca. Una volta adulto, ad ogni modo, Vincent persegue il suo desiderio e, prendendo l’identità di Jerome (un “valido” costretto sulla sedia a rotelle in seguito a un incidente), entra in Gattaca.

Pochi giorni prima della prima missione spaziale di Vincent, un responsabile di Gattaca viene ucciso e, dopo le prime indagini, si pensa che l’assassino possa essere un “non valido” infiltrato nell’istituto. Vincent, pur essendo innocente, deve superare molti controlli da parte dell’investigatore e si fa aiutare da Irene (una sua collega) e dallo stesso Jerome. Tutto finalmente si conclude, con la scoperta dell’assassino da parte di un investigatore del tutto speciale, con un “turning point” nella pellicola del tutto inaspettato… Questo film del 1997 di Andrew Niccol, con protagonisti Ethan Hawke (Vincent), Uma Thurman (Irene) e Jude Law (Jerome), propone una società del futuro in cui il concepimento naturale viene ritenuto svantaggioso rispetto ad una nascita con l’ausilio della tecnica e dove le persone geneticamente programmate ricopriranno i ruoli di responsabilità mentre ai “non validi” verranno assegnate le competenze più umili: è un film di fantascienza o è un film di precognizione scientifica?


Letture Pro-life Silvana De Mari

IO MI CHIAMO JOSEPH Ed. Ares

Joseph è nigeriano, arrivato in Italia solo, passando dalla ex Iugoslavia. Sopravvive facendo il ladruncolo. Un veterinario di buon cuore, un gruppo di carabinieri e un’assistente sociale pieni di buona volontà si prendono cura di lui. In realtà Joseph è l’unico sopravvissuto al massacro di Dogo Nahava, ha visto la sua famiglia sterminata, vive con i suoi incubi, con il cuore straziato dalla nostalgia e dal senso di colpa di essere sopravvissuto. La presenza di coetanei, il calcio sembrano fare il miracolo di riportare Joseph verso la normalità. Il veterinario pazientemente ricostruisce linee etiche infrante e Joseph diventa un guerriero per la giustizia. La sua vita è per lui un peso di ricordi strazianti. Ma il suo destino è un altro: restare vivo, essere un giovane guerriero che combatterà per la giustizia. Io mi chiamo Joseph è un libro sulla memoria e sul dolore, attraversato anche da un dolcissimo mistero.

Federico Catani

IL MIRACOLO DELLA SANTA CASA DI LORETO Ed. Luci sull’Est

Quello di Loreto è il santuario dei “principi non negoziabili”, perché nella Santa Casa lì giunta miracolosamente alla fine del XIII secolo è stato concepito, cresciuto ed educato Gesù, è vissuta la Santa Famiglia ed è morto san Giuseppe. Un polmone spirituale dunque per quanti si battono per la tutela della vita in tutte le sue fasi, per la difesa della struttura naturale della famiglia e per il diritto dei genitori di educare i propri figli. Il libro di Federico Catani, tra l’altro, dimostra la veridicità della traslazione miracolosa della Santa Casa da Nazareth a Loreto e la sua autenticità, confermate da una lunga schiera di Papi e di santi; parla dei miracoli che sono avvenuti lungo i secoli tra quelle sacre pareti e del ruolo decisivo avuto dalla Madonna di Loreto nelle battaglie di Lepanto e Vienna a difesa della Cristianità. Per richiedere Il Miracolo della Santa Casa di Loreto: www.lucisullest.it

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