MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
Notizie
Trento CDM Restituzione
Anno VII | Marzo 2019 Rivista Mensile N. 72
“Nel nome di chi non può parlare”
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN (AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL’11/04/2003)
Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
FESTA DELLA
DONNA? SÌ:
al Congresso Mondiale delle Famiglie DI VERONA IL DESIDERIO DI SOFFRIRE CHE DIVENTA UN “DIRITTO UMANO”
IL CONGRESSO MONDIALE DELLE FAMIGLIE, I VALORI, LE DONNE
DOLORE MISTO DI SOGNO E D’INGANNO
di SILVANA DE MARI, p. 8
di toni brandi, p. 24
di maRIA CRISTINA DEL POGGETTO, p. 21
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
EDITORIALE
3
LO SAPEVI CHE...?
4
dillo@notizieprovita.it 6
Notizie
Versi
Anno VII | Marzo 2019 Rivista mensile N. 72
per la Vita
Silvio Ghielmi
Transessualismo: il desiderio di soffrire che diventa un “diritto umano”
Silvana De Mari
Editore ProVita Onlus Sede legale: viale Manzoni, 28 C 00185, Roma (RM) Codice ROC 24182
Célinununu? No, no, no, no!
Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 377 4606227
Rodolfo Granafei
Maria Cristina Del Poggetto
Progetto e impaginazione grafica
8 14
PRIMO PIANO
Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
Emanuele Fardella
7
«Libérons-nous du féminisme!» 18 Dolore misto di sogno e d’inganno
22
Il Congresso Mondiale delle Famiglie, i valori, le donne
26
Toni Brandi
La famiglia al centro delle politiche regionali: intervista al presidente Luca Zaia 32
Francesca Romana Poleggi
Donne crocifisse: intervista a don Aldo Buonaiuto
34
Marta Moriconi
Tipografia
Cinquanta sfumature di rosa
38
Andrea Torquato Giovanoli Distribuzione
La truffa del secolo
44
Giuseppe Fortuna Hanno collaborato a questo numero: Marco Bertogna, Toni Brandi, Maria Cristina Del Poggetto, Silvana De Mari, Emanuele Fardella, Silvio Ghielmi, Andrea Torquato Giovanoli, Rodolfo Granafei, Marta Moriconi, Francesca Romana Poleggi.
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FILM: Tutto ciò che voglio (Please, stand by)
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LETTURE PRO-LIFE
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Marco Bertogna
Errata corrige - Su Notizie ProVita, n. 69, a pag. 30, a metà del penultimo capoverso: “Il vissuto NON elaborato può essere caratterizzato dal senso di aggressività…” (i Lettori avranno capito da sé che è il lutto non elaborato a creare problemi. Ci scusiamo, comunque, per il “non” che era stato omesso)
26
34 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it
Toni Brandi
EDITORIALE
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L’8 marzo da decenni si celebra la giornata mondiale della donna. Ancora molti non sanno che all’origine della celebrazione c’è una balla propagandistica messa in giro da Lenin nel ‘22 (quella della fabbrica con le operaie bruciate vive). Serviva a screditare il sistema capitalista e a insufflare sull’odio tra i sessi predicato dal movimento femminista nascente, che il marxismo culturale trovava strumentale per i suoi fini rivoluzionari. Notizie Pro Vita, comunque, ha sempre dedicato con piacere molto spazio alle donne, non solo in passati numeri di marzo, ma anche in altre occasioni (basti ricordare La storia vera dell’emancipazione della donna di cui abbiamo parlato nel gennaio scorso). Anche quest’anno, quindi, troverete in questo numero diversi articoli dedicati alle donne, alla bellezza e alla peculiarità dell’essere donna. Perché solo chi è pro vita e pro famiglia è davvero “femminista”; e perché abbiamo il dovere di rimarcare l’incoerenza e la mala fede di chi continua a definirsi femminista, ma approva omertosamente e scientemente le maggiori forme di sfruttamento che oggi subiscono le donne – dalla fecondazione artificiale, all’utero in affitto, alla prostituzione, a quel fantomatico diritto all’autodeterminazione e all’aborto che, oltre a uccidere un bambino innocente e indifeso, ferisce in modo grave e indelebile la psiche e spesso anche il fisico delle madri. Quest’anno, poi, alla fine di questo mese di marzo si svolge a Verona il grande Congresso Mondiale delle Famiglie nel quale la donna sarà senz’altro protagonista, come si desume dal programma che vi illustro a pag. 26: chi si definisce pro vita e pro famiglia non può non essere pro donna. Un comico romano dice sempre che se muore una madre, la famiglia è distrutta (se muore il padre... non se ne accorge nessuno): è una battuta per far ridere, ma c’è un fondo di verità, perché è profondamente vero che la donna è la culla della vita e il cuore della famiglia.
Lo sapevi che... ? Il 95% dei medici irlandesi non è disposto a praticare aborti, nonostante la sciagurata legge varata a seguito dello sciagurato esito del referendum dello scorso anno. Le principali associazioni di medici hanno affermato che la legge sull’aborto è stata approvata troppo rapidamente, creando un ambiente «inaccettabile e non sicuro» per le donne in Irlanda. Il personale medico, inoltre, protesta per il fatto che l’obiezione di coscienza è prevista solo in rarissimi casi, con il rischio concreto di perdere il lavoro di fronte al rifiuto di praticare aborti. La maggior parte degli ospedali irlandesi, inoltre, non è attrezzata per l’aborto e non ci sono linee guida, né personale addestrato. Intanto, i pro life organizzano veglie di preghiera che indispongono gli abortisti, i quali hanno chiesto al governo provvedimenti liberticidi, e cioè la creazione intorno ai nosocomi di zone cuscinetto dove si vieterebbe di distribuire materiale pro vita e di pregare. ABORTO LIBERO IN IRLANDA
CYBERBULLISMO IN EMILIA ROMAGNA
Il Compartimento di Polizia Postale e delle Comunicazioni per l’Emilia Romagna ha constatato che i casi accertati di cyberbullismo, su tutti quelli denunciati nel 2018, sono stati effettivamente solo due, mentre nel 2017 si contavano 33 segnalazioni in tutta la Regione. Il fatto che vengano denunciati casi di minacce e persecuzioni inesistenti è probabilmente dovuto al fatto che è la stessa legge Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, entrata in vigore il 18 giugno 2017 a creare confusione: la fattispecie è vaga. E quando c’è un reato non ben definito, la libertà di tutti è minata. In questo caso la libertà di manifestare liberamente le proprie idee: la maggior parte delle denunce di cyberbullismo riguardavano in realtà “normali” liti o scherzi.
LESBICA ACCUSATA DI TRANSFOBIA
La definizione di “donna” data dal dizionario – e cioè: “femmina di essere umano adulto” – stampata sulla maglietta di Rebekah Wershbale è bastata per farla scacciare da un pub di Macclesfield, nel Cheshire, in Inghilterra: la maglia è stata considerata offensiva nei confronti delle persone transgender, da uno degli avventori del locale. Il bello è che la Wershbale è femminista e lesbica dichiarata, membro del Terf (transgender exclusionary radical feminists), e ritiene che coloro che hanno un pene non possano in nessun caso definirsi donne e non possano quindi frequentare locali (spogliatoi, bagni ecc.) a loro riservati. Poiché invece la folle pretesa ideologica dei cultori dell’ideologia gender pretende che le donne possano avere il pene, e i maschi possano avere le mestruazioni, chi dice la verità viene emarginato, scacciato e stigmatizzato, anche quando appartenga al variegato mondo Lgbtqia…
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«Pensavo di sapere tutto sull’aborto. Uno dei miei migliori amici aveva fatto il «MI SONO RESA CONTO servizio civile in un centro abortista. Avevo lavorato come consulente telefonico CHE STAVO UCCIDENDO IL per donne in difficoltà... L’ho considerato quasi come un rito di passaggio. […] MIO BAMBINO» Ma mentre stavo scivolando nel torpore dell’anestesia, improvvisamente, per la prima volta da quando ho saputo di essere incinta, la mia mente ha avuto una chiara intuizione. Ho pensato:“Sto uccidendo il mio bambino”». Nel suo accorato racconto, una femminista convinta, Ginger Ekselman, spiega come non è più riuscita a tornare alla vita di sempre dopo l’esperienza dell’aborto. Ha sviluppato delle vere e proprie fobie, che hanno limitato gravemente la sua vita di relazione e per le quali ha perduto il lavoro. Dopo cinque anni, ancora la tormenta il pensiero del bambino che non ha più. E si rivolge a tutte le donne perché non vengano ingannate, come lei a cui è stata negata la verità sull’aborto: «Vorrei averne saputo di più, prima che fosse stato troppo tardi. Io non sono una cristiana, ma so per certo che quello che è stato ucciso è il mio bambino».
Silje Garmo, 37 anni, è dovuta fuggire a Varsavia con la sua bambina di 23 FUGGIRE DALLA NORVEGIA mesi, Eira, quando ha cominciato a sospettare che l’agenzia norvegese per la PER SALVARE LA SUA protezione dell’infanzia, la Barnevernet, stesse macchinando per portargliela BAMBINA via. L’accusa era partita dall’ex marito, un potente uomo d’affari, che ha coinvolto l’agenzia in questione descrivendo la donna come un’incapace, con uno “stile di vita caotico”, costringendola a sottoporsi a una serie di test antidroga, che sono risultati costantemente negativi. La donna, cittadina europea, è stata accolta come rifugiata in uno Stato dell’Unione Europea, la Polonia. La Barnevernet è nota, infatti, per i metodi autoritari e disumani con cui sottrae circa 1.500 bambini ai loro genitori ogni anno, anche senza prove di indegnità degli stessi e per futili motivi: è l’inquietante realizzazione pratica di politiche anti-famiglia che ricordano il regime sovietico.
Per uccidere un popolo basta distruggere il suo elemento costitutivo ETNOCIDIO primigenio: la lingua. Questo è ciò che si tenta in seno all’Unione Europea con la divulgazione di un “sussidio” per l’indottrinamento all’insegna del lessicalmente corretto: nella declinazione neutra e gender fluid, il nuovo linguaggio imposto prevede la soppressione dei termini che rimandano al maschile e al femminile. Proprio la neolingua orwelliana, costruita a tavolino, che insegna quali parole debbano essere usate e quali no. Ha commentato Silvana De Mari: «Ciò vuol dire creare una continua insicurezza, trasmettere lo scrupolo che quello che dicevano o facevano i miei nonni era sbagliato, quindi che siano sbagliate anche la civiltà e la lingua cui appartengo. Se però la mia civiltà è sbagliata, allora tanto vale che moriamo tutti…».
5 N. 72
dillo@notizieprovita.it
A
rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Privatamente rispondiamo a tutte, mentre qui ne pubblichiamo solamente alcune. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it. Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.
raccontare perché Salve! Ho 20 anni e vi scrivo per raccontarvi la mia storia. Ve la voglio no con decisione schiera si po, purtrop pochi, sento spesso parlare di aborto e noto che no malato bambi un iere accogl di tratta dalla parte della vita, soprattutto quando si porre senza vita la iere accogl difficile o o diverso da come ce lo si aspetta. È davver condizioni? e che mi Io ho avuto la fortuna di avere due genitori che hanno saputo farlo ee sempr vita, della favore a o hanno insegnato cosa vuol dire essere davver incondizionatamente. proposto di abortire. Quando mia mamma è rimasta incinta i medici le hanno subito che avrei vissuto solo e zata paraliz i, gramm Pensavano che sarei nata debole, di pochi e stato un grosso sarebb che no diceva le , qualche ora. Lo ripetevano in continuazione la pena, perché valsa e sarebb ne non che peso prendersi cura di me una volta nata e sarei durata poco. si aspettavano una Ma i miei genitori non hanno mai smesso di desiderarmi. Certo, Viva o morta. Sana o one. situazi si qualsia in bambina sana, ma mi avrebbero voluto bene giorni. due malata. Con tanti anni di vita davanti o solo Quando poi sono nata stavo bene, contro ogni aspettativa. so cosa si prova Non sono nessuno per criticare una donna che vuole abortire, non che provo io oggi: più quello dirvi posso Però quando si ha in mano la vita di un bambino. tutto scontato. La stato è non che conto vedo la mia vita prendere il volo, più mi rendo è immensa. A volte fatto hanno che scelta la per gratitudine che provo per i miei genitori e un po’ alla ripenso e, succed o quand e, ezza sento parlare di aborto con troppa legger data. Non stata è mi invece che à ortunit mia storia, alla fine che stavo per fare e all’opp degna non vita mia la re giudica di invece , finirò mai di ringraziare i miei genitori perché te icemen sempl hanno mi e ative aspett loro di essere vissuta, hanno messo da parte le accolta.
Irene
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Versi per la Vita Silvio Ghielmi, classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa di Verità e Vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo. DOPO L’ABORTO O bimbo mio, ormai la cosa è fatta. ch’è poi l’estrema delle cose brutte. Ma, mi si disse: “la fanno quasi tutte, in condizione libera e distratta”.
REPELLENZA Programma di maligna repellenza. I nascituri presi come peste, con il supporto di storpiata scienza. Piano per sorti macabre e funeste.
È solo una questione di opinione, ma vige ormai tranquilla assuefazione. Eppure (ma perchè?) su quanto occorso riemerge incancellabile rimorso? La strega che induceva con l’inganno, su futili materie, ora, divaga, a lei non interessa questa piaga, a lei ripugna questo oscuro affanno. Adesso di curarmi chi si sogna? Io devo pur nascondere il mio pianto. Adesso quanto ho fatto è mia vergogna. Forse tu solo, bimbo mio, come un dono potrai curare questo cuore affranto col forte abbraccio, infine, del perdono.
Un presuntuoso calcolar sbagliato per dubbia demografica esplosione da contrastar con furbastro esempio di cui si vede il mesto risultato. Disegno stolto, scellerato ed empio e corsa irreversibile al ribasso. Un vero e irrimediabile collasso. Umanità dispersa in stato brado e squallido finale: il biodegrado che può sembrar perfino conveniente perchè rispetta di codici di Ambiente, di cui si vede il mesto risultato. 7 N. 72
Transessualismo: il desiderio di soffrire che diventa un “diritto umano” di Silvana De Mari
Assecondare l’odio per se stessi e il desiderio di dolore delle persone transessuali è fare il loro bene? La T sta per trans. Trans è una parola che indica un passaggio. La transiberiana è il nome della linea ferroviaria che passa attraverso la Siberia. Transessuale, è la parola che indica una persona che “passa da un sesso all’altro”. Il sesso esiste. È determinato dai cromosomi, inciso in ogni nostra cellula. Purtroppo non è possibile passare da un sesso all’altro. Quello che è possibile è castrare un essere umano (la perdita delle gonadi determinerà un crollo degli ormoni sessuali), bombardarlo con gli ormoni dell’altro sesso, con un notevole quantitativo di effetti collaterali, e sottoporlo a lunghissimi interventi di chirurgia estetica, che diano ai genitali l’aspetto dell’altro sesso, e che a loro volta sono gravati da pesanti effetti collaterali. Il cosiddetto “cambiamento di sesso” è termine improprio: il sesso non si può cambiare, indica quindi la castrazione,
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la somministrazione ormonale permanente di ormoni estranei e una serie di interventi chirurgici. “Transgender” è un termine per definire il quale dovrei aver capito che cos’è il gender, parola con cui si intende come si percepisce il proprio sesso, indipendentemente da come esso è fisicamente, ma anche indipendentemente da come era percepito il giorno prima. La situazione transessuale e transgender è quindi in tutti i casi una condizione dove c’è un’impossibilità ad accettare il biologico, cioè un’impossibilità ad accettare il reale. La T di trans è un concetto bizzarro, che presuppone la mente e il corpo slegati, anzi in disaccordo. Una mente femminile finita in un corpo maschile e viceversa. La mente nasce dal cervello, cioè dal corpo. La mente e il corpo
devono sempre essere in equilibrio e in armonia. Il corpo è reale. La mente deve accettare la realtà e amarla. Dove non c’è armonia tra mente e corpo, cioè tra mente e realtà, va curata la mente. Non va alterato il corpo fino a quando non diventa come la mente malata lo vuole. Il concetto che vede corpo e mente slegati esiste all’interno di una patologia, quella dissociativa. L’incapacità di accettare il proprio corpo, di accettarne la statura, la conformazione, il colore della pelle, l’età, il sesso e il numero di arti, è quindi un disturbo che porta la persona verso l’incapacità di accettare la realtà per quello che è.
IL COSIDDETTO “CAMBIAMENTO DI SESSO” È TERMINE IMPROPRIO: IL SESSO NON SI PUÒ CAMBIARE.
Una foto di Andrea Long Chu tratta dalla sua pagina pubblica di Facebook. Quest’uomo, che desidera “cambiare sesso”, descrive benissimo il suo odio per se stesso e il suo desiderio di dolore.
Cominciamo dall’incapacità di accettare il numero di arti, il normale numero di arti voglio dire. Non sto parlando del dolore di coloro che hanno subito mutilazioni o sono nati con una focomelia. Sto parlando di individui con quattro arti e un totale di 20 dita che trovano questo sgradevole e antiestetico. Body integrity identity disorder (Biid, detta anche ampute identity disorder) o apotemnofilia è la patologia che spinge queste persone a desiderare l’amputazione di un arto sano, e di fingere di non averlo, intanto che cercano di risolvere il problema trovando un chirurgo compiacente. L’amputazione di un arto è infinitamente meno grave della castrazione. La rarissima apotemnofilia è ancora considerata una patologia della mente. La molto più grave incapacità di accettare il
proprio sesso, l’unico, quello genetico, quello biologico, quello iscritto in ogni nostra cellula mediante il codice XX e XY che divide gli esseri viventi sessuati in due uniche categorie, maschi e femmine, è invece stata considerata una patologia del corpo, che è “sbagliato” rispetto a quella mente. Nascono un infinitesimale numero di esseri umani che per motivi fisici, organici cromosomici, genetici e/o endocrinologici, non sono riconoscibili né come maschi né come femmine. Sono casi di patologia, descritti sui testi di patologia, che nulla hanno a che fare con i cosiddetti trans, esattamente come esiste un infinitesimo numero di persone che nascono privi di uno o più arti, affetti da focomelia, che nulla hanno a che fare con gli affetti da Body integrity identity disorder. Il cosiddetto trans è una persona cromosomicamente, geneticamente e endocrinologicamente normale, che vuole la chirurgia e la farmacologia per amputare le
gonadi dal suo corpo e simulare le caratteristiche dell’altro sesso. Si tratta di simulazioni, appunto, un vago sembrare, che si ottiene con interventi lunghi e complessi, non privi di rischi e complicanze anche gravi. Non esistono interventi di cambiamento di sesso, esistono interventi, lunghi dolorosi e complessi, gravati da molti rischi, di apparente cambiamento di sesso. Ai molti rischi medici, chirurgici e anestesiologici si aggiunge anche il rischio del suicidio.
LA SITUAZIONE TRANSESSUALE E TRANSGENDER È UNA CONDIZIONE DOVE C’È UN’IMPOSSIBILITÀ AD ACCETTARE IL BIOLOGICO, CIOÈ UN’IMPOSSIBILITÀ AD ACCETTARE IL REALE.
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(Foto da pagina pubblica di Facebook) Molte persone che hanno combattuto per anni con la convinzione che il cambiamento (apparente) di sesso avrebbe loro dato la serenità, quando si rendono conto che non è vero, quando cominciano a rimpiangere il proprio vero sesso, cominciano a considerare l’opzione del suicidio. Cosa può determinare il desiderio della mente di essere in un corpo di sesso opposto? Lo spiega molto bene l’ex trans Walt Heyer, nel suo libro Paper Gender. Il mito del cambiamento di sesso. Il cambiamento di sesso non è possibile. È un mito. In molti casi il desiderio di cambiare sesso è un sintomo di un’altra patologia, la schizofrenia o il disturbo dissociativo.
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Lo Stato non può finanziare interventi che portino al rimpianto.
Accontentare il paziente è evidentemente disastroso. Negli altri casi si è avuta nella vita del paziente un’impossibilità a identificarsi con il proprio sesso. La mente è plastica e può modificarsi sempre. Occorre rieducare la mente ad accettare il corpo, cioè la realtà. Il corpo non è plastico, se lo si modifica sanguina, e molto, e cicatrizza con dolore. Le ferite possono infettarsi e suppurare. Il sistema endocrino alterato è sempre in equilibrio instabile.
Riporto le parole pubblicate sul New York Times dal transessuale Andrea Long Chu, che desidera sottoporsi a un intervento di apparente cambiamento di sesso, che sta per subire un intervento erroneamente chiamato di vaginoplastica, perché la vagina non può essere imitata o costruita. La vagina è un canale estremamente complesso, quello che si ottiene in questa chirurgia è una tasca a fondo cieco. La traduzione è presa dall’ottimo blog di Sabino Paciolla.
Gli interventi medici e chirurgici e endocrinologici sono lunghi, pieni di rischi e, spesso, molto più spesso di quanto si pensi, seguiti dal rimpianto. Un rimpianto atroce che aumenta fino a dieci volte il rischio di suicidio.
DOVE NON C’È ARMONIA TRA MENTE E CORPO, CIOÈ TRA MENTE E REALTÀ, VA CURATA LA MENTE.
Sulla pagina pubblica Facebook di un gruppo trans questa immagine spiega il problema alla radice: il genere è nella testa e dipende dalla fantasia o dalle fantasie dell’individuo, ma il sesso, che è sotto la cintura (e in tutte le cellule del corpo umano), è un dato reale, oggettivo e immutabile, anche se si può far di tutto per dissimularlo.
«Giovedì prossimo mi faranno una vagina. L’operazione durerà circa sei ore, e sarò in convalescenza per almeno tre mesi. Fino al giorno della mia morte, il mio corpo considererà la vagina come una ferita; di conseguenza, richiederà un’attenzione regolare e dolorosa da mantenere. Questo è ciò che voglio, ma non c’è garanzia che mi renderà più felice. In realtà, non mi aspetto che lo faccia. Questo non dovrebbe impedirmi di ottenerla. Non sono stato sul punto di suicidarmi prima degli ormoni. Ora spesso lo sono. Non lo farò, probabilmente. Spezzare il cuore è rivoltante. Te lo dico non perché sto cercando di guadagnarmi la simpatia, ma per prepararti per quello che ti sto dicendo ora: voglio comunque tutto questo, tutto questo. Voglio le lacrime, voglio il dolore. La transizione non deve rendermi felice affinché io la voglia.
Lasciate a se stesse, le persone raramente perseguono ciò che le fa sentire bene a lungo termine. Il desiderio e la felicità sono agenti indipendenti. Ma credo anche che l’unico prerequisito della chirurgia dovrebbe essere la semplice dimostrazione del desiderio. Al di là di questo, nessuna quantità di dolore, anticipato o continuato, giustifica il suo rifiuto.
LA MENTE È PLASTICA E PUÒ MODIFICARSI SEMPRE. IL CORPO NON È PLASTICO, SE LO SI MODIFICA SANGUINA.
Nulla, nemmeno l’intervento chirurgico, mi garantirà la muta semplicità di essere sempre stata una donna. Vivrò con questo, oppure no. Va bene. Le passioni negative – dolore, odio per se stessi, vergogna, rimpianto – sono un diritto umano tanto quanto l’assistenza sanitaria universale, o il cibo. Non ci sono buoni risultati nella transizione. Ci sono solo persone che chiedono di essere prese sul serio». 11 N. 72
Chi soffre di Body Identity Integrity Disorder non sopporta il fatto di avere due gambe e due braccia funzionanti, desidera essere amputato e portare delle protesi, o essere cieco, o in qualche altro modo handicappato: bisogna assecondare i desideri di queste persone?
Quest’uomo descrive benissimo il suo odio per se stesso e il suo desiderio di dolore. Non col mio denaro. Lo Stato non può finanziare con il denaro pubblico interventi che aumentano il dolore, interventi che come affermano le statistiche aumentano il rischio di suicidio. Uno studio svedese (vedere la foto in basso) condotto su 324 transgender (cioè la totalità di coloro che nel periodo 1973 - 2003 si sono sottoposti in Svezia all’intervento chirurgico di riassegnazione sessuale) ha
Lo studio citato in questo articolo rileva – in un Paese certamente non omofobo né transfobico come la Svezia – che le persone che hanno “cambiato” sesso moltiplicano il rischio di gravi malattie psichiatriche e di suicidio.
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concluso che dopo l’intervento chirurgico c’è un alto rischio di mortalità, comportamento suicidario e problemi psichiatrici significativamente superiore alla media (e la Svezia non è certo un Paese “omofobo”). Questi interventi possono essere seguiti dal rimpianto. Questo succede molto più spesso di quanto si creda, e il rimpianto è atroce. Quindi, non col mio denaro.
LO STATO NON PUÒ FINANZIARE INTERVENTI CHE CAUSANO RIMPIANTO.
A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei
piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.
VUOI RICEVERE I PIEDINI, IL BAMBINO IN PLASTICA O IL PORTACHIAVI? Scrivi alla Redazione collegandoti a www.notizieprovita.it/contatti specificando il numero di pezzi che desideri ricevere (fino a esaurimento scorte). Offerta minima consigliata (più spese di spedizione): spillette 100 spillette – 100€ 50 spillette – 75€ 10 spillette – 20€ “Michelino” portachiavi 2€ 2€
Célinununu? No, no, no, no!
di Emanuele Fardella
Scrive un musicista che considerava la famosa cantante Céline Dion una figura positiva nel mondo dell’intrattenimento, fino al giorno in cui…
Ho sempre apprezzato il fatto che Céline Dion fosse una figura alquanto salubre in un mondo come quello dell’intrattenimento, fortemente incline alla perversione. Tuttavia, pare che l’artista abbia sposato a pieno la nuova cultura genderless (senza genere) che tanto piace al mercato. Il genderless fa leva sulla libertà d’espressione assoluta: perché essere obbligati a vestirsi e a vivere secondo codici che non si sentono propri? Meglio fare quel che si vuole, tanto nella vita quanto nell’abbigliamento. Così l’artista canadese si è lanciata nel settore della moda annunciando la sua collaborazione con Nununu, un brand di abbigliamento unisex per bambini, col quale ha lanciato la sua linea genderless, Célinununu, con una missione ben precisa: “liberare” i bambini dalla binomia di genere. E per concretizzare questo pensiero, secondo lei è necessario abbattere la divisione di genere già per i neonati. L’artista infatti all’Huffington 14 N. 72
Post ha dichiarato: «Vorrei solo rimuovere uno stereotipo. I bambini devono scegliere da soli il loro percorso. Questa linea di moda è stata pensata per permettere ai bambini di essere liberi e trovare la propria individualità. Voglio incoraggiare il dialogo, l’uguaglianza e altre possibilità». Da dove nasce questo pensiero gender secondo cui si nasce senza un’identità di genere? I Lettori di questa Rivista lo sanno bene. Ma se qualcuno fosse all’oscuro, sarà bene riepilogare molto in breve che cosa si intende per ideologia gender.
Céline Dion ha dichiarato: «I bambini devono scegliere da soli il loro percorso. Questa linea di moda è stata pensata per permettere ai bambini di essere liberi»
LA LINEA DI ABBIGLIAMENTO CÉLINUNUNU INTENDE LIBERARE I BAMBINI DAGLI STEREOTIPI DI GENERE.
L’INTENTO DI QUESTA CAMPAGNA È QUELLO DI CREARE UN “NUOVO ORDINE” DI ESSERI UMANI: NÉ MASCHI NÉ FEMMINE, NON PIÙ SICURI NEANCHE DEL PROPRIO SESSO BIOLOGICO, MANIPOLABILI SIN DALL’INFANZIA.
Un bambino che veste Célinununu (fonte: www.vox.com)
È una corrente che si sta imponendo sempre di più nella nostra società e su cui anche Papa Francesco ha preso posizione in maniera molto netta condannando questa “colonizzazione ideologica” che mira a cambiare la mentalità dei bambini. Tutto ha inizio nella prima metà del Novecento quando alcuni medici tedeschi e l’entomologo pedofilo americano Alfred Kinsey cominciano a ipotizzare la sostituzione dei sessi “maschio” e “femmina” con una serie di possibili sfumature sessuali. Da questi studi, negli anni Sessanta, lo psicologo John Money introduce per la prima volta nella letteratura scientifica l’espressione
“neutralità di genere”. Secondo lui l’identità sessuale si sviluppa in base al contesto sociale nell’infanzia e può essere modificata attraverso opportuni interventi indipendentemente dall’imprinting genetico e dagli organi genitali. A lui si deve la tragica sperimentazione sul piccolo Bruce Reimer, trasformato in Brenda, la cui vita si è conclusa da David, dopo anni di sofferenze indicibili, con un suicidio. Nel corso degli anni Settanta questa teoria viene divulgata alle masse attraverso i canali culturali del femminismo. “Donna non si nasce, lo si diventa” fu il motto di Simone de Beauvoir, icona femminista secondo cui il genere viene costruito
socialmente dalla cultura a prescindere dal dato sessuale da cui la persona è caratterizzata. A partire dagli anni Novanta la teoria del gender entra a più riprese nei documenti ufficiali di importanti istituzioni internazionali per merito anche della pubblicazione della filosofa Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, che diventa in pochissimo tempo il manifesto dei sostenitori dell’ideologia gender. La Butler nega l’esistenza degli uomini e delle donne. Secondo la studiosa il sesso biologico non riveste alcuna importanza. Si diventa uomo o donna a causa di un condizionamento culturale che impone di rivestire un determinato ruolo sociale. Se ogni bambino o bambina fosse davvero libero, sceglierebbe la propria identità sessuale, potendo arrivare anche, attraverso tecniche medicochirurgiche, alla riassegnazione del sesso biologico.
15 N. 72
LA PERDITA DI RIFERIMENTI IDENTITARI (LA FAMIGLIA, LA PATRIA, IL GENERE) PROVOCA SOLO SMARRIMENTO E FRAGILITÀ NELLA PSICHE DELL’INDIVIDUO, SOPRATTUTTO SE MOLTO GIOVANE.
Ad oggi, nonostante non ci siano fondamenti scientifici attendibili, la teoria del gender sembra diffondersi a macchia d’olio e sempre più personalità di spicco si fanno portavoce di questa inquietante e pericolosa ideologia. Tra le ultime anche la cantante Céline Dion che attraverso la sua nuova linea di abbigliamento si è espressa favorevole a questa corrente di pensiero. I suoi capi destinati ai bambini e alla prima infanzia sono stati lanciati sul mercato con un video promozionale in stile James Bond. Come un vero agente sotto copertura, Céline si intrufola in piena notte nel reparto maternità di un ospedale. Arrivata nella stanza dei bebè, dove sono tutti accuratamente divisi per sesso con tutine o rosa o azzurre, soffia una ventata di coriandoli dorati che trasforma i pigiamini pastello dei neonati in abiti bianchi e neri a stampe, rendendo impossibile l’identificazione di genere (vedere la foto di lato).
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Le scritte “bambino” e “bambina” sul muro vengono sostituite con il logo del marchio. Tutto è ora nero, bianco e lugubre. Nella scena successiva viene mostrato un neonato con una bandana raffigurante dei teschi. Ma sì, festeggiamo una nuova vita facendole indossare i simboli che rappresentano la morte. Inoltre, la maglietta recita “New Order” ovvero “Nuovo Ordine”: che sia un riferimento al “Nuovo Ordine Mondiale”? Indipendentemente dall’allusione, di certo non si tratta di un concetto da sottoporre all’attenzione di un bambino.
Inoltre, così come sostiene la giornalista Elettra Nicotra, «è anche una palese contraddizione al loro volersi fare promotori di “libertà”, considerando che “ordine” e “libertà” sono due concetti che non vanno molto d’accordo». È chiaro quindi che l’intento di queste e altre campagne sarebbe proprio quello di creare un “nuovo ordine” di esseri umani: né maschi né femmine, non più sicuri neanche del proprio sesso biologico, manipolabili sin dall’infanzia. Secondo lo scrittore Salvatore Brizzi: «La perdita di riferimenti identitari (la famiglia, la patria, il genere) provoca solo
smarrimento e fragilità nella psiche dell’individuo, soprattutto se molto giovane. Queste iniziative, che a un occhio poco attento paiono muoversi in direzione d’una “liberazione dai vecchi schemi”, sono invece sempre guidate dal “Lato Oscuro della forza”, che conosce bene la psiche umana e i metodi per renderla più asservita». Più dure le parole dell’esorcista John Esseff che, consultato sulla questione dal National Catholic Register, ha dichiarato: «Sono convinto che la maniera in cui questa cosa del gender si è divulgata è demoniaca. Quando un bambino nasce, qual è la prima cosa che diciamo di lui? È un bambino, è una bambina. È la cosa più naturale del mondo da dire. Affermare che non ci sia alcuna differenza è una cosa satanica. I generi che Dio ha creato sono solo due. Il diavolo sta perseguitando i bambini».
HA COMMENTATO UN ESORCISTA: «AFFERMARE CHE NON CI SIA ALCUNA DIFFERENZA È UNA COSA SATANICA. I GENERI CHE DIO HA CREATO SONO SOLO DUE. IL DIAVOLO STA PERSEGUITANDO I BAMBINI».
Un’immagine piuttosto eloquente postata da Nununu su Instagram Ma non sembra essere dello stesso parere Céline Dion che in un’intervista al programma Morning Express with Robin Meade ha affermato di essere sempre stata molto attenta nel non cadere nella stereotipizzazione di genere nel crescere i suoi tre figli (maschi): «Durante una visita al Walt Disney World pensavo che i miei figli volessero andare dai supereroi. Invece hanno guardato tutto il tempo le principesse Disney, e volevano tutti essere Minnie». Gli obiettivi della casa di moda per bambini Nununu con la quale collabora Céline Dion, non riguardano solo la neutralità di genere, ma dietro sembra esserci qualcosa di molto più oscuro. Infatti sul loro sito ufficiale leggiamo: «Una sola voce: la moda ha il potere di modellare la mente delle persone. Ispirate i vostri figli a essere liberi
e trovare la propria individualità grazie ai vestiti». Un rapido viaggio nella pagina instagram del marchio rivela molte immagini inquietanti: bambini vestiti da diavoli, con teschi, in pose da zombie, su sfondi neri e lugubri e con simboli che richiamano l’occultismo. La “liberazione” di genere sarebbe dunque solo l’inizio. Il nuovo ordine, scritto a caratteri cubitali sui capi d’abbigliamento Célinununu sembrerebbe avere uno scopo ben preciso: alimentare ed enfatizzare la fascinazione verso tutto ciò che è oscuro e occulto; abituare i bambini a vestirsi non solo in maniera indifferente rispetto al loro sesso, ma grazie ai vestiti renderli dei “portatori inconsapevoli” di simboli occulti nonché veri e propri “adoratori della morte”. Nununu? Direi proprio no, no, no, no!
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di Rodolfo Granafei
Libérons-nous du féminisme!
Liberiamoci dal femminismo: questo il titolo dell’ultimo saggio di Bérénice Levet, una filosofa femminista davvero. Se ci capitasse di leggere, meglio: se “decidessimo” di leggere (perché a scuola non capita più) Le donne sapienti di Molière, che Wikipedia traduce legittimamente Le intellettuali, potremmo scoprire con meraviglia che qualche secolo fa un autore geniale mise in scena, nella sua ultima grande commedia, alcune signore ben decise a rivoluzionare la lingua e soprattutto a purgarla di tutte le parole e le allusioni che calunniano il sesso femminile
– che ancora non si chiamava genere. Profeticamente, Molière intravede e mette in scena il femministicamente corretto con qualche secolo di anticipo. Questo per introdurre direttamente l’aria, finalmente fresca, che si respira nel sacrosanto ultimo saggio di Bérénice Levet: Libérons-nous du féminisme! (Liberiamoci dal femminismo!) Sottotitolo che non la manda a dire: Nazione francese, galante e libertina, non rinnegare te stessa! La filosofa, che ha già pubblicato La théorie du genre e Le crépuscule des idoles progressistes, ancora non tradotti, con questo libro termina un’arcata del suo pensiero, quella che riguarda appunto la rivoluzione del sesso e della lingua (dovremmo aggiungere del diritto e della scuola tutta, campo di battaglia totale) che riguarda noi abitanti del nuovo secolo/millennio.
Classe 1971, la Levet ha conseguito il dottorato in filosofia all’Università di Caen Basse-Normandie con una tesi sul pensiero di Hannah Arendt. Insegna al Centre Sèvres di Parigi.
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LA LEVET CI INVITA A NON CEDERE ALLA SEMPLICE MESSA-FUORI-LEGGE DEL GRADIMENTO RECIPROCO TRA UOMINI E DONNE.
Questo saggio può essere letto come un manuale di resistenza e un invito a non cedere alla semplice messa-fuori-legge del gradimento reciproco tra uomini e donne. Un giornalista importante, titolare di una rubrica storica televisiva, ha esemplificato recentemente il nuovo clima auspicabile sui luoghi di lavoro spiegando che, se dico alla mia collega che ha un bel vestito, ciò può essere inteso come molestia. Questo mondo già orwelliano, che Levet cominciò a descrivere con La théorie du genre, ora viene smontato nel suo meccanismo fondamentale: la fabbrica di capri, anzi di porci espiatori, che funziona ormai a pieno regime coi movimenti Primo piano
#MeToo e #balancetonporc, e la liquidazione dell’intera letteratura occidentale da Omero a Roth. A cosa porta questo? Qualcuno ricorderà che negli Stati Uniti è nata, tra l’altro, la moda di decapitare statue di Colombo, impedire celebrazioni etc., perché il nostro passato di carnefici e negrieri va “decostruito” (eufemismo per distrutto) liberandoci da monumenti, toponimi, nomi di strade e piazze che nominano positivamente chi è invece diventato innominabile; come per esempio, in Francia, Colbert, per cui si propone di “sbattezzare” (termine utilizzato in un appello ufficiale al ministro dell’Educazione nazionale) licei e scuole medie (poi strade, piazze etc.?) dedicate al colonialista inventore della Compagnia delle Indie occidentali, e cose del genere. Con consequenzialità infallibile,
la critica degli errori del passato diventa liquidazione del passato – come la critica dei casi di violenza “eterosessuale” diventa denuncia dell’eterosessualità come violenza. La galanteria e la cortesia, vero marchio dello spirito francese, diventano coperture complici di una violenza sempre all’opera incarnata p.es. da D. StraussKhan: il femminismo oltranzista segnerebbe la vittoria dello spirito puritano americano sullo stile di vita francese, che la Levet aveva creduto fino a qualche anno fa immune dal contagio dell’epidemia di moralismo scatenata da piccole cerchie universitarie americane. Le illusioni caddero quando la filosofa si trovò davanti al compito a casa di un nipote obbligato a riassumere e commentare un romanzetto che esaltava il travestitismo. Arrivati a #MeToo non capisce solo chi non vuole, perché la macchina che produce porci
LA CRITICA DEGLI ERRORI DEL PASSATO DIVENTA LIQUIDAZIONE DEL PASSATO – COME LA CRITICA DEI CASI DI VIOLENZA “ETEROSESSUALE” DIVENTA DENUNCIA DELL’ETEROSESSUALITÀ COME VIOLENZA.
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espiatorii funziona ormai a pieno regime e secondo una legge purtroppo ben nota. Non solo l’ideologia è impermeabile a qualsiasi smentita dell’esperienza ma, piuttosto, il suo principio si può riassumere con: qualsiasi cosa accada, tanto peggio per i fatti. Hannah Arendt, che è tra i maestri di Bérénice Levet, aveva insegnato che l’ideologia funziona appunto come la logica di un’idea, senza tener conto dei fatti. La Levet ci mette davanti a un compito che La théorie du genre aveva perfettamente definito: la decolonizzazione della scuola a partire dal giardino d’infanzia, perché la parola d’ordine del femminismo è semplice ed efficace: l’educazione deve diventare ri-educazione, e questo movimento di rieducazione, soprattutto dell’essere umano presunto maschio, se vogliamo dirci la verità, sta avendo successo e, aggiungiamo, questo successo è difficile da contrastare. Il femminismo in versione protestante-americana sembra infatti vincente, anzi, sembra l’ultima grande “narrativa”, come oggi si dice, capace di 19 N. 72
A FIRENZE, RECENTEMENTE, IL FINALE DELLA CARMEN È STATO CAMBIATO, NON È PIÙ LEI CHE MUORE MA LUI
In un’intervista a Il Foglio del 26.12.2018, la Levet ha detto:«Il movimento #MeToo mi sconvolge. Con la scusa della liberazione della parola delle donne si è imposta una visione assolutamente da incubo della condizione femminile in Europa nel XXI secolo. Le donne sono state dipinte come vittime di predatori maschi e gli uomini ci sono apparsi come dei Barbablù, i cui armadi erano pieni di cadaveri! Le pareti della metro parigina si sono riempite di cartelli che mostrano una creatura debole, sola in un ambiente ostile (foresta oscura, grotta buia, fondo del mare), sul punto di essere assalita, a seconda dei casi, da un lupo, un orso, uno squalo. Il messaggio non lascia spazio all’ambiguità: l’uomo è un predatore e una minaccia perpetua per la donna. Questo movimento si iscrive nell’èra della vittimizzazione che sta conquistando l’intero occidente». dare il cambio al racconto marxista classico. Nasce così una nuova inquisizione prima di tutto linguistica – descritta perfettamente ne La macchia umana di Roth, dove un grande professore perde il posto e la reputazione e la sua vita va a rotoli, per una parola giudicata offensiva da alunni neri. Il campo di battaglia è infatti la lingua quotidiana, che va smontata e ricostruita eufemisticamente. Non c’è niente che sia al riparo dei censori: con un esempio italiano, a Firenze, recentemente, il finale della Carmen è stato cambiato, non è più lei che muore ma lui. Balthus, Bizet, Omero possono fare la stessa fine. 20 N. 72
Allo sventurato professore de La macchia umana la direttrice del dipartimento universitario chiede di adottare una lettura femminista della tragedia greca; il malcapitato si rifiuta e mal gliene incoglie. Al dunque: Levet riporta le tesi di un manifesto femminista sulla lingua del 1999 nel quale «Nello spirito della neolingua di 1984, si tratta da un lato di forgiare termini nuovi, di ridefinire parole antiche, di ridurre l’ampiezza del nostro vocabolario per cancellare tutte le sfumature, tutti i gradi che costituiscono la realtà, e dall’altro di produrre una nuova ortografia e una nuova grammatica del francese, un Buon Uso in versione femminista. ‘Abolire le
regole di grammatica del XVII secolo’, esige, in modo che più esplicito non si potrebbe, Florence Montraynaud», la creatrice dell’associazione Chiennes de garde, vere e proprie guardie rosa del linguisticamente corretto. Chi l’avrebbe mai detto, leggendo qualche decennio fa 1984, che ci avrebbero costruito sotto il naso una neolingua senza che nessuno riuscisse a far niente per contrastare l’operazione! Almeno per ora. Il libro della Levet andrebbe tradotto a tamburo battente e utilizzato in corsi di formazione per insegnanti e studenti.
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Dolore misto di sogno e d’inganno
di Maria Cristina Del Poggetto
La fecondazione artificiale, oltra a causare un’ecatombe di bambini, fa molto male alle donne: sia a quelle che vendono gli ovuli, sia a quelle che cercano un figlio. Ma le femministe, anche in questo contesto, tacciono. Cosa passa una donna quando non riesce a diventare madre? Quando vede le amiche che via via mostrano le loro splendide pance, quando agli incontri con gli amici non si parla più delle vacanze o dei film visti al cinema, ma si parla di quante volte il piccolino, meraviglioso per altro, ha riempito il pannolino; o ci si inebria raccontando tutte le nuove smorfie fatte… Cosa risuona ogni volta che qualcuno domanda, con un tatto e una sensibilità ineccepibili: «Voi non avete figli???». Potete immaginare cosa vive quando viene rigirata come un calzino da esperti professionisti medici, perdendo tutta la poesia legata al sogno di un amore che genera, al sogno di un figlio, nella speranza di trovare le cause da far gestire agli esperti. Ma per “fortuna” oggi la scienza le viene incontro. E così quel freddo camice diventa fonte di speranza. Già: nessuno le parla di adozione, di maternità speciali, maternità magiche, dove due bisogni 22 N. 72
Roma, Ponte Sisto (quello di un bambino di essere amato e avere una famiglia e quello di due disgraziati di donare amore) si possono incontrare e magicamente compensare; quello dove due sguardi disperati incontrandosi si riconoscono e da subito si amano (quante volte ho sentito raccontare di questo miracolo: «Appena l’ho visto mi sono detta è proprio lui il mio bambino!»). No, niente di tutto questo. Di adozione, cioè, non parla nessuno. La scienza “regala a modico prezzo” (...no, non regala affatto e il prezzo è davvero salato), la speranza di un figlio costruito su misura
per chi lo vuole e se lo può comprare. Già: perché qui non entrano in gioco i vissuti come l’amore, l’affetto, il donarsi, ma il bisogno di perpetuarsi, entra in gioco il bisogno di mostrare al mondo un piccolo ideale di sé, che non solo assomigli ai genitori ma possibilmente vi assomigli nei caratteri migliori (almeno nei sogni sogniamo alla grande). Così la “scienza” vince sulla realtà, si insinua tra le pieghe dei bisogni reconditi e violenta il bisogno di divenire genitori per non morire mai a se stessi. Così dallo stress vissuto per Primo piano
ALLE DONNE CHE NON RIESCONO A DIVENTAR MADRI, NESSUNO PARLA PIÙ DELL’ADOZIONE; NÉ SI PROVA DAVVERO A CURARE L’INFERTILITÀ.
non essere divenuto genitore si passa a quello successivo tinto di rosa: la fecondazione artificiale. Già lo vedi il pargoletto da tenere tra le braccia bello come il sole… Quel corpo incapace di generare viene nuovamente martoriato, da nuove visite mediche, trattamenti ormonali che lo modificano (ma cosa non si fa per amore?), nell’utero e su su, fino alle ovaie per raccogliere gli ovuli, mentre il tuo sposo tenta di fare all’amore con se stesso di fronte a uno squallido giornale nel tentativo di depositare il suo seme in una provetta. E questo incubo si ripete nel tempo che perde dimensione e si dilata, rarefatto, fermo e tenace nel tentativo di raggiungere il suo obiettivo. Intanto passano i mesi, talora gli anni. Ho conosciuto una coppia che che era ferma in questa fase da undici anni, con tutte le conseguenze del caso: un rapporto di coppia sfibrato all’inverosimile, una potenziale madre con seri disturbi del tono dell’umore, cuccioli di uomo adottabili ormai cresciuti Primo piano
ed embrioni, tanti embrioni, divenuti aborti. Nessuno sa, tranne la protagonista, il dolore che ogni volta si genera a ogni tentativo non riuscito. Queste coppie eroiche passano da un lutto all’altro attaccate alla speranza che la scienza gli ha promesso. Poi finalmente per qualcuno, non per tutti, diciamo pure per una stretta, strettissima
minoranza, il miracolo si realizza. Gli embrioni si sono impiantati e il dolore passato negli anni si rarefà. Il lutto per tutte quelle creaturine perse per la via viene immediatamente sostituito da una gioia infinita. La gioia di poter anche tu donare amore. Finalmente tre bambini stanno crescendo nel ventre di quella madre sfinita, tre vocine gioiose finalmente
LA “SCIENZA” VENDE LA SPERANZA DI UN FIGLIO COSTRUITO SU MISURA, PER CHI LO VUOLE E SE LO PUÒ COMPRARE.
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Alessandro Aleotti, alias J-Ax, classe 1972, è un rapper, cantautore e produttore discografico. Nel settembre scorso con la canzone “Tutto sua madre” ha celebrato la nascita di un figlio molto desiderato, a seguito di fecondazione artificiale.
riempiranno il silenzio della casa! Sono tre femminucce. Ma già al quinto mese l’incanto si infrange, qualcosa non va per il meglio, nascono pretermine, piccolissime, minutissime e fragilissime. La più fragile non ce la fa. E un nuovo lutto dilania l’atmosfera rosea. Ma ci sono ancora le altre due… «Forza! – dicono le persone intorno – avrete comunque due gemelline!». Ma quella gioia si è adombrata, il rosa non è più limpido, ombre e timori lo pervadono. Passano i giorni e i mesi col timore che all’improvviso un nuovo imprevisto dirompa nella tua vita e deturpi ciò che con tanto sacrificio hai costruito. Sì: lo hai costruito. Sacrificando la relazione di coppia, sacrificando il tuo tempo e i tuoi interessi, sacrificando la salute, sacrificando il lavoro, sacrificando il tuo corpo… E 24 N. 72
il risultato è che ti trovi a lottare nuovamente accompagnata dall’angoscia, dal timore che suoni qualche apparecchio e nuovamente ti dicano, magari per telefono, «ci dispiace ma…». Nessuno dei due genitori ha il coraggio di esprimersi per non crollare e far crollare l’altro. Tutto il fardello è sulle spalle di chi ha già tante fatiche addosso. Tutti col fiato sospeso, per mesi, fino a quando finalmente le puoi portare a casa, finalmente il sogno si realizza, finalmente le terrai in braccio e le mostrerai agli amici, finalmente…
DALLO STRESS VISSUTO PER NON ESSERE DIVENUTO GENITORE SI PASSA A QUELLO SUCCESSIVO TINTO DI ROSA: LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE.
Primo piano
Ma... fermate tutto: non dovevano essere la nostra gioia? Un lavoro immane per costruire un sogno, e invece di colpo ci si accorge che ha il sapore di un incubo. Il sogno agognato non coincide con la realtà. Una madre sfibrata si ritrova con due bambine che non coincidono con quelle che nel suo immaginario l’hanno accompagnata fino a oggi dandole tutto il coraggio e la tenacia necessari a portare avanti il sogno. Di colpo i camici tanto affabili, i tuoi collaboratori ingegneristici che nel tempo ti hanno accompagnato, non ci sono più, e ti ritrovi
I TENTATIVI DI FECONDAZIONE IN VITRO SI RIPETONO SPESSO PER ANNI, PROVOCANDO STRESS PSICHICO E FISICO ALLA COPPIA, SOPRATTUTTO ALLA DONNA.
sola tra le mura di casa con due gemelline di cui una con seri problemi motori e probabilmente anche psichici e l’altra cieca. Come gestire queste creature ora che tutte le energie che potevi avere sono esaurite, ora che vorresti solo poter piangere. E invece sono loro a piangere. Ora che cerchi un senso a tutto ciò, e non lo trovi. Ora che vorresti poter tornare indietro e non puoi.
O forse sì! Nella solitudine una soluzione si insinua tra le pieghe del dolore che viene nascosto e non più sopportato. Pina* una soluzione la trova, non è la migliore: lei lo sa e questo la tormenta, ma è liberatoria; si illude di poter cancellare tutto. Quale scienziato di tutto questo tecnologico percorso la ripagherà di tanto dolore? Chi ripagherà quel padre ingannato? Quanti soldi per raccogliere tanta disperazione? Perché è bene urlarlo, non tutte le storie finiscono come quella cantata da J-Ax.
* Ponte Testaccio, iniziato nel
1938 su progetto dell’architetto Bastianelli, inaugurato nel 1948, è detto popolarmente “ponte dell’Ammazzatora” perché corrisponde a una delle entrate del vecchio Mattatoio di Roma. Nel dicembre scorso è stato il teatro di un tragico fatto di cronaca: Pina Orlando, 38 anni, si suicida lì, gettandosi nel Tevere. Aveva in braccio Sara e Benedetta Di Pasquo, le sue figliolette di 4 mesi, concepite a seguito di fecondazione artificiale. Pochi hanno riflettuto sul retroscena che ha portato la donna alla depressione e al gesto estremo.
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Il Congresso Mondiale delle Famiglie, i valori, le donne
di Toni Brandi
Presentiamo ai nostri Lettori i temi che verranno trattati al Wcf e le persone e le associazioni che hanno lavorato per mesi al fine di consentire la realizzazione di questo grandissimo evento.
Toni Brandi, Simone Pillon, Brian Brown, Lorenzo Fontana, Massimo Gandolfini, Jacopo Coghe Siamo abituati a vedere ergersi a difesa delle donne personaggi e gruppi che rivendicano per esse il diritto a divorziare, il diritto alla contraccezione, il diritto ad abortire, il diritto ad avere un figlio anche quando la fisiologia dice di no, il diritto a far mercimonio del proprio corpo offrendolo come oggetto di piacere a uso e consumo di chi deve sfogare le proprie pulsioni, oppure come incubatrice di carne per generare figli che neanche saranno fatti vedere alla madre che li ha portati nove mesi nel grembo. Con la ragionevolezza e il buon senso, 26 N. 72
però, valutando l’oggettiva realtà delle cose, siamo in grado di asserire che tutti questi non sono affatto diritti. Anche se tutte le leggi di tutti gli Stati del mondo proteggessero questi interessi (che più che interessi sono capricci), sappiamo che la legge positiva che contrasti con la legge naturale non è legge diceva già il buon Cicerone - e perciò quegli pseudo diritti non saranno mai veri diritti. Con l’esperienza di questi ultimi decenni, siamo in grado di constatare che dal divorzio, all’utero in affitto, tutte quelle cose che la moda
del politicamente corretto e la cultura della morte considerano “conquiste” del progresso sono in realtà tragedie individuali e sociali che hanno tra le vittime principali proprio le donne (oltre che i bambini). Donne illuse e ingannate da chi ha interesse a ridurre l’umanità a un branco servizievole e ubbidiente, non pensante, utile solo per consumare e assicurare profitto a chi offre mezzi idonei a soddisfare bisogni indotti.
Primo piano
I Per me è stato un grande onore essere nominato presidente del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie. Mi presento, a chi ancora non mi conosce. Sono nato e cresciuto a Roma e sono un imprenditore che ha sempre operato nel campo del turismo. Ho cominciato in Belgio e proseguito in Inghilterra, dove sono stato amministratore delegato della Transalpino Travel per il Regno Unito, per poi essere promosso nel 1982 a direttore generale del gruppo Transalpino-Tourtraco, con sede in Svizzera. Sono stato poi nominato Ceo del gruppo internazionale di viaggi Usit, operante da Dublino. All’inizio degli anni Novanta ho fondato in Lituania un’organizzazione non governativa, la Algirdas Society, con un gruppo di cristiani provenienti da Lituania, Italia e Regno Unito. La Algirdas Society ha sviluppato numerosi progetti, compreso l’acquisto di incubatrici per bambini prematuri, e ha organizzato conferenze e manifestazioni su temi legati all’economia, la famiglia e la vita assieme al Sajudis, il movimento che ha portato all’indipendenza della Lituania dall’Unione Sovietica. Dal 1991 sono diventato il Ceo del Gts Group, e dal 2003 ne sono presidente. Nel 2005, insieme ad alcuni amici cristiani, ho fondato la Laogai Research Foundation Italia, che è impegnata in una campagna di informazione sui Laogai, i campi di concentramento cinesi in cui milioni di persone sono tuttora costrette ai lavori forzati. Nell’estate 2012, assieme a Francesca Romana Poleggi, Francesco Agnoli, Renzo Puccetti e Andrea Giovanazzi, ho fondato Pro Vita, una delle associazioni promotrici dei Family Day, che agisce nel campo della formazione e dell’informazione per la vita, la famiglia e la libertà educativa, e opera a livello sociale, giuridico, politico e culturale. I valori della vita e della famiglia sono imprescindibili per il futuro dell’umanità perciò Pro Vita esiste e si batte… “Nel nome di chi non può parlare”.
DAL DIVORZIO, ALL’UTERO IN AFFITTO, TUTTE QUELLE COSE CHE LA MODA DEL POLITICAMENTE CORRETTO E LA CULTURA DELLA MORTE CONSIDERANO “CONQUISTE” DEL PROGRESSO SONO IN REALTÀ TRAGEDIE INDIVIDUALI E SOCIALI CHE HANNO TRA LE VITTIME PRINCIPALI PROPRIO LE DONNE (OLTRE CHE I BAMBINI). Primo piano
Eppure, nonostante il potere mediatico ed economico dei promotori della cultura della morte, c’è un popolo che non si adegua e non si piega ai diktat del pensiero unico politicamente corretto. In occasione del Congresso Mondiale delle Famiglie, ci accorgeremo che c’è gente che vive, lavora, ragiona e ama e ancora crede nei valori che sono a fondamento della civiltà umana. Avremo occasione di riflettere sulla bellezza del matrimonio; ascolteremo l’esperienza di chi si batte per i diritti dei bambini (anzitutto quello di nascere, ma poi anche quello di essere amati ed educati da un papà e una mamma certi, uniti stabilmente da un progetto di vita comune). Ci potremo confrontare con uomini, donne e formazioni sociali che credono nella necessità di rispettare e salvaguardare la natura, a partire da un’ecologia umana integrale, che nulla ha a che fare con gli isterismi ambientalisti. Questi sono solo alcuni dei temi su cui avremo occasione di confrontarci durante la tredicesima edizione del Wcf che si tiene dal 29 al 31 marzo 2019 nella splendida cornice veronese.
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I TEMI CHE VERRANNO TRATTATI AL XIII CONGRESSO MONDIALE DELLE FAMIGLIE SONO: LA BELLEZZA DEL MATRIMONIO, I DIRITTI DEI BAMBINI, L’ECOLOGIA UMANA INTEGRALE, LA DONNA NELLA STORIA, LA SALUTE E LA DIGNITÀ DELLE DONNE, LA CRISI DEMOGRAFICA, LA TUTELA GIURIDICA DELLA VITA E DELLA FAMIGLIA, E LE POLITICHE AZIENDALI PER LA FAMIGLIA E LA NATALITÀ.
Incontreremo rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni e tante famiglie; potremo ascoltare, riflettere e contribuire al dibattito traendo spunto dagli interventi di insigni relatori (potete vederne alcuni, tra i principali, a pagina 31). Ci chiariranno come la donna nella storia sia stata protagonista, riconosciuta e stimata più di quanto la propaganda voglia far credere, proprio in quei secoli in cui di tutte queste pseudo conquiste e di tutti questi pseudo diritti non si parlava nemmeno: pochi sanno, per esempio, che 28 N. 72
Massimo Gandolfini, decano del consiglio direttivo del XIII Wcf di Verona, è il portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli e dei Family Day, che hanno portato a Roma oltre un milione di persone: a piazza San Giovanni nel giugno del 2015 e al Circo Massimo nel gennaio del 2016. Nel 1977 si è laureato con lode in Medicina presso l’Università statale di Milano. Nel 1981 si è specializzato in Neurochirurgia, sempre a Milano, e nel 1991 in Psichiatria, presso l’Università statale di Brescia. Nel 1990 vince il Concorso nazionale di idoneità a primario in neurochirurgia. Dal 1997 dirige il Dipartimento di neurochirurgia-neurologia di un ospedale bresciano. Nel 1977 si sposa e, dopo qualche anno, adotta una bimba in Perù. È la prima adozione, cui seguiranno altre sei adozioni: due bimbi brasiliani e quattro italiani. Oggi, i primi quattro figli (due femmine e due maschi) sono sposati e i coniugi Gandolfini sono nonni di sei nipotini. L’ultima figlia, che oggi ha 22 anni, ha richiesto delle cure davvero speciali e intensive: per una grave sindrome polimalformativa ha dovuto sottoporsi a 34 importanti interventi chirurgici, che ha potuto affrontare e sostenere anche grazie a un grande “lavoro di squadra” di fratelli e genitori. Tanta sofferenza, certamente, ma anche tanta condivisione, aiuto, sostegno. In una parola, tanto amore. Chiamato spesso in Italia e all’estero come conferenziere, Gandolfini è stato recentemente invitato dal governo polacco a parlare sia alla Camera dei deputati che al Senato della Polonia. Nell’ambito del dibattito in corso sulla “teoria del gender” Gandolfini è uno dei massimi esperti sugli aspetti biologici e neurobiologici della strutturazione dell’identità sessuata femmina/maschio e della costruzione dell’identità di sé del bambino, durante l’età dello sviluppo, sottolineando l’importanza di una relazione armoniosa con mamma e papà. ruolo importante ha avuto la donna dall’VIII al XIV secolo; pochi sanno che è solo dall’umanesimo, imbevuto di cultura giuridica greco-romana, cioè pre-cristiana, che la donna ha ricominciato a essere relegata Primo piano
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Jacopo Coghe, 34 anni, nato e cresciuto a Roma; consegue la maturità classica e poi intraprende studi di filologia medievale, attualmente in attesa di discutere la tesi. È sposato da 10 anni e padre di 5 figli. Dal 2008 è titolare di un’impresa che lavora nel settore del design e della comunicazione avendo come clienti aziende del panorama nazionale italiano. Jacopo sogna di poter dare sempre più il suo contributo alla sensibilizzazione sulle questioni pro famiglia, nel tentativo di ricostruire una società più sana e umana, fondata su valori antropologici e morali stabili. È presidente e socio fondatore insieme a Filippo Savarese e Maria Rachele Ruiu de La Manif Pour Tous Italia, diventata poi Generazione Famiglia, un’associazione di uomini e donne di ogni età, estrazione e professione che senza bandiere di partito né simboli religiosi si impegnano nel quotidiano per promuovere e proteggere la famiglia. Negli ultimi anni l’associazione ha organizzato con i suoi 50 circoli territoriali più di 500 convegni su tutto il territorio italiano coinvolgendo oltre 50 mila persone. a un ruolo di secondo piano nella società. Ragioneremo e spiegheremo come e cosa serve a garantire la salute e la dignità delle donne; ci confronteremo sulla crisi demografica in atto e su come la tutela giuridica della vita e della famiglia serva a generare un’inversione di tendenza in proposito. Avremo poi la possibilità di conoscere alcune buone pratiche realizzate da imprese che hanno posto in essere politiche aziendali per la Primo piano
«VI È UNA LEGGE VERA, RAGIONE RETTA CONFORME ALLA NATURA, PRESENTE IN TUTTI, INVARIABILE, ETERNA, TALE DA RICHIAMARE CON I SUOI COMANDI AL DOVERE, E DA DISTOGLIERE CON I SUOI DIVIETI DALL’AGIRE MALE... A QUESTA LEGGE NON È POSSIBILE SI TOLGA VALORE NÉ È LECITO CHE IN QUALCOSA SI DEROGHI, NÉ ESSA PUÒ ESSERE ABROGATA; DA QUESTA LEGGE NON POSSIAMO ESSERE SCIOLTI AD OPERA DEL SENATO O DEL POPOLO», AFFERMAVA CICERONE VENTUNO SECOLI FA NEL DE RE PUBLICA.
famiglia e la natalità. Insomma, avremo tre giorni per condividere esperienze e speranze; avremo modo di comprendere che i valori fondanti la civiltà, i principi non negoziabili, sono ancora vivi e vivaci nello spirito e nelle azioni politiche degli uomini di buona volontà. Capirete quindi che per me è stato un grande onore essere stato nominato presidente del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie. 29 N. 72
Brian S. Brown, dottorato all’Ucla in Storia americana, ha ottenuto a Oxford la laurea magistrale in Storia moderna e IV la laurea in Storia al Whittier College. Lui e la moglie Susan hanno 9 bambini. Nel 2007 ha fondato con altri l’Organizzazione Nazionale per il Matrimonio (National Organization for Marriage, Nom), che ha svolto con successo attività di sensibilizzazione pro famiglia in diversi stati federati americani. Nel 2014, Brown è stato tra gli organizzatori del grande convegno tenutosi in Vaticano, intitolato Complementarietà tra uomo e donna: un colloquio internazionale, noto con l’hashtag #Humanum, patrocinato dalla Congregazione per la dottrina della fede, dal Pontificio consiglio per la famiglia, dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in cui è intervenuto personalmente anche Papa Francesco. Dal 2016 è presidente dell’Organizzazione Internazionale per la Famiglia (Iof ). Il Washington Post ha intitolato un articolo su Brown Opporsi alle unioni gay con il buon senso e un sorriso dove scriveva: «Il motivo del successo di Brian Brown è il suo cordiale, spietato buon senso».
A chi non mi conoscesse, mi presento nella scheda a pagina 27 (I). E nelle altre schede vi presento il comitato direttivo, costituito da Massimo Gandolfini (II) e dal mio valido collaboratore, il vice presidente Jacopo Coghe (III): insieme abbiamo lavorato con passione all’organizzazione di questo grande evento sotto 30 N. 72
IL XIII CONGRESSO MONDIALE DELLE FAMIGLIE SI CONCLUDERÀ IL 31 MARZO, CON UNA GRANDE MARCIA PER LA FAMIGLIA CHE PARTIRÀ ALLE 12:00 DA PIAZZA BRA: SIETE TUTTI INVITATI A PARTECIPARE!
la supervisione del presidente internazionale, Brian Brown (IV). E con noi, tutti gli attivisti di Pro Vita e di Generazione Famiglia hanno svolto un lavoro davvero prezioso, determinante per la riuscita del Congresso. A tutti e a ciascuno va il mio più sincero grazie, dal profondo del cuore.
Primo piano
La famiglia al centro delle politiche regionali di Francesca Romana Poleggi Intervista al presidente della Regione Veneto, Luca Zaia Il Veneto per statuto orienta le sue politiche regionali a favore della famiglia, visto il ruolo fondamentale che essa svolge per la crescita sana degli individui e della società. Ne abbiamo parlato con il presidente della regione, Luca Zaia, che si è mostrato ben lieto fin da principio di ospitare il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie. Egregio signor presidente, sappiamo che Verona, la città che ospita il Wcf, è “Città per la Vita”. Il Veneto può essere definito “Regione per la Vita”? Lo Statuto della Regione Veneto, che è la carta fondamentale a cui si ispirano la legislazione e l’operato dell’istituzione, impegna l’amministrazione regionale a «garantire e valorizzare il diritto alla vita, a riconoscere lo specifico ruolo sociale della famiglia, ad attivare politiche di conciliazione tra tempi della vita e del lavoro e ad adeguare l’erogazione dei servizi alla composizione del nucleo familiare».
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In poche righe, l’articolo 6 della carta statutaria del Veneto traccia i punti cardine che devono ancorare e orientare le politiche regionali, presenti e future. Quali sono le politiche pro famiglia che attua la Regione? La famiglia è la cellula base della società e la nostra Costituzione impegna la Repubblica a promuovere la formazione delle famiglie e a sostenerle, in particolare quelle numerose. Le politiche per la famiglia dovrebbero essere un obiettivo comune e condiviso di tutte le istituzioni dello Stato, a ogni livello. Solo interventi comuni, tra loro coordinati, possono avere successo. Da parte della Regione Veneto il sostegno ai
nuclei familiari, specie se con figli minori e a basso reddito, è una priorità costante: dai criteri di premialità nelle graduatorie dei bandi pubblici (assegnazione alloggi, contributi per il risparmio energetico, buoni scuola, servizi per l’infanzia) agli interventi specifici, come la legge regionale che prevede contributi per le famiglie numerose (con almeno quattro figli) e per parti trigemellari. Ma è nella programmazione dei servizi che meglio si dispiega l’aiuto regionale alle famiglie, in tutte le diverse fasi del ciclo naturale della vita. La Regione Veneto sostiene finanziariamente oltre 800 servizi per l’infanzia (dai nidi alle sezioni anticipate di scuola materna, ai nidifamiglia), 1100 scuole per
L’AIUTO REGIONALE ALLE FAMIGLIE SI DISPIEGA NEGLI SVARIATI INTERVENTI A FAVORE DEI NUCLEI FAMILIARI E SOPRATTUTTO NELLA PROGRAMMAZIONE DEI SERVIZI.
Primo piano
l’infanzia paritarie, 120 sedi consultoriali che esplicano la loro attività in particolare nella mediazione familiare, sostegno alla genitorialità ed educazione alla sessualità, 141 centri sollievo per alleggerire il carico di cura che grava sulle famiglie che assistono un congiunto con demenze, 42 centri antiviolenza per donne e minori vittime di sopraffazioni domestiche. La Regione finanzia, inoltre, una trentina di ‘reti familiari’ che coinvolgono 151 comuni e circa 30 mila nuclei familiari in interventi di sostegno alla genitorialità, formazione e mutuo aiuto. Tra le misure di sostegno alle famiglie ricordo anche alcuni interventi specifici, per aiutare le famiglie più in difficoltà: i contributi per le spese di alloggio e le spese sanitarie per i genitori separati o divorziati con figli; gli interventi anti povertà e gli empori solidali per sostenere i nuclei familiari privi di reddito; l’assegno per il lavoro per aiutare il reinserimento occupazionale di padri e madri di famiglia disoccupati. Qual è l’importanza di ospitare il Congresso Mondiale delle Famiglie per il Veneto? Il primo risultato concreto sta nell’accendere i riflettori sulla famiglia, sulle sue esigenze Primo piano
e sulle sue fragilità. Oggi la dimensione familiare scivola spesso in secondo piano, sia nell’immaginario collettivo che nell’orizzonte della programmazione. Invece i dati demografici sulla denatalità, diventata ormai un fenomeno strutturale non solo in Veneto ma nell’intera penisola, stanno interrogando politici e istituzioni e riportando al centro del dibattito il grande tema: come creare un clima favorevole per la costituzione di nuove famiglie e come aiutare le famiglie esistenti ad affrontare l’arrivo di un nuovo figlio. Un paese di culle vuote è un paese privo di futuro. Anche se il tema non è strettamente legato alla bioetica, i nostri Lettori saranno certamente desiderosi di sapere come è la situazione dopo i disastri naturali che hanno ferito profondamente una delle zone più belle d’Italia. Le immagini della devastazione ambientale subita dalle nostre montagne sono sotto gli occhi di tutti, grazie anche all’ampio risalto che i media locali e nazionali hanno dato a quanto accaduto in Veneto con la ‘tempesta perfetta’ di fine ottobre. A distanza di tre mesi dalla tempesta di vento che ha raso al suolo 28 mila ettari di boschi e devastato
strade e interi paesi causando danni quantificati in 1.769 milioni di euro, sono già aperti 160 cantieri pubblici di ripristino e sono già stati spesi 55 milioni per gli interventi di emergenza, sotto la vigilanza del sottoscritto, commissario straordinario per l’emergenza. Cittadini, imprese, amministrazioni locali e la Protezione civile regionale e nazionale non hanno perso un solo minuto per rimboccarsi le maniche e ripristinare strade, impianti turistici, infrastrutture elettriche, edifici pubblici e privati. Impianti e stazioni sciistiche hanno aperto regolarmente la loro attività da subito. Nel contempo la straordinaria generosità di persone comuni, imprenditori, associazioni, istituti di credito che, in una gara collettiva di solidarietà, hanno consentito di raccogliere sinora oltre tre milioni di euro da destinare al recupero delle aree devastate dal maltempo. Purtroppo, il paesaggio della montagna veneta, là dove il tornado si è abbattuto, è cambiato per sempre, come accadde cento anni fa con il primo conflitto mondiale. Regione ed istituzioni montane saranno impegnate per anni nel recupero del legname abbattuto e nel graduale ripristino del patrimonio boschivo.
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Donne crocifisse di Marta Moriconi La prostituzione: una moderna forma di schiavitù violenta nei confronti delle donne, contro la quale il movimento femminista non è schierato così compatto e deciso come dovrebbe. Ne parla don Aldo Buonaiuto, il sacerdote responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII.
È sempre più elevato il numero di donne ridotte in schiavitù sulle nostre strade, giovani costrette a prostituirsi da trafficanti di esseri umani senza scrupoli, che fanno business col loro corpo, anche grazie ai tanti clienti che alimentano il mercato del sesso. Un dramma che ci coinvolge tutti e interroga profondamente le nostre coscienze. Da anni la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, lotta per salvare le donne da questa orrenda forma di schiavitù. Noi di Pro Vita ne abbiamo parlato con Don Aldo Buonaiuto, uno degli animatori della Comunità Papa Giovanni XXIII impegnato in prima linea nel salvataggio delle “donne crocifisse” sulle strade italiane, spesso fra l’indifferenza generale.
Don Aldo, partiamo dai numeri. Quanto è ancora vasto ed allarmante il fenomeno della prostituzione nelle nostre città? «Purtroppo anche quest’anno abbiamo assistito al moltiplicarsi del fenomeno della tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione coatta, dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di migliaia di donne. Oltre 150 mila sono quelle che stanno sulle strade, ma a queste vanno aggiunte quelle costrette a operare nei cosiddetti “bordelli”, nei night, negli alberghi, negli appartamenti. C’è quindi un mondo vastissimo e drammatico gestito ovviamente dalla criminalità organizzata».
Quali sono le mafie più attive nel campo della prostituzione? «I racket della prostituzione purtroppo continuano a proliferare. Le mafie più attive sono sicuramente quelle della Nigeria e della Romania, poi seguono quelle della Moldavia, dell’Ungheria, dell’Albania, dell’Ucraina. Sono questi i Paesi da cui partono le schiave destinate alla prostituzione coatta. Le donne che incontriamo sulle strade provengono tutte da questi Paesi. Poi dobbiamo evidenziare nell’ultimo periodo un incremento di donne anche italiane che per comprarsi la droga si prostituiscono nelle grandi piazze di spaccio.
Don Aldo Buonaiuto: sacerdote diocesano dall’8 dicembre 1998, ha studiato filosofia e teologia e ha conseguito la licenza di specializzazione in antropologia teologica. È parroco e ricopre l’incarico di direttore diocesano per i migranti. Svolge il ministero di esorcista ed è associato all’AIE (associazione internazionale esorcisti) 34 N. 72
Primo piano
La petizione chiamata “Questo è il mio corpo” (questoeilmiocorpo.org) chiede che l’Italia segua il modello nordico, che punisce i clienti. In questo modo la Svezia ha ridotto notevolmente l’entità del fenomeno. In pratica è reato l’acquisto del sesso non soltanto lo sfruttamento della prostituzione. Anche questo purtroppo è un fenomeno in continua espansione. Ma l’ingiustizia più grande è vedere queste povere ragazze, di cui circa il 37% minorenni, ostaggio degli sfruttatori da una parte e dei clienti dall’altra». I clienti quanto contribuiscono all’incremento del fenomeno della prostituzione in Italia? «I clienti sono a tutti gli effetti correi degli schiavisti, nel momento stesso in cui ritengono di avere il diritto di acquistare il corpo di ragazze che potrebbero avere la stessa età delle loro figlie e delle loro nipoti. Questa è la prima grande responsabilità del mostruoso crimine. Sono i clienti che permettono questo grande mercato. Non dimentichiamo che è sempre la domanda a produrre l’offerta. Ecco perché la Comunità Papa Giovanni XXIII ha continuato anche nel 2018 a promuovere e diffondere la petizione chiamata Primo piano
Ci sono numeri che fanno capire quanto è vasto il comparto dei clienti?
“Questo è il mio corpo” (che ha anche un sito collegato, questoeilmiocorpo.org) per far sì che l’Italia possa finalmente uniformarsi al modello nordico, che punisce non le donne ma i clienti. In questo modo la Svezia ha ridotto notevolmente l’entità del fenomeno. In pratica è reato l’acquisto del sesso, non soltanto lo sfruttamento. In Francia due anni fa si sono allineati e chissà che anche in Italia qualcuno si renda finalmente conto che è fondamentale disincentivare la domanda».
I CLIENTI SONO A TUTTI GLI EFFETTI CORREI DEGLI SCHIAVISTI: È SEMPRE LA DOMANDA CHE CREA L’OFFERTA.
«Il numero dei clienti oscilla in un anno dai sette ai nove milioni, tutti maschi italiani che vanno sulle strade a comprare il corpo di queste ragazze». Le donne che voi riuscite a recuperare che tipi di problemi si portano dietro? Problemi fisici o anche psichici? «Possiamo immaginare cosa possa significare per delle ragazze, quasi tutte al di sotto dei 23 anni, farsi violentare ogni giorno da venti o trenta uomini che le usano e le mercificano. Quindi i danni psichici sono al primo posto. Poi ci sono i danni fisici, perché abbiamo donne che sono state storpiate, vittime di torture, di pestaggi, di stupri. Quindi qualsiasi prostituta esce dalla strada ridotta malissimo sia a livello psichico che fisico. Molte hanno problemi di salute difficili da recuperare».
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OLTRE 150 MILA SONO LE PROSTITUTE CHE STANNO SULLE STRADE, MA A QUESTE VA AGGIUNTO IL NUMERO IMPRECISATO DI QUELLE COSTRETTE NEI BORDELLI, NEI NIGHT, NEGLI ALBERGHI, NEGLI APPARTAMENTI. DIETRO C’È SEMPRE E COMUNQUE LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CHE CONTINUA A SFRUTTARE LE DONNE, ANCHE NEI PAESI CHE HANNO LEGALIZZATO LA PROSTITUZIONE.
Avete avanzato anche quest’anno delle proposte di legge per combattere il fenomeno? E come sono state accolte? «La nostra proposta di legge, presentata al precedente governo e poi all’attuale, prevede appunto l’attuazione del modello nordico, ossia il contrasto alla domanda. Purtroppo tutto giace in coma nei cassetti del Parlamento. Sembra non interessi a nessuno sollevare questo problema. Non vorrei ci fossero troppe connivenze».
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Ultimamente c’è chi è tornato a parlare di legalizzazione della prostituzione, di abrogazione della Legge Merlin. Qual è la vostra opinione? «La prostituzione non si può legalizzare, perché sarebbe come dire alla propria figlia che quando avrà diciotto anni potrà esporre il proprio corpo in una vetrina al centro della città, con tanto di scontrino fiscale, dichiarando le proprie prestazioni sessuali. Credo sia un obbrobrio associare un lavoro a uno sfruttamento del corpo umano, sostenendo che è naturale venderlo. Rischiamo di tornare alla barbarie. Del resto anche la Germania e l’Olanda hanno dovuto ammettere il fallimento delle politiche di legalizzazione, dopo aver appurato che anche dietro le vetrine c’è il racket della criminalità. Lo Stato non può mettersi dalla parte di chi obbliga le donne a diventare
prostitute, ma deve schierarsi unicamente dalla parte di chi le vuole liberare». Voi di ragazze ne avete salvate tante e molte di queste supportano la vostra attività con azione di testimonianza. Quale il messaggio che le ex schiave lanciano all’opinione pubblica? «Si tratta di ragazze letteralmente crocifisse, che nel momento in cui riescono ad uscire dal proprio dramma e offrono la loro testimonianza, fanno emergere il dolore e lo strazio di chi viene violentato, usato e gettato come un qualsiasi prodotto. Il loro pensiero va sempre alle ragazze che continuano a stare sulla strada. È commovente vedere queste donne salvate e accolte che hanno sempre una preghiera e un pensiero per quelle che sono ancora schiave e crocifisse, affinché qualcuno le possa liberare da quel giogo». Quanto è difficile convincere le schiave della prostituzione a liberarsi? «Oltre novemila donne sono riuscite a liberarsi in questi decenni, grazie all’azione di don Oreste Benzi che è il Si calcola che per lo meno il 37% delle prostitute siano minorenni. Primo piano
nostro fondatore e a quella straordinaria di tutti i nostri associati. Attraverso le unità di strada vanno giorno e notte a cercare di convincere queste ragazze a vincere la paura e a scegliere di spezzare finalmente le catene che le tengono prigioniere, per tornare definitivamente libere. La Comunità Papa Giovanni XXIII non si occupa soltanto di prostituzione, ma siamo presenti in quarantacinque Paesi del mondo con oltre 41mila persone accolte che aiutiamo nel vasto mondo dell’emarginazione. Lo facciamo con le nostre case famiglia, le comunità terapeutiche, i pronto soccorso, i capanni di Betlemme per i senza fissa dimora. Ci muoviamo su vari piani». Papa Francesco è venuto da voi, vi ha fatto visita. Sappiamo che è molto legato alla vostra realtà. «Il Santo Padre è stato un intero pomeriggio con noi, nella nostra casa ad ascoltare le testimonianze delle donne vittime della tratta. È stato molto toccante vedere come ha ascoltato attentamente il racconto di ognuna, quasi immedesimandosi nel loro dramma e riservando a una a una tanto affetto e amore. È stato inoltre bello vedere il Papa commuoversi nell’ascoltare la tragedia esistenziale vissuta da Primo piano
La toilette, olio su cartone del 1889 di Henri de Toulouse-Lautrec, conservato nel Musée d’Orsay. È un dipinto realizzato in una di quelle case d’appuntamento nelle quali l’artista passava molte ore della sua giornata. L’inquadratura dall’alto, le braccia e le gambe magre, la schiena nuda offrono un’immagine della donna fragile e tenera, quasi commovente.
ogni ex schiava salvata e accolta. È stato fondamentale per loro sentire l’abbraccio del Pontefice, non come puro atto formale ma come concreto gesto scaturito da un racconto che ha colpito la mente e il cuore». Che cosa l’ha stupita di più di Papa Francesco? «La cosa che mi ha sorpreso di più è la sua straordinaria capacità di ricordare ogni singola storia. Anche negli incontri successivi avuti con noi, ha dimostrato di tenere bene in mente le vite di ogni singola persona, come se avesse ascoltato i loro racconti pochi minuti prima e non a distanza di tempo. È qualcosa di incredibile se pensiamo a quante persone il Papa incontra ogni giorno, quante storie e testimonianze ascolta.
Eppure a distanza di anni, ogni volta che ci incontriamo ci chiede notizie delle ragazze che abbiamo accolto e con le quali ha parlato in occasione dell’anno giubilare della misericordia il 12 agosto del 2016. Ancora oggi le ricorda una per una e si informa sul loro stato di salute ricordando alla perfezione i loro problemi di carattere sia fisico che psichico. Proprio come se le incontrasse ogni giorno. È un qualcosa di straordinario, direi quasi di miracoloso, che dimostra come Papa Francesco parli a tutto il mondo ma abbia a cuore il destino di ogni persona. Credo che sia questo l’aspetto più bello e sorprendente del suo pontificato».
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Cinquanta sfumature di rosa
di Andrea Torquato Giovanoli
Occorre più che mai risvegliare le coscienze perché uomini e donne si riapproprino dei ruoli maschili e femminili che servono alla relazione, per il completamento di entrambi e non per la loro contrapposizione
Ogni volta che mi accingo alla scrittura di qualsiasi cosa destinata alla pubblicazione pongo sempre a me stesso due domande: «Andre, hai realmente qualcosa da dire (di intelligente, intendo)?». E in caso di risposta affermativa proseguo a interrogarmi: «Andre, davvero ritieni che il mondo abbia realmente bisogno di un altro libro?». Al che il mio simpatico e incoraggiante alter ego mi fa sempre segno con gli occhi in direzione dei mattoncini di
I DUE SESSI DELLA SPECIE UMANA RAPPRESENTANO, L’UNO LA SCIALBA CONCRETEZZA DELLA REALTÀ, L’ALTRA L’IMMAGINIFICO SCENARIO DELL’UTOPIA. Lego, come a spingermi a una scelta di vita, e ammiccante mi invita: «Andre, ma veramente preferisci imbrattare ancora carta anziché impiegare il tuo tempo in qualcosa di veramente costruttivo?». Confesso che spesso, in quella situazione, guardo negli occhi l’amichevole me stesso in versione motivatore e, dopo un
attimo di sofferta riflessione, esclamo con fare solenne e sbarazzino: «E Lego sia!». Capita però che talvolta, in preda a un impulso d’incoscienza, io mi trovi a rispondere malauguratamente sì a entrambi i quesiti del mio personale codice deontologico
Nel suo ultimo libro, Cose che una donna - Prontuario di femminismo medievale, edito da Gribaudi, Giovanoli affronta il tema del femminile a 360 gradi, condendo la sua scrittura con un pizzico di ironia e simpatici aneddoti familiari. Dopo aver ribadito l’ovvio - che ormai non è più scontato - cioè che uomini e donne sono diversi, spiega che occorre «riscoprire il valore di quella sorta di femminismo medievale, che sotto le tinte bizzarre del paradosso, cela l’atavica sapienza di ogni generazione di donna, fin dalla prima, la quale, nella consapevolezza di essere stata creata in pari dignità, ma specularmente complementare alla sua controparte maschile, riusciva a comprendere la natura profonda di entrambi i generi, nell’assecondare la connaturata disparità dei ruoli e sapendo pure trarre il meglio da ognuno, laddove si applicava con generosità nello sfruttamento delle sue innate doti relazionali. E allora orsù giovani donne, che non tutto è perduto: riscoprite le vostre cinquanta e più sfumature di rosa […]». 38 N. 72
Primo piano
In Cose che una donna il gineceo viene invitato a smettere gli scomodi panni pantalonati per rivalutare la bellezza liberante della gonna, ne La sindrome del panda l’uomo viene spronato a riscoprirsi dotato di testicoli. E si ricorda all’uomo il bello d’essere uomo e alla donna il bello d’essere donna, fatti l’uno per l’altra e non l’uno contro l’altra. Un libro serio, ma non barboso, piacevole da leggere, anzi persino divertente, politicamente scorrettissimo.
da scribacchino, e così finisce che al mondo poi toccherà smaltire altra verbosa indifferenziata alacremente prodotta dal sottoscritto. Così è successo anche per questo mio ultimo libro e ora che esso è irrimediabilmente pubblicato e acquistabile nelle migliori librerie nonché comodamente on-line, tenendone in mano la copia con dedica alla mogliettina e sfogliandone compiaciuto le tribunizie pagine, confesso che, sì, quando risposi positivamente alle due suddette domande avevo realmente qualcos’altro da dire (di presuntamente intelligente) sulla relazione tra maschietti e femminucce, e pure che
credo ancora che il mondo, modestamente illuminato da un ulteriore mio scritto, possa diventare un posto migliore in cui vivere (se per caso avete sentito anche voi la fragorosa risata del mio sapido alter ego a questa mia ultima affermazione, fate come me: ignoratelo). Qualche tempo fa, infatti, mentre dilapidavo con negligente incuria un po’ del mio tempo sui social, mi sono imbattuto in un simpatico post che descriveva quali fossero le caratteristiche richieste alla donna per incarnare l’ideale maschile e quali quelle dell’uomo per riuscire ad avvicinarsi a soddisfare quello femminile.
Molti di voi credo che avranno presente ciò di cui parlo: un breve scritto che, dopo aver esaurito velocemente la voce maschile, affermando che per far felice un uomo è sufficiente una donna silenziosa, che lo sfami e che sia sempre condiscendente, subito dopo passava a elencare minuziosamente le innumerevoli (presunte) qualità che invece un maschio deve imprescindibilmente possedere per avvicinarsi a quell’ideale semidivino cui il cuore di una donna anela per sentirsi sufficientemente appagata nella relazione amorosa.
NELLA VITA DI RELAZIONE, TOLTI GLI OCCHIALI DELL’INNAMORAMENTO, I MASCHI RIMANGONO TUTTI DEGLI EGOISTI E LE FEMMINE TUTTE DELLE ISTERICHE, ED È SOLO IN VIRTÙ DELLA POTENZA DI QUEL SACRAMENTO CHE LI UNISCE CHE ESSI AVRANNO LA POSSIBILITÀ DI SORPRENDERSI CAPACI DI POTER SUPERARE LA PROPRIA NATURA IMPERFETTA E, SACRIFICANDOSI PER AMORE (QUELLO CON LA A MAIUSCOLA), DI DIVENTARE UOMINI PIÙ DEGNI E DONNE MIGLIORI.
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Si parla di qualcosa come una trentina di aggettivi, per iniziare, molti dei quali non solo rimangono del tutto alieni all’androceo, ma persino chiaramente fuori dall’ordine naturale dei primati. Ebbene, mi ricordo che in quel contesto mi ritrovai a riflettere su come in realtà l’autore di quel post, al di là dell’intento volutamente umoristico, avesse colto in flagrante, pur esasperandola un po’, un’atavica verità: e cioè di come davvero i due generi della specie umana siano la rappresentazione della scialba concretezza della realtà l’uno e dell’immaginifico scenario dell’utopia l’altra. A questo proposito, per esempio, asseriva Chesterton che l’uomo e la donna si
approcciano al matrimonio con aspettative diametralmente opposte: il maschio desidera profondamente che sua moglie non cambi mai, ma che resti sempre quella dedita sposa che egli ha impalmato sull’altare, e invece ella cambierà, rimodellata dal tempo e da quella biologia ciclica che la contrassegna inesorabilmente. Contrariamente, la donna prende marito avendo nell’intimo la consapevolezza di come egli non corrisponda appieno ai suoi schemi di perfezione, non ancora per lo meno, ma covando in sé la speranza che col tempo lui cambierà, rimanendo quasi sempre irrimediabilmente delusa nel constatare come egli, malgrado tutto, rimanga sempre lo stesso. E allora la tentazione che la lambirà sarà quella di volerlo cambiare lei quell’uomo, di volerlo riplasmare a immagine di quell’ideale di marito che ella crede di possedere dentro, ma che in realtà è soltanto un’utopia del suo cuore,
Edmund Leighton, God Speed! (Dio ti accompagni!) (1900)
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NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA SI PASSA, A SECONDA DELLE CIRCOSTANZE, DALLA LIQUEFAZIONE DEI GENERI ALLA GUERRA DEI SESSI.
anch’esso ferito nella sua natura dal peccato originale. Poiché, signori, così stanno le cose: nella vita di relazione, tolti gli occhiali dell’innamoramento, i maschi rimangono tutti degli egoisti e le femmine tutte delle isteriche, ed è solo in virtù della potenza di quel Sacramento che li unisce, se essi vi attingeranno con disponibilità fedele, che essi avranno la possibilità di sorprendersi nel trovarsi capaci di poter superare la propria natura scrausa e, sacrificandosi per amore (quello con la A maiuscola), sapranno diventare uomini più degni e donne migliori. Tuttavia, osservando il paesaggio contemporaneo della relazione di coppia, non può che sovvenire alla mente un altro sagace aforisma, questa volta di una famosa stilista, Coco Chanel, la quale affermava che, per quanto un uomo possa indossare ciò che vuole, egli resterà sempre e comunque un accessorio della donna. Ecco: credo che questa frase rispecchi molto bene la mentalità odierna riguardo la relazione tra maschi e femmine, Primo piano
e tale è il pensiero condiviso, più o meno apertamente, dal gineceo nella società occidentale contemporanea, così ideologizzata e distopica per cui si passa, a seconda delle circostanze, dalla liquefazione dei generi alla guerra dei sessi. È questo uno dei retaggi di certo femminismo, il quale ha realmente inculturato ogni generazione da mezzo secolo a questa parte così capillarmente che oggi, anche quando il maschio si è già piegato a (quasi) ogni desiderio femminile, la tentazione di far sentire in colpa gli uomini è sempre viva, pure quando il sessismo non c’entra (resta l’estinguersi: dobbiamo necessariamente arrivare anche a questo?). E se è pur vero che le donne in passato hanno sofferto una certa sopraffazione maschile,
il rischio attuale è che a una triste storia di sopraffazione antica se ne sostituisca una contemporanea, che vede questa volta la donna sovrastare l’uomo, il quale, a quanto pare, sembra ritirarsi in silenzio, sempre più refrattario a resistere. È incredibile, infatti, costatare come in così pochi decenni davvero si sia passati dalla figura di un uomo “che non deve chiedere mai” a un sembiante d’uomo che proprio non si fa più nemmeno le domande. Ecco perché occorre più che mai risvegliare le coscienze per riappropriarsi di quei ruoli propriamente maschili e femminili che hanno accompagnato entrambi i generi in quella relazione pensata fin dall’inizio per il completamento di
IN POCHI DECENNI SIAMO PASSATI DALLA FIGURA DI UN UOMO “CHE NON DEVE CHIEDERE MAI” A UN SEMBIANTE D’UOMO CHE PROPRIO NON SI FA PIÙ NEMMENO LE DOMANDE.
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entrambi e non per la loro contrapposizione. E se da una parte è giunto il tempo di una sorta di maschilismo reazionario (perché serve, etimologicamente, una reazione maschia), dall’altra occorre recuperare l’antica sapienza di un femminismo di tipo medievale, così capace di sostenere i maschi a diventare uomini veri, e non pavidi eunuchi. Questo mi ha spinto a mettere temporaneamente da parte gli amati mattoncini del lego per chinarmi nuovamente sulla tastiera a inseguire ancora una volta l’illusione di scrivere qualcosa che non fosse proprio inutile a quei quattro lettori che ancora non si sono stancati delle mie facezie; ed ecco perché, se ne La sindrome del panda l’uomo viene spronato a riscoprirsi dotato di testicoli, in Cose che una donna il gineceo viene invitato a smettere gli scomodi panni pantalonati per rivalutare la bellezza liberante della gonna.
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«Per quanto un uomo possa indossare ciò che vuole, egli resterà sempre e comunque un accessorio della donna» (Coco Chanel)
Poiché, detto fuori dai denti: le donne sono solo apparentemente più forti. In realtà oggigiorno sono creature persino più fragili e confuse di ieri. Partendo da rivendicazioni giuste, sono arrivate a lottare tante volte solo per mostrare la loro presunta superiorità sull’altro sesso. Così facendo, tuttavia, hanno finito per deresponsabilizzarlo, mandando in crisi, in un colpo
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solo, autostima, autorevolezza e non ultima la virilità degli uomini; ma ciò ha avuto inevitabilmente ripercussioni deterioranti sulla relazione tra i due sessi, il che è ricaduto con esiti deleteri forse maggiormente proprio su quelle stesse donne che certo femminismo proclamava di voler riscattare. Siamo onesti dunque: dopo tutte le battaglie fatte per ribaltare i rispettivi ruoli, siete voi donne più felici? E noi uomini siamo più in grado di soddisfare le vostre aspettative? Le società in cui ci ritroviamo a vivere sono forse più salde e giuste? Adesso finalmente maschi e femmine se la giocano alla pari?
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Ecco allora l’urgenza per la donna contemporanea di riappropriarsi di quell’antica sapienza con cui magistralmente sapeva intessere relazioni proficue con la sua controparte maschile, nell’intuirne i pur pochi, ma fondamentali talenti, e nell’esaltarne le capacità virili così da farlo uscire da quella costante inclinazione all’abbrutimento.
ORSÙ GIOVANI DONNE, NON TUTTO È PERDUTO: RISCOPRITE LE VOSTRE CINQUANTA E PIÙ SFUMATURE DI ROSA!
Primo piano
L’imperatività di riscoprire quel femminismo medievale in virtù del quale la donna, nel trattare l’uomo, davvero manifestava la sua padronanza nelle arti della comunicazione verbale e non, carpendo con maestria del maschio i lati migliori ed esponendoli alla prova, così che anch’egli se ne capacitasse e fosse poi indotto a coltivarli per il bene di lei e per amor proprio, compiendo altresì in tal modo il maggior bene di entrambi. Insomma: in un mondo occidentale ormai popolato da tigri di carta che si fingono dominatrici di una mandria di capponi imbelli, occorre impellentemente che le donne tornino a fare le damigelle da salvare, perché gli uomini
tornino a essere impavidi cavalieri senza macchia, rimettendo così in atto quel processo virtuoso secondo cui allo sguardo di adorazione di una donna per il proprio uomo, corrisponde sempre uno sguardo di venerazione da parte sua per lei. Ed è propriamente questo che fa entrambi persone migliori, immerse in una relazione qualitativamente migliore. Il che, ultimamente, rende il mondo, di fatto, davvero un posto migliore.
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di Giuseppe Fortuna
La truffa del secolo Stiamo facendo la fine della “rana bollita” di Chomsky. A meno che non acquistiamo consapevolezza... Chi legge abitualmente la nostra rivista, prima o poi immancabilmente giunge a una riflessione: le tesi sostenute da Pro Vita non sono altro che le verità considerate ieri unanimemente incontrovertibili e che ancora oggi molti ritengono ragionevoli. Parliamo qui di un’intera pletora di valori, capisaldi di intere generazioni da secoli, che secondo il politicamente corretto – oggi – sono “pregiudizi”. Alcuni esempi? Il fatto che l’aborto sia deplorevole o che il divorzio rappresenti una sconfitta sono dati di fatto che persistono nell’intimo delle persone. Nonostante la falsa emancipazione, per la quale dobbiamo ringraziare gli anni ’70, infatti, pochi festeggiano il divorzio e nessuno brinda a un aborto (con la probabile eccezione di chi da quest’ultimo trae profitti).
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Allora perché il mondo appare così diverso da quello scolpito nei ricordi dei più grandi? Cosa è cambiato? In che modo la politica, la scienza, la società possono manipolare le convinzioni personali della gente su temi così sensibili come la vita e la morte?
Credere che di punto in bianco qualcuno sul trono o su un seggio del Parlamento detti le nuove regole e il popolo si adegui è da ingenui e da sprovveduti. Eclatante il discusso “fertility day”di qualche tempo fa,
«Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone». Tratto dal libro Media e Potere di Noam Chomsky.
lodevole negli intenti ma completamente fuori contesto in una realtà che propaganda ogni giorno messaggi in senso opposto. Il condizionamento avviene oggi con meccanismi molto sottili, come accade per la pubblicità di una nuova auto, in cui né le specifiche e neppure l’estetica sono determinanti quanto le emozioni suscitate nell’ascoltatore, a seconda della sua sensibilità. Ma com’è possibile progettare una “pubblicità” che impatti trasversalmente l’intera società? In questo caso il segreto è quello di puntare su un desiderio comune a tutti gli uomini, al quale è difficilissimo resistere: avere tutto e subito, senza sforzi. Ecco quindi il motore della rivoluzione: il soddisfacimento del piacere, immediato e a costo zero, la libertà di fare tutto ciò che si desidera.
LA POLITICA, LA SCIENZA, LA SOCIETÀ POSSONO MANIPOLARE LE CONVINZIONI PERSONALI DELLA GENTE SU TEMI SENSIBILI COME LA VITA E LA MORTE.
Far concentrare la gente su pochi e semplici istinti primordiali permette di mantenere le persone in uno stato di dipendenza simile a quella indotta dalla droga, secondo un paradigma analogo: si stimola un bisogno presunto, lo si soddisfa in maniera immediata e inizialmente gratuita e poi, poco a poco, la posta in gioco si alza sempre più, finché la vittima non è più in grado di divincolarsi. È il noto principio della rana bollita. Ricordo uno degli innumerevoli episodi della fortunata e lungimirante saga di Star Trek, in cui un nuovo gioco, al superamento di ogni livello, induceva un senso di benessere. L’impegno richiesto per superare i vari livelli era semplice: non opporre alcuna resistenza.
LE VERITÀ CONSIDERATE IERI UNANIMEMENTE INCONTROVERTIBILI, E CHE ANCORA MOLTI RITENGONO RAGIONEVOLI, SECONDO IL POLITICAMENTE CORRETTO - OGGI - SONO “PREGIUDIZI”.
Risultato finale? L’equipaggio dell’astronave completamente assoggettato ai “cattivi”. Ovviamente gli istinti primordiali più comuni sono il piacere da un lato, l’eliminazione del dolore dall’altro. Ed ecco spiegato perché si spinga l’acceleratore
Star Trek - Next Generation (1991), stagione 5, episodio 6: The Game. I Ktariani riescono a soggiogare l’equipaggio dell’Enterprise attraverso un gioco olografico che genera piacere ogni volta che i giocatori superano un livello: per farlo devono lasciarsi andare in balia del gioco. 45 N. 72
La scuola dell’obbligo da decenni a questa parte continua inesorabilmente ad abbassare gli obiettivi minimi dell’apprendimento: basta confrontare il livello culturale medio delle generazioni di diplomati che si susseguono negli anni.
sulla sessualità libera e sull’eliminazione di tutto quanto arreca “fastidio” al mantenimento di uno stato di piacere e soddisfazione.
parenti possono tornare a essere felici consumatori di niente, convinti di aver fatto, ancora una volta, la cosa giusta, ossia l’interesse del congiunto.
I preservativi, i contraccettivi, gli aborti, chirurgici e chimici, anche in versione fai da te, i divorzi, più o meno consensuali, anche “brevi”, rispondono appieno a questa esigenza.
Questo perverso e diabolico meccanismo, per funzionare correttamente, deve necessariamente passare per la cancellazione di quella che si considera una sovrastruttura logica ed etica che l’umanità si è creata nei secoli scorsi, senza peraltro palesare questo losco tentativo. Bisogna cioè che la gente si convinca che la destrutturazione di tutto ciò che ha contraddistinto la nostra umanità sia non solo lecita, ma doverosa. E così quella che in realtà è l’uccisione di un bambino si chiama “tutela della salute della donna” (e sappiamo bene quanto falsa sia questa associazione), oppure l’eutanasia è considerata
E, per una modica cifra, anche la malattia rimane solo un ricordo: con l’eutanasia, il problema lo risolve lo Stato, e i IL MOTORE DELLA RIVOLUZIONE È IL SODDISFACIMENTO DEL PIACERE, IMMEDIATO E A COSTO ZERO, LA LIBERTÀ DI FARE TUTTO CIÒ CHE SI DESIDERA.
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la massima espressione dell’autodeterminazione. E chi ancora sostiene il contrario è tacciato di insensibilità alle problematiche poc’anzi menzionate. Il ribaltamento della realtà consiste dunque in una truffa bella e buona, in cui si fa credere che certe scelte, certe semplificazioni si facciano per il bene di tutti, in contrapposizione con il male riconosciuto in una non meglio identificata forma di arretratezza affibbiata ai detrattori. La scienza dell’ultimo secolo ha giocato un ruolo determinante, arrivando a manipolare la stessa sostanza di cui siamo fatti, il Dna, e contribuendo significativamente ad alimentare l’autocompiacimento e il senso di onnipotenza (anche se la storia e l’esperienza dimostrano che l’ignoto resta infinitamente maggiore del conosciuto). Non stupisce quindi che tutto ciò che ci ridimensiona venga
a sua volta ridimensionato, negando il fatto che costituisca una limitazione. Puntiamo sempre un po’ più in basso di quello che pensiamo di riuscire a raggiungere. Questo processo di semplificazione invade ogni settore, a partire dalla scuola, in cui il continuo abbassamento degli obiettivi richiesti ai ragazzi annulla creatività e anelito all’auto-miglioramento, sostituendo l’approfondimento personale con l’immediatezza dell’informazione di facile accesso (e discutibile qualità), quale quella offerta da siti come Wikipedia. È il sottoprodotto dei moti del ’68, nati per destabilizzare lo status quo e finiti con il contentino della diffusione di droga e sesso libero. Si “formano” insomma persone che agiscano come macchine, per eseguire procedure scritte da altri (quanto ispirate poi nessuno lo sa), tese al soddisfacimento delle proprie
CON L’EUTANASIA, IL PROBLEMA DELLA MALATTIA LO RISOLVE LO STATO, E I PARENTI POSSONO TORNARE A ESSERE FELICI CONSUMATORI DI NIENTE, CONVINTI DI AVER FATTO L’INTERESSE DEL CONGIUNTO.
pulsioni, istintive o indotte, reso possibile da un consumismo sfrenato e da una vita privata di regole etiche. Inutile sottolineare quanto fastidiosa sia la famiglia in questo contesto: il semplice fatto di considerare la propria vita appagata nella condivisione con i propri familiari, nelle relazioni umane profonde, vanifica completamente il tentativo di chi vorrebbe si barattasse la vita con beni di consumo. Al contrario l’individualismo, e la inevitabile solitudine che ne consegue, permette di “vendere” (finta) felicità. È altrettanto evidente che la mercificazione, dal punto di
vista umano e sociale, è nemica giurata dell’etica. Fare ricerca sugli embrioni può portare a cure che possono essermi utili? Allora non serve porsi la questione ontologica su cosa si possa definire “essere umano”. Anzi, per essere ancora più tranquilli che nessuno cada nella “trappola etica”, quale soluzione migliore che abbassare completamente il livello culturale, per rendere persino arduo capire che sussista un dilemma? Cosa c’è di meglio, per appiattire le volute cerebrali, del gossip sui social o improbabili format televisivi, in cui la curiosità morbosa sostituisce quella sana che da sempre ha contribuito allo sviluppo dell’umanità? È più semplice,
I videogiochi, i social media, gli smartphone creano dipendenza provocando la produzione di dopamina, una sostanza che veicola la sensazione di piacere: senza rendercene conto diventiamo sempre meno pensanti e sempre più schiavi del “like” o del bisogno di “completare il livello”.
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La famiglia è il primo tra i corpi intermedi che serve alla persona per acquisire sicurezza e stabilità, per imparare a realizzarsi nelle relazioni umane e non nel possesso delle cose. Per questo la famiglia è presa di mira da chi vuole la destrutturazione dell’essere umano.
perché richiede meno impegno, e fa sentire tutti un po’ più partecipi, visto che ciascuno può esprimere il proprio parere, indipendentemente dal background culturale. Anche le differenze si appiattiscono: diventiamo uguali, purtroppo, però, scivolando tutti a valle anziché raggiungendo insieme la cima. L’utopia della libera scelta è invocata oggi a criterio unico di giudizio. Una scelta libera, però, non può prescindere dall’informazione, dall’educazione e dalla cultura.
VOGLIONO CONVINCERE LA GENTE CHE LA DESTRUTTURAZIONE DI TUTTO CIÒ CHE HA CONTRADDISTINTO LA NOSTRA UMANITÀ SIA NON SOLO LECITA, MA DOVEROSA.
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E, piaccia o no, lo sdoganamento del piacere fine a se stesso è in netto contrasto con la parte più nobile dell’uomo, che ci porta a prendere decisioni scomode ma giuste, come quella di difendere la dignità e la vita di tutti, piuttosto che il nostro tornaconto; e a ridare il giusto peso alle cose. È incredibile pensare, ad esempio, che oggi si arrivi ad abortire perché lo stipendio non consente di far “vivere dignitosamente” i propri figli. Lo è ancor di più se si pensa che fino a pochi anni fa famiglie con cinque o sei bambini erano la normalità, e con uno stipendio equivalente a circa un decimo di quello che si percepisce oggi. Andrebbe dunque approfondito il concetto di “dignità”, evidentemente sottostimato, se si arriva a permutare un figlio con una pizza il sabato sera o una vacanza. La satanica e martellante propaganda del “fai quello che
vuoi”, il metodico superamento delle difficoltà con la negazione delle problematiche alla loro base, nonché il tentativo di ridurre le capacità di ragionamento critico e creativo della popolazione, diventano lo strumento principe con cui l’umanità sta relegando se stessa al ruolo di spettatrice della sua disfatta. Ma in questo contesto, sicuramente fosco e complesso, spiragli aperti ce ne sono e diversi. Prima di tutto perché lo scenario dipinto è quello dell’Occidente e non rappresenta il mondo intero, benché i tentativi di “esportare” il degrado etico siano una costante della politica “umanitaria” delle grandi organizzazioni internazionali negli ultimi anni. Ma anche perché ciò che la società ha trasformato in un verso, essa stessa può far procedere in senso opposto: “corsi e ricorsi”.
«GLI OGGETTI SONO FATTI PER ESSERE USATI. LE PERSONE SONO FATTE PER ESSERE AMATE. IL MONDO VA STORTO PERCHÉ SI USANO LE PERSONE E SI AMANO GLI OGGETTI».
Molto può fare la politica per disincentivare i comportamenti che si sono perpetrati in questi decenni e che ancora oggi tendono alla distruzione della persona e della famiglia. Bisogna capire le ragioni più profonde che spingono le persone a desiderare l’inaccettabile e guarire le ferite, piuttosto che alleviare superficialmente i sintomi.
L’aborto legale, l’eutanasia invocata e non più sottaciuta, le famiglie distrutte per cause spesso evitabili sono un vaso di pandora che è stato aperto da chi cercava la felicità e che invece ha avuto solo l’effetto di aumentare le sofferenze della gente: e di questo sta prendendo consapevolezza un numero sempre maggiore di persone.
la “necessità” di ricorrere a divorzio, aborto ed eutanasia, ad esempio con interventi sociali tesi al sostegno delle famiglie e delle nascite, all’equilibrio fra impegno lavorativo e vita privata, alla riduzione del consumismo incentivato da sempre meno aziende sempre più ricche, alla rivalutazione della persona come unione di spirito e corpo.
Il passo successivo è quello di intervenire alla radice, rimuovendo le cause che determinano in ciascuno
Bisognerebbe insomma ritornare a credere che «gli oggetti sono fatti per essere usati. Le persone sono fatte per essere amate. Il mondo va storto perché si usano le persone e si amano gli oggetti».
L’Unicef esorta i governi a promuovere i diritti dell’infanzia… depenalizzando l’aborto. Davvero l’Unicef è per i bambini?
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di Marco Bertogna
(Please, stand by)
Tutto ciò che voglio
Fonte foto: mymovies.it
Titolo: Tutto ciò che voglio (Please, stand by) Stato e Anno: USA, 2018 Regia: Ben Lewin Durata: 93 min. Genere: Commedia drammatica
Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.
Wendy (Dakota Fanning) vive in una casa d’accoglienza di San Francisco dove è seguita da Scotti (Toni Collette), psicoterapeuta e madre di Sam. Wendy soffre di autismo e il programma terapeutico che sta seguendo prevede un lavoro in un negozio di dolci (che raggiunge autonomamente seguendo un percorso definito e schematico), i colloqui con Scottie e alcuni svaghi tra cui Star Trek, la saga cinematografica che Wendy conosce perfettamente. È proprio venendo a conoscenza di un concorso di sceneggiatura legato a questa saga che Wendy dovrà scardinare tutti gli schemi prefissati della sua giornata e che le sono vitali per poter affrontare molte situazioni in maniera autonoma. Il punto di svolta della nostra storia è legato a un momento di pressione che Wendy deve affrontare: sua sorella Audry (Alice Eve) la va a trovare dopo molto tempo e l’incontro va male; contemporaneamente Wendy vede scadere i termini per poter spedire via posta la sceneggiatura da lei scritta e partecipare al concorso. A questo punto la nostra protagonista decide di portarla personalmente
negli uffici della Paramount: scappa dall’istituto e, insieme al cagnolino Pete, si incammina verso la stazione dei pullman per Los Angeles (un viaggio di circa seicento chilometri). Per arrivare alla destinazione prefissata deve fare molte cose che non ha mai fatto, mentre Audry, Scotti e la polizia la cercano. Wendy affronta molte difficoltà, ma il desiderio e la forza di portare a termine la sua missione sono più forti. Non vi dirò come finisce per lasciare a voi il gusto dell’esito narrativo di questa pellicola di Ben Lewin (già regista di The sessions – gli incontri) che mette al centro la donna con sfumature e colori molto definiti, con la forza della determinazione di Wendy, con la sua genialità, la dolcezza e la pazienza di Scotti, con la fragilità e l’amore di Audry. Le protagoniste di questo film, con la loro performance, restituiscono allo spettatore tre personaggi femminili con una verosimiglianza che nobilita “l’universo donna” proiettandolo al pubblico con le sue figure specifiche di figlia, madre, sorella e moglie.
Letture pro life Francesco Agnoli, Maria Cristina Del Poggetto
LA META’ DEL CIELO BREVE STORIA, ALTERNATIVA, DELLE DONNE La Vela
La storia delle donne, nella narrazione ufficiale è sempre la stessa: sottomesse, denigrate, assenti. Soprattutto nel passato. Tale visione riduttiva non è affatto vera. Il cristianesimo ha cambiato la storia delle donne in modo evidente: lo dimostrano figure straordinarie di donne che hanno fatto la storia, quella “piccola” e quella “grande”. Donne dimenticate, da una storiografia influenzata dall’illuminismo, dal marxismo, dal positivismo, cioè da quella modernità che, a partire dal Settecento, non ha più riconosciuto la dignità propria della donna e l’ha “usata”: come produttrice di soldati e di cittadini per il nuovo idolo, lo Stato, o come oggetto di consumo per il piacere individuale dell’uomo...
Elena e Paolo Pesarin
STORIA DI PUCCI TRACCE DI UN’ESPERIENZA DI AFFIDO Youcanprint
Scritto a cinque mani, dai coniugi Pesarin e dalle loro tre figlie di 25, 23 e 17 anni, questo libro racconta “dietro le quinte” quelle che sono state le loro quattro esperienze di affido di bambini piccoli (due gemelline di 18 mesi, una bimba di 6 anni e due neonati di 1 e 2 mesi) in modo vero e a volte molto ironico, cercando di trasmettere la “passione” e la voglia di essere di aiuto al prossimo. Perchè questo libro? «Perchè dopo l’ultima esperienza di affido (durata 1 anno) di una bimba neonata di due mesi, poi andata in adozione, vorremmo far sì che altre famiglie possano rendersi conto che questa possibilità non comporta l’essere famiglie “super”, ma solo persone che “fanno un poco di posto” ad altri».
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