Notizie Pro Vita & Famiglia, n.102; dicembre 2021

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(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003) Contiene I.R.

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BUON SANTO NATALE!

Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei pastori, 1585, Basilica di Santa Trinità, Firenze

ANNO IX DICEMBRE 2021 RIVISTA MENSILE N. 102

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Francesca Romana Poleggi

a cura della Redazione

Gregor Puppinck

Propaganda antiproibizionista da sbugiardare, intervista a Giovanni Serpelloni

Il referendum non legalizza solo la cannabis

La Cedu davanti alle sue responsabilità


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Editoriale

Caro giovane, aspirante suddito, nella società del Mondo Nuovo è largamente diffuso l’impiego di una droga di Stato chiamata “soma”, una sostanza di cui ogni cittadino fa uso quando è insoddisfatto, anziché protestare e impegnarsi politicamente, o che assume quando sente un vuoto esistenziale, come fosse un profano sacramento eucaristico, anziché cercare risposte di senso nella vita e nel trascendente. Questo vogliono fare di te e dei tuoi sogni di giovane, mentre ti dicono che finalmente hai un nuovo diritto. William Burroughs, scriveva “il loro Giardino delle Delizie è una fogna terminale” . (Enzo Pennetta, Notizie Pro Vita, n. 46, novembre 2016)

L’ennesimo tentativo di legalizzazione della droga nel nostro Paese ci ha imposto di ritornare sul tema: illustriamo le insidie contenute nel quesito referendario, volto a liberalizzare ogni droga, non solo la cannabis, e spieghiamo ancora una volta i pericoli connessi alle politiche antiproibizioniste: innanzitutto i danni per la salute psicofisica delle persone, e specialmente degli adolescenti, e poi gli ingenti costi sociali, culturali e politici che la droga libera porta con sé. E troverete tanto altro ancora, in questo numero di fine anno: parleremo di gender, di pedofilia, di psicologia, dei giudici della Cedu… C’è, poi, allegato un interessante libretto dedicato principalmente a tutti i genitori che hanno figli in età scolare. Più di tutto, però, cari Lettori, in occasione del Santo Natale mi preme

porgervi i miei più sentiti auguri. Perché il Bambino Gesù non si è stancato ancora di rinascere tra noi, nei nostri cuori. Perché il Suo amore e la Sua pace possano essere percepiti anche da coloro che sono più lontani, chiusi in se stessi, imprigionati nell’inganno delle ideologie e del politicamente corretto. D’altronde l’ateismo nei fatti consiste in una forma di pigrizia intellettuale che rinuncia alla ricerca negando il bisogno di verità iscritto nella coscienza di ogni uomo, in ogni tempo; come un affamato che pur di negare la sua fame si lascia morire d’inedia. Spero tanto che a voi e ai vostri cari Dio onnipotente, che si è fatto così piccolo, possa portare un sorriso grande e che possiate trascorrere un Natale santo nella pace del Signore.

Toni Brandi

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Sommario

Educazione all’affettività: un patto di alleanza tra famiglia e scuola

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Propaganda antiproibizionista da sbugiardare

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Maria Rachele Ruiu

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Editoriale

Francesca Romana Poleggi

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Lo sapevi che...

Il referendum non legalizza solo la cannabis

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La Cedu davanti alle sue responsabilità

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a cura della Redazione

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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Gregor Puppinck

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Versi per la vita Silvio Ghielmi

San Tommaso e la psicologia cattolica Mariella Borraccino

RIVISTA MENSILE N. 102 — Anno IX DICEMBRE 2021 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C

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00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione

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La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello

A lezione di genetica: i pericoli delle adozioni omosessuali Giandomenico Palka

Gender vs. Genesi Clemente Sparaco

La de-sessualizzazione del nome Veronica Zanini

Lorenza Perfori, Alessandro Fiore,

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Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3

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39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227

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Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi

Una storia da brividi Toni Brandi

Vuoi ricevere anche tu, comodamente a casa, Notizie Pro Vita & Famiglia (11 numeri) e contribuire così a sostenere la cultura della vita e della famiglia? Invia il tuo contributo: € 20,00 studente/disoccupato € 30,00 ordinario € 60,00 sostenitore € 100,00 benefattore € 250,00 patrocinatore Una storia da brividi, Toni Brandi, p.41

PRO VITA E FAMIGLIA ONLUS: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina IBAN: IT89X0830535820000000058640 indicando: Nome, Cognome, Indirizzo e CAP

Le mamme e il lavoro: anche il Covid ha un lato positivo? Giulia Tanel

A Dio, Federica Marco Sermarini

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Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia

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Distribuzione Caliari Legatoria

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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Mariella Borraccino - Toni Brandi Mirko Ciminiello - Silvio Ghielmi

In cineteca

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Giandomenico Palka - Francesca Romana Poleggi - Gregor Puppinck - Maria Rachele Ruiu - Marco Sermarini - Clemente Sparaco

In biblioteca

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Giulia Tanel

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u Congo durante l’epidemia di Ebola tra l’agosto 2018 e il giugno 2020. Recentemente, un editoriale su The Lancet sottolinea non solo la gravità degli abusi sessuali in sé, ma il fatto ancor più grave che i colpevoli, professionisti della salute, hanno minato in modo difficilmente emendabile la fiducia delle popolazioni coinvolte nei confronti del personale delle agenzie Onu.

Lo sapevi che... Cancellare il genere vuol dire cancellare le donne Doveva essere una edizione senza categorie, ma è finita con l’essere una edizione senza donne. A X Factor, infatti, saranno solo due le ragazze ammesse alla fase finale. «Qualcosa è andato storto», si inizia dunque a leggere perfino sui blog progressisti. Marina Terragni ha commentato così: «Nessuna migliore dimostrazione del fatto che il gender neutral è maschile, e comporta la sparizione del sesso femminile […] Per noi qui non è una sorpresa: così come sta capitando nel talent, in qualunque

settore della convivenza umana il prodotto “inatteso” del gender-neutral è la sparizione delle donne e il dilagare del maschile. Si torna, insomma, al punto di partenza, quando le donne stavano fuori da tutto». Bisogna prendere atto che c’è una cultura che, a parole egualitaria, nei fatti si rivela poi omologante; che si presenta come nemica delle discriminazioni, ma poi è nemica delle differenze; che sostiene di voler aiutare le donne e poi le elimina totalmente. 

Quando le donne morte non interessano a nessuno Le storie di madri surrogate morte raramente sono trattate dai media perché non deve essere scalfita la convinzione che dare l’utero in affitto sia senza rischi, per evitare che ne risenta il business che è stato calcolato di 27,5 miliardi di dollari, entro il 2025. La realtà è che le gravidanze artificiali sono molto più rischiose di quelle naturali. Questo vale in genere per la fecondazione artificiale. Ma quando l’embrione impiantato nell’utero non appartiene geneticamente alla donna (come nell’utero in affitto) la letteratura medica dimostra che ci sono tutta una serie di rischi che si moltiplicano in modo esponenziale. Quando poi le madri surrogate muoiono, la cosa viene scoperta solo per caso, perché la famiglia pubblica qualcosa sui social.

Abbiamo così saputo di alcune donne americane: Brooke Brown, morta l’8 ottobre 2015, Crystal Wilhite, morta nel febbraio 2017, Michelle Reaves morta nel gennaio 2020, Jane Doe morta nel maggio 2021. E recentemente Jennifer Lahl (presidente del Center for Bioetics and Culture) ha trovato un account GoFundMe creato per una surrogata di cui non viene detto il nome, né le complicazioni che hanno portato alla sua morte. Ha trovato anche una raccolta fondi creata per il marito e i quattro figli di Lydia Cox, morta il 18 luglio 2021 all’età di 33 anni, per un’embolia del liquido amniotico. La raccolta è stata avviata da Sam Hyde, presidente di Circle Surrogacy, l’agenzia che ha venduto il bambino che lei aveva partorito. 

Abusi sessuali dei funzionari Oms in Congo Sono stati denunciati lo scorso settembre gli abusi sessuali da parte del personale

dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che lavorava nella Repubblica Democratica del

In seguito a questa situazione la gente ha cominciato a rifiutare vaccinazioni e cure e si sono registrati atti di aggressione e di violenza nei confronti degli occidentali. (Meno male che l’Oms non ha ricevuto il Premio Nobel per la pace - si diceva che fosse uno dei principali contendenti.)

La Cina invita le donne a non abortire (!) Dopo più di 35 anni di “politica del figlio unico”, che è costata la vita di almeno 400 milioni di bambini, la Cina sta tentando una inversione di rotta. Nel 2015, il governo ha consentito alle coppie di avere fino a due figli, in alcune circostanze. Poi, nel maggio di quest’anno, il numero è stato portato a tre. Ora, a partire da settembre, i leader cinesi hanno ufficialmente iniziato a scoraggiare gli aborti non eugenetici. Non si tratta di un risveglio morale dei dittatori: la vita umana conta niente per il Partito Comunista Cinese. Ma il censimento del 2020 ha rivelato che il tasso di fertilità della Cina è il più basso da quando hanno iniziato a monitorarlo, negli anni ‘50. La popolazione che invecchia significa meno lavoratori e più persone improduttive.

Decenni di aborti sesso selettivi significano che c’è una carenza sproporzionata di giovani donne. Il declino demografico pare ad alcuni irreversibile. Ora, per non dover affrontare la reale possibilità di un disastro economico, i media governativi descrivono l’aborto come “molto dannoso” e sostengono che potrebbe causare “gravi disturbi psicologici” per le donne. Il che è incredibile, considerando che finora lo Stato, anche con la forza bruta, ha obbligato le donne ad abortire i figli (primi o secondi poco importa) concepiti senza permesso governativo. Un Tweet cinese dice così: «Il corpo femminile è una cosa. Quando lo Stato vuole che tu partorisca, devi farlo a tutti i costi. Quando lo Stato non lo vuole, non ti è permesso di partorire a pena di morte».

Malawi - Ancora balle sulle morti per aborto clandestino Il London Telegraph ha scritto che 12.000 donne muoiono ogni anno in Malawi per aborti clandestini. Tuttavia, gli stessi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità e del Global Burden of Disease stimano che il numero di morti materne ogni anno sia compreso tra 1150 e 2100. Cioè, il Telegraph ha sparato una balla, una fake news, un numero 6 o 10 volte superiore al numero di donne morte durante o subito dopo la gravidanza, per tutte le cause. La cosa non stupisce affatto: i “NO life” fanno

sempre la stessa cosa. Qui da noi, negli anni Settanta, si piangevano 20.000 donne morte ogni anno per aborto clandestino, quando in quegli anni tutte le donne morte in età fertile, per qualsiasi ragione, erano meno di un quarto. Viceversa, non si sa il vero numero di donne morte per aborto legale, soprattutto a seguito di RU486. E, tanto per dirla tutta, la legalizzazione dell’aborto non ha posto fine all’aborto clandestino: secondo i dati Istat si presume che se ne facciano ancora almeno 13.000 l’anno.


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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Versi per la vita PIANTO SOMMESSO DI MANCATA MAMMA Buongiorno. Vorrei rimanere anonima, ma voglio farvi i complimenti per quello che fate sull’aborto. Sono una donna che ha abortito, solo che non sapevo che c’era un cuore che batteva altrimenti non l’avrei mai fatto. Nessuno me l’ha detto, nessuno dei medici che ho incontrato. È un dolore che riaffiora in continuazione, anche se il sacerdote mi ha detto che l’aborto è stato perdonato. Bisogna educare alla castità. Si sta bene nella castità. La televisione va spenta, altrimenti è un continuo lavaggio del cervello. Basta donne scandalose in Tv, dove fanno un vanto di ciò di cui dovrebbero vergognarsi. Una cosa ho notato: quando sono tentata, soprattutto sessualmente dico: «Maria metto sotto il tuo calcagno questa tentazione»: funziona! I genitori devono fare i genitori. Certo devono lavorare per portare a casa il pane, ma una volta che si è preso l’impegno con la Santissima Trinità di dare la vita a un figlio ci si deve dedicare a quello. Io, invece, sono cresciuta con la Tv, e sono molto arrabbiata, perché se avessi da subito conosciuto Gesù non avrei eliminato i miei figli: sì sono due. E oggi sarebbero quasi adulti. E poi ho preso tante pillole del giorno dopo, purtroppo. Il padre era sempre lo stesso: un uomo che al suo Paese aveva moglie e figli. Lui, ancora, non riesco a perdonarlo. Ho la sensazione che avrei dovuto consacrarmi vergine a Gesù. La Madonna mi ha salvato, perché mi sono confessata, quasi per caso, in un luogo dove il sacerdote aveva il potere di assolvermi anche per l’aborto. Che la donna ritorni a essere quello per cui è nata: mamma in senso fisico o spirituale come nel caso delle suore. A vivere in castità si sta davvero bene. Adesso c’è la battaglia sull’eutanasia. Forza e coraggio. Lettera firmata

Come una morsa che mi stringe il cuore, quel permaner di lacerante affanno è conseguenza di quel turpe inganno, quel cancellare il frutto dell’amore. Quale rimedio si potrà trovare per questa acuta piaga che mi affligge, la ricorrente morsa che sconfigge ogni speranza intesa a consolare? Ricordo incancellabile di un dramma la sofferenza di mancata mamma

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano,

Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.


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La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello

Riportiamo in queste pagine il resoconto delle principali attività di Pro Vita & Famiglia, fino alla fine di ottobre. Come al solito, ci scusiamo se per motivi di spazio qualcosa non sarà stata riportata e qualcuno non sarà stato nominato. Ringraziamo sempre e comunque tutti i volontari che attraverso i nostri circoli sparsi in tutta Italia trasformano «la cultura della vita e della famiglia in azione». Circoli del Nord Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre - A Trieste, comunicato stampa del nostro volontario Stefano sulla necessità di garantire a tutti i malati che ne hanno bisogno l’accesso alle cure palliative, che ora, nel mondo, è garantito solo a una persona su dieci. Stefano ha poi scritto un articolo sul report della Foce (Federazione Oncologi, Cardiologi ed Ematologi) che denuncia la scarsità delle risorse sanitarie italiane, evidenziando al contempo il serio rischio che la possibile legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito abbia una ratio meramente economica.

Pro Vita & Famiglia “Piccole vittime invisibili - Il lato oscuro dei nuovi media” sull’emittente Telenuovo Rete Nord fino al 10 ottobre. 25 settembre - A Bassano del Grappa (VI), le nostre volontarie Silvana e Katiuscia allestiscono un banchetto informativo sul ddl Zan, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni.

Trentino-Alto Adige 14 ottobre - A Trento, comunicato stampa del nostro volontario Andrea in occasione del rilancio in territorio trentino della campagna di affissioni di Pro Vita & Famiglia contro l’ipersessualizzazione dei minori sui media.

Emilia-Romagna 1 ottobre - A Ravenna, comunicato stampa del nostro volontario Simone per informare che, tramite l’avvocato Francesco Minutillo, Pro Vita & Famiglia ha chiesto la condanna per diffamazione dell’assessore Ouidad Bakkali per le dichiarazioni da lei rilasciate in occasione della campagna contro la RU486. In seguito, ottiene quattro passaggi di “Piccole vittime invisibili - Il lato oscuro dei nuovi media” sull’emittente TeleRomagna fino al 7 ottobre; a Ferrara, sull’emittente Telestense, a Bologna, sull’emittente Telesanterno.

Veneto 24 settembre - A Padova, il nostro volontario Simone ottiene cinque passaggi del docu-film di

Liguria 2 ottobre - A Genova, i volontari del locale Circolo di Pro Vita & Famiglia, insieme al Comitato

No 194, animano un’ora di Adorazione per la Vita all’interno dell’Ospedale Galliera. Lombardia 30 settembre - A Milano, il nostro volontario Simone ottiene il passaggio di “Piccole vittime invisibili - Il lato oscuro dei nuovi media” sulle emittenti Telelombardia e Telenova Lombardia. Circoli del Centro-Sud Lazio 25-26 settembre - A Roma, V edizione della Scuola di Bioetica di Pro Vita & Famiglia, un fine settimana con esperti in tutte le discipline per approfondire la scienza della vita e della famiglia, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. 7 ottobre - A Roma, Francesca Romana Poleggi partecipa al XXVII Congresso Nazionale dell’Amci (Associazione dei Medici Cattolici Italiani), illustrando il report “I costi di applicazione della legge 194/1978” e le attività dell’Osservatorio Permanente sull’Aborto (OPA). 10 ottobre - A Roma, la nostra volontaria Barbara allestisce un banchetto informativo sulle attività di Pro Vita & Famiglia, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. 11 ottobre - Jacopo Coghe modera il webinar “Piccole vittime dell’ipersessualizzazione: chi tace acconsente”, organizzato da Pro Vita & Famiglia e visibile sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’associazione. Relatori: Don Fortunato Di Noto, instancabile oppositore della pedofilia e della pedopornografia; Massimo Gandolfini, neurochirurgo e presidente dell’; Antonio Morra, teologo, web designer, giornalista e autore di Porno Tossina, Pornolescenza e Sangue innocente; Miriam Incurvati, psicologa e psicoterapeuta; il senatore Simone Pillon. Con la partecipazione straordinaria del giornalista Maurizio Belpietro e dell’onorevole Vittorio Sgarbi. 13 ottobre - A Roma, la nostra volontaria Naiche partecipa all’incontro “Ambiente, economia, risorse - Problemi e soluzioni. Quale futuro per il nostro territorio?”, organizzato dall’Associazione Cristiana Evangelica nel Municipio V della Capitale.

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14 ottobre - A Roma, il nostro volontario Simone ottiene sei passaggi di “Piccole vittime invisibili - Il lato oscuro dei nuovi media” sulle emittenti Lazio Tv, Gold Tv e Roma Ch 71 fino al 24 ottobre. 21 ottobre - A Roma, nuova edizione del progetto “Un Dono per la Vita”, con cui Pro Vita & Famiglia consegna passeggini, culle, pannolini, ciucci e biberon a famiglie e mamme che stanno affrontando o hanno affrontato una gravidanza in difficoltà, non solo economiche. Abruzzo 1 ottobre - A Pescara, comunicato stampa della nostra volontaria Carola sulle numerose adesioni da parte di candidati sindaci e consiglieri abruzzesi al manifesto valoriale di Pro Vita & Famiglia. Puglia 28 e 29 settembre - A Bari, la nostra volontaria Manuela organizza due proiezioni del film Unplanned.


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Educazione all’affettività: un patto di alleanza tra famiglia e scuola Maria Rachele Ruiu

In allegato a questo numero di Notizie Pro Vita & Famiglia, uno strumento utile per i genitori che hanno figli in età scolare, a cura dell’Associazione Family Day Carissimi Lettori, in occasione di questo Natale abbiamo pensato di regalarvi un prezioso libretto scritto da un team di esperti in campo pedagogico, psicologico e neuropsichiatrico. Come sapete, grazie anche alla nostra presenza ai tavoli dei Forum (nazionale e regionali) delle associazioni dei genitori della scuola (FoNaGS e FoRaGS), lo scorso anno abbiamo potuto bloccare la diffusione delle famigerate linee guida sulla varianza di genere, impregnate di ideologia. Ma proprio la nostra, vostra, presenza su quei tavoli, ci permette di affermare con

sicurezza che associazioni come Agedo, Famiglie arcobaleno etc, continuano e continueranno a spingere perché la propaganda ideologica entri nelle scuole dei nostri figli. Fanno lobby nelle istituzioni, promuovono e diffondono materiale propagandistico nelle scuole di ogni ordine e grado, promuovono progetti e conferenze: siamo solo a dicembre, ma già abbiamo ricevuto parecchie segnalazioni. Il ddl Zan è stato affossato, abbiamo vinto una battaglia, è stato un grande successo, ma non è finita. Ciascuno di noi è certamente disposto a

È necessario riconsegnare ai genitori il diritto di priorità educativa.

rischiare un processo per difendere il diritto e il bisogno dei bimbi di avere una mamma e un papà, di non essere venduti, comprati e neanche regalati. Altrettanto certamente non siamo disposti ad appaltare l’educazione dei nostri figli a chi vorrebbe indottrinarli con l’ideologia gender, avulsa dalla realtà e ferocemente dannosa. Per questo abbiamo deciso di mettervi a disposizione questo strumento, per voi mamme e papà, ma anche per chi si occupa di politiche scolastiche, dirigenti e insegnanti. Abbiamo bisogno, infatti, di presidiare due fronti. Innanzi tutto, riconsegnare ai genitori il diritto di priorità educativa e certificare che per un'educazione foriera di benessere è fondamentale l'alleanza scuola - famiglia: la scuola cioè è chiamata ad integrare l’educazione data in famiglia, ma mai a contrastarla o sostituirla. Oltre a ciò è anche necessario confutare la prospettiva di genere (l’ideologia gender) con cui si aprono le famigerate linee guida, e contrastare, altresì, qualsiasi progetto conseguente, soprattutto indicandone i pericoli. L’approccio “di genere”, infatti, non solo è falso e foriero di confusione, ma anche così dannoso che i Paesi “all’avanguardia”, che finora l’hanno favorito, stanno tornando sui propri passi: un esperimento clamorosamente fallito, che ha portato ad aumento esponenziale di disforie, e al conseguente fenomeno dei detransitioner, cioè ragazzi spinti alla transizione da giovani, che poi dichiarano la propria sofferenza e vogliono tornare come prima (trovate tantissime testimonianze sul nostro portale a riguardo). Il libretto vi servirà a chiarire alcuni concetti (per esempio identità sessuale o varianza di genere), spesso utilizzati in modo improprio e confuso, e vi indicherà alcuni riferimenti imprescindibili, da quelli squisitamente scientifici fino a quelli costituzionali, necessari per impostare un qualsiasi intervento informativo/educativo sul tema dell’affettività, che richiede, a maggior ragione quando si intendono

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La scuola è chiamata ad integrare l’educazione data in famiglia, ma mai a contrastarla o sostituirla. coinvolgere soggetti in età evolutiva e periadolescenziale, la massima prudenza da parte di tutti, e il coinvolgimento dettagliato della famiglia. Al contrario, un approccio perentorio e dirigistico, tipico di stati etici e totalitari che tutti noi rifiutiamo, è inaccettabile. Siamo certi che lo apprezzerete e speriamo che vogliate condividerlo con amici e conoscenti. Coraggio, insieme possiamo consegnare un mondo migliore ai nostri figli e ai nostri nipoti!


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Propaganda antiproibizionista da sbugiardare Francesca Romana Poleggi

«Non ci sono priorità come il lavoro, la scuola, l’economia, la prevenzione del contagio del Covid? Diffondere droga aiuterà l’economia e la salute pubblica già seriamente minacciata? Quanto ci costerà la popolazione vulnerabile che diventerà dipendente? Chi si arricchirà, lo Stato o i privati? Abbiamo già visto quanti problemi danno altre dipendenze, dal tabacco al gioco d’azzardo. Quanti uomini e donne vulnerabili siamo disposti a lasciare sul selciato in nome del “diritto” a drogarsi?»: questo e altro ci ha detto il professor Giovanni Serpelloni, una vera autorità in materia di neuroscienze e di droga. A proposito della cannabis, la propaganda anti proibizionista ha propalato con costanza e perseveranza, fino a farle diventare solide convinzioni, vere e proprie fake news, che hanno fatto presa nella mente dei giovani e anche di tanti ex Sessantottini non più giovani. Il professor Serpelloni ci aiuta a sbugiardarle.

provocare anche allucinazioni e seri disturbi mentali, oltre che alterare le capacità di guida e di autocontrollo. Ed è il tipo di cannabis che uno spacciatore vende di più, perché dà dipendenza. Ecco perché è una truffa chiamarla “leggera”, così si fa solo il gioco di chi ha interessi sulla produzione e sulla vendita legalizzata di cannabis. Professore, è vero che la cannabis è una droga Uno studio delle università di Montreal e di leggera? New York, pubblicato nel 2013 (Hurd YL, et «È un grossolano errore scientifico chiamare al., “Trajectory of adolescent cannabis use on la cannabis una droga “leggera”. Sono in addiction vulnerability”, Neuropharmacology, aumento le sindromi psicotiche, soprattutto 2013 Aug 14), ha evidenziato lo sviluppo nei giovani, dovute all’uso di cannabis ad alto dinamico del cervello degli adolescenti contenuto di Thc (TetraHidroCannabinolo). La che è perciò particolarmente vulnerabile pianta naturale produce Thc al quattro o sei all’esposizione alle droghe. per cento. Adesso ci sono piante che arrivano Esso fornisce una panoramica sui dati relativi al 38 per cento. Questo aumento costante all’esposizione alla cannabis da parte di del principio attivo con contemporanea adolescenti e sui fattori che costituiscono diminuzione del Cbd, che frena gli effetti un rischio per l’eventuale dipendenza. I psicoattivi, produce nella cannabis che si ricercatori hanno effettuato una revisione di fuma un effetto “stonante” maggiore che può oltre 120 studi analizzando diversi aspetti del

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rapporto tra cannabis e cervello adolescente come la biologia del cervello, le reazioni chimiche che avvengono a livello neurologico, l’influenza della genetica e i fattori ambientali, oltre agli studi che considerano la cannabis come una “droga di passaggio” verso altre sostanze psicoattive. Dalla revisione emerge ripetutamente l’associazione tra uso di cannabis e la successiva dipendenza da altre droghe e psicosi. Tanto più precoce è l’esposizione alla sostanza, tanto peggiori risultano essere gli effetti sulla salute mentale, sui traguardi educativi, sulla delinquenza e sulla capacità di conformarsi al ruolo adulto. Circa uno su quattro degli adolescenti che utilizzano cannabis sembra inoltre sviluppare una dipendenza, dato che suggerisce come i fattori genetici e comportamentali (per esempio la frequenza di uso di cannabis e l’età di inizio) influiscano sulle probabilità che l’uso di tale sostanza continui. Anche alcuni fattori psicologici risultano coinvolti: gli individui che sviluppano una dipendenza da cannabis generalmente riportano un temperamento

La liberalizzazione della cannabis fa bene solo al portafoglio di chi ci investe e la vende agli sprovveduti. caratterizzato da sentimenti negativi, aggressività e impulsività, fin dalla tenera età. Alcuni di questi tratti sono spesso esacerbati da anni di uso di cannabis, il che suggerisce come gli utilizzatori rimangano intrappolati in un circolo vizioso di automedicazione, che a sua volta diventa dipendenza. Le evidenze attuali ribadiscono come la natura del cervello degli adolescenti renda i giovani che utilizzano cannabis particolarmente a rischio di sviluppare, oltre alla dipendenza, effetti per la salute e comportamentali negativi a lungo termine. Esiste quindi una quota di giovani particolarmente vulnerabili

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Il professor Giovanni Serpelloni è attualmente Direttore del Centro clinico di neuroscienze & dell’Unità Tms, a Verona. È stato Senior nrfellow nell’University of Florida - Drug Policy Institute, Department of Psychiatry in the College of Medicine; Direttore of Anhpri Addiction Neuroscience and Health Policy Research Institute - US web community; ex Direttore del Centro malattie infettive (Hiv/Aids) Ulss20 Verona; ex Capo del Dipartimento delle politiche antidroga presso la Presidenza del consiglio dei ministri; già Direttore del Dipartimento Dipendenze della Aulss9 Verona; è membro del Gruppo Tossicologi Forensi Italiani

per fattori genetici e socio ambientali verso l’uso di droghe su cui la cannabis ha effetti devastanti ed evolutivi». La legalizzazione della droga leggera danneggia le mafie e i trafficanti decurtando i loro profitti? «C’è chi crede che la legalizzazione della droga cosiddetta leggera taglierebbe i profitti delle mafie e dei trafficanti di stupefacenti, poiché sarebbe lo Stato a

occuparsi della distribuzione e della vendita. Prove scientifiche, statistiche, ed esperienze inequivocabili come quella del magistrato Nicola Gratteri, da sempre impegnato nella lotta al narcotraffico, ci dicono che non è vero. L’Olanda, paradiso della droga legale, è diventata un “narco - stato”: i trafficanti sono ormai così potenti da permettersi di minacciare il capo del governo... Innanzitutto, sappiamo dai dati che i maggiori utilizzatori di cannabis sono i minorenni, che

Non si può dare per scontato l’effetto “terapeutico” fino a che non è provato scientificamente e secondo parametri a cui tutti i farmaci si devono attenere sottostando alle sperimentazioni controllate

Il professor Giovanni Serpelloni

chiaramente non possono essere toccati da questa proposta di legalizzazione che può riguardare solo i maggiorenni. Quindi i minorenni continueranno a ricorrere al mercato nero. La cannabis poi rappresenta una parte quasi insignificante degli affari delle mafie, che fanno i grossi guadagni con le droghe molto più psicoattive quali l’eroina e la cocaina. In America, le mafie messicane, dopo la legalizzazione, hanno aumentato i livelli di Thc - la sostanza responsabile dell’effetto psicoattivo nella cannabis, quella che dà l’effetto “sballo” - nei loro prodotti. Con questi livelli uno Stato, salvo non accetti di rovinare la salute mentale e la sicurezza sociale dei

propri cittadini, non può competere. E il consumatore ne vuole sempre di più e sempre più forte. La mafia, inoltre, può permettersi costi di produzione di molto inferiori a quelli che ha lo Stato, non usando procedure produttive sicure e controllate, esenti anche da pesticidi, e quindi può fare prezzi molto più convenienti: chi comprerebbe la “roba” meno “buona” e più cara, anche se legale? Non solo. I produttori di droga messicani, per spiazzare il mercato legale, hanno poi inondato il mercato americano con altre sostanze stupefacenti: gli oppiacei e la cocaina, legando a sé ancora più clienti. Il risultato è che siamo a quasi 100.000 morti di overdose negli Stati Uniti, nell’ultimo anno. Una vera ecatombe». La legalizzazione serve a garantire il diritto - a chi vuole - di drogarsi, non tange chi non vuole drogarsi. È vero? «In quanto al “diritto di drogarsi” dobbiamo essere onesti: legalizzare significa solo generare guadagno economico per alcuni a scapito soprattutto della salute mentale e fisica (oltre che sociale e spirituale) delle giovani generazioni, che sono i principali consumatori di questa droga. Va detto chiaramente che l’obiettivo di questa

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proposta di referendum, come l’obiettivo di tutte le campagne per la legalizzazione della cannabis negli ultimi anni, non è il diritto dei cittadini a coltivare piantine, ma il guadagno di grandi aziende. Mi ha colpito una pubblicità vista online qualche giorno fa che suggeriva di investire sulla cannabis, ma diceva chiaramente, anche ironizzando verso il consumo, di spendere i propri soldi in azioni e non per comprare e utilizzare il prodotto: invitava infatti solo a comprare i titoli di un’azienda che la produce. Era una pubblicità sincera, che diceva chiaramente che la liberalizzazione della cannabis fa bene solo al portafoglio di chi ci investe e la vende agli sprovveduti che la utilizzano per scopi

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voluttuari. La legalizzazione della coltivazione, anche a uso medico, è poi il preambolo e un pretesto per la legalizzazione e per diffondere l’uso in ambito ricreativo. C’è già una rete commerciale predisposta e pronta a gestire il mercato che si aprirebbe con la legalizzazione: i negozi di cannabis light, una rete pseudo legale che ha ricevuto finanziamenti milionari dalle major canadesi. In Canada producono cannabis potenziata: se investono in Italia su una rete di negozi che vendono cannabis light – che come è molto chiaro fanno pressioni su certe parti politiche governative – è perché puntano a fare lo stesso tipo di business cercando anche di ottenere una legittimazione ai loro guadagni spingendo l’approvazione di leggi agevolanti. Se poi guardiamo cosa è successo negli Stati Uniti dopo la legalizzazione della cannabis, se si guardano i dati governativi Stato per Stato, e non quelli sponsorizzati da chi fa business, emerge ad esempio un aumento di intossicazioni involontarie domestiche nei bambini piccoli. Così come sono aumentate le sindromi psichiatriche negli adolescenti consumatori e gli incidenti stradali legati all’uso di cannabis. E comunque, come è intuitivo, la legalizzazione comporta un aumento di consumo». La cannabis apre la porta all’eroina e alla cocaina? «Non è vero che fumare la cannabis porta automaticamente al consumo di cocaina o eroina. Questo succede a una percentuale di consumatori di cannabis, tra il quattro e il 18 per cento. Ma ribaltiamo la prospettiva: oltre il 95% delle persone che in Italia sono in terapia per eroina e cocaina nei SerD [Servizi per le dipendenze patologiche, NdR]

Tanto più precoce è l’esposizione alla cannabis, tanto peggiori risultano essere gli effetti sulla salute mentale, sui traguardi educativi, sulla delinquenza e sulla capacità di conformarsi al ruolo adulto.

L’Olanda, paradiso dell’antiproibizionismo, è diventata «uno dei principali hub europei per il traffico internazionale di cocaina e altre sostanze stupefacenti. Dal porto di Rotterdam, in particolare, transita la droga gestita da narcos colombiani e ‘ndrangheta calabrese, e smistata in Olanda in particolare dalla Mocro-Maffia, guidata da Ridouan Taghi». (Tempi, 29 settembre 2021) hanno cominciato con la cannabis. È un dato incontrovertibile e drammatico per chi lo vuole considerare e non scotomizzare [termine psichiatrico che vuol dire sostanzialmente “ignorare”, NdR]. Molti giovani, per svariate motivazioni legate alla loro genetica, al contesto sociale e familiare in cui vivono, sono vulnerabili e attratti verso l’uso di sostanze stupefacenti, per cui diventano escalator e cercano sostanze sempre più forti, dopo aver provato la cannabis come droga di entrata. Questa è la popolazione da proteggere maggiormente. La legalizzazione della cannabis non solo non li protegge, ma allarga la platea dei potenziali utilizzatori e quindi dei vulnerabili che poi passano a droghe più psicoattive. È vero che se un ragazzo beve del vino a 13 o 14 anni non diventerà per forza un alcolista, ma allora che facciamo, gli permettiamo di comprare alcol, produrlo e venderlo? I vulnerabili alla dipendenza da sostanze esistono, chi lo nega è innanzitutto antiscientifico». Ma la cannabis non si usa normalmente per scopo terapeutico? «Si fa molta confusione, volutamente, sull’uso medico e sull’uso terapeutico della cannabis. Nel caso dell’uso medico parliamo di un utilizzo fatto con scienza e coscienza secondo precisi principi sperimentali e scientifici ben fissati e basati sulle evidenze scientifiche che determinano il dosaggio per singola patologia, personalizzato per ciascun paziente, e tengono

conto degli effetti collaterali. Da qui all’uso “terapeutico” definito di per se stesso c’è una bella differenza: non si può dare per scontato l’effetto “terapeutico” fino a che non è provato scientificamente e secondo parametri a cui tutti i farmaci si devono attenere sottostando alle sperimentazioni controllate. Cosa che non è stata fatta per la cannabis. Qualunque sostanza che aiuti a ridurre la sofferenza è benvenuta, purché dentro a un percorso di scienza fatto di prove sulla sua efficacia, sicurezza e sostenibilità. Molte ricerche dimostrano che l’effetto terapeutico non è scontato come lo si propaganda, quasi sempre si ottiene al massimo un effetto placebo o psicofarmacologico che può fare percepire miglioramenti che non ci sono, ma nel frattempo provoca gravi effetti collaterali, soprattutto durante la vita prenatale e durante l’adolescenza, fase in cui - come ho già detto - il cervello sta sviluppando e maturando importanti connessioni sinaptiche e consolidamenti della corteccia cerebrale. La cannabis provoca disturbi psicotici, e ha pesanti conseguenze su importanti funzioni quali quella sessuale e quella riproduttiva. Tali conseguenze sono tanto più gravi quanto più precoce è l’inizio dell’assunzione e quanto maggiori sono la frequenza e la durata dell’uso. La gravità dei danni risente anche di altri due importanti e aggravanti fattori: la sempre maggiore concentrazione di principio attivo presente nei prodotti e l’uso contemporaneo di altre droghe sinergizzanti e alcol».

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Il referendum non legalizza solo la cannabis a cura della Redazione

La proposta referendaria antiproibizionista è insidiosa e truffaldina. La vulgata dice che il referendum proposto dai radicali è teso a legalizzare la cannabis, una droga “leggera”. Chi invece leggesse il quesito e la normativa di riferimento, si renderebbe conto che le cose non stanno affatto così. Il quesito referendario recita: «Volete voi che sia abrogato (il testo unico sulla droga, Dpr n. 309 del 1990) limitatamente alle seguenti parti: articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”; articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”; articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni”?». Vediamo cosa succederebbe nella malaugurata ipotesi in cui, raggiunto il quorum del 50% degli elettori, la maggioranza dei votanti esprimesse un “SÌ”. Le norme che verrebbero modificate sono tre. Prima parte del quesito: abrogazione di “coltiva” nel comma 1 dell’art. 73, Dpr n. 309/1990 Se prevalessero i sì, l’abrogazione della parola “coltiva” nel comma 1 dell’art. 73 cit.

renderebbe non punibile la coltivazione di qualsiasi tipo di stupefacente, non solo della cannabis e dei suoi derivati, ma anche dell’oppio, della cocaina e dei funghi allucinogeni. «Il divieto di coltivazione rappresenta una ‘difesa anticipata’; e la legge n. 242/2016 disciplina la coltivazione della canapa non certo allo scopo di ricavarne sostanza stupefacente, tanto che esclude la liceità della cessione: quindi non è evocabile in materia, come sancito da una sentenza del 2019 delle Sezioni Unite della Cassazione», spiega il magistrato Alfredo Mantovano sul mensile Tempi dell’ottobre scorso. Un altro insigne magistrato di Cassazione, Giacomo Rocchi, in un articolo su La Nuova Bussola Quotidiana del 31 ottobre scorso, specifica come già la giurisprudenza abbia fatto saltare il paletto - che sembrava solido - del divieto di coltivazione di piante contenenti sostanze stupefacenti. Il legislatore voleva impedire «l’aumento della quantità di stupefacenti, ben consapevole della facilità della loro circolazione. Eppure, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (il massimo organo della magistratura, che detta i principi di diritto che tutti i giudici devono applicare) hanno stabilito nel 2019 che “non integra il reato

di coltivazione di stupefacenti una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”». Di fatto, già oggi, a prescindere dal referendum, per evitare sanzioni basta dire che la coltivazione avviene per uso personale e non è destinata al mercato (all’atto pratico, però, è stato assolto chi coltivava undici piantine di marijuana…). Assumere stupefacenti (cd. uso personale) è diventato un diritto: «per quale motivo dovrebbe essere vietato procurarselo con la coltivazione domestica, anziché comprare la bustina dallo spacciatore?» conclude Rocchi. Il referendum serve quindi a rendere lecita qualsiasi attività di coltivazione, non soltanto in forma domestica: «l’abrogazione tranchant del ‘coltiva’ prescinde dall’estensione», spiega ancora Mantovano: «L’evidente maggiore remuneratività derivante dal dedicare un

appezzamento di terreno alle piante di cannabis invece che al basilico o ai pomodori trasformerà agricoltori spinti dall’esclusivo intento di profitto in emuli dei talebani, con possibilità di spaziare all’oppio e alla coca». Seconda parte del quesito: eliminazione della reclusione nel comma 4 dell’art.73, Dpr 309/1990 La seconda parte del quesito, relativa al comma 4 dell’art. 73 cit., cancellerebbe la reclusione in caso di produzione e commercio degli stupefacenti ordinariamente qualificati ‘leggeri’.

Il quesito referendario si riferisce a ogni tipo di droga, non solo alla cannabis (che per altro non è affatto “leggera”).

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Resterebbe la multa, però, quindi, formalmente, produzione e commercio rimarrebbero illegali. Come ha spiegato il professor Serpelloni nelle pagine precedenti, la cannabis non è affatto una droga leggera. Anche perché oggi è in voga la coltivazione di piante con il principio attivo, il c.d. Thc (acronimo di delta9tetraidrocannabinolo) potenziato: «Grazie a fornetti in libera vendita, spiega Mantovano, la percentuale di Thc può essere incrementata fino al 10%, al 20% e più: la media dei derivati della cannabis oggi sottoposti a sequestro dalla polizia giudiziaria, e quindi a perizia giudiziaria tossicologica, ha una percentuale di circa il 17%, con punte fino al 60%: che cosa c’è di ‘leggero’ in uno spinello contenente un principio attivo 10 o 20 volte superiore rispetto all’infiorescenza naturale?». Se passa il sì al referendum, «uno spacciatore potrebbe cedere a un minore un chilogrammo di spinelli col 30% di Thc, ed essere condannato, se gli va tutto male, al pagamento di una somma la cui soglia minima è 5.164 euro: nel calcolo costi/benefici è un rischio che si può affrontare». Terza parte del quesito: abrogazione della sospensione della patente e del divieto di prenderla per un certo tempo, previsto dall’art. 75, Dpr 309/1990 Se passerà la modifica referendaria all’art. 75 cit., infine, verrebbe abrogata la sanzione che colpisce chi «per farne uso personale» importa, riceve, detiene, ecc. sostanze stupefacenti di qualsiasi tipo – quindi non soltanto cannabis e derivati, ma cocaina, eroina, ‘pasticche’… La sanzione in questione è la sospensione della patente di guida o il divieto di conseguirla fino a tre anni. L’art. 187 del Codice della strada, che punisce

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La Cedu davanti alle sue responsabilità Gregor Puppinck

Notare la propaganda radicale come veicoli sempre messaggi fasulli e truffaldini: la legalizzazione della droga non serve a liberare l’Italia dalle mafie...

chi guida in stato di alterazione dopo aver assunto stupefacenti, invero, resterebbe in vigore. Ma chi detiene o riceve droga andrebbe incontro a sanzioni amministrative, come questa, invece che a sanzioni penali, perché si presume che quello che possiede sia destinato a uso personale. Inoltre, chi fa uso di droga avrebbe un deterrente in meno dal mettersi alla guida di un veicolo sotto effetto. Tra l’altro le alte percentuali di Thc nella cannabis che è in circolazione permettono che l’effetto della droga duri per più giorni. «L’approvazione del quesito di fatto ridurrebbe la portata di figure di reato introdotte con enfasi in anni recenti, come l’omicidio stradale, oltre che lasciare ancora più vittime sull’asfalto», conclude Mantovano.

Il referendum serve a rendere lecita qualsiasi attività di coltivazione, di qualsiasi droga, non soltanto in forma domestica, a prescindere dall’estensione.

Su questa Rivista, nel numero 85 del maggio 2020, abbiamo reso noto il conflitto d’interessi che regna sovrano nell’ambito della Corte giudicante del Consiglio d’Europa, la tristemente nota Cedu che in più di un’occasione ha dimostrato di interpretare i “diritti umani” in modo del tutto “sui generis” (per usare un eufemismo). Ora, il direttore dell’Eclj, European Centre for Law and Justice, autore della denuncia, ci aggiorna sugli sviluppi della vicenda che ci sembrano tutto sommato incoraggianti: la Cedu ha pubblicato a settembre una nuova versione della sua “Risoluzione sull’etica giudiziaria”. [Traduzione dal francese non rivista dall’Autore a cura della Redazione. Articolo apparso su Valeurs Actuelles il 26 ottobre 2021) Almeno 22 degli ultimi 100 giudici della Cedu, essendo ex dipendenti di sette fondazioni e Ong, hanno giudicato in palese conflitto di interesse numerosi casi in cui era parte in causa la stessa organizzazione cui erano legati. Tra queste organizzazioni private spicca la Open Society di George Soros: ben dodici dei suoi dipendenti sono diventati giudici a Strasburgo ed essa finanzia, a volte in misura molto significativa, altre sei Ong coinvolte nel conflitto di interessi. La denuncia sporta dall’Eclj nel febbraio 2020 ha sollevato una serie di questioni di procedura giudiziaria ed etica a cui la Cedu ha deciso di non rispondere pubblicamente, a differenza di molti politici e di diversi ministri - in particolare bulgari e russi - che hanno espresso preoccupazione per la situazione. Il Comitato dei ministri, supremo organo composto da 47 ambasciatori del Consiglio d’Europa, da cui dipende la Corte

europea, è stato costretto ad ammettere pubblicamente che il rapporto rilevava una situazione reale e ha preso l’impegno di rivalutare «entro la fine del 2024, alla luce di ulteriori esperienze, l’efficacia dell’attuale sistema di selezione ed elezione dei giudici della Corte». Poco dopo, nell’aprile 2021, la Open Society per la prima volta non è riuscita a far eleggere uno dei suoi dipendenti come giudice a Strasburgo. A luglio, il Comitato dei Ministri ha nuovamente risposto a due interrogazioni parlamentari sottolineando il carattere disfunzionale della procedura di ricusazione e dell’impossibilità di richiedere il riesame delle decisioni della Corte. Questa risposta, come la precedente, ha mostrato l’attenzione degli ambasciatori su questi temi, pur chiarendo che spetta solo alla Corte risolvere questi problemi. Il Comitato dei Ministri ha rivelato poi che la Corte si era

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L’Eclj ha pubblicato un nuovo rapporto, The Financing of Experts of the Human Rights Council, che prova la scarsa indipendenza di molti esperti del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Il Centro ha studiato meticolosamente per diversi mesi le dichiarazioni pubbliche di finanziamento degli esperti delle Nazioni Unite, li ha intervistati, ed è emerso che le fondazioni private li pagano direttamente affinché scrivano le loro raccomandazioni a sostegno delle fondazioni stesse. Le raccomandazioni, poi, vengono prese in considerazione da governi e tribunali internazionali per sostenere o giustificare le loro decisioni. Ciò è in palese contraddizione con il codice di condotta degli esperti Onu e con le risoluzioni del Consiglio per i diritti umani. Gli esperti dovrebbero essere indipendenti non solo dagli Stati, ma anche dalle fondazioni private. Un solo esempio: Juan Méndez, (nella foto) rela-

impegnata a rivedere il proprio regolamento, compreso l’articolo 28 che tratta proprio della questione dei conflitti di interesse. È stata infatti l’inadeguatezza dell’articolo 28 del Regolamento della Corte oggetto di critica nella relazione dell’Eclj. La norma non richiede ai giudici di dichiarare le situazioni in cui si trovano in conflitto di interessi e non prevede una procedura formale per la ricusazione. La sua revisione è di certo necessaria e possiamo rallegrarci che a quanto pare sia stata iniziata, anche se ci vorrà ancora parecchio tempo perché sia completa. Intanto, la Cedu ha pubblicato a settembre una nuova versione della sua “Risoluzione sull’etica giudiziaria” adottata il 21 giugno 2021. Si tratta di un testo che spiega il Regolamento

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tore speciale sulla tortura tra il 2010 e il 2016, è stato contemporaneamente membro del consiglio di amministrazione dell’Open Society Justice Initiative. Le Open Society Foundations gli hanno fornito un finanziamento biennale di 200.000 dollari per il suo centro di ricerca, l’Anti-Torture Initiative. Nel 2015, il signor Méndez ha ricevuto 90.000 dollari dalla Fondazione Ford, per organizzare un convegno di esperti sul tema del gender e della tortura. Il rapporto ufficiale su gender e tortura è stato pubblicato dalle Nazioni Unite il 5 gennaio 2016 e promuove l’aborto negli stessi termini in cui lo promuovono le fondazioni che lo hanno finanziato. Ancora una volta la Open Society di Soros e le sue fondazioni affiliate sono tra i più generosi finanziatori degli esperti del Consiglio dei diritti umani: almeno 37 dei 121 esperti in carica tra il 2015 e il 2019 hanno ricevuto almeno 11 milioni di dollari al di fuori di qualsiasi controllo delle Nazioni Unite, principalmente dalla Ford Foundation, dalla Open Society e da donatori anonimi. Pur violando le regole dell’Onu e ogni legislazione anticorruzione, queste pratiche sono state finora tollerate, e gli esperti sono considerati intoccabili, protetti sia dall’immunità diplomatica che da una forma di omertà. La risposta dei corrotti è stata rapida: ma essi non hanno impugnato o contestato le conclusioni del rapporto (inattaccabili): hanno aggredito in modo violento la persona del direttore dell’Eclj, Grégor Puppinck.

Grégor Puppinck è il direttore dell’ Eclj, European Centre for Law and Justice. Tra i vari incarichi in istituzioni internazionali che ha ricoperto, ricordiamo che ha insegnato diritti umani, diritto internazionale e costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza delle Università di Mulhouse e di Strasburgo ed è specializzato in diritto internazionale ed europeo. evitano ogni situazione che possa interferire con la loro funzione giudiziaria e influenzare negativamente la fiducia del pubblico nella loro indipendenza». Sull’imparzialità, il nuovo testo aggiunge l’esplicito divieto per i giudici «di essere coinvolti nella trattazione di un caso in cui

abbiano un interesse personale», rafforzando così la prevenzione dei conflitti di interesse. La nuova Risoluzione pone anche l’obbligo per i giudici di essere diligenti nei loro doveri, di limitare le loro attività esterne e, soprattutto, di tenere a freno le parole, astenendosi «dall’esternare, in qualsiasi forma e mezzo, in un

Ne riparleremo in un prossimo numero di Notizie Pro Vita & Famiglia

della Corte e gli obblighi etici dei giudici. Il testo precedente era del 2008: confrontandolo con il nuovo testo, sembra che la revisione sia profonda e risponda in parte alle istanze proposte dal rapporto Eclj. Il nuovo testo rafforza gli obblighi di integrità, indipendenza e imparzialità dei giudici. Facendo eco al rapporto dell’Eclj, la risoluzione obbliga ora i giudici a essere indipendenti da qualsiasi istituzione, compreso qualsiasi “organismo” e “qualsiasi entità privata”, Ong o altre fondazioni (come l’Open Society). Il testo aggiunge che «I giudici si manterranno liberi da influenze indebite di qualsiasi tipo, esterne o interne, dirette o indirette. Si astengono da ogni attività, espressione e associazione, si rifiutano di seguire qualsiasi istruzione, ed

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha sede a Strasburgo. Ricordiamo che non ha niente a che fare con l’Unione Europea, composta da 27 Stati. È un organo del Consiglio d’Europa, cui aderiscono 47 Stati, che è un ente internazionale sorto dopo la guerra con lo scopo di salvaguardare la pace e tutelare, appunto, i diritti umani

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San Tommaso e la psicologia cattolica

La Cedu non applica ancora tutte le norme che essa stessa prescrive ai tribunali nazionali in materia di trasparenza e di diritto a un processo equo.

modo da ledere l’autorità e la reputazione della Corte o far sorgere ragionevoli dubbi circa la loro indipendenza o imparzialità». L’obiettivo è di limitare le critiche che sono arrivate anche da membri della Corte, come per esempio quelle contenute nel libro dell’ex giudice sloveno, Boštjan Zupančič, che ha lavorato per 18 anni a Strasburgo (On the European Court of Human Rights: An Insider’s Retrospective (1998-2016), Eleven International Publishing, 2019). Un’altra novità è il divieto per i giudici di accettare «eventuali onorificenze o premi durante il loro mandato». Questa misura segue lo scandalo causato dal modo in cui l’attuale presidente della Cedu, durante un viaggio ufficiale in Turchia, nel settembre 2020, ha accettato una laurea honoris causa dall’università pubblica, senza incontrare gli oppositori e le vittime del regime. Quindi, nel complesso, sembra che il rapporto dell’Eclj sia stato utile, ha scosso la Corte, e sta ottenendo un miglioramento delle sue procedure interne. La denuncia dello scandalo è stata necessaria. Tuttavia, resta ancora molto da fare, poiché la Cedu non applica ancora tutte le norme che essa stessa prescrive ai tribunali

Mariella Borraccino La Convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, meglio nota come Convenzione europea sui diritti umani è entrata in vigore il 3 settembre 1953.

nazionali in materia di trasparenza e di diritto a un processo equo. Diverse raccomandazioni specifiche formulate dall’Eclj e supportate da eminenti avvocati sono ancora in attesa di risposta. Faremo in modo che queste siano messe presto all’ordine del giorno. Come ha riconosciuto la stessa Cedu: «si dovrebbe essere in grado di attirare l’attenzione del pubblico sulle potenziali carenze del sistema giudiziario; la magistratura può beneficiare di critiche costruttive». (Morice vs. Francia). Infine, al di là delle questioni procedurali, auspico che questo rapporto - e quello più recente su The Financing of Experts of the Human Rights Council di cui si fa cenno nella scheda a p 24 - contribuisca a sensibilizzare sul crescente fenomeno delle ingerenze di alcune fondazioni private e Ong sulla scena internazionale e negli organismi che definiscono la politica mondiale in materia di diritti umani e democrazia.

Ben dodici dipendenti della Open Society di George Soros sono diventati giudici a Strasburgo. Soros finanzia, a volte in misura molto significativa, altre sei Ong coinvolte nel conflitto di interessi.

Sta riprendendo vigore una visione psicologica fondata su un’antropologia cattolica, con il Doctor Angelicus che funge da faro. Secondo lo psicoterapeuta cattolico Rudolf Allers, che ricalca quanto altri pensano in altri ambiti del sapere e della scienza, ogni approccio psicologico si fonda su un’antropologia, sottende, cioè, una visione dell’uomo a partire dalla quale si declina coerentemente una proposta terapeutica. A fronte di questa considerazione, il dato di fatto è che oggi le moderne correnti psicologiche si basano su un’antropologia antimetafisica, quindi materialista. Ma è altresì vero che sta riprendendo forza una psicologia “cattolica”, che rimette al centro la metafisica e la legge naturale, nell’ottica di un’antropologia e di una filosofia cattolica. In tutto questo, un grande maestro, che funge ancora da faro e guida, è san Tommaso d’Aquino. Secondo lui l’uomo è l’essere che riassume e supera tutte le perfezioni del creato; un composto inscindibile di materia e forma, cioè di corpo e anima, ciò che modernamente chiamiamo l’io. L’anima ci fornisce la facoltà di conoscere, di comprendere, di concettualizzare, di definire, di classificare, di comunicare. L’anima umana ha una speciale dignità: è intellettiva, immateriale e spirituale

e pertanto immortale e creata direttamente da Dio nell’istante del concepimento. Così sin dalla sua origine e per la sua speciale natura, l’anima umana ha una particolare relazione con Dio. La sua origine speciale è il segno del suo destino speciale che è Dio stesso e quindi solo Dio può comprenderla fino in fondo. La trascendenza dell’io costituisce quindi una delle maggiori evidenze. L’anima è caratterizzata da un complesso di potenze distinte e inseparabili di cui si serve per la sua complessa attività, sia nella sfera del mondo corporeo che in quella dello spirito. Le potenze dell’anima sono ordinate gerarchicamente secondo i generi, come quello vegetativo, sensitivo e intellettivo. Della potenza vegetativa è propria la nutrizione e la riproduzione; a quella sensitiva appartiene la sensazione, sia esterna (i cinque sensi) che interna (senso comune, immaginazione, memoria, ecc.); la potenza intellettiva è l’intelletto, distinto in speculativo (teoretico) e pratico. L’intelletto speculativo è potenza conoscitiva, distinta in: - intelletto passivo, come potenza spirituale del conoscere universale;

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L’uomo, per natura teso al bene, necessita di opportuni mezzi per valutare ogni caso di comportamento che gli si presenti.

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intelletto agente che ne è principio di attuazione; - ragione, intesa come attività logicodiscorsiva. L’intelletto pratico è coscienza, consapevolezza degli atti da compiersi nella situazione concreta; base della libera volontà, una capacità di afferrare i principi primi con cui la ragione intuisce le norme del retto e del giusto da attuare. L’atto dell’intelletto, dunque, consiste nell’intendere l’essenza della cosa conosciuta; l’atto della volontà, invece, si compie in quanto il soggetto si volge verso la cosa stessa come è in sé nella sua realtà oggettiva. Ciò significa, più brevemente, che non si può volere nulla che non sia stato prima conosciuto, in quanto la volontà si esprime positivamente solo appetendo

e raggiungendo il bene che l’intelletto le presenta come vero; in tal modo si afferma la centralità dell’intelletto, proprio perché nell’uomo le facoltà direttive e determinanti della personalità sono quelle intellettive. Ciò significa che ciò che lo distingue dagli altri esseri viventi è il suo orientamento alla verità. L’uomo è fatto per conoscere la verità e non solo per adattarsi all’ambiente e sopravvivere. Il cuore umano chiede dal profondo di conoscere la verità, poiché è fatto per essa. L’uomo è poi dotato di libero arbitrio, non è obbligato né da forze interne né esterne a compiere alcuna azione. È fatto per essere responsabile dei suoi atti ed essere attore della propria vita. Non si attua uno sviluppo umano senza l’uso di una capacità di scelta e non si può aiutare una persona a uscire da situazioni schiavizzanti o di dipendenza senza guidarla all’uso del

Come le virtù, così i vizi sono abiti, cioè disposizioni al male che, visti in chiave psicologica, sono all’origine del malessere, dei disagi e dei mali da cui è afflitto e tormentato l’io

libero arbitro. Le scelte personali sono il fattore fondamentale della struttura di una personalità umana. L’uomo, per natura teso al bene, necessita tuttavia di opportuni mezzi per valutare ogni caso di comportamento che gli si presenti. Tali mezzi sono: la coscienza, intesa come capacità di ragionamento pratico e dunque di applicazione dei principi morali universali alle situazioni concrete particolari; la prudenza, cioè la virtù pratica che consente di valutare rettamente in ogni caso particolare; la volontà che è il mezzo per decidere se tendere a un bene per se stesso, oppure per tendere a un opposto comportamento, moralmente sbagliato; la virtù ovvero l’agire secondo natura e secondo ragione. Tuttavia, la virtù è un habitus, un “abito” che va consolidato con l’esercizio ripetuto di atti virtuosi così che divengano disposizioni stabili dell’agire. Tommaso fa riferimento alle quattro virtù cardinali (ovvero giustizia, intesa come

capacità di comportarsi bene nei confronti di Dio e del prossimo; temperanza, intesa come capacità di moderare e controllare le passioni che ci fanno orientare verso beni fugaci, allettanti e apparenti; prudenza, intesa come capacità di discernere le azioni migliori da compiere; e fortezza, intesa come capacità di affrontare le difficoltà per proteggere e perseguire il bene non permettendo agli impedimenti di scoraggiare la volontà) e alle tre virtù teologali cristiane (fede, grazie alla quale conosciamo Dio; speranza grazie alla quale desideriamo stare con Dio e confidiamo in Lui che ci aiuti a riuscirci; carità, grazie alla quale giungiamo ad amare Dio e ad amare gli altri e noi stessi). Attraverso le distinte virtù la persona può divenire padrona di se stessa, dei suoi dinamismi istintivi e dei suoi atti intellettivi, umanizzando e personalizzando le sue emozioni e i suoi appetiti per mezzo dell’aiuto della ragione sostenuta dalla verità.

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A lezione di genetica: i pericoli delle adozioni omosessuali Giandomenico Palka

Anche la genetica ci mette in guardia sui rischi che possono correre i bambini adottati da coppie omosessuali: ce ne parla un emerito professore, ordinario di Genetica medica dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara.

Le virtù concorrono poi al conseguimento del fine ultimo che è la felicità intesa come la beatitudine eterna. San Tommaso non trascura poi l’analisi della miriade di peccati e di vizi che indeboliscono le virtù e ci dispongono al male allontanandoci dal perseguire il vero bene. Se la virtù risiede nel giusto mezzo, ossia nella giusta misura che coincide col buono e col bene, di contro il

vizio sta nel voler perseguire o il troppo o il troppo poco di una cosa che in sé può essere buona; sta agli estremi, o carente per difetto o per eccesso. Come le virtù i vizi sono abiti, cioè disposizioni al male che, visti in chiave psicologica, sono all’origine del malessere, dei disagi e dei mali da cui è afflitto e tormentato l’io.

L’uomo, per natura teso al bene, necessita di opportuni mezzi, per valutare ogni caso di comportamento che gli si presenti.

La riproduzione sessuata comparve sul nostro pianeta Terra circa 150 milioni di anni fa. Da quel momento gli esseri viventi, incluso l’uomo, originano dall’unione di due cellule differenti, detti gameti, uno maschile e l’altro femminile. È la natura quindi ad aver stabilito che l’istituzione familiare fosse costituita da due persone di sesso differente, cui possono aggiungersi i figli. In molte società moderne, ormai da anni, sono consentite unioni diverse da quella naturale, che sono legittimate anche all’adozione. Siamo sicuri che questi nuovi assetti familiari non destabilizzino l’organizzazione sociale naturale e non procurino problemi soprattutto per il normale sviluppo dei bambini? Vediamo se la scienza può aiutarci a capire meglio i rischi che possono insorgere dalle adozioni omosessuali. I gameti sono cellule particolari, che hanno

numerose caratteristiche tra cui quella del genomic imprinting. Il nostro genoma è formato da tante piccole unità, che noi chiamiamo geni, che producono proteine essenziali per la nostra vita. I geni sono ereditati a coppie e derivano uno dal padre e uno dalla madre.

Crescere in ambienti familiari particolari, come quelli in cui gli adottanti siano due persone dello stesso sesso, potrebbe alterare l’imprinting genetico del bambino.

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Gender vs. Genesi Clemente Sparaco

Sulla negazione della binarietà sessuale si sta consumando uno scontro di paradigmi antropologici e di relative prospettive morali. Entrambi cooperano per lo sviluppo armonico del nuovo essere. Ci sono però nel nostro genoma un centinaio di geni, materni e paterni, che sono marcati in modo differente, mediante meccanismi molto sofisticati, in maniera tale che delle due copie ne funziona una sola, o la copia materna o quella paterna. Ogni gamete ha imparato a riconoscere nel suo genoma quali sono i geni imprintati, che devono essere silenziati. Questa particolarità, che non esiste negli animali che si autoriproducono, si è determinata negli esseri a riproduzione sessuata per evitare l’autofecondazione. L’imprinting può essere modificato dall’ambiente, inteso come l’insieme di elementi dentro cui l’essere vive, si sviluppa e si riproduce. Così in gravidanza accade che i geni paterni imprintati funzionino di più di

È la natura ad aver stabilito che l’istituzione familiare fosse costituita da due persone di sesso differente, cui possono aggiungersi i figli.

quelli materni per compensare il forte influsso della madre sullo sviluppo del feto, che avviene appunto nell’utero. Questo consente di mantenere un giusto equilibrio tra i due genomi, paterno e materno, che consente lo sviluppo armonico del nascituro. Dopo la nascita l’ambiente cambia e si arricchisce di nuovi elementi tra cui la figura paterna. Questa nuova situazione riporta a un riequilibrio del funzionamento dei geni paterni e materni imprintati, essenziale per lo sviluppo normale del bambino poiché questi geni influenzano lo sviluppo corporeo, intellettivo e comportamentale. Diventa allora spontanea la domanda se lo sviluppo normale del bambino non possa alterarsi quando l’ambiente familiare diventa diverso da quello naturale. Si conoscono numerose patologie da alterazione dell’imprinting, molte delle quali si determinano per cambiamenti genetici e ambientali. Tra questi non possiamo escludere il crescere e vivere in ambienti familiari particolari, come quelli in cui gli adottanti siano due persone dello stesso sesso, ovvero sia uno solo, non per un fenomeno accidentale, ma per un preciso programma sociale. Vorrei ricordare, in un modo poco scientifico, ma che esprime tutta l’esperienza umana, che «Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai».

Possiamo rintracciare nell’anelito all’assoluta in‒differenza la motivazione profonda delle rivendicazioni Lgbt, come già era stato per quelle femministe alla fine degli anni ‘60. La differenza infatti è segno, come osservava Freud, di un’amabilità che può far preferire altri a me. Pertanto è il timore di essere amati meno di altri a spingere psicologicamente per l’abolizione delle differenze: quelle economiche, quelle socio‒culturali e, da ultimo, quelle sessuali. Ma più in profondità, come scriveva 40 anni fa Emanuele Samek Lodovici, filosofo milanese prematuramente scomparso nell’81, «in quel desiderio di uguaglianza ritorna l’antico e mai sopito rifiuto gnostico della condizione finita». Sulla condizione finita sono ritagliate le norme umane, le quali codificano le differenze e con queste le disuguaglianze. Esse sarebbero il marchio che si porta nella carne della caduta originaria che ha sprofondato l’anima nel corpo, secondo quell’antica dottrina. Pertanto, tanto il femminismo quanto l’ideologia gender aspirerebbero a restaurare una condizione originaria in cui non ci sarebbero state disparità, comprese quelle sessuali. Samek aveva capito infine che il presupposto di quelle rivendicazioni stava nella pretesa di autoredenzione attraverso la gnosi,

ossia attraverso la conoscenza. Essa si è ripresentata nel recente passato nei moderni movimenti di massa (ad esempio, il marxismo) e si ripresenta oggi nell’ideologia gender. Ma occorre puntualizzare che, a differenza che nel passato, quella pretesa può contare sul supporto di una certa scienza e della tecnica medica che hanno aumentato e moltiplicato le forme riproduttive al punto che non sarebbe oggi più dirimente parlare di legame riproduttivo eterosessuale per procreare. Il racconto alternativo della Genesi Sulla negazione della binarietà sessuale si sta consumando uno scontro di paradigmi antropologici e di relative prospettive morali. Nella prospettiva gender non c’è, infatti, primariamente un’umanità duale, maschile e femminile, quanto piuttosto un individuo che si orienta sessualmente. Pertanto, sono negati la mascolinità e la femminilità come cornici naturali in cui i vari sé sono definiti nei ruoli e nelle identità, ma ancor prima nella relazione (non esiste, infatti, sfera sessuale separabile dalla sfera non sessuale, in quanto dalla sessualità dipende qualsiasi tipo di relazione in cui venga messa in moto l’affettività). Il genere è distinto dal sesso in un gioco delle

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tre carte, per cui di fatto diventa prioritario nella costruzione dell’identità sessuale che diventa identità genere. L’orientamento sessuale, a sua volta, è inteso come affatto soggettivo, psicologico, avulso, quindi, dalla base fisica e fisiologica. Per comprendere queste affermazioni diciamo che il pensiero gender sconta la separazione corpo‒psiche tipica dell’idealismo, che poi sarebbe passata pure nella gnosi. Ma rispetto a quel passato remoto c’è di più, perché, come già

«In quel desiderio di uguaglianza ritorna l’antico e mai sopito rifiuto gnostico della condizione finita…». (E. Samek Lodovici)

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accennato, la conoscenza nella nostra epoca ha assunto la forma della scienza con le sue sbalorditive conquiste e il suo progresso apparentemente inarrestabile. Si consuma a questo punto uno scontro che, secondo Maurizio Mori, sarebbe analogo «a quello che quattro secoli fa oppose Galileo al Sant’Uffizio». «Allora ‒ scriveva il professor Mori in un suo saggio del 2013 ‒ all’inizio della grande rivoluzione scientifica, il contrasto era tra due opposti paradigmi astronomici o due “sistemi del mondo” e il punto simbolico di scontro era rappresentato dal versetto «Fermati, o Sole!» (Gs. 10, 12); oggi, agli inizi della “rivoluzione biomedica”, il contrasto è tra due opposte prospettive antropologiche o due paradigmi morali, ed esso trova il punto simbolico di contrasto nel «maschio e femmina li creò» (Gn. 1, 27)». Il tono solenne e trionfalistico della riflessione mostra che al fondo di quelle rivendicazioni vi è un’aspirazione che potremmo definire palingenetica.

Contestualmente si propone una contronarrazione del racconto della Genesi. Questo è fortemente esteriore e concreto e fa capo alla dualità sessuale come dato immediato, concreto, permeante la persona dall’interno. L’uomo è persona in quanto iscritto nel progetto creatore di Dio, in quanto impregnato nella carne, nel sangue, negli organi, nella voce, nella sessualità, giacché è il sesso la sua struttura biologica essenziale. Cosicché la relazione fra le persone, fondamento della società, è descritta in prospettiva dell’amore dell’uomo per la sua donna e nella loro unione fisica e spirituale. È questa la forma più alta e intensa di relazione che si può umanamente stabilire, figura, per gli autori ispirati, dell’amore di Dio per l’umanità. La Bibbia ricorda che l’uomo si sente sperduto sulla faccia della terra (“non è bene che l’uomo sia solo”). Ma la solitudine che egli ha dentro viene superata. C’è infatti il fascino dell’universo materiale e vivente, ossia del mondo naturale (elementi, piante, animali), nel quale l’uomo può penetrare con la sua intelligenza e il suo lavoro, che può senz’altro lenirla. Tuttavia, giunto alla sera, l’uomo si sente ancora solo ed incompleto. Allora ecco la donna che cancella ogni sua solitudine; «i dolori, le gioie, le ansie, gli interrogativi dell’uomo ora si trasfonderanno nel cuore di un’altra creatura». Ella gli sta di fronte, ossia gli si pone in una relazione di reciprocità e parità tale da accompagnarlo e completarlo. Perciò è detta “aiuto”, un aiuto “insostituibile”, ossia assolutamente unico. A questo punto, «l’unicità assoluta della donna, la complementarietà dei due sessi e il rapporto d’amore sono celebrati con lo stupore eterno dell’uomo innamorato in quel primo canto

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Nella prospettiva gender non c’è primariamente un’umanità duale, maschile e femminile, quanto piuttosto un individuo che si orienta sessualmente.

d’amore dell’umanità: “Questa volta essa è carne dalla mia carne...”», ha scritto Gianfranco Ravasi. Gli stessi nomi lo rimarcano: ‘issah, donna, è il femminile di ‘is, uomo. Identica è la materia di cui sono impastati, identica la loro realtà intima, identica la condizione di esistenza. Tra la donna e l’uomo s’instaura, quindi, una comunione così profonda da renderli un’unica esistenza: “una sola carne”. Pertanto, l’uomo è immagine di Dio non solo, o non tanto, in quanto individuo, ma in quanto coppia, che nella complementarietà

L’uomo è immagine di Dio non solo, o non tanto, in quanto individuo, ma in quanto coppia, che nella complementarietà feconda realizza la piena somiglianza con il Creatore.


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feconda realizza la piena somiglianza con il Creatore: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen. 1, 27). L’uomo è lo splendore dell’universo, l’immagine di Dio, la sua rappresentazione vivente sulla faccia della terra. Nel volto dell’uomo, anche il più misero e insignificante, si nascondono i lineamenti di Dio. Ma il parallelismo su cui è costruito il testo indica limpidamente che la bipolarità feconda dell’unione del maschio e della femmina è simbolo luminoso e trasparente di Dio. Attraverso essa, infatti, l’uomo partecipa della Sua potenza creatrice. E attraverso essa si

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snoda la storia della salvezza e la successione delle generazioni. Cosicché si scopre al fondo del pensiero gender un’aspirazione a redimersi dalla parzialità sessuale, che è come dire dal limite della fisicità. Mediante l’autodeterminazione sessuale l’uomo rivendica la sua libertà e crede di affrancarsi dalla dipendenza creaturale. L’autodeterminazione dell’individuo suffragata dalla biotecnica, ossia dalla potenza della tecnica applicata alla vita, può aspirare, quindi, non solo a svincolarsi dalle sovrastrutture culturali, ma anche ad autodeterminare il sesso al di là e oltre la biologia. E come l’ingegneria genetica consentirebbe di tagliare e cucire il Dna, riscriverlo, modificarlo, correggendo anche in modo permanente il genoma, così la tecnica di transizione sessuale permetterebbe di mutare sesso con interventi ormonali e chirurgici così da adeguare il corpo alla percezione che si ha di sé. Ora, dal momento che la sessualità è generatrice di vita, essa non si iscriverà più nel disegno della fecondità naturale attraverso cui, secondo il racconto biblico, la creazione si perpetua e rinnova, ma nel disegno della tecnica che rende superflua la dualità sessuale e il momento unitivo. La biomedicina ha infatti trasformato la procreazione in un atto artificiale, programmato, controllato, modificabile e disgiunto dall’atto unitivo, cosicché ormai essa risponde a una logica meramente biotecnica. Questo permette anche a chi ne sarebbe escluso naturalmente di potervi accedere, comprese le coppie dello stesso sesso, con tecniche come la fecondazione artificiale e l’utero in

L’aspirazione ultima dell’ideologia gender è di fare l’uomo creatore di sé, capace di rigenerarsi rinnegando la creazione di cui è traccia nel genoma (che è invece inequivocabilmente maschio o femmina in ogni cellula del corpo a dispetto delle avvertenze soggettive, del bisturi o del bombardamento ormonale).

affitto. «Spariscono il padre e la madre e subentrano oociti e spermatozoi, sparisce la relazione sessuale e compaiono siringhe e sonde, svanisce il grembo ed emerge l’utero, sfuma la donna e appare la sua funzionalità biologica», ha scritto Adriano Pessina. Anche la costituzione duale dell’atto procreativo viene oscurata, ma sarebbe forse meglio dire mistificata, e l’origine dell’uomo sottomessa ai tempi e ai luoghi della tecnologia. Alla tradizionale e solida distinzione tra uomini e donne basata sul sesso, da cui deriva la trasmissione della vita, la teoria del gender sostituisce, quindi, la fluidità e la moltiplicazione dei generi (omosessuale, bisessuale, transgender, queer, trans, transessuale, intersex, androgino, agender, etc.). Cosicché l’ideologia può entrare dentro le mutande e frammischiarsi alle relazioni umane in un modo così pervasivo che neppure quando aveva avuto una veste politica rivoluzionaria si era visto.

Pertanto si capisce che, seppure nell’esegesi critica in chiave gender del passo della Genesi l’accento sia posto su “maschio e femmina”, l’obiettivo è piuttosto il “li creò”. L’aspirazione è infatti quella di farsi creatori, di rigenerarsi rinnegando la creazione di cui è traccia nel genoma, che è inequivocabilmente maschio o femmina in ogni cellula del corpo a dispetto delle avvertenze soggettive, del bisturi o del bombardamento ormonale. L’uomo armeggia con i tasti elementari che racchiudono il segreto stesso della vita con l’idea di rimaneggiare la propria costituzione fisica e nel farlo si asservisce alla potenza indiscriminata e disumanizzante della tecnica. Cosicché oggi, come ebbe a scrivere Hans Jonas, si pone imperiosa e pressante «una riflessione sull’umanamente auspicabile e su che cosa debba determinarne la scelta - in breve - una riflessione sull’immagine dell’uomo» quale mai prima era stata richiesta.

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La de-sessualizzazione del nome Veronica Zanini

L’ideologia gender non sopporta i termini “binari”. E perciò, se bisogna abolire maschio e femmina, bisogna anche dare ai bambini nomi che non siano né maschili né femminili. Considerate le ultime scelte politiche di alcuni istituti superiori urge una riflessione sulle influenze anche storiche che hanno portato alla de-sessualizzazione del nome e alla scissione tra il concetto di genere e quello di sesso. “Genere” deriva dal greco gìgnomai, che significa essere, nascere, divenire e accadere, potremmo tradurlo con “della stessa origine”. “Sesso”, inteso come natura sessuata del corpo, invece ha un’etimologia incerta. Una possibilità è che venga dal verbo latino secare che significa tagliare, separare in riferimento alla differenziazione tra maschio e femmina. Questi due termini risultano essere intimamente connessi anche se il primo indica una determinata categoria con elementi simili, “un’appartenenza a”, mentre il secondo ha una connotazione più biologica e morfologica (XY maschio, XX femmina). Le derive del pensiero contemporaneo partono dal presupposto che sesso e genere non siano un’unità duale ma piuttosto una dicotomia che porta ad una preminenza dell’identità di genere su quella sessuale: ma può una categoria sociale avere il predominio su un dato di fatto, sul naturale? In una società relativista come la

nostra sì, soprattutto se supportata da una certa pratica medica; la Verità, il telos che dirige la vita umana è stato depauperato del suo senso e le parole stesse hanno assunto un tratto più interpretativo e personalistico. In questo scenario la scienza è diventata l’assoluto sia in quanto creatrice sia in termini morali, intendendo con questo vocabolo la capacità di direzionare le scelte e le decisioni della maggioranza. Dall’aspetto etimologico si passa a quello più filosofico (come spiega più diffusamente Clemente Sparaco nelle pagine che precedono) con due personalità come Donna Haraway e Judith Butler. Quest’ultima nel 1990 pubblicò il libro intitolato Questione di genere in cui parlò di performatività di genere partendo dall’assunto che le parole nel momento in cui vengono proferite comportano delle conseguenze; in base a ciò nell’istante in cui un medico dichiara “maschio” o “femmina” il bambino nato va a influenzare la sua educazione futura a motivo proprio della enunciata natura sessuata, in questo senso le parole divengono performative. Secondo questa teoria dunque il bambino nasce con un apparato sessuale definito, ma non con un genere definito. Con Donna Haraway, che tra l’altro ha

Può una categoria sociale avere il predominio su un dato di fatto reale, sul naturale? In una società relativista come la nostra sì, soprattutto se supportata da una certa pratica medica. curato la prefazione del libro della Butler, si fa un ulteriore passo in avanti verso quella che potremmo definire come la teoria della neutralità del sesso e del genere. Donna Haraway nel suo libro Manifesto Cyborg del 1991 dichiara che il modello epistemologico attraverso il quale apprendiamo ha un vizio di forma essendo binario. Detto in altre parole l’uomo arriva alla conoscenza tramite categorie che si contrappongono: naturale-artificiale, bianco-nero, materiaspirito (…) avallando così la dominazione, soprattutto politica, di uno dei due elementi (pensiamo al colonialismo). Lo stesso vale per il binomio maschio-femmina che è da superare optando per un modello di natura ibrida come il cyborg. Questo tipo di impostazione, che curiosamente mette in crisi uno dei padri della filosofia moderna europea, Kant, apre le porte al genere neutro. Il transumanesimo, l’ideologia filosofico - scientifica nata negli anni ’80 che mira al post-umano, concretizza e supera le posizioni della Haraway e della Butler neutralizzando non solo il sesso ma anche il genere del nome. Quindi non si tratta più di una possibile scelta differente tra il

Elon Musk, nato a Pretoria, in Sud Africa, nel 1971, naturalizzato statunitense, secondo Forbes, al 16 ottobre 2021, con un patrimonio stimato di 229.6 miliardi di dollari, è l’uomo più ricco del mondo. Genio dell’informatica fin da bambino (nonostante la sindrome di Asperger e il bullismo subito), ha fondato e /o dirige società del rango di Space Exploration Technologies Corporation (SpaceX), Tesla, Neuralink, SolarCity, The Boring Company, PayPal e OpenAI.

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Chi non apprezzasse i nomi “neutri” di cui si parla in questo articolo e preferisce i nomi classici, come Giovanni o Maria, ma vuole evitare il sessismo binario, può rimanere nell’ambito del politicamente corretto usando come lettera finale lo schwa. Quindi Giovannə o Mariə saranno nomi perfetti per i bambini che non hanno ancora scelto il genere di appartenenza. Lo schwa si pronuncia come una via di mezzo tra la “e” e la “a”.

sesso e il genere optando per un nome di genere opposto (maschio che si fa chiamare Alessandra) ma della de-sessualizzazione del nome stesso. Emblematico è il caso del figlio Elon Musk, Ceo di Tesla e Neuralink, che assieme alla ex moglie Claire Boucher ha chiamato suo figlio X Æ A XII specificando che “X” è la variabile incognita, “Æ” è la pronuncia elfica per indicare l’intelligenza artificiale (AI), “A-12” è il precursore di SR71, l’aereo preferito della coppia (ha dovuto usare il numero romano anziché il numero arabo per rispettare le leggi della California). Filo-transumanista è anche il nome scelto da una coppia filippina per il proprio figlio, Html, in onore del padre, che è un web designer. Diventa paradossale che in un'epoca in cui ci si fa paladini delle differenze poi si finisca per omologare, chiamare il proprio figlio infatti come un numero di serie (ricordiamoci che tragicamente questo non è stato il primo episodio nella storia) desessualizzare il nome, è la reale soluzione al problema delle ingiuste discriminazioni? 

Siamo andati alla ricerca dei nomi “unisex” che cominciano a prendere piede. Vengono considerati tali Andrea (che comunque in greco significa “uomo”), Felice e Celeste, Fiore e Diamante (che sono comunque nomi comuni di cose maschili), e poi Evan, Alex, Jaime, Leslie, Noa o Noah, Ariel, Casey, Sidney, Brooklin, Angel, Kai, Storm, Morgan, Paris e Blu.

Una storia da brividi Toni Brandi

Con il permesso delle parti interessate, riportiamo uno scambio di e-mail tra Toni Brandi e una gentile Lettrice, avvenuto in occasione del lancio della nostra campagna contro la sessualizzazione dei minori, condotta insieme all’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto Mi sono trovato un giorno nella casella di posta elettronica la seguente e-mail: «Vi ringrazio per questa iniziativa [la campagna “Educhiamoli in rete”, il documentario Piccole vittime dimenticate , il webinar, ndR] e per il vostro lavoro. Sono vittima di pedofilo e ancora oggi, a 63 anni, non riesco ad affrontare con serenità ed equilibrio il tema. Pubblicizzerò le vostre iniziative. Grazie davvero a nome dei bambini vittime e delle loro famiglie (che non soffrono di meno). Palmira Amato». Mi ha colpito profondamente. Quel “sono” vittima di un pedofilo, il verbo al presente, ancora, dopo tanti anni, è stato un macigno sul cuore. Le ho risposto che ero molto addolorato per la sua triste esperienza e che, se poteva esserle utile, di sollievo, e voleva raccontarla, parlarne o scriverne, l’avrei mandata alla Redazione: noi siamo qui per dar voce a chi non ha voce. Agli innocenti, ai fragili, vittime spesso dimenticate e sempre silenziose della cultura della morte. Le ho anche scritto che se invece le fosse troppo doloroso riparlarne, ovviamente, l’avrei ben compreso.

La risposta di Mira è stata molto eloquente.

«Il fatto.

Ero una bambina di 5 anni quando incontrai il mio pedofilo. Fu, grazie a Dio, un evento isolato che però mi ha segnato la vita. Nella cantina del mio palazzo, dove aspettavo mia mamma, c’era un addetto alla telefonia che stava lavorando. Vedendomi mi ha chiesto di abbassare le mutandine e sono stata oggetto di atti di libido. Due i ricordi che mi sono rimasti: la sensazione di sconcerto perché non capivo cosa stesse accadendo e la voce di lui che mi diceva continuamente che non ero normale perché non provavo piacere. Sono stata cresciuta avendo fiducia negli adulti e così gli ho creduto. Ovviamente mi ha chiesto il silenzio e io per un anno ho taciuto, poi ho parlato con mia mamma. Visite mediche, colloqui con avvocati, confessioni e io con quel pensiero fisso: non ero normale, non avevo provato piacere. I miei genitori hanno ritenuto giusto tenermi lontana da quello che è accaduto dopo: l’arresto, il processo, la condanna (era recidivo). Non mi dissero nemmeno che era stato preso ed io temevo sempre di

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Le mamme e il lavoro: anche il Covid ha un lato positivo? Giulia Tanel

La situazione di “emergenza sanitaria”, tra le altre cose, ha portato a un modificarsi delle modalità di lavoro. E un’indagine ci dice che il lavoro da casa, per chi ha figli, non è poi così male incontrarlo di nuovo. Secondo loro (e tutti gli altri) dovevo solo dimenticare. Ma è impossibile. Le ferite Sono passati molti anni, ora ne ho 63; anni in cui ho incontrato molte persone che mi hanno voluto bene, amici, due mariti, due figli. Ma la ferita è rimasta aperta: mi sono negata per tutta la vita ogni tipo di piacere (fisico, morale,

«Sono vittima di pedofilo e ancora oggi, a 63 anni, non riesco ad affrontare con serenità ed equilibrio il tema».

psicologico). Unica eccezione: la maternità. Mi ci sono voluti cinque anni di psicoterapia per affrontare e superare il blocco, lavoro durissimo, lungo e doloroso. Ma ho iniziato e finito. Che dire Ecco, appunto, dire. Dire, parlare di questo problema è ciò che serve alle famiglie coinvolte, alle vittime (con i dovuti modi), agli insegnanti, agli educatori, ai sacerdoti, soprattutto a loro. È necessario togliere quella specie di tabù che impone di lasciare nell’ombra questo problema, è importante affrontarlo, dimensionarlo, dare strumenti e sostegni a chi viene in contatto con questi problemi. E sì, anche per i malati, i pedofili questo sono, perché abbiano uno spazio in cui poter affrontare e curare la loro patologia.

»

Oramai sono quasi due anni che la cosiddetta “pandemia” di Covid-19 ha rivoluzionato la vita di tutti: lo stato di salute psicologica e fisica, il cambiamento delle abitudini, i lockdown, le relazioni modificate, l’incidenza del mondo virtuale, la didattica a distanza e il “lavoro agile”, ora l’imposizione sempre più estesa della “carta verde”… sono solo alcuni degli aspetti con cui, ognuno, ha dovuto fare i conti. Con modalità e incidenze diverse, ovviamente, anche a seconda dell’età, della situazione antecedente, del grado di cultura, ma nessuno può dire di essere rimasto immune dallo “tsunami”, sul quale qui non esprimiamo giudizi di merito, che ha travolto l’intero globo. Rispetto alle modalità lavorative, un articolo uscito recentemente su The American Conservative, a firma della professoressa Jenet Erickson, membro della Wheatley Institution and Institute for Family Studies, rimanda uno smaccato interessante rispetto a come il Covid abbia portato con sé, tra tanti disastri, dei

vantaggi per il mondo femminile impiegato nel lavoro. Seppure, infatti, fosse statisticamente noto da tempo che circa un terzo delle mamme con figli di età inferiore ai 18 anni avrebbe preferito lavorare da casa, la realtà era che questo si verificava in una misera percentuale di casi. Invece, con la pandemia, la cosa ha subito una notevole svolta in tal senso, a livello generale. E l’indice di gradimento di questa nuova impostazione lavorativa appare notevole, stando ai risultati della indagine condotta dall’Institute for Family Studies. Su 2.500 adulti americani: infatti, oltre la metà (53%) delle madri hanno avuto modo di scoprire di preferire lavorare da casa e questo per la maggior parte dell’orario lavorativo (34%) o per la metà di esso (19%). Certo, non sempre lavorare da casa è facile, e soprattutto non lo è stato quando le scuole erano chiuse e la prole era confinata h24 in casa e andava gestita o in quei casi in cui risulta difficile ritagliarsi uno spazio privato e

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tranquillo in cui sia possibile concentrarsi. Ma se l’immaginario dei media ha molto spinto su questi estremi, di certo critici, è altrettanto vero che molte donne hanno avuto modo di cogliere, apprezzare e valorizzare anche il rovescio della medaglia. Scrive la Erickson: «Quando FlexJobs ha intervistato 2.100 persone tra marzo e aprile che stavano ancora lavorando da remoto a causa della pandemia, il 60% delle donne ha identificato un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e un maggiore controllo e flessibilità sull’orario di lavoro come vantaggi significativi dal lavoro da casa. Più della metà (57%) ha affermato che lavorare da casa significava avere più tempo per prendersi cura di se stessi, cucinare in modo più sano e fare esercizio. Oltre

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a questo, il recente sondaggio IFS/Wheatley Institution ha individuato un altro profondo vantaggio. La maggiore flessibilità del lavoro ha offerto alle madri più opzioni nell’organizzazione dell’assistenza ai propri figli». In questo discorso, una parola fa da ago della bilancia: flessibilità. Anche qui, nulla di nuovo: sono anni che - Costanza Miriano in primis, solo per citare un nome famoso - viene portato avanti, come fattore che favorirebbe una migliore qualità di vita delle donne, ma anche dell’intera famiglia, il fatto che il lavoro non sia legato a un particolare orario, bensì alla produttività: insomma, non importa quanto e quando, l’importante è centrare gli obiettivi. Chiaramente non sempre è possibile, alcuni lavori implicano una presenza stabilita, ma

In uguale percentuale, che si attesta al 53%, madri e padri hanno avuto modo di scoprire di preferire il lavoro da casa.

da una situazione di estrema rigidità a una di flessibilità totale, di condizioni intermedie favorevoli sia per i lavoratori, sia per i datori di lavoro ce ne sono diverse. Se una donna si può organizzare nella sua quotidianità, gli incastri che si prospettano sono infiniti, così come i vantaggi che ne discendono a catena: agenda alla mano, spazio alla fantasia. Chiaro, a quel punto occorre che la donnamamma in questione sia in grado di ordinare correttamente le priorità, ma su questo occorre dare un po’ di fiducia alle quote rosa. Naturalmente, anche di fronte a questa novità non sono mancate le critiche. Su tutte, quella che il lavoro da casa comporti una ulteriore disuguaglianza tra uomini e donne, con queste ultime ancora più caricate di doveri nei confronti della casa e dei figli. Obiezione cui la Erickson controbatte riportando numeri e considerazioni: da un lato, è importante infatti rilevare che «il Covid-19 ha comportato anche un drammatico cambiamento nelle preferenze dei padri, con un’uguale percentuale di padri (53%) che ha affermato che preferirebbe lavorare da casa», percentuale che si alza al 65% nel caso di padri laureati. Dall’altra, argomenta la professoressa, «piuttosto che consolidare la disuguaglianza, la pandemia presenta la possibilità di un mondo lavoro-famiglia completamente nuovo, in cui sia la madre che il padre condividono la cura dei figli mentre entrambi lavorano a orari flessibili da casa. I genitori ne hanno avuto un assaggio e ne vogliono di più. In effetti, “lavoro flessibile + assistenza all’infanzia condivisa” è stata la scelta più felice per la migliore organizzazione dell’assistenza all’infanzia per i genitori nel sondaggio IFS/Wheatley. Tra le madri che lavorano a tempo pieno, oltre il 40% ha identificato questa come la migliore opzione». E questo senza considerare i benefici che il passare più tempo assieme genera sulla famiglia nel suo complesso e sui bambini e i ragazzi, che di una presenza costante dei genitori hanno inestimabile bisogno. Insomma, il Covid ha portato anche all’esplorazione di nuove strade e a nuove scoperte: l’augurio è che possano consolidarsi e portare frutto.

La maggiore flessibilità del lavoro ha offerto alle madri più opzioni nell’organizzazione dell’assistenza ai propri figli.

“Lavoro flessibile + assistenza all’infanzia condivisa” è stata la scelta più felice per la migliore organizzazione dell’assistenza all’infanzia per i genitori.

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A Dio, Federica

La piccola comunità i Tipi Loschi (sfacciatamente, “i soliti sospetti”) è il miglior esempio della “opzione Benedetto”: sono gioiosamente controculturali e profondamente radicati nella loro fede. Chiunque pensi che la “opzione Benedetto” significhi correre sulle colline a nascondersi con paura e senza gioia dovrebbe visitare i Tipi Loschi...

Marco Sermarini

La moglie di Marco Sermarini, mamma di cinque figli, è morta alla fine di settembre dopo una terribile malattia. Vogliamo farle omaggio condividendo con i nostri Lettori le parole che Marco ha detto alla fine del funerale: sono un esempio di amore, fede e speranza che servirà a tutti per affrontare i guai della vita. Marco ci ha gentilmente accordato il permesso di pubblicarle. «Prima di tutto voglio ringraziare tutti per una serie di motivi, la vostra presenza qui ci porta molto. Parlo a nome del clan Sermarini, ci conforta molto, ci fa molto piacere. Dovrei fare un elenco enorme di persone dei cinque continenti che hanno pregato per noi in questo periodo, e le preghiere hanno avuto i loro frutti, senza dubbio. Dovrei fare una lista molto lunga di persone che ci hanno aiutato in tanti modi durante questi sei mesi di malattia e difficoltà, che potete sicuramente capire. Non farò nulla di questo, tuttavia, vi dico grazie. Poiché il nostro Chesterton ha detto che la gratitudine è la base della felicità, un uomo felice è sempre un uomo grato, solo un uomo grato può essere felice. E siamo molto grati a Federica, quindi diciamo grazie. Diciamo grazie al Signore per avercela donata, per averla lasciata stare con noi per questi anni e questo è già tanto, possiamo solo dire grazie. Anche perché mia moglie ci ha lasciato una grande consegna. Tra ieri e oggi ho sentito tante persone che volevano esprimere la loro partecipazione al nostro dolore e molti di loro mi hanno detto

che mia moglie era una persona brava ad accogliere, e credevo di saperlo, ma forse ora ho capito bene. Molti mi hanno detto che mia moglie era una persona capace di sorprendere, e io lo sapevo. Ricordo una battuta fatta da un nostro amico, un libanese molto simpatico. Siccome mia moglie faceva sempre tante domande, le faceva così, non appena venivano da lei, e a un certo momento questo amico le diceva: “Ma Federica, sembri una bambina!”, e il suo essere è rimasto sempre così, fino all’ultimo secondo. E per questo sono molto grato. E poi l’innegabile talento educativo di Federica, che non potrebbe essere spiegato solo a scuola, anche perché non insegnava nella nostra scuola, ma era una presenza costante e ti stava accanto finché non ti arrendevi. E così questo talento non si esprimeva solo nella sua famiglia, donna esigente, generale di corpo d’armata da questo punto di vista, ma si esprimeva ovunque si trovasse. Uso il passato ma posso tranquillamente usare il presente, e questo è un altro dono che abbiamo coltivato nei nostri 27 anni e 12 giorni di matrimonio, che è il dono della fede cattolica.

La fede cattolica ci dice che dobbiamo credere nella Comunione dei Santi, quindi qui c’è l’Ecclesia Militans [Chiesa militante] che è la chiesa che combatte, e là c’è l’Ecclesia Triumphans [Chiesa Trionfante]. Siamo lo stesso esercito, per ora siamo in due reparti diversi, ma non cambia assolutamente nulla. Parlando di guerre e battaglie, per quanto riguarda la lettura che abbiamo letto un attimo fa, è tratta dall’epistola che ci parla di una battaglia, anzi di una guerra. Una guerra che è una visione, ma è una guerra che c’è stata, che c’è davvero e che c’è ogni giorno. È la guerra tra il bene e il male, tra Dio e il male, e questa guerra è combattuta davanti a tutti da San Michele, capo delle milizie angeliche. Quando ho visto che il funerale si sarebbe

svolto oggi [29 settembre, festa degli Arcangeli], sono stato contento per questa occasione, perché la battaglia che ha combattuto Federica è stata una battaglia, l’ultima che abbiamo combattuto, una guerra che abbiamo iniziato da sempre, e in questa battaglia il grande drago voleva prevalere su di lei, ma non ci è riuscito. “Il gran dragone, l’antico serpente, quello che chiamiamo diavolo e Satana, e che seduce tutta la terra, fu scagliato sulla terra, e con lui furono scagliati anche i suoi angeli”. (Apocalisse 12,9) E ha realizzato ciò che abbiamo capito dall’inizio: che sarebbe stata una battaglia, e abbiamo intuito dall’inizio che avremmo potuto dare una testimonianza, e lo dice qui,

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Marco è un avvocato, capo della GK Chesterton Society italiana. Ha fondato con la moglie la Scuola Chesterton, una scuola cristiana.

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ma sei mesi fa non lo sapevo. Non sapevo come sarebbe andata a finire e non sapevo che sarebbe andata a finire oggi. “Ora la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio – perché qui combattiamo per il nostro Re, che è Dio – e la potenza del suo Cristo si è compiuta, perché è precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, – che è colui che ci dice “tu sei inutile, la tua vita è inutile, la tua vita non è niente, tutto finisce in un buco nero” – colui che li ha accusati davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma loro — cioè noi, con Federica — lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello — dove Federica ha lavato le sue vesti per sei mesi — e grazie alla testimonianza del loro martirio” . Cioè noi poveri soldatini spaventati, cioè quando ti dicono “tua moglie ha un tumore” [al pancreas, NdR], e non un brufolo, quello è uno dei peggiori: non è che vuoi saltare di gioia, ma poi arriva il coraggio e il coraggio ti dà la forza di dare testimonianza, cioè di fare come gli antichi cristiani, dove la prima cosa a cui hanno dato testimonianza è stata la risurrezione di Cristo, e noi diamo testimonianza del fatto che la vita non finisce qui, Cristo è risorto e ha dato la vita per noi e ha vinto la morte. Non abbiamo capito che dovevamo dare questa testimonianza, ma ci abbiamo provato strada facendo. Il nostro Frassati [Beato Pier Giorgio Frassati, cui la comunità è devota] ci ha ricordato, e ieri mi è tornato in mente, che non siamo fatti per questa terra, ma per la nostra Vera Patria. Quindi la battaglia è stata vinta. Qualcuno dirà “Ma come? Federica se n’è andata!”: la battaglia è vinta. Federica voleva morire a casa, me lo diceva sempre. È morta con noi, con la nostra famiglia e gli amici intorno e con il conforto del sacerdote, che in questi mesi non è mai mancato. E poi non è morta disperata, è morta serena, combattendo fino all’ultimo perché anche la morte è una battaglia da combattere, e devo dire che è stata molto coraggiosa, non si è mai tirata indietro. Ho cercato di darle più forza che potevo, o meglio ci abbiamo

provato tutti, perché i nostri figli non si sono mai tirati indietro, non hanno mai avuto paura di affrontare questa cosa, o meglio l’hanno affrontata con coraggio, perché il coraggio segue la paura. E in questi mesi ciò che ci ha accompagnato sono alcuni versi di una poesia del nostro Chesterton, che si intitola “La ballata del cavallo bianco”. È la storia di Re Alfredo che deve combattere contro i Vichinghi, e i Vichinghi erano pagani crudeli e lui doveva difendere il suo popolo e a un certo punto ha un dialogo, una specie di visione, con la Madonna che gli dice: “Ma tu e tutta la stirpe di Cristo siete ignoranti e coraggiosi, e avete guerre che difficilmente vincete e anime che difficilmente salvate. Non dico nulla per il vostro conforto, né per il vostro desiderio, dico solo: il cielo si sta già oscurando e il mare si fa più grande. La notte sarà tre volte più buia su di voi e il cielo diventerà un manto d’acciaio. Riuscite a provare gioia senza motivo, ditemi, avete fede senza speranza?” Umanamente non avevamo grandi speranze,

ma abbiamo mantenuto la Fede, che era la vera battaglia da vincere. Posso solo darti questa testimonianza, ho potuto parlare per quattro giorni consecutivi di quanto fosse grande mia moglie nella vita, di quanto semplice, umile, buona, una buona madre, una buona moglie, piena di forza, indomita, mai piegata, mai a riposo, mai soddisfatta, ma questa è un’altra storia e un po’ lunga, ma molti di voi mi hanno portato questa testimonianza e io sono calmo e sereno. Vi invito a essere altrettanto calmi e sereni, altrettanto felici e direi anche allegri, e lo posso dire. Perché in ogni caso questo fa parte del nostro essere cristiani, abbiamo questa speranza, questa è la vera speranza, alla fine questo è ciò che conta, amici miei. Quindi siate allegri e pregate per l’anima di mia moglie, perché mancherà sempre qualcosa, pregate per noi che siamo qui e la battaglia continua, e noi non vogliamo tirarci indietro minimamente. E con questo dico grazie anche ai sacerdoti che sono venuti, ai monaci, a tutti i cari amici. Andiamo avanti, con coraggio».

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Notizie Pro Vita & Famiglia

In cineteca

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In biblioteca

Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.

La terra dell’indio

Songbird

Eugenio Corti

Regia: Adam Mason Produzione: Usa Anno: 2020 Durata: 90’ Genere: distopico, drammatico, sentimentale, thriller Dobbiamo a Rino Cammilleri la recensione di questo film “anti-lockdown” ambientato in uno stato di polizia permanente a causa della pandemia. Il cast è di tutto rispetto (c’è anche Demi Moore), ma diciamo subito che è un film stroncato dalla critica, che difficilmente vedremo nelle sale cinematografiche: chi è interessato deve comprare il dvd on line (su Amazon, al momento di andare in stampa, si trova). La vicenda si svolge a Los Angeles in un prossimo futuro, nel 2024, quando il virus del Covid-23 (!) ancora imperversa. In città possono girare solo gli Immuni, identificabili con un apposito braccialetto elettronico da mostrare agli innumerevoli posti di blocco, presidiati da agenti armati e bardati con tute gialle anti contagio. Tutti gli altri devono stare chiusi in casa e controllarsi periodicamente con un’app del telefonino: chi si ammala viene prelevato a forza, in tempo reale, e portato in un campo per quarantena, da cui nessuno è mai uscito vivo. Il protagonista, Toni, è un giovane Immune che cerca tra mille peripezie di riunirsi con la

Ares

Il prato alto. III. Speranza

sua fidanzata, Sara. Capite bene che è un film politicamente molto scorretto, anche se ci sono un afroamericano e un disabile tra i protagonisti positivi. Scrive Cammilleri che però «non tutte le “minoranze oppresse” sono, per fortuna, messe in scena. Di oppresso c’è solo il cittadino medio, cui si prospetta un avvenire cinese complice il coronavirus. God bless America, che ha ancora anticorpi vitali».. 

Emilio & Maria Antonietta Biagini Solfanelli

Amore, fede, guerra, schiavitù, riscatto, malinconia: dalla penna di un grande scrittore, un grande romanzo in forma inedita su un tema inedito. Le reducciones settecentesche del Paraguay (gli insediamenti cioè in cui i Gesuiti giunsero a elevare una popolazione dall’età della pietra al livello della civiltà europea) offrono il contesto in cui si muove una storia tutta «visiva», costruita secondo i canoni insieme classici e moderni della sceneggiatura cinematografica, e misteriosamente ancorata a un’efficacissima regia interiore che agisce nella fantasia e nel cuore del lettore non meno di quanto ha saputo farlo Il cavallo rosso. Non si potranno più dimenticare i protagonisti di questa drammatica odissea degli umili, in una terra contesa fra la selva e l’imperialismo delle potenze europee.

È stato pubblicato il terzo e ultimo volume della storia dell’Austria cattolica narrata nientemeno che a partire dalla preistoria. I nostri Lettori più attenti ricorderanno che abbiamo recensito i primi due, in queste colonne. Con ricchezza di dettagli e di aneddoti le vicende più recenti della famiglia Adler si incrociano con il grande principe cattolico Eugenio di Savoia, con il massone Giuseppe II, con Napoleone, e le Guerre mondiali. L’Austria è ormai ridotta a una piccola nazione in balìa dei prepotenti, ma resta la speranza: con il “progresso”, la valle si trasforma, le famiglie non sono più compatte come una volta, ma le nonne restano costantemente il cuore, la memoria, le consigliere e consolatrici, segno che, anche nelle peggiori avversità, la speranza non può morire.

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