Notizie Pro Vita & Famiglia, n.81, gennaio 2020: Straordinarie persone ordinarie

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(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)

POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

STRAORDINARIE PERSONE ORDINARIE ANNO VIII GENNAIO 2020 RIVISTA MENSILE N. 81

P. 20

P. 24

P. 10

Luca Marcolivio

Syndey Wright

Francesco Agnoli

Outing al contrario: intervista a Nausica Della Valle

Un anno da trans

Bobby Schindler Professione: difensore dei diritti dei disabili


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Notizie Pro Vita & Famiglia

«Alla radice della rivoluzione antropologica cui stiamo assistendo c’è l’hybris, la pretesa della creatura di farsi Creatore, di decidere della vita e della morte, di violare la legge naturale».


gennaio 2020

Editoriale

Nausica Della Valle, Carol Everett, Alana

di violare la legge naturale.

Newman, Bobby Schindler, Debora Vezzani

Le testimonianze che leggerete e gli altri

e Jury Castellana e Sydney Wright sono

articoli che, vedrete, a esse sono connessi ci

persone comuni. Sono persone come noi,

mostrano che, in fondo, è facile essere eroi

con una vita fatta di gioia e di dolore, di

come lo sono i nostri protagonisti. È l'eroismo

errori e di conquiste. Sono però un segno,

della mamma e del papà di famiglia che

un esempio. Hanno infatti avuto il coraggio

devono educare, curare, assistere e lavorare:

di esporsi, di metterci la faccia, di offrire a

è la fatica quotidiana di ciascuno di noi. Ma

tutti una testimonianza a favore della verità.

se riconosciamo i valori fondamentali della

Ciascuno di loro disvela gli inganni del

vita, della famiglia e delle relazioni umane, se

nichilismo che pervade la nostra cultura: la

siamo consapevoli che possiamo superare i

propaganda eutanasista, abortista, gender,

nostri limiti e rimediare ai nostri errori solo

antinatalista, infatti, si fonda sulla menzogna,

con lo sguardo rivolto verso gli altri e verso

presuppone, innanzitutto, la negazione della

l’Altro, saremo premiati come eroi con il bene

verità dell’uomo. Alla radice della rivoluzione

più prezioso: la pace, la gioia interiore che

antropologica cui stiamo assistendo c’è

l’agitarsi di questo mondo mortifero non potrà

l’hybris, la pretesa della creatura di farsi

mai scalfire. Sia questo, cari Lettori, il mio

Creatore, di decidere della vita e della morte,

augurio per un buon Anno Nuovo. 

Toni Brandi

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Sommario 3

Editoriale

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Lo sapevi che...

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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

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Versi per la vita Silvio Ghielmi

Gentili Lettori, dobbiamo delle scuse ad Antonella Facco e a Giancarlo Stival, autori rispettivamente degli articoli pubblicati a p. 36 e p. 39 del numero 80 di dicembre 2019: per un refuso tipografico la loro firma nei rispettivi articoli non è stata stampata.

Vuoi ricevere anche tu, comodamente a casa, Notizie Pro Vita & Famiglia (11 numeri) e contribuire così a sostenere la cultura della vita e della famiglia? Invia il tuo contributo: € 20,00 studente/disoccupato € 30,00 ordinario € 60,00 sostenitore € 100,00 benefattore € 250,00 patrocinatore

L’eroismo del padre Stefano Parenti p. 35

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gennaio 2020

Fine vita Bobby Schindler - Professione: difensore dei diritti dei disabili

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Francesco Agnoli

Dietro ogni porta c’è una Croce

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Claudio Vergamini

Aborto Carol Everett: dalla Planned Parenthood alla difesa della vita Luca Scalise

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Gender Nausica Della Valle: outing al contrario

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RIVISTA MENSILE N. 81 — Anno VIII Gennaio 2020

Luca Marcolivio

Un anno da trans

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Sydney Wright

Famiglia Debora Vezzani: la musica della vita

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Giulia Tanel

L’eroismo del padre

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Stefano Parenti

Generare è tessere relazioni

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Francesca Romana Poleggi

Fecondazione artificiale La storia di Alana

Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia

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Antonella Ranalli

Distribuzione Caliari Legatoria

Demografia Demografia, immigrazione, integrazione

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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Hanno collaborato a questo numero:

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Ranalli, Luca Scalise, Giulia Tanel, Claudio Vergamini, Sydney Wright.

Luciano Leone

In cineteca

In biblioteca

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Francesco Agnoli, Silvio Ghielmi, Luciano Leone, Luca Marcolivio, Stefano Parenti, Francesca Romana Poleggi, Antonella

Errata corrige: a p. 30 del n. 79 di questa Rivista, la foto è dell’atleta Sanya Richards e non di Tasha Danvers-Smith.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Lo sapevi che... 2 febbraio: Marcia per la vita a Vicenza In occasione della Giornata per la vita, da nove anni il Movimento con Cristo per la Vita, emanazione del Movimento Mariano Regina dell’Amore di Schio, organizza una marcia che attraversa il centro di Vicenza, partendo dalla stazione ferroviaria, percorrendo il centralissimo corso Palladio, per terminare in piazza Matteotti, nella parte opposta della città. Quest’anno, a seguito della fattiva collaborazione instauratasi con Pro Vita & Famiglia, Toni Brandi marcerà a fianco di Mirco Agerde, rappresentante del Movimento con Cristo per la vita.

Nel corso della marcia si intervalleranno la recita del Santo Rosario e spunti di riflessione e meditazione per sensibilizzare l’opinione pubblica e compiere un atto di riparazione per le leggi contro la vita, la famiglia e il diritto naturale. Esponenti delle diverse associazioni e dei diversi movimenti aderenti prenderanno la parola lungo il tragitto per alcune significative testimonianze, richiamando l’importanza di questa fondamentale battaglia per risvegliare le coscienze assopite e narcotizzate. 

Pornografia e fecondazione artificiale La maggior parte delle cliniche per la fertilità fornisce materiale pornografico agli uomini che devono depositare un campione di sperma. È una parte essenziale dei servizi della clinica. Il Daily Mail Australia, addirittura, riportava che si stanno organizzando con un computer per riprodurre una serie di video pornografici: ciò che gli uomini scelgono di più

Eutanasia non consensuale in Olanda Un gruppo di ricercatori statunitensi ha pubblicato sull’American Journal of Gereatric Psychiatry una revisione dettagliata dei 75 casi olandesi di eutanasia per i pazienti con demenza avvenuti tra il 2011 e il 2018. Solo 16 deceduti avevano stilato il testamento biologico. In molti casi la volontà del paziente è stata determinata con riferimento a dichiarazioni passate piuttosto che a test oggettivi e attuali. I comitati di revisione dell’eutanasia olandese giustificano questo approccio. Gli autori dello studio fanno notare che di fatto non era stato ottenuto alcun consenso dalla maggioranza dei pazienti che sono stati uccisi perché il ricovero in casa di cura di per sé è stato considerato motivo valido per eliminare il vecchietto, a prescindere dal fatto che i ricoverati “soffrano insopportabilmente” per la cosa.

viene monitorato per mantenere aggiornato l’elenco. È strano che le femministe non si siano mai lamentate del ruolo oggettivante e mercificante della pornografia anche nella fecondazione in vitro. O forse non è strano, visto che poche sono anche le voci che si levano contro l’abuso che subiscono le donne che vendono gli ovuli... 


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Quando il Perù era come la Cina L’ex presidente del Perù Alberto Fujimori, in carica negli anni Novanta, e altri ex funzionari governativi di alto rango sono sotto processo per la campagna di sterilizzazioni forzate su 300.000 vittime (delle quali circa 20.000 uomini) che ha causato la morte di almeno quattro donne. Nonostante un emendamento del 1978 al Foreign Assistance Act del 1961, che proibiva l’uso di dollari americani «per pagare l’esecuzione di sterilizzazioni involontarie come metodo di pianificazione familiare o per forzare o fornire incentivo finanziario a qualsiasi persona per sottoporsi a sterilizzazione», la brutale politica

peruviana è stata finanziata dall’Usaid, l’agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale; immancabile, poi, il supporto dell’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, e in più ha contribuito una fondazione giapponese, la Nippon. Pare che le squadre di sterilizzatori che giravano per i villaggi fossero composte da personale incompetente, addestrato frettolosamente da medici cinesi e colombiani fatti venire allo scopo. Il presidente Fujimori, per essersi avvalso di “squadroni della morte” per reprimere il dissenso, sta già scontando una condanna a 25 anni per violazione dei diritti umani.

Ciclista protesta per le critiche Rachel McKinnon, canadese, insegnante di filosofia presso la facoltà del South Carolina’s College of Charleston, ha vinto una medaglia d’oro ai Campionati del mondo di ciclismo su pista Masters Track anche quest’anno, come l’anno scorso, e una medaglia d’argento nella gara a cronometro. Eppure, ha ricevuto molte critiche che la rendono infelice. Perché? Perché McKinnon è un maschio… che ha fatto l’operazione per sembrare donna, ma ovviamente ha i muscoli e la struttura fisica e fisiologica di un uomo. L’ex campionessa di ciclismo Victoria Hood rifiuta l’ac-

cusa di transfobia, ma ritiene che una cosa sia il diritto di fare sport, un’altra sia il diritto di partecipare a qualsiasi competizione. McKinnon ha twittato, in risposta, che il suo corpo non produce più testosterone da quasi un decennio. Ma la produzione di testosterone non è l’unica fonte delle diverse capacità fisiche degli uomini e delle donne: la struttura ossea, il volume polmonare e la dimensione del cuore non sono alterati dalla terapia ormonale e il tessuto connettivo dei maschi resta più forte, come anche la densità muscolare resta più elevata, rispetto alle donne. 

Oche e bambini... Il Consiglio comunale di New York City ha vietato la vendita di paté di foie gras, la cui produzione comporta crudeltà sugli animali: le oche sono alimentate forzatamente per garantire fegati sufficientemente ingrassati. È lo stesso Consiglio comunale che paga per le spese di trasporto delle donne che arrivano a New York da altri Stati per abortire, dato che lì lo stesso legislatore ha consentito l’aborto per tutta la durata della gravidanza,

fino al momento della nascita e rifiuta di proteggere il diritto alla vita (o a una morte dignitosa) dei bambini che sopravvivono all’aborto. Anche la California non tollera il commercio di foie gras. Lì si compiono il 15% di tutti gli aborti statunitensi: non è previsto alcun periodo di attesa, alcun consenso dei genitori in caso di ragazzina minore e non è richiesto che la procedura venga espletata da un medico qualificato. 

… e nazisti animalisti Pare che molti funzionari nazisti fossero sostenitori dei diritti degli animali. Himmler voleva vietare la caccia e Göring emanò un decreto, su ordine di Hitler, che prevedeva la reclusione nei campi di concentramento

dei tedeschi che violavano le leggi sul benessere degli animali. Hitler, che era vegetariano, aveva progettato di vietare i macelli, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. 


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Cara Redazione, dopo aver visto il video in cui Toni Brandi fa ben capire la strategia dei Radicali a proposito dell’eutanasia, ho pensato che bisognerebbe contrapporre un video in cui persone malate o loro familiari spieghino quanto è preziosa la vita in ogni sua manifestazione ed espressione, compreso il vivere situazioni di dolore estremo e, apparentemente, insostenibile. Lo dico da persona che ebbe la madre, negli ultimi due anni e mezzo di vita, in condizioni di stato di incoscienza dovuto ad un ictus e come, da quella esperienza, culminata con la morte della persona malata, io sia uscita una persona migliore e rinnovata nei sentimenti e nello spirito. Purtroppo, ancora una volta bisogna ammettere che, mentre il diavolo, tramite i suoi adepti, accoliti e simpatizzanti, il suo sporco lavoro lo svolge molto bene, noi cristiani, spesso, dormiamo sonni beati... a parte persone, come voi di Pro Vita & Famiglia, che si battono per contrastare la deriva antropologica dell'uomo moderno (o post-moderno, che dir si voglia). Cordiali saluti Daniela


gennaio 2020

Versi per la vita SCOSSA Con scandaloso e ipocrita ritardo, adesso, un mondo fosco e infingardo, si accorge di una triste realtà: quella di vita persa e denatalità. Nel chiacchiericcio vuoto non si stanca di prospettar traguardi duraturi e ignora quel fattore a ciò che manca: l’affare di una macina tremenda che opera sui bimbi nascituri. È vergognosa e lugubre faccenda di cui nessuno chiede sia rimossa. Quando verrà il momento di una scossa?

PROPRIO INNOCENTE Proprio in-nocente e quindi non nocivo! Eppur ci fu chi non lo volle vivo, dicendo che l’aborto è una conquista. Stoltezza più arrogante fu mai vista. Eppure fu concesso che passasse come un diritto da pagar con tasse.

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Bobby Schindler Professione: difensore dei diritti dei disabili Francesco Agnoli

Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Bobby Schindler, il fratello di Terri Schindler, più nota con il cognome del marito: Terri Schiavo.

In risposta alla tragica morte di mia sorella, nel 2005, ho lasciato la cattedra di insegnante al Liceo Cattolico di Tampa (Florida) per dedicarmi a tempo pieno alla difesa dei diritti dei disabili.

I nostri Lettori conoscono bene la terribile storia di Terri Schiavo. Potrebbe spiegare loro chi è lei, Bobby Schindler, e che cosa è Terri Schiavo Life and Hope (Terri Schiavo vita e speranza)? «I miei genitori, Robert e Mary Schindler, hanno avuto tre figli. Terri è nata il 3 dicembre 1963, io sono nato 13 mesi dopo e mia sorella Suzanne è nata nel 1968. Terri era una bambina timida. A volte fino al punto di essere comica. Amava la musica, gli animali, l’arte. Aveva un piccolo circolo di amici, particolarmente cari i suoi compagni di scuola, i vicini di casa e i suoi parenti. Adorava in particolare i nonni. Nel 1983 ha incontrato Michael Schiavo. È stato il suo primo amore: si sono fidanzati dopo pochi mesi e sposati un anno dopo, lei aveva ventun anni. Nel 1990, a 26 anni, Terri ha avuto un misterioso arresto cardio-respiratorio di cui non si è mai capita la causa. Le è stata diagnosticata una encefalopatia ipossica, cioè un grave problema neurologico dovuto alla mancanza di ossigeno nel cervello. È


ottobre 2019

Bobby Schindler con suo padre.

stata attaccata a un ventilatore, anche se era capace di respirare da sola e manteneva le sue funzioni vitali. È rimasta comunque in uno stato neurologico gravemente compromesso. Una sonda consentiva di nutrirla e idratarla. Il 31 marzo del 2005 è morta disidratata, dopo essere stata per 13 giorni senza cibo e acqua per ordine del giudice George W. Greer, del tribunale di Pinellas-Pasco. Aveva 41 anni.

essere alimentati e idratati, la presunzione del desiderio di vivere, la denuncia verso la negazione delle cure, la protezione dall’eutanasia intesa come una branca della medicina, e il diritto all’accesso alla riabilitazione.

In risposta alla tragica morte di mia sorella, nel 2005, ho lasciato la cattedra di insegnante al Liceo Cattolico di Tampa (Florida) per dedicarmi a tempo pieno alla difesa dei diritti dei disabili.

L’organizzazione comprende un servizio telefonico di emergenza in caso di crisi attivo 24 ore su 24, per fornire ai pazienti a rischio e alle loro famiglie assistenza e consulenza medica e anche legale per fronteggiare le strutture sanitarie che vogliono negare le cure. Forniamo inoltre sostegno spirituale, emozionale e morale.

Nello stesso anno la mia famiglia ha fondato il Network Terri Schiavo Life & Hope, una organizzazione no-profit. La nostra mission è “promuovere il rispetto della dignità umana, al servizio delle persone medicalmente vulnerabili”. Realizziamo la nostra mission attraverso il sostegno alle qualità essenziali della dignità umana - in particolare il diritto a

Da quando abbiamo cominciato abbiamo avuto la grazia di incontrare tanta buona gente. Abbiamo servito più di 3.000 pazienti, con le loro famiglie, nei più diversi stati di bisogno. Perché? Credo che tutte le istanze pro life siano connesse. Dall’aborto, a situazioni come quella di Terri, al suicidio assistito, tutte queste istanze sono collegate

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Il Network Terri Schiavo Life and Hope è nato per «promuovere il rispetto della dignità umana, al servizio delle persone medicalmente vulnerabili»

Non ignorare mai le persone con disabilità: non hai idea di quanto loro possano incoraggiare te!

e tutte si sono andate tremendamente deteriorando qui negli Stati Uniti e in tutto il mondo». Il caso di Terri, Charlie e Alfie, Vincent Lambert: in tutto il mondo non si tratta solo di eutanasia, ma anche di ospedali-prigioni, di genitori minacciati, di giudici dispotici. C’è una grande congiura contro la vita... «È vero, e conseguentemente siamo diventati emozionalmente insensibili al valore e alla dignità della vita umana. Giustifichiamo l’omicidio per mille ragioni. Ma questo non vuol dire che dobbiamo smettere di fare ciò che possiamo e che è necessario per educare l’opinione pubblica, per ribadire che uccidere non è mai la risposta giusta per chi si trova in una situazione di debolezza fisica o psichica. Niente può sostituire la compassione e l’amore nel momento in cui dobbiamo avere cura dei più vulnerabili. Come ho detto, il problema è che troppa gente è diventata indifferente alla sacralità della vita umana. Perciò non si cura e non si cerca aiuto per coloro che hanno bisogno, ma si programma razionalmente la fine della loro vita o imponendo la morte, o assecondando il loro desiderio di suicidarsi. Eluana Englaro era in una situazione molto simile a quella di Terri. E, come per Terri, il

giudice ha approvato la sospensione di cibo e acqua. Tristemente, e all’insaputa dell’opinione pubblica, il cibo e l’acqua somministrati con una sonda sono stati ormai riclassificati e non rientrano più nelle cure ordinarie che vanno somministrate ai disabili: oggi mangiare e bere sono considerati trattamenti medici straordinari. Per questo sta diventando legale, non solo negli Stati Uniti, ma in un crescente numero di Paesi, rimuovere o negare il nutrimento e l’idratazione a pazienti che non sono terminali, che non si trovano in un contesto di “fine vita”. Questo mette a rischio la vita di un numero innumerevole di pazienti. In altre parole, si può legalmente procurare la morte di un paziente classificandolo in uno stato di “fine vita”, ma la classificazione è menzognera e nasconde il fatto che è stato qualcuno (un membro della famiglia, un medico, il sistema sanitario…) che ne ha intenzionalmente cercato e ottenuto la morte. Togliere cibo e acqua intenzionalmente, con l’obiettivo di procurare la morte, è uno schiaffo alla medicina e alla professione del medico, che è fondamentalmente pro vita, cura, guarisce e si prende cura. Si smantella un fondamento della medicina, per cui i pazienti vanno nutriti e idratati finché il nutrimento può essere metabolizzato dal loro organismo e non arreca loro alcun danno. Può accadere che in certi casi continuare a curare una persona vicina alla fine della sua vita diventi oneroso e l’accanimento terapeutico va evitato, ma ciò non vuol dire che la persona sia essa stessa un peso. In molti casi la persona disabile ha bisogno di tempo, amore, cura e riabilitazione, ha bisogno di un eroico difensore che riconosca che la sua


gennaio 2020

diminuita “qualità della vita” non può oscurare una vita intera. E a volte c’è ancora speranza in un futuro ricco di conquiste, ancora possibile con le giuste cure e con il giusto sostegno». Come possiamo combattere la cultura della morte? «Certamente nessuno desidera trovarsi in una situazione di disabilità e di perdita dell’autonomia. Ma poi queste cose accadono e sta a noi scegliere l’amore, la cura, il conforto, incoraggiando i disabili a fronteggiare la loro situazione. Questo in pratica vuol dire sviluppare una eroica testimonianza a favore della cultura della vita e dell’amore, anzitutto nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nel contesto in cui viviamo. Questo è tanto importante quanto lo è l’impegno pubblico nel campo sociale o legale. Ciascuno di noi può accogliere i membri della famiglia bisognosi di assistenza in casa, contribuire alla loro cura, visitare e passare del tempo con coloro che sono negli ospizi, nelle case di cura... Una cultura più sana e più umana è il desiderio ultimo di tutta la società umana. Possiamo tutti contribuire a costruirla a cominciare dall’atteggiamento che assumiamo nei confronti del nostro prossimo. Smettiamo le posizioni ciniche e ideologiche. Su questa via cominceremo

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a parlare un linguaggio condiviso tra tutti, un linguaggio che riaffermi l’amore, la vita, la pietà». Lei crede in Dio? Un ateo può essere pro life? «Io sono cresciuto in una famiglia cattolica e certamente sia la mia formazione che la mia vita familiare mi hanno aiutato a capire concetti come “dignità umana” e “rispetto per la persona” in modo differente da certi amici “secolarizzati” che invece danno maggior valore a concetti come “autonomia” e “indipendenza”, a spese di tutti gli altri valori. Comunque, sono stati i lunghi anni della battaglia della mia famiglia per la vita di Terri che mi hanno determinato a dedicarmi alla tutela dei malati indifesi. Certamente le nuove generazioni danno alla libertà un significato corrosivo e compromesso, che si traduce nella libertà del forte di imporre la propria volontà sul debole. Invece, mettere sullo stesso piano il valore inestimabile di ogni persona è semplicemente umano. Ciascuno di noi è membro della famiglia umana. E nella misura in cui escludiamo alcuni dei nostri fratelli e sorelle dall’appartenenza a quella famiglia, formiamo una cultura che continua ad abbracciare una mentalità pro morte. Possiamo fare di meglio». 

Il cervello umano, per quanto la scienza progredisca, resta sempre un mistero per la gran parte inesplorato. Nessuno può sapere davvero quale fosse il livello di coscienza (perché c’è coscienza!) di una persona che ha subito una lesione cerebrale come Terri Schiavo, o Eluana Englaro, o Vincent Lambert.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Dietro ogni porta c’è una Croce Claudio Vergamini

Una famiglia catapultata nel dramma di avere un familiare malato terminale.

Mia mamma tra non molto terminerà il suo viaggio sulla Terra. Circa un mese fa combatteva contro ripetuti dolori, non mangiava, e se lo faceva dava di stomaco; quando una mattina mio padre, forse leggendomi nel pensiero, decise di portarla al pronto soccorso, mi confidò che, tanti anni fa, sua mamma ebbe gli stessi sintomi, e quello fu il male che la uccise. Durante il giorno fui colto da oscuri presentimenti, sia per i lunghi tempi che richiedevano gli esami, ma soprattutto quando sentii che dovevano farle la Tac. Passò quattro giorni in pronto soccorso prima di essere ricoverata, ma già dal secondo giorno ci arrivarono le prime terribili voci: carcinosi peritoneale, probabilmente nemmeno operabile; voci che, nei giorni successivi, durante la degenza in ospedale, ci furono, purtroppo, confermate. Durante i giorni in ospedale siamo sempre lì a ogni orario di visita. Mamma riceve anche delle

Ringraziamo l’Autore per averci permesso di pubblicare una lettera che ci ha scritto mesi fa, quando la sua mamma stava per morire.


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telefonate da alcuni amici di Roma e dalle sue sorelle in Toscana, ma rifiuta di fare anche solo due passi, se non per andare in bagno, e rigorosamente accompagnata; non vuole vedere nemmeno la Tv, che guardava ogni giorno a casa per non poche ore: ha capito che questa volta non è il solito acciacco, il solito malanno con cui si convive facendosene una ragione, ma qualcosa di più serio. Non ci dice niente, e nemmeno noi le abbiamo detto nulla, sia quando aspettavamo gli esiti degli esami, sia quando abbiamo saputo che, essendo ormai in fase terminale, era inutile ogni terapia. Dopo un paio di settimane in ospedale fu dimessa e venne affidata alle cure domiciliari da parte di una struttura, con un infermiere che ogni mattina veniva a controllarla. Una o due volte alla settimana veniva il medico per una visita e per aggiornare la cura. Anche la nostra famiglia - io, mio padre, mio fratello e, non ultima, mia cognata (fa più cose lei in mezz’ora che noi altri insieme in un giorno) - è stata così catapultata nel dramma di avere un familiare malato terminale, nel

dover organizzare all’improvviso un’assistenza per non lasciarla sola nemmeno un minuto. Abbiamo dovuto imparare in fretta a gestire i medicinali, in quanto mia mamma dava spesso di stomaco, e gli unici farmaci che sembrava tollerare erano le iniezioni. Mamma i primi giorni del ritorno a casa stava un po’ meglio e, facendosi accompagnare, si spostava un po’ sul divano in sala da pranzo. Piano piano stava sempre meno sul divano, fino a non volerci più tornare, la voce si affievoliva sempre di più, parlava sempre meno, e infine emetteva solo qualche lamento e qualche parola spesso non comprensibile. Pochi giorni prima del suo ricovero in hospice residenziale non riusciva nemmeno a stare sulle gambe quando l’accompagnavamo in bagno. Durante tutto questo tempo gli stati d’animo miei sono stati, come prevedibile, altalenanti. Sono passato dalla forza di andare avanti, allo sconforto, allo strazio per i dolori lancinanti che la perseguitavano, al farmene una ragione: purtroppo la vita ci riserva anche questo, e

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Notizie Pro Vita & Famiglia

queste sofferenze logoranti non capitano solo agli altri. Tutti, prima o poi, in qualche modo, ne veniamo coinvolti, direttamente, meno direttamente o indirettamente. Io, in precedenza, mi mi sono sentito “a stretto contatto” con la morte solo vent’anni fa, quando mia cugina di 22 anni perse la vita in un drammatico incidente stradale. Non che non ci siano stati dei lutti che mi siano molto dispiaciuti, ma, in ognuno di questi, mi sentivo sempre non coinvolto del tutto, pur essendo partecipe ero comunque uno “spettatore”. Quando andavo a dei funerali, tante volte mi chiedevo se il prossimo avrebbe toccato la nostra famiglia, e come lo avrei affrontato, senza riuscire a darmi una risposta. Diverse volte nella mia mente scorre il film dei ricordi della vita di mia mamma, quei ricordi che scorrono lenti, in silenzio, smussati da ogni spigolo e senza alcun elemento di disturbo, avvolti da un’aura particolare, e non so mai se interromperne il flusso per risparmiarmi, forse egoisticamente, un dolore, oppure lasciarlo scorrere per far rivivere mia mamma che, purtroppo, non tornerà più. Mi sono sempre chiesto se sia meglio un evento luttuoso traumatico e improvviso ma, forse meno logorante, oppure uno in cui hai, fin dove è possibile, il tempo di prepararti, ma devi vedere piano piano spegnersi la persona che ami e, ogni giorno, immaginare il giorno delle sue esequie. In questo mese ho imparato ad accettare la volontà di Dio, l’unico che può decidere cosa ne sarà di noi. Tante volte Gli ho chiesto di darmi, di darci, la forza e di illuminarmi, di illuminarci, la strada per affrontare quella che è la Sua volontà e forse le mie richieste sono state ascoltate,

forse ho trovato la serenità e la capacità di accettare il fatto che mamma tornerà presto alla Casa del Padre, che la Sua volontà deve sempre essere fatta, e che, se sappiamo ascoltare, ci viene sempre dato modo di superare i momenti difficili, forse ci sono riuscito... anche perché non abbiamo altra scelta. Ho imparato anche ad apprezzare le persone che si hanno a fianco, familiari, amici, parenti, anche se imperfetti, anche se non sopportiamo alcuni loro difetti o abitudini, ma che, quando non ci saranno più, lasceranno inevitabilmente un vuoto che non sarà più colmato. Un’altra lezione è quella di evitare di pensare che gli altri stiano sempre meglio, tentazione molto frequente in questo periodo, soprattutto osservando chi ha entrambi i genitori, in quanto, come si dice, «Dietro ogni porta c’è una croce», e cioè che ci sarà sempre qualche dolore, qualche serio problema che, magari, noi non sappiamo. Nei primi giorni in cui ho appreso della malattia di mamma ho saputo che anche una persona con cui avevo interrotto i rapporti a causa di un’accesa discussione ha il padre ammalato di cancro, anche se, almeno lui, per fortuna, tutt’altro che spacciato. Non ho esitato un secondo a buttarmi dietro le spalle gli attriti di due anni, e l’ho chiamata subito, ci siamo parlati e dopo pochi giorni ci siamo rivisti a casa di amici, cosa che ha fatto un immenso piacere a entrambi. Oggi ci vediamo almeno una volta a settimana e ci sentiamo spesso telefonicamente. Anche per questo la malattia di mamma non è stata inutile. Chissà: il recupero di questa amicizia forse è stato proprio un dono che il Signore mi ha dato, rispondendo alle mie richieste di aiuto. 

La vita ci riserva anche questo: le sofferenze logoranti non capitano solo agli altri.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Carol Everett: dalla Planned Parenthood alla difesa della vita Sono davvero molti gli eroi pro life che da dipendenti del più grande abortificio d’America si sono convertiti a paladini del diritto di nascere di ogni bambino. In questa occasione abbiamo scelto di presentarvi Carol Everett.

Luca Scalise

I nostri Lettori sanno bene che l’International Planned Parenthood Federation gestisce la gran parte delle cliniche per aborto degli Usa. E siccome dietro alla cultura della morte che sottende l’abortismo c’è il dio-quattrino, e siccome questo volentieri condivide il potere che ha nella nostra società decadente con un suo collega, il dio-sesso, la Planned Parenthood propaganda e fornisce altresì il pacchetto “educazione sessuale + contraccezione” in tutto il mondo. Che l’ipersessualizzazione dei giovani convenga al business della contraccezione e dell’aborto dovrebbe essere abbastanza evidente. Per chi non fosse convinto del nesso, consigliamo di leggere o ascoltare le testimonianze di Carol Everett disponibili su You Tube e su diversi siti web. Come tante sue ex colleghe (prima fra tutte Abby Johnson, la protagonista del film Unplanned che abbiamo presentato nel numero di novembre e che tutti noi dobbiamo vedere), Carol spiega bene che l’aborto è anzitutto un business.

Una scena del film Unplanned che narra la storia di un’altra famosa conversione, quella di Abby Johnson, anche lei ex direttrice di una clinica Planned Parenthood

La futura cliente delle cliniche dell’aborto è la ragazzina che oggi ha 12 o 13 anni e che - se debitamente “educata” - ricorrerà all’aborto come metodo di controllo delle nascite.


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La Everett dichiara che i funzionari della Planned Parenthood come lei andavano nelle scuole a fare corsi di “educazione” sessuale con il chiaro intento di far fare alle ragazze, tra i 13 e i 18 anni, dai tre ai cinque aborti. «Per “creare il mercato” bisogna allontanare i figli dai genitori e dai loro valori, bisogna iper-sessualizzarli, dando loro informazioni sul sesso non richieste, possibilmente fin dalla scuola materna». Spiega la Everett che per raggiungere l’obiettivo (... vale la pena ripeterlo: da tre a cinque aborti per le ragazze di età compresa tra i 13 e 18 anni), ovviamente, non non si poteva andare dalle dodicenni a dire che dovevano farsi mettere incinte: «Bisogna abbattere la loro naturale modestia, separarle dai valori dei loro genitori e farle diventare “esperte” di sesso precocemente». Si può cominciare dall’asilo e si possono incoraggiare i primi contatti sessuali fin dalle elementari. «Alle adolescenti abbiamo offerto pillole anticoncezionali a basso dosaggio per 45 dollari al mese: sapevamo che in tal modo presto sarebbero rimaste incinte e avrebbero usato l’aborto come mezzo di contraccezione: più del 50% di chi lo fa precocemente lo ripete minimo una o due volte». «La mia provvigione era di 25 dollari e l’obiettivo era ottenere 40.000 aborti l’anno»: volevo diventare ricca in questo modo. Chi lavorava in clinica era addestrato a non usare mai la parola “bambino”. Alle donne bisognava inoculare la paura della gravidanza e del figlio e presentare l’aborto (subito, senza indugiare) come la soluzione di tutti i problemi. In un’ora si facevano dai dieci ai dodici aborti. Il più economico costava 300 dollari. Non c’erano protocolli, né cartelle cliniche: se ne segnavi dieci e ne facevi dodici non se ne accorgeva nessuno e i soldi entravano in tasca in nero: chi ci lavorava

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non era un dipendente, ma aveva un contratto di collaborazione esterna e veniva pagato in contanti su base giornaliera, quindi il fisco non poteva saperne niente. «Nel 1988 mi risulta che venissero dichiarati solo il 50% degli aborti... potete farvi un’idea di quanti bambini vengano uccisi ogni giorno»: ne scrivevamo già qualche anno fa sul nostro portale, www.provitaefamiglia.it. La testimonianza della Everett non poteva essere ignorata dalla lobby abortista, soprattutto dopo che il Texas, dove ella risiede, ha tolto i finanziamenti pubblici alla Planned Parenthood e li ha dati a Centri di aiuto alla vita come quello gestito da Carol. Ma lei non si spaventa delle accuse di scarsa efficienza che le vengono avanzate dai media liberal. Anzi. Lei compatisce i suoi detrattori perché sa bene quanto siano devastati psicologicamente gli abortisti: ha visto tanti suoi colleghi e dipendenti scoppiare e scappare via. Su tutto ricorda cosa le disse una prima di dare le dimissioni: «Ho avuto un incubo la scorsa notte. Tutti quei bambini erano seduti sul bordo del lavandino con le gambe incrociate. Erano come piccoli cherubini e tutti ridevano e mi salutavano con la mano... non posso buttarne un altro nella spazzatura».

Carol Everett, nelle sue testimonianze, racconta come da ragazza, nel 1973, abbia avuto un aborto. Per autogiustificarsi ha deciso di “diventare milionaria” vendendo aborti. Dopo aver procurato 35.000 aborti, dopo la morte di una donna e l'accesso in Pronto soccorso di altre 19, Dio le ha toccato il cuore. Nel 1983 ha incontrato l’amore salvifico di Gesù e la sua vita è cambiata. Si è resa conto che stava facendo del male alle donne, che non le stava aiutando. Ha deciso di rispondere alla chiamata di Dio e oggi si adopera per salvare le donne dall’aborto e offrire loro delle valide alternative a esso.


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Gli ideologi Lgbtqia(...) invitano le persone con vere - o presunte tendenze verso lo stesso sesso a fare outing, cioè a non tenere per sÊ certe pulsioni, ma a esternarle, a manifestarle pubblicamente


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Nausica Della Valle: outing al contrario Luca Marcolivio

«Omosessuali non si nasce, io non lo sono più e ora sono felice». Il suo “outing al contrario” ha suscitato clamore e curiosità ma, soprattutto, ha incoraggiato molti gay e lesbiche a confidarsi con lei sull’infelicità della loro condizione. La giornalista Mediaset Nausica Della Valle, 49 anni, nota in particolare come inviata di Quinta Colonna su Rete 4, sorprese tutti quando qualche anno fa svelò di aver abbandonato la sua omosessualità, a seguito di una conversione religiosa. Una scelta di vita che le è costata una valanga di critiche e di insulti da parte dei movimenti Lgbt, ma che le ha regalato una pace interiore mai conosciuta in precedenza. Il percorso di vita personale di Nausica Della Valle è sintetizzato in Nausica. La verità mi ha reso libera (Eternity, 2019), un libro in parte autobiografico, che raccoglie anche testimonianze di persone che, come lei, si sono lasciate alle spalle i comportamenti omosessuali. A Pro Vita & Famiglia la Della Valle ha raccontato la sua storia personale, ricordando una verità tanto scomoda quanto preziosa: dietro ogni omosessuale c’è una sofferenza lancinante, motivata dalla mancanza d’amore. Nausica, hai raccontato di essere stata omosessuale fino ai tuoi 44 anni. Com’era stata la tua vita fino ad allora? «Fino a 44 anni, la mia vita è stata piena di ferite nell’anima. I miei genitori, quando mi aspettavano, avrebbero voluto un maschio, quindi, da bambina, la mia sensazione era che non mi amassero o non mi accettassero. Vedevo mia madre severa con me ma debole con mio padre, al punto che io, in modo automatico, cominciai a rifiutare quell’immagine e a guardare soprattutto a quella di mio padre, più forte e più intraprendente. Alle elementari il primo corteggiamento lo ricevetti da una bambina, la quale mi considerava un maschietto perché portavo i capelli corti. Da lì ho cominciato a comportarmi come se fossi un ragazzo e a prendermi quelle attenzioni che in casa non ricevevo, quindi a cercare nelle donne


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quell’amore che non avevo ricevuto da mia madre. Nello scrivere il mio libro ho consultato e letto molti psicologi, le cui opinioni convergevano su un punto: alla radice del comportamento omosessuale c’è una mancanza d’amore. Ovviamente ogni storia personale è diversa dall’altra, ci sono ferite generate in alcuni casi da un rifiuto, in altri casi dall’abbandono o da violenza e abusi, anche sessuali, dentro o fuori dalla famiglia. Quando ci si scontra con la mancanza d’amore le valvole di sfogo sono quasi sempre le stesse: ti butti nel cibo, nelle gratificazioni sessuali, nell’alcool o nella droga. Nel mio caso furono il cibo (ho sofferto a lungo di bulimia e di anoressia) e il sesso». Come ne sei uscita? «Grazie all’incontro con Gesù che mi ha parlato e riempito di un amore sovrannaturale, di una pace e di una gioia che non avevo mai sentito in vita mia e che nessun essere umano mi aveva mai dato. Gesù mi ha spiegato chiaramente che Dio aveva creato l’uomo e la donna e che tutto ciò che era al di fuori della sua creazione era un inganno a opera del principe della menzogna. Per me fu uno choc, dal momento che ero cresciuta con slogan del tipo: “L’amore non ha sesso”, “gay si nasce”, “Dio è amore”… Io mi ero convinta di essere nata lesbica e, come tale, ho vissuto fino a 44 anni, poi, leggendo la Bibbia, in particolare passi come Levitico 18,22, Romani 1,24-32 o 1 Corinzi 6,10-11, ho compreso che l’omosessualità per Dio è un abominio. Tremavo come una foglia mentre leggevo quei passi, mi sentivo spacciata, poi però ho pregato: "Signore, se io persevero in questa condizione, appartengo a Satana… ma io voglio appartenere a te!". L’obbedienza mi ha liberato e mi ha fatto uscire da quella condizione: lasciai la mia compagna,

mi allontanai dall’ambiente omosessuale, mi ritrovai sola ma il Signore non ha perso tempo a circondarmi di fratelli e di sorelle, mi ha messo una grande fame della parola di Dio e questo mi ha fatto capire molte cose. In cinque anni non mi sono mai pentita, nemmeno per un momento, di questo cambiamento». La tua scelta di vita ha suscitato ostilità nel mondo Lgbt che prima frequentavi? «Sì, molti rappresentanti della lobby gay si sono scatenati contro di me, dandomi dell’omofoba. Ovviamente non lo sono affatto, amo profondamente gli omosessuali e, proprio per questo, voglio dire loro la verità. Se volessi, potrei dire: “Io sono stata salvata, che mi importa di voi, andate pure all’inferno…”. Invece no, è proprio l’amore che ho per loro che mi spinge a dire la verità, non mi interessa se mi offendono o se dovessi rischiare il mio posto di lavoro. In compenso sono tanti gli omosessuali, uomini e donne, che mi contattano, si confidano e mi dicono che vorrebbero venirne fuori. Normalmente i maschi hanno problemi con il papà, le femmine con la mamma. Possono esserci situazioni di divorzio in famiglia, di abbandono, di abusi, di padri troppo ossessivi e dagli atteggiamenti umilianti o, al contrario, troppo assenti, che si manifestano solo nei regali con cui cercano di comprare l’amore dei figli. Questi bambini, però, sono privi della presenza maschile. Qualche tempo fa Le Iene hanno raccolto la testimonianza di Alessandro, un ragazzo di Palermo, il cui padre andò via di casa quando lui aveva appena otto mesi. Lui è cresciuto soltanto con la madre e la sorella. La madre ha riversato su di lui tutto l’amore possibile, perché anche lei si era sentita tradita e non desiderata. Diceva di sentirsi tutt’uno con la madre, di sentire anche il suo dolore. Essendo

«Amo profondamente gli omosessuali e, proprio per questo, voglio dire loro la verità».


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mancata una figura maschile in casa, Alessandro ha iniziato ad assumere atteggiamenti effeminati e, tra i coetanei, a essere etichettato come gay. Lui, poi, gay lo è diventato veramente per assecondarli ed essere accettato. Oggi è uscito da questo meccanismo ed è diventato un guerriero, tutt’altra persona. Le storie di ex gay ed ex lesbiche che ho raccolto nel mio libro sono di persone che, dopo aver sentito la mia testimonianza, hanno preso coraggio e hanno iniziato un percorso per uscire dall’omosessualità. Un po’ tutti hanno un passato di abusi, di abbandono, di anoressia, di bulimia o di droga: oggi però sono liberi, come fossero tornati all’origine. Io sono stata per anni in quella condizione e so quanta sofferenza si prova, è inutile far passare l’omosessualità per quello che non è, possono farlo credere a molti ma non a chi ci è stato dentro. L’omosessuale è la persona più sensibile in assoluto, perché ha sofferto e subito come pochi. Per questo, quando faccio le mie testimonianze, raccomando sempre di non giudicare gli omosessuali, ma di accoglierli, di abbracciarli e di far sentire loro l’amore di Dio». Sull’omosessualità c’è ancora libertà di parola? Oppure siamo inevitabilmente condannati alla dittatura del politicamente corretto? «Grazie a Dio, finora un minimo di libertà d’opinione su queste materie ancora c’è. A differenza di altri Paesi dove non si possono nemmeno leggere in pubblico i passi biblici sull’omosessualità noi italiani ancora possiamo dibattere su questi temi. Dietro alle battaglie dell’Arcigay e dei gruppi Lgbt vedo soprattutto molta paura. Penso a quanto avvenne al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, lo scorso marzo: è stata una pacifica manifestazione per la vita e per la famiglia,

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invece loro si sono sentiti attaccati. Oggi essere omosessuali è diventato una sorta di moda e la “famiglia arcobaleno”, da Barbara D’Urso ma anche nelle scuole, viene promossa come la cosa più normale del mondo. È propaganda e, come diceva Goebbels, una bugia ripetuta più volte diventa una verità. Stanno indottrinando i più piccoli: poco tempo fa mi hanno raccontato di una drag queen andata in una scuola a raccontare la favola di un bambino con due papà. Un bambino, però, si è alzato: “Come… due papà?!?”. E lei lo spacciava come una cosa normale!». Hai parlato della tua conversione umana come frutto di una conversione religiosa: ritieni, tuttavia, che un percorso di vita come il tuo possa essere fatto anche da chi non crede? «Sì. La rivista Science ha riportato una ricerca secondo la quale non esiste alcun gene dell’omosessualità. Se Dio non l’ha creata (ha creato Adamo ed Eva, non Adamo e Adamo o Eva ed Eva!) e la scienza la nega, da dove viene fuori allora l’omosessualità? Sicuramente è condizionata dalla grande mancanza d’amore che c’è in molte famiglie e che genera ferite nell’anima. L’omosessualità non è una malattia ma sicuramente nasce da un disturbo anaffettivo che parte dall’infanzia. Da queste ferite si può guarire e le molte persone che mi scrivono o che mi hanno offerto la loro testimonianza ne sono la dimostrazione». 


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Un anno da trans Sydney Wright

La nostra cultura ha avviato una corsa verso la transizione di genere che si tradurrà solo in corpi sfregiati e vite rovinate. I politici e la comunità medica sono complici.

Non riesco capacitarmi di tutto quello che ho fatto a me stessa negli ultimi due anni della mia vita, né tanto meno dell’“aiuto” - per modo di dire - che alcuni operatori sanitari mi hanno dato. Due anni fa ero una ragazza sana e bella che si stava per diplomare. In poco tempo mi sono trasformata in un incubo sovrappeso e prediabetico, in un “uomo” transgender. Non voglio dare tutta la colpa ai medici che mi hanno assistito, perché avrei dovuto ragionarci di più con la mia testa. Ma sicuramente gli operatori sanitari mi hanno aiutato a farmi molto male, e loro ci hanno guadagnato un sacco di soldi. ECCO LA MIA STORIA Fin da piccola mi sentivo sempre diversa dalle altre ragazzine. Mi piaceva vestirmi da maschio e fare giochi da maschio: ero un classico “maschiaccio”. Quando sono cresciuta mi interessavo e mi innamoravo di altre ragazze: a eccezione di un ragazzo con cui sono uscita per un po’ quando ero al liceo, sono uscita sempre esclusivamente con ragazze. Non sembravo lesbica. Avevo i capelli lunghi e biondi, mi truccavo e mi comportavo in modo piuttosto femminile. Ma nella mia testa sapevo

Non mi è capitato di leggere alcun articolo sul rimpianto dei transgender pentiti o sugli enormi problemi di salute che potevano derivare dalla transizione.


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Sydney prima della “transizione”. «Due anni fa ero una ragazza sana e bella che si stava per diplomare. In poco tempo mi sono trasformata in un incubo sovrappeso e prediabetico, in un “uomo” transgender».

Sydney Wright è una rappresentante di commercio e studia presso il Georgia Northwestern Technical College. Ha scritto questa toccante testimonianza per il Daily Signal, cui abbiamo chiesto il permesso di pubblicazione. La traduzione, a cura della Redazione, non è stata rivista dall’Autrice. di essere lesbica, anche se a me gli omosessuali non piacevano. Non mi piacevano né le lesbiche, né i gay e non volevo essere associata a loro. Eppure frequentavo solo altre ragazze. Quando avevo 17 anni i miei genitori avevano già divorziato da tempo e vivevo con mio padre. Ma quando lui ha scoperto che uscivo con le femmine mi ha cacciato di casa. E così mi sono trasferita da mia madre. Poco dopo mi sono tagliata i capelli: una decisione che ha fatto soffrire entrambi i miei genitori. Ma quello che è successo dopo li ha addolorati molto molto di più. A 18 anni ho iniziato a interessarmi alle “storie di successo” di persone transgender su Instagram. Le donne che si erano

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trasformate in uomini dicevano di essere finalmente come si erano sempre “sentite” e dicevano che nessuno immaginava che fossero state donne prima della transizione.

Sydney dopo un anno di ormoni, con il nonno.

Tutte storie a lieto fine, per cui ho cominciato a essere invidiosa. Se mi tenevo per mano con una ragazza in pubblico mi sentivo come se tutti lo notassero e mi disapprovassero. Fossi stata transgender avrei potuto uscire con le ragazze senza attirare l’attenzione. TUTTO CIÒ CHE LEGGEVO MI SPINGEVA A FAVORE DELLA TRANSIZIONE Veniva presentata come un gesto coraggioso, quindi doloroso, ma che sarebbe stato molto bello. Purtroppo, non mi è capitato alcun articolo sul rimpianto dei transgender pentiti o sugli enormi problemi di salute che potevano derivare dalla transizione. Ho anche cercato libri che discutessero criticamente della questione e offrissero opinioni contrastanti, ma ho trovato solo autori pro-transgender. E allora, se tutti gli “esperti” erano a favore della transizione, perché non farla? Ogni giorno che passava, mi vedevo come una terribile pervertita, una lesbica contro natura. Odiavo quell’immagine di me. Volevo essere un ragazzo per stare con le ragazze. Alla fine ho cercato su Google come fare per diventare maschio. Il primo passo è stato trovare un terapista che mi scrivesse una lettera con l’autorizzazione a iniziare gli ormoni maschili. Presto ne ho trovato una che ha detto che mi avrebbe aiutato: io le ho detto che avrei voluto iniziare gli ormoni il giorno del mio diciannovesimo compleanno, di lì a cinque settimane. Per lei andava bene, bastava solo un appuntamento di un’ora ogni settimana. Avrei dovuto capire che non è un tempo sufficiente per conoscere qualcuno! E invece

quelle cinque ore mi hanno procurato la famosa lettera per cominciare la terapia ormonale e per cambiare il sesso indicato sulla patente. Niente e nessuno mi ha mai frenato. Ora mi rendo conto che è davvero un grosso problema il fatto che sia stato tanto facile. Se la terapeuta fosse andata più piano e fosse stata più attenta, avrebbe visto che in realtà non ero trans. Ma io pensavo che il mio genere fosse maschile, e la terapeuta mi ha “guidato” nel “confermarlo” e mi ha fatto convincere definitivamente che il cambiamento di sesso era ciò di cui avevo bisogno. Anche i miei amici mi incoraggiavano alla transizione. «Sei una ragazza sexy», mi dicevano. «Sarai anche un ragazzo figo!». Alcuni avevano paura di dire qualcosa di contrario e così non ho mai avuto critiche da nessuno. In realtà, ora ho capito, che non ero affatto un maschio: ero semplicemente una ragazza


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Mi ha sorpreso, pensavo che me lo avrebbe somministrato lui. Ha sarcasticamente suggerito che potevo guidare per quattro ore per ottenere i medicinali, e poi tornare nel suo ufficio per farmeli somministrare… impossibile. «Del resto non puoi sbagliare nel prenderlo»: a casa avrei potuto capirlo bene guardando un video su YouTube. Questo, onestamente, mi ha spaventato. Avrebbe potuto essere un segnale di pericolo per farmi desistere: a quel medico di me non importava, voleva solo il denaro ed era sicuro che non sarebbe stato responsabile per gli effetti collaterali che potevo avere a causa del trattamento: aveva la lettera!

insicura che non voleva atteggiarsi più da maschiaccio o da lesbica in pubblico. La terapista non ha mai tentato ascoltarmi davvero per capirlo. Invece, mi faceva domande del tipo: «Quando hai iniziato a sentirti così», o «Perché ti senti così?»… Non una volta che abbia toccato dei tasti che potessero frenarmi e impedirmi di cambiare genere. LA TRUFFA CHE MI HA SFREGIATO Una volta ricevuta la lettera andai da un dottore ad Atlanta per cominciare quello che si rivelò essere il peggior trattamento della mia vita.

In quel momento invece io ero accecata dall’illusione. Pensavo che la transizione di genere mi avrebbe reso “normale”. Sfortunatamente, questa non era la realtà che mi aspettava. HO COMINCIATO A DISTRUGGERE IL MIO STESSO CORPO Le iniezioni di ormoni maschili hanno iniziato ad avere il loro effetto, ma non nel modo in cui mi aspettavo. Ho iniziato a ingrassare sempre più. La mia pelle ha iniziato a diventare sempre più gonfia e scolorita. Il mio sangue ha iniziato ad addensarsi. Le analisi del sangue che facevo ogni tre mesi dicevano inoltre che ora ero in una fase “pre-diabetica”.

Non ero un maschio, e il farmi sentire tale era l’ultima cosa di cui avevo bisogno. Il dottore entrò e mi chiese se avevo qualche domanda. Gli dissi: «Sono solo un po’ nervosa». Allora mi ha chiesto: «Non vuoi farlo?». Ho risposto «Sì», e lui ha detto: «Va bene. Dov’è la tua lettera?». Gliel’ho data, ma non l’ha neanche aperta, avrebbe potuto esserci scritto qualsiasi cosa. Disse: «Ti prescrivo il testosterone».

Non ero un maschio, e il farmi sentire tale era l'ultima cosa di cui avevo bisogno.


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Il medico che mi seguiva nella transizione diceva di non preoccuparmi, ma ho deciso di consultare un altro medico per una seconda opinione. Questo ha detto che il mio sangue addensato mi metteva a rischio di infarto o ictus. Eppure ho continuato per quasi un anno. Durante quel periodo ho preso più di 22 chili. È stato un periodo miserabile. Nessuno dei problemi che pensavo di risolvere si semplificava e ho perso la fiducia in me stessa più di prima. HO INIZIATO A PROVARE RIMPIANTO Sfortunatamente ero bloccata in quell’incubo: avevo già dichiarato a tutti che ero quello che ero. Avevo cambiato il mio genere e avevo costretto le persone a chiamarmi con un nuovo nome: Jaxson. Al lavoro, gli uomini avevano imparato a star bene con la loro ex collega che ora utilizzava il loro stesso bagno. Tutti erano estremamente cauti intorno a me, tutti avevano una gran paura di ciò che sarebbe potuto accadere se avessero obiettato qualcosa (troppi datori di lavoro sono stati citati in giudizio per questo genere di cose). Nessuno poteva dirmi che stavo sbagliando, nessuno poteva dirmi «Ehi, svegliati!». Al massimo, un paio di anime coraggiose hanno provato a chiedermi se ne ero sicura. Nel frattempo, mia madre piangeva quotidianamente, incolpando sempre se stessa per il male che mi stavo facendo. Alla fine, un giorno, mio ​​nonno mi fece sedere con lui per parlarne. Mio nonno era, e rimarrà, l’unica persona di cui mi interessa davvero l’opinione. Con le lacrime agli occhi, mi ha chiesto di smettere.

In sole cinque ore di psicoterapia ho ottenuto la lettera che mi autorizzava a cominciare la cura ormonale. Tutto in me voleva andare avanti, non perché lo volessi davvero, ma per orgoglio. «Cosa penseranno le persone?», pensavo. «Se improvvisamente mi fermo, cosa dico alla gente?». Queste domande mi logoravano. Eppure c’era mio nonno, l’uomo che rispetto di più, che mi supplicava di smettere. Non potevo dirgli di no. È stata una grazia salvifica. Avrei lasciato che questo trattamento mi uccidesse prima di ammettere di aver sbagliato. Il suo intervento credo mi abbia salvato la vita. Così ho deciso di smettere ma, sfortunatamente, non è stato così semplice. Nemmeno due settimane dopo l’interruzione del trattamento ormonale sono cominciate le crisi di astinenza. Prostrata sul pavimento gemevo, piangevo, vomitavo, non riuscivo a tenere niente nello stomaco e non riuscivo affatto a mangiare. Stare male tutti i giorni, ogni singolo giorno, è stato estenuante. Sono andata al pronto soccorso tre volte e ho dovuto subire due trattamenti sanitari per capire cosa mi stava succedendo. Il mio equilibrio ormonale era sfasato, e io mi sentivo in uno stato miserabile.

Nessuno poteva dirmi che stavo sbagliando, nessuno poteva dirmi: «Ehi, svegliati!». Al massimo, un paio di anime coraggiose hanno provato a chiedermi se ne ero sicura.


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L’ultima volta che sono dovuta andare al pronto soccorso stavo facendo la doccia e improvvisamente sono andata in astinenza. Ho chiamato mia madre, che ha ha impiegato mezz’ora per arrivare, mi ha tirato fuori dalla doccia e mi ha portato in ospedale. Non pensavo sarei sopravvissuta.

comprare alcolici, ma ero abbastanza grande per andare da un terapeuta e farmi dare gli ormoni per cambiare sesso. Questo accade a ragazzini ancor più giovani di me, e gli adulti sono “assenti ingiustificati”! Quando entri in queste cliniche non vedi mai persone anziane in giro. Sono i ragazzi e ragazzini che giocano a travestirsi, portati lì da genitori incoscienti, in attesa dell’appuntamento che probabilmente rovinerà la loro vita.

Mentre attendevo che mi dessero dei sedativi, supplicai mia madre di farmi ricoverare in ospedale. «Morirò se torno a casa», le dissi. Sedevamo piangendo finché non ho perso i sensi per via dei farmaci che mi hanno dato. Pensavo davvero che non ce l’avrei fatta. FINALMENTE LA SPERANZA Dopo quattro lunghi, estenuanti mesi in cui ogni giorno stavo male, ho cominciato a perdere peso e finalmente pian piano sono tornata a una vita quasi normale. Ora sono più stabile, ma il mio corpo è pieno di “cicatrici” lasciate dalla terapia di genere. La mia voce è ancora profonda e sembro molto un maschio. Ho mille dollari di meno ed è solo una parte di ciò che l’assicurazione ha pagato. E, a causa della lettera della terapeuta che diceva che sono un maschio, la mia patente di guida ora è di un maschio: dovrò presentarmi in tribunale per dimostrare che sono di nuovo una femmina. Tuttavia, mi sento fortunata per aver lasciato da viva l’orribile strada che avevo preso, e prima di subire mutilazioni chirurgiche del mio corpo. È folle per me che la nostra società permetta che accadano cose del genere ai giovani. All’età di diciott’anni non potevo nemmeno

Spero di non essere la sola a riscontrare il grave problema sociale che sta emergendo. La nostra cultura ha avviato una corsa verso la transizione di genere che si tradurrà solo in corpi sfregiati e vite rovinate - e la comunità medica è complice. Ho incontrato di persona questi dottori e ho dato loro i miei soldi. Posso garantire che non gli importava. Dovrebbe scattare un allarme di salute pubblica ma i nostri media e i politici stanno completamente ignorando la cosa. Ogni giorno vengono ingannati sempre più giovani, cui viene detto che la soluzione ai loro problemi di insicurezza e identità è ottenere un cambiamento di sesso. Questa è la peggior cosa che puoi fare a un ragazzo. Fino a quando non faremo qualcosa, fino a quando la comunità medica non si metterà seriamente in allerta e comincerà a lavorare con la dovuta diligenza - e fino a quando i politici non cambieranno atteggiamento vedremo sempre più giovani sfregiati a vita. Spero che la mia storia possa servire da campanello d’allarme per salvare qualche ragazzo o qualche ragazza dalla miseria e dal dolore che ho vissuto io.

Sydney sei mesi dopo aver smesso gli ormoni

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Debora Vezzani: la musica della vita Giulia Tanel

Dire «Sì» alla vita a dispetto delle opinioni del mondo, per fare la volontà di Dio e anelare alla felicità: questa è la storia della cantautrice Debora Vezzani e di suo marito Jury Castellana, sposati dal 2 giugno 2016 e ora in attesa del loro terzo maschietto. Pro Vita & Famiglia li ha raggiunti per un’intervista “di coppia”. Cari Debora e Jury, nel fidanzamento avevate parlato di come avreste vissuto l’apertura alla vita nel matrimonio? «Sì, da fidanzati abbiamo parlato di tutte le cose più importanti della fede, tra le quali anche l’apertura alla vita ed eravamo tutti e due perfettamente in sintonia nell’essere completamente disponibili ad accogliere i figli che Dio avrebbe voluto donarci. Pensiamo infatti che non siamo noi a “creare” i figli, noi semplicemente li accogliamo». Dopo 16 mesi di matrimonio è nato il vostro primo figlio, Emmanuele Maria, che oggi ha poco più di due anni. Qual è il cambiamento più grande che la genitorialità ha portato con sé? «Il cambiamento più grande è stato quello di imparare ad amare davvero, a

Cantautrice, classe 1984, Debora ha scoperto la fede e ha iniziato un cammino di conversione musicando il Salmo 139, sul quale ha scritto il brano Come un Prodigio. Ha subito grandi ferite affettive: ha sempre saputo di essere stata adottata perché sua madre l’ha abbandonata: «Questo ha generato in me fin dalla più tenera età la sensazione che non avrei dovuto essere al mondo». Poi i suoi genitori adottivi si sono separati, ma con la conversione ha potuto scoprire i tanti prodigi che Dio ha compiuto nella sua vita e ha composto tante canzoni attraverso le quali trasmette l’Amore di Dio: «Risorgere dalle ferite e dai propri fallimenti e fare della propria vita un capolavoro è possibile!».


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fare sul serio. Nel senso che un figlio ti porta inevitabilmente a spogliarti del tuo “io”, perché ti devi dedicare completamente a un’altra persona che ti assorbe tutto il tempo e tutte le energie. Un figlio “sprogramma” la vita: il fatto di non dormire la notte, di ricalcolare tutto il proprio tempo, di ripensare la giornata… ovviamente ci sono tante fatiche, come per esempio il non sapere se quel giorno riuscirai a fare una doccia, però tutto questo fa parte della logica del dono, dell’amore. Un figlio ti mette in condizione di imparare ad amare». Quasi neanche il tempo di svezzare il primo figlio, ed ecco già che la vita del vostro secondo bimbo, Joseph Maria, era sbocciata. Come avete reagito alla notizia? «Solo sette mesi dopo la nascita del nostro primogenito abbiamo scoperto di aspettare un altro bambino. Subito siamo rimasti pieni di gioia. Eravamo sicuramente consapevoli di doverci riorganizzare di nuovo, e in modo ancora più profondo, in tutti gli aspetti della nostra vita e sapevamo anche che le “fatiche” sarebbero aumentate, però dentro il nostro cuore c’era solo la gioia di vedere come il Signore ci aveva donato un altro figlio». E le persone attorno a voi? Familiari, amici, semplici conoscenze?

Debora, Jury e uno dei loro figli

«In mezzo al clima di festa e gioia c’erano dei turbamenti che ci attraversavano il cuore proprio al timore delle reazioni delle persone accanto a noi. Non tanto perché l’opinione degli altri ci condizioni o perché ci sentissimo in dovere di rendere conto di cosa pensavamo agli altri, perché noi andiamo avanti per la nostra strada, però ci dispiacevamo al pensiero di dover ribattere a eventuali frasi od obiezioni tipiche “del mondo”, perché questo avrebbe rovinato un po’ la nostra gioia. Reazioni che, per la cronaca, sono puntualmente arrivate, anche da familiari a noi molti vicini. In molti ci hanno infatti sottolineato la fatica, i problemi dell’avere un altro figlio così presto… ci siamo sentiti dire cose come: “Ma l’avete voluto o è arrivato?”, “Voi siete pazzi!”, “Ma ora come fate ad andare avanti con le testimonianze?”, “… e con la casa?”. Frasi che hanno inserito nella nostra vita tante preoccupazioni, andando un po’ a intaccare la gioia.

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Domande che ti mettono in condizione di giustificarti su ciò che in realtà è soltanto felicità. Si fanno così tante fatiche per le cose del mondo, anche banali e superficiali, ma a quelle la gente non fa attenzione, invece per due figli così vicini si apre uno scandalo, se così si può dire». Arriviamo ora al capitolo più recente: dopo due mesi dalla nascita del vostro secondo figlio e dopo diciotto mesi dal primogenito, siete attualmente in attesa della vostra terza creatura, Giovanni Maria. Un altro dono... «Anche in questo caso eravamo felicissimi e, diciamolo, anche molto stupiti per la generosità di Dio… chi se lo aspettava?!? Abbiamo vissuto il nostro matrimonio con tanta semplicità e apertura alla vita: senza programmare, evitare, posticipare l’arrivo di un figlio… semplicemente non li abbiamo né cercati, né evitati. Quel che succedeva, succedeva. E questo, lo chiariamo, non perché abbiamo tanti soldi, o una casa grande, o molti aiuti, ma perché l’apertura alla vita è una risposta alla nostra vocazione matrimoniale, al disegno di Dio per noi». Anche in questo caso: come hanno reagito le persone attorno a voi alla notizia? Per molti sarete degli incoscienti... «Beh, quelle nuvolette di preoccupazione che c’erano per il secondo figlio rispetto alla reazione degli altri, in questo caso erano ancora più grandi proprio perché avevamo visto che le reazioni negative della gente erano arrivate e che eravamo quasi – quasi! – gli unici a esultare e a gioire di una cosa così bella. Si potrebbe dire, riassumendo, che al primo figlio tutti ti fanno i complimenti, tutti sono contenti e c’è una festa generale; al secondo figlio, soprattutto se è vicino, le persone iniziano a sollevare dubbi, a chiedere se è un errore; al terzo figlio noti l’angoscia nelle persone, che ti sollevano soltanto i problemi legati a una gravidanza, a un nuovo parto, a una nuova nascita, a come affrontare tutto. Non si tratta certo del 100% delle persone,

però una buonissima parte non è preparata ad accogliere la vita per come ci chiede Dio. Dio che non chiede a tutti di fare dieci figli: c’è a chi ne dona uno, a chi nessuno, a chi tanti… per ogni famiglia c’è un piano personale: Lui sa qual è il nostro massimo bene e qual è il nostro compito nella vita. Però ecco, il mondo generalmente non è pronto a questo, pensa a fare tutto con le proprie mani e le proprie forze, senza abbandonarsi alla volontà di Dio, e quindi questa mentalità diffusa fa sì che avere tre bambini così vicini sia difficile da capire. Alcune volte siamo anche stati rimproverati… e lo siamo tuttora, soprattutto da parte di alcuni dei nostri genitori, che continuano a criticarci e a farci pesare la nostra apertura alla vita. Per reazione, noi ci siamo immersi ancora di più in Dio per capire meglio il mistero della vita, non adeguandoci ai ragionamenti del mondo».


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Due figli molto piccoli, una gravidanza in corso, un lavoro impegnativo e che implica anche delle trasferte... come riuscite a far quadrare tutto? «Qui chiediamo l’aiuto dei Lettori con qualche consiglio! No, scherzi a parte, non lo sappiamo neanche noi come facciamo, però ce la stiamo facendo: se il Signore dona qualcosa, mette anche in condizione di portarlo avanti. Quando aspettavo il primo figlio si sono sollevate subito le obiezioni sui viaggi, sul fiato per cantare, sulle nausee, etc… però abbiamo detto al Signore: “Va bene tutto, basta che ci fai capire cosa fare: ma se ho le nausee, non posso cantare e se sto male, non posso viaggiare”. E tutte e tre le gravidanze sono andate benissimo dal punto di vista della salute. Ovviamente ci sono le fatiche e abbiamo dovuto riorganizzarci, per esempio non sempre ci spostiamo tutti per le testimonianze, però il Signore sta rendendo tutto possibile. Vedremo come sarà con il terzo figlio: quando nascerà e ci sarà il nuovo riassetto familiare vedremo come riusciremo a giostrare tutto e quali nuove vie si apriranno. Questo poi ci ha anche fatto crescere molto dal punto di vista spirituale, perché abbiamo provato nella nostra vita che stando nella volontà di Dio tutto è possibile e che non bisogna avere paura di niente. Un figlio è un dono di Dio e Dio “non ci frega”!». Tanta stanchezza e quasi nulla tempo per sé... perché vale la pena dire il proprio sì incondizionato alla vita? «Noi crediamo che la vita sia sacra e che Dio ha dato il Suo sangue per gli uomini. Quindi non siamo noi a decidere se, come e quando una persona debba venire al mondo: noi siamo totalmente abbandonati alla volontà di Dio su questo aspetto. Lui è il padrone della vita e della storia e viene in nostro aiuto a compensare e a supplire laddove noi non arriviamo umanamente ed è fedele alle Sue promesse. E comunque quando si guardano i propri bambini tutte le stanchezze svaniscono e si pensa: “Li rifarei diecimila volte!”. Poi va anche considerato che viviamo in un mondo che non è predisposto all’apertura alla vita: tutto è veloce,

Il nuovo libro di Debora Vezzani, uscito a fine novembre.

tutto è basato sull’uomo adulto, tanti fattori non sono compatibili con una famiglia con bambini piccoli… e questo fa fare ancora più fatica, mette in difficoltà e crea una stanchezza aggiunta. Bisognerebbe tornare a una mentalità dove è normale fare figli: possono venire o meno, ma se vengono è normale. Sarebbe tutto più facile se l’ambiente fosse diverso, e questo purtroppo anche in ambito cattolico. Ma nemmeno questo ci demoralizza: il trionfo del Cuore Immacolato di Maria è vicino e la Madonna a Medjugorje ha detto ai veggenti “Fate tanti figli e sarete felici!”». 

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È il coraggio - che una volta si chiamava “fortezza” - l’ingrediente fondamentale che si richiede agli uomini della postmodernità


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L’eroismo del padre Stefano Parenti

Uno psicologo e psicoterapueta ci spiega che gli uomini adulti, e soprattutto i padri, oggi sono chiamati a riscoprire la virtù della fortezza e del sacrificio, per la piena realizzazione di sé e per il bene dei loro familiari. Sono ormai diversi i decenni in cui gli osservatori più acuti di questo “cambiamento d’epoca” che stiamo attraversando, come lo ha definito il Papa, hanno denunciato la tragica scomparsa della virilità, la cui forma più evidente è l’assenza del padre. Dal celebre (ma ambiguo) Verso una società senza padri dello psicoanalista Alexander Mitscherlich, alle dense pagine della Redemptoris custos di Giovanni Paolo II, sino agli affondi di Claudio Risé e Roberto Marchesini sui padri assenti e gli uomini in crisi, emerge come le grandi ideologie degli ultimi tre secoli abbiano ormai completamente capovolto la cultura tradizionale del popolo. Se dunque sino a qualche tempo fa l’immagine classica dell’uomo era quella del “lavoratore” – a somiglianza di Dio che è il “Divin Lavoratore” – cioè il padre che si impegna totalmente per il bene della famiglia, avventurandosi fuori casa per ben più delle otto ore sindacali, in mansioni tutt’altro che appaganti, con secondi lavori se necessario, oggi l’uomo adulto è un “bamboccione” («Mandiamo i bamboccioni fuori di casa» aveva detto Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’economia nell’ottobre 2007) che vive sino a quarant’anni in casa con la mamma, lavato e stirato, che fa rigorosamente le ferie da “borghese”, piuttosto rinuncia al matrimonio ma non certamente all’Iphone e al Suv, e quasi certamente rimanda (fino a che non viene messo sotto scacco dalla donna che lo sopporta) la scelta di diventare padre. Deve lavorare, povero cucciolo, non ha tempo né energie per il resto! Perché il lavoro è importante anche per l’uomo del terzo millennio; ma non per il bene della famiglia, bensì per il suo: prima la carriera e poi tutto il resto. Certo, ci sono le eccezioni, quelle inconsapevoli e quelle, un po’ più rare, in cui degli eroici condottieri del XXI secolo scelgono di onorare l’antica scala dei valori: Dio-patria-famiglia. Anche i supereroi fanno scuola. I classici Superman e Batman, ovvero degli adulti che sacrificano la propria vita per il bene della comunità, sono stati soppiantati da personaggi post-sessantottini: pigri e viziati (Iron Man, Hanckoc), aggressivi e intemperanti (Wolverine, Hulk), instabili (Deadpool), lamentosi (Rocket dei Guardiani della galassia), adolescenti (Spiderman), etc. Come sorprendersi, dunque, se gli uomini d’oggi evitano – come se fosse una malattia – le levatacce notturne per il pianto dei bambini, il


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confronto diretto e sincero con chi sbaglia, la galanteria verso le donne (che, ricordiamolo, non è una questione di etichetta, ma di protezione verso chi è più debole)? Preferiscono affittare una baby-sitter del sonno, fregarsene dell’adolescente che “gioca” a dar fuoco all’altalena, affidare le fidanzate alla metropolitana piuttosto che perdere del tempo nel riaccompagnarle a casa. Sono, in altre parole, sviliti, fiaccati, mollicci, pavidi. Certo, non apertamente: si mascherano astutamente dietro le messe in posa di instagram e un’attenzione smodata per il trucco e parrucco (basta osservare quanti uomini si depilano al giorno d’oggi e si sottopongono alle lampade abbronzanti). Lo psicoterapeuta cattolico Rudolf Allers (L’adolescenza e l’educazione del carattere, Sei, Torino, 1970) diceva che l’adolescenza è il periodo dell’insicurezza. È una fase propedeutica all’età adulta che educa l’uomo alla sicurezza di sé. Un adulto sicuro è consapevole del proprio valore, è responsabile delle proprie scelte, è coraggioso, umile e nobile. In una parola: è eroico. L’eroe è l’adulto pienamente realizzato. Ma attenzione: a quale eroismo stiamo alludendo? L’eroe come lo intende la concezione tradizionale - pensiamo all’Ettore dell’Iliade - è un uomo che vive come tutti. Non si nota tra la folla, è un individuo comune, apparentemente indifferenziato. Entra in scena solo quando ce n’è l’estrema necessità: per dire un pensiero diverso da quello della maggioranza, per difendere un debole, per salvare una città in pericolo, ecc. Il mondo ha bisogno di eroi: veri, semplici, sinceri. La caratteristica principale dell’eroismo è il sacrificio: l’eroe compie le proprie azioni non per se stesso, ma per il bene di tutta la comunità, specialmente di chi ne ha più bisogno (i bambini, le donne, gli anziani). Può farlo, senza necessità di fuga né di vanagloria, perché è consapevole delle proprie qualità che mette al servizio delle circostanze. Ecco il motivo per cui i grandi eroi del passato erano i santi: persone coraggiose che si reggevano pienamente sulla presenza di Dio nella loro

vita. Quel Dio che volevano imitare in quanto eroe degli eroi: Colui che si è sacrificato per la salvezza di tutti. I santi erano davvero “poveri”: a loro bastava Cristo, tutto il resto era un accidente (ben gradito, certamente, ma non essenziale). Come psicoterapeuta osservo con enorme frequenza che la maggior parte degli uomini educati secondo la mentalità dominante - che non parla più né di sacrificio né di famiglia, tanto meno di santità - sviluppa tre caratteristiche negative (le tre “p”): pigrizia, pusillanimità, paura. Pigro è colui che preferisce la comodità alla scelta giusta. Non si muove, dunque, quando ce n’è bisogno, perché è abituato a oziare, viziato dalle amenità. Pusillanime è chi si stima al di sotto delle proprie capacità. Teme il giudizio degli altri, non si espone quando dovrebbe, si lamenta invece di rimboccarsi le maniche (e tutti sappiamo che chi si lamenta non si muove per cambiare). Infine la paura: sia il pigro che, soprattutto, il pusillanime hanno paura. Di perdere il piacere, il primo; il consenso degli altri (e quel poco che hanno di se stessi), il secondo. Ecco il motivo per cui


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la medicina universale che cura le tre “p” è il coraggio: di dire la verità, di uscire fuori dal coro, di attestare una diversità, di compiere un gesto inaspettato, di intervenire invece che attendere, di pazientare e sopportare se necessario (senza lamentarsi), di farsi da parte per il bene di un altro, di essere generosi, ecc. È il coraggio l’ingrediente fondamentale che si richiede agli uomini della postmodernità. Una volta lo chiamavano “fortezza”: una forza (vis) non solo muscolare, ma principalmente del carattere, tipica dell’uomo che, per l’appunto, veniva chiamato vir in latino, una parola che condivide con la fortezza la medesima etimologia. E se questo discorso vale per tutti gli adulti, vale ancora di più per i padri, i grandi assenti della contemporaneità. Diverse ricerche di psicologia attestano che la dimensione fondamentale per giudicare la bontà di una relazione genitoriale efficace è l’involvement, cioè il coinvolgimento. I padri devono coinvolgersi con la vita dei figli. Ciò significa che viene richiesto loro di sacrificare il lavoro e il tempo libero, i propri progetti (ogni genitore deve imparare che il figlio è di Dio e non suo proprio!), la pigrizia e la paura. Per esempio, di fronte alla diffusione indiscriminata di pornografia tra i giovani e i

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giovanissimi (il primo accesso avviene attorno agli otto anni!) il padre è chiamato a introdurre i figli nella comprensione della sessualità, insegnandogli quale è il fine (generazione e unità della coppia), che ruolo svolge il piacere (gratificante e non finalizzante), perché val la pena educarla (temperanza, matrimonio) e come interpretarla (ruolo simbolico e segnali del corpo). Deve installare sui devices i filtri che impediscono alle immagini indesiderate di presenziarsi senza invito. E soprattutto: è chiamato a sedersi di fianco al proprio bambino, per aiutarlo a cercare su google i dati delle celebri ricerche di scienze. Dirgli di fare da solo non è favorire l’autonomia, ma lavarsene le mani. I figli questo lo capiscono, e un giorno si ricorderanno con gioia dei pomeriggi trascorsi con papà a studiare il mondo. Sono anche sicuro che persino i papà sono d’accordo. Perché per quanto pigri e pusillanimi, dominati talvolta da paure che non ammettono neanche di fronte a Dio, anche loro sono affascinati dalle storie degli uomini forti, vigorosi, nobili e puri. Il fatto che ancor oggi si scaldino i cuori davanti all’eroismo (Hollywood continua a ricordarcelo) è il segno più evidente che l’ideale della virilità - a cui ogni uomo è destinato - è sempre vero. 

Un adulto sicuro è consapevole del proprio valore, è responsabile delle proprie scelte, è coraggioso, umile e nobile. In una parola: è eroico.


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Generare è tessere relazioni Francesca Romana Poleggi

Oggi si confonde la generazione, tipica della persona umana, con la semplice riproduzione, che è anche degli esseri monocellulari. Nella cultura mortifera e relativista oggi ampiamente diffusa, tra aborto, contraccezione, fecondazione artificiale e utero in affitto, l’atto di generare è stato ridimensionato, ridotto e sminuito a livello di semplice riproduzione. «Se la generazione diventa riproduzione, perde le sue caratteristiche umane», scriveva Rodolfo Casadei su Tempi mesi fa. È bene riflettere, infatti, sul fatto che riproduzione e generazione non sono sinonimi. Ogni specie animale è atta a riprodursi, secondo meccanismi biologici e fisiologici iscritti nel Dna di ogni essere vivente, dal semplice batterio unicellulare fino al mammifero evoluto. Generare, o procreare, invece, è fatto reale propriamente ed esclusivamente umano. È un fatto attinente alle persone, intese come esseri di relazione, che assume una rilevanza ontologica perché attraverso quell’atto esse diventano (e sono) padri, madri, figli, nonni. «La riproduzione è pura ripetizione, il nuovo individuo è funzionale alla conservazione della specie» scriveva Casadei. «La generazione umana invece rinnova la specie, perché mette al mondo un essere nuovo e unico, totalmente diverso dagli altri. Negli animali il rapporto generante-generato si perde non appena l’animale è

«Negli animali il rapporto generante-generato si perde non appena l’animale è svezzato; negli esseri umani il generato riconosce i genitori ed è da loro riconosciuto permanentemente».


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svezzato; negli esseri umani il generato riconosce i genitori ed è da loro riconosciuto permanentemente. Ma soprattutto l’essere umano sa di essere parte della catena della trasmissione della vita, sa di essere stato generato dai suoi predecessori e di avere il compito di generare a sua volta». A differenza degli animali, le persone hanno coscienza di essere generate e hanno bisogno di ribadire il legame con i genitori e con gli avi. Nelle pagine seguenti potrete leggere la storia di una delle innumerevoli vittime della fecondazione artificiale che ha cercato disperatamente di sapere chi fosse suo padre: è normale questa esigenza. Tanto che si può trasformare in ansia e scatenare fenomeni depressivi in chi non riesca a soddisfarla.

«Se non volete i vostri figli, non uccideteli, dateli a me»

L’articolo di Casadei cita la psicologa Eugenia Scabini: «Generare ed essere generati sono un binomio inscindibile. All’inizio di tutto non ci sono i diritti riproduttivi, come si dice oggi: c’è il dono, c’è il fatto di aver ricevuto la vita da altri. E quindi c’è la gratitudine. Ma c’è anche l’esigenza del rapporto con chi ci ha generati. Come psicologa posso testimoniare che il generato esige, reclama la relazione coi suoi generanti. La ferita del generato che non può conoscere chi siano i suoi generanti permane nel tempo. La diffusione della fecondazione assistita eterologa, che si basa sull’anonimato del donatore, aumenta l’incidenza di questo genere di sofferenza: la generatività non tollera l’anonimato». Le persone non sono cose e non sono mezzi: questo purtroppo nella società “liquida” si sta dimenticando. La conseguenza logica è che il forte prevarica sul debole, il grande usa il piccolo per i suoi fini e il suo piacere. Questo purtroppo vale anche nei confronti dei bambini (e dei figli). Come se un figlio potesse essere una proprietà, uno strumento per colmare il vuoto esistenziale e affettivo di chi pretende d’essere genitore anche quando la natura glielo nega.

A differenza degli animali, le persone hanno coscienza di essere generate e hanno bisogno di ribadire il legame con i genitori e con gli avi.


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Alle coppie sterili non si cura l’infertilità (quando è possibile) ma si presenta immediatamente l’opzione di comprare “un figlio su misura”, fornito dall’industria della fertilità.

generare. “Tradizionale” andrebbe inteso nel senso etimologico di tradere, consegnare, tramandare - appunto - innanzitutto la vita, e quindi il patrimonio familiare.

Coloro che invece, saggiamente, si rivolgono all’adozione, spesso non capiscono che l’esame psico-attitudinale che devono superare è quanto mai necessario: perché si tratta di un bambino adottabile, quindi ferito, traumatizzato, particolarmente fragile, che meno di qualsiasi altro può essere usato per piacere agli adottanti: sono gli adulti che, senza chiedere niente in cambio, devono dargli il calore, l’amore (e anche il rigore) di una famiglia. Adulti che devono donarsi tutti a lui, perché lui, in quanto figlio possa tramandare l’eredità degli avi, il patrimonio materiale e spirituale che porta con sé (anche genetico, in caso di famiglia non adottiva). In questo senso la famiglia può dirsi “tradizionale”: non con l’accezione negativa che le danno i cultori della società liquida, politicamente corretta, che si fonda su “non-famiglie”, gruppi di individui disperatamente soli, non atti a

Né la generazione si esaurisce nel rapporto tra i padri e i figli: la costellazione di fratelli, zii e cugini (oggi sempre più rari, visto che difficilmente le coppie hanno più di un figlio) e soprattutto i nonni sono essenziali per costituire un complesso di relazioni, più o meno intense, fondate su quel patrimonio comune, destinate a fungere da trampolino di lancio verso la vita e da paracadute nei momenti di crisi.

“Tradizionale”, riferito alla famiglia, andrebbe inteso nel senso etimologico da tradere, consegnare, tramandare: la famiglia è colei che tramanda, che dà... innanzitutto la vita, e quindi il patrimonio familiare.

Il rapporto con i nonni, dicevamo, è fondamentale: i nonni di oggi, giovani e giovanili, possono trascorrere molto tempo con i nipoti e sollevano di molto le preoccupazioni dei genitori costretti a lavorare a tempo pieno fuori casa. Essi mettono a disposizione delle generazioni più giovani la loro esperienza, costituita durante una lunga vita. Quando viene il momento - poi - richiedono a loro volta la cura dei figli, il che


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insegna in modo magistrale ai nipoti il valore della solidarietà, della pazienza, dell’accoglienza: così essi diventano il tessuto di una società migliore. Cosa impareranno invece i ragazzi che vedono i nonni abbandonati in un ospizio o addirittura “eutanasizzati” al momento opportuno, magari con il consenso dei loro genitori? C’è infine un altro punto che merita la giusta considerazione. Le persone per “generare” non devono necessariamente “partorire” qualcuno: la generatività in senso sociale coinvolge anche persone che non hanno figli e coniuge, ma che sentono di doversi rendere responsabili di altri. Sentono di volersi dedicare agli altri, in modo individuale o strutturato in associazioni culturali o di volontariato - in quello che oggi si chiama “il terzo settore”. Queste persone, con amore e responsabilità, sono in grado di tessere relazioni e legami generativi: per fare un esempio eclatante, pensiamo all’infinito numero di figli e

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fratelli e sorelle generati da una “madre” Teresa di Calcutta. Ma non c’è bisogno di essere “madre” Teresa ( o “padre” Pio), per generare spiritualmente e socialmente dei “figli”: basta curare, dedicarsi, tramandare, prendersi la responsabilità, tessere ripeto - dei legami. Fare questo e insegnare ai giovani a farlo è l’antidoto al disfacimento creato dalla “società liquida”, società composta da individui sempre più spesso single e sempre più soli. Malati di solitudine interiore, che è molto più grave di quella esteriore. Insegnanti, allenatori, dirigenti e direttori, volontari e animatori hanno oggi un’enorme responsabilità generativa. Possono svolgere i loro compiti da individui ciechi e sordi alla realtà delle persone che stanno loro intorno. Magari riescono ugualmente a essere ottimi nel loro campo, ma se imparano ad agire con l’intento di generare incarneranno la speranza di una società futura più “solida” e più umana. 

Le relazioni familiari fungono da trampolino di lancio verso la vita e da paracadute nei momenti di crisi.


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La storia di Alana Antonella Ranalli

Dai disastri della rivoluzione sessuale alle profezie dell’Humanae Vitae

Alana aveva solamente cinque anni quando la madre le rivelò che, poiché l’uomo che aveva sempre chiamato papà aveva dei problemi di salute, per farla nascere erano dovuti andare in una clinica a comprare il seme di un altro uomo. Dopo tre anni da questa confessione per lei sconvolgente i genitori divorziarono e lui lottò in tribunale per avere l’affidamento della sorella adottiva di Alana, ma mise subito in chiaro che con quella bambina concepita in laboratorio non voleva più avere niente a che fare, e infatti da allora non l’ha più rivista. Dopo poco tempo la madre si risposò ed ebbe un figlio in maniera naturale. In un articolo del 2014 intitolato I diritti dei bambini o i diritti ad avere bambini? Alana rivela: «Né il primo, né il secondo uomo mi hanno mai fatto sentire al sicuro a casa mia. Mi era chiaro che tutti gli uomini erano cattivi e spregevoli. Ero veramente convinta che fossero incapaci di amare o che ci fosse qualcosa di sbagliato in me: non ero degna di essere amata». Mentre il risentimento verso gli uomini la portava ad avere relazioni omosessuali e a partecipare attivamente alla campagna per legalizzare l’aborto a nascita parziale («Mi dicevo che se va bene obbligare un bambino a esistere perché è molto desiderato,

«Né il primo né il secondo uomo mi hanno mai fatto sentire al sicuro a casa mia. Mi era chiaro che tutti gli uomini erano cattivi e spregevoli. Ero veramente convinta che fossero incapaci di amare o che ci fosse qualcosa di sbagliato in me: non ero degna di essere amata».


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Alana Newman

va bene anche obbligare un bambino a morire perché è molto indesiderato»), il desiderio di conoscere il padre biologico diventava sempre più forte, così come il disprezzo per il business della fecondazione assistita. Qualche anno dopo però si è fidanzata con un ragazzo di nome Richard, che l’ha incoraggiata e aiutata nei lunghi e dolorosi tentativi di scoprire l’identità del padre. Questa ricerca ha generato il sito internet Anonymous.us, due libri omonimi e un documentario dal titolo Sexual revolution: 50 years since Humanae vitae. Il sito è stato creato per dare la possibilità «di raccontare le proprie storie ai partecipanti volontari e involontari delle nuove tecnologie riproduttive, preservando la dignità e la privacy dei protagonisti e dei loro parenti».

Tramite esso Alana ha permesso a molte persone di rintracciare genitori e/o fratelli biologici, ma lei non è stata così fortunata, poiché la clinica dove è stata concepita è fallita e ha distrutto ogni documento in suo possesso. Le uniche informazioni che ha sul padre sono quelle date alla madre per scegliere tra i vari venditori di sperma (quindi poco attendibili), informazioni che lo descrivono come un giovane medico di origine polacca, cresciuto in una famiglia cattolica. Per superare la delusione la Newman ha scelto come padre putativo l’unico polacco cattolico di cui aveva sentito parlare: Karol Wojtyla. Mentre si documentava sulla vita e sulle opere del papa si è ritrovata a studiare la sua teologia del corpo e, affascinata dall’argomento, ha allargato le ricerche fino

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a giungere all’Humanae vitae di san Paolo VI. Questa scoperta è stata per lei come un’epifania: in quelle pagine ha trovato un inno d’amore verso l’umanità (in particolare verso le donne) e un avvertimento profetico riguardo i disastri che la rivoluzione sessuale e i prodotti contraccettivi avrebbero causato. Per la prima volta Alana (cresciuta a San Francisco in una famiglia e in un ambiente completamente atei) ha incontrato un’istituzione che condanna con fermezza la cultura e la morale che così tanta sofferenza le ha causato; questo incontro ha spinto lei e Richard a convertirsi, sposarsi e avere tre figli. «Sono arrivata a conoscere e abbracciare mio padre: Dio, il Padre per eccellenza», spiega la Newman. «Resto sempre sbalordita dalla saggezza che offre la Chiesa, è come scoprire un pozzo dopo che per anni hai vagato da sola nel deserto». A questa saggezza ha dedicato il suddetto documentario, di cui ha scritto la sceneggiatura dopo averne affidato la regia a Daniel Di Silva. In esso la testimonianza della donna si alterna a quelle di medici, sociologi, bioeticisti, scrittori, frati, vescovi, giuristi, ex direttrici di cliniche abortiste, tutti accomunati dalla stima e dalla riconoscenza verso l’Humanae vitae. Un punto su cui il documentario si sofferma

La maniera con cui sono stata concepita ha corrotto la mia comprensione del matrimonio, della famiglia e della sessualità, perché mi è stato insegnato che le persone si usano per ottenere ciò che si desidera.

con particolare attenzione è il parallelo tra la pillola contraccettiva e i metodi di pianificazione familiare naturale, forme di controllo delle nascite ideate nello stesso periodo di tempo da scienziati che, dopo una breve collaborazione, presero strade completamente divergenti. Il padre della pillola, Gregory Pincus, decise di dedicarsi a quel progetto dopo aver conosciuto Margareth Sanger, la fondatrice della catena di cliniche abortiste Planned Parenthood, ossessionata dall’eugenetica e dalla ricerca di metodi efficaci per l’eliminazione delle minoranze etniche, dei disabili e dei malati mentali. Sanger disse al dottor Pincus: «Dobbiamo trovare una gabbia piena di donne su cui sperimentare la pillola», e trovarono la gabbia ideale nel manicomio di Worcester, in Massachusetts. I test furono quindi eseguiti su una popolazione di poche decine di donne, ignare di quello che stavo loro succedendo, e causarono alle malcapitate gravi effetti collaterali, tra cui anche alcuni decessi, che però non furono rivelati alla comunità scientifica. Uno dei collaboratori di Pincus, il dottor James Brown, di fronte a tali orrori si trasferì in Australia per lavorare con John ed Evelyne Billings al perfezionamento dei metodi di pianificazione familiare naturale, i quali si sono dimostrati più efficaci della pillola nel prevenire le gravidanze indesiderate e, ovviamente, più sicuri per la salute della donna. Alana descrive così gli effetti di questi metodi: «Essi promuovono una cultura della vita perché ricollegano, nell’immaginario collettivo, il sesso con i bambini. Ciò significa che quando un uomo rivolge delle avances a una donna per fare sesso non può evitare di riconoscere il potere del suo corpo nella generazione di un nuovo essere umano. Il riconoscimento di questo potere è l’inizio del rispetto». E perciò, se non vengono usati come contraccettivi, i metodi naturali di regolazione della fertilità sono moralmente leciti.


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In questo docu-film la testimonianza di Alana si alterna a quelle di medici, sociologi, bioeticisti, scrittori, frati, vescovi, giuristi, ex direttrici di cliniche abortiste, tutti accomunati dalla stima e dalla riconoscenza verso l’Humanae vitae.

Dopo questo excursus storico-sociologico la Newman spiega che il suo interesse per l’argomento è nato dal tentativo di trovare una spiegazione al livore generato dalla sua battaglia contro la fecondazione artificiale. Secondo lei esso è dovuto al fortissimo desiderio di avere figli in una popolazione che sta diventando sempre più sterile, a causa principalmente del ricorso alla contraccezione. Il documentario (disponibile in streaming all’indirizzo https://vimeo.com/ ondemand/1969sexualrevolution2019 a poco più di 2 euro) si chiude con una dolorosa ammissione della protagonista: «La maniera con cui sono stata concepita ha corrotto la mia comprensione del matrimonio, della famiglia e della sessualità, perché mi è stato insegnato che le persone si usano per ottenere ciò che si desidera, che sono sacrificabili, che si possono gettare via e non vedere mai più».

Questa dolcissima donna dallo sguardo triste ha deciso di trasformarsi da vittima in martire, cioè in testimone: criticare l’etica della fecondazione artificiale, esporre le sue catastrofiche conseguenze e dare voce alle vittime le hanno causato l’ostracismo da parte dei familiari, degli amici, dell’industria della musica in cui sperava di lavorare e di buona parte della società. La vorrebbero privare persino del diritto a manifestare sofferenza e risentimento, liquidati come una vergognosa ingratitudine verso chi si è impegnato per farla nascere, e del diritto a mostrare la sua vita attuale, dopo la conversione, tranquilla e priva di eccessi. Diffondere questa storia per non rendere vani i suoi sacrifici ed evitare che altre vittime siano costrette a combattere in prima linea è un compito in cui tutti noi dovremmo impegnarci. 

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Chi detiene il potere dimostra di voler sfruttare la donna come “forza lavoroâ€? e non le riconosce piĂš i compiti e le gioie di madre di famiglia.


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Demografia, immigrazione, integrazione Luciano Leone

Perché l’andamento demografico europeo è tanto disastroso? In Ancona, nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo (13a edizione), ha tenuto una relazione il prof. Ivano Dionigi, celebre latinista e presidente della Pontificia Accademia di Latinità, dal titolo: La voce degli altri: all’origine dell’Europa. Il nucleo della relazione era costituito dal concetto: Roma riusciva ad attuare una inclusione politica, culturale, religiosa, persino linguistica. Ascoltandolo, mi sono chiesto: perché l’Europa ha questa demografia catastrofica? Perché chi detiene il potere dimostra di utilizzare la donna come forza lavoro piuttosto che affidarle compiti e gioie di madre di famiglia; per i percorsi scolastici assurdamente lunghi, in cui i ragazzi non arrivano mai a conseguire mestiere o professione, mentre le ragazze conformano una mentalità da “donna in carriera”; per il lavoro da diversi anni sempre più precario; perché le retribuzioni tengono in minima considerazione i figli a carico; per gli stimoli alla corruzione (dipendenze vecchie e nuove, dalla droga allo smartphone). Grazie alla famigerata legge 194, quella che in perfetta neolingua s’intitola Norme per la tutela (sic) sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza (ovviamente la circonlocuzione nasconde la realtà aborto), in Italia dal 1978 a oggi sei milioni (6.000.000) di bambini sono stati buttati nella spazzatura! Adesso però il Potere inculca nei cervelli che c’è la necessità di importare i cosiddetti migranti. È sufficiente confrontare una sbiadita fotografia in bianco e nero degli Italiani, veri migranti, poveramente vestiti e con la famigliola al seguito, con le rutilanti fotografie di bei giovanotti dotati di cellulare satellitare (alcuni persino con belle catene d’oro al collo! accanto a Richard Gere) per comprendere che quasi sempre si tratta di ragazzi attratti dall’idea di una vita facile in Europa (i profughi veri sono una estrema minoranza). Peraltro, se anche hanno intenzione di lavorare, costituiscono una alternativa rispetto ai nostri giovani disoccupati, cosicché tutti quanti possono essere ricattati dall’incremento del numero di chi cerca lavoro. La situazione demografica europea potrebbe essere corretta intervenendo su tutti i fattori che condizionano le famiglie e la maternità: in Ungheria in pochi anni è stata ottenuta una splendida inversione di tendenza dalla denatalità a beneficio delle nascite.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Giustamente il professor Dionigi ha evidenziato le grandi capacità di assimilazione dei Romani. Evidentemente i Romani avevano fatto tesoro della terribile esperienza della orribile Guerra sociale (91-88 a.C.), da loro ottusamente scatenata per non aver accolto l’istanza degli Italici, i quali a retta ragione dopo la seconda Guerra punica chiedevano di ottenere la cittadinanza romana, guadagnata con i loro sacrifici in guerra. Si pone però per noi la domanda se l’assimilazione sia oggi possibile in Europa, soprattutto rispetto a immigrati islamici. È aneddotico dire che quotidianamente si incontrano nelle nostre città uomini e donne che con l’abbigliamento dimostrano di essere radicati in altri contesti culturali? Ma l’esperienza insegna che in Francia esistono le banlieue, che a Bruxelles esistono parimenti interi quartieri, nei quali non solo il privato cittadino, bensì persino le forze di polizia evitano scrupolosamente di inoltrarsi! Analoghe segnalazioni dalla lontana Danimarca (Il Giornale, 13.07.2019), che peraltro cerca di liberarsi di un po’ di cosiddetti migranti (Il Giornale, 15.06.2019). La Merkel predica l’accoglienza, di cui anche i Tedeschi sono più che stufi, ma rispedisce i migranti in Italia, anche con metodi brutali (Il Giornale, 16.06 e 31.10.2019). Si legge che in Inghilterra e in Germania gli islamici reclamano il riconoscimento di loro tribunali applicanti la sharia: è questa integrazione?

da proporre per l’integrazione, se non quella di un certo benessere materiale, bensì non ha neppure volontà di integrare. Parimenti nessuna volontà dimostrano certi ecclesiastici… L’islam è incompatibile non soltanto con il Cristianesimo, bensì anche con i sempre decantati valori della democrazia (basta ascoltare Magdi Allam). Non si comprenderebbe perché l’Unione Europea consenta l’invasione islamica, se non si facesse riferimento a Kalergy o all’Eurabia di Bat Ye’or (concetto ripreso da Oriana Fallaci). D’altro canto la medesima Unione Europea, mostro bicefalo franco-tedesco (Macron-Merkel), consente alla Germania robusti rimpatri, alla Spagna di difendere con muri e armi Ceuta e Melilla (e anche di pagare con fondi europei tangenti al Marocco: Il Giornale, 26.08.2019), mentre pretende accoglienza indiscriminata in Italia: evidente la volontà di destabilizzare un rivale tuttora importante come l’Italia (il motto dell’Unione Europea sarebbe: «In varietate concordia?»). 

Intanto dall’Italia continua l’emorragia di giovani laureati o almeno diplomati, che vanno all’estero per trovare sia lavoro sia condizioni professionali e retribuzioni migliori, come dichiarato anche dal Preside della Facoltà di Medicina di Ancona (Carlino, Ancona 26.06.2019). Nota: così l’Italia esporta professionisti e diplomati qualificati, che sono costati all’erario, mentre importa manovalanza, con bilancio economico nettamente negativo. L’Unione Europea, che ha persino rifiutato di inserire nella sua costituzione un richiamo alle sue radici giudaico-cristiane (proposta di Benedetto XVI), non dispone oggi di una cultura

Diego Fusaro, da sinistra, critica spietatamente l’immigrazionismo: incrementare “l’esercito industriale di riserva” serve al capitalismo mercatista per tenere basso il costo del lavoro.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

In cineteca

Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.

The Blind Side Titolo: The Blind Side Produzione: Stati Uniti d'America, 2009 Regia: John Lee Hancock Durata: 147 min. Genere: biografico, drammatico, sportivo

Sandra Bullock veste i panni di Leigh Anne Tuohy, una donna ricca di una tipica famiglia alto borghese e repubblicana statunitense, che decide di adottare Michael Oher, un adolescente problematico, senza padre, madre drogata, poverissimo, addirittura senza casa. Un ragazzo nero, alto e grosso che in fondo è un buono e che ha un sogno nel cassetto: diventare giocatore di football americano professionista. È significativo il ruolo in cui giocherà Michael: l’offensive tackle è il giocatore che deve difendere l’attaccante (il quarterback) dal “lato cieco”, “the blind side”, appunto, che è quello da cui non può vedere l’arrivo degli avversari. Il messaggio del film è che questa zona cieca appartiene a tutti e a ciascuno, è il nostro lato fragile, indifeso. Ma se impariamo ad affrontare le nostre fragilità, possiamo superarle e possono diventare addirittura il nostro punto di forza. È tutto in questo messaggio, semplice e potente, il senso del film, che va dritto al punto mettendo in scena un incontro che emoziona e fa riflettere.

Questa interpretazione è valsa a Sandra Bullock un Oscar, un Golden Globe e lo Screen Actors Guild Award. Il film ha ottenuto un enorme successo di critica e di pubblico. In Italia, però, non è stato proiettato nelle sale cinematografiche ed è stato distribuito solo in dvd.


gennaio 2020

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In biblioteca Il salvadanaio

Manuale di sopravvivenza economica Riccardo Pedrizzi Guida editore

Bibbiano

I fabbricanti di mostri Francesco Borgonovo e Antonio Rossitto Ed. PanoramaLa Verità

Partendo da una descrizione storica degli eventi degli ultimi anni, l’Autore offre la possibilità di comprendere come e perché il nostro sistema economico e il mercato bancario siano molto cambiati. Chi comprende tale evoluzione è in grado di difendersi dalle insidie che minano soprattutto i risparmiatori. Chi comprende i fenomeni economici e finanziari avrà poi la concreta possibilità di realizzare le proprie scelte in maniera consapevole. L’introduzione è di Giuseppe De Lucia Lumeno; la prefazione del Cardinale Gerhard Ludwig Müller. Con i contributi di Renato Brunetta e Mauro Maria Marino.

La nota inchiesta “Angeli e demoni”, che ha come epicentro Bibbiano, un comune della provincia di Reggio Emilia, è solo l’ultimo esempio di una serie di casi giudiziari che negli ultimi vent’anni avrebbero dovuto inquietare l’opinione pubblica e invece sono passati sotto silenzio: bambini tolti ingiustamente ai loro genitori e sottoposti a terapie molto costose, servizi sociali collusi. Scrive Maurizio Belpietro nella prefazione: «Abbiamo ricostruito la vicenda di Bibbiano e le molte altre che hanno riguardato minori in tutta Italia. C’è un filo rosso che le lega. Un filo rosso di fabbricanti di mostri». 


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Diretto da Maurizio Belpietro


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