POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN
Trento CDM Restituzione
Anno VII | Dicembre 2018 Rivista Mensile N. 69
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
Notizie
“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
PER UN NATALE SANTO E BUONO E PER UN SERENO 2019 il peggior male
il parto in anonimato intervista a mariastella paiar
«chi sei tu per togliere una vita?»
di tommaso scandroglio, p. 12
di giulia tanel, p. 24
di Paolo gulisano, p. 16
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES Notizie
EDITORIALE
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LO SAPEVI CHE...?
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ARTICOLI Dillo
Anno VII | Dicembre 2018 Rivista mensile N. 69 Editore ProVita Onlus Sede legale: viale Manzoni, 28 C 00185, Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 377 4606227
Versi per la Vita Silvio Ghielmi
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Natale in famiglia... allargata
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Giuseppe Fortuna
Il peggior male
12
Paolo Gulisano
«Chi sei tu per togliere una vita?»
16
Progetto e impaginazione grafica
Tommaso Scandroglio
PRIMO PIANO Un’alternativa all’aborto
Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
@ ProVita 6
#stoputeroinaffitto
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Il parto in anonimato e la legge italiana
24
Giulia Tanel
Aborto: un’identità lacarata
29
Sterilità di coppia, fecondità di cuore: l’adozione che cambia la vita
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Francesca Malatacca
Clemente Sparaco
Tipografia
Il business sulla pelle di chi “cambia sesso” (parte prima)
Distribuzione
Perché facciamo il Presepe?
Sostenitore ordinario Promotore Benefattore Patrocinatore Protettore della Vita
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40
Mariolina Coghe
FILM: October Baby
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LETTURE PRO-LIFE
43
Marco Bertogna
Sostieni con un contributo le attività di ProVita Onlus in favore della vita, della famiglia e dei bambini e riceverai a casa tua Notizie ProVita, la rivista della nostra associazione Invia il tuo contributo 35,00 50,00 100,00 250,00 500,00
35
Patrizia Floder Reitter
Hanno collaborato a questo numero: Marco Bertogna, Mariolina Coghe, Patrizia Floder Reitter, Giuseppe Fortuna, Silvio Ghielmi, Vincenzo Gubitosi, Paolo Gulisano, Francesca Malatacca, Tommaso Scandroglio, Clemente Sparaco, Giulia Tanel.
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Vincenzo Gubitosi
24
31 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it
Toni Brandi
EDITORIALE
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Il Bambino che nasce a Natale ci rivela la verità che ci fa liberi e così ci porta in dono la pace vera, quella del cuore. E proprio in occasione del Santo Natale è particolarmente pungente il dolore per i milioni di bambini che continuano a essere uccisi prima di vedere la luce. Eppure, forse, qualcosa sta cambiando. Forse quella coltre di omertà e di silenzio su questa strage di innocenti di proporzioni incommensurabili – della quale parla il professor Tommaso Scandroglio a p. 12 – comincia a essere meno densa e compatta: riaprire il dibattito sull’aborto è indispensabile per poter sperare di ridurre e arginare il fenomeno. Se così è, è anche merito vostro, cari Lettori. Come ogni anno, quando arriva dicembre si fanno bilanci e propositi. Abbiamo combattuto insieme a voi la buona battaglia, e con voi possiamo gioire delle iniziative intraprese e portate a termine con successo: il Festival della Vita a febbraio, la grande campagna contro l’aborto in 100 città a maggio, la Scuola di bioetica a settembre, la campagna contro l’utero in affitto a ottobre e, come sempre, convegni, incontri, pubblicazioni… Inoltre, grazie a un generoso benefattore che ci ha prestato i locali gratuitamente, abbiamo aperto un ufficio a Roma, che si avvia a divenire un centro di aggregazione e di formazione bioetica per giovani e meno giovani che desiderino un confronto culturale costruttivo sui temi fondati sui valori non negoziabili che siamo chiamati a difendere dalla cultura della morte. Tra i tanti progetti che abbiamo in cantiere per l’anno prossimo, sono davvero orgoglioso di segnalarvi che stiamo organizzando il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie, a Verona, dal 29 al 31 marzo. Un evento di portata internazionale, che vedrà la partecipazione di personaggi politici, rappresentanti delle istituzioni e dell’associazionismo pro vita e pro famiglia provenienti da tutto il mondo. Tutto questo è possibile grazie a voi, cari Lettori, che ci sostenete con tanta passione e generosità. Per questo vi ringrazio e vi auguro di cuore, anche a nome di tutta la Redazione, di trascorrere festività gioiose, un Natale Santo con le persone a voi care e un Anno Nuovo ricco di serenità.
Lo sapevi che... ? UN “EX GAY” A X FACTOR E SCATTA LA CENSURA
Infuriano le polemiche, negli ambienti omosessualisti, perché all’interno della trasmissione X-Factor Malta, il concorrente Matthew Grech ha dichiarato di essere un “ex gay” convertito e ritornato eterosessuale grazie alla fede in Cristo, grazie all’incontro con il gruppo cristiano River of love: «Ci può essere amore tra due uomini e due donne, sì, ma solo se è amicizia, tutto il resto è peccato». Il povero Grech è stato massacrato mediaticamente. Malta è l’unico Stato europeo in cui, dal 2016, sono vietate le terapie riparative: è un Paese in cui la libertà di espressione è garantita a tutti, a chi bestemmia, a chi offende i vicini, a chi prende in giro Dio e a chi usa termini volgari, ma non a chi ha il coraggio di testimoniare che Gesù Cristo ha cambiato la propria vita.
DOVE C’È UNA VITA UMANA C’È UNA PERSONA
La Corte Suprema dell’Alabama ha confermato la condanna di Jessie Phillips – che ha ucciso la moglie incinta di 6 settimane – per duplice omicidio, dichiarando che «il valore della vita di un nascituro non è inferiore al valore della vita di altre persone». Secondo il Brody Act, una legge vigente in Alabama da circa 12 anni, la definizione di “persona” include anche il bambino nel grembo materno, in forza del XIV Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Il nostro attuale codice civile riconosce – sia pure sotto la condizione risolutiva della non nascita – i diritti a favore del concepito (art. 1, comma 2). E persino la nostra Corte Costituzionale – che pure ha sdoganato la legge 194 e ha abbattuto quei pochi paletti che la legge 40 poneva a parziale tutela del concepito – in due sentenze, nel 2015 e nel 2016, ha detto che gli embrioni – anche malformati – «non sono mero materiale biologico» e non possono essere trattati come cose.
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La norma della legge 40/2004 più largamente disattesa è quella descritta QUAL È LA NORMA DELLA dall’art.1, secondo comma, che prescrive di tentare le vie alternative possibili LEGGE 40/2004 PIÙ di cura prima di ricorrere alla fecondazione artificiale, allo scopo di evitarla. LARGAMENTE DISATTESA? Le percentuali di successo della Fivet e dell’Icsi si aggirano intorno al 13% nelle donne giovani, intorno al 5% in quelle sopra i 40 anni e al 2% per le donne che hanno più di 43 anni. Quindi il numero di bambini che nascono è assolutamente irrisorio, mentre i costi delle procedure (a carico del Ssn) sono altissimi. Ogni ciclo costa sui 3.000 euro. E ogni donna, prima di desistere, si sottopone mediamente a sei cicli. Inoltre, il 90% dei bambini concepiti in vitro muore prima dell’impianto. E, soprattutto, ci sono gravi rischi che la fecondazione artificiale comporta sia alla coppia, sia alla donna, sia al bambino. E invece, per esempio, all’Istituto Paolo VI del Gemelli più di 700 coppie si sono sottoposte alle terapie per curare l’infertilità o la sterilità e hanno ottenuto per il 42% il risultato sperato: un bambino in braccio.
Grazie alla tecnoscienza prometeica che gioca a fare Dio, sono stati prodotti MASCHI INUTILI: topi sani nati da due ovuli, con due topi femmina. Senza bisogno di maschi. ARRIVANO I TOPI Di 210 embrioni, 29 sono sopravvissuti. “BIMATERNI” La ricerca è stata pubblicata su Cell Stem da ricercatori dell’Accademia delle Scienze cinese: sono riusciti a isolare ed eliminare i geni responsabili delle anomalie che si riscontrano nei mammiferi che non hanno Dna maschile e femminile e hanno dato origine a topi apparentemente normali. L’esperimento con i maschi non ha funzionato e comunque per farlo hanno dovuto prendere un ovulo (da un topo femmina) e svuotarlo del suo nucleo. Quindi anche se i topini risultanti hanno il Dna di due maschi, l’ovulo della femmina è stato necessario. I topi “bipaterni”, inoltre, non riescono a sopravvivere.
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dillo@notizieprovita.it
A
rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Privatamente rispondiamo a tutte, mentre qui ne pubblichiamo solamente alcune. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it. Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.
Cara Redazione, o emergere profonde nella banalità delle relazioni quotidiane, spesso anonime, posson oniare la realtà e la testim di iata privileg one sofferenze che offrono a chiunque occasi si. immer tutti siamo cui in bellezza della vita, contro la cultura di morte a fare un po’ di spesa nel Qualche sabato fa, prima delle 8.30, inforco la bici per andare piccolo supermercato vicino a casa. abrasive per i piatti. Prima di avvicinarmi alla cassa chiedo dove siano le spugnette a un po’ sulla cosa. Io scherz e e, esaurit nte Il direttore mi risponde che sono inspiegabilme lo trovo simpatico e gli sorrido. ho più bisogno di queste Poi, mentre sta passando i miei articoli, si fa serio e confida: «Io non più a mano i piatti. lavo non allora Da viglie. spugnette da quando ho comprato la lavasto lei. Ha detto che deciso L’ha anno. un di meno Da quando è finito il mio matrimonio. È durato Ed è tornata più. amava mi non che onio, matrim si è sbagliata, che non sapeva cosa fosse il . figlio» mio e da sua madre… oggi sarebbe dovuto nascer pervadere da un profondo A questo punto io e le altre due persone presenti ci sentiamo . gelo e sgraniamo gli occhi, senza interromperlo ma sono un signore e l’ho Riprende: «Ha voluto abortire. Io non volevo assolutamente, le braccia al bambino per e gambe le re spezza accompagnata all’ospedale. Hanno dovuto tre mesi non è illegale? i dopo o l’abort Ma ». farlo uscire. Aveva tre mesi e qualche giorno Quando si è svegliata ha totale. esia l’anest fatto Il giovane direttore prosegue: «Le hanno ta nessuna anestesia pratica stata è non no lamentato un po’ di malessere… ma al bambi cono in seguito abortis che donne molte come mentre veniva macellato». Io ho ricordato borto”. post-a me “sindro no soffrano per quella che gli psichiatri chiama erazione era glaciale. Mi ha replicato: «Lei però non si è pentita affatto. Al risveglio dall’op mi hanno contattato sociali nti assiste gli seguito Si è sbarazzata di un peso. Figuratevi che in Pazzesco». figlio. mio ucciso ha lei Invece e. pensando che l’avessi convinta io ad abortir cane, ma che ti tuo al male del fai se mente Siamo in una società che ti sanziona severa aggiungo io. uenti, contrib dei soldi i Con permette tranquillamente di uccidere un figlio. superficiale, ne relazio una è onio matrim Il . E il padre, nella legge 194, non conta niente e. coniug il con e legam ogni l’aborto una soluzione illusoria per troncare bambino morto. Soluzione illusoria perché entrambi, di fatto, sono genitori di un
Wanda 6 N. 69
Versi per la Vita Silvio Ghielmi, classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Francesco Migliori, Mario Paolo Rocchi e Giuseppe Garrone [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa di Verità e Vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo. DELUSIONE
ASSISTENZA
La grande delusione della gente cui fu promesso il Pane ed i Circensi e scopre che, alla fine, non c’è niente, salvo una collezione di dissensi.
In questo mondo matto un certo handi-cappato sentì la vocazione struggente del monatto
Ma, peggio, si intravede un Buco Nero nel quale son sepolti 6 milioni di bambinelli detti “Solo Embrioni” e destinati a un grande cimitero.
e prese l’occasione di esser qualcuno ben sopra quel nessuno che opera e fatica insieme ad altri (: tanti!) per fare andare avanti.
Triste finale, tragica tristezza. Svanita prospettiva di Progresso, infame ed amarissimo insuccesso. Ora il traguardo è solo la monnezza. -------
Stolida impresa maledetta e trista, in cerca di un elogio: passar come conquista un’orrida pretesa da mesto necrologio. -------
7 N. 69
di Giuseppe Fortuna
Natale in famiglia... allargata
Oggi sotto l’albero ci sono i regali della mamma, del papà, della compagna del papà, del compagno della mamma, dell’ex marito della nuova compagna di papà, etc. etc. Un ampio salone con un immenso divano, parquet, un bell’albero addobbato e possibilmente un camino accesso e la neve fuori dalla finestra: ecco lo scenario che ha fatto da sfondo a tonnellate di film e serie televisive nei freddi ma calorosi giorni delle vacanze natalizie. I protagonisti, da sempre, genitori e figli, ma anche nonni, zii, cugini. Il Natale, per credenti e non, è sempre stato il collante per riunire attorno al focolare domestico tutti i componenti della famiglia. Ma, si sa, i tempi cambiano, e la famiglia “evolve”: il singolare non è più sufficiente, non solo come tipologia (e sappiamo che le varietà più stravaganti sono tacitamente assunte come “normali”), ma anche come ramificazione. Da quando è stato introdotto il divorzio, infatti, la classica e banale struttura familiare appena rievocata ha lasciato via via il posto a scenari ben diversi. E se, in una prima fase, 8 N. 69
OGGI IL MONDO CI ABITUA A INTRATTENERE RELAZIONI FINCHÉ DURA L’INTERESSE, ANZICHÉ A STIMOLARE L’INTERESSE COLTIVANDO LE RELAZIONI
i coniugi che sceglievano il divorzio tipicamente arrivavano a tale drammatica decisione dopo furibonde liti e, di solito, cercando di addebitarsi vicendevolmente la colpa del naufragio del matrimonio, oggi “civiltà” vuole che il divorzio sia sempre considerato consensuale: «Ci abbiamo provato, non è andata, amici come prima».
Una modalità che si sposa perfettamente, perdonate il gioco di parole, con la superficialità dei sentimenti e delle relazioni umane cui il mondo ci abitua, in cui ognuno intrattiene relazioni finché dura l’interesse, anziché stimolare l’interesse coltivando le relazioni.
Ovviamente alla “società civile” non piace ammettere che la fine di un rapporto matrimoniale sia una sconfitta, dolorosa e dura da accettare, oltre che ingiusta nei confronti di chi da quella relazione ha avuto vita. Fa più piacere (e alleggerisce la coscienza) pensare che in realtà due persone che hanno condiviso le proprie vite, in una maniera così intensa che da essi si è generato il miracolo della nascita di un nuovo essere umano, possano all’improvviso scoprire di “non amarsi più” e, di comune accordo, mantenere un rapporto di tiepida cordialità per “il benessere dei figli”. Giudicare se sia interesse dei minori la separazione dei genitori più che una “convivenza forzata” è tema difficile e ogni caso va valutato singolarmente. Tuttavia è necessario sottolineare una terza opzione scontata eppur dimenticata: i genitori possono provare a ricucire un rapporto logorato dalle diversità, dal tempo, dalla noia, dalla vita per riscoprire una unità familiare che si fa espressione manifesta proprio nei figli e che, alla lunga, si mostra molto più gratificante del soddisfacimento del proprio ego.
Diversi decenni sono ormai trascorsi dall’istituzione del divorzio, cioè del riconoscimento del diritto di uno dei due coniugi o di entrambi di venir meno all’impegno preso davanti a Dio (per i credenti), alla società civile (per tutti), ma soprattutto ai figli, ancor prima del loro concepimento. In questi anni, come presumibile, la natura di extrema ratio per casi di violenza domestica o grave colpa è venuta meno e il divorzio è quindi accampato come un diritto dipendente solo dalla volontà personale. Anzi, persino i tentativi istituzionalizzati di tutelare il rapporto, e con esso i figli, forzando i coniugi a una pausa di riflessione, sono stati rimossi con le recenti modifiche alla legge, che consente, “finalmente” direbbe
qualcuno, di buttare all’aria uno dei capisaldi della propria vita (nonché di quella degli altri membri della famiglia, compresi coloro che la subiscono) in base a decisioni prese dalla sera alla mattina. Scenari che, però, ancora oggi, la maggior parte delle persone sa in cuor suo non essere forieri di positività. Nonostante lo sdoganamento di tradimenti, rapporti saltuari, amori fluidi, intensi e fuggevoli, presentati dai mezzi di comunicazione come una estensione del gossip, nessuno fa esattamente salti di gioia quando un matrimonio si sfalda. Certo è però che i consigli di amici e parenti variano in base ai contesti culturali e molta meno attenzione è in generale prestata
QUESTO NATALE SERVA AI GENITORI PER RICUCIRE RAPPORTI LOGORATI DALLE DIVERSITÀ, DAL TEMPO, DALLA NOIA, DALLA VITA, PER RISCOPRIRE UNA UNITÀ FAMILIARE CHE SI MANIFESTA PROPRIO NEI FIGLI E CHE È PIÙ GRATIFICANTE DEL SODDISFACIMENTO DEL PROPRIO EGO 9 N. 69
alla salvaguardia del rapporto di coppia. «Io l’avrei lasciato/a già da tempo…» è una frase che ormai si sente spesso, anche in risposta a presunte “colpe” di poco conto. Il meccanismo psicologico alla base di questa deriva è il solito: l’esaltazione dell’individualità e dell’autodeterminazione, un distorto concetto del “rispetto” che viene sopra tutto e tutti, l’assenza totale del concetto vero di “amore”, indissolubilmente legato a quello di “perdono” e “comprensione”, la minimizzazione dell’impatto sulla prole e l’autoconvincimento che la scelta del divorzio sia fatta “per il bene dei figli”. Eppure basterebbe ascoltarli, quei figli, per capire che in loro la quotidiana speranza che il rapporto fra i genitori si risani vale più della rassegnazione a vivere due vite separate. Vite separate che, tra l’altro, diventano complicate. 10 N. 69
E sì perché, come insegnano i film e le serie TV che richiamano gli scenari familiari natalizi in chiave postmoderna, nelle case di oggi c’è sempre meno spazio per nonni, zii e cugini, e molto più per compagni/e dei genitori e relativi parenti. Sono le cosiddette “famiglie allargate”, di cui sono pieni gli schermi in questo periodo, in cui tutti sorridono e sono felici, in cui l’iniziale “antipatia” per “l’estraneo” si trasforma in pochi giorni in “matura accettazione” prima e in allegra condivisione poi.
BASTEREBBE ASCOLTARLI, I FIGLI, PER CAPIRE CHE IN LORO LA QUOTIDIANA SPERANZA CHE IL RAPPORTO FRA I GENITORI SI RISANI VALE PIÙ DELLA RASSEGNAZIONE A VIVERE DUE VITE SEPARATE
Insomma una “famiglia del Mulino Bianco” adeguata ai tempi, senza problemi di alcun genere. Potere di una televisione che sempre più descrive una realtà desiderata (o temuta), piuttosto che essere specchio della quotidianità. Una realtà in cui, addirittura, ci si può “sposare al buio”, per poi divorziare se si scopre nei giorni successivi di non andare poi così d’accordo (sorpresona!). L’apoteosi, insomma, della superficialità, in cui chi già si trova pretende di trascinare l’intera umanità.
L’ESPERIENZA DI UNA VECCHIA E SEVERA PROFESSORESSA RACCONTA IL DISASTRO AFFETTIVO CHE C’È NEL CUORE DEI FIGLI DELLE FAMIGLIE ALLARGATE
E il risultato qual è? Una vecchia professoressa severa mi raccontava di quel suo alunno, tipico figlio della modernità, con genitori divisi riaccoppiati e fratelli e fratellastri, per cui non si capisce più chi è fratello di chi. Un ragazzo con qualche problema, anche di droga, un ragazzo intelligente ma svogliato, che è stato bocciato un paio di volte. Anche per “colpa” della suddetta professoressa. Ebbene, la signora si è trovata, prima delle vacanze, a fare una di quelle lectio brevis, in cui si parla un po’ e ci si fanno gli auguri. Nella foga della confidenza, l’insegnante ha chiesto agli studenti di esternare le loro critiche e osservazioni sul suo modo di insegnare: visto il clima natalizio avrebbe accettato di buon grado di
mettersi in discussione. Ebbene, quel ragazzo problematico le ha detto: «Ma che critiche prof! Io a lei la vorrei per madre!». Alla donna si è stretto il cuore fin quasi alle lacrime... In un mondo in cui è più facile sostituire che riparare, nessuno si affeziona più a niente e a nessun’altro. L’orsacchiotto di pezza rammendato dalla nonna e tramandato ai nipoti, che dispiace abbandonare solo a casa, è un vecchio ricordo, sostituito dallo smartphone, il cui ciclo di vita ormai supera a stento l’anno. Ma non basta. Si rimpiazzano anche le persone, o almeno ci si prova, per poi
scoprire, a spese proprie e dei propri cari, che la novità annoia presto, se il criterio di giudizio è l’attimo fuggente, e che la famiglia, che è nata con l’uomo e ha sorretto la civiltà per decine di migliaia di anni, contribuendo all’evoluzione dell’essere umano al di sopra delle bestie, meriterebbe una certosina attività di cucito, ancora più appassionata di quella rivolta tempo fa all’orsacchiotto di pezza. Il Natale dovrebbe servire anche, anzi soprattutto, a questo.
11 N. 69
di Tommaso Scandroglio
Il peggior male L’aborto è il male morale peggiore dei nostri giorni. Ben più di immigrazione, fame nel mondo e inquinamento
Lo sappiamo bene: non si parla più di aborto. La politica, i grandi media, le agenzie di educazione e, di conseguenza, il popolino hanno buttato nel dimenticatoio l’aborto, e dunque anche quelle parecchie decine di milioni di bambini uccisi nel ventre materno in tutto il mondo ogni anno. Se ne parla solo quando è necessario allargare le maglie affinché l’omicidio prenatale sia ancora di più facile accesso, o quando una donna deve attendere un giorno in più per disfarsi del figlio perché l’ospedale non è celerissimo nell’attuare il protocollo di morte (ma poi si scopre che così non è), oppure quando gli anticorpi pro choice si attivano in modo virulento per contrastare miti iniziative dei pro life, quali un manifesto che ricorda come eravamo fatti nel ventre di nostra madre, una Marcia per la vita, o una preghiera per le madri e i loro piccoli che non ci sono più. Al di fuori di questi e simili casi, nella coscienza collettiva il tema dell’aborto ha la consistenza di un ectoplasma. 12 N. 69
E ciò che non esiste, non fa problema, quasi non fosse un fenomeno drammatico. Al contrario possiamo affermare che l’aborto è il male morale peggiore dei nostri giorni, ben peggiore di immigrazione, fame nel mondo e inquinamento, tanto per citare dei moloch intoccabili del politicamente corretto. Ecco alcuni motivi per sostenere ciò.
DAL PUNTO DI VISTA GIURIDICO, L’ABORTO DOVREBBE ESSERE QUALIFICATO COME OMICIDIO, DATO CHE VIOLA IL DIRITTO ALLA VITA, DIRITTO PRODROMICO ALL’ESERCIZIO DI TUTTI GLI ALTRI DIRITTI
L’ABORTO PROVOCA UN ROVESCIAMENTO DEI RUOLI NATURALI DELLA MADRE, CHE È PER DEFINIZIONE CHIAMATA A DARE LA VITA, E DEL MEDICO, CHE È CHIAMATO A CURARE E A SALVARE LA VITA
La specie morale dell’atto La natura morale dell’atto abortivo è molto facile da individuare: si tratta dell’uccisione di un essere umano innocente. Dunque l’aborto è né più, né meno che un assassinio. Dal punto di vista giuridico dovrebbe quindi essere qualificato come omicidio, dato che viola il diritto alla vita, diritto prodromico all’esercizio di tutti gli altri diritti. Il soggetto vittima dell’aborto L’aborto non sopprime una persona adulta che, per ipotesi, potrebbe difendersi, chiedere aiuto, scappare. No, uccide il più indifeso di tutti: il nascituro. Il medico abortista lo va a cercare nel posto che
madre natura o Dio Padre hanno voluto fosse il luogo più sicuro per lui: al di sotto del cuore di sua mamma, custodito e avvolto nelle carni materne. Il nascituro non ha modo di difendersi, di scappare, di gridare. Non può, nella generalità dei casi, nemmeno trovare un difensore in tribunale (meritorie in questo senso sono quelle iniziative tese a riconoscere soggettività giuridica al nascituro). Il soggetto che vuole l’aborto L’aborto acquista poi particolare gravità a motivo della persona che vuole sopprimere il nascituro: sua madre. Per diritto naturale la madre è chiamata a difendere il figlio, non a offendere; a custodirlo, non a disfarsene. L’aborto è una contraddizione in termini perché la donna appena concepisce diviene madre, cioè colei che dà la vita, perché genera un figlio, e colei che nella prospettiva perfettiva dei consigli supererogatori è chiamata a dare la propria vita per il figlio. La gravità dell’aborto trova un suo peculiare accento dunque proprio nel legame di sangue che lega madre e figlio,
legame che conserva questa qualificazione, ma che muta natura dopo l’aborto perché legame che gronda sangue innocente. Il soggetto che compie l’aborto Eccezion fatta per quei casi in cui è la donna stessa a porre in essere l’atto abortivo (pensiamo ad esempio all’assunzione della pillola del giorno dopo, o dei cinque giorni dopo, o della Ru486), in genere colui che materialmente uccide il bambino nel grembo materno è il medico. Per suo munus, ossia per suo ufficio, il medico è chiamato a salvare vite, non a sopprimerle. Esiste anche in questo caso, come nell’ipotesi della madre, un rovesciamento dei ruoli naturali: dalla vocazione naturale a strappare dalla morte i pazienti, alla vocazione ideologica a strappare dalla vita chi non è paziente, perché in perfetta salute, oppure chi è paziente e perciò meriterebbe di essere curato e non scartato perché “difettoso”.
13 N. 69
ANNUALMENTE VENGONO COMPIUTI IN TUTTO IL MONDO TRA I 45 E I 50 MILIONI DI ABORTI
L’estensione del fenomeno L’aborto è la prima causa di morte al mondo. Le patologie cardiovascolari, prima causa di morte naturale, provocano all’anno 18 milioni di decessi. I tumori 8 milioni. L’Organizzazione mondiale della sanità ci informa che annualmente vengono compiuti in tutto il mondo tra i 45 e i 50 milioni di aborto. Ciò significa che in media, al giorno, vengono compiuti 125mila aborti in tutto il mondo. Senza poi contare quelli clandestini, i criptoaborti provocati dalle varie pilloline abortive, gli aborti prodotti dai metodi contraccettivi, tutti aborti che facilmente sfuggono a un computo esatto. Una cifra, quella di 50 milioni di aborti, che è dunque una stima fatta molto al ribasso. Per rimanere in Italia, i dati ufficiali ci dicono 14 N. 69
che c’è un aborto volontario ogni cinque minuti e che un concepimento su cinque finisce in un aborto procurato (la prima causa dell’inverno demografico in Italia è dunque l’aborto). La legittimazione giuridica La legittimazione giuridica dell’aborto ha contribuito a diffondere grandemente questa pratica nel mondo. Nella percezione collettiva, infatti, se una condotta è permessa dall’ordinamento giuridico significa che è anche lecita dal punto di vista morale. Disciplinare in senso permissivo l’aborto vuol dire trasformare quello che è un delitto in un diritto, quando invece tale condotta non solo non dovrebbe essere tollerata, ma addirittura sanzionata. Naturalmente se abortire è diventato un diritto, l’esercizio di tale diritto deve
essere garantito dallo Stato. Ciò vuol dire che se la donna ha il diritto di abortire, il medico o la struttura ospedaliera hanno il dovere di fornire l’aborto. Dunque non esiste solo il diritto all’aborto, ma anche il dovere di procurare gli aborti. Per alcune figure professionali l’aborto è perciò addirittura un dovere giuridico. La giustificazione sociale L’aborto dai più è sì percepito come dramma personale e della collettività, ma è anche visto come conquista sociale, come diritto civile. Tempo addietro veniva considerato come un male morale da contrastare, poi come condotta eticamente riprovevole, ma meritevole solo di tolleranza, infine come valore sociale da difendere. In breve, quel processo di inversione che si è realizzato nell’ambito giuridico – da delitto a diritto – si è riproposto pari pari anche in ambito sociale.
Il silenzio delle coscienze Torniamo al clima di silenzio che ammorba il tema dell’aborto accennato in apertura dell’articolo. Tale clima rende ancora più grave il fenomeno sia perché facilita maggiormente la sua diffusione, sia perché è indice di come la coscienza collettiva sia ormai corrotta nel distinguere il bene dal male, incapace di riconoscere l’orrore di uccidere un bambino. Complice di questo atteggiamento omertoso è anche un’ampia fetta del mondo cattolico, composto da laici e non. Ciò è accaduto perché il fumo di Satana che è entrato nel sacro recinto, così come denunciato da Paolo VI, ha intossicato il cuore e le menti di costoro e li ha convinti che l’aborto non deve essere favorito, ma nemmeno debellato. L’unico atteggiamento cristiano sarebbe solo quello dell’accoglienza della donna che ha abortito. Il silenzio quindi verrebbe erroneamente inteso come atto di misericordia, al pari del silenzio di Gesù verso l’adultera che stava per essere lapidata, dimentichi del fatto che l’episodio dell’adultera si chiude con il comando severo di Gesù: «Non peccare più!». Un secondo motivo dell’afasia cattolica sull’aborto viene dal
fatto che molti si sono venduti al nemico: il loro modo di pensare e quindi credere è quello del secolo, non quello del Magistero. Guai quindi a condannare le pratiche abortive, guai a schierarsi inimicandosi il mondo.
Torniamo all’aborto come assente non giustificato nella coscienza sociale. L’aborto, al pari di molte altre condotte contrarie alla legge naturale, è stato perfettamente assimilato dal signor Rossi. Un processo di assorbimento del male che lo ha portato alla completa inconsapevolezza di essere stato avvelenato fino ai capelli dalla cultura di morte denunciata anni or sono da Giovanni Paolo II. Come un pesce che è inconsapevole dell’acqua che lo
LA COSCIENZA COLLETTIVA È ORMAI CORROTTA NEL DISTINGUERE IL BENE DAL MALE, INCAPACE DI RICONOSCERE L’ORRORE DI UCCIDERE UN BAMBINO
circonda perché unico ambiente che abbia mai conosciuto. I pochi che hanno resistito all’assopimento collettivo, alla narcolessia generalizzata, ovviamente vengono trattati come fossero pazzi da sbattere in una cella imbottita e tenere chiusi lì dentro a vita. E infatti le grida dei difensori della vita, in genere, non giungono alle orecchie della massa, perché ormai silenziate dentro le mura di quella cella insonorizzata.
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di Paolo Gulisano
«Chi sei tu per togliere una vita?» Leggiamo nel capolavoro di Tolkien, Il Signore degli Anelli, un vero e proprio manifesto del diritto alla vita La narrativa si è avventurata spesso e volentieri sul terreno dell’utopia, viaggiando nello spazio e nel tempo, aprendo l’immaginazione su nuovi mondi e nuove frontiere, frequentemente prefigurando scenari decisamente inquietanti. John Ronald Tolkien, l’autore de Il Signore degli Anelli, pubblicato nel 1954, uno dei massimi capolavori della Letteratura del ‘900, rifiuta invece ogni idea di utopia; la sua, semmai, è una storia
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ucronica, situata cioè in un tempo non identificabile. Il luogo è invece questa terra, la sola che ci sia data, e che dobbiamo amare. A suo tempo lo scrittore cattolico inglese dovette difendersi dalle accuse di “escapismo”, cioè di disimpegno, rivolte – del tutto a torto – alla sua opera. Non è, il mondo descritto nella Terra di Mezzo, quello in cui fuggire disertando dai propri obblighi e dai propri impegni, ma è invece la propria
NELLA TERRA DI MEZZO SI REALIZZA UN CAMMINO ATTRAVERSO IL QUALE SI DIVENTA AUTENTICAMENTE SE STESSI
patria autentica, la propria casa accogliente, attualmente soppiantata e soffocata dai pessimi risultati della modernità figlia delle utopie ideologiche. È il mondo, come ebbe a dire lo stesso Tolkien, della coraggiosa
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Gollum, lo schiavo dell’Anello del potere
evasione del prigioniero, non della fuga pavida del disertore. Si accede alla Terra di Mezzo, ci si inoltra in essa, per realizzare un cammino attraverso il quale si diviene autenticamente se stessi.
CON IL MALE NON SI PUÒ VENIRE A COMPROMESSI. IL MALE PUÒ, E DEVE, SOLO ESSERE COMBATTUTO.
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Le vicende narrate nel Signore degli Anelli, così come nell’altra grande opera epica Il Silmarillion, offrono dunque con chiarezza la visione della storia e della realtà di Tolkien, in cui un ruolo di grande rilievo, espresso con simbologia efficace e drammatica, è il mito della Caduta, ovvero il grande peccato con il quale gli uomini infrangono l’ordine dato da Dio al cosmo, cercando di sovvertirlo. In termini cristiani si tratta del Peccato Originale. Da questa sfida, da questa rottura dell’alleanza naturale tra l’uomo e il divino ne scaturisce non solo la rovina della più importante delle costruzioni dell’uomo, grande nella sua superbia ma residua, da allora in poi, di una intrinseca fragilità di tutte le ambiziose realizzazioni umane. Uno dei passaggi più significativi del Signore degli
Anelli è quello raccontato nel primo libro della Trilogia, La Compagnia dell’Anello, nel capitolo L’ombra del passato. Gandalf ha spiegato all’hobbit Frodo Baggins quale sia la mostruosa origine di quell’anello che il suo parente Bilbo aveva riportato da quella avventura narrata nel libro Lo Hobbit. Si tratta dell’Anello di Sauron, una sorta di Angelo Caduto che vuole corrompere, dominare, pervertire la Terra di Mezzo. Quell’anello, che conferisce a chi lo porta un grande potere, era finito nelle mani di un hobbit, Smeagol. L’uso di questo potere illecito e corruttore aveva fatto di lui una piccola creatura viscida, mostruosa, moralmente ignobile, chiamata Gollum. Bilbo Baggins gli aveva tolto l’anello, lasciandolo in una disperazione folle, quale può essere quella di una personalità schiava e dipendente da qualcosa quando ne venga privata, e lo porta nella Contea. Ora l’anello di Sauron è in mano a Frodo e un compito tremendo lo attende: l’impresa di sbarazzarsene. Con il male, infatti, non si può venire a compromessi. Il male può e deve solo essere combattuto. Gandalf ha dunque terminato di 17 N. 69
illustrare le vicende dell’anello, quando Frodo, che pure è una creatura mite, gentile, generosa, pervasa di spirito eroico, commenta: «O Gandalf, il più caro e sincero tra i miei amici, che devo fare? Che peccato che Bilbo non abbia trafitto con la sua spada quella vile e ignobile creatura quando ne ebbe l’occasione!». La risposta di Gandalf è chiara: «Peccato? Ma fu la pietà a fermargli la mano. Pietà e misericordia: egli non volle colpire senza necessità. E fu ben ricompensato di questo suo gesto, Frodo. Stai pur certo che se è stato grandemente risparmiato dal male, riuscendo infine a scappare e a trarsi in salvo, è proprio perché all’inizio del suo possesso dell’Anello vi è stato un atto di Pietà». «Mi dispiace», disse Frodo, «ma sono terrorizzato e non ho alcuna pietà per Gollum». 18 N. 69
«Non l’hai visto», interloquì Gandalf. «No, e non ne ho alcuna intenzione», disse Frodo. «Non riesco a capirti, vuoi dire che tu e gli Elfi l’avete lasciato continuare a vivere impunito, dopo tutti i suoi atroci crimini? Al punto in cui è arrivato è certo malvagio e maligno come un Orchetto, e bisogna considerarlo un nemico. Merita la morte». Qui Gandalf pronuncia la sua condanna di ogni gesto che procuri la morte di un’altra creatura: «Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi. Sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze. Ho poca speranza che Gollum riesca a essere curato e
a guarire prima di morire. […] Il cuore mi dice che prima della fine di questa storia l’aspetta un’ultima parte da recitare, malvagia o benigna che sia; e quando l’ora giungerà, la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il corso di molti destini, e soprattutto del tuo». Questo dialogo tra Gandalf e Frodo può essere considerato come un autentico manifesto del Diritto alla vita. Nessuno ha il diritto di togliere la vita a un altro, perfino quando questi «se lo merita», come sottolinea Gandalf. Come fai a togliere quel bene che è la vita, se tu non sei in grado di darla? Questa frase echeggerà a lungo nella coscienza di Frodo, e quella che era stata la Pietà di Bilbo, diventerà la sua, e sarà determinante per il successo dell’impresa.
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IL MALE È MALE, IL DELITTO È DELITTO, IL COLPEVOLE È TALE, SENZA NESSUNA DISCUSSIONE, MA LA VITA È SACRA, ANCHE QUELLA DI UN FARABUTTO
Gandalf invita Frodo a cambiare, a convertirsi alla Pietà, al rispetto di ogni vita, anche la più apparentemente spregevole. Quando Tolkien scriveva il suo romanzo, l’Inghilterra conosceva ancora la pena capitale. I reati più gravi venivano puniti con la morte. Lo scrittore sembra proporre una visione diversa della Giustizia, lontana da qualunque lassismo morale: il male è male, il delitto è delitto, il colpevole è tale, senza nessuna discussione, ma la vita è sacra, anche quella di un farabutto.
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Non gliela si può strappare. Ma se è evidente che Tolkien difende il diritto alla vita per i colpevoli, cosa si dovrebbe dire del diritto alla vita di un innocente? Le parole di Gandalf hanno un significato ben preciso. Chi sei tu per decidere di spegnere una vita? Questa domanda ce la si deve porre anche di fronte a un bambino non ancora nato, un bambino innocente. Ce la si deve porre di fronte all’anziano, al disabile grave, a coloro che la cultura di morte oggi imperante vorrebbe sopprimere con l’eutanasia. È una domanda molto semplice, che interpella la coscienza di ognuno, indipendentemente dalle sue idee, la sua filosofia, la sua religione o assenza di fede: «Chi sei tu per togliere una vita?». Chi potrebbe allora onestamente avere l’ardire, l’arroganza di rispondere: «Io posso decidere?»… solo un mostro come Sauron.
Tolkien, con le sue pagine epiche e commoventi, ci ricorda che il compito dei protagonisti della storia, degli eroi – che non sono supereroi, ma creature piccole e fragili come gli hobbit – è quello di riportare ordine nel caos, di ristabilire la giustizia, di mettere fine all’azione del male e di concedere alla terra almeno un po’ di tregua nel suo combattimento con le forze negative. Il tutto in nome di quella Pietà, che non è semplicemente buonismo o misericordismo, ma piena corrispondenza al piano del Creatore sulle creature.
La Compagnia dell’Anello: Aragorn, Gandalf, Legolas, Boromir, Sam, Frodo, Merry, Pipino e Ghimli: uomini, maghi, elfi, nani e hobbit si devono unire per sconfiggere il male
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Un’alternativa all’aborto
di Vincenzo Gubitosi
«Un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino» Gli eventi e le circostanze della vita rendono del tutto comprensibile che a una donna accada di non sentirsi in grado di portare avanti una missione tanto grande come quella di crescere la creatura che porta in grembo. Al giorno d’oggi, però, si vorrebbe spacciare per comprensibile e, anzi, assolutamente normale, anche l’idea che alla donna possa accadere di non poter/voler dare alla luce la vita che fiorisce dentro di lei. La differenza tra questi due atteggiamenti è la stessa che corre tra l’affidamento del neonato da un lato, e l’aborto, l’infanticidio o l’abbandono dall’altro. Una distinzione che era ben chiara all’Europa cristiana del Medio Evo, che sin dai tempi di Giustiniano (VI secolo) puniva tanto l’infanticidio quanto l’abbandono dei neonati, e che poco dopo l’Anno Mille iniziò a conoscere la diffusione delle ruote degli esposti, che permettevano alle madri in difficoltà di salvare la vita ai loro bimbi, restando nel più completo anonimato e affidandoli a chi si sarebbe preso cura di loro. 20 N. 69
Oggi questa importantissima funzione sociale è svolta, tra l’ostruzionismo di molti e l’ignoranza di quasi tutti, da progetti come le “culle per la vita” che sono state ideate dal compianto Giuseppe Garrone «per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita. È in luogo facilmente raggiungibile, garantisce l’anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino ed è dotata di una serie di dispositivi (riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h 24 e rete con il servizio di soccorso medico) che permettono un facile utilizzo e un pronto intervento per la salvaguardia del bambino».
Vi sono poi altre iniziative, sul piano dell’assistenza materiale e psicologica, cui la solidarietà sociale ha ottenuto una certa diffusione, come si legge anche sul sito web del Ministero della Salute: «Molte regioni e in
È COMPRENSIBILE CHE UNA DONNA INCINTA IN DIFFICOLTÀ NON POSSA CRESCERE IL BAMBINO CHE HA IN GREMBO; NON È COMPRENSIBILE CHE SI SENTA IN DIRITTO DI NON FARLO NASCERE.
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particolare alcune città italiane, per prevenire il fenomeno dell’abbandono traumatico del neonato, hanno promosso campagne informative in proposito, potenziando i servizi a tutela della donna in difficoltà e orientando gli ospedali più specializzati a seguire il parto in anonimato. Tempestive e adeguate informazioni alla donna in gravidanza e interventi concreti in suo aiuto, di tipo sociale, economico e psicologico, permettono di garantire il diritto alla salute della gestante e del nascituro, un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino». La voce più autorevole in materia, a livello istituzionale, riconosce dunque l’importanza di tutti quegli interventi a favore della vita che da sempre il mondo pro life è impegnato a promuovere, pur a fronte dell’incomprensione (quando non dell’ostilità) di quanti ritengono che
la tutela della donna passi esclusivamente per la legge 194 e l’autodeterminazione. Il recente caso delle mozioni, come quella del consigliere Zelger approvata dal Consiglio Comunale di Verona, con le quali sono stati incentivati proprio quegli «interventi concreti» a sostegno delle gestanti e dei nascituri, rende testimonianza di quanto imperi ancora l’ideologia in questo campo. Finché si incentiva l’aborto, ci si muove verso la realizzazione femminile; non appena si parla di aiutare la donna a evitarlo, si sta commettendo un attentato alla sua libertà: questa è la conclusione che siamo obbligati a trarre se stiamo alle reazioni che questa iniziativa ha suscitato. La mozione di Verona, che ha ispirato anche Consiglieri di altri Comuni, come Ravenna, Roma e Milano, oltre che impegnare la Giunta a inserire in bilancio un congruo finanziamento alle associazioni che operano in favore della maternità e della vita nascente, promuove il progetto “culla segreta”, già patrocinato dalla Regione Veneto, che, attraverso degli sportelli dedicati e un’apposita help line, offre alle madri in difficoltà aiuti In Italia esistono una quarantina di culle per la vita (come questa di Perugia)
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LO STATO, TRAMITE IL DPR 396/2000, OFFRE SOSTEGNO ALLE MADRI IN DIFFICOLTÀ, NELL’OTTICA DEL FUTURO AFFIDAMENTO DEL BAMBINO CHE LORO NON POSSONO TENERE
materiali, sostegno psicologico e assistenza legale proprio per poter partorire in modo anonimo. A noi sembra di poter ascrivere a giusto titolo tutte queste iniziative tra i «servizi a tutela della donna in difficoltà» auspicati dal Ministero e dalla stessa legge 194. Nelle pagine seguenti vedremo come lo Stato, tramite il Dpr 396/2000, offre sostegno alle madri in difficoltà nell’ottica del futuro affidamento del bambino che loro non possono tenere.
RICORDATE LA CAMPAGNA DI PROVITA E GENERAZIONE FAMIGLIA FATTA A OTTOBRE CONTRO L’UTERO IN AFFITTO? VOLTATE PAGINA...
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#STOPUTER
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ROINAFFITTO
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Il parto in anonimato per la legge italiana di Giulia Tanel
L’avvocato Maristella Paiar, intervistata da Pro Vita, spiega la legislazione in materia Avvocato, in Italia è possibile partorire in anonimato, ossia dare alla luce il bambino e lasciarlo presso l’ospedale dove è nato con l’assicurazione che verrà assistito e che vi sarà una tutela giuridica su di lui. Quale normativa regola questa possibilità? Esattamente, in Italia è possibile partorire in anonimato, e la tutela dell’anonimato è garantita in maniera davvero forte nel nostro ordinamento. Rispetto alla normativa, è possibile reperire tutte informazioni sul sito del Ministero della salute (goo.gl/ Zqbu7X). Le fonti principali sono tre: la legge 184 del 1993 (con successive modifiche), il Dpr. n. 396 del 2000 (art. 30) e la legge 149 del 2001 (art. 28). Poi ci sono le convenzioni internazionali: le principali sono quella delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo del 1989 e la convenzione dell’Aia sull’adozione internazionale del 1993.
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Mi si permetta una nota a parte, non di carattere giuridico: gli studi di psicologia – a quello che ho appreso nei convegni medico-giuridici cui ho partecipato – hanno dimostrato come sia molto più impattante emotivamente l’aborto della scelta del parto anonimo. Infatti, il dolore e la mancanza del figlio che istintivamente ogni mamma prova viene, nel caso di parto in anonimato, mitigato e colmato dalla consapevolezza che il bambino è vivo, che troverà l’amore di un’altra famiglia e avrà la possibilità di essere felice, dandogli ciò che magari neppure si è avuto per sé, o che nella contingenza storica non si sarebbe in grado di dargli (vi sono donne con storie terribili che riescono a fare questa scelta, donne con fatiche emotive o disagi tali che i più non possono nemmeno immaginare).
Anche se la mamma dovesse non sapere più nulla del bambino, permane la consapevolezza che egli vive e che altri gli hanno dato ciò di cui abbisognava per crescere.
IN ITALIA È POSSIBILE PARTORIRE IN ANONIMATO, E LA TUTELA DELL’ANONIMATO È GARANTITA IN MANIERA DAVVERO FORTE NEL NOSTRO ORDINAMENTO
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Quanto tempo ha la donna per prendere questa decisione? Ed, eventualmente, quanto ne ha per tornare sui propri passi? Per prendere questa decisione la donna ha a sua disposizione l’intera durata della gravidanza. Può richiedere di essere seguita da una/un esperta/o psicologa/o – ovvero da altri operatori –, che la aiutino a valutare se la scelta che va facendo sia quella più opportuna. In ogni caso la donna può attendere tranquillamente dopo il parto per prendere la decisione definitiva. Al momento del parto, o nelle sue immediatezze, la donna comunicherà agli operatori (ostetrica, infermiera, ginecologo) la propria intenzione. La comunica agli operatori sanitari perché, per legge, la dichiarazione di nascita può essere fatta da un’ostetrica, un medico o un’altra persona che abbia assistito al parto, quando la donna dichiara di voler rimanere anonima. Se la donna ha anche solo un dubbio circa l’intenzione di non riconoscere il bimbo – e di lasciarlo in ospedale affinché sia adottato –, potrà chiedere Primo piano
al Giudice del Tribunale dei minori un termine per decidere. In quel periodo di tempo la donna frequenterà il bambino con continuità, in modo da poter decidere con cognizione di causa se si sente o meno di occuparsi del bambino. Il Tribunale di norma assegna un termine alla donna: per solito si tratta di un periodo di riflessione non superiore ai 60 giorni dalla nascita del bambino. Se poi la donna decide di riconoscere e tenere con sé il minore, la procedura sarà quella ordinaria (lo riconoscerà). Se invece decide di non riconoscerlo e di restare nell’anonimato, il minore verrà dichiarato adottabile, dando inizio all’opportuna procedura.
Invece, se la mamma avesse già comunicato la decisione di anonimato, ma poi cambiasse idea, potrebbero accadere due cose diverse: se questo avviene prima che il personale sanitario faccia la dichiarazione all’apposito ufficio e le segnalazioni dovute, la richiesta di anonimato viene “restituita” in busta chiusa e nessuno ne conserverà traccia. Se il ripensamento avviene dopo, si attiverà un ricorso al Tribunale dei minori, che valuterà e deciderà caso per caso.
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Come si svolge l’iter giuridico di adozione per un bambino che viene lasciato in ospedale? Normalmente vi sono 10 giorni dalla nascita del bambino affinché venga fatta la dichiarazione di nascita presso l’apposito servizio comunale. Possono provvedervi i genitori assieme, oppure può provvedere uno dei due e – ove non coniugati – autorizzare l’altro a provvedervi in seguito. Se vi sono motivi contingenti quali la minore età della mamma del nascituro (età inferiore agli anni 16), ovvero entrambi i genitori siano minori, la procedura viene sospesa fino al raggiungimento dell’età utile al riconoscimento da parte di uno o di entrambi genitori. In questo caso, di solito il bambino viene affidato ai prossimi congiunti entro il 26 N. 69
quarto grado (normalmente i nonni del bambino), ovvero ad altro adulto legato significativamente ai genitori del bambino, ovvero a uno o a una coppia di adulti incaricati dal Tribunale dei minorenni, sempre fino al raggiungimento dell’opportunità dei genitori. Spesso in questo caso si ha anche un mandato al servizio sociale, che monitora la situazione e verifica l’adeguatezza della famiglia e del genitore/della coppia genitoriale di adolescenti. Se invece il bambino non viene riconosciuto in quel termine, l’ospedale informa la Procura presso il Tribunale dei minori che, rapidissimamente, propone ricorso davanti al Giudice del Tribunale dei minori per ottenere una sentenza
PER PRENDERE QUESTA DECISIONE LA DONNA HA A SUA DISPOSIZIONE L’INTERA DURATA DELLA GRAVIDANZA, ED EVENTUALMENTE ANCHE UN BREVE PERIODO SUCCESSIVO AL PARTO
di adottabilità del bambino. Contemporaneamente viene attivato il servizio sociale che, previa accurata informazione della madre del neonato, verifica le condizioni e attiva ogni opportuno supporto. Provvede di norma altresì ad attivare le procedure per l’individuazione di una famiglia affidataria dove collocare il neonato, in attesa che venga adottato (affido preadottivo). Primo piano
Quali caratteristiche deve avere la famiglia cui il bambino viene prima affidato e poi dato in adozione? La famiglia che richiede di adottare un minore è di norma una famiglia che viene valutata da un team di specialisti, sia da un punto di vista materiale, sia psicologico. Essa affronta un iter spesso molto lungo, volto a valutare se quella effettuata dalla coppia sia una scelta di accoglienza e apertura ai concreti bisogni del bambino che verrà dato loro in affido/ adozione, cioè volta a soddisfare i bisogni del minore da un punto di vista affettivo, emotivo, educativo, di crescita e di cura e di ogni altro tipo, genere e natura, piuttosto che una scelta volta al soddisfacimento di un bisogno proprio della coppia o di uno dei coniugi. Viene verificato che la coppia sia consapevole, ovvero che non idealizzi il minore o la situazione, senza rendersi conto delle difficoltà. Spesso la procedura comporta la verifica nella capacità della coppia genitoriale di accogliere Primo piano
il minore nelle sue connotazioni emotive, nei suoi reali bisogni e senza aspettative eccessive. Ciò avviene anche perché la coppia genitoriale possa rendersi conto che, nel corso degli anni, potranno porsi svariati problemi, dovuti proprio alla speciale situazione del bambino adottato, che dall’adozione diviene a tutti gli effetti figlio della coppia “per sempre”. È una famiglia che dunque spesso attende per anni di accogliere un minore. Di norma è una famiglia preparata, è una famiglia accogliente che sa chiedere aiuto e conosce enti e specialisti. Una famiglia che si mette pienamente a disposizione delle esigenze del bambino e che si impegna a crescerlo come proprio, offrendo tutto l’amore e tutte le capacità a disposizione.
A livello giuridico, il bambino lasciato in ospedale potrà mai risalire all’identità della donna e dell’uomo che l’hanno concepito? Esiste l’articolo 28 della legge 149 del 2001 che tutela la riservatezza della mamma che, se dichiara di non voler essere nominata, ha diritto a rimanere anonima. D’altro canto esistono anche un insieme di disposizioni, sentenze e indicazioni anche di organismi internazionali, che prevedono il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Ciò è particolarmente significativo in caso di malattie ereditarie o geneticamente trasmesse o trasmissibili.
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LA FAMIGLIA CHE RICHIEDE DI ADOTTARE UN MINORE È DI NORMA UNA FAMIGLIA CHE VIENE VALUTATA DA UN TEAM DI SPECIALISTI, SIA DA UN PUNTO DI VISTA MATERIALE, SIA PSICOLOGICO
Il contemperare i due opposti diritti è sicuramente una questione estremamente delicata; attualmente si ritiene debba essere comunque tutelata la segretezza dei dati della madre, al contempo eventualmente - potrebbero essere fornite quelle informazioni necessarie per la salute del figlio, ove si possa procedere senza esporre la madre. Per venire incontro agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e alla Convenzione dell’Aia sull’adozione internazionale del 1993, attualmente è riconosciuto il diritto del figlio ad accedere, in certe condizioni e con certe procedure, alle informazioni relative all’identità dei suoi genitori biologici.
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Il bambino probabilmente non risalirà mai all’identità dell’uomo che l’ha concepito. In alcuni casi potrebbe risalirvi, aiutato della donna che l’ha partorito, ove vi siano particolari condizioni. Significativa in tal senso è una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 278 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una parte di quell’articolo 28 relativo alla segretezza dei dati materni, nella parte in cui non prevede che il giudice possa, su richiesta del figlio, sentire la madre che ha dichiarato di non voler essere nominata per un’eventuale revoca della sua decisione. Anche questo è un tentativo di tutelare da una parte la donna che ha fatto una scelta di vita per il figlio e di anonimato per
sé, spesso sofferta e frutto di un periodo particolare della sua vita, e dall’altra il diritto di quel figlio di conoscere le proprie origini e i motivi di quella scelta. Essa fa eco a una prassi che si era presentata negli anni Ottanta e Novanta presso alcuni comuni/ ospedali, dove era possibile, per le donne che avevano scelto di non riconoscere i loro figli (per motivi ad esempio legati all’età, alle capacità economiche ed emotive contingenti, o altri motivi gravi), lasciare una lettera per quei figli, indicando anche all’addetto – che lo segnava sulla busta assieme ad alcuni dati utili – da che età e per che richieste avrebbe potuto/dovuto essere consegnata al figlio nel caso in cui avesse ricercato le sue origini.
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Aborto: un’identità lacerata di Francesca Malatacca Una psicoterapeuta spiega che la gravidanza si configura come un processo fondamentale nella formazione dell’identità femminile. Lo spazio mentale è sede della preparazione biologica dell’utero accogliente, quindi nell’elaborare un grembo psichico in cui il bambino è immaginato ancor prima di nascere, lo spazio mentale diventa relazione con il bambino. Greta Bribing individua durante la gravidanza “compiti adattivi”, nella donna nei primi mesi della gravidanza che consistono nell’accettare l’embrione prima e il feto dopo quali parti del sé integrante. Fusione che dura fino a quando la percezione dei primi movimenti fetali non dà la rappresentazione alla donna di “un altro da sé”: il bambino. Il secondo compito che la donna deve sviluppare sono i propri investimenti oggettuali. Il desiderio materno rende il progetto di un bambino come “figlio”, quindi la capacità della donna di realizzare la maternità, ossia l’esistenza dell’altro che esiste dentro di sé. L’aborto interrompe in maniera traumatica ciò, non esiste interruzione volontaria di gravidanza che non crei Primo piano
CON L’ABORTO, LA MADRE INTERROMPE L’IDENTIFICAZIONE CON IL BAMBINO E SOPPRIME, NEGANDOLA, UNA PARTE DI SE STESSA. dei disagi psicologici, che non destabilizzi la donna nel profondo. L’aborto è un trauma, e come tale produce stress tanto da creare disturbi alla psiche. Interrompe l’identificazione con il bambino e sopprime, negandola, una parte di se stessa. Nosologia internazionale: • Lo stress post-aborto: disturbo che insorge fra i 3 e i 6 mesi che rappresenta il disturbo più lieve.
Quali sono allora i sintomi? Disturbi emozionali, disturbi della comunicazione, disturbi dell’alimentazione, disturbi della sessualità, attacchi di panico. Tali sintomi possono insorgere anche anni dopo l’IVG, ma la sintomatologia più importante che può verificarsi dopo l’aborto può essere attraverso rischi relativi a nuova gravidanza: aborto spontaneo, abortività ricorrente, sterilità psicologica.
• Disturbi che possono insorgere dopo alcuni anni: “Sindrome da trauma conseguente ad aborto” (SPA) • Psicosi post-aborto (di natura psichiatrica) • SPT (Vincent Rue 1981, Sindrome da stress post traumatica) 29 N. 69
L’attaccamento prenatale materno è definito come investimento immaginativo ed emotivo che dà luogo a uno spazio mentale che una madre sviluppa verso il proprio figlio, tale processo è associato alle dinamiche psicologiche della personalità della donna, al suo benessere psicologico, alle sue relazioni affettive, a fattori di stress e al supporto sociale.
Durante la gravidanza le cellule comunicano tra di loro, sviluppando la simbiosi materno-fetale. I meccanismi di difesa che possono insorgere dopo l’abbandono di un figlio riguardano la frammentazione del sé della donna, e possono essere anche a lungo termine causa di allucinazioni, deliri, disturbi persecutori, attacchi maniacali, disturbi psicotici.
Dal concetto di crisi proposto da Bribing (1959), secondo cui la gravidanza porta a un livello evolutivo elevato che implica una ridefinizione della propria identità, e come tutte le fasi anche la gestazione e la maternità propongono nuove richieste psicologiche, il passato ruolo di figlia lascia il ruolo a quello di madre.
La maternità riconduce la donna all’attaccamento che ha vissuto con la propria madre, quindi ad uno stato primario in cui il bambino a volte diventa palcoscenico di mancanze e paure della propria infanzia. Ecco perché il bambino può diventare “il persecutore” che risveglia l’esperienza traumatica di abbandono della madre.
Il comportamento materno accudente deriva dall’integrazione dell’istinto primario e delle altre dinamiche psicologiche della vita.
“Maternità non desiderata”, “maternità non pensata”, “emancipazione”, “sessualità”, “coscienza”... le conseguenze psicologiche relative all’aborto sono molteplici, e anche la morte del bambino che non è riconosciuta dal contesto a cui appartiene è traumatica. La negazione alla vita e la maternità non condivisa ma non negata biologicamente possono avere conseguenze psicologiche che affondano le cicatrici nel Dna dell’anima della donna, e che saranno presenti fino all’ultimo suo respiro.
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DISTURBI EMOZIONALI, DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE, DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE, DISTURBI DELLA SESSUALITÀ, ATTACCHI DI PANICO: QUESTE SONO LE PIÙ COMUNI CONSEGUENZE DI UN ABORTO.
Il lutto che deve essere elaborato dopo un aborto e il lutto dopo l’abbandono di un figlio si distinguono da qualsiasi altro lutto, poiché è necessaria sia l’elaborazione della perdita e sia la perdita di una parte del sé della donna. Il vissuto elaborato può essere caratterizzato dal senso di aggressività verso se stessa, rabbia e senso di colpa per non aver saputo affrontare la vita in modo diverso, sia verso se stessi che nei confronti del partner ma anche verso il contesto socioculturale in cui vive. Da un punto di vista evolutivo, la gravidanza si configura come un processo fondamentale nella formazione dell’identità femminile, deve essere considerata non come semplice “fase di sviluppo” ma anche come “crisi”. Il mondo non è mai pronto alla nascita di un bambino. Cos’è l’istinto materno?...
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Sterilità di coppia, fecondità di cuore: l’adozione che cambia la vita La testimonianza di una coppia, di una famiglia La decisione di adottare
La nostra decisione di adottare maturò nella speranza di vedere realizzato un desiderio di genitorialità. Dovevamo riempire un vuoto, che era come un lutto. Non avevamo perso la speranza di avere figli biologici, perché nessuno dei due era sterile, ma eravamo mortificati da anni di analisi e visite che non avevano dato l’esito sperato. Ci avevano proprio allora suggerito la fecondazione artificiale, ma eravamo perplessi. L’eventualità che degli embrioni fossero soppressi per quel desiderio che si stava trasformando quasi nostro malgrado in ostinazione, ci risultò intollerabile. Pensammo allora che la domanda di adozione sarebbe servita a stemperare ansie e frustrazioni. E, poi, se lei fosse rimasta incinta, avremmo sempre potuto lasciar perdere.
e documenti da presentare al Tribunale dei Minori, colloqui con l’assistente sociale, con la psicologa, incluso un corso di più sedute all’Asl. Aspettammo più di un anno il decreto di idoneità che ci avrebbe permesso di rivolgerci a uno degli Enti accreditati per l’adozione internazionale e, quando finalmente arrivò, ci precipitammo all’Ente, dall’altra parte della città, con il traffico che aumentava la nostra impazienza. All’Ente seguimmo un percorso di mesi, con incontri periodici che interessavano i vari risvolti dell’adozione internazionale. Terminato il corso, passarono tutta la primavera e poi l’estate: «C’erano delle complicazioni», ci dissero.
di Clemente Sparaco Finalmente a ottobre fummo convocati per una bambina in Russia. Iniziò allora una nuova corsa per la documentazione. Preparai un elenco con tante voci che via via spulciavo. C’era da produrre un attestato di lavoro, la visura catastale della casa, un certificato generale del Casellario giudiziario e un certificato di sana e robusta costituzione, che includeva ben nove visite specialistiche e quattro diversi accertamenti. I documenti andavano infine tutti apostillati in Prefettura. Quando decollammo per la Russia sapevamo che la bambina aveva cinque anni e solo a Mosca ci fu detto che era in un piccolo istituto del sud, a circa 1000 km.
L’iter adottivo e l’attesa Seguimmo, prima con distacco, poi sempre con maggiore coinvolgimento, una lunga trafila burocratica, fra attestati Primo piano
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Partimmo la sera stessa in treno con l’interprete e arrivammo il pomeriggio del giorno dopo. L’incontro Quando ci fu portata la bambina, lei era immobile. Si capiva che era impaurita, quasi impietrita. Cercavamo di sbirciarne il volto per incontrare i suoi occhi, che però erano fissi dall’altra parte. Avevamo rincorso il desiderio di un figlio per anni, avevamo atteso quel momento quasi ossessivamente, avevamo fatto migliaia di chilometri, ma ora ci sentivamo estranei e come fuori luogo. Ci sembrava di violare quel mondo infantile, di entrarvi non richiesti, e che tutto quanto ci eravamo detti, avevamo pensato e sognato, equivalesse a una ragione di parte, sottilmente egoistica. Ora rivedevamo tutto con gli occhi di una bimba cui avevano detto che erano arrivati mamma e papà, ma che si ritrovava di fronte due adulti che parlavano un’altra lingua. Fu come un rivolgimento inatteso, che però ci dischiuse a un’infinita responsabilità. Tacevamo anche noi, come la bambina, forse perché l’amore per cui si tace è condivisione.
Stemmo con lei un’ora e mezzo e ripartimmo. Ritornammo due mesi dopo per la sentenza definitiva del Tribunale russo, che riconosceva la nostra potestà genitoriale. La bambina arrivò in un piccolo pulmino dalle portiere arrugginite insieme ad altri bimbi dell’istituto e, quando ci vide, ci venne incontro con le braccia aperte, mentre percepivamo gli occhietti degli altri che, seduti sugli strapuntini, ci scrutavano con struggente curiosità. Da allora è la nostra prima figlia.
Una seconda adozione Passò poco più di un anno e pensammo di presentare una nuova domanda di adozione. Aspettammo e fummo convocati alla fine dell’anno successivo. Ci fu un intoppo però. Ci dissero che non eravamo idonei, perché al colloquio psicologico la nostra bambina
era stata giudicata con problemi tali da pregiudicare l’inserimento di un nuovo minore in famiglia. A noi parve ingiusto e ci rivolgemmo a un Istituto di neuropsichiatria infantile di rilievo nazionale. Nel frattempo la domanda era stata respinta, cosa che ci fu formalizzata con lettera raccomandata. Facemmo ricorso e ci sottoponemmo ad un ulteriore iter burocratico. L’anno successivo il nostro avvocato ci disse che dovevamo soprassedere, perché il ricorso non aveva forza giuridica. Fu triste, ma ci rassegnammo. Alla fine di ottobre, però, a sorpresa, ci telefonarono dal Tribunale per comunicarci che il ricorso era stato accettato e che eravamo nuovamente idonei per un’adozione. Ci rivolgemmo, allora, allo stesso ente e l’anno successivo ci fu comunicato che a San Pietroburgo ci era stata abbinata una bimba di 11 mesi.
«L’ADOZIONE È UN SOGNO DI TANTI BAMBINI E DI TANTE FAMIGLIE […] DENTRO QUESTA RECIPROCITÀ DI BISOGNO E DI AMORE NASCE E MATURA IL PROGETTO ADOTTIVO» (OSVALDO RINALDI, ZENIT.ORG, 04.11.2014)
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Un uccellino caduto dal nido Partimmo il 2 agosto e la conoscemmo. Era estremamente piccola e cagionevole. Sembrava respirare a fatica. Pianse tutto il tempo dell’incontro e ciò aumentò la sua congestione. Ritornammo ancora a ottobre e poi a novembre, finché l’11 di quel mese la bambina ci fu data in adozione.
Con lei le difficoltà più grandi furono alimentari, perché rigurgitava il latte e rifiutava il cibo solido. Con tenacia passammo dal biberon al cucchiaino: un cucchiaino alla volta, per ore. Niente pappine, piuttosto farina lattea. Mangiava come un uccellino caduto dal nido ed era cronicamente ai minimi percentili di peso,
altezza e circonferenza cranica. Aveva 15 mesi e pesava 6 kg. La situazione migliorò solo un paio di anni più tardi, quando scoprimmo che era celiaca e fu prescritta una dieta adeguata.
Nota della Redazione. Questa preziosa testimonianza sta a dimostrare che l’adozione non è per tutti: i bambini in stato di adottabilità sono bambini traumatizzati, bisognosi di cure speciali e di genitori particolarmente equilibrati e affidabili. Le norme sull’adozione di minori sono dettate nell’interesse dei bambini, per dar loro una famiglia. Non sono leggi poste nell’interesse degli adulti, per dar loro un figlio.
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PRAGA
GINEVRA
CITTÀ DEL MESSICO
VARSAVIA
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MADRID
SYDNEY
SALT LAKE CITY
TBLISI
BUDAPEST
CHISINAU
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www.wcfverona.com
Il business sulla pelle di chi “cambia sesso” di Patrizia Floder Reitter
(Parte Prima)
Un reportage in due puntate sull’imponente giro di affari che ruota intorno all’industria della “riassegnazione del sesso”: c’è chi fa davvero tanti soldi sulla pelle di persone che soffrono per un serio disagio psichico, non solo prima, ma anche dopo l’intervento chirurgico Dal 3 al 6 novembre si è svolto a Buenos Aires uno dei principali congressi dedicati all’assistenza e alla cura delle persone transessuali, il 25th Wpath Symposium. Il business della riattribuzione del sesso registra fatturati impressionanti, confermando la spaventosa crescita nel mondo di richieste di modificarsi chirurgicamente, o attraverso terapie ormonali, scegliendo interventi drastici e spesso con conseguenze drammatiche come risposta a un disturbo che è di natura psicologica. La multinazionale del caffè Starbucks a giugno ha annunciato che sosterrà le spese di cambio di sesso dei suoi impiegati, negate dalle compagnie assicurative. Due anni prima, nel maggio del 2016, Lloyds Banking Group, gruppo di servizi finanziari e assicurativi con milioni di clienti del Regno Unito, fu la prima società inglese a offrire la copertura delle spese per interventi chirurgici di questo tipo, dopo aver stimato che circa 830 dei suoi 80.000
dipendenti in Gran Bretagna erano di “genere non binario”. La decisione di estendere i piani di assicurazione sanitaria ai trattamenti di disforia di genere, vennero decisi per «garantire salute e benessere ai colleghi», dichiarò l’azienda al quotidiano The Telegraph. Quell’anno, nel Regno Unito risultarono 4.500 le domande di riassegnazione chirurgica dei genitali, con una crescita annuale del 30%. Lo scorso giugno, sempre The Telegraph scriveva che James Palmer, direttore sanitario per i servizi specializzati presso il National health service (Nhs), il sistema sanitario nazionale in vigore nel Regno Unito, parlava di quasi due milioni di cittadini britannici che si starebbero preparando a un cambio di genere.
NEL 2014, I 172 CAMBI DI SESSO A CARICO DEL NHS COSTARONO AI CONTRIBUENTI INGLESI ALMENO 2 MILIONI DI STERLINE
Walter Heyer, prima, dopo e oggi: l’ex transgender ha fondato un’associazione di sostegno a chi – come lui – dopo il “cambiamento di sesso” non ha affatto risolto i suoi problemi psicologici ed esistenziali. Il sito web dell’associazione Sex Change Regret (www.sexchangeregret.com) è anche in italiano
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In una conferenza stampa, Palmer ha riportato cifre impressionanti: «Un aumento delle richieste del 240% negli ultimi 5 anni. Attualmente ci sono 7.500 persone in attesa di un appuntamento. Nessun altro servizio specialistico è cresciuto in questa maniera nel nostro Paese», commentava. Nel 2014, i 172 cambi di sesso a carico del Nhs costarono ai contribuenti inglesi almeno 2 milioni di sterline, scriveva The Sun a gennaio di quest’anno. Aggiungeva: «In media, il tempo di attesa per un cambio di sesso è di 9 mesi per gli adulti e di 4/5 mesi per i bambini». Nei cinquant’anni dall’avvio dei servizi del Nhs, si stima che oltre 130.000 inglesi abbiano cambiato genere. Diverse cliniche sono un riferimento per chi vuole sottoporsi a terapia ormonale o modificarsi chirurgicamente. Tra queste, la Gender Identity Clinic è la più grande e antica, accetta pazienti da tutto il Regno Unito.
L’INTERVENTO CHIRURGICO NON CAMBIA DAVVERO IL SESSO (CHE È SCRITTO NEL DNA). UN UOMO RESTA UOMO, UNA DONNA RESTA DONNA, CON TUTTE LE PROPRIE PROBLEMATICHE un intervento chirurgico che non gli aveva cambiato davvero il sesso. Restava un uomo con le sue problematiche: «I transgender hanno bisogno di cure psichiatriche, ma spesso non hanno nessuno ad aiutarli», affermò, puntando il dito contro quanti sostengono che il fenomeno abbia una base biologica. È una tesi scientificamente infondata. «L’unica cosa che il chirurgo può cambiare è la cartella clinica, i registri delle nascite e la percezione che sia avvenuto un cambiamento sul tavolo operatorio. Un test del Dna dimostrerebbe che non è stato effettuato alcun cambio di sesso», scrive Heyer sul suo sito SexChangeRegret.com.
Al periodico Tempi rivelò l’alto numero di suicidi negli Stati Uniti tra la popolazione di persone transessuali: «Sono il 30%, ma c’è chi rimane vivo, così la soglia dei tentati suicidi sale al 40%. In Svezia tutti coloro che hanno subìto operazioni per cambiare sesso tra il 1973 e il 2003 hanno provato a suicidarsi o hanno avuto gravi problemi psichiatrici. Spesso chi ha disturbi di identità sessuale si prostituisce. Sul mio sito web vengo contattato da migliaia di persone ogni anno, sento storie terribili di gente che maledice il giorno in cui si è messa sotto i ferri, che soffre e non trova nessuno che l’aiuti».
La denuncia Walt Heyer, settantasettenne ex transgender americano, denuncia da anni l’assurdità del cambio di sesso. Nel 2013, durante la presentazione in Italia del libro Paper Genders. Il mito del cambiamento di sesso, nel quale racconta la sua storia, dichiarò di essere stato vittima del transessualismo accettando 36 N. 69
La copertina di un numero di National Geographic dedicata al transgenderismo, che promuove come una conquista di civiltà il cambiamento di sesso anche tra i ragazzini
Lactatia è il nome d’arte di un bambino canadese di nove anni, Nemis Quinn Melancon, che si esibisce con molto successo negli spettacoli dei travestiti. Progresso o abuso su minori?
IN SVEZIA TUTTI COLORO CHE HANNO SUBÌTO OPERAZIONI PER CAMBIARE SESSO TRA IL 1973 E IL 2003 HANNO PROVATO A SUICIDARSI O HANNO AVUTO GRAVI PROBLEMI PSICHIATRICI
Alta percentuale di suicidi Nel 2017 Stonewall, la principale associazione per la difesa dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender nel Regno Unito, ha condotto assieme all’Università di Cambridge una ricerca su 400 giovani studenti transessuali. È risultato che il soggetto campione, oltre a comportamenti autodistruttivi, era affetto da depressione, ansia e incline al suicidio (40% contro il 25% delle persone omosessuali). Paul McHugh, eminente professore di psichiatria alla Johns Hopkins medical school, nel 2015 aveva dichiarato: «Gli uomini transgender non diventano donne, né le donne transgender diventano uomini. Tutti diventano uomini femminilizzati o donne mascolinizzate, contraffazioni o imitatori del sesso con cui si identificano. In ciò sta il loro futuro problematico».
Il cambio del sesso è fisicamente impossibile e molto spesso non offre serenità, al contrario innesca serie problematiche e disturbi fisici. Come riportato da The Guardian, «i risultati di molti studi di riassegnazione di genere non sono soddisfacenti perché i ricercatori hanno perso la traccia di più della metà dei partecipanti». È capitato più volte, nel corso degli anni, anche nell’agosto del 2016, portando gli studiosi a credere che l’insufficienza di riscontri fosse dovuta ad alti livelli di insoddisfazione o di suicidi. La Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre) sul suo sito riporta e raccomanda l’abstract dello studio Complications of the neovagina in male-to-female transgender surgery: A systematic review and meta-analysis with discussion of management, pubblicato nell’ottobre 2017 dalla rivista ufficiale Clinical Anatomy. Gli studi effettuati su 1.684 pazienti riferivano una percentuale di complicanze complessive del 32,5% e un tasso di reintervento di 21,7% per motivi non estetici. La complicazione più comune è stata la stenosi del neo-meato (14,4%).
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L’infezione delle ferite è stata associata a un aumentato rischio di tutte le complicazioni di guarigione dei tessuti. L’uso della fissazione del legamento sacro-sinusale (Ssl) è stato associato a un rischio di prolasso della neo vagina. Su altri effetti e complicanze torneremo più avanti. Il tariffario Ma quanto costa finire sotto i ferri? Negli Stati Uniti, dove vivono circa 1,4 milioni di persone transgender, Bill Ferguson, avvocato della compagnia assicurativa Arthur J. Gallagher e Co. ha dichiarato che l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso può costare 30.000 dollari. «Circa un terzo dei trans ha subito un intervento chirurgico legato alla transizione di genere», afferma Sarah McBride di The Human rights Campaign. Business Insider, il sito americano di riferimento per le news di 38 N. 69
tecnologia, finanza, mercati, business e management, sostiene che le operazioni costano tra i 20.000 e i 30.000 dollari. Nel 2016, i chirurghi plastici statunitensi hanno eseguito 3.256 operazioni per aiutare le persone a cambiare sesso (+19% rispetto all’anno precedente). Di queste, 1.759 erano uomini, 1.497 donne. Le procedure di «conferma di genere» possono includere qualsiasi cambiamento anatomico, dal rimodellamento del viso e del corpo agli interventi chirurgici di riassegnazione. Loren Schechter, chirurgo di Chicago, ha spiegato che i chirurghi plastici spesso collaborano con altri esperti per fornire la cura più completa possibile. Al Philadelphia center for transgender surgery, una delle strutture chirurgiche di riferimento per la comunità transgender, il listino prezzi (suscettibile di variazioni) offre diverse, costose possibilità. Per le donne che vogliono diventare uomo si parte
dal “pacchetto” base che comprende isteroannessiectomia (asportazione dell’utero e dei suoi annessi, tube di Falloppio e ovaie), rimozione della vagina, con successiva ricostruzione di un neo fallo e del sacco scrotale, al prezzo di 15.000 dollari più le spese di anestesia e il ricovero ospedaliero di una notte. Per un totale di 21.250 dollari. Chi finisce sotto i ferri nell’illusione di cambiare il sesso biologico, non si ferma all’apparato genitale. Si sottopone a mastectomia sub cutanea per ottenere un petto dall’aspetto mascolino, a riduzione e rimodellamento dei capezzoli (dai 6.000 agli 8.000 dollari); rimuove gli eccessi di cute e di tessuto adiposo nell’addome (da 5.200 a 8.500 dollari). Se poi la trans vuole avere anche un volto più maschio, gli interventi su naso, palpebre, aumento del mento, delle guance, sollevamento della fronte oscillano dai 6.000 (rinoplastica) ai 30.000 dollari del ritocco completo. Saremmo già a più di 50.000 dollari. Senza calcolare le spese ormonali su cui torneremo più avanti. L’aspirante donna spende un po’ meno, la formula base che include amputazione degli organi genitali maschili
Il libro di Heyer, che per primo ha denunciato il business sulla pelle di chi vuole “cambiare sesso”
I 3.256 TRANS OPERATI NEGLI STATI UNITI NEL 2016, SECONDO I DATI UFFICIALI, HANNO SPESO PIÙ DI 97 MILIONI DI DOLLARI IN UN ANNO
e la ricostruzione di organi genitali che simulano i genitali femminili, vulva e vagina costano una media di 19.750 dollari, comprensivi di tre notti in ospedale. A questi vanno aggiunti 4.600 dollari per eliminare i testicoli, 8.200 dollari per aumentarsi il seno, dai 6.500 ai 8.500 per rimpolpare le natiche, 8.500 dollari di addominoplastica, più eventuali liposuzioni con costi differenti. Sul viso si arriva a spendere parecchio, 4.400 dollari per accorciarsi le labbra superiori, 6.700 dollari per migliorare le palpebre, 7.500 per il naso, 5.200 dollari per ammorbidire le guance, 10.600 per un lifting, solo per citare alcuni interventi. Se consideriamo una spesa media pro capite di 30.000 euro (solo chirurgica), i 3.256 trans operati negli Stati Uniti nel 2016, secondo i dati ufficiali, hanno
speso più di 97 milioni di dollari in un anno. Interventi fuori dagli States La maggior parte delle compagnie assicurative americane «esclude categoricamente» le persone transgender. Senza copertura, molte persone non sono in grado di permettersi gli ormoni, gli interventi chirurgici e la consulenza necessari per completare la transizione perciò vanno all’estero, dove pagano molto meno. L’agenzia di stampa internazionale Bloomberg nel 2015 testimoniava come la Thailandia sia in prima linea nella pratica della chirurgia transgender, capitalizzando decenni di know-how, assistenza sanitaria a basso costo e una pronta fornitura di chirurghi addestrati. Preecha Tiewtranon, pioniere di questa chirurgia, ha
aiutato più di 3.500 pazienti transgender nella riassegnazione chirurgica dei genitali, interventi di femminilizzazione del volto, di mastoplastica additiva o di mastectomia. I pacchetti, comprensivi di spese mediche e chirurgiche, sistemazione in albergo, massaggi e un tour della città partivano da 9.770 dollari. Almeno il 90% dei clienti proviene da fuori dalla Tailandia, principalmente dalla Cina, dal Medio Oriente e dall’Australia. Kim Seok-Kwun effettua interventi in Corea del Sud perché sostiene di dover «correggere gli errori di Dio». Ha cambiato anche il sesso di una donna che è diventata monaco buddista, come ha riferito diariolibre.com. La maggior parte dei suoi pazienti ha tra i 20 e i 30 anni di età, spesso sono i genitori a sostenere le spese.
(SEGUE NEL PROSSIMO NUMERO...)
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Perché facciamo il presepe? di Mariolina Coghe Per i genitori fare il presepe con figli è un momento privilegiato per trasmettere la loro fede. Scoprire passo dopo passo i segreti nascosti nel presepe , attraverso la Sacra Scrittura, è avvicinarsi al mistero di Dio. Nel tempo del Natale celebriamo l’amore di Dio per gli uomini, che si manifesta in Gesù Cristo. L’espressione “amore di Dio” ha due accezioni molto diverse tra loro: una in cui Dio è oggetto e l’altra in cui Dio è soggetto; una che indica il nostro amore per Dio e l’altra che indica l’amore di Dio per noi. La rivelazione biblica dà la precedenza al secondo significato: all’amore di Dio, non all’amore per Dio; infatti Dio ama l’uomo per primo come leggiamo nella lettera di san Giovanni Apostolo: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4, 10). Da questo dipende tutto il resto, compresa la nostra stessa possibilità di amare Dio: «Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo» (1 Gv 4, 19). Nel ricostruire la storia terrena di Cristo, tutti si erano fermati alla sua nascita da Maria, Giovanni invece fa il grande balzo indietro, dal tempo all’eternità: «In principio era il Verbo». 40 N. 69
Ed è questa incarnazione che il Presepe vuole celebrare ricordando a ciascuno di noi che esiste un amore così grande che inizia con la nascita di Gesù e troverà compimento nella sua morte e resurrezione. Nel XIII secolo, il Signore ispirò il poverello di Assisi, Francesco, a rappresentare la nascita di Gesù in maniera viva e palpitante. Tommaso da Celano nella sua biografia di Francesco spiega in pochissime parole il senso di questa sacra rappresentazione natalizia: «In quella scena si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà”. Sono queste le tre stelle simboliche che brillano nella notte del Natale di Gesù ed è proprio questa luce a far comprendere quanto il presepe sia un segno universale per tutti gli uomini e le donne dal cuore e dalla vita semplice, povera e umile.
«IN QUESTO STA L’AMORE: NON SIAMO STATI NOI AD AMARE DIO MA È LUI CHE HA AMATO NOI» (1 GV 4, 10)
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«IN QUELLA SCENA SI ONORA LA SEMPLICITÀ, SI ESALTA LA POVERTÀ, SI LODA L’UMILTÀ” (TOMMASO DA CELANO)
Oggi per i genitori fare il presepe insieme ai figli è un momento privilegiato per far conoscere loro questo amore e quindi trasmettere loro la fede. Scoprire passo dopo passo i segreti nascosti nel presepe, attraverso la Sacra Scrittura, è avvicinarsi al mistero di Dio. Ogni personaggio ha una storia che affonda le sue radici nella storia della Salvezza. Nel libro Perché facciamo il presepe? ho cercato di scoprire i segreti nascosti nel presepe, attraverso la Scrittura, per avvicinarmi, con i Lettori, al mistero di Dio.
Greccio (RI), Santuario del Presepio
La Natività si verifica in piena notte, nelle tenebre, che simboleggiano la situazione presente prima della nascita di Colui che, sconfiggendo il buio, rappresenta il trionfo della vita sulla morte; i pastori sono simbolo della veglia. Per completare la scena simbolica della Natività, mancano però ancora i Re Magi e la misteriosa stella, una stella più lucente delle altre che attira la loro attenzione: essi, uomini non ignari dell’arte di osservare le stelle e la loro luminosità, compresero l’importanza del segno e per ispirazione divina si misero in cammino.
Perciò, con il libro, pagina dopo pagina, ci possiamo calare nella realtà concreta della Natività, utilizzando tutti i nostri sensi: immaginiamo la notte, l’immobilità del Creato, lasciamoci solleticare il naso dall’odore della paglia, ascoltiamo il vagito di Gesù Bambino, il suono delle zampogne dei pastori, il coro degli Angeli, seguiamo la stella che duemila anni fa ha condotto i Re Magi e oggi conduce noi ad adorare l’unico Re della terra e a Lui offriamo oro, incenso e mirra. La grandezza e l’incanto delle immagini dei codici miniati, tratti dalle Bibbie e dai libri sacri del medioevo, rendono questo volume originale e interessante per grandi e piccoli. OGNI PERSONAGGIO DEL PRESEPE HA UNA STORIA CHE AFFONDA LE SUE RADICI NELLA STORIA DELLA SALVEZZA.
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di Marco Bertogna
October Baby
Fonte foto: 4puremovies.com
Titolo: October Baby Stato e Anno: USA, 2011 Regia: Jon Erwin, Andrew Erwin Durata: 107 min. Genere: Drammatico
Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.
Hannah ha 19 anni, vive negli Stati Uniti, ha una mamma e un papà che la amano, un amico del cuore, Jason, che frequenta da quando erano bambini, e ha una salute un po’ cagionevole (asma, attacchi epilettici e altro). Hannah ha la passione per la recitazione ed è proprio durante uno spettacolo, lì dove regna la finzione, che emerge la verità: si accascia per un malore, l’ennesimo, e il medico, d’accordo e insieme ai genitori, le svela che questi problemi, che si porta dietro da sempre, sono legati al fatto di essere nata prematuramente (alla 24° settimana). Ma non è tutto: i suoi genitori le rivelano che l’hanno adottata e soprattutto che la nascita prematura è stata la conseguenza di un tentativo di aborto non riuscito da parte della madre biologica. Hannah ha 19 anni, ma non sa più chi sia… È possibile camminare verso una meta senza sapere da dove si è partiti? Potresti farlo, ma una volta arrivato a destinazione sapresti voltarti e guardare indietro? Sapresti quanta strada realmente hai fatto? Hannah vuole capire da dove è partito il suo cammino di vita e, insieme a Jason, si unisce a un viaggio in furgone con i suoi amici che le permetterà di andare in una città dell’Alabama nella clinica in cui è nata, con l’intenzione di scoprire chi sia la sua madre biologica. Un momento importante per la nostra protagonista sarà l’incontro, in una cattedrale cattolica, con un sacerdote, il quale
saprà ascoltarla e suggerirle le parole giuste, che le doneranno conforto e speranza. Il racconto finisce qui per non “spoilerare” troppo la storia. Da un punto di vista tecnico la pellicola è ben fatta: sceneggiatura solida e fluida; regia e fotografia costanti e coerenti; montaggio, scenografie e costumi di livello. Una menzione particolare va alla colonna sonora, con una chicca: una delle canzoni, Ocean floor, è cantata da Gianna Jessen, la donna americana scampata a un aborto alla 24° settimana che ha ispirato i fratelli registi e autori del film, Jon e Andrew Erwin. October Baby è un film di contenuto innegabilmente molto forte e scomodo, tanto che negli Stati Uniti ha diviso critica e pubblico: gli addetti ai lavori lo hanno stroncato, ma nonostante questo ha avuto un inaspettato successo. In Italia è stato distribuito in inglese con i sottotitoli in italiano e non ha goduto di una vera e propria diffusione. A questo punto c’è da chiedersi: come mai in molti Paesi, tra i quali l’Italia, questo film è stato osteggiato? Forse perché è dichiaratamente contro l’aborto? Forse perché si parla di Misericordia e Perdono? Forse perché si parla della vita che sconfigge la morte? Forse perché l’amore vince sull’autodeterminazione? Forse perché tutte queste cose insieme sono la verità che sconfigge la menzogna del pensiero unico della sottocultura di oggi?
Letture Pro-life Susanna Bo
LA BUONA BATTAGLIA Ed. San Paolo
Lui è l’ateo, veste alla moda, frequenta le discoteche e non si capisce bene cosa ci faccia in una comunità religiosa. Lei è la brava ragazza di chiesa, tutta studio, casa e tranquillità. Ma i ruoli non sono quelli di un copione: la storia d’amore di Luigi e Susanna è una storia vera. C’è l’innamoramento, poi il fidanzamento, infine il matrimonio e la nascita di due bambine. Con tutte le difficoltà e le gioie che tali momenti comportano. E vera è anche la malattia di Luigi: un meningioma al cervello che, nonostante i numerosi interventi e le terapie, si ripresenta puntualmente. In questo libro si ride tanto e si piange tanto, ci avvisa la prefazione. E solo a poco a poco ci accorgiamo che i ruoli che credevamo di conoscere stanno cambiando: è Luigi l’ateo, mentre il suo corpo lentamente si spegne, a capire che la sofferenza ha un senso quando è offerta…
Giampaolo Squizzato
VERSO UNA RIVOLUZIONE ANTROPOLOGICA. LE RADICI GNOSTICHE DEL PENSIERO GENDER Ed. Fede e Cultura
Il cardinale Robert Sarah ha scritto nella prefazione a questo libro che la teoria aberrante e perversa del gender affonda le sue radici in un terreno che può qualificarsi come particolarmente torbido. Grazie a Giampaolo Scquizzato, vediamo più chiaramente le origini gnostiche di questa teoria. La filosofia gnostica dei primi secoli, infatti, interpretava la differenza maschile-femminile come una corruzione dell’umanità. Ecco perché rifiutare la differenza tra maschio e femmina è una rivoluzione antropologica che oggi, rispetto a filosofie di molti secoli fa, trova nuova forza vitale e un apparato sociale, culturale e burocratico che ne favorisce la diffusione e l’attecchimento nelle scuole, nella politica, nei mezzi di comunicazione.
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