Trento CDM Restituzione
Anno VII | Maggio 2019 Rivista Mensile N. 74
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
Notizie
“Nel nome di chi non può parlare”
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN (AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL’11/04/2003)
Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
persone e non persone GLI “ACCALAPPIABIMBI”
Le “non persone” si possono eliminare
ogni essere umano È persona ( e non È un animale )
di MIRKO CIMINIELLO , p. 24
di tommaso scAndroglio, p. 14
di francesco agnoli, p. 30
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
EDITORIALE
3
LO SAPEVI CHE...?
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dillo@notizieprovita.it 6
Notizie
Versi
Anno VII | Maggio 2019 Rivista mensile N. 74 Editore ProVita Onlus Sede legale: viale Manzoni, 28 C 00185, Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 377 4606227
per la Vita
Silvio Ghielmi
Silvana De Mari
Luca Scalise
PRIMO PIANO
Tommaso Scandroglio
Il dolore è qualcosa di sbagliato Protestare, marciare, dialogare
10
14
... In barba al principio di uguaglianza
18
Francesca Romana Poleggi
Gli Accalappiabimbi 24
Mirko Ciminiello
Ogni essere umano è persona (e non è un animale)
Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
Francesco Agnoli
Meglio i cani che i figli
Progetto e impaginazione grafica
30 38
Giulia Tanel
Tipografia
I giovani e i pessimi maestri
41
Il matrimonio scoppiato
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Claudio Vergamini
Clemente Sparaco
Silvia Montemurro
Per una villocentesi non necessaria
Hanno collaborato a questo numero: Francesco Agnoli, Marco Bertogna, Mirko Ciminiello, Silvana De Mari, Silvia Montemurro, Francesca Romana Poleggi, Luca Scalise, Tommaso Scandroglio, Clemente Sparaco, Giulia Tanel, Claudio Vergamini
8
Le “non persone” si possono eliminare...
Direttore responsabile Antonio Brandi
Distribuzione
7
46
FILM: Delivery Man
50
LETTURE PRO-LIFE
51
Marco Bertogna
Immagine di copertina: René Magritte, La Décalcomanie, 1966.
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30 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it
Toni Brandi
EDITORIALE
18
C’è una grande novità, cari Lettori. Voi tutti conoscete Generazione Famiglia. Sapete che è nata nel 2013, quando Pro Vita aveva appena un anno: si chiamava “Manif Pour Tous - Italia”, ed era stata fondata da Jacopo Coghe, Maria Rachele Ruiu e Filippo Savarese. Da subito, Pro Vita e Generazione Famiglia si sono trovate fianco a fianco nelle battaglie di civiltà che ancora oggi stiamo conducendo: per la vita, per la famiglia, per le donne, per i bambini, per la libertà educativa. C’è stata sempre una profonda stima reciproca e con loro ci siamo sempre confrontati e consigliati; infatti è anche insieme a loro che abbiamo organizzato i Family day di Piazza San Giovanni e del Circo Massimo. Negli anni, la collaborazione con Jacopo e Maria Rachele (Filippo dal 2018 si è dedicato alla direzione di Citizen-Go Italia) si è andata intensificando sempre di più. Ha raggiunto il culmine nell’organizzazione del Congresso Mondiale delle Famiglie dello scorso marzo: è stato allora che abbiamo deciso di unire definitivamente le nostre forze. Abbiamo annunciato, quindi, la nascita di ProVita & Famiglia e dal prossimo numero questa nostra rivista si chiamerà “Notizie ProVita & Famiglia”. Siamo certi che la apprezzerete, cari Amici. È banale dire che l’unione fa la forza? In realtà, Pro Vita da sempre ha avuto tra i suoi scopi quello di unire, cementare, le variegate realtà pro life e pro famiglia che ci sono in Italia. La battaglia per i valori è ancora lunga e ardua e le divisioni e le rivalità interne servono solo al nemico. Diabolos viene da diaballo, è colui che divide, per definizione. Lo Spirito di unità, invece, è lo Spirito della vita, dell’amore, della fortezza, della sapienza… Quel soffio vitale che anima ogni essere umano, che fa di ogni persona un capolavoro unico e irripetibile a prescindere dalle sue qualità. Chi pretende di distinguere gli esseri umani in persone e non persone è nemico dell’umanità e della civiltà. In questo numero, l’ultimo numero di Notizie ProVita così come la conoscete, avremo modo di riflettere su questo argomento: dobbiamo ragionarci su, per smascherare le subdole e ingiuste discriminazioni tra persone, operate dalla cultura della morte. Messa alla luce, la verità trionfa e il serpente viene ricacciato nella sua tana.
Lo sapevi che... ? LA BUFALA DEL RISCALDAMENTO GLOBALE
Patrick Moore, ex presidente di Greenpeace Canada, in un’intervista a Breitbart News ha spiegato che la paura è stata l’arma usata da sempre per controllare la mente delle persone (e i loro portafogli): lo spauracchio del riscaldamento globale ha esattamente questa funzione. I “Verdi” usano le fake news per instillare la paura nella gente. Comprano gli scienziati, con i soldi dei Governi conniventi, per avere il sostegno di studi (pseudo)scientifici alle loro teorie. Le imprese “verdi” se ne approfittano, incassando ingenti sussidi, ottenendo detrazioni fiscali e vendendo tecnologie “verdi” con enormi profitti. Già nel 2010 si era scoperto che l’Unità di ricerca sul clima della East Anglia University e l’Intergovernmental Panel on Climate Change avevano manipolato arbitrariamente i dati, usando modelli climatici difettosi, travisando le fonti e omettendo ogni riferimento ai risultati delle ricerche “dissidenti”, ma la cosa non ha avuto risonanza. Il riscaldamento globale «è la più grande bugia cui si crede da quando la gente pensava che la Terra fosse al centro dell’universo», ha detto Moore, ex dirigente di Greenpeace!
«UN’AMBULANZA SENZA SIRENE, PER FAVORE!»
Operazione Rescue, un’associazione pro life americana, ha scoperto che la clinica Planned Parenthood nella zona di Frandor, a Lansing, nel Michigan, chiama le ambulanze chiedendo espressamente di non usare le sirene: evidentemente non vogliono far sapere a tutti che nella clinica abortista si verificano delle emergenze sanitarie. La struttura in questione fornisce la RU486, ma non pratica aborti chirurgici. L’indagine di Operazione Rescue, confermata dai tabulati del 911, riguardava una donna di 38 anni che pare fosse svenuta e avesse sbattuto la testa. In Missouri, dal 2017, vige il divieto per le cliniche abortiste di chiamare ambulanze senza sirene: bisogna assicurare che le donne ricevano cure d’emergenza il prima possibile. Ma la salute delle donne interessa davvero agli abortisti?
UOMINI NEL BAGNO DELLE DONNE? NO, GRAZIE
Marquitta R. Ford era stata arrestata (e umiliata) per aver protestato di fronte al Campidoglio dello Stato della Georgia: troppe volte aveva dovuto sopportare che degli uomini entrassero nei bagni pubblici delle donne. Dopo aver tentato invano di essere ascoltata dai politici dello Stato federato, ha manifestato per tre mesi davanti al parlamento con cartelli che dicevano “basta” al bullismo Lgbt. A gennaio 2018, la stessa polizia che in precedenza le aveva detto che era una protesta legale, le ha ordinato di andarsene. Marquitta ha rifiutato e ha passato 36 ore nel carcere della contea, in condizioni particolarmente umilianti e ingiuste. Da allora la coraggiosa giovane donna ha rifiutato ogni offerta di patteggiamento e - nonostante la difficoltà di trovare un avvocato disposto a difenderla - vista l’inconsistenza delle accuse che le avevano imputato, alla fine i suoi accusatori, per due volte, non hanno avuto il coraggio di presentarsi in udienza a sostenere la loro denuncia e il giudice ha chiuso il caso assolvendo Marquitta con formula piena.
4 N. 74
Diamo atto alla Mattel che, se di tanto in tanto indulge nella produzione di ELLA, UNA BARBIE CALVA giocattoli “gender free” e quindi non adatti ai bambini che ne risulterebbero confusi, questa volta ha fatto una cosa buona. Ella è una Barbie bella e sorridente, come al solito, ma calva: come le bambine che hanno dovuto sottoporsi alla chemioterapia. L’idea è venuta a Rebecca Sypin, mamma della piccola Kin malata di leucemia, e a Jane Bingham malata di linfoma. Dopo un iniziale scetticismo, la casa produttrice ha deciso di creare, in edizione limitata, la Barbie calva e di farla distribuire gratuitamente nei reparti di oncologia pediatrica. A questo punto, Melissa Bumstead, mamma di Grace, anche lei malata di leucemia, ha lanciato una petizione affinché Ella potesse essere prodotta su larga scala. La raccolta firme ha convinto la Mattel che ha messo la bambola - corredata di parrucche e bandane - sul mercato americano.
Terry Miller e Andraya Yearwood sono juniores delle superiori, entrambi VI PIACE VINCERE FACILE... sono maschi biologici, ma si sentono femmine e, secondo un rapporto dell’Associated Press, hanno conquistato il primo e il secondo posto nei campionati open track indoor delle scuole del Connecticut qualche mese fa. Una delle concorrenti femmine, Selina Soule, ha fatto dichiarazioni di fuoco sull’accaduto, dicendo che non è giusto che le femmine debbano competere contro i maschi. I due trans hanno risposto che le ragazze dovrebbero cambiare sport, o allenarsi di più. Tutto normale, quindi? Pare di sì. Del resto, Martina Navratilova, ex campionessa mondiale di tennis e lesbica dichiarata è stata massacrata mediaticamente dai gruppi Lgbt per aver scritto sul Sunday Times che è un «imbroglio» aprire ai trans le gare femminili.
Almeno 30 mila medici americani, appartenenti a diverse associazioni, L’ABORTO NON SERVE ALLA hanno sottoscritto un documento in cui attestano che l’aborto non è SALUTE DELLE DONNE mai necessario per salvare la vita della madre: così hanno dato il loro sostegno al Born Alive Abortion Survivors Protection Act, un disegno di legge che vorrebbe garantire le cure ai bambini sopravvissuti all’aborto. Dopo venti settimane di gestazione, in particolare, non è mai necessario uccidere il bambino, anche perché, se la salute o la vita della madre fosse in pericolo, il parto sarebbe molto più sicuro dell’aborto per il quale - in uno stato di gravidanza così avanzato servono un paio di giorni. Questo documento fa eco alla Dichiarazione di Dublino del 2012, in cui decine di migliaia di ginecologi europei avevano ribadito che l’aborto non è mai medicalmente necessario per salvare la vita di una donna e che il divieto di aborto non influisce in alcun modo sulle disponibilità di cura delle donne in gravidanza.
5 N. 74
dillo@notizieprovita.it
A
rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Privatamente rispondiamo a tutte, mentre qui ne pubblichiamo solamente alcune. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it. Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.
«Spett. Redazione, sì, che la vita inizia con ho dovuto discutere con un compagno di scuola che sostiene e”, “motivo del “ragion sono ne che coloro il concepimento, ma che i “genitori” sono ”, non di chi lo ha voluto ha lo e mbrion quell’e chi concepimento”. “La responsabilità è di Gli embrioni, i figli, onale. occasi le sessua to rappor “fatto”, magari accidentalmente, con un ) e basta. clinica una a azione fabbric la ordina sono quindi di chi li “vuole” (anche se ne Come gli rispondo?
Lorenzo
Caro Lorenzo, Chi ragiona così perde di vista la realtà. La verità dei fatti. sso tra un uomo e una Natura vuole che il concepimento avvenga a seguito di un ample i o nolenti, perché essi donna. Questo è l’atto che fa dei due soggetti due “genitori”, volent hanno di fatto “generato”. , ma non può cambiare Chi violenta la natura può separare il concepimento dall’amplesso la verità. o “fare” i genitori, ma Alcuni fanno confusione tra genitori veri e persone che voglion guadagnano un sacco di genitori NON SONO. In questa confusione ci sono quelli che ci vengono ingannati. soldi, quelli che vengono sfruttati in modo incivile, e quelli che tà”. Pura invenzione, Poi ci sono i “filosofi” che si inventano che si è genitori per “volon sofisma, menzogna. . Tant’è vero che i Con la sola volontà e senza un amplesso NESSUNO genera niente non è per tutti: essi genitori adottivi sanno benissimo di essere… adottivi (e l’adozione persone molto più vengono selezionati severamente, proprio perché devono essere equilibrate della media). , selezionando Se la tecnica consente di produrre un essere umano assemblando facendo soldi a palate), (uccidendo) bambini, sfruttando donne, illudendo le persone (e con l’utero in affitto) la realtà non cambia: con la fecondazione artificiale (e quindi anche è quella che si porta non c’è più un padre. Resta solo UNA – e una sola – madre, che il resto è menzogna, in grembo la creatura e la partorisce. Questo è il dato reale, tutto sofisma, invenzione, follia.
La Redazione
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Versi per la Vita Silvio Ghielmi, classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa di Verità e Vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo. PERCHÈ? Inutile spiegare l’antefatto. E pure ricercar perché fu fatto. Inutile spiegare quel che fu. Adesso quel bambino non c’è più. Sì, quello, quello, proprio quello, che adesso sogno ed era tanto bello. Ma non c’è più nemmeno la megera che disse fosse cosa passeggera, che si disperde presto e si dilegua. Eppure mi tormenta senza tregua.
BECCAMORTO Il vecchio promotore dell’aborto adesso è diventato un beccamorto. Con sue proposte stolide e contorte manovra a procurar la dolce morte. Fronteggia irrimediabile fastidio con certa cosiddetta opera pia: somministrar per legge il suicidio. Nuova conquista civica che allieta. Ecco raggiunta un’ulteriore meta. chiamata, volgarmente, eutanasia.
Evento impreveduto ma funesto. Perché fu mai concesso tutto questo? Perché successe dopo lo sgomento? Perché un interminabile tormento? Lasciatemi schivare l’argomento Non è commedia, ma piuttosto, un dramma la scelta triste di mancata mamma. 7 N. 74
di Silvana De Mari
Il dolore è qualcosa di sbagliato
La tanto decantata “autodeterminazione” può rivelarsi un “autogol”: a volte le persone vanno protette da loro stesse e dalla pressione che i forti possono fare sui deboli (direttamente o indirettamente) inducendoli a farsi del male. Per questo, la legge di uno Stato civile, che protegga davvero gli interessi di tutti i suoi cittadini, pone limiti al principio consensualista (per cui se c’è il consenso o l’autodeterminazione si può fare “tutto”, anche farsi del male). Silvana De Mari, scrittrice e medico, specializzata anche in psichiatria, ci invita a riflettere su questo tema: è ora di chiarire bene che è umanamente sbagliato godere del dolore inflitto e anche del dolore subito. Quando ho dato l’esame di Medicina legale era il 1976: ho studiato la lesione dolosa su consenziente e l’omicidio del consenziente. Traduco in parole povere: se volontariamente causo un danno a qualcuno che è entusiasticamente d’accordo o ne causo la morte, vale come reato. Il consenso è una florida attenuante, ma il reato resta. Essendo la castrazione una lesione personale gravissima, secondo l’arcaica etica dei miei tempi, il cosiddetto intervento per l’impossibile cambiamento di sesso, che crea una creatura sterile e dipendente dalla somministrazione di ormoni per tutta la vita, era una lesione gravissima del consenziente. Finiti quei tempi bui è arrivata una norma, la norma che regola questo tipo di intervento, per cui non solo non è più 8 N. 74
considerato reato, ma non è previsto nessun risarcimento nei (numerosi) casi in cui arrivi il rimpianto. Stesso discorso per l’omicidio del consenziente: la norma regola la cosiddetta eutanasia, e quindi si annulla il reato. Benissimo: un altro passo avanti per la civiltà? C’è un altro problema: il sadomaso (leggete il riquadro qui a destra).
L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ, OMS, ENTE POLITICO FONDATO NEL 1946 CHE EBBE COME PRIMO PRESIDENTE IL CONTROVERSO MEDICO CANADESE BROCK CHISHOLM (1896-1971), NEOMALTUSIANO CONVINTO, ANTI-FAMIGLIA, ASPIRANTE A UN “NUOVO ORDINE MONDIALE”, HA ANNUNCIATO LA CANCELLAZIONE DAL NUOVO MANUALE DIAGNOSTICO SIA DEL TRANSESSUALISMO CHE DEL SADOMASOCHISMO: IL LAVORO PER RIMUOVERE LE DIAGNOSI DI BDSM E FETISH ERA UN OBIETTIVO DELLE ORGANIZZAZIONI LGBT NORVEGESI FIN DAL 1996. L’ACRONIMO BDSM, SECONDO WIKIPEDIA, «IDENTIFICA UNA VASTA GAMMA DI PRATICHE RELAZIONALI E/O EROTICHE CHE PERMETTONO DI CONDIVIDERE FANTASIE BASATE SUL DOLORE, IL DISEQUILIBRIO DI POTERE E/O L’UMILIAZIONE TRA DUE O PIÙ PARTNER. BDSM È INFATTI UNA SIGLA CHE STA PER: BONDAGE & DISCIPLINA (B&D), DOMINAZIONE & SOTTOMISSIONE (D/S O DS), SADISMO & MASOCHISMO (S&M O SM)».
Il sadismo è una lesione personale su consenziente, e se le lesioni hanno una prognosi superiore ai 20 giorni, o c’è una qualsiasi aggravante, la lesione personale è punibile d’ufficio. Tenendo presente che i segni delle frustate e anche dei banali ematomi sono guaribili in più di 20 giorni, questo apre scenari interessanti. Il sadomasochismo oggi è dannatamente di moda. La nuova donna 2.0 guarda con disprezzo alla mamma che dopo aver partorito i figli sta sveglia la notte per vegliarli quando hanno mal di gola, e invece si scioglie per mister Grey [Christian Grey è il protagonista maschile di Cinquanta sfumature di grigio, primo capitolo di una trilogia di brutti film che celebrano un rapporto malato tra una lei che per “amore” di lui si presta a cose tremende, ndR]. Ovviamente. Non c’è nessuna contraddizione. Mister Grey odia le donne e chi disprezza la maternità odia le donne. Le cosiddette femministe le donne non le amano per nulla.
Si battono per l’asilo nido, perché la donna sia staccata dal suo bambino per tornare quanto prima a farsi sfruttare, e non per un congedo di almeno 14 mesi o, Dio non voglia, per un qualsiasi reddito di maternità. Non amano una donna che si azzardi a vivere felice con un uomo perbene e qualche bambino. Sempre sulle barricate, molte donne 2.0 si sono messe in coda per vedere Cinquanta sfumature di sadomaso e nel tempo libero guardano il video di You and I di Lady Gaga [non andate a vederlo anche voi: fidatevi. È un inno alla violenza, al sadismo e alla volgarità, ndR]. Se la lesione dolosa su consenziente, inclusa la percossa che non lascia una prognosi, è reato, queste narrazioni non sono apologia di reato? Certo, qui sono difese dalla libertà artistica, ma si potrebbe almeno seppellirle con una solida disapprovazione. E si potrebbero controllare i vari siti dove si danno informazioni in materia. E soprattutto, perché la polizia non va mai nel club sadomaso? Non è difficilissimo procurarsi gli indirizzi e vedere di tanto in tanto poliziotti sequestrare manette e catene chiarirebbe il concetto che è umanamente sbagliato godere del dolore inflitto e anche del dolore subito. Sono donnette quelle che si eccitano all’idea di essere torturate, o legate in posizioni
UN TRIBUNALE INGLESE (NON “CATTOLICO”) HA CONDANNATO UN CERTO BRENDAN MCCARTHY, NOTO COME “DOTTOR EVIL”, UN “ARTISTA” CHE SPACCA LE LINGUE E RIMUOVE I CAPEZZOLI DEI SUOI CLIENTI. IL TRIBUNALE HA RIBADITO CHE CI SONO LIMITI ALLA LIBERTÀ DI MUTILARE IL PROPRIO CORPO: SE A UNA PERSONA VIENE PROCURATO UN DANNO FISICO, IL FATTO CHE ELLA SIA CONSENZIENTE È DEL TUTTO IRRILEVANTE.
più o meno antifisiologiche (bondage) e sono ometti quelli che si divertono a farlo. La sessualità vera è magnifica e non ha bisogno di altro. Se non si è capaci, dove non ci sono maturità e affettività sufficienti, si ricorre al dolore per non morire di noia. Il dolore anche quando è subito volontariamente, lascia tracce. Il corpo accusa il colpo. Un corpo con una lunga abitudine a essere poco amato, al punto che pur di essere amato si lascia torturare. Questo deve essere vietato: e il divieto permetterà a chi gode del dolore e nel dolore di farsi venire il dubbio che c’è qualcosa di sbagliato. Altrimenti questo dubbio non viene.
9 N. 74
di Luca Scalise
Protestare, marciare, dialogare Il 18 di questo mese di maggio siamo tutti a Roma per la Marcia per la Vita. Come ogni anno, però, non mancano i detrattori: Martin Luther King, icona del pacifismo, ha un messaggio per alcuni di loro. Se non fosse stato ucciso nel 1968, forse quest’anno Martin Luther King avrebbe compiuto novant’anni. Il celebre pastore protestante, icona indiscussa del pacifismo mondiale ci può aiutare a rispondere a coloro che vorremmo bonariamente definire “buonisti” (scusate il gioco di parole) e che considerano le posizioni bioetiche di associazioni come Pro Vita “estremiste” o “integraliste” o poco favorevoli al “dialogo”. In poche parole, ci riferiamo a quelli che ci considerano poco “pacifisti”. In particolare, le parole di King si possono rivolgere ai detrattori della Marcia per la Vita, a quelli che dicono che non ha senso e che è solo una “provocazione” e che marciare per la vita è divisivo e non favorisce il dialogo. Nel 1963, con la sua famosa Lettera dal carcere di Birmingham, dove era stato rinchiuso per aver manifestato pacificamente a favore dei diritti civili degli afroamericani (che ancora non avevano diritto di voto), King espone il suo pensiero e le sue osservazioni 10 N. 74
Martin Luther King (1929 - 1968) ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1964.
sulla società e le ragioni del suo impegno civile e sociale. Prima di entrare nel merito del suo giudizio sull’opportunità della protesta pubblica, non violenta ma ferma, consentitemi di estrapolare dalla succitata Lettera quello che dice King a proposito di legge positiva, di legge naturale e di obiezione di coscienza: «Come si può
determinare se una legge sia giusta o ingiusta? Una legge giusta è un codice creato dall’uomo che si lega alla legge morale o alla legge di Dio. Una legge ingiusta è un codice che non è in armonia con la legge morale. Per dirla con San Tommaso d’Aquino: una legge ingiusta è una legge umana che non è radicata nella legge eterna e nella legge naturale». «Non dovremmo mai dimenticare
L’AZIONE DIRETTA NON VIOLENTA SERVE A CREARE LA PREMESSA PER “COSTRINGERE” UNA COMUNITÀ CHE SI È COSTANTEMENTE RIFIUTATA DI NEGOZIARE AD AFFRONTARE UNA CERTA QUESTIONE.
che tutto ciò che Adolf Hitler fece in Germania era “legale” e coloro che combattevano per la libertà in Ungheria (nel 1956) erano “illegali”. Era “illegale” aiutare e confortare un ebreo nella Germania di Hitler. Ma io sono sicuro che, se fossi vissuto in Germania in quel periodo, avrei aiutato e consolato i miei fratelli ebrei. Se oggi vivessi in un Paese comunista dove sono calpestati certi principi cari alla fede cristiana, difenderei apertamente la disobbedienza civile in quel Paese».
ESISTE UN TIPO DI TENSIONE COSTRUTTIVA, NON VIOLENTA, NECESSARIA PER LA CRESCITA.
Con questa Lettera, King risponde a otto eminenti pastori dell’Alabama che sui giornali locali esortavano i neri a disertare le manifestazioni da lui organizzate perché “suscitavano odio e violenza”: le questioni razziali dovevano essere adeguatamente trattate in sedi legali, non in piazza. Scrive allora King: «Perché è necessario agire in modo diretto? Perché servono i sit-in, le marce e così via? Il dialogo non è la strada migliore? È vero: è giusto chiedere il dialogo. In effetti, questo è lo scopo stesso dell’azione diretta. L’azione diretta non violenta serve a creare la premessa per “costringere” una comunità che si è costantemente rifiutata di negoziare ad affrontare una certa questione». Inoltre, se c’è un problema che non può più essere ignorato, secondo il pastore di Memphis, è necessario creare “tensione”:
ciò non deve apparire in contraddizione con la filosofia della non violenza. «Non ho paura della parola “tensione”. Mi sono seriamente opposto alla tensione violenta, ma esiste un tipo di tensione costruttiva, non violenta, necessaria per la crescita».
C’è poi un bel discorso rivolto ai “moderati”, ai “buonisti”: «Ho raggiunto la conclusione che il più grande ostacolo per i neri nel cammino verso la libertà non è posto dal Ku Klux Klan, ma dai “moderati”: coloro che sono più devoti all’ “ordine” che alla giustizia; coloro che preferiscono una pace negativa che è l’assenza di tensione verso una pace positiva, che è la presenza della giustizia; quelli che dicono: “Sono d’accordo con te nell’obiettivo che cerchi, ma non posso essere d’accordo con
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COLORO CHE PREFERISCONO UNA PACE NEGATIVA, CHE È L’ASSENZA DI TENSIONE VERSO UNA PACE POSITIVA, CHE È LA PRESENZA DELLA GIUSTIZIA SONO PIÙ FRUSTRANTI DEI NEMICI SCHIERATI.
La tomba di Martin Luther King e di sua moglie Coretta, nel National Historical Park di Atlanta, in Georgia.
i tuoi metodi di azione diretta”; chi crede paternalisticamente di poter stabilire il calendario per la libertà di un altro uomo... La comprensione superficiale delle persone di buona volontà è più frustrante del rifiuto assoluto da parte di persone cattive». «E, sebbene inizialmente fossi dispiaciuto dal fatto di essere stato definito un estremista, gradualmente ho cominciato ad apprezzare una tale etichetta. Gesù era un estremista per l’amore: “Ama i tuoi nemici, benedici quelli che ti maledicono, fai del bene a coloro che ti odiano e prega per quelli che ti usano e ti perseguitano”.... Gesù Cristo, era un estremista per amore, verità e bontà...» La Lettera, poi, essendo indirizzata a dei pastori come lui, non risparmia gli
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ecclesiastici e le chiese dei suoi tempi: «Nel mezzo di una grande battaglia per liberare la nostra nazione da ingiustizie razziali ed economiche, ho sentito molti ministri di culto dire: “Quelle sono questioni sociali, con le quali il Vangelo non ha niente a che fare”. E ho visto molte chiese professare una strana religione “doppia”: in chiesa è completamente diversa da quella che professano nel mondo, fuori della chiesa, e creano una strana distinzione (non biblica) tra corpo e anima, tra il sacro e il secolare». Forse è la stessa religione di quei sacerdoti che non dicono mai NO all’aborto, alla fecondazione artificiale o all’utero in affitto, per non “fare politica”. Conclude Martin Luther King: «Ma il giudizio di Dio è sulle
chiese come mai prima d’ora. Se le chiese di oggi non recuperano lo spirito della chiesa primitiva, perderanno milioni di fedeli, e verranno liquidate come club sociali irrilevanti, senza significato per il ventesimo secolo. Ogni giorno incontro dei giovani la cui delusione per la chiesa si è trasformata in totale disgusto». Roba del 1963.
A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei
piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.
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di Tommaso Scandroglio
Le “non persone” si possono eliminare... Un filo rosso sangue lega l’aborto all’infanticidio e all’eutanasia, sulla pelle delle “non persone”: se si accettano le premesse che giustificano l’aborto, si devono accettarne anche le conseguenze. Nello Stato di New York è stata varata una legge, la Reproductive Health Act, che permette di abortire fino alla nascita per qualsiasi motivo. Progetti simili sono al vaglio dei parlamenti locali in Rhode Island, Vermont e Virginia. La nostra stessa legge 194 permette di abortire sempre, anche dopo i 90 giorni dal momento del concepimento. Se la gravidanza è in una fase così avanzata che il feto può sopravvivere, anche non in modo autonomo, si può abortire solo se «la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna» (art. 6) e in questi casi il medico deve fare di tutto per tenere in vita il bambino (art. 7). Poi nei fatti le cose non di rado vanno in altro modo. Infatti, la cronaca ci ha rivelato che spesso questi neonati prematuri non vengono adeguatamente assistiti proprio al fine di lasciarli morire. In risposta alla legge newyorkese abortiva a tempo indeterminato 14 N. 74
e alle altre proposte simili il partito repubblicano ha presentato un disegno di legge, il Born-alive abortion survivors protection Act, volto a «proibire che un operatore sanitario manchi di esercitare il dovuto grado di assistenza nel caso di un bambino che sopravvive a un aborto o a un tentato aborto». I democratici compatti hanno votato contro e dunque hanno votato a favore dell’infanticidio.
L’UCCISIONE DI UN NEONATO POTREBBE ESSERE ETICAMENTE AMMISSIBILE IN TUTTE LE CIRCOSTANZE IN CUI LO È L’ABORTO.
Nulla di nuovo sotto il sole. Infatti, in Belgio da anni è stata varata una norma che permette di uccidere anche gli infanti. Anche la legge italiana 219 del 2017, la famigerata norma sulle Dat, al comma 2 dell’art. 3 permette l’eutanasia su minori, infanti compresi, e degli incapaci (comma 4). In giro per il mondo esistono poi protocolli clinici che in merito ai neonati pretermine stabiliscono che se il neonato Primo piano
La sera del 22 gennaio scorso, il governatore Andrew M. Cuomo ha disposto che a New York fossero illuminati di rosa la guglia dell’One World Trade Center, il ponte intitolato al Governatore Mario M. Cuomo, il Ponte Kosciuszko e il palazzo Alfred E. Smith di Albany, per celebrare la promulgazione della legge sulla salute riproduttiva, che consente l’aborto fino alla nascita e per qualsiasi motivo. Cuomo, che si definisce cattolico, ha definito la legge «una vittoria storica per i Newyorkesi e per i valori progressisti», un esempio per il resto della nazione. è affetto da “alta morbilità” – ossia da una patologia grave – è meglio non rianimarlo. In modo analogo l’inglese Liverpool Care Pathway for the Dying Patient inizialmente prevedeva protocolli di cura per pazienti in fase terminale, ma poi nella prassi con il passare degli anni si è trasformato in un protocollo eutanasico, sia per neonati, che per bambini e adulti, tanto che fu messo al bando e sostituito nel 2015 con nuove linee guida del Sistema Sanitario Nazionale le quali nella sostanza, però, riproducono le stesse derive generate dal Liverpool Care Primo piano
Pathway for the Dying Patient. I casi Charlie Gard, Alfie Evans e Isaiah Haastrup, per tacere di moltissimi altri non saliti agli onori della cronaca, stanno a testimoniare che le nuove linee guida sono applicate benissimo dai medici inglesi e difese altrettanto bene dai giudici. Di fronte a queste normative che hanno legittimato l’aborto tardivo e alle leggi e protocolli che hanno dato semaforo verde all’infanticidio, molti pro choice si sono stracciate le vesti. Giusto abortire - dicono - ma non dopo un certo limite temporale. E poi una cosa è
LA NOSTRA LEGGE 194 PERMETTE DI ABORTIRE SEMPRE, ANCHE DOPO I 90 GIORNI DAL MOMENTO DEL CONCEPIMENTO, SE «LA GRAVIDANZA O IL PARTO COMPORTINO UN GRAVE PERICOLO PER LA VITA DELLA DONNA» (ART. 6).
l’aborto, un’altra l’infanticidio, hanno dichiarato dai media. I famigerati ricercatori Alberto Giubilini e Francesca Minerva, autori dell’altrettanto famigerato articolo Aborto post-nascita: perché il neonato dovrebbe vivere? pubblicato sul The Journal of medical ethics nel febbraio del 2012, spiegano che è una contraddizione ragionare così. Il neonato al pari del nascituro, scrivono i due ricercatori, non possiede «lo status morale di una reale persona umana».
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Come Gianna Jessen (al centro) Clair Culwell e Melissa Ohden, sono sopravvissute all’aborto. E così ci sono tante altre persone che l’hanno sfangata. Molte di più, però, sono quelle che sono state lasciate a morire tra i rifiuti ospedalieri.
NEGLI USA È STATA PRESENTATA UNA PROPOSTA DI LEGGE CHE OBBLIGHEREBBE AD ASSISTERE I BAMBINI CHE SOPRAVVIVONO A UN ABORTO (COME GIANNA JESSEN O MELISSA OHDEN): I PARLAMENTARI DEL PARTITO DEMOCRATICO L’HANNO BOCCIATA ALMENO UNA DOZZINA DI VOLTE. EVIDENTEMENTE SONO A FAVORE DELL’INFANTICIDIO.
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Con rigore logico, date alcune premesse erronee, Giubilini e Minerva arrivano alle seguenti e altrettanto erronee conclusioni: «Noi affermiamo che l’uccisione di un neonato potrebbe essere eticamente ammissibile in tutte le circostanze in cui lo è l’aborto. Tali circostanze includono i casi in cui il neonato ha il potenziale per avere una vita (almeno) accettabile, ma il benessere della famiglia è a rischio. Se i criteri come i costi (sociali, psicologici, economici) per i potenziali genitori sono buone ragioni per avere un aborto anche quando il feto è sano, se lo status morale del neonato è lo stesso di quello del bambino e se non ha alcun valore morale il fatto di essere una persona potenziale, le stesse ragioni che giustificano l’aborto dovrebbero anche giustificare l’uccisione della persona potenziale quando è allo stadio di un neonato».
In breve: se accetti le premesse contenute nella scelta abortiva non puoi che accettare tutte le sue conseguenze, anche quelle relative all’aborto fino alla nascita e all’infanticidio. Il feto al pari del neonato è un piccolo essere umano che non è ancora persona. Ucciderlo, così sostengono i due ricercatori, non è un assassinio, ma è solo eliminare un organismo vivente, come se fosse una pianta. Dunque, dal punto di vista morale nulla cambia dal sopprimerlo quando era
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nelle prime fasi di sviluppo al sopprimerlo in età gestazionale avanzata o quando è già nato. Ecco perché l’aborto tardivo, come l’aborto a nascita parziale (il bambino non è stato partorito completamente), come l’infanticidio, chiamato anche eutanasia infantile, rappresentano solo nomi differenti per indicare il medesimo atto: assassinio. Cambia il nome, ma la sostanza è sempre la stessa. Uno stesso filo rosso sangue lega dunque aborto ed eutanasia. Quindi chi accetta l’aborto, fosse anche quando l’essere umano è composto da una sola cellula, non può che accettare anche l’infanticidio e l’eutanasia pure sugli adulti, qualora, al pari del feto e dell’infante, non abbiano quelle caratteristiche fisiche o quelle funzioni che, secondo alcuni bioeticisti, sono indispensabili per ricevere la qualifica di persona: la perfettibilità fisica, la capacità di compiere alcune
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L’INFANTICIDIO È DA ANNI PRASSI COMUNE IN TANTI PAESI “CIVILI”
azioni quali l’aver coscienza di sé e del mondo circostante, la comunicazione con terzi, il porsi fini intellegibili, il giudizio di valore sulle proprie e altrui azioni, etc. Lecito quindi uccidere pazienti con gravi patologie neurodegenerative (ad esempio l’Alzheimer) e persone affette dalla sindrome aresponsiva (quei pazienti che un tempo venivano qualificati come persone in stato vegetativo). In sintesi, le leggi che permettono l’aborto anche negli ultimi giorni di gestazione e quelle che legittimano
l’infanticidio sono già contenute nella ratio delle leggi sull’aborto, sono le inevitabili conclusioni di premesse erronee, sono le coerenti conseguenze di principi disumani. Se fai entrare dalla porta l’aborto, non puoi che permettere l’ingresso anche a tutti i suoi figli.
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...In barba al principio di uguaglianza
di Francesca Romana Poleggi
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale», dice la Costituzione: ne siamo sicuri?
Gli esseri umani, oggi, di fatto non sono considerati tutti di pari dignità. Quando si calpestano i diritti (diritti veri, non desideri… ma questo è un altro discorso) dei lavoratori, delle donne, o degli stranieri, giustamente si levano alte le proteste da ogni parte. Quando si calpesta il diritto alla vita che è premessa di tutti gli altri diritti - dei bambini, specie di quelli molto piccoli, allo stato embrionale, oppure dei disabili e dei malati, invece cala un silenzio assordante. Perché? Perché oramai gli esseri umani possono essere divisi in due categorie, “persone” e “non persone”. Resta da capire chi è che ha il potere di stabilire quali caratteristiche distinguono le une dalle altre. Diceva San Tommaso «agere sequitur esse», cioè: l’essere è tale perché è, non per ciò che fa. Un cane è un cane anche se non abbaia o non scodinzola. Se la persona non è tale solo per ciò che è, chi avrà il potere di stabilire quali sono 18 N. 74
le prestazioni indispensabili per essere allocati nella categoria degli individui di serie “A”? L’età gestazionale? E perché 90 giorni e non 60 o 180? La capacità di ragionare? E quale sarà il quoziente di intelligenza necessario per aver diritto di vivere? Come lo misureremo? Intanto che i cortesi Lettori si industriano per dare una risposta a questi inquietanti interrogativi, per comprendere bene il racconto che vi proponiamo nelle prossime pagine, diamo qualche informazione a proposito della novella di Philip Dick, Le pre-persone, scritta nel 1974, all’indomani della tristemente nota sentenza della Corte Suprema americana che ha legalizzato l’aborto. Non vogliamo togliere agli interessati il piacere di leggerla, anzi invitiamo tutti, caldamente, a farlo; qui riportiamo solamente un paio di citazioni dall’edizione del 2005 (Fanucci), per entrare nel clima in cui si svolge il
Su Le pre-persone è stato girato un cortometraggio che val la pena essere visto. Si può trovare su You Tube
LAVORATORI, DONNE E STRANIERI HANNO UN DIRITTO IN PIÙ RISPETTO AI BAMBINI, AGLI ANZIANI E AI DISABILI: HANNO IL DIRITTO ALLA VITA, CHE A QUESTI ULTIMI È PLATEALMENTE NEGATO.
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LA PERSONA È TALE PER CIÒ CHE È, NON PER CIÒ CHE FA: ALTRIMENTI SI SPALANCA UN ABISSO: CHI HA IL POTERE DECIDERÀ ARBITRARIAMENTE CHI HA DIRITTO DI VIVERE E CHI NO.
racconto del nostro Mirko Ciminiello. Negli Stati Uniti in profonda crisi economica, la competizione sociale è più spietata che mai. Tutti devono avere l’attestato di normalità della polizia regionale: si è perso il senso dell’umanità. Poiché entro dieci anni non ci sarà più cibo per nessuno, bisogna raggiungere la crescita zero. Il dialogo che segue, tra uno dei protagonisti, Ian Best, e la moglie, una donna comune, perfettamente “normale”, è illuminante. «“Voglio un aborto!” … “È ‘in’ adesso, avere un aborto. Cosa abbiamo noi? Primo piano
Un ragazzino…. È imbarazzante”». Poi aggiunge: «“E il tipo di aborto che praticano ora, per le donne nei primi mesi, costa solo un centinaio di dollari, come quaranta litri di benzina! E ne puoi parlare per ore praticamente con chiunque incontri”. Ian si girò per guardarla in viso e con voce piatta disse: “E ti lasciano anche tenere l’embrione. Puoi riportartelo a casa in una bottiglia, magari dipinto con una speciale vernice fosforescente affinché brilli nell’oscurità come una specie di lampadina”». In un altro punto della storia,
l’altro protagonista, Ed Gantro, spiega come si è evoluta la normativa sull’aborto negli anni. Un embrione non ha diritti per la costituzione americana e quindi può legalmente essere ucciso da un dottore. Eppure, il feto era stato considerato, almeno per un certo periodo, una persona anche dal punto di vista giuridico; ma poi la folla abortista aveva deciso che neanche a sette mesi di gravidanza si può parlare di “essere umano” …. E, un bel giorno, era toccata ai neonati: sono come dei vegetali, non capiscono nulla, non parlano. Così la lobby abortista aveva perorato la sua causa, vincendo, stabilendo che un neonato è solo un feto espulso dall’utero materno. La Chiesa da tempo andava sostenendo che già lo zigote è una forma di vita sacra come tutte le altre sulla Terra, ma poi di compromesso in compromesso, il termine legale fu inesorabilmente spostato sempre più in avanti.
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QUELLI CHE SONO ACCECATI DA IDEOLOGIE VOTATE ALLA MORTE SONO - TUTTO SOMMATO - UNA MINORANZA. MA HANNO UN ENORME POTERE ECONOMICO E MEDIATICO.
E così fino a 12 anni, i figli indesiderati possono diventare “bambini randagi” e possono essere eliminati: non hanno ancora un’anima, sono “prepersone”. Il camion degli aborti che gira regolarmente per il paese li porta via, in un luogo che i funzionari considerano un centro di protezione per i bambini. Ian Best a un certo punto si chiede perché quanto più è indifesa una creatura tanto più per alcuni è facile farla fuori. E si dà una risposta: lo fanno, perché possono. La società ha consegnato il potere a persone in grado di uccidere le creature più indifese…. c’è l’odio dei grandi per i piccoli… odio per qualsiasi cosa sia in grado di crescere. Non è difficile comprendere che lo scenario distopico
immaginato da Dick quarant’anni fa si sta tragicamente realizzando. Da un lato abbiamo lentamente e profondamente accettato l’idea che i bambini prima della nascita siano “non persone”: basta leggere i commenti comuni all’art. 1 del nostro codice civile: «La capacità giuridica - cioè la capacità di avere diritti e doveri, quindi di essere considerati soggetti - si acquista dalla nascita». Essi ignorano perfettamente tutta la tradizione giuridica che riconosceva diritti a favore del concepito (perfino gli antichi Romani riconoscevano a esso una certa personalità: lo testimonia la figura del curator ventris che era deputato a far valere gli interessi del bambino nel grembo nelle questioni di diritto civile che lo coinvolgevano), e ignorano
perfettamente il secondo comma dello stesso articolo che parla di «diritti che la legge riconosce al concepito». Dall’altro lato, come spiega bene Tommaso Scandroglio nell’articolo precedente, se i bambini nel grembo possono essere considerati non persone, non si vede perché si debbano considerare intangibili i diritti dei bambini neonati. Già sette anni fa i bioeticisti Alberto Giubilini e Francesca Minerva, già citati da Scandroglio, (s)ragionavano sulla legittimità dell’infanticidio; e tanti altri come Peter Singer, sostengono le stesse posizioni. Del resto dal 2004 in Olanda si pratica l’infanticidio dei bambini malati (la parola “eutanasia”, in questo caso, farebbe meno impressione, vero?) e in Inghilterra il Liverpool Care Pathway for the
LA MAGGIORANZA SILENZIOSA È DAVVERO UNA MAGGIORANZA CHE, SE SMETTESSE DI ESSERE SILENZIOSA, SAREBBE IN GRADO DI RICACCIARE LE BESTIE NELLA TANA.
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DOBBIAMO DESTARCI DAL SONNO DELLA RAGIONE IN CUI CERCANO DI FARCI SPROFONDARE ATTRAVERSO LE “ARMI DI ‘DISTRAZIONE’ DI MASSA”.
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Dying Patient (Lcp) già alla fine degli anni Novanta, è servito allo stesso scopo: Charlie Gard e Alfie Evans purtroppo sono solo due delle innumerevoli piccole vittime della “palliazione terminale” (pensate che tecnicamente l’eutanasia non sarebbe legale, nel Regno Unito!). I nostri Lettori hanno letto nelle pagine precedenti della legge emanata dallo Stato di New York che consente l’aborto fino al momento della nascita. I media mainstream ovviamente non hanno coperto la notizia più di tanto. Né hanno dato contezza del fatto che i parlamentari appartenenti al Partito Democratico americano hanno a più riprese bloccato sia a livello federale, sia in singoli Stati Federati, proposte di legge tese non solo a limitare
l’aborto, ma anche a sancire l’obbligo di assistere i piccoli che all’aborto tardivo hanno la ventura di sopravvivere (come Gianna Jessen, Melissa Ohden e tanti altri). Del resto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (che riconosce diritti solo a uomini sani, belli e da una certa età in poi) già nel 2016 si era rifiutata di riconoscere il diritto alla vita dei piccoli sopravvissuti. In un altro Paese “civile e democratico”, il Canada, i giudici, da qualche anno, tendono a dare condanne molto lievi alle madri che uccidono i loro bambini appena nati. Se la legge permette l’aborto, dicono, perché punire l’infanticidio? Tanto che, quando lo Stato dell’Alberta ha chiesto alla Corte Suprema canadese di ridefinire più severamente l’uccisione dei neonati, le femministe e i soliti noti sono insorti con i 21 N. 74
soliti argomenti che i Lettori possono ben immaginare: i diritti delle donne, la punizione è già nell’aver compiuto il gesto estremo costrette dalla necessità... Le stesse scuse usate quarant’anni fa per giustificare l’aborto quando non era legale, vengono ora addotte per giustificare l’assassinio di bambini piccoli. Recentemente, il bioeticista norvegese Joona Räsänen, sulla rivista Bioethics, spiega: «Potrebbe esserci un argomento che dà, ad esempio, ai genitori naturali il diritto di uccidere (o lasciare morire) il loro bambino appena nato, anche se i bambini hanno diritto alla vita. Ad esempio, si potrebbe sostenere che le persone hanno il diritto alla loro privacy genetica e che il neonato che porta il materiale genetico dei genitori naturali viola il loro diritto alla privacy genetica.
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Detto in altro modo: il figlio non ha diritto al materiale genetico dei suoi genitori». Chiosa il nostro Vincenzo Gubitosi in un articolo apparso su notizieprovita.it: «Anche i bambini, è il caso di dire, potrebbero smontare questo argomento in due passaggi: 1) Il contemperamento di interessi è possibile solo tra diritti omogenei, ossia di valore equivalente; tra vita e privacy non c’è accostamento che tenga; 2) Il figlio non è il risultato di un’addizione cromosomica che può essere scomposta e non si può restituire il materiale genetico dei singoli genitori. Egli possiede un
codice genetico unico e irripetibile, “individuo” in senso etimologico, cioè indivisibile». Insomma, tutto questo dovrebbe bastare a capire che lo scenario di Le pre-persone non è per niente un’ipotesi fantascientifica. E di questo la società civile deve prendere atto. Tutti abbiamo il dovere di risvegliare le coscienze. Quelli che sono accecati da ideologie votate alla morte sono - tutto sommato - una minoranza. Ma hanno un enorme potere economico e mediatico (dietro la cultura della morte ci sono miliardi di profitti: quelli delle Primo piano
DOBBIAMO LOTTARE - TUTTI E CIASCUNO PER MANTENERE NOI STESSI LO STATUS DI “PERSONA PENSANTE” E NON DEGRADARE A QUELLO DI AUTOMA, CONSUMATORE “DANZANTE”.
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industrie farmaceutiche e delle cliniche private da un lato, i milioni di Pil - il Canada ne ha calcolato circa 170 l’anno - che si risparmiano con la diffusione dell’eutanasia, dall’altro). Ma la maggioranza silenziosa è davvero una maggioranza che, se smettesse di essere silenziosa, sarebbe in grado di ricacciare le bestie nella tana. Per farlo, però, deve destarsi dal sonno della ragione in cui cercano di farci sprofondare attraverso le “armi di distrazione di massa”: le idiozie che la televisione trasmette 24 ore su 24, la droga (dalla cannabis “light” ai videogiochi, passando anche per i “divertimenti di massa”: oggi lo scopo della vita è “divertirsi”, no?). Dobbiamo preservare le nuove generazioni di cui si sta operando la “decostruzione dell’intelligenza”: andate a
leggere a pag. 41 il mea culpa che dovrebbero fare genitori e nonni. Non basta più, ormai, battersi per il riconoscimento della pari dignità di ogni persona, cioè di ogni essere umano, in qualsiasi condizione versi, dal concepimento alla fine naturale: dobbiamo anche lottare - tutti e ciascuno - per mantenere noi stessi lo status di “persona pensante” e non degradare a quello di automa, consumatore “danzante”. La battaglia è dura, ma i numeri per vincerla ce li abbiamo: serve solo che ciascuno di noi faccia qualcosa per svegliare chi dorme. Se non ci svegliamo, i primi a pagare sono i nostri bambini.
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Gli Accalappiabimbi di Mirko Ciminiello Questo breve racconto originale si ispira a una novella di Philip K. Dick (1928 - 1982), che si intitola Le pre-persone, scritta nei primi anni ‘70 quando negli Stati Uniti è stato legalizzato l’aborto. In essa si descrive un mondo in cui, fino all’età di dodici anni, i bambini senza il “certificato di desiderabilità” possono essere prelevati dal camion degli aborti che li porta via in un luogo in cui “li mettono a dormire”. Il nostro Ciminiello descrive i pensieri e le parole di una giovane donna e di suo marito, in quel luogo e a quel tempo. Le grida cessarono di colpo quando l’uomo in camice bianco chiuse il portellone del camion rosso, e si avviò fischiettando verso la portiera dal lato del guidatore. Era un contrasto sgradevole. O, almeno, così lo trovava Claire. Ed era strano. Non le era mai capitato prima, eppure una scena simile l’aveva già vista decine, centinaia di volte. Istintivamente, portò la mano al proprio pancione. Forse, si disse, era colpa della gravidanza. Uno squilibrio ormonale. Sì, doveva essere così. Del resto, sapeva che poteva accadere. Ma perché, allora, quelle urla continuavano a echeggiarle nella testa, a rimbalzarle nel cuore, a tormentarla, a ossessionarla…? Forse perché poteva capitare anche a lei? Il pensiero le si
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Philip K. Dick (1928 - 1982) è l’autore di romanzi di fantascienza da cui è stata tratta la sceneggiatura di celebri film, come Blade Runner, Paycheck o Minority Report. insinuò nella mente senza che Claire se ne accorgesse. Quel bambino… No, “bambino” era un vecchio termine, non più usato - chissà perché le era sovvenuto? La non-persona, il dopo-parto che l’uomo in camice bianco era venuto a prendere, sicuramente aveva qualche difetto. Non ci si sbarazza mica di ciò che funziona, dopotutto.
E se anche lei si fosse resa conto, dopo qualche mese, dopo qualche anno, che il piccolo esserino che in quel momento cresceva dentro di lei era difettoso? Nessun dubbio sulla risposta. Era normale, in fondo. Di più: era un suo diritto. Diritto. Questa parola suonò stranamente sinistra nel suo cervello. Un paradosso, di certo. Una contraddizione. Primo piano
Claire viveva, aveva sempre vissuto nell’epoca dei diritti. Sua madre gliene parlava sempre, ai tempi della sua infanzia, e così i suoi insegnanti, e i libri di testo della scuola, e tutti i film e i programmi che lei amava tanto vedere. Diritti della donna, soprattutto - forse erano quelli che l’avevano colpita di più. Diritti e libertà. Autodeterminazione. Una parola che l’aveva impressionata, da ragazzina. L’aveva trovata insieme buffa, incomprensibile e grave. Perché le tornava in mente proprio in quell’istante? E perché quella creaturina che le si stava sviluppando nel grembo si agitava proprio in quell’istante? Forse, in qualche modo, sentiva? Percepiva ciò che Claire sapeva da sempre - che il primo diritto di una donna è la libertà di disporre del proprio corpo, senza alcun limite, anche quando i corpi diventano due? Che sciocchezza, si disse Claire. Esseri così piccoli non possono avere conoscenze, non possono
C’È DIFFERENZA TRA UN FETO DI NOVE MESI E UN NEONATO?
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Il furgone rosso di un accalappia...cani.
avere intuizioni, al massimo delle reazioni fisiologiche, dei meri riflessi. Se così non fosse, la legge non avrebbe permesso di eliminarli. Un tempo non era così. Ci erano voluti decenni perché le donne ottenessero quel diritto. Avevano dovuto lottare - Claire lo aveva studiato sui libri di storia - contro dei folli disposti a riconoscere perfino lo zigote come forma di vita umana. Non parliamo poi dell’embrione, del feto, del bambino. Forse che un bambino è un essere indipendente, oppure in grado di ragionare, o almeno di compiere operazioni tipicamente umane? Era stata questa la linea che aveva trionfato, passo dopo passo, nei tribunali. All’inizio, i magistrati avevano decretato che l’embrione non potesse avere diritti costituzionali, aprendo così la finestra di Overton. A quel punto, era
solo questione di tempo prima che il limite si estendesse, come in una reazione a catena. Sei mesi, sette mesi, nove mesi. Alcuni Stati americani avevano stabilito perfino che si potesse sopprimere il feto al momento della nascita - purché la sua testa fosse ancora all’interno del grembo materno. Si induceva un parto podalico, quindi veniva reciso il midollo spinale a livello delle vertebre cervicali. I motivi erano i più disparati, ma due erano i più frequenti: difficoltà economiche, e pericolo che il nascituro presentasse qualche patologia. Così, ad esempio, negli Stati Uniti erano state decimate le minoranze svantaggiate, ed erano stati azzerati i disabili. Qualcuno aveva affermato che la scienza aveva donato la salute all’umanità. La realtà era che, non riuscendo a sconfiggere le malattie, la scienza aveva eliminato i malati. 25 N. 74
È “PERSONA” SOLO CHI POSSIEDE DETERMINATE ABILITÀ PSICOLOGICHE O RAZIONALI?
E in fondo, c’era differenza tra un feto di nove mesi e un neonato? Dopotutto, non era stato John Locke a definire “persona” chi possiede determinate abilità psicologiche, razionali? E allora, perché un neonato non poteva essere soppresso? Perché non un bambino, almeno finché non dimostrava di possedere le capacità richieste dalla legge? Però l’idea di eliminare un bambino era dura da mandar giù, per l’opinione pubblica: ecco perché erano stati introdotti dei concetti sostitutivi. Era più semplice accettare la soppressione di una non-persona o di un dopoparto… Claire scosse impercettibilmente la testa, senza sapere neppure lei perché. Si stava sforzando di convincersi che ciò che le era stato insegnato fin da piccola non poteva essere sbagliato. Eppure, più le grida tornavano a rimbombare nella 26 N. 74
sua mente, più quelle argomentazioni le suonavano insensate. Conosceva il bambino - ancora? - la nonpersona che erano venuti a portare via. Si chiamava Mike, aveva sette anni. Qualche giorno prima, sua madre Hillary aveva condiviso un tè con alcune amiche, tra cui Claire. Davanti alla tazza fumante, si era lamentata a lungo di quanto poco Mike fosse rispettoso. Alla richiesta di specificare meglio il proprio disagio, Hillary aveva alzato gli occhi al cielo. «Quando lo chiamo per la cena, ci fa sempre aspettare almeno due minuti!» aveva quindi detto in tono indignato, suscitando nelle amiche solenni cenni di approvazione. Per questo avevano portato via Mike. Perché non accorreva all’istante al richiamo della madre. Tanto era bastato per fare di lui un “aborto”: un essere imperfetto, mal riuscito,
di cui ci si poteva liberare senza patemi d’animo. Bastava convocare gli addetti alla Genitorialità Perfetta. O, come li chiamava la gente comune, gli Accalappiabimbi (il nomignolo era stato coniato prima dell’avvento della neolingua). D’improvviso, Claire rabbrividì. Cosa sarebbe successo a Mike? Cosa sarà successo a Ella, allontanata a nove anni
NON RIUSCENDO A SCONFIGGERE LE MALATTIE, LA SCIENZA AVEVA ELIMINATO I MALATI.
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L’IDEA DI POTER ELIMINARE UN BAMBINO ERA DURA DA MANDAR GIÙ PER L’OPINIONE PUBBLICA: ECCO PERCHÉ ERANO STATI INTRODOTTI DEI CONCETTI SOSTITUTIVI: “NON-PERSONA”, O “DOPO-PARTO”.
quando i suoi genitori avevano deciso che non volevano più una femminuccia? O a Justin, caricato sul camion a quattro anni perché, come aveva detto sua madre, «è tanto chic avere un aborto al giorno d’oggi»? Cosa sarebbe potuto accadere a lei, se la legge 491 - quella che regolava l’aborto - fosse stata in vigore al tempo della sua infanzia? Ricordava bene le critiche che sua madre le riservava quando lei aveva l’età
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di Justin, o di Mike, o di Ella. Anche Claire avrebbe potuto essere scartata? Anche lei avrebbe potuto essere prelevata da un camion rosso, rinchiusa in una clinica della Genitorialità Perfetta e… e…? Il pensiero le diede le vertigini, e Claire si dovette appoggiare per un momento al davanzale della finestra. Qualche metro più sotto, in quello che qualcuno definiva coraggiosamente “giardinetto”,
un ragazzino emergeva dalle erbacce, guardandosi attorno con circospezione, ansimando. Assomigliava a Mike. Per un attimo, Claire colse il suo sguardo. Uno sguardo intriso di paura. Nello stesso istante, la mano di suo marito si posò affettuosamente sulla sua spalla, e lei ebbe un sussulto. «Che succede?» domandò premuroso Philip. Senza rispondere, Claire tornò a osservare fuori dalla finestra. Deglutì. Le sembrava di non riuscire ad articolare alcun suono. «È terrorizzato» disse poi in un soffio. Philip si sporse per osservare ciò che sua moglie vedeva. «È appena passato il camion…» sussurrò quindi. E forse fu la sua voce, o forse la terrificante semplicità della risposta - fatto sta che la diga che tentava di contenere le emozioni di Claire cedette di schianto. «Philip! - esclamò - che cosa ci rende diversi da lui?!» Non sapeva perché lo avesse detto. Le sembrava irreale, come se quelle parole fossero ancora 27 N. 74
racchiuse all’interno della sua testa - come se non potesse averle davvero pronunciate ad alta voce. Il cuore le martellava contro il petto, gocce di sudore le imperlavano la fronte. In qualche modo, Claire percepì che suo marito aveva risposto, citando il dettato della legge 491. Ma percepì anche il dubbio nel suo tono. Si voltò, e si specchiò nei suoi occhi. «Com’è possibile…?» disse Claire, senza sapere se in realtà si stesse rivolgendo a se stessa. «Come si può tracciare un confine così netto…? Un giorno sei un post-parto e il giorno dopo sei una persona?!». «Sai che furono i giudici della Corte Suprema a definire questi paletti. In modo del tutto arbitrario». «È assurdo!» insistette Claire. «Chi ha potuto dare allo Stato una simile autorità? Chi ha potuto permettere a degli uomini di decidere della vita o della morte di altri esseri umani? Perché nessuno si oppose?». In molti, in realtà, si erano opposti. Almeno all’inizio. Ma le norme spesso creano i costumi. L’opinione pubblica,
dapprima sconvolta, si era abituata a poco a poco a quello che solo pochi anni prima sarebbe stato condannato come omicidio - come infanticidio. E l’opposizione era gradualmente scemata, complici anche media e social network che silenziavano e irridevano qualunque posizione contraria alla legge 491. «Come abbiamo potuto creare un mondo del genere…?» continuò Claire scuotendo vigorosamente la testa. «Un mondo in cui abbiamo strappato la speranza dagli occhi delle creature più deboli e indifese. È questo il mondo in cui vogliamo far vivere nostro figlio?». «Sai…» disse all’improvviso Philip, «un grande autore, molto tempo fa, fece una sorta di profezia. “Accenderemo fuochi” scrisse, “per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Capisci cosa voglio dire?». Claire strabuzzò gli occhi. Non capiva, ma intuiva. E le parole di Gilbert Keith Chesterton parole antiche - le sembravano così attuali. D’istinto, si portò di
nuovo la mano al pancione. «Non si può ridurre la stupefacente complessità di un essere umano a ciò che può o non può fare» proseguì Philip. «La vita è sacra e inviolabile fin dall’inizio, fin dal concepimento». La schiena di Claire fu percorsa da un brivido. Non aveva mai sentito Philip parlare in questo modo. Sembravano quasi le parole di un rivoluzionario. «Perché mi dici solo ora queste cose…?», mormorò. «Perché non me le hai mai dette prima?». Guardava suo marito con altri occhi, ora. Le sembrava quasi di non riuscire a riconoscerlo. Ma, per qualche strana, irrazionale ragione, si sentiva finalmente rassicurata. «Tu le avresti dette a te stessa?» ribatté Philip. Senza aspettare risposta, si chinò ad accarezzare il pancione di sua moglie, suo figlio che cresceva dentro di lei. «Hai chiesto che cosa ci renda diversi da un bambino, hai chiesto come sia possibile tracciare confini così netti. La risposta è semplice: non c’è alcun confine. Non c’è nessun momento in cui un piccolo
GLI ADDETTI ALLA GENITORIALITÀ PERFETTA VENIVANO CHIAMATI DALLA GENTE COMUNE, GLI ACCALAPPIABIMBI: IL NOMIGNOLO ERA STATO CONIATO PRIMA DELL’AVVENTO DELLA NEOLINGUA.
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Primo piano
«LA GRANDE MARCIA DELLA DISTRUZIONE MENTALE PUÒ ESSERE FERMATA».
essere umano in via di sviluppo non sia, per l’appunto, un essere umano. Siamo un continuum. Fin dal primo istante. Sempre uguali, e sempre diversi». Claire chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul proprio respiro affannoso e sui battiti frenetici del suo cuore. Ma, mentre la sua testa cercava di fare ordine in quel caos di violente emozioni, di verità e di dubbi, fu un altro cuore quello di cui credette di sentire il battito. Quello di suo figlio.
COME SI PUÒ TRACCIARE UN CONFINE COSÌ NETTO? UN GIORNO SEI UN POST-PARTO E IL GIORNO DOPO SEI UNA PERSONA!
Primo piano
Del suo bambino. Sì, il suo bambino. Potevano fare tutte le leggi che volevano. Potevano cambiare il linguaggio. Ma Claire non avrebbe considerato suo figlio una non-persona. Riaprì gli occhi, e li sgranò all’istante. Philip era in piedi davanti a lei, e le stava porgendo un piccolo oggetto che teneva tra le mani. Per un momento, Claire cercò di evitare di mettere a fuoco l’oggetto. Ma il lieve scintillio che emanava le aveva già rivelato la sua natura. Lentamente, Claire si voltò. Esitò ancora. Poi allungò la mano a prendere la spilla a forma di culla che, come tutti sapevano, era il simbolo del movimento antiabortista. Philip ritrasse lievemente il braccio un attimo prima che le dita di sua moglie sfiorassero quel simbolo. «Sai cosa significa», la ammonì. «Ti senti pronta?» Per niente, pensò Claire. Ma, proprio in quel momento, nella sua mente si formò l’immagine
di Mike, e di Ella, e di Justin, e del bambino che, per quel giorno, si era salvato, e nel suo cuore tutti loro erano anche suo figlio, e l’oscurità era sovrastata dalle grida e dal pianto disperato di quel mattino, e nello stesso istante la sua piccola creatura scalciò all’interno del suo grembo. Claire abbassò la mano ad accarezzarlo, ad accarezzare il suo bambino. Poi la sollevò di nuovo, e la richiuse intorno alla spilla. Philip annuì gravemente. «La grande marcia della distruzione mentale può essere fermata» le confidò, stavolta parafrasando Chesterton. Claire annuì a sua volta. Pensò a suo figlio, all’aspetto che avrebbe avuto, al mondo in cui avrebbe vissuto. E, per la prima volta da molto tempo, si sentì invadere da un’incontenibile speranza.
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Ogni essere umano è persona (e non è un animale)
di Francesco Agnoli
Pubblichiamo ampi stralci dell’appendice a Dieci brevi lezioni di filosofia. L’essenziale è invisibile agli occhi, pubblicato da Gondolin nel 2018. In queste pagine si evidenziano le caratteristiche dell’essere umano, di ogni essere umano a prescindere da ciò che fa e dalle sue qualità. Caratteri che lo rendono davvero speciale non assimilabile agli altri animali. Sottolineiamo l’impronta filosofica e razionale - e non fideistica - delle seguenti riflessioni. Per motivi redazionali, qui non sono state pubblicate le note e i riferimenti bibliografici di cui il testo è ricco e a cui rimandiamo per una lettura integrale e approfondita.
Il filosofo ellenista Filone scriveva: «La mente che è in ciascuno di noi può comprendere ogni cosa, ma non ha la possibilità di conoscere se stessa». Eppure, chiosava Cornelio Fabro nel Novecento, «per l’uomo ogni conoscenza è poco o nulla ed ogni ricchezza è trascurabile fin quando non si sa chi egli sia e cosa racchiuda in se stesso». La parola anima deriva dal greco anemos, che significa “vento” e allude a qualcosa di incredibilmente sottile, penetrante, che però anima, muove: l’anima è un principio semovente. La stessa idea è presente nel termine latino spiritus, che significa “soffio, respiro”, e nelle parole greche pneuma e psychè, che significano ancora una volta «soffio, respiro, alito”.
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Psychè significa anche farfalla: di qui le anime rappresentate talora con ali di farfalla, ma anche l’idea di una trasformazionerinascita, poiché la farfalla nasce dal bruco; Dante, nel canto X del Purgatorio, scriverà: «noi siam vermi/ nati a formar l’angelica farfalla, / che vola alla giustizia sanza schermi». La vita e la morte Il primo dato, il più evidente, è questo: esiste una differenza, sostanziale e non accidentale, tra un uomo vivo, ed uno Primo piano
«DA TUTTI I CORPI INSIEME NON SAPREMMO SPREMERE UN PICCOLO PENSIERO: È IMPOSSIBILE, DI UN ALTRO ORDINE» (B. PASCAL)
morto, tra un uomo che vive, cammina, pensa, ed un cadavere. Cosa manca ad un morto, che è materialmente uguale ad un vivo, ma è però tutt’altra “cosa”? Quel qualcosa, inafferrabile eppure così decisivo, lo chiamiamo appunto anima. Il secondo dato, di origine storica, è il seguente: l’uomo seppellisce da sempre i suoi defunti. Il neuroscienziato M. S. Gazzaniga, in Human. Quel che ci rende unici (Milano, 2009), nota appunto che il seppellire i morti è una caratteristica solo umana, e non degli altri animali, e aggiunge: «Questo indica una credenza in una vita dopo la morte… Una credenza in una vita dopo la morte presuppone una differenza tra il corpo fisico e ciò che continua a vivere». L’uomo ha sempre seppellito i morti ipotizzando una permanenza in vita, oltre questa vita terrena, del loro essere più profondo: l’anima, appunto. Primo piano
Più o meno consapevolmente il corpo è stato dunque sempre intravisto come un’entità distruttibile, disgregabile, composta di parti, e quindi mortale, mentre l’anima, essendo incorporea, semplice e non composta di parti, come un’entità indistruttibile, non disgregabile, immortale (argomento ontologico). Il terzo dato: teologie, mitologie, filosofie di ogni tempo hanno proposto l’esistenza, post mortem, di un giudizio dell’anima. Questo perché, essendo l’uomo un soggetto etico, un essere responsabile di se stesso, degli altri e del mondo, suscettibile di giudizio e di condanna, di pena o di premio, si avverte l’esigenza di una Giustizia morale che deve realizzarsi, se non nella vita terrena (il che spesso non accade), almeno in un’altra vita (argomento morale), di modo da rendere differente il destino di chi ama, da quello di chi odia, quello di chi aiuta il suo
prossimo, da quello di chi lo uccide… Il pensiero L’uomo, oltre a vivere, pensa ed ama, mentre tutte le altre realtà che conosciamo non possono farlo, tantomeno può pensare e amare la materia. Analizziamo brevemente l’origine del pensiero, la sua straordinaria forza, il suo oggetto/desiderio supremo. Quanto all’origine, il pensiero appartiene, nel cosmo conosciuto, solo alla natura dell’uomo. Scrive Blaise Pascal, filosofo, fisico e matematico, nei suoi Pensieri: «Da tutti i corpi insieme non sapremmo spremere un piccolo pensiero: è impossibile, di un altro ordine». Il che significa, come Pascal spiega altrove, che tutto l’universo materiale non sa produrre un solo pensiero, né un solo atto d’amore. Un altro filosofo e matematico, Leonardo Eulero, detto il princeps mathematicorum, 31 N. 74
affermerà nelle sue Lettere ad una principessa tedesca, il 29 novembre 1760: «Nulla vi potrebbe essere di più urtante del dire che la materia è capace di pensare. Pensare, giudicare, ragionare, sentire, riflettere e volere sono qualità incompatibili con la natura dei corpi, e gli esseri che ne sono in possesso devono essere dotati di una natura del tutto differente. Tali esseri sono le anime e gli spiriti, fra i quali quello che possiede tutte queste qualità nel più alto grado di perfezione è Dio». Quanto alla forza del pensiero, essa è di chiara evidenza: è la ragione, che rende l’uomo “il re del creato”, che gli permette di elevarsi al di sopra della natura, di esercitare la sua attività conoscitiva - che è essenzialmente razionale, e non unicamente sensibile, corporea; che supera il tempo e lo spazio, scoprendo verità universali; che comprende, in parte, le leggi invisibili, immateriali, che regolano la materia, e, oltre a comprenderle, può dominarle, esercitando una signoria non fisica, ma mentale, sulla natura. Così, dice Joseph Bochenski, in Avvio al pensiero filosofico, «ciò che soprattutto colpisce è il fatto che l’uomo, dal punto di vista biologico, non avrebbe assolutamente alcun diritto di imporsi a tutto il mondo animale, di dominarlo, come 32 N. 74
DAL PUNTO DI VISTA PURAMENTE BIOLOGICO L’UOMO È UN “ANIMALE MALRIUSCITO”, DEBOLE: EPPURE NON SI È ESTINTO, ANZI, DOMINA IL CREATO.
effettivamente fa. È anzi un animale mal riuscito. Vista cattiva, olfatto quasi trascurabile, udito scadente, queste sono senz’altro le sue caratteristiche. Gli mancano quasi completamente armi naturali, per esempio artigli. La sua forza è insignificante. Non può né correre né nuotare velocemente; inoltre è nudo e muore molto più facilmente della maggior parte degli altri animali, di freddo e di caldo, ecc. Biologicamente considerato, non avrebbe diritto all’esistenza; dovrebbe essere scomparso già da lungo tempo come altre specie di animali mal riusciti. Eppure, è accaduta tutt’altra cosa: l’uomo è
il padrone della natura… Ha cambiato la faccia del pianeta; anzi, basta guardare la superficie della Terra da un aeroplano o dalla cima di un monte per vedere come egli abbia sconvolto e mutato tutto. Ora comincia a rivolgersi al mondo esterno, al di fuori della Terra… Come fu possibile tutto questo? Conosciamo la risposta: per mezzo della ragione. L’uomo, benché così debole, possiede un’arma terribile: l’intelligenza». Infine, l’oggetto, il desiderio sommo del pensiero: è incredibile come questa facoltà straordinaria dell’uomo non si accontenti della sua forza, non Primo piano
si plachi per nessuna conquista. Il pensiero umano - svincolato dallo spazio (non ha altezza, larghezza, né profondità) e, sebbene solo in parte, dal tempo (la freccia del tempo, infatti, ha una sola direzione, perché il corpo può solo invecchiare, ma il pensiero può vagare, avanti e indietro) - va sempre più in là, oltrepassa sempre gli ostacoli, e dopo ogni vetta, ne cerca un’altra, più elevata, più impervia. I pensieri, le verità, come i beni di questo mondo, infatti, non lo soddisfano, non lo saziano, ma lasciano sempre in lui una certa inquietudine, un senso di sproporzione. Il filosofo danese Søren Kierkegaard, in Briciole filosofiche, scrive: «Il supremo paradosso del pensiero: voler scoprire qualcosa che esso non può pensare». Il che significa che il nostro pensiero si autotrascende, aspira a qualcosa di immenso: la Verità tutta intera.
Questa tensione ad infinitum, che assomiglia al progredire ad infinitum dei numeri, per Kierkegaard come per gli altri autori citati, è nel contempo il segno della nostra parentela con l’Infinito, con il Pensiero assoluto, cui aspiriamo, ed il marchio del nostro limite di creature. Il pensiero umano è dunque, in quest’ottica, esigenza di Comprensione, e comprensione dell’impossibilità di questa esigenza di soddisfarsi da sé. L’amore Oltre che pensare, l’uomo è capace di amare. Anche questa facoltà lo rende diverso, unico, speciale, lo distacca dal regno della materia, necessitata, incapace di volere, di desiderare, di scegliere, e da quella animale. Nel suo La malattia mortale, il già citato Kierkegaard afferma: «Che cosa ama l’amore? L’Infinito. Cosa teme? I limiti»,
evidenziando così non solo la capacità dell’uomo di amare, ma la natura tendenzialmente ad infinitum dell’amore stesso. L’amore si presenta da una parte come quell’esperienza che riempie l’uomo al massimo grado, che colma il suo desiderio interiore, sino quasi a farlo scoppiare di una gioia indicibile, ineffabile, immensa, che lo fa sentire davvero vivo, dall’altra come ciò che lo apre verso spazi infiniti, lo spalanca verso il Tutto, lo spinge ad un abbraccio universale.
IL NOSTRO PENSIERO SI AUTO-TRASCENDE, ASPIRA A QUALCOSA DI IMMENSO: LA VERITÀ TUTTA INTERA.
Solo la persona umana comprende il limite e aspira all’infinito
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Così, ancor più che nella comprensione razionale, sempre limitata, è nell’amore che l’uomo percepisce la sua grandezza, la sua origine divina, la sua apertura all’altro da sé, ed è per amore che arriva a compiere imprese sovrumane, a concepire la possibilità del dono, della rinuncia, del sacrificio per il bene degli altri, contraddicendo così il suo naturale egoismo. Si capisce allora perché la filosofia cristiana, che definisce Dio come Amore (Caritas), faccia dell’amore una forza soprannaturale, di cui l’uomo è capace solo in virtù di un’unione intima con Dio stesso. Agostino dipinge l’amore in questo modo: «L’amore nelle avversità sopporta, nelle prosperità si modera, nelle sofferenze è forte, nelle opere buone è ilare, nelle tentazioni è sicuro, nell’ospitalità generoso, tra i veri fratelli lieto, tra i falsi paziente. È l’anima dei libri sacri, è virtù della profezia, è salvezza dei misteri, è forza della scienza, è frutto della fede, è ricchezza dei poveri, è vita di chi muore. L’amore è tutto». In conclusione, l’uomo, che vive, aspira alla Vita; l’uomo, che pensa, aspira al Pensiero;
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l’uomo, che ama, aspira all’Amore imperituro. Tutto il suo essere è dunque proiezione, continua insoddisfazione e continuo superamento («l’uomo supera infinitamente l’uomo», scriveva Blaise Pascal), nell’intima convinzione che «il senso del mondo deve essere fuori di esso» (Ludwig Wittgenstein). Di qui l’idea che la vita terrena, per dirla con Johann Wolfgang Goethe, sia «l’infanzia dell’immortalità». Cosa suggerisce la scienza riguardo a vita, pensiero, amore? Cosa dice la scienza sperimentale riguardo all’anima? Evidentemente può dire ben poco, dal momento che il suo campo d’azione è lo studio di ciò che è misurabile, quantificabile, cosa che l’anima, per sua essenza, non è. Ma la scienza può suggerire molto nella misura in cui si trova impotente nell’affrontare la vera natura della vita, del pensiero, dell’amore; nella misura in cui ne riconosce l’unicità e la non riducibilità a fenomeni meccanici, sottoposti alle leggi della fisica e della chimica. Quanto all’anima come principio vitale, noi parliamo di bio-logia, cioè di bios, perché studiamo come si comporta, ma cosa la vita sia davvero non lo sappiamo!
L’AMORE RIEMPIE L’UOMO AL MASSIMO GRADO, COLMA IL SUO DESIDERIO INTERIORE, SINO QUASI A FARLO SCOPPIARE DI UNA GIOIA INDICIBILE, E LO SPALANCA VERSO IL TUTTO, LO SPINGE AD UN ABBRACCIO UNIVERSALE.
Abbiamo descrizioni, ma non spiegazioni: «la biologia non riesce a definire l’oggetto che studia» (né a definirlo, né a produrlo, visto che in laboratorio non sappiamo creare neppure un filo d’erba). La scienza sperimentale non solo non ci dà risposta sul senso della vita umana, ma neppure sul quia e sul quid della vita biologica: come è nata? Perché è nata? Cosa è? Sono tutte domande per le quali non abbiamo alcuna risposta di tipo scientifico. Quanto al pensiero, inutile dire che esso appare un fenomeno straordinario, un altro mistero dell’universo: nessuna legge, nessuna formula è capace di definirlo. Primo piano
Martin Rees, astronomo reale britannico e presidente della Royal Society, ammessa l’impossibilità per le nostre conoscenze scientifiche di spiegare l’intelligenza, afferma stupito che essa «sembra essersi prodotta una e una sola volta». Quanto al linguaggio umano, intimamente connesso con il pensiero, la linguistica e le neuroscienze ne riconoscono l’assoluta straordinarietà. Un intero numero della rivista Le scienze, del novembre 2018, è dedicato all’unicità umana. Vi si legge tra il resto: «È ovvio che il nostro predominio non nasce da doti fisiche: altri animali sono più forti, più veloci, hanno sensi più acuti. Dipende invece dalle nostre facoltà mentali», che ci rendono «così speciali… i soli, sul pianeta, ad avere queste
LA SCIENZA È IMPOTENTE NELL’AFFRONTARE LA VERA NATURA DELLA VITA, DEL PENSIERO, DELL’AMORE: NE RICONOSCE L’UNICITÀ E LA NON RIDUCIBILITÀ A FENOMENI MECCANICI, SOTTOPOSTI ALLE LEGGI DELLA FISICA E DELLA CHIMICA.
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Solo l’uomo è in grado di amare fino al sacrificio di sé (Maestro di Sant’Apollinare, Processione dei santi martiri. 526 d.C., Basilica di Sant’Apollinare Nuovo - Ravenna)
capacità»; «nessuno ha trovato il Santo Graal: un evento che definisca e spieghi il linguaggio», cioè un evento che riporti il linguaggio umano all’interno di un meccanismo evolutivo automatico, che dal meno (i linguaggi statici e bloccati degli animali), generi il più (il linguaggio, capace di discorsi potenzialmente infiniti, dell’uomo); «gran parte delle persone su questo pianeta crede allegramente, per lo più senza alcuna base scientifica, che gli esseri umani siano speciali, diversi dagli altri animali. È curioso notare come gli scienziati meglio qualificati per valutare questa affermazione
sembrano spesso restii a riconoscere l’unicità di homo sapiens, forse per paura di rinforzare l’idea dell’eccezionalità dell’essere umano portata avanti nelle dottrine religiose… Eppure, sono state raccolte grandi quantità di dati scientifici rigorosi, in campi che vanno dall’ecologia alla psicologia cognitiva, che affermano che quella umana è davvero una specie particolare… l’essere umano si distingue davvero come un animale molto diverso dagli altri. Sembra che la nostra cultura ci separi dal resto della natura...». Quanto infine all’amore, in campo scientifico è oggi un classico, dopo che a lungo si è
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L’ALTRUISMO UMANO HA RADICI BIOLOGICHE, ESATTAMENTE COME GLI ISTINTI AGGRESSIVI E DISTRUTTIVI CHE INNEGABILMENTE POSSEDIAMO, MA È MOLTO DI PIÙ, IN QUANTO GLI UOMINI SONO CAPACI DI COSCIENZA, DI VALUTAZIONE MORALE DEI LORO ISTINTI, DI VERGOGNA E DI PENTIMENTO, OLTRE CHE DI UN ALTRUISMO DEL TUTTO SINCERO, SENZA SECONDI FINI.
presentato l’uomo solamente come un animale feroce (Homo homini lupus), naturalmente cattivo ed egoista, riconoscere la veridicità di quanto sostenevano, tra gli altri, Aristotele e Tommaso, allorché definivano l’uomo un «animale politico, sociale», capace di relazione, cooperazione, amicizia, empatia e simpatia... In cerca delle ragioni del senso morale, infatti, ci si è resi conto che l’altruismo umano ha radici biologiche (anche i lupi praticano la caccia o la difesa cooperativa), esattamente come gli istinti aggressivi e distruttivi che innegabilmente possediamo, ma è molto di più, in quanto gli uomini sono capaci di coscienza, di valutazione morale dei loro istinti, di vergogna e di pentimento, oltre che di un altruismo del tutto
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sincero, senza secondi fini, «con l’intenzione di favorire un altro anche a costo di sfavorire se stessi» (Luca Surian, Il giudizio morale. Come distinguiamo il bene dal male). Questo, ha scritto il genetista Francis Collins, «rappresenta un vero scandalo per il pensiero riduzionista», in quanto «l’agape di Oskar Schindler e madre Teresa smentisce questo tipo di pensiero. Incredibile ma vero, la legge morale mi chiederà di salvare l’uomo che sta affogando anche se è mio nemico». Per il celebre biologo evoluzionista Francisco Ayala, «l’altruismo umano appare simile a quello degli animali, ma è diverso per il rilevante fatto di essere accompagnato da un giudizio, che è precisamente ciò che lo rende morale. Il comportamento morale non
è del tipo di quelle reazioni automatiche di altruismo biologico come si hanno in certe api, formiche e presso altri imenotteri…». Analogamente per il già citato neuroscienziato Michael Gazzaniga «il desiderio di aiutare coloro che soffrono a causa di un incidente o una malattia… è guidato dall’empatia e dalla compassione che possono essere considerate caratteristiche unicamente umane». Come dimostra del resto il semplice fatto storico (contra factum non valet argumentum) che solo gli uomini hanno dato vita a quell’istituzione straordinaria che è l’ospedale, in tutte le sue declinazioni.
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Meglio i cani che i figli
di Giulia Tanel
Perché quattro zampe vanno bene, mentre due gambette fanno paura? Negli ultimi anni stiamo assistendo a un fenomeno tanto evidente, quanto preoccupante: abbiamo strade e parchi gioco sempre più privi di bambini ma, di contro, ricche di animali a quattro zampe, con tanto di cappottino per l’inverno, elastici per il ciuffetto e, talvolta, finanche trasportati in appositi “passeggini”. A suffragare questo status quo, i dati del Rapporto Italia 2019 stilato dall’Eurispes: «Un terzo degli italiani – riportava in sintesi l’Ansa – ha in casa almeno un animale domestico (33,6%), con un incremento dell’1,1% rispetto al 2018 (32,4%). Crescono le famiglie che accolgono due, tre o più animali: rispettivamente 8,1% (7,1% nel 2018), 4,7% (contro il 3,7%), 3,8% (nel 2018 era il 2,3%)». Oltre a questo, «il 76,8% degli italiani considera i propri animali membri effettivi della famiglia. Sei su 10 li ritengono i loro migliori amici (60%), quasi un terzo veri e propri figli (32,9%)».
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Questa inclinazione degli italiani – è vero, non esclusiva del nostro popolo – a mettersi in casa animali anziché bambini sollecita varie domande e riflessioni. Perché quattro zampe vanno bene, mentre due gambette fanno paura? Eppure, anche gli animali costano; anche gli animali richiedono cura e attenzione e spesso vincolano i padroni rispetto alle scelte delle vacanze o alla possibilità di trascorrere qualche giorno fuori porta, perché vi è sempre il problema di lasciare l’animale domestico a casa; anche gli animali comportano un qualche sacrificio, come quello di portarli fuori nelle sere d’inverno oppure la fatica di pulire la lettiera, tanto per fare qualche esempio. Eppure, animali sì e bambini no, dicono i dati di un Paese immerso in un inverno demografico sempre più rigido,
I FIGLI SONO COLORO CHE CI SALVANO DA NOI STESSI.
come rileva la panoramica dell’Istat per il 2017: i nuovi nati sono stati 458.151 (-21% rispetto al 2008), il numero medio di figli per donna è 1,32 (ben lontano da quel 2,1 che garantirebbe il ricambio generazionale), il primo figlio viene partorito in media a 31,1 e ben il 22% delle nate nel 1977, ossia oramai negli “anta” e quindi sulla soglia della menopausa, non ha figli. In parallelo al calo della natalità, l’aborto volontario continua a mietere vittime: nonostante a ogni inizio d’anno i giornali mainstream, sulla base della Relazione annuale sulla legge 194/78 trasmessa al Parlamento, si rincorrano nell’affermare che “l’aborto è in calo”, i veri numeri della questione sono, purtroppo, assai differenti. Innanzitutto, 80.733 vittime innocenti uccise nel solo 2017 (- 4.193 rispetto al 2016) non sono affatto poche; oltre a questo, come
rilevava giustamente Giorgio Razeto su La Nuova Bussola Quotidiana, va aggiunto il fatto che «[…] vanno considerati anche gli aborti precoci. Nell’anno 2017 sono state vendute 155.960 confezioni di EllaOne e Norlevo in più rispetto al 2016: con un tasso di concepimento del 20% ciò significa 31.192 aborti. A questi vanno ancora aggiunti gli aborti clandestini, stimati dall’Istituto Superiore della Sanità in 3.000 - 5.000 tra le donne straniere e 12.000 - 15.000 tra le donne italiane. In conclusione, gli aborti non diminuiscono e la mentalità eugenetica e di chiusura alla vita appare ben radicata». Dove sta dunque l’inghippo di questa società così spaventata dai fiocchi rosa e azzurri? Il punto fondamentale è probabilmente che i figli richiedono una donazione totale, una scelta di vita ben precisa, che non conosce
scadenza. E tutto questo oggi spaventa. In una società che non si possiede, che è incapace di prospettarsi un futuro a lungo termine, che ha perso di vista tutti i valori fondanti dell’animo umano, che non valorizza la preziosità di ogni singolo individuo, il fatto di perdere la propria vita per una persona - che può essere un neonato, ma anche un anziano ormai non più autosufficiente - viene visto come un azzardo eccessivo. E allora è meglio non rischiare: è meglio non metterlo al mondo quel figlio, colmando
NASCONO SEMPRE MENO BAMBINI - E NE VENGONO ABORTITI A DECINE DI MIGLIAIA OGNI ANNO - MA AUMENTANO COSTANTEMENTE GLI ANIMALI DOMESTICI CHE SI TENGONO IN CASA.
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I FIGLI, A DIFFERENZA DEGLI ANIMALI, RICHIEDONO UNA DONAZIONE TOTALE, UNA SCELTA DI VITA BEN PRECISA, CHE NON CONOSCE SCADENZA.
invece il proprio bisogno di corrispondenza, di amore, di vedere concretizzata la propria naturale tendenza alla maternità o alla paternità affidandosi a un animaletto domestico. Salvo poi rendersi conto che tutto questo, alla lunga, oltre ad avere conseguenze deleterie sulla società nel suo complesso, non soddisfa appieno… perché la vera gioia la si trova solamente nel donarsi pienamente. Ed è proprio questo che accade con quel figlio che piange e non si capisce perché; che non
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dorme la notte e mette alle prova la pazienza di un fisico già debilitato da altre notti insonni; che ha bisogno di attaccarsi al seno o di essere cullato anche quando si vorrebbe dedicarsi ad altro; che “scuote” la coppia genitoriale, imponendo la ricerca di un nuovo equilibrio; che va educato con perseverante dedizione, giorno dopo giorno; che ha costante bisogno – da piccolo, e forse tanto più ancora da grande – di uno sguardo buono su di sé. Ma un figlio che tuttavia, pur dipendendo dai genitori in misura maggiore o minore, non appartiene loro e rimane altro da loro, e che proprio in virtù di questa sua individualità provoca e mette in discussione con una profondità che un “amico a quattro zampe” non potrà mai sollecitare. Certo, un cagnolino scodinzola quando si
entra dalla porta e un gatto fa le fusa quando lo si accarezza, donando un momentaneo senso d’appagamento: tuttavia solamente un figlio può favorire una piena realizzazione personale. Negli occhi di un neonato, o in quelli scontrosi di un adolescente, è possibile trovare uno stimolo per migliorarsi. Ma soprattutto è in quella donazione totale che i figli richiedono, di certo con una buona dose di fatica quotidiana, che si cresce: nel perdere se stessi, insomma, ci si ritrova diversi e migliori. E proprio in tale ottica i figli sono coloro che ci salvano da noi stessi. E, in una prospettiva confessionale, che ci aiutano a dare piena attuazione alla nostra vocazione: la vocazione all’amore, che accomuna tutti gli uomini.
I giovani e i pessimi maestri
di Claudio Vergamini
È molto facile lamentarsi dei giovani d’oggi. Un affezionato Lettore, però, a nome della generazione precedente, si mette una mano sulla coscienza e chiede scusa: se i giovani sono così, forse è perché hanno avuto cattivi maestri. Cari giovani, voi avreste molto per cui ribellarvi. Purtroppo, però, vi hanno ingabbiato in un recinto, hanno anche delimitato l’area in cui potete fare i “ribelli addomesticati”. L’unico spazio di ribellione che vi hanno concesso, e nel quale, purtroppo, vi muovete (costretti? consapevoli? Non lo so) consiste nel riempirvi il corpo di orrendi tatuaggi, nel farvi mettere piercing e orecchini, nel pitturarvi i capelli, nello sparare volgarità che non scandalizzano più, ma disgustano solamente, come l’odore della roba andata a male, per non parlare dell’abbigliamento e dei fronzoli annessi. La trasgressione è farvi di ogni droga possibile e/o “sgarganellarvi” litri di veleni, dei cui danni pagherete il prezzo più avanti, se non ci date un taglio. Invece dovreste arrabbiarvi con noi adulti, che siamo stati e siamo pessimi maestri,
che, insieme a una cospicua parte della generazione precedente, non abbiamo saputo passare dalla fase della ribellione adolescenziale alla fase adulta in cui si doveva cambiare mentalità, in cui le cose dovevano essere viste con l’ottica di chi aveva il compito di tramandare anni di esperienza e di valori e principi solidi. No, purtroppo noi, o abbiamo voluto fare i moderni, o non siamo stati capaci di trasmettere la nostra esperienza, pur avendo idee giuste, o abbiamo voluto farvi vedere quanto siamo bravi, quanto siamo aperti, a differenza dei nostri genitori e dei nostri nonni, ritenendoci ad essi superiori. Smaniosi di piacervi e di avere il vostro consenso, vi abbiamo privati delle figure di guida di cui avete bisogno e di cui sentite la mancanza (anche se solo a livello inconscio). Ma che maestri siamo noi che, per esempio, quando c’era da insegnarvi piccole regole di disciplina e rispetto, come l’uso del grembiule a scuola,
VOI GIOVANI DOVRESTE ARRABBIARVI CON NOI ADULTI, CHE SIAMO STATI E SIAMO PESSIMI MAESTRI: NON ABBIAMO SAPUTO PASSARE DALLA FASE DELLA RIBELLIONE ADOLESCENZIALE, ALLA FASE ADULTA, NON ABBIAMO SAPUTO TRAMANDARE ESPERIENZA E VALORI E PRINCIPI SOLIDI.
ridevamo come degli imbecilli nel vederle tutte cancellate? Che maestri di valori siamo noi, che, una volta che vi abbiamo messi al mondo, lasciamo nostra moglie (anzi: noi, moderni, oggi preferiamo dire “compagna”, pensa un po’…) perché “non siamo più innamorati”? 41 N. 74
E non ce ne importa niente del vostro dolore, di quello che avete provato, voi, innocenti, che non ci avete chiesto di mettervi al mondo. A noi basta mettervi in mano 100 euro, una scatola di preservativi, basta che vi togliete di mezzo, che noi dobbiamo “rifarci una vita”. Perché oggi, caro giovane, siamo degli evergreen che rimorchiano pure a 80 anni… Che maestri siamo noi che, quando c’era una palestra di vita e di insegnamento educativo, come il servizio militare, abbiamo ripreso a ridere da deficienti quali siamo, dicendo che “non serve a niente, fai solo le marcette”, e abbiamo preferito l’abolizione di uno strumento, forse duro, ma molte volte efficace per farsi un po’ le ossa, per costruirsi una personalità? Che maestri di valori e principi possiamo essere noi che, per
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esempio, riteniamo legittimo corteggiare persone sposate e con figli, e fare pressione su di loro per mandare la loro famiglia a gambe all’aria, senza curarci affatto delle persone alle quali abbiamo rubato una persona cara? E non ci rendiamo conto che, se gli avessimo rubato il portafoglio gli avremmo fatto meno danni. Anzi, ci sentiamo pure persone serie perché “lo diciamo apertamente”: pensa un po’ che testa che abbiamo! Che valori e principi possiamo insegnare, se pensiamo che se una moglie vuole rimanere a casa a curare la famiglia e i figli, quella è una donna “stupida” e “sottomessa”, e l’ideale sarebbe che lavorasse 12 ore al giorno e si sbattesse per sistemare i figli qua e là, vedendoli poche ore al giorno, lasciandoli crescere davanti alla Tv? Noi vi abbiamo tolto la possibilità di avere un futuro,
SMANIOSI DI PIACERVI E DI AVERE IL VOSTRO CONSENSO, VI ABBIAMO PRIVATI DELLE FIGURE DI GUIDA DI CUI AVETE BISOGNO.
e di farvi una famiglia, anzi vi abbiamo messo in testa “non ti sposare, convivi e divertiti”, oppure la genialata, che ci fa tanto sentire filosofi, del “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”: capito? Voi non dovete pianificare niente, non dovete progettare niente, vi abbiamo detto che dovete solo cibarvi di stupidaggini, e pensare solo a voi stessi, oggi, senza preoccuparvi degli altri e del domani. Cari giovani, la vostra fragilità, la vostra superficialità, è tutta colpa nostra; sarei contento se ci faceste sentire che siete arrabbiati, e rivendicaste ciò che vi abbiamo rubato, e ci rinfacciaste le mancanze che abbiamo avuto nei vostri confronti, lasciando stare canne, tatuaggi e cantanti “trap” … E noi? Dobbiamo solo stare zitti, noi abbiamo gravi colpe e nemmeno ce ne rendiamo conto!
Il matrimonio scoppiato
di Clemente Sparaco
La crisi del tasso di nuzialità in Italia, come certificato dall’Eurostat Quando si va ad analizzare l’ormai drammatico fenomeno della denatalità in Italia, si scopre un dato sottostante che, sotto certi aspetti, lo spiega: il crollo del tasso di nuzialità. Lo rivela uno studio Eurostat (il corrispondente europeo dell’Istat) pubblicato all’inizio dell’anno. L’Italia è al penultimo posto in Europa per il numero di matrimoni ogni mille abitanti: solo 3,2 (il dato è relativo al 2017). In termini assoluti nell’anno sono stati celebrati 191.287 matrimoni, religiosi e civili, a fronte dei 208.947 di cinque anni prima. Se, poi, risaliamo indietro nel tempo, scopriamo che negli anni Sessanta, gli anni del boom economico e anche del baby boom, i matrimoni in Italia erano all’incirca 400 mila l’anno (420.300 nel 1963). A questi livelli si sono mantenuti anche all’inizio degli anni Settanta, per iniziare a flettere nel 1975, fino a stabilizzarsi intorno ai 300 mila negli anni Ottanta e primi Novanta, e subire un’accentuata diminuzione a partire dalla metà
degli anni Novanta (290 mila nel 1995, 264 mila nel 2001, 250 mila nel 2007 etc.). Che cosa c’è dietro questi numeri? Senz’altro un’incidenza importante ha avuto la legge sul divorzio del 1 dicembre 1970 (la diminuzione è iniziata proprio in quegli anni), ma ritengo che la sua rilevanza debba essere valutata soprattutto come indicatore di un cambiamento di mentalità verificatosi nella società italiana. La legge sul divorzio fotografa la crisi dell’istituto matrimoniale e familiare,
che aveva caratterizzato per secoli il nostro Paese, cattolico e familista in modo marcato rispetto ad altri Paesi europei e non. La famiglia, come istituto e come valore collettivo, è quello che gli storici chiamano un fenomeno storico di lungo periodo. Sotto la spinta della trasformazione economica e sociale della nostra società, all’indomani del boom economico degli anni Sessanta, del boom industriale, dell’urbanesimo etc., la famiglia entrava in crisi. C’era in atto una trasformazione radicale
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LA LEGGE SUL DIVORZIO FOTOGRAFA LA CRISI DELL’ISTITUTO MATRIMONIALE E FAMILIARE.
del costume, che comportava un cambiamento del ruolo femminile nella famiglia e nella società, la crisi della visione patriarcale, nonché nuove esigenze e aspettative. La diminuzione progressiva della natalità dagli anni Sessanta è proceduta parallela con la crisi di quell’istituto matrimoniale. Bisogna considerare ancora l’invecchiamento della popolazione. L’età media in Italia negli anni Sessanta era di poco superiore ai trent’anni. Oggi è superiore ai 44 anni (44,4 nel 2017). Ma anche questo indicatore non basta a
spiegare il così basso numero di matrimoni, visto che la Germania ha un invecchiamento superiore al nostro Paese, ma un dato di nuzialità molto più confortante (5,0). Occorre, quindi, inquadrare la bassa nuzialità in Italia anche nel quadro della crisi economica che ha investito il nostro Paese. Si scopre allora che la disoccupazione giovanile (33% nel 2019), specie nel Sud, ha un peso notevole, ponendo l’Italia agli ultimi posti in Europa. Se, poi, accanto a questo dato poniamo l’esosità del nostro sistema
fiscale, i servizi sociali scadenti o inadeguati, la difficoltà di accesso all’abitazione per le giovani coppie, la mancanza di serie politiche familiari, il puzzle comincia a completarsi. Non è un caso che in Italia l’età in cui si arriva a fare il grande passo si procrastina sempre di più (35 anni per gli uomini e 32 per le donne). Ed è questo un primato negativo segnante la distanza del nostro Paese dai Paesi del nord Europa, in cui si trova lavoro prima, si lascia la famiglia di origine prima e si arriva al matrimonio più giovani.
EVITIAMO COME IL FUOCO TUTTO CIÒ CHE ESISTE PER SEMPRE, NEI SECOLI DEI SECOLI E FINCHÉ MORTE NON CI SEPARI. (ZYGMUNT BAUMAN)
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Manca ancora qualche tessera, una, in particolare, per certi versi triste e scoraggiante: l’emigrazione giovanile, ripresa consistente proprio in questi ultimi dieci anni di crisi, che depriva il tessuto demografico, sociale, intellettuale, del nostro Paese delle forze migliori. Per chiudere definitivamente il puzzle, bisogna considerare l’ammalarsi delle nostre relazioni, intervenute con l’avvento di quella che Zygmunt
LA CRISI DELL’ISTITUTO MATRIMONIALE, CUI È COLLEGATA LA CRISI DEMOGRAFICA NON SI FRONTEGGIA DAVVERO CON LA REGOLAMENTAZIONE DEI CONTRATTI PREMATRIMONIALI, CHE - AL MOMENTO DI ANDARE IN STAMPA - È STATA AVVIATA CON IL VARO DI UN DISEGNO DI LEGGE DELEGA AL GOVERNO.
Bauman ha configurato come società liquida. Il sociologo ebreo-polacco (venuto a mancare nel 2017) si riferisce a quel modo frenetico di vivere il tempo dell’esistenza, per cui la strategia vincente impone quasi di astenerci dal contrarre impegni a lungo termine. Evitiamo – osserva «come il fuoco tutto ciò che esiste per sempre, nei secoli dei secoli e finché morte non ci separi». Rifiutiamo legami per essere padroni della nostra vita. Tanto meno giuriamo eterna fedeltà a qualcuno. Così, le nostre relazioni si sono ammalate di provvisorietà. Non sanno osare oltre. Rincorriamo una libertà autarchica ed escludente. Viviamo di solitudine e la solitudine, si sa, può mutare in idiosincrasia. Ed è proprio l’idiosincrasia che porta all’insenilimento di una società, incapace di rinnovarsi come di aprirsi all’altro, giacché, come ha scritto il filosofo Martin Buber «ciò su cui si fonda il matrimonio è il fatto che due esseri umani rivelino l’uno all’altro il tu». 45 N. 74
Per una villocentesi non necessaria
di Silvia Montemurro
La testimonianza di una donna, di una madre, che si è trovata a vivere un incubo in quello che doveva essere un periodo di gioiosa attesa.
La mia storia è la storia di molte donne che come me si trovano ad affrontare la prima gravidanza a 34 - 35 anni, e sebbene l’età sia quella di una persona adulta e di grande esperienza di vita, non si è mai pronte. Nel 2010 scopro con stupore di essere incinta, non era una gravidanza programmata, era una gravidanza arrivata dopo il matrimonio avvenuto pochi mesi prima, accolta nonostante tutto con gioia e con un po’ di paura. Fatto il test casalingo, mi reco al consultorio e inizio il solito percorso consigliato alle future puerpere attempate (sono stata definita così). Oltre agli esami di routine, mi propongono quelli di indagine prenatale, me li propongono come una prassi consigliata per valutare la salute del feto, come qualcosa di assolutamente normale, mi spiegano del prelievo dei villi coriali (villocentesi) e di come sia un esame abbastanza sicuro per entrambi, mi fissano l’appuntamento e io fiduciosa 46 N. 74
vado in ospedale per questo prelievo, mi spiegano che se entro certo tempo non ricevo nessuna chiamata, vuol dire che è tutto a posto. Passano i giorni e quando credo di essere abbastanza sicura del risultato negativo ricevo la chiamata più brutta della mia vita: mi fissano un incontro urgente tre giorni dopo presso l’unità nucleare trapianti di Parma. Devo andare
urgentemente, con mio marito, perché la coltura ha evidenziato delle anomalie fetali e che devono procedere con ulteriori analisi incrociate tra il mio sangue, quello di mio marito e il nuovo prelievo che dovranno fare tramite l’amniocentesi. Credetemi, se vi dico che mi è caduto il mondo addosso. I giorni successivi li ho trascorsi come un automa, non capivo, non sentivo, non dormivo...
«COME TUTTE LE CONOSCENZE LA “DIA-GNOSI” PRENATALE VA ANALIZZATA NEI SUOI FINI E NEI SUOI MEZZI. SE IL FINE DELLA DIAGNOSI PRENATALE, COSÌ COME SI FA CON L’ADULTO, È QUELLO DI DIAGNOSTICARE UNA PROBLEMATICA PER POI CURARLA, ESSA SI CONFIGURA COME UNA MERAVIGLIOSA ATTUAZIONE DELLA SCIENZA PRENATALE E DELLA EVOLUZIONE DELLA RICERCA CLINICA VERSO IL FETO CONSIDERATO UN PAZIENTE A TUTTI GLI EFFETTI. MA SE IL FINE È QUELLO DI VEDERE SE IL FETO È MALATO O HA QUALCHE ANOMALIA PER POI POTERGLI TOGLIERE LA VITA, QUESTO È ASSOLUTAMENTE DA PROSCRIVERE, DA RIFIUTARE, PERCHÉ LA SCIENZA PRENATALE DEVE DARE LA VITA, DEVE DARE SPERANZA, NON MORTE E DISPERAZIONE» (PROF. GIUSEPPE NOIA).
Arriviamo a questo appuntamento e in maniera per carità - professionale, ma piuttosto cruda, la professoressa responsabile del reparto mi dà in mano una lettera, il risultato dell’esame dei villi coriali: scopro involontariamente che sarebbe stato un maschietto (avevamo deciso che non avremmo voluto sapere il sesso fino alla nascita ), che l’anomalia cromosomica non sarebbe stata compatibile con la vita, che avrebbe causato mancanza dell’apparato urogenitale, asimmetria degli arti, accrescimento anomalo del feto, ritardi mentali ecc., ecc... A me non venivano le parole, ho solo detto con un sorriso a denti stretti: «Ah è un maschio!»; mio marito era pietrificato. La dottoressa spiega che quel tipo di esame ha un’altissima incidenza di errori nelle colture (qualcosa come 1 o 2 casi ogni
cento, che a me, diplomata allo scientifico non sembravano così tanti: sorteggiata volontaria ogni cento donne gravide con oltre 35 anni......in una città come Parma......), che l’amniocentesi era necessaria, che dovevano mandare gli esami a Bologna e attendere i nuovi risultati. Al che con un groppo alla gola chiedo: «E se gli esami confermano?» «Signora, la lettera ce l’ha in mano». Fanno un prelievo di sangue a entrambi e mi fissano l’appuntamento in ospedale per l’amniocentesi spiegando che questa volta avremmo dovuto aspettare quasi un mese per via degli esami incrociati. Ero una balenottera di quasi 5 mesi. In ospedale per l’amniocentesi mi trovo l’ecografista più imbecille del mondo intero: mentre l’altro medico era con
l’ago nel mio sacco amniotico, mentre io trattenevo il fiato perché era vietato muoversi… lui risponde al cellulare. Appena finito il mio secondo esame altamente invasivo, dice all’infermiera: «La aspetto di là per quell’aborto ...». Abbiamo vissuto il mese (e qualche giorno) più brutto della nostra vita. Ero arrabbiata perché col senno del poi non
La villocentesi (prelievo dei villi coriali) è un esame prenatale invasivo che dovrebbe esser fatto solo quando c’è un elevato rischio di alterazioni cromosomiche del bambino, con lo scopo di curare l’eventuale anomalia e non di eliminare il malcapitato. (Fonte: ilcuoreinunagoccia.com)
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avrei mai fatto quel tipo di esame, ero arrabbiata perché ero grossa, lo sentivo muovere e mi sentivo cattiva e crudele perché sapevo benissimo che mi avrebbero proposto l’aborto se l’esame avesse confermato la prima coltura, mi sentivo cattiva e crudele perché quell’esame era il frutto della mia/nostra paura del futuro, perché viviamo in una società che ci vuole solo belli e perfetti, e chi ero io per decidere? Quel figlio ‘non desiderato’ sarebbe stato ucciso da me, la sua mamma?
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Mi sentivo sporca e crudele perché a un certo punto avrei desiderato che mi avessero detto che era Down, che alla fine sono figli che vivono una vita ricca di esperienze, esperienze diverse, ma non per questo non degne… scrivo e piango, non so se rendo l’idea. Più passavano i giorni più mi sentivo male, meno dormivo e più mangiavo, ero fuori da ogni logica. Poi arriva la telefonata dall’ospedale: ero in una stradina di montagna verso Castelnuovo Monti, sono agente di commercio, e l’infermiera mi dice che è tutto a posto, che hanno ricevuto gli esami completi da Bologna. Gliel’ho chiesto dieci volte, se era sicura di ciò che stava dicendo.
Poi una gioia incontenibile, mi sono fermata e ho iniziato a chiamare a grappolo prima mio marito, poi i miei genitori, mio fratello e mia sorella, mia zia, mia cugina, le mie amiche.... Ma non crediate che il veleno di quei giorni si fosse esaurito: per il resto della gravidanza ho continuato a fare ecografie e prelievi (non si sa mai, per via dell’accrescimento anomalo), mi davo le pacchette sulla pancia quando non lo sentivo muoversi, ho continuato ad aver paura, ho continuato con gli incubi... Ho partorito Federico a 34 settimane, parto naturale con perdita del liquido amniotico, a causa del mancato distacco della placenta ho perso quasi due
ABBIAMO VISSUTO IL MESE (E QUALCHE GIORNO) PIÙ BRUTTO DELLA NOSTRA VITA. ERO ARRABBIATA PERCHÉ COL SENNO DEL POI NON AVREI MAI FATTO QUEL TIPO DI ESAME.
litri di sangue e ho fatto appena in tempo a vedere il piccolino prima che l’anestesista facesse il suo lavoro, perché nonostante le manovre (dolorosissime) l’emorragia non si arrestava. Poi mi sono svegliata e poco dopo è arrivato quel “brutto” bimbo col mento in dentro, piccolino e imbronciato… che poi è imbronciato anche adesso che sono quasi otto anni... Se la gravidanza è di per sé un miracolo, mio figlio è un doppio miracolo.
A causa del trauma non ho allattato, ma va bene così; a causa del trauma abbiamo scelto di non replicare la gravidanza, troppi problemi, troppo dolore, troppa leggerezza nel proporre esami che ho scoperto dopo, non essere sicuri nemmeno nel certificare la salute fetale. Tornassi indietro non rifarei assolutamente nessuna villocentesi: ecco perché ho scritto. Io non ho mai pensato all’aborto, anche se quel
bambino è arrivato al momento sbagliato, non ho mai pensato all’aborto nemmeno quando ho letto quella lettera, ho solo pregato Dio di darmi la forza per andare avanti. Mio marito è sempre stato al mio fianco, non parla volentieri di quel periodo, e nemmeno del parto. Lui ha solo detto: «Non ho mai creduto di poterti perdere, perché anche se vedevo le facce scure, anche se ho visto il sangue che hai perso, Federico era nell’altra stanza che sgambettava. Prima era con te e con te doveva stare». Cari amici, bisogna spiegare alle persone come e cosa sia la diagnosi prenatale e quando è davvero necessaria. Le persone che si affidano ai medici devono essere consce di ciò a cui vanno realmente incontro.
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di Marco Bertogna
Delivery Man
Fonte foto: comingsoon.it
Titolo: Delivery Man Stato e Anno: USA, 2014 Regia: Ken Scott Durata: 105 min. Genere: Commedia
Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.
David è il classico esempio di adulto non ancora cresciuto: impiegato nella macelleria di famiglia, non è un lavoratore costante e anche nel rapporto con la sua fidanzata non brilla per maturità. La vita ordinariamente disordinata di David prende tuttavia una svolta quando, contattato dalla Banca del seme cui aveva venduto il suo sperma per ben 693 volte anni prima, scopre di essere il padre biologico di ben 533 figli, 142 dei quali desiderano ora sapere a chi appartengano la metà dei loro geni. La questione, inizialmente giocata sul filo legale dell’accordo di riservatezza che dovrebbe tutelare in toto Starbucks – questo il suo nome in codice – dalle pretese dei suoi figli e legittimare una sua mancata presa di responsabilità nei loro confronti, ben presto si trasforma in un’occasione per David per crescere e per cominciare a prendere decisioni fondamentali, e coraggiose, sul suo futuro e su quello delle persone a lui legate da un filo affettivo o biologico.
Questa, in breve, la trama di Delivery man, un film che non annoia, che non cede al sentimentalismo e che pone gli spettatori di fronte a tematiche etiche di grande portata, ma sempre con delicatezza. Molto interessante, riguardo a questo ultimo aspetto, il focus sul desiderio dei figli di conoscere le loro radici, di rendere carne quel padre che conoscono solo attraverso un nickname, così come la panoramica sulle loro vite profondamente segnate da una mancanza che agli occhi del mondo del progresso appare trascurabile, ma che così ininfluente in realtà non è. Di contro, meno convincente, seppur utile alla trama complessiva del film, il delirio di onnipotenza che prende David e lo spinge a provare a riallacciare i rapporti e a fare “da padre” ai diversi figli sconosciuti che, via via, fa in modo di incontrare. Ad ogni modo, approcciandovisi con senso critico, Delivery Man è una pellicola interessante, da vedere.
Letture pro life Giancarlo Ricci
IL TEMPO DELLA POST LIBETÀ SOCIETÀ, DESTINO E DESIDERIO IN PSICOANALISI Sugarco
L’autore, psicoanalista, ha in corso dal 2016 un provvedimento disciplinare da parte dell’Ordine degli psicologi della Lombardia per aver detto che «la funzione di padre e madre è essenziale e costitutiva alla funzione di crescita». Il libro ripercorre le vicende e i risvolti di questa aggressione ideologica che impone con la «rivoluzione gender» la sua visione sulla sessualità, sulla famiglia, sulla differenza tra i sessi e poi spiega che con l’adeguamento al pensiero unico, al politicamente corretto, all’obbligo dell’egualitarismo, l’uomo contemporaneo crede di essere libero e di avere a portata di mano qualsiasi scelta: ma la libertà muore di troppa libertà.
Isidoro Perutti
FRITTO MISTICO Youcanprint
Scrive Luciano Garibaldi che Isidoro Pertutti è lo pseudonimo di un apprezzato e stimato giornalista di lungo corso che ha scritto parte in prosa, parte in rime, una sorta di Divina Commedia dei nostri giorni. È il frutto di dieci anni di studio, riflessioni, pensieri. Se apriamo una pagina a caso, non riusciremo a chiudere il libro senza avere letto tutto l’intero capitolo. È un libro che soddisfa allo stesso modo chi divora le pagine, chi ama meditare e chi vuole sognare, che regala momenti di piacere e relax, ma anche di passione, riflessione, curiosità, ricerca, e infine di giovamento per le aspirazioni dell’anima, stimolate anche dal fascino della poesia.
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